IL NURAGHE ARRUBIU DI ORROLI © Copyright 1994 by Carlo Delfino editore, Via Rolando 11/A - Sassari SARDEGNA ARCHEOLOGICA 22 Guide e Itinerari IL NURAGHE ARRUBIU F. Lo Schiavo - M. Sanges Carlo Delfino editore di Orroli Il nuraghe Arrubiu di Orroli si trova nel Sarcidano, al centro dell’altopiano di Pranemuru, nella zona denominata Su Prànu coperto da rada macchia mediterranea sfruttata per il pascolo e dominante un antico guado sul corso del Medio Flumendosa, dove oggi sorge una diga di sbarramento. L’opera, costruita nel 1956, è di proprietà dell’Ente Autonomo Flumendosa e forma il Lago del Medio Flumendosa (Villanovatulo) con una capacità di invaso di circa 300 milioni di metri cubi. Il percorso più agevole per raggiungere il nuraghe Arrubiu, da Cagliari o da Sassari, consiste nel percorrere la SS. 131 Carlo Felice fino all'incrocio con la SP. 197 a 4 km. da Sanluri. La SP 197 va seguita fino al centro urbano di Barumini, dove si gira a destra e si raggiungono e si superano Gergei ed Escolca fino all'incrocio con la SP. 128. Si prosegue sulla SP. 128 fino al bivio per Nurri e si attraversano Nurri e Orroli. Oltre il paese di Orroli, dopo due chilometri in direzione di Escalaplano, un bivio sulla sinistra reca l'indicazione del nuraghe Arrubiu Le ricerche e gli scavi L’imponente struttura, che raggiunge circa 15 metri di altezza con la torre centrale e che ricopre nel suo insieme un’area di circa 3000 mq., è rimasta ignota ed inesplorata, coperta dai suoi stessi crolli e da una foltissima vegetazione ad alto fusto resa impenetrabile dall’intrico del sottobosco fino agli anni Trenta ed oggi completamente scomparsa. Così infatti ricordano e riferiscono gli anziani orrolesi: si tratta quasi di una favola, difficile da credersi davanti alla 5 Fig. 1 L’altopiano di Pranemuru visto dalla gola del Flumendosa. attuale situazione di nudità dei suoli e di aridità e di desertificazione dell’altopiano, dove gli strati bassissimi e fortemente argillosi del terreno trattengono le acque superficiali formando vischiosi pantani nei periodi di pioggia e una landa siccitosa ed arida d’estate. D’altra parte la copertura di un folto manto boschivo è l’unica spiegazione plausibile per l’oblio nel quale questo immenso complesso, senza alcun dubbio il nuraghe più grande della Sardegna, è stato avvolto, salvo rare ed isolate menzioni, fino alla prima esplorazione degli anni Cinquanta; questa ha prodotto un rilievo ed una descrizione tanto accurati quanto possibile, per l’epoca e per i mezzi disponibili, e resta un interessante documento sullo stato dei luoghi precedente gli scavi. Dall’autunno del 1981 all’autunno 1991 gli interventi si sono susseguiti, con finanziamenti di varia provenienza. I lavori sul sito si sono articolati in dieci campagne con cadenza quasi regolarmente annuale, inclusi il diserbo, la recinzione, la quadrettatura generale, il rilievo sia manuale che fotogrammetrico ed il restauro dei materiali rinvenuti negli scavi fino al 1990. I finanziamenti sono stati forniti in maggioranza dalla XIII Comunità Montana Sarcidano-Barbagia di Seùlo, ma anche dal Credito Industriale Sardo e dal Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali, sempre con la direzione ed assistenza scientifica e tecnica della Soprintendenza Archeologica per le province di Sassari e Nuoro; il Comune di Orroli ha curato la realizzazione della strada di accesso ed ha fornito con grande disponibilità ogni possibile supporto pratico e logistico. Il nuraghe viene definito indifferentemente “arrùbiu” o “orrùbiu” 6 Fig. 2 Panorama della diga sul Flumendosa ai piedi dell’altipiano di Pranemuru, edificata in corrispondenza di un antico guado sul fiume, non molto distante dal nuraghe Arrubiu. Fig. 3 Veduta aerea dell’intero complesso del Nuraghe Arrubiu. che significano “rosso”, con allusione al colore che talora assume il basalto, spesso anche ricoperto dai licheni. Si preferisce denominarlo “Arrùbiu” nel rispetto del toponimo riportato nella Tavola IGM Foglio 226 I NO (coordinate geografiche 1525570E 4390345N), ed anche per distinguerlo da nuraghe Orrùbiu di Laconi.(FLS) 7 Fig. 4 Nurallao (NU). Veduta generale della tomba megalitica di Aiodda al termine della campagna di scavo (1979). Fig. 5 Nurallao (NU). Statue menhir antropomorfe della tomba megalitica di Aiodda. 8 Itinerario archeologico nel Sarcidano Il comprensorio XIII Sarcidano-Barbagia di Seùlo in provincia di Nuoro abbraccia un territorio molto vasto al confine fra le province di Oristano e di Cagliari, che con i suoi quindici comuni comprende zone montuose (Laconi, Seùlo, Villanovatulo, Sadali, Esterzili ed Escaplano) separate dal solco del corso del Flumendosa da zone collinari e poi pianeggianti, al confine con la Marmilla (Nurallao, Nuragus, Isili, Gergei, Escolca, Serri, Nurri, Orroli); fra questi si elevano diverse alte giare che costituiscono la caratteristica dominante del paesaggio, quella di Serri, quella di Genoni S. Antine, quella di Guzzini-Pranemuru, e quella ricadente a metà fra l’agro di Genoni e quello di Gesturi, la Grande Giara. È ovvio che un territorio tanto vasto e vario, un tempo ricco di boschi di cui ora rimangono imponenti tracce a Laconi, Villanovatulo, Sadali e Seùlo, attraversato dal principale corso d’acqua dell’Isola e da molti altri minori, quando una distribuzione diversa della vegetazione presupponeva un ben diverso regime idrico, e dove anche i terreni piani e propizi a colture cerealicole e orticole sono abbondanti, abbia albergato fin dalle origini una discreta densità di popolazione. Le lacune nell’evoluzione culturale si devono qui unicamente ad una documentazione incompleta, essendo stata questa zona oggetto di un primo censimento ma di scarse indagini di scavo, che hanno interessato solo qualche monumento e quasi sempre per motivi di tutela e di urgenza. Per questo motivo l’illustrazione dell’archeologia del Sarcidano deve avvenire necessariamente per grandi linee, attraverso l’esemplificazione dei siti più rappresentativi. La proposizione di un itinerario di visita in Sarcidano non è facile, per l’imbarazzo della scelta che sorge talora fra molti monumenti interessanti. Necessariamente si elencheranno qui solo i principali per ogni comune, in un percorso che tiene conto delle strade carrozzabili esistenti, procedendo da Nord verso Sud-Est e poi risalendo verso Nord-Ovest. Anche cronologicamente conviene partire da Laconi con una visita al Museo Civico dove sono esposti, oltre alla prima documentazione sulla presenza umana nel Sarcidano, ovvero microliti geometrici di ossidiana e frammenti di ceramica cardiale del Neolitico Antico (VII-VI millennio a.C.), le statue-menhir figurate, seguendo 9 un itinerario interno fra le località dove le statue-menhir inornate sono ancora erette in situ: Genna Arrele, Perda Iddocca, l’allée couverte di Corte Noa e la tomba a circolo di Masone Perdu, la cava dei menhir a Genna ‘e Corte, fino al nuraghe Orrubiu con i menhir reimpiegati nella costruzione. Da Laconi si muove a Genoni, dove si visita il complesso nuragico e punico di Santu Antine, dove l’occupazione punica si è sovrapposta alle strutture nuragiche, ospitando forse la guarnigione della possente fortificazione con torrioni quadrangolari e mura di cinta che circondano il pianoro; ai suoi piedi, il nuraghe di Santu Pedru nel quale si rinvenne il famoso bronzetto del Suonatore di Corno. Di fronte, si sale sulla Grande Giara, ove in territorio di Genoni sorgono i nuraghi Cardilloni (o Gurdillonis), Pranu Omo, Mummuzzula, Nieddu, Bucca Scala, Pedrosu, Scala ‘e Serra, Scala ‘e Brebeis, Corte Merru, eccetera, oltre al pozzo nuragico di Corona Arrubia ed al grande villaggio di Bruncu Suergiu, sepolto nel bosco, tutti accuratamente descritti dal Taramelli. A Nuragus si trova la località di Valenza con l’omonimo nuraghe complesso e con i resti della chiesa di S. Maria costruita sui resti dell’insediamento romano del quale si distinguono varie strutture ed un tratto del tracciato stradale romano; importanti sono anche il grande nuraghe di Santu Millanu, un quadrilobato in calcare, con torre centrale svettante e con cella con tre nicchie a disposizione cruciforme rispetto all’ingresso, e la raffinatissima struttura isodoma in basalto del piccolo pozzo di Coni. Proseguendo verso Nurallao, merita una visita la tomba megalitica di Aiodda. Il monumento, oggetto di scavi sistematici, è una tomba di giganti con ampia esedra e grande monolite centrale costituente una stele di insolite forma e dimensioni, mentre lo schema planimetrico della camera è stato definito “navetiforme” per la sua forma ovale allungata; l’eccezionalità consiste nel fatto che gli elementi lapidei usati per la costruzione altro non sono se non statuemenhir simili a quelle di Laconi ma di dimensioni ridotte e di uno stile più uniforme; i materiali rinvenuti nello scavo, databili alla prima età del Bronzo, consentono di datare le statue-menhir ancora entro l’età del Rame (circa metà III millennio). Sull’altipiano che sovrasta il paese di Nurallao si trova inoltre il pozzo sacro di Nieddìu, alquanto mal conservato nell’area di una 10 cava di argilla; i nuraghi del territorio sono innumerevoli. Giungendo ad Isili si scorge, a destra della strada, il bellissimo nuraghe Is Paras a pianta trilobata in calcare, celebre — pur non essendo stato scavato che parzialmente — per avere la più alta cupola (tholos) di oltre m. 11, oltre ad una cisterna che si apre dall'interno della camera centrale. In paese si trova il nuraghe a corridoio Asusa a pianta rettangolare. Il nuraghe Adoni, un quadrilobato in calcare adattato alla roccia con cortine murarie di collegamento, attualmente a metà sepolto dal bosco, domina il paese di Villanovatulo e, per largo raggio, tutta la zona circostante. Ancora oltre, le celebri grotte di Sadali che hanno ospitato insediamenti preistorici dei quali sono rimaste ceramiche della cultura Eneolitica di Monte Claro (circa 2500-2200 a.C.), si trovano in un fitto bosco in ambiente ancora incontaminato mentre, più avanti, un percorso tortuoso ma affascinante conduce al centro urbano di Seùlo: i due nuraghi Su Nuraxi e Nuraxeddu, ambedue monotorri e con planimetria canonica con nicchia di guardia, scala d’andito e camera con nicchie, documentano l’uso dello scisto con esiti di limitata imponenza e di peggiore conservazione; sorgono non lontani l’uno dall’altro, su di un rilievo collinare che fronteggia il paese. Scendendo da Seùlo e Sadali, si prosegue per Esterzili sul cui rilievo più elevato di Mont’e Nuxi è arroccato il recinto ed il complesso nuragico con il pozzo, mentre il tempio a “megaron” di Domu de Orgìa è situato su di un valico. Uno stretto sentiero a strapiombo conduce alle due tombe di giganti di Sa Ucca ’e is Canis e S’Omu ’e Nannis. Nel territorio di Escaplano si segnalano le domus de janas di Fossada, non molto grandi ma con schemi planimetrici differenziati; raccolte di superficie hanno restituito molta industria litica su ossidiana e su selce, tanto da indicare la presenza di officine litiche. Nello stesso territorio si trovano una fonte nuragica ed un resto di pozzo sacro semidistrutto dalla piena del fiume, ambedue in località Is Clammoris. Ritornando verso Nord-Ovest, per l’altopiano di Pranemuru si veda l’itinerario specifico descritto più oltre. Da Nurri si giunge a Serri dove si sale sulla Giara omonima per una visita al santuario federale nuragico di Santa Vittoria. 11 Si completa l’itinerario ad Escolca con il villaggio di S. Simeone di età medievale e moderna ma quasi certamente con preesistenza romane e forse anche nuragiche, ed il nuraghe Mannu, ed a Gergei con il nuraghe Su Iriu impostato, insieme a strutture pertinenti al villaggio, su una bancata di calcare marnoso. (FLS) L’altopiano di Pranemuru in età prenuragica La particolare conformazione geomorfologica dell’altopiano basaltico di Pranemuru, sovrastante in parte il corso del Flumendosa, fa sì che essa debba considerarsi, ai fini dello studio dell’antropizzazione dei siti in età preistorica, come un’unità territoriale a sé stante, tralasciando l’attuale suddivisione amministrativa nei territori dei Comuni di Nurri e Orroli. L’altopiano, costituito da un vasto tavolato basaltico di età PlioPleistocenica, si snoda per circa otto chilometri in direzione NordOvest/Sud-Est e il suo andamento tabulare va degradando da quota 761 metri s.l.m. nella punta più alta di “Pizziogu”, in territorio di Nurri, e a 400 metri, in località “Tacchixeddu”, in quello di Orroli. Il lato orientale domina tutto il versamento destro del Flumendosa, che scorre in questo tratto per lo più in profonde e spettacolari gole, mentre su quello sud-occidentale sovrasta gli attuali abitati di Nurri e Orroli e le piane sottostanti. Si è qui ai confini del Sarcidano, in una parte di questa regione dell’Isola in cui sono fortemente marcati i segni lasciati dalla presenza dell’uomo fin dalla preistoria. Tutto il territorio infatti ha subito, più che in altre parti, profonde trasformazioni ad opera della continua attività umana, fino ai nostri giorni. A fronte di tante testimonianze di vita nel passato, sono purtroppo veramente esigue le indagini archeologiche effettuate finora, per cui talvolta l’assenza di tracce di un determinato periodo sono forse da attribuirsi in gran parte a carenze della ricerca sul campo. Recentemente questo territorio è stato oggetto di un censimento meticoloso che ha allargato la conoscenza dei vari siti di insediamento, dalla preistoria all’età moderna, ma soltanto interventi di indagine scientifica mirata potranno chiarire e colmare vuoti e lacune. 12 Fig. 6 Orroli (NU). Necropoli a domus de janas di “Su Motti”. Domus ricavata in un masso erratico di basalto. 13 Fig. 7 Orroli (NU). Necropoli a domus de janas di “Su Motti”. Domus ricavata in un masso erratico di basalto. Al momento, come per gran parte dell’Isola, nulla si sa di possibili presenze umane nell’altopiano e nelle aree adiacenti nel Paleolitico e nel Mesolitico. Mancano anche testimonianze del Neolitico Antico e Medio, mentre le minuziose ricognizioni sul campo, attestano una massiccia antropizzazione del territorio a partire dal Neolitico Recente e Finale. Il già citato censimento, effettuato nell’ambito del Progetto “I Nuraghi” dal Consorzio Archeosystem, ha documentato, nell’ambito dei territori di Nurri e Orroli, una notevole concentrazione di insediamenti riferibili a questo periodo, pertinenti quindi alla Cultura di Ozieri. Sono state schedate ventitré domus de janas, due grotte naturali con sicure tracce di frequentazione in antico, cinque aree con frammenti fittili e litici, un’area di concentrazione di reperti fittili e quindici stazioni litiche all’aperto. Fra tutte queste emergenze quella più significativa è data certamente dalla vasta area archeologica nella regione di “Su Motti”, alla periferia settentrionale dell’attuale abitato di Orroli, ai piedi della 14 Fig. 8 Orroli (NU). Necropoli a domus de janas di “Su Motti”. Domus ricavata in un masso erratico di basalto. 15 spettacolare parete basaltica di “Sa Corona Arrubia” e di “Taccu Idda” Giganteschi blocchi di distacco dalla parete soprastante hanno creato diversi accumuli di frana disposti lungo il pendio sottostante. In questa vasta area, nella parte più settentrionale, è situata una necropoli ipogeica composta da una quindicina di domus de janas. Le domus, suddivise in tre gruppi, sono variamente dislocate lungo tutto il versante di “Su Motti” e sono scavate sia sulla parete rocciosa che su grossi massi erratici, ai piedi della parete stessa. Dal punto di vista tipologico, il complesso ipogeico orrolese appare composto da sei domus monocellulari, tre bicellulari e tre pluricellulari; in quasi tutte il deposito archeologico è ormai scomparso da tempo. Leggermente più a valle, un’apocalittica massa di blocchi di crollo ha creato una vasta distesa ricoperta da un rado bosco di roverelle. Tra gli accumuli di frana si sono venuti a creare numerosi cunicoli e gallerie, alcuni strettissimi, altri sufficientemente ampi da poter essere percorribili. L’esplorazione di gran parte di queste cavità, oggetto purtroppo anche di interventi clandestini, ha portato al recupero di una grande quantità di materiali riferibili per lo più alla Cultura di Ozieri, ma anche a quelle Eneolitiche di Monte Claro e del Vaso Campaniforme, nonché a fittili di età romana. Fra i materiali di Cultura Ozieri si distinguono ceramiche decorate ed inornate: pissidi, vasi a cestello, ciotole emisferiche, ciotole carenate, tripodi, vasi a collo distinto, ecc. Le decorazioni trovano puntuale riscontro negli spartiti decorativi già noti di questa Cultura, per quanto siano anche presenti variazioni inedite e di grande interesse. Abbondante e varia è pure la tipologia dell’industria litica recuperata, costituita da punte di freccia, lame, raschiatoi, ecc, in selce ed ossidiana. Fra i materiali pertinenti alla Cultura di Monte Claro sono presenti elementi ceramici, già noti per forma e decorazioni, confrontabili con la “facies” cagliaritana di questa Cultura. Nel sito è stato anche rinvenuto un pugnaletto di rame a lama foliata, provvisto di lungo codolo forato all’estremità, analogo ad altri pochi esemplari similari rinvenuti in altri contesti eneolitici isolani e che sono probabilmente fra i più antichi manufatti metallici finora ritrovati in Sardegna. 16 Scarsi frammenti ceramici dalle decorazioni tipiche della Cultura del Vaso Campaniforme attestano una frequentazione del luogo, anche se sporadica, da parte di genti in possesso di questa Cultura. È abbastanza verosimile ipotizzare un uso funerario dei numerosi anfratti di Su Motti, almeno per quelli di più vaste dimensioni, non escludendo però anche eventuali valenze di carattere cultuale, il cui significato, al momento attuale della ricerca, è ancora tuttora da chiarire. Alla relativamente alta percentuale di luoghi funerari finora noti nella regione in esame, non corrisponde un’ altrettanto vasta quantità di resti di abitati. La scarsissima utilizzazione dell’altopiano per attività agricole e la fitta vegetazione di sottobosco che a tratti lo ricopre possono ancora celare resti di insediamenti umani all’aperto, più consistenti di quelli finora noti, mentre nelle piane sottostanti l’intensa attività agricola praticata da sempre, particolarmente in epoca recente con arature profonde eseguite con moderni mezzi meccanici, può averne cancellato ogni traccia. È appena il caso di citare la presenza di una probabile tomba a cista litica a pochi chilometri dall’abitato di Orroli, lungo la strada per Escaplano, totalmente sconvolta dai lavori agricoli, la cui unica testimonianza residua è data da un piccolo frammento di vaso di Cultura Monte Claro della “facies” nuorese di questa Cultura. Completa infine il quadro della frequentazione prenuragica della regione la presenza di scarsissimi elementi ceramici ascrivibili all’età del Bronzo Antico (Cultura di Bonnanaro), rinvenuti in alcuni anfratti nei pressi del nuraghe “Sedda S’Amadori”, nel territorio di Orroli. Per quanto concerne l’età prenuragica si propone la visita della necropoli a domus de janas di “Su Motti” e, lungo la strada OrroliEscaplano, in direzione del Nuraghe Arrubiu, a destra della strada, le due domus monocellulari di S. Caterina. (MS) 17 L'altopiano di Pranemuru in età nuragica Diversamente dall’intero territorio del Sarcidano, l’altopiano di Pranemuru è stato minuziosamente censito e studiato, e ciò fa molta differenza a livello di registrazione delle presenze, anche se gli interventi di scavo sono stati pochissimi, anzi in pratica, tolto il nuraghe Arrubiu, solo quello di Lilliu nel villaggio e nel pozzo sacro di Su Putzu nel 1950. Dal censimento effettuato dal Progetto “I Nuraghi” del Consorzio Archeosystem e dal relativo studio di Giorgio Murru si apprende che nell’area dell’altipiano di Pranemuru sorgono 45 nuraghi dei quali 31 sulla sommità e 14 a mezza costa, il che indica una decisa preferenza per le posizioni dominanti, ma niente dice che fossero tutti contemporanei o quali siano le scelte che hanno determinato la loro erezione. Di questi 45, 29 sono a tholos semplice (il 70%) ed 8 a pianta complessa (6 bilobati, 1 trilobato, 1 pentalobato), 2 a corridoio e 3 non determinabili. Inoltre sono stati censiti 27 siti di insediamento dei quali 17 adiacenti a nuraghi (5 presso nuraghi monotorre, 11 presso nuraghi complessi, 1 presso un nuraghe a corridoio) 3 senza nuraghe e 6 aree di frammenti ceramici e litici senza resti di strutture attualmente emergenti; sono tutti insediamenti di tipo civile, ad eccezione di quello di Su Putzu, che è anche il più grande ed il più celebre. Situato sul margine meridionale dall’altopiano di Pranemuru, lungo l’antica via di collegamento Orroli-Escaplano che lo taglia a metà, è costituito da un centinaio di capanne a pianta circolare ed ellissoidale, di alcune delle quali si conserva una buona parte dell’alzato, ovvero lo zoccolo sul quale doveva essere eretto un tetto conico di legno e frasche come nelle tradizionali pinnette. La struttura del villaggio è quella “a isolati” o “a corte interna”, ovvero i diversi vani sono collegati l’uno all’altro da segmenti murari in uno schema complessivo circolare, come ne sono documentati a Barumini, a Serrucci (Gonnesa) e più a nord a Serra Orrìos (Dorgali), per citare solo gli esempi più noti. Il vano più grande (diam. esterno m. 8,70) è la Capanna delle Riunioni, cosiddetta sia per le dimensioni che per la presenza di una banchina lungo il muro Nord-Est. Ad una cinquantina di metri dall’area del villaggio, sorge il pozzo sacro omonimo, a pianta ellissoidale con un’estremità tronca dalla 18 Fig. 9 Nurri (NU). Il nuraghe a corridoio di Corongiu‘e Maria, sovrastante l’invaso artificiale del Flumendosa. parte del vestibolo lastricato, nel quale si apre una scalinata di quattro larghi gradini che conducono alla camera cilindrica del pozzo (diam. m. 2,50, alt. cons. m. 5), originariamente coperta a tholos; all’esterno del vestibolo partono due bracci murari ad esedra che recingono un’area sacra antistante il monumento, lungo in tutto m. 12 e largo all’esedra m. 12,87. Purtroppo nessuna indicazione utile per definire una cronologia è scaturita dallo scavo archeologico. Il miglior confronto si può istituire con il tempio a pozzo di Fontana Coberta di Ballao. Nel territorio di Orroli esisteva forse un secondo pozzo sacro ora distrutto, mentre si conserva una fonte ed un pozzo, quest’ultimo di uso sicuramente domestico. Vi sono, infine, cinque tombe di giganti, incredibilmente poche e di dimensioni molto ridotte contro la straordinaria abbondanza ed imponenza dei nuraghi. Fig. 10 Nurri (NU). Il nuraghe a corridoio di “Corongiu’e Maria”. 19 Si propone la visita di alcuni interessanti monumenti, fra i moltissimi esistenti sull’altipiano di Pranemuru, seguendo un itinerario da Nord-Ovest a Sud-Est secondo l’andamento delle strade e delle piste esistenti e progettate. Si suggerisce di partire dal nuraghe bilobato di Santu Pedru sul Monte Guzzini (Nurri). Segue, sempre nel territorio di Nurri, il nuraghe complesso di Is Cangialis, sullo sperone settentrionale di Su Taccu; il nuraghe bilobato di Ingurti Acqua, il nuraghe a corridoio di Corongiu ’e Maria, il nuraghe complesso Arrìu ’e Pranu ’e Muru ai margini del centro urbano di Nurri; nella foresta di Padenti il nuraghe con possente rifascio di Sedda Bintirissos e, poco lontano, il nuraghe monotorre di Cora ’e Molla; nell’area nord-orientale di Pranemuru sorgono, abbastanza prossimi l’uno dall’altro il nuraghe monotorre con villaggio di Perd’e Putzu, il nuraghe complesso di Luas, la tomba di gigante di Stessèi, il nuraghe bilobato omonimo a picco sul Flumendosa ed il nuraghe monotorre Funtana ’e Spidu, in territorio di Orroli nella zona pianeggiante orientale. Proseguendo — e tornando indietro sulla carrozzabile ai margini del paese di Orroli — si visita l’area di Su Motti, con la vasta necropoli ipogeica e con il nuraghe a corridoio; nell’abitato stesso sorge il nuraghe bilobato di S. Nicola e centro metri a Sud, su di un rialzo collinare, si erge il bellissimo nuraghe quadrilobato di Sa Serra; a Sud-Sud-Est si trova la torre del nuraghe Ollasta e, poco lontani, il nuraghe bilobato Cracìna ed il monotorre Gasòru. Imboccando la pista bianca per il nuraghe Arrubiu si incontra prima, sulla destra, dopo il nuraghe Gasòru, la tomba di giganti di Su Pranu, in mediocre stato di conservazione; proseguendo dopo il nuraghe Arrubiu si giunge al villaggio nuragico di Su Putzu con il tempio a pozzo omonimo; di fronte, al di là della carrozzabile sorge sulla sommità di una collina il nuraghe monotorre di Pardu. (FLS) L’altopiano di Pranemuru in età storica Al momento non sono note al territorio di Pranemuru tracce di presenza fenicie e puniche. Il Barreca (1988) cita il nuraghe Arrubiu di Orroli quale interes20 sante esempio di sito nuragico riutilizzato dai Cartaginesi come postazione militare, facente parte di un sistema fortificato centroorientale che i Cartaginesi costruirono nel V secolo a.C., per difendere le piane centro-meridionali dagli attacchi delle popolazioni del Nuorese. L’esplorazione sistematica del Nuraghe Arrubiu, condotta dal 1981 al 1991 con regolari campagne di scavo, ha escluso categoricamente, non solo una tale riutilizzazione, ma anche una frequentazione sporadica del complesso in questo periodo, per cui questa notizia è ormai da ritenersi del tutto priva di fondamento. Capillarmente diffusa appare invece la presenza romana, non tanto sull’altopiano quanto nelle piane e colline sottostanti in cui la disponibilità di vaste e fertili aree coltivabili rendeva il territorio particolarmente adatto agli insediamenti. Sull’altopiano vengono preferibilmente riutilizzati precedenti stanziamenti di età nuragica. Testimonianze certe di tali fasi di riutilizzo sono date da scavi sistematici quali quelli del Nuraghe Arrubiu e del villaggio nuragico di “Su Putzu” di Orroli. Il rinvenimento di materiali mobili di superficie (frammenti ceramici, embrici, ecc.) presso numerosi monumenti nuragici attesta quanto esteso sia stato questo fenomeno. Resti di abitato sono presenti nei rilievi collinari, con una particolare concentrazione nell’area dell’attuale invaso artificiale di Mulargia ove se ne contano quattro: in località “Genn ’e Accas”, “Corti ’e Caboni”, “Casa is Tiddias” e “Santa Liàna”. Altri insediamenti sono stati certamente sommersi dal lago e sono parzialmente visibili in annate siccitose, in cui il livello dell’acqua si abbassa notevolmente. Ma sono soprattutto i rinvenimenti assai frequenti di tombe nel corso di lavori agricoli o nei centri abitati di Nurri e Orroli ad attestare la vastità e l’estensione della presenza romana nel territorio, a lungo perdurata nel tempo, fino agli inizi dell’Alto Medioevo. (MS) 21 IL NURAGHE ARRUBIU 1 L’antemurale Questo monumento è il solo nuraghe pentalobato conosciuto dalla letteratura archeologica — salvo due casi molto problematici e contestabili — ovvero intorno alla torre centrale (A) sorgono altre cinque torri (C-G), collegate l’una all’altra da potenti muraglioni rettilinei, con un cortile irregolarmente pentagonale al centro (B). Il pentalobato è circondato da un’ulteriore struttura muraria, l’antemurale, Fig. 11 Veduta aerea del nuraghe Arrubiu prima degli scavi. 22 con sette torri (H-P) e tre cortili (K-X-Y), mentre lungo il lato meridionale si trova una seconda struttura aggiunta con quattro o cinque torri (Q-U). Intorno, ma soprattutto lungo il lato meridionale, vi sono capanne a pianta circolare e rettangolare, di epoche diverse. Il monumento verrà dunque descritto seguendo il percorso della visita, dall’esterno verso l’interno, e poi tornando indietro verso le capanne e gli altri manufatti di età romana. Il Cortile X Il Cortile X, il più vasto dell’intero complesso, è quello che conserva l’unico accesso ancora integro di tutto l’antemurale. Esso è compreso fra le torri H, P, O ed N e al suo interno si affacciano le torri C, G ed F del bastione pentalobato. La struttura perimetrale dell’antemurale nelle cortine fra le torri H-P, P-O e O-N appare ad andamento rettilineo all’esterno, mentre all’interno è curvilineo, delimitando una vasta area semicircolare, la cui parte centrale è quasi per intero occupata dall’imponente mole della torre G del bastione. Fig. 12 Veduta aerea del Nuraghe Arrubiu agli inizi della campagna di scavo (1982). 23 Fig. 13 Panoramica parziale del nuraghe Arrubiu da sud-ovest. Di lato la gigantesca gru che è servita, oltre alla rimozione dei crolli, ad effettuare le riprese fotografiche del monumento. Fig. 14 Orroli, nuraghe Arrubiu. Planimetria generale. 24 Al punto di congiunzione dei segmenti delle cortine si aprono gli accessi delle torri P ed O, realizzate totalmente all’esterno della cinta muraria e in comunicazione con essa soltanto attraverso gli ingressi, mentre la torre N, non ancora scavata, appare tangente alla torre F, obliterando in tal modo il cortile, analogamente a quanto avviene sul lato opposto con la torre H, isolando così completamente, almeno a livello di suolo, il cortile dal resto del complesso. Il Cortile X è stato scavato nel corso degli interventi del 1982-8384-85-89, ma il lavoro è ben lungi dall’essere concluso. Era questa probabilmente la parte dell’antemurale più colma di materiali di crollo, ma è anche quella in cui attualmente si può ammirare la maestosa mole del bastione pentalobato. L’altezza residua del paramento murario all’interno è varia, con punte massime da m. 3,20 nei pressi dell’ingresso a m. 2,10 circa le torri P ed O. Tali altezze sono destinate ad aumentare allorquando lo scavo metterà in luce l’antico piano di calpestio. All’esterno il paramento non è ancora del tutto leggibile, sia per i differenti livelli del piano di campagna, sia per le masse di crollo presenti e non ancora rimosse. Fig. 15 Veduta aerea del nuraghe Arrubiu alla fine della campagna di scavo del 1984. 25 La struttura muraria è costituita da blocchi per lo più di medie dimensioni, disposti ad andamento regolare e il suo spessore si allarga notevolmente all’altezza dell’ingresso esterno e della torre O. L’ingresso esterno, esposto ad Ovest, leggermente rialzato sull’attuale piano di campagna, è di forma trapezoidale. Gli stipiti, realizzati con blocchi di grosse dimensioni sovrapposti, sono sormontati da un architrave monolitico. Un breve andito, fiancheggiato da due nicchie laterali voltate ad ogiva, conduce all’ingresso interno, anch’esso architravato, i cui stipiti poggiano su un affioramento di roccia naturale spianato, con la soglia sopraelevata rispetto al piano interno. A destra dell’ingresso il cortile è obliterato dalla struttura “a goccia” della torre H, mentre sul davanti è sormontato dalla massiccia mole della torre C del bastione. Sulla sinistra il cortile si allarga in corrispondenza della cortina fra le torri C e G del bastione, realizzata a tessitura obliqua incrociata con grossi massi poligonali alla base, che diminuiscono di dimensioni in alzato, non ancora apprezzabile in tutta la sua altezza, in quanto ai suoi piedi è stata lasciata temporaneamente una massa di crollo ordinato costituito essenzialmente da conci a coda, conci a T e mensoloni, perfettamente squadrati a martellina, pertinenti il coronamento in aggetto, forse in opera isodoma, del bastione centrale. Anche qui, come nel cortile Y, sono documentati blocchi realizzati con materiali diversi; basalto nero e bruno, calcare arenaceo bianco, che farebbero pensare ad una certa policromia della superficie esterna delle parti più alte del bastione. Tutti i blocchi visibili sono stati schedati ai fini di una possibile ricostruzione computerizzata del complesso, già in corso di elaborazione. Proseguendo in direzione Nord, al termine della cortina, si apre l’ingresso della torre P non ancora scavata. Quest’ultima è stata oggetto di una semplice ripulitura superficiale e appare, allo stato attuale, fra le peggio conservate dell’intero monumento. In direzione Est il cortile si restringe, come già detto, in quanto la superficie è per gran parte occupata dalla grande mole della torre G, e consente solo uno stretto passaggio fra questa e il paramento interno dell’antemurale. Superata questa strettoia, lo spazio si allarga in direzione della cortina fra le torri G ed F. Da questo lato si ha la vista più spettacolare del bastione in quan26 Fig. 16 Veduta aerea del Nuraghe Arrubiu alla fine della campagna di scavo 1991. 27 to la cortina, realizzata con grossi blocchi poligonali a tessitura obliqua incrociata, è visibile per un’altezza di circa undici metri, malgrado anche qui alla sua base sia stato lasciato in posto il crollo del paramento superiore in cui è presente un numero particolarmente rilevante di mensoloni. Dal lato opposto si apre l’ingresso della torre O, al momento totalmente inesplorata. In questo punto lo spessore murario dell’antemurale si allarga notevolmente ai due lati dell’ingresso e, fra i massi di crollo, si intravvedono degli spazi con accenni di gradini di una stretta scala, analoga a quella osservata nello spessore murario fra le torri I ed L nel cortile Y. Il cortile volge infine verso Sud-Est, si restringe nuovamente all’altezza della torre F ed è obliterato bruscamente dalla struttura della torre N, in questo punto tangente al bastione. Trovano così significato le due scale presenti nella struttura muraria dell’antemurale, che non solo permettevano l’accesso alla sommità delle cortine e alle terrazze delle torri della cinta più esterna, ma garantivano dall’alto quella comunicabilità fra i vari cortili dell’antemurale, resa impossibile a causa delle numerose volute obliterazioni al pianterreno. (MS) 28 Il Cortile Y Il Cortile Y è lo spazio compreso fra le torri H, I ed L dell’antemurale e le torri C e D del pentalobato. Lo scavo del cortile Y, condotto negli anni 1982-83-84-85-91, non è ancora completato e la sua perimetrazione rimane incerta e l’accesso non definito. Sul lato Nord la torre H, con la sua struttura “a goccia”, si protende a toccare il paramento esterno della torre C, creando così una barriera fra il cortile Y ed il cortile X, che ne ostacola lo sviluppo continuo. Il paramento murario è costituito da blocchi di media dimensione, estesi più nel senso della larghezza che in quello dello spessore, ad andamento regolare. A metà di esso sorge, ravvicinato ma non tangente, un alto silos, ovvero una struttura troncoconica, internamente cava e con fondo piano e lastricato, costruita con pietrame medio-piccolo di forma irregolare e a spigoli vivi, esclusi i due filari di base che mostrano, invece, blocchi medi e regolari; verso l’interno del cortile è ben distinguibile una breccia che è stata chiusa, per motivi statici, durante lo scavo; non si distingue, invece, alcun accesso dal basso. Quella di “silos” perciò, pur non essendo del tutto convincente, resta l’interpretazione più plausibile. La torre D del pentalobato si erge per m. 6,60 di altezza, possente e gigantesca, costituita da enormi blocchi irregolari a tessitura obliqua, ovvero ciascuno collocato in corrispondenza della giuntura di altri due dell’assise inferiore. Tutto il paramento è accuratamente inzeppato con piccole pietre fissate saldamente con argilla. Di fronte a questa, si intravvede appena l’architrave d’ingresso della torre L dell’antemurale e, senza soluzione di continuità, l’andamento concavo-convesso della cortina muraria del cortile che la collega con la torre I e poi con la torre H dove si appoggia. Tra la torre L e la torre I si apre una scala ricavata nello spessore murario della quale residuano 8 gradini a pedata molto stretta ed alta che portano alla sommità del muro. Il paramento del muraglione del cortile presenta sempre una tessitura obliqua, ma più regolare e di dimensioni meno gigantesche che nel pentalobato; anche qui le giunture fra le pietre nelle varie assise sono accuratamente inzeppate. Al di là della capanna Y, a sinistra dell’ingresso alla torre H, si apre una nicchia coperta ad ogiva, costituita da 6 assise compresi i 29 due blocchi tangenti sulla sommità; la base è formata dall’architrave di un canale che attraversa la muratura sbucando all’esterno. Nello scavo del Cortile Y, che ha implicato l’asportazione documentata e quotata di qualche centinaio di blocchi lavorati di basalto e decine di calcare (tutti schedati), in posizione di crollo dalle torri e dal bastione pentalobato, si è mantenuto un vincolo di documentazione storica: quella di non rimuovere quattro grandi blocchi con sommità spianata, impostati saldamente sul crollo nella parte alta della cortina fra la torre H e la torre C e costituenti una sorta di basolato. Infatti è da ritenere che questa “via” impropria fosse un deliberato assestamento di età romana, attraverso il quale il gruppo umano qui insediato ha trascinato tutti i vasconi e gli altri manufatti necessari per l’impianto artigianale della premitura dell’uva, dall’esterno al di sopra di tutti i crolli, fin dentro il cortile centrale. Questo vincolo — che potrà essere rimosso il giorno che si provvederà ad una moderna sottofondazione di questo segmento basolato — ha comportato, per ora, la conservazione di una parte del crollo originale, fra la torre C, la torre D ed il silos che, come si è detto, è stato opportunamente puntellato. Per motivi di sicurezza, ugualmente, si è preferito conservare una parte del crollo fra la cortina “a goccia” della torre H dell’antemurale e la struttura posteriore del silos. Lo scavo integrale potrà essere effettuato solo dalle due parti contemporaneamente e contestualmente al completamento dello scavo del cortile Y. Dalla parte opposta a Sud del cortile Y esiste un altro vincolo, costituito dalle strutture romane erette al di sopra di precedenti sistemazioni di età nuragica, nel cortile K1. Per il momento si è unicamente rimossa la parte superficiale del crollo fra la torre D del pentalobato e la torre L dell’antemurale, della quale è venuto in luce l’architrave dell’ingresso sormontato dal finestrello di scarico, in aderenza del quale è stato raccolto un grande frammento di ciotola carenata. (FLS) La Torre H A destra dell’ingresso si apre una nicchia coperta ad ogiva; da questa allo stipite di sinistra corre un bancone circolare lungo tutta la parete. Al di sopra di questo si aprono 14 feritoie, delle quali sei occluse in antico — tre per parte — che formano delle piccole nicchie, e 8 pervie. Le cavità delle feritoie, non grandi, costituite da uno solo o da due blocchi medi sovrapposti, sono coperte da architravi, formanti un filare orizzontale regolare di blocchi di dimensioni non particolarmente grandi. Lo stesso vale per tutto il paramento residuo della camera, quasi a filari ben assestati ed abbastanza regolari. La copertura non è completa ed è crollata in antico. (FLS) 30 La Capanna Y La Capanna Y sorge a metà circa del cortile Y, ha pianta subovale e consta di due paramenti murari: quello dell’antemurale a Sud al quale è appoggiata e quello suo proprio, ovvero una cortina curvilinea che ne costituisce la maggioranza del perimetro interno al cortile ed un breve tratto affrontato all’estremità di questo ed aderente all’antemurale, che ne delimita la soglia. Questo breve tratto murario indebolito dai crolli e dal dilavamento delle acque è stato consolidato durante lo scavo. La struttura del paramento della capanna Y è identica a quella del silos: pietre di media e piccola pezzatura connesse in modo apparentemente disordinato e sconnesso — per rapporto al resto della muratura del complesso nuragico. Al centro del pavimento si trovava un focolare centrale con sopra rovesciato un grande tegame-forno tipo Villanovaforru con presette triangolari vicino alla base, fondo arrotondato e pareti oblique. Tutta l’area interna della capanna recava tracce consistenti di incendio ed i vasi in frammenti coprivano interamente il pavimento lastricato con pietre e lastre di scisto al di sopra di un battuto nero carbonioso compatto, conservato in parte. Moltissimi frammenti sono stati raccolti in un incavo della struttura, una canaletta architravata all’angolo tra l’antemurale e l’attacco del muro della Capanna Y, che parrebbe ricollegarsi con il canale, ugualmente architravato, che partendo da sotto la nicchia adiacente alla torre H, passa sotto la struttura dell’antemurale. Il focolare è stato prelevato intero per poter consolidare e rimuovere il tegameforno. Al di sotto è stato ripristinato il battuto ed il pavimento lastricato con pietre a scisto, e con terra argillosa si è indicata l’originaria posizione del focolare. Infine è stata rialzata la soglia per impedire lo scorrimento dell’acqua dal cortile verso l’interno della capanna. (FLS) Il Cortile K1 È stato denominato “cortile K” tutto lo spazio compreso fra l’antemurale e il pentalobato, delimitato dalla torre N tangente la torre F ad Est e dalla torre L affrontata alla torre D. Come già detto 31 per il cortile Y, quest’ultimo confine è provvisorio perché, non essendo completato lo scavo, non è chiaro se originariamente esistesse una separazione fra questi due o se un unico grande spazio circondasse il pentalobato ad Ovest, Sud ed Est. È stato inoltre indicato come “K1” l’area all’incirca trapezoidale che fronteggia l’ingresso del bastione pentalobato, fra le torri D ed E, che si trova ad essere perimetrato dai muretti romani entro i quali era insediato il “Laboratorio Enologico” n. 1, del quale si veda la descrizione più oltre. Il paramento murario del pentalobato volto a Nord, nel quale è aperto l’ingresso, ha andamento all’incirca rettilineo e presenta una struttura megalitica, costituita da blocchi di basalto pieni di fessurazioni e vacùoli, di dimensioni grandi e grandissime (soprattutto quelli dello stipite sinistro), disposti a tessitura obliqua. Ugualmente una tessitura obliqua apparentemente disordinata presenta la torre D, composta da blocchi grandissimi (m. 1,50 x 1,25) e con molte pietre “a cuscino”, ovvero di sagoma semicircolare solidamente incastrata in modo “avvolgente” nella muratura, della quale è caduta tutta l’inzeppatura. Una breccia a metà altezza, rasente il paramento del pentalobato, consente di penetrare all’interno e di constatare che la copertura a tholos è intatta. La torre E presenta lo stesso tipo di struttura ma si è conservata per un’altezza inferiore, è priva di copertura, crollata da tempo, ed è servita per ricovero temporaneo dei pastori che vi hanno acceso frequenti fuochi, che hanno annerito le pietre (motivo per cui viene chiamata “la torre nera”). All’angolo della torre E e appoggiato al bastione è stato lasciato un testimone (circa m. 1,15 x 0,85). Lo scavo del piano pavimentale non è stato approfondito fino allo strato vergine, ma si è arrestato ad un livello lastricato composto da pietre anche lavorate, come i due grandi blocchi K25 e K26. Data la delimitazione obbligata dalla conservazione dei muri romani, le strutture rinvenute nello scavo del cortile K1 e qui descritte restano ancora poco comprensibili per quel che concerne la loro dimensione complessiva e funzione, soprattutto la a e la b, per di più di metà ancora coperte dalle strutture e dal livello del terreno circostante. a) Una struttura semicircolare si trova a destra nell’angolo SudEst del vano romano; ne sono state scoperte 3/4 assise di media pez32 Fig. 17 Ambiente romano sopra i crolli nel cortile K: “laboratorio enologico” n. 2. Fig. 18 Il cortile K dopo lo spostamento del “laboratorio enologico” n. 2 e dopo la campagna di scavo 1989. 33 Fig. 19 Cortile K. “Laboratorio enologico”n. 2: le vasche prima dello scavo. Fig. 20 Cortile K . “Laboratorio enologico”n. 2: le vasche dopo lo scavo. 34 zatura in opera pseudo isodoma ad andamento leggermente obliquo. L’interno di presenta solido e spesso, salvo che per una stretta fascia rasente il muro romano, dove le pietre sembrano essere state rimosse proprio per consentire l’erezione del muro romano (corda m. 5; alt. scavata m. 1,35). b) Una seconda struttura semicircolare di dimensioni inferiori si affaccia a sinistra sotto il muro romano adiacente l’angolo SudOvest del vano; ne sono state scavate 2/3 assise di pezzatura mediopiccola e con andamento regolare, leggermente obliquo (corda m. 3; alt. m. 1,35). c) Una terza struttura semicircolare a sinistra delimita l’angolo Nord-Ovest fra la cortina del pentalobato e la torre D: più che una muratura vera e propria si tratta di un’unica fila di grossi blocchi irregolari solidamente confitti nel terreno ed appoggiati l’uno all’altro. Nell’insieme, ed anche dalle risultanze dello scavo, è ipotizzabile che si tratti di un focolare utilizzato per un lungo periodo o forse in seguito utilizzato come ricovero, protetto da un incannucciato di rametti intrecciati rivestiti di argilla. (corda m. 4,10; alt. m. 0,50). d) Una struttura ovale (m. 3,20 x 1,60), del tipo della precedente c, ovvero una sola fila di grandi blocchi irregolari ben fissati l’uno all’altro ed al terreno, si trova affiancata alla cortina del pentalobato a destra dell’ingresso, orientata Est-Ovest. Ne è oscura la funzione e si può ipotizzare unicamente che si tratti di una delimitazione superficiale per un deposito di materiali e forse anche per un focolare di non lunga durata . (FLS) 2 Il bastione pentalobato Andito del pentalobato L’accesso dal cortile K1 è delimitato da due grandi blocchi disposti rispettivamente in verticale a sinistra e in orizzontale a destra, mentre un terzo blocco, ora spaccato, è incastrato davanti alla soglia. Come si è detto, lo stipite sinistro è costituito da blocchi di dimensioni ciclopiche: m. 1,62 x 1,50 x 1 di altezza, poggiante su di un altro ancora più grande. L’architrave misura m. 1,75 x 1,20 x 0,50 ed è sormontata da un finestrino di scarico. Superato l’ingresso, l’andito è costituito da un 35 breve corridoio fiancheggiato da due nicchioni. La nicchia di destra a profilo quadrangolare, presenta una stretta banchina (prof. m. 0,30) sulla parete di fondo; la nicchia di sinistra, invece, ha profilo arrotondato. Tutte e due le nicchie ed anche il passaggio centrale sono coperti ad ogiva. (lung. 4,55; largh. fra le due nicchie m. 3,90; prof. delle nicchie m. 1,90 ciascuna). L’ingresso al cortile centrale ha un architrave lungo m. 2,15, largo m. 1,20, spesso m. 0,45, sormontato da un finestrino di scarico. Tutto l’andito è stato interamente scavato fino alla roccia naturale, sulla quale poggiavano i blocchi ciclopici degli stipiti dell’accesso al cortile centrale. (FLS) Il cortile centrale (B) Il Cortile Centrale è un vasto ambiente di forma irregolarmente poligonale, i cui assi maggiori misurano m. 9,90 (Est-Ovest) x 6,80 (NordSud). Il livello di uso ultimo precedente il crollo è chiaramente identificato dalla presenza di una banchina circolare lungo tutto il lato destro, dalla presenza di un pozzo e dalle caratteristiche della sua sovrastruttura, dall’esistenza di una sistemazione gradonata a sinistra, a quel che sembra usata come focolare, e dal rinvenimento al centro, vicino la pozzo, di un grande bacile di arenaria, vuoto e solo leggermente inclinato. La banchina. Si svolge, come si è detto, lungo tutto il lato destro del cortile, a partire dalla soglia rialzata dell’ingresso al pentalobato fino allo stipite destro dell’ingresso alla torre A. È molto rozza e irregolare, costituita sia da conci parallelepipedi lavorati, di forma e dimensione diseguale e disposti senza ordine né rigido allineamento, sia da blocchi informi, come davanti all’ingresso della scala. Sul lato sinistro della Torre Centrale, fino all’angolo con la torre C, prosegue la banchina, costituita qui da una fila di blocchi di media dimensione, informi e a superficie leggermente appiattita, con solo uno o due piccoli conci lavorati inseriti al di sotto o di lato. L’insieme è molto irregolare e sconnesso. Focolare gradonato. A sinistra dell’ingresso del pentalobato, davanti alla torre D e fino davanti la nicchia non vi è una banchina, ma tre file irregolari di blocchi di medie dimensioni, l’una tangente all’altra e con 36 Fig. 21 Il cortile centrale B. Ambiente romano sopra i crolli: il “Laboratorio enologico” n 1. Fig. 22 Crollo di conci lavorati nel cortile B. 37 leggero risalto, in una sorta di disposizione a gradoni. Questa struttura è stata trovata coperta di cenere e carboni, quasi che il suo uso finale sia stato quello di un focolare. Anche qui l’aspetto generale è disordinato e sconnesso (lung. m. 4,10; larg. m. 2,20; alt. m. 0,75). Il Bacile. Al centro del cortile ed all’incirca equidistante dai due ingressi al pentalobato ed alla torre centrale si è trovato un bacile, scavato in un unico blocco di arenaria con forma leggermente ellittica a bordo sagomato — alquanto danneggiato dal crollo e dall’umidità — e con fondo, piatto all’esterno ed arrotondato all’interno, molto spesso (m. 0,70 x 0,67; alt. m. 0,65). Sul cortile aprono otto vani; in senso orario ed a partire da sinistra: l’ingresso del pentalobato (1), la torre B (2), una nicchia (3), la torre C (4), la torre centrale A (5), il corridoio del pentalobato (6), la torre E (7), la scala del pentalobato (8). Di questi, la torre D, la torre E e il corridoio del pentalobato, non sono stati esplorati. La struttura muraria delle parti componenti il cortile è varia. La torre centrale è tozza e panciuta, costituita da blocchi di media dimensione, estesi più nel senso della lunghezza e larghezza che in quello dello spessore, con tessitura ad assise regolari e a superficie esterna arrotondata. L’architrave non ha dimensioni particolarmente imponenti, mentre il finestrino di scarico è molto alto, comprendendo lo spazio di due assise. La torre C presenta una struttura di dimensioni molto più grandi ed a tessitura obliqua, visibilmente appoggiata alla torre centrale. Il muro del cortile va dalla torre C fino a sinistra dell’ingresso della torre D e poi dalla destra di questa fino alla torre centrale, con andamento continuo e curvilineo, a tessitura obliqua ciclopica e apparentemente irregolare anche perché priva di inzeppature; meno irregolare si presenta sulla parete Sud ove si apre l’ingresso. Fra la torre C e la D si apre una nicchia a copertura ogivale costituita da 4 assise, con un unico blocco orizzontale di base che forma un ripiano. La torre D, come era da aspettarsi dalle caratteristiche e dalle dimensioni di tutta la sua struttura, ha un architrave gigantesco ed affaccia sul cortile con 8/9 assise residue grandissime ma ben squadrate, quasi regolari; gli stipiti sono costituiti da 4 assise ciascuno. Procedendo sulla sinistra oltre l’ingresso si trova l’accesso a profilo 38 Fig. 23 Particolare dei conci lavorati nel cortile B. Fig. 24 Il cortile centrale B in corso di scavo. 39 ogivale, elevato per 6/7 assise, della scala che sale sulla sommità del bastione. Ancora a sinistra, l’ingresso e il breve tratto di paramento della torre E è praticamente inglobato nel muro del cortile, e così pure l’accesso al corridoio e alla torre F. Dopo lo scavo, il trasporto e la ricostruzione all’esterno del “Laboratorio Enologico” n. 1, si è proceduto allo scavo del crollo da esso sigillato nel cortile centrale e che via via risultava poco omogeneo ed assestato solo nei livelli superficiali. Al di sotto iniziava ad aumentare progressivamente la quantità di pietre lavorate, riferibili in maggioranza, in base alla meccanica del crollo, alla struttura ed alla sovrastruttura della torre centrale, fino a formare uno strato esteso a tutto il cortile, che è stato documentato con un “mosaico” fotografico prima della rimozione, e così via per cinque livelli successivi, mentre le pietre rimosse sono state numerate, quotate, schedate e computerizzate ai fini di una ricostruzione grafica della torre. Lo scavo del crollo si è arrestato al limite superiore del primo strato, quando sono stati riconosciuti manufatti in posto e strutture riferibili all’ultima fase di vita dell’ambiente. (FLS) Lo scavo L’esplorazione del cortile centrale si è svolta mediante l’apertura di quattro trincee parallele ad un primo sondaggio e svuotando il vano fino alla roccia, senza rimuovere nessuna delle strutture (banchina, “focolare gradonato”, pozzo). Si è così verificata la stratigrafia in tutto il cortile, corrispondente ad un’unica fase costruttiva, che può essere così interpretata: — La roccia naturale è stata anzitutto in antico oggetto di canalizzazioni accuratamente studiate per assicurare il drenaggio e lo scorrimento delle acque da una parte fino la pozzo e dall’altra al di sotto del bastione pentalobato e, attraverso il cortile Y ed al di sotto dell’antemurale, verso l’esterno; in direzione Est non è al momento possibile seguire il tracciato del canale al di là del pozzo, ma in futuro il completamento dell’esplorazione della parte orientale del complesso potrà accertarne l’estensione. — Il pozzo è situato in posizione eccentrica, appena a destra dell’ingresso alla torre A, e presenta una struttura disordinata che alterna conci parallelepipedi lavorati e diseguali, massi informi subcircolari e, superiormente, blocchetti più piccoli simili a quelli che costituiscono 40 Fig. 25 Il cortile centrale B completamente scavato. Fig. 26 Particolare del bacile al centro del cortile B. 41 il paramento esterno della torre; in uno dei blocchi informi è scavata una cuppella, forse atta ad accogliere il fondo arrotondato di un vaso. Le due assise terminali della canna sono costituite da 18 lastrine di scisto a disposizione embricata formanti uno stretto foro (m. 0,40) coperto da una pietra informe di media pezzatura. La ristrettezza della bocca è tale da non consentire quasi neanche il passaggio di un vaso legato ad una corda. L’esplorazione interna ha mostrato una pianta ovale (m. 2 x 1,10) con asse maggiore a cavallo del canale scavato nella roccia, e la struttura a campana poggiata sulla roccia (alt. m.1), restringentesi in una stretta canna (alt. m. 1,20, alt. totale, compreso il canale, m. 3,50 circa). In conclusione, più che di un “pozzo”, si tratta di una cisterna che ha la funzione di un sifone per il “troppo pieno”, raccogliendo l’acqua di filtraggio e di drenaggio di tutto il cortile, incluso l’apporto dell’acqua piovana battente sul terreno e scorrente sulle murature del bastione e delle torri. Questo artifizio idraulico si inquadra bene con l’eccellenza tecnica mostrata in questo campo dai costruttori nuragici, ma è la prima volta che la si riscontra in fase di pianificazione di un progetto costruttivo di questa portata. Al di sopra della roccia si sono identificati quattro strati, a partire dal basso: — Strato 4. È costituito dal terriccio e dai minuti frammenti in parte gettati sulla roccia per assestamento, in parte filtrati al di sotto del vespaio. — Strato 3. Un massiccio e funzionale vespaio di grande potenza di base di tutto il cortile, esteso al di sotto delle strutture del pentalobato, inteso a garantire elasticità, solidità e drenaggio a tutta la costruzione. — Strato 2. Un acciottolato per regolarizzare il soprastante battuto ed assicurarne il miglior drenaggio. I ciottoli di fiume necessari per compiere l’opera sono stati trasportati da oltre un chilometro di distanza superando un dislivello di diverse centinaia di metri, dal letto del Flumendosa, il che costituisce una ulteriore testimonianza di perizia tecnica e di consapevolezza costruttiva, oltre che di elevata capacità organizzativa. — Strato1. Il primo livello di vita, che nei vani interni si presenta solidamente battuto, nel cortile di distingue solo per la consistenza, per il colore e per la potenza e la quota stratigrafica; ciò non fa meraviglia se 42 Fig. 27 Cortile centrale B: Canalizzazione per la raccolta dell’acqua scavata sul piano di roccia naturale. si consideri l’enorme pressione esercitata dal crollo ed il dissesto provocato dall’accumulo e dallo scorrimento delle acque per tutti i secoli dell’abbandono. I dati tipologici e cronologici dei materiali rinvenuti — in via preliminare — sembrano inquadrare l’impianto del pentalobato, ed anche la sistemazione del cortile, alla fine del XIV secolo; l’arco di vita si estende, fino all’età del Bronzo Finale, con pochi e sporadici elementi superficiali databili all’inizio dell’età del Ferro. (FLS) 43 Fig. 28 Cortile centrale B. Particolare del canale per la raccolta dell’acqua scavato nella roccia. 44 Fig. 29 Cortile B. Crollo: pugnaletto in bronzo. Fig. 30 Cortile B. Crollo: lucerna fittile “a cuore”. 45 Fig. 31 Cortile B. Crollo: gruppo di reperti di piombo. Fig. 32 Cortile centrale B. Ciotole emisferiche nell’ingresso alla torre C. 46 La Torre C Sul lato NO del Cortile Centrale B si apre l’andito di accesso alla Torre C del bastione pentalobato, una possente struttura nella quale alle dimensioni gigantesche dei blocchi si unisce l’accuratezza dell’esecuzione. All’interno, per la complessità e completezza dei vari elementi costitutivi, conservatisi miracolosamente intatti salvo la parte superiore della falsa cupola, la struttura appare ancora più imponente. La planimetria interna è subcircolare con una nicchia quadrangolare a destra ed un’altra a sinistra e con un altro incavo subquadrangolare ancora a sinistra. Al centro e fino allo stipite della prima nicchia da sinistra si aprono dieci feritoie lungo i giganteschi blocchi martellinati posti in verticale. Di queste, le prime sei da destra sono pervie e consentono il passaggio della luce e dell’aria, le ultime quattro sono occluse mediante l’impiego accuratissimo di una serie di piccole pietre squadrate disposte l’una sull’altra e cementate con pietruzze e terra argillosa con chiazze biancastre, creando così un paramento regolarissimo. I blocchi ciclopici all’interno si restringono a forma trapezoidale e sono alternativamente prolungati da pilastri verticali puntellati sopra e sotto da pietre medie e piccole, sostenenti giganteschi architravi. Si creano così cinque ripiani di grandezza diseguale, due dei quali lastricati (uno con lastre di scisto). In questi spazi si sono rinvenuti diverse scodelline integre e strumenti e pugnali d’osso. Uno solo di questi pilastri verticali appariva pericolosamente lesionato, per cui durante lo scavo è stato rinforzato da un lato, creandogli un contrafforte laterale. Il resto della tholos, che nel punto più alto si conserva con 14 assise (alt. cons. circa m. 6), a partire dalla roccia naturale tutta di blocchi di grandi dimensioni, presenta un paramento perfettamente connesso ed uniforme, ottenuto con zeppe piccole e piccolissime confitte in tutti gli interstizi e fissate con terra argillosa, tanto che nessuna è caduta e tutte, anche le più piccole, sono tuttora saldamente incastrate. La stratigrafia della Torre C si presenta analoga a quella della torre centrale: sulla roccia naturale un vespaio di assestamento e sopra un battuto nero carbonioso compatto ed uniforme con lenti di ceneri e 47 carboni, e con una enorme quantità di vasi in frammenti ma quasi rotti sul posto, ed anche integri miniaturistici, fusaiole, denti di falcetti o coltellini di ossidiana, ossa animali, eccetera. Si ricordano grandi olle con due anse a gomito rovescio tipo Baccu Simeone, grandi olle con cordone sulla parete, eccetera. Davanti alle feritoie nella parte centrale della camera, si trova una zona lastricata delimitata da lastre di scisto poste a coltello, per una lunghezza di m. 3 ed una larghezza di m. 1,10, della quale per il momento non è definibile la funzione. È comunque evidente una diversa destinazione d’uso di questo vano: si sarebbe tentati di interpretarlo come “La Stanza delle Donne”, a motivo dell’alta concentrazione di macine, fusaiole, vasetti integri e miniaturistici, pugnali d’osso, eccetera, tutte cose presenti solo sporadicamente in altre zone dello scavo e qui concentrate; inoltre in questa torre non sono stati trovati grandi contenitori per derrate. (FLS) Le Torri D - E - F - G Le Torri D - E - F e G del bastione pentalobato non sono state ancora oggetto di scavo all’interno, ma sono state interessate all’esterno dalla rimozione dei crolli dall’interno dell’antemurale, per cui ogni informazione relativa ad esse non può essere che lacunosa, in attesa delle necessarie verifiche della futura indagine archeologica. La Torre D è posta sul lato sinistro dell’ingresso del bastione. Costruita con enormi blocchi poligonali di basalto a tessitura obliqua, è l’unica delle cinque del complesso centrale a conservare intatta la tholos interna. È possibile accedervi attraverso una breccia che si apre nella muratura a metà altezza, forse per la caduta di un grosso masso, in aderenza alla cortina. Lo scavo del cortile B ne ha messo in luce l’ingresso monumentale trapezoidale con stipiti realizzati con grandi blocchi sbozzati sovrapposti, sormontati da un gigantesco architrave monolitico, provvisto superiormente di finestrello di scarico. Il suo interno è attualmente colmo di detriti fin oltre l’altezza dell’architrave, per cui solo a scavo ultimato si potranno definire le reali dimensioni, altezza, impianto planimetrico, ecc. La Torre E, opposta alla Torre D dall’altro lato della cortina, è 48 Fig. 33 Il bastione pentalobato durante lo scavo del cortile centrale B. 49 quella in peggior stato di conservazione di tutto il bastione. La struttura muraria appare assai simile a quella della precedente, ma è stata interessata da un crollo longitudinale che ha praticamente sezionato la camera. Utilizzata a lungo da pastori della zona come ricovero, presenta le pareti interne residue annerite dai fuochi che vi sono stati accesi per tanto tempo. Conserva un deposito di crollo fino all’altezza dei finestrello di scarico dell’ingresso, anch’esso messo in luce con lo scavo del Cortile B. La Torre F, assai simile alle altre nella struttura muraria, si conserva per poco più di due terzi dell’altezza originaria. Una breccia a metà altezza, dal lato del cortile X consente l’accesso all’interno colmo di crolli. Un corridoio, di difficile percorribilità perché parzialmente ostruito, realizzato tra la cortina F-E e il mastio centrale, ne consente la comunicazione con il Cortile B. Un altro analogo, dal lato opposto, ora impraticabile a causa dei crolli, la collega con la Torre G, per cui tutte le cinque torri del pentalobato, prive di accesso esterno, erano direttamente o indirettamente in collegamento con il cortile centrale. La Torre G, parzialmente crollata, è accessibile per il momento solo dall’alto. L’interno è ostruito dai crolli, ma è possibile intravedere l’ingresso del corridoio che la collega alla Torre F. Di particolare interesse è il fatto che anch’essa all’esterno mostra alla base una fascia di enormi blocchi squadrati posti di coltello, similmente alla vicina Torre C. Al di sopra della Torre G, all’incrocio delle cortine, in aderenza quasi al paramento esterno della torre centrale, è visibile il basamento di un piccolo vano, a pianta irregolarmente circolare, la cui funzione ed uso è allo stato attuale della ricerca, ancora da chiarire. (MS) La Scala Essendo la Torre centrale A priva di scala ed essendo indispensabile un collegamento fra la sommità del bastione ed il cortile centrale, nel Nuraghe Arrubiu di Orroli è stato realizzato uno straordinario accorgimento architettonico che, al momento, non trova riscontro nell’architettura nuragica. Nello spessore della cortina fra le torri D ed E, quasi sopra l’andito 50 d’ingresso al bastione, è stata ricavata una scala elicoidale che scende fino al cortile B. Una rampa di sei gradini si diparte dall’alto in direzione della Torre D fino ad un pianerottolo, il cui pavimento è costituito dalla parte terminale dei lastroni di copertura ad ogiva della nicchia destra dell’andito d’ingresso. Da qui la scala prende la direzione opposta e prosegue lungo la parete ed i gradini diventano quasi un piano inclinato. Svolta poi bruscamente a sinistra, e, con una serie di altri sette gradini dalla pedata molto irregolare, va a sbucare con un ingresso stretto, ma altissimo, nel cortile centrale, di fronte al pozzo, quasi in aderenza all’ingresso della Torre E. La realizzazione di una struttura di questa complessità dimostra l’eccezionale perizia e disinvoltura delle maestranze nuragiche nell’uso della pietra a secco, e fornisce un’ulteriore prova della preventiva progettazione delle opere che intendeva eseguire. (MS) 3 La torre centrale (A) Andito e nicchia d’andito L’andito è un breve corridoio (lungh. m. 3,40, larg. m. 1,08) a metà circa del quale, sulla destra, si apre una nicchia (profondità m. 1,80; larg. m. 0,08). La copertura sale ad ogiva con progressivo risalto delle assise e con copertura sommitale a piattabanda. È nettamente visibile una forte torsione per la quale le due pareti dell’andito sono, soprattutto quella di sinistra, ricurve e sconnesse, priva di inzeppature e con molte fratture scomposte. L’ingresso di eleva per 8 assise, 9 con l’architrave sormontato da un finestrino di scarico. La nicchia di guardia è coperta ad ogiva ed è costituita da 8 assise, compreso l’architrave. Nella sistemazione attuale è stato lasciato in vista il lastricato originario, separato dal piano dell’andito da un gradino. Un blocco molto grande raccorda l’andito al piano del cortile ed un secondo masso, all’altra estremità, con il livello più alto della camera. (FLS) 51 Fig. 34 La torre centrale A emerge dai crolli. In alto, a destra, si distingue l’accesso del vano sospeso. 52 La Torre Centrale La struttura della Torre Centrale appare di dimensioni inferiori e di andamento più regolare di quella del bastione pentalobato e delle sue torri, che doveva però sovrastare di molto in altezza, come mostrano tutti i modellini di nuraghe a pianta complessa e come è stato confermato dallo studio delle caratteristiche dei materiali di costruzione, raggiungendo circa i 27 metri d’altezza. Attualmente ne restano 14 metri e si conserva una parte della camera del primo piano (diametro interno m. 4), che doveva essere sovrastata da un’altra camera al secondo piano, e quindi da un terrazzo. Un piccolo vano cupolato che verrà descritto più avanti, il cui accesso si apre all’esterno a circa 8 metri di altezza, fungeva, per quanto possibile constatare, allo scopo di alleggerire la massa muraria nel punto di maggiore spessore, come una sorta di grande “pignatta”, artificio conosciuto anche in altri nuraghi. Soprattutto nella camera, come nell’andito, è visibile l’esito di una forte scossa, quasi di una torsione, che ha determinato la frattura scomposta di quasi tutte le pietre e la caduta di tutto il paramento di inzeppature e di terra argillosa; nonostante ciò la falsa cupola (tholos) è integra, salvo una piccola breccia molto alta, già quasi al punto di chiusura della volta, che è alta 11 metri con 45 assise, delle quali le prime 15 costituite da blocchi di maggiori dimensioni, mentre le altre, che seguono una sorta di ripresa, sono più piccole. La pianta della camera è irregolarmente circolare. Tre nicchie coperte ad ogiva si aprono ai due lati e di fronte all’ingresso; la nicchia di sinistra ha una struttura “a gomito” addentrata nella muratura stessa della torre. Lo scavo ha mostrato con evidenza molti particolari della tecnica di costruzione: la roccia naturale è stata messa a nudo ed i tagli artificiali lavorati a martellina sono le tracce dei blocchi che sono stati cavati sul posto. La superficie è stata poi regolarizzata, colmando di dislivelli con un vespaio di pietre e stendendovi sopra uno strato di terra argillosa ben battuta. Su questo pavimento si è svolta la vita e sono stati accesi numerosi fuochi che hanno lasciato zone di terracotta, cenere e carboni. Si sono anche accumulati vasi di varie dimensioni, ma soprattutto grandi contenitori di derrate; fra la nicchia centrale e quella di destra, è 53 Fig. 35 Torre centrale A. Nicchia ad angolo n. 3. 54 Fig. 36 Torre centrale A: la Tholos. andato crescendo un grande focolare con una potente massa di cenere, che giungeva dalla parete al centro della camera. Ad un certo momento, per motivi probabilmente rituali, è stata scavata una buca proprio al centro della camera, dentro la quale è stato calato un vaso a corpo globulare con sezione piano-convessa e con quattro anse disposte a coppie sovrapposte, forse riempito di un liquido, nel quale erano state praticate delle piccole fratture perché il liquido filtrasse lentamente al suolo, quale offerta propiziatrice alle divinità. Poco tempo dopo, la camera e l’intero complesso sono stati abbandonati e sigillati dal crollo immane delle strutture superiori e dei coronamenti del bastione e delle torri. È evidente che il ritrovamento di questo vaso integro apre molte interessanti prospettive in riferimento al rituale del suo seppellimento. La costruzione della torre centrale, contemporanea a quella del bastione pentalobato, si colloca alla fine del XIV secolo ed il suo abbandono si è verificato fra la fine dell’età del Bronzo Finale e l’inizio del Ferro (circa IX secolo a.C.). L’elemento di certezza nella datazione dell’impianto del complesso e della sua prima fase di vita è dato dal fortunato rinvenimento di 55 Fig. 37 Torre centrale A prima dello scavo. Nicchie 1 e 2. un alabastron angolare del Miceneo III A2 (1400-1300) del quale si parlerà oltre, i cui frammenti sono finiti nei livelli più bassi del cortile che della camera, al di sotto del più antico battuto pavimentale. Nella sistemazione attuale si è lasciata in vista la roccia nuda di base a destra nella camera e nella nicchia, mentre a sinistra si è lasciato visibile il vespaio, coperto solo nella parte anteriore da un battuto ricostruito come quello originario. Al centro si è conservata la successione stratigrafica dei focolari e dei battuti originali. (FLS) Camera primo piano La sommità della torre centrale del nuraghe presentava, prima dell’intervento, un profilo informe e diruto con altezza massima — quota 513 s.l.m. — dalla parte Nord e spiovente verso il cortile centrale. Si è perciò intrapresa l’esplorazione della parte superiore della torre centrale, che è stata coronata da successo in quanto, rimossi pochi crolli superficiali, è emersa la struttura della camera del primo piano, con sei assise conservate dal lato Nord, disposte a formare la 56 base di una tholos di m. 4 di diametro interno, quasi completamente conservato (il diametro esterno è di m. 9). Si è misurata una distanza di m. 0,94 verso Nord dal centro della camera inferiore, per cui i due vani non si trovano in asse l’uno sull’altro ma il superiore insiste sulla massa muraria del vano inferiore, guadagnando solidità; il crollo ha dunque unicamente interessato una parte della muratura verso il cortile, a meno che — ma non è stato possibile accertarlo — in quel punto si trovasse un vano di accesso, con una finestra sospesa o una scala dal bastione o dal terrazzo. Un particolare strutturale molto interessante, che si potrà apprezzare meglio quando proseguirà l’indagine su tutto il pentalobato, è costituito da un rifascio — visibilissimo dall’alto ed in sezione sul lato Ovest — che avvolge il perimetro esterno della torre centrale poggiando sul bastione ed aumentando ed irrobustendo da quella parte il paramento murario, predisponendolo a sostenere agevolmente un vano al secondo piano, a sua volta sovrastato da un terrazzo. Dal lato Nord, infatti, residua uno spessore largamente sufficiente per un vano scala ricavato fra la curvatura della tholos e l’esterno. Ciò conferma le ipotesi di ricostruzione elaborate dal computer che indicano un’altezza totale della torre centrale fra i m. 25 ed i 30. I crolli e le intemperie hanno dilavato quello che doveva essere il pavimento originale della camera del primo piano, ma il suo livello è stato identificato con sicurezza per la presenza di uno strato giallino compatto nel quale sono assestate lastre di scisto, ora sconnesse per il peso del crollo. (FLS) Il vano sospeso Nell’angolo Nord del cortile centrale, dove il bastione si appoggia alla struttura della torre, era visibile fin dall’inizio degli scavi una porta sospesa con una luce di m. 0,90 x 0,50 architravata e sormontata da un finestrello di scarico, attraverso il quale, più che attraverso la fessura risparmiata fra i crolli, era possibile una disagevole accesso. Lo scavo ha rivelato un piccolo vano cupolato di dieci assise del diametro di m. 0,80, con una nicchia sulla destra (prof. m. 1,40, 57 Fig. 38 Torre centrale A. Focolare centrale. Fig. 39 Torre centrale A. Vaso rituale all’interno della massa di cenere. 58 largh. m. 0,90), ricavato entro la massa muraria della tholos del piano terra, a quota m. 508,80 di altezza. Il pavimento presenta un vespaio di pietre. Allo stato attuale si può dedurre che la funzione del vano sia stata soprattutto di alleggerimento strutturale e che esso sia stato in tutto o in parte obliterato dalla costruzione del bastione, salvo un occasionale utilizzo con accesso improprio e ristretto. (FLS) 4 I reperti I materiali ceramici Premesso che dieci campagne d’intervento del nuraghe Arrubiu hanno restituito una enorme massa di materiali ceramici, in parte ancora in corso di restauro e che si dovrà affrontare l’enorme mole di lavoro di schedatura e di studio degli stessi, in questa sede non si potrà che accennare ai reperti più significativi a seconda dei siti di provenienza, con particolare riferimento a quelli nei quali lo scavo è stato portato a termine. La riutilizzazione di alcune parti del monumento in età romana ha fatto sì che moltissimi materiali di questo periodo si siano infiltrati negli interstizi del crollo, fra i massi, raggiungendo talvolta quasi il piano di abbandono di alcuni ambienti aperti (cortile centrale, cortili dell’antemurale) in età nuragica. La tipologia di questi reperti è la stessa, ampiamente documentata negli ambienti di età romana, che verranno trattati in altri capitoli. Le ceramiche nuragiche presenti coprono un arco cronologico ben definito, dalla seconda metà del XIV secolo a.C. a tutto il Bronzo Finale, con sporadici elementi degli inizi dell’età del Ferro. Nel cortile X, non essendo stato raggiunto da nessuna parte il piano di calpestio, i materiali ceramici si limitano a minuti frammenti recuperati fra la massa di crollo e, al momento, non ancora integrabili in forme definite. Nel cortile Y la situazione è pressoché analoga, mentre un discorso a parte è da fare per la Capanna Y, presente al suo interno. La capanna Y ha evidenziato tracce di distruzione ad opera di un incendio. Al di sotto dei crolli successivi infatti, lo scavo ha messo in luce grandi masse di argilla cotta dal calore del fuoco, che ancora 59 Fig. 40 Nuraghe Arrubiu, Orroli. Vaso rinvenuto nel focolare. conservano impresse le impronte della copertura straminea del tetto, che ingombravano il piano di calpestio lastricato con lastre di scisto. Al centro del pavimento, rovesciato sul focolare è presente un grande tegame-forno, con piccole prese triangolari vicino alla base e col fondo arrotondato. Sul pavimento, al di sopra di un battuto carbonioso, numerosi recipienti in frammenti, fra cui olle con anse a gomito rovescio, olle a colletto sottolineato da un cordone plastico fra due file di tacche incise. Si tratta di elementi notevolmente interessanti, in quanto trovano stretto confronto con analoghi manufatti di provenienza sarda, ritrovati nell’acropoli di Lipari, databili all’Ausonio II, e costituiscono quindi un valido elemento per una datazione comparata. Dal Cortile K1, nei livelli nuragici, sono presenti olle ad orlo ingrossato, ciotole carenate e fusaiole biconiche. Dall’andito d’ingresso al bastione pentalobato provengono bassi tegami d’impasto scuro a pareti arrotondate, di tipo molto arcaico. Nel Cortile centrale B sono numerosissimi i frammenti di grossi doli per la maggior parte provvisti di grappe di riparazione in piombo, sparsi lungo tutta la massa di crollo. 60 Poco sopra il piano di abbandono, negli ultimi strati di crollo di conci squadrati, sono stati recuperati vasi a collo distinto, olle con orlo ingrossato all’esterno, vasi a bollilatte, una lucerna d’impasto inornata a forma di cuore, una pintadera fittile quasi integra, simile a quella proveniente dal Nuraghe Is Paras di Isili, e infine un frammento di vaso piriforme tipo Sardara, in aderenza alla parete della torre centrale. Nel piano pavimentale precedente il crollo, sono presenti olle emisferiche con leggero orlo, ciotole carenate, scodelle monoansate, frammenti di doli e uno splendido askos a ciambella con una protome schematizzata sul collo, sotto il beccuccio. Enorme è la massa di frammenti ceramici che provengono dai saggi a profondità del Cortile B, utilizzati nel riempimento del vespaio. Si distinguono olle ad orlo ingrossato a sezione triangolare, ciotole carenate, tegami, ecc. e due frammenti del vaso miceneo. Nella Torre C, scavata fino al livello del primo battuto di pavimento, sono completamente assenti i grandi contenitori ceramici. I recipienti sono per lo più piccoli, talvolta miniaturistici; orcioletti e scodelline con due bugnette affiancate talvolta infilate le une dentro le altre, sono state trovate all’interno delle feritoie e ai piedi dello stipite sinistro della porta d’ingresso. Numerose sono anche le fusaiole di diversa forma e dimensione, sparse un po’ dovunque per tutta la superficie dell’ambiente. Nella Torre centrale A e nell’andito di accesso, i materiali ritrovati sono fra i più interessanti di tutto lo scavo. All’interno della camera, la caratteristica più saliente è la presenza di una grandissima quantità di doli con anse ad X, provvisti talvolta di grappe di riparazione in piombo. Sono anche presenti olle con anse a gomito rovescio, scodelle con prese a linguetta, olle a colletto svasato, vasi con listello interno, ciotoline con due bugnette affiancate alla base del collo cilindrico, scodelloni ad orlo rientrante, tegami ed infine, all’interno della massa del focolare, il vaso quadriansato a doppio collo, già descritto in altre parte. Nell’andito e nella nicchia d’andito i materiali più significativi sono dati da frammenti di ceramica grigia, olle, tegami, vasi a doppio collo, tegami a settori o “antipastiere”, ecc. Ma certamente il reperto ceramico più importante è senza dubbio 61 Fig. 41 Nuraghe Arrubiu, Orroli. Frammento di pintadera l’alabastron angolare miceneo dipinto, i cui frammenti provengono per gran parte dall’andito e dalla nicchia. In conclusione, a restauro ultimato, lo studio dei reperti fittili provenienti dallo scavo del Nuraghe Arrubiu, potrà fornire preziosi elementi di comparazione tipologica, ma soprattutto nuovi e determinanti punti fermi per una revisione cronologica delle ceramiche nuragiche fra l’età del Bronzo Recente e Finale. (MS) Il ripostiglio di piombo e i materiali bronzei Nella campagna di scavo del 1987, seguita ad un anno di interruzione dei lavori, si riprese lo scavo del cortile centrale al di sotto del “Laboratorio Enologico” n. 1, scavato ed interamente rimosso, trasportato all’esterno e rimontato nel 1984. Così facendo si ebbe modo di constatare come l’impianto del vano fosse avvenuto al di sopra di molti metri di crollo delle sovrastrutture principalmente della torre centrale e anche delle altre torri e del muro del bastione affacciato sul cortile centrale; il crollo era stato appena assestato, 62 senza alcuna cura di assicurarne la compattezza e l’impermeabilità, tanto che in tutta la sua altezza, a partire dalla quota 506 fino alla base (quota 501,48), sono stati ritrovati materiali più o meno frammentari scivolati dall’alto. Un caso particolare è offerto da un gruppo di reperti, recuperati tutti fra quota 505,96 e quota 504,50, nell’angolo Nord fra la Torre Centrale A ed il muraglione del Cortile Centrale B, in quel punto tangente la sommità della torre C del pentalobato. La posizione dei materiali, quasi scivolati lungo il muro della Torre A, è tale da suggerire che si trattasse di un ripostiglio sepolto sotto il pavimento o entro la muratura del primo piano della Torre A e da qui, a seguito del crollo di questa, precipitato in basso e qui rimasto, sigillato dal successivo reimpiego dello spazio del cortile avvenuto in età romana. Il fatto non è certo isolato, e si ricordano i frammenti di lingotti oxhide caduti nel cortile della torre Nord-Est del Nuraghe Funtana di Ittireddu (Galli 1984) ed il ripostiglio trovato in situ sepolto nel pavimento del terrazzo del Nuraghe Albucciu di Arzachena. La singolarità del ripostiglio del Nuraghe Arrubiu consiste nel fatto che gli oggetti nascosti in antico e giunti fino a noi sono quasi esclusivamente di piombo. Si tratta di tre lingotti piano-convessi (“panelle”), una delle quali quasi perfettamente circolare e di metallo compatto (cm. 16,2 x 17 x 2), un’altra ugualmente di ottima fusione senza irregolarità salvo una parte, quasi tagliata obliquamente (cm. 12 x 14 x 2,7) e la terza con margini più spessi ed arrotondati e superficie meno regolare (cm. 12,3 x 13,8 x 2). Inoltre due grossi ammassi di lamine di piombo tutti contorti ed una quantità grandissima — oltre un centinaio — di grappe di piombo per riparazione di vasi, nella caratteristica forma di due elementi rettangolari connessi da due o più perni cilindrici che dovevano passare nei fori praticati ai due lati della frattura del vaso. Questa foggia si presenta qui in moltissime varianti di dimensione e di quantità di metallo, con uso senza risparmio del piombo fino ad incapsulare quasi il frammento del recipiente, nella maggioranza dei casi ancora conservato, fra due superfici irregolari di metallo: ciò spiega come per la tesaurizzazione si sia recuperato tutto il blocco, senza preoccuparsi di asportarne la parte dell’impasto ceramico. 63 Insieme ai materiali di piombo, nella stessa zona e quota di crollo, sono stati rinvenuti degli oggetti di bronzo: due frammenti di spada votiva, che suscitano molti interrogativi circa la provenienza, ovvero il luogo di destinazione originario dell’offerta, data la distanza del tempio a pozzo di Su Putzu; una piccola punta di lancia a cannone (cm. 16), un grano cilindrico costolato (cm. 1,5) identico ad un altro proveniente dal Nuraghe Albucciu di Arzachena (Ferrarese Ceruti 1967 fig. 8,5), una piccola ascia a tagli ortogonali (“maleppeggio”) di una forma conosciutissima sia da altri esemplari bronzei che da matrici di fusione (Lo Schiavo 1981 fig. 293 e 296) ed un pugnaletto a manico pieno con impugnatura semilunata con un foro al di sotto forse per la sospensione o per il fissaggio alla bandoliera o al fodero (cm. 14). Identica forma e dimensione hanno numerosi pugnali da Orani, Nurdòle (Fadda 1991 fig. 45), da Teti, Abini (Pais 1884 tav. V, 3 e 4), da Fonni, Gremanu (scavi Fadda 1991), eccetera. Un esemplare miniaturistico del tipo proviene dalla tomba a pozzetto di Poggio alle Birbe di Vetulonia (Lo Schiavo 1981b tav. LX, d; Cyegelmann 1992), databile alla prima metà del IX secolo a.C.: questo conferma l’inquadramento cronologico almeno all’età del Bronzo Finale di tutto il complesso. La forma dei lingotti è nettamente diversa da quelli rinvenuti nella Capanna delle Riunioni di S. Anastasia di Sardara (Ugas - Usai 1987), e così pure le caratteristiche del ripostiglio e la datazione proposta, in questo caso ancora entro l'età del Bronzo Finale. Le circostanze particolari di rinvenimento di questo gruppo di materiali ne ha consentito la conservazione, mentre non si sono trovati altri reperti di bronzo in tutto lo scavo, fino ad oggi, eccetto un pugnaletto con codolo a linguetta ed una piccola fibula ad arco ribassato, dalla torre centrale. (FLS) Le faune e i reperti d’osso e di pietra Soltanto quando tutto l’intervento di scavo del complesso sarà ultimato, si potrà affrontare uno studio approfondito del materiale osteologico restituito dalla ricerca, al fine di ottenere dati statistici definitivi sulla paleoeconomia, sull’allevamento e metodi di macellazione e di utilizzazione delle risorse di origine animale, da parte 64 delle genti nuragiche vissute nella regione, tra l’età del Bronzo Medio e quello Finale. Ciò nonostante, da un primo sommario esame dei materiali finora recuperati, in parte ancora in corso di restauro, si possono trarre alcune osservazioni preliminari, non già di per sé particolarmente significative. La grande quantità di resti ossei ritrovati fa pensare che la carne fosse parte integrante e non marginale nella dieta delle genti vissute nel complesso. Numerose e varie sono le specie rappresentate, sia domestiche che selvatiche. Fra gli animali selvatici sono presenti in quantità non rilevante cervi, mufloni e cinghiali, in quantità decisamente minore conigli, lepri e Prolagus Sardus. Del tutto assenti, almeno allo stato attuale dei lavori, resti di volatili. Sono stati identificati, anche se può essere messo in forse un loro uso alimentare, resti di volpi, martore e gatti selvatici. Fra le specie di origine marina è da segnalare una modesta quantità di mitili, in particolare cozze. Tutto ciò farebbe pensare che l’attività venatoria sia stata una componente marginale, se non ludica, dell’economia della regione. Fra la fauna domestica prevalgono gli ovicaprini (solo lo studio potrà determinare la percentuale delle due specie), i bovini e i suini. Un dato di sicuro interesse, che emerge a prima vista, è che per gli ovicaprini è sensibilmente alto in percentuale il numero di individui o molto giovani (agnelli e capretti) o di età molto avanzata; fra i bovini prevalgono esemplari molto adulti e vecchi; per i suini non vi è apparentemente alcuna differenza sostanziale. Tutto ciò presuppone una razionale utilizzazione delle risorse animali, anche a seconda del sesso, per cui determinate specie vengono allevate e sfruttate nel corso della loro esistenza, per fini diversi da quelli legati soltanto all’utilizzazione della carne (forza lavoro, produzione del latte e dei suoi derivati, lana, ecc.), e solo quando ciò diviene impossibile per l’età avanzata dei soggetti, questi vengono abbattuti. La presenza infine, anche se sporadica, di ossa di cani e gatti domestici, completa il quadro delle faune presenti nel monumento. Gli utensili in osso, in verità non molto numerosi, rientrano in 65 gran parte nelle tipologie già note in insediamenti similari. Punteruoli e lesine, spatole e aghi di diverse dimensioni, sono assai spesso poco elaborati, limitandosi l’intervento umano solo sulla parte dell’osso da utilizzare come strumento. Essi provengono un po’ da tutti gli ambienti finora scavati. Costituiscono una novità fra i manufatti in osso conosciuti nell’ambito della cultura materiale nuragica, due splendidi pugnali ricavati da due metapodi di bovino, rinvenuti nel corso dell’ultima campagna di scavo dell’autunno del 1991, all’interno di due feritoie della Torre C. Identici nella forma, nelle dimensioni e nell’esecuzione molto accurata, conservano, come impugnatura, parte dell’estremità pros- Fig. 42 Nuraghe Arrubiu, Orroli. Planimetria del cortile B e della camera nel mastio. 66 simale con tre fori pervi (uno naturale allargato e due artificiali) sui tre lati. L’osso è stato poi sezionato longitudinalmente verso l’estremità distale, e nella parte restante è stata accuratamente sagomata la lama, che per la forma sottile e allungata e la presenza appena marcata della scanalatura centrale naturale, ricorda le lame di alcuni pugnaletti in bronzo cosiddetti “ad elsa gammata”. Numerosissimi sono, al contrario, i reperti in pietra. Oltre al già citato bacile in arenaria del cortile centrale, in tutti gli ambienti esplorati sono state trovate macine, macinelli, pestelli, lisciatoi e coti per affilare; queste ultime talvolta infilate ad altezza d’uomo negli interstizi delle murature. Molto alto è anche il numero di semilune in ossidiana, utilizzate come denti di falcetti. Infine fra i materiali litici sono da segnalare alcune accettine levigate e un frammento di punta di freccia in ossidiana di età Neolitica, la cui presenza nel nuraghe si può giustificare o col trasporto dall’esterno di materiali di riempimento, o portati volutamente all’interno, dopo il loro ritrovamento in altre parti dell’altopiano, a causa della loro forma del tutto particolare. (MS) L’Alabastron Miceneo Il rinvenimento più importante, finora, ai fini dell’inquadramento cronologico e per una ipotesi sulla successione delle fasi di vita e sul contesto economico della comunità protostorica dell’Arrubiu è quello di un vasetto miceneo di cui si sono ritrovati due terzi circa, in frammenti. La forma è cilindrica con fondo arrotondato e lievemente convesso, spalla arrotondata distinta dalla parete da uno spigolo vivo, tre piccole anse sulla spalla; argilla color crema con ingubbiatura lucente; decorazione lineare costituita da fasci di linee sottili verticali fra le anse, linee sottili e più spesse sulla parete e linee sottili concentriche sul fondo. Altezza stimata cm. 10,1, diam. base cm. 14. Il vasetto è identificabile con una forma (Furumark FS 94) che viene definita alabastron con spalla ad angolo o alabastron angolare o, talvolta pisside o vaso a calamaio. Esemplari simili a questo da Orroli provengono dall’Agorà di Atene, da Prosymna, da Tirinto, da Pilo, 67 Fig. 43 Nuraghe Arrubiu, Orroli. Disegno dell’alabastron. 68 dall’Acaia. La cronologia è fissata per lo più nel Tardo Elladico III A2 (1400-1300 a. C.). Analisi chimiche effettuate su di un campione della ceramica hanno dato come risultato una forte probabilità di provenienza dal Peloponneso. Rispetto agli altri materiali di importazione micenea nella Sardegna, questo è per il momento il più antico, insieme con una testina d’avorio da Mitza Purdia, Decimoputzu, ed è anche quello rinvenuto più all’interno nell’Isola. Considerazioni archeologiche di grande rilievo scaturiscono dalle quote di rinvenimento dei vari frammenti in relazione alle strutture del monumento. Due frammenti provengono dal cortile ed uno dalla camera dal livello del vespaio, sigillato dal solidissimo battuto 2, mentre la maggioranza dei frammenti del vasetto sono stati trovati nell’andito, comprese le microschegge di frattura. Perciò si può concludere che l’alabastron sia giunto sul sito del nuraghe Arrubiu quando ancora la costruzione del monumento, o almeno certamente della torre centrale e del pentalobato, non era completata, per cui la frattura è avvenuta per caduta sulle pietre del lastricato dell’andito, con la maggioranza dei frammenti rimossi dal movimento della terra e delle persone entro un raggio limitato e pochi trasportati accidentalmente più lontano e finiti inglobati nelle opere di costruzione e di assestamento. Ne consegue che la costruzione della torre e del cortile centrale — e dunque del pentalobato — è avvenuta contemporaneamente. Uscendo dalla torre centrale si riattraversa il cortile B e si ritorna davanti alla parte anteriore dell’antemurale per completare la visita con le capanne e con i due “Laboratori enologici”. (FLS) 5 Le capanne Capanna 1 La capanna più grande e perfettamente visibile, ben distaccata davanti all’antemurale, risultava di particolare interesse per l’eventualità che, date le dimensioni (diam. m. 10, spess. murario m. 1,75/1,10), potesse essere stata, in origine, una Capanna delle Riunioni. 69 Fig. 44 Nuraghe Arrubiu, Orroli. La capanna 1 in corso di scavo. Fig. 45 Nuraghe Arrubiu, Orroli. La capanna 1 dopo lo scavo. 70 Va detto subito che anche qualora ciò sia stato, non sarà possibile accertarlo né ora né mai, perché in età tardo-romana ed alto-medioevale il vano è stato totalmente riutilizzato con rimozione di qualunque sistemazione e materiale nuragico. La roccia naturale affiorante e leggermente in pendenza da NordOvest a Sud-Ovest è stata regolarizzata sia con il taglio di creste e sporgenze, sia con una pavimentazione di terra argillosa e pietrisco, di cui sono rimasti pochissimi tratti. Della struttura originaria non resta che l’assise di base del muro perimetrale, qualche blocco lungo le pareti forse facente parte del bancone, ed una manciata di frammenti d’impasto fra i quali gli unici classificabili sono pertinenti ad olle con orlo triangolare ingrossato verso l’esterno, riferibili all’età del Bronzo Finale. Invece è particolarmente interessante la sistemazione successiva della sezione Nord-Ovest dell’ambiente, consistente in un bancone, sopraelevato dal pavimento (cm. 40/60) e di sagoma subtriangolare (m. 3 x 3 circa), costituito da pietre arrotondate di basalto, lastre di ardesia e da grandi embrici capovolti, parte integri e parte spezzati per adattarsi meglio alle irregolarità delle pietre; uno degli embrici presenta la superficie interamente decorata da linee a tremolo longitudinali. A fianco di questo bancone, e procedendo verso Est, sono stati ritrovati una larga area di argilla cotta, la base di una grande anfora in situ, frammenti di grandi recipienti con versatoio, del tipo già ritrovato in più esemplari negli altri ambienti romani dello scavo, frammenti di altri vasi e brocche di argilla figulina, un peso discoidale da telaio, una fusaiola, e, in un angolo rasente il perimetro interno, quasi alla base di esso, un tesoretto di 7 nummi protovandalici/vandalici databili al V secolo d.C. In tutta questa parte della capanna sono stati raccolti frammenti di tegole e coppi, in un caso ancora in connessione; una tegola presentava una decorazione impressa con un motivo semicircolare, realizzato strisciando le dita sull’argilla prima della cottura. In superficie è stato raccolto un ardiglione di fibbia, di bronzo. (FLS) Capanna 2 Questa si trova ad Ovest del complesso nuragico, quasi di fronte 71 Fig. 46 Nuraghe Arrubiu, Orroli. La capanna 2 dopo lo scavo. all’ingresso all’antemurale. Le dimensioni sono molto inferiori alla precedente (diam. m. 7,90/8, spess. 1,05/1,15) e ne rimane appena una traccia, largamente incompleta, del perimetro di base e del livellamento del pavimento di roccia naturale realizzato con piccole pietre. In questo vano non è stato rinvenuto alcun frammento né nuragico né romano. (FLS) Capanna 3 All’inizio dello scavo, la zona intermedia fra le capanne 1 e 2 si presentava come una bassa collinetta tutta costituita di piccole pietre con solo pochi grandi blocchi emergenti. Se ne è scavata circa la metà, che ha rivelato la presenza di una vano irregolarmente quadrangolare (di m. 10,50 x 10,75) con ingresso sul lato Nord di fronte all’antemurale. A sinistra dell’ingresso il muro, a doppio paramento, ha un andamento curvo quasi avesse inglobato una precedente capanna nuragica. 72 Fig. 47 Nuraghe Arrubiu, Orroli. La capanna 3 dopo lo scavo. Fig. 48 Nuraghe Arrubiu, Orroli. La capanna 3. Particolare. 73 Il lato Nord a destra dell’ingresso presenta il muro fiancheggiato all’interno e all’esterno da due banconi costituiti da alcuni mensoloni nuragici interi e spezzati e accostati in modo da sfruttare la loro sagoma squadrata. All’interno di questo lato e quasi nell’angolo dell’ambiente, alla profondità di cm. 50 dal piano di posa dei banconi, è stato ritrovato un focolare di forma subcircolare (quasi “a goccia”), costituito da un’unica lastra di pietra con i bordi arrotondati intenzionalmente (cm. 80 x 90), affondata in uno strato biancastro argilloso poggiante sulla roccia viva. All’interno del vano e quasi in asse con l'ingresso si delineano due brevi tratti di muretti trasversali, forse destinati a scompartire l’ambiente; ugualmente una delimitazione parallela al muro di fondo sembra distinguere un altro vano lungo e stretto (larg. m. 1,10). L’intera struttura finora scavata è quanto mai irregolare e sconnessa, mal conservata e scarsamente leggibile, costituita di pietre di diversissima pezzatura, da molto piccole a grandi, da informi a squadrate ovvero blocchi della sovrastruttura del nuraghe riutilizzati. Fig. 49 Nuraghe Arrubiu, Orroli. Ricostruzione dell’ambiente romano presente sopra i crolli del cortile B: laboratorio enologico n. 1. 74 Sparsi ovunque frammenti di anfore, vasi di argilla figulina, embrici e coppi e, sul mensolone usato come bancone davanti al focolare, una lucerna a canale paleocristiana. In superficie è stata rinvenuta una fibbia di bronzo lavorata “a treccia”. Nel complesso, l’esplorazione di queste tre strutture conferma l’utilizzo dell’intera area in età romana avanzata, senza continuità con l’occupazione nuragica, anzi dopo un lungo periodo di abbandono di almeno sei secoli (dal IX-VIII al II sec. a.C.). L’insediamento romano appare invece di consistente durata, orientato verso attività agricole. (FLS) 6 I “laboratori enologici” di epoca romana Il “laboratorio enologico” n. 1 Al di sopra del crollo che colmava pressoché totalmente il cortile centrale B, sotto lo strato di circa un metro di deposito recente, sono stati messi in luce, nel corso della 2ª campagna di scavo (1982), i resti di un ambiente di età romana. In tale periodo, a partire dal II secolo a.C., fu effettuata, ad opera presumibilmente delle stesse popolazioni locali romanizzate, una regolarizzazione della superficie dei crolli, al di sopra della quale fu realizzato un battuto di argilla e l’area così ottenuta fu pavimentata con lastre di scisto. L’ambiente fu ulteriormente regolarizzato da un muro di contenimento del crollo a Nord, fra la Torre centrale A e il paramento interno del cortile. Un altro muro, di cui resta solo uno sperone residuo, tangente la Torre centrale, probabilmente divideva in passato l’ambiente o serviva da supporto per una copertura straminea. L’ambiente, frequentato almeno fino al V secolo dopo Cristo, fu utilizzato per la lavorazione dei prodotti dell’agricoltura. Una grande vasca rettangolare in calcare con un grande canaleversatoio, sovrastava un’altra più piccola, parzialmente interrata, ed era probabilmente utilizzata per la pigiatura dell’uva. Accanto sono presenti un contrappeso e la base di un torchio in basalto e numerosi bacili in arenaria di varie forme e dimensioni. In 75 un angolo, fra il muro divisorio e la parete della torre è presente una lastra, irregolarmente circolare, utilizzata come base per un focolare. Anche i reperti fittili ritrovati nel corso dello scavo, anfore vinarie da trasporto, vasi con beccuccio-versatoio, bicchieri in vetro, attestano un’attività legata ai processi di vinificazione. Dopo lo scavo, dovendo proseguire l’indagine archeologica del complesso, l’intero ambiente, dopo un accurato rilievo grafico e fotografico, è stato smontato, trasportato e minuziosamente ricostruito al di fuori del complesso, lungo la recinzione moderna. (MS) Il “laboratorio enologico” n. 2 Nel Cortile K, davanti all’ingresso del bastione pentalobato, fra le Torri D ed E, al di sopra di una massa di crollo, è stato identificata, fin dal 1982, la presenza di un ambiente di età romana. A pianta irregolarmente quadrangolare, col piano pavimentale quasi all’altezza dell’architrave d’ingresso al bastione, di cui utilizza parzialmente il paramento esterno come delimitazione del lato Nord della struttura, ha, similmente all’ambiente messo in luce sopra i crolli nel cortile centrale, un pavimento realizzato con un battuto di argilla e lastre di scisto. Anche qui sono presenti arredi che attestano un’attività prettamente agricola, praticata da una comunità locale romanizzata, che tra il II secolo a.C. e il V dopo Cristo, ha trasformato alcune parti del complesso nuragico in una sorta di piccola villa rustica e le cui strutture abitative, di pianta rettangolare sono ancora visibili nell’area circostante il monumento, in attesa che l’indagine archeologica, già programmata, le metta in luce. Come nel “Laboratorio enologico” n. 1, sono presenti due vasche sovrapposte in arenaria per la pigiatura dell’uva e la raccolta del mosto, basi e contrappesi del torchio, bacili di varia forma e dimensione. Sono anche presenti piccole macine di basalto, pietre forate, un tempo probabilmente incorporate nella muratura e utilizzate per legare la cavezza di animali da lavoro. I reperti fittili ritrovati nel corso della ricerca, anfore vinarie da trasporto, vasi con beccuccio-versatoio, bicchieri in vetro, lucerne, 76 ma anche pesi da telaio, fusaiole e coti per affilare, ecc., attestano la polifunzionalità dell’ambiente, utilizzato oltre che per la vinificazione, anche per una serie di lavori collaterali all’attività agricola. Dovendo proseguire con la prospezione archeologica del monumento, anche questo ambiente, dopo un accurato rilievo grafico e fotografico, è stato smontato, trasportato e ricostruito lungo la recinzione moderna, accanto a quello precedentemente ritrovato nel cortile centrale. (MS) 7 La Tomba di Giganti A circa 800 m. Nord-Ovest del nuraghe Arrubiu si trova una piccola tomba di giganti, situata in area incolta, sulla destra della pista che conduce al nuraghe. Si conserva solo una parte della camera rettangolare costruita in blocchi di basalto appena sbozzati disposti a doppio paramento e priva di copertura, salvo un lastrone scivolato sul fondo. Lunghezza m. 6; larghezza m. 1; altezza m. 1. Il monumento non è stato oggetto di scavo ma sembra non residui un grande interro; è interessante sottolinearne la presenza perché è l’unica ed assai modesta struttura funeraria che possa essere messa in relazione con il nuraghe Arrubiu ed anche, come si è detto, una delle pochissime sull’altipiano di Pranemuru. (FLS) 77 Gli scavi: i tempi e i costi 1981, autunno - I 1982, autunno - II 1983, primavera 1983, estate - III - 1984, estate - IV 1985, autunno - V 1986 1987, estate - VI 1988, autunno 1989, estate - VII 78 Diserbo, quadrettatura generale, rilievo, sistemazione area, inizio recinzione. £. 80.000.000 - XIII Comunità Montana. Inizio scavo cortile B, cortile K, cortile X, cortile Y. Prosecuzione recinzione. £. 120.000.000 - XIII Comunità Montana. Realizzazione strada di accesso. Comune di Orroli. Prosecuzione scavo cortile X e cortile Y con silos. Inizio scavo Torre P e Torre I. Completamento recinzione; costruzione vano appoggio. (Resti finanziamento II Campagna) Prosecuzione scavo cortile X e cortile Y. Cortile B: scavo e rimozione dello strato romano e ricostruzione nell'area del recinto. £. 100.000.000 - XIII Comunità Montana. Prosecuzione scavo cortile X e cortile Y con capanna. £. 100.000.000 - XIII Comunità Montana. — Cortile K: scavo e rimozione dello strato romano e ricostruzione nell'area del recinto; costruzione delle due tettoie di protezione. Cortile B: inizio rimozione crolli. (Resti finanziamento V Campagna) £. 100.000.000 - Credito Industriale Sardo. Rilievo aereo fotogrammetrico computerizzato. £. 200.000.000 - Ministero Beni Culturali ed Ambientali. Scavo cortile K e cortile B. Inizio scavo Torre Centrale. Prosecuzione scavo cortile X. £. 100.000.000 - Credito Industriale Sardo. Realizzazione software di base per la schedatura computerizzata dei blocchi lavorati; restituzione computerizzata del monumento. (Resti finanziamento MBCA 1988) 1990 1990, autunno - VIII 1991 - estate - IX 1991, autunno -X I campagna di restauro dei materiali ceramici. £. 100.000.000 - Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali. Capanna 1 e Capanna 2. Inizio scavo Torre Centrale. £. 100.000.000 - Ministero Beni Culturali ed Ambientali. Completamento scavo Capanna 1. Scavo Capanna 3. Prosecuzione scavo Cortile Centrale e Torre Centrale. Inizio riprese cinematografiche. (Resti finanziamento VIII Campagna) Completamento scavo Cortile Centrale con ricostituzione del vespaio e drenaggio. Completamento scavo Torre Centrale, compresa camera primo piano. Scavo Torre C. Completamento riprese cinematografiche. Pannelli didattici. £. 150.000.000 - XIII Comunità Montana. 79 Bibliografia AA.VV., La tavola di Esterzili, Atti del Convegno di Studi, 13 giugno 1992, Sassari 1993. AA. VV., Progetto I Nuraghi - Ricognizione archeologica - Il territorio, Consorzio Archeosystem, Milano 1990. AA.VV., Progetto I Nuraghi - Ricognizione archeologica - I reperti, Consorzio Archeosystem, Milano 1990. E. A TZENI , Menhirs antropomorfi e statue-menhirs della Sardegna, in «Annali Museo Civico La Spezia», II, 1979-80, pp. 9-64. E. ATZENI, Statue-menhirs di Laconi (Nuoro), in «Rassegna di Archeologia», VII, 1988, pp. 524-5. E. ATZENI, Tombe megalitiche di Laconi (Nuoro), ibidem, pp. 526-27. F. BARRECA, La Civiltà Fenicio-Punica in Sardegna, Sassari 1986. B. D EMARTIS -L. M OSSA , La Giara di Gesturi, Serie “Guide e Itinerari Ambientali”, 1, Sassari 1991 M.L.FERRARESE CERUTI, La Cultura del Vaso Campaniforme - Il Primo Bronzo, in «Ichnussa», Milano 1981, pp. LV-LXXVII. F. GUIDO, Scavi nella fortificazione punica di S. Antine di Genoni, «Atti del II Congresso di Studi Fenici e Punici, Roma 1991, III, pp. 931-940. G. 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Pozzo votivo di età preromana scoperto in regione “Coni” o “Santu Millanu”, in «NotScavi», 1915, pp. 99-107. A. TARAMELLI, Serri. Nuovi scavi nel santuario nuragico presso la chiesa di Santa Maria della Vittoria sull'altopiano della Giara, in «NotScavi», 1922, pp. 296-334. A. T ARAMELLI , Nuove ricerche nel santuario di S. Vittoria di Serri, in «NotScavi», 1931, pp. 1-122. R.F.TYLECOTE-M. BALMUTH - R. MASSOLI NOVELLI, Copper and Bronze Metallurgy in Sardinia, in «Studies in Sardinian Archeology», Ann Arbor 1987, pp. 115-162. R. ZUCCA, Il santuario nuragico di S. Vittoria di Serri, Sassari 1988, serie Guide ed Itinerari, 7 Il Nuraghe Arrubiu AA.VV., Progetto I Nuraghi - Ricognizione Archeologica in Ogliastra, Barbagia, Sarcidano - Il territorio, Consorzio Archeosystem, Milano 1990. A A .V V . Progetto I Nuraghi - Ricognizione Archeologica in Ogliastra, Barbagia, Sarcidano - I reperti, Consorzio Archeosystem, Milano 1990. E. CONTU, La fortezza nuragica di Nuraghe Orrùbiu presso Orroli (Nuoro), in «StSardi», X-XI (1950-51), 1952, pp. 121-160. G. LILLIU, Nuovi templi a pozzo della Sardegna nuragica, in «St Sardi» XIVXV (1955-57), 1958, pp. 197-288. 81 Il ripostiglio di piombo e i materiali bronzei M. CYEGELMANN, Note preliminari per una periodizzazione del Villanoviano di Vetulonia, in «La presenza etrusca nella Campania Meridionale», 1992 (in stampa). M.A. FADDA, Il Museo Speleo-Archeologico di Nuoro, Sassari 1991, serie Guide e Itinerari 17. M.L. FERRARESE CERUTI, Nota preliminare alla I e II campagna di scavo nel nuraghe Albucciu (Arzachena, Sassari), in «RScPreist», XVII, 1962, pp. 161-204. M.L. FERRARESE CERUTI, Documenti Micenei nella Sardegna Meridionale, in «Ichnussa», Milano 1981, pp. 605-612. F. LO SCHIAVO, Economia e Società nell'età dei nuraghi, in «Ichnussa», Milano 1981, pp; 255-347. F. LO SCHIAVO, Osservazioni sul problema dei rapporti fra Sardegna ed Etruria in età nuragica, in «L'Etruria Mineraria», Firenze 1981b, pp. 299314. F. LO SCHIAVO, Una reinterpretazione: modellino di nave in piombo da Antigori (Sarroch, Cagliari), in «Traffici Micenei nel Mediterraneo», Taranto 1986, pp. 193-196. E. PAIS, Il ripostiglio di bronzi di Abini presso Teti, in «BAS», 1884, pp. 66181. G. UGAS-L. USAI, Nuovi scavi nel santuario nuragico di S. Anastasia di Sardara, in «La Sardegna nel Mediterraneo fra il II e il I millennio a.C.», Cagliari, 1987, pp. 167-218. L'Alabastron Miceneo F. LO SCHIAVO- L. VAGNETTI, Alabastron Miceneo dal Nuraghe Arrubiu di Orroli (Nuoro), in «Rendiconti Accad. Lincei, cl. Scienze Morali», s. IX, vol. IV, 1993, p. 121-148; ivi tutta la bibliografia, relativa anche al tema dei Micenei in Sardegna. 82 Glossario Abealzu (Cultura di) Abside Allée couverte Aniconico Antemurale (o protheichisma) Architrave Arcosolio Armatura Askoide Askos Assise (o filare) Astragalo Atrio (o vestibolo) Bancone (o bancone-sedile) Cultura dell’Età del Rame della Sardegna. Parte della chiesa cristiana, solitamente semicircolare, alle spalle dell’altare. Nell’architettura nuragica indica il paramento murario ad andamento concavo-convesso della parte terminale del muro esterno delle tombe di giganti o di altri edifici. Sinonimo di tomba a galleria. Detto di cippo non figurato. La cinta esterna delle fortificazioni che racchiude al suo interno il mastio ed il bastione. Lungo e solido elemento costruttivo disposto orizzontalmente a reggere il peso di una struttura muraria. Dicesi per il lastrone che delimita in alto gli ingressi dei nuraghi. Una serie di lastroni affiancati (copertura a piattabanda) si trova negli anditi d’ingresso di certi nuraghi, o a chiudere in alto i corridoi funerari delle tombe di giganti. Sepoltura incassata in una parete, entro una nicchia sormontata da un arco. Elemento in pietra (selce o ossidiana) atto ad essere montato sulla punta di un’asticciola di legno a formare una freccia. Vaso a forma chiusa (brocca) imitante l’askos. Vaso di forma chiusa (brocca) atto a versare un liquido da un beccuccio o da un orlo stretto. Fila orizzontale di pietre di una struttura muraria. Osso del calcagno, nell’antichità usato come dado (per il gioco), talvolta imitato in ambra a costituire elemento di collana. Il primo ingresso di qualunque edificio. Lunga «panca» costituita da vari blocchi accostati, che segue, in tutto o in parte, la circonferenza interna del vano (camera del nuraghe o capanna). È presente anche nelle esedre delle 83 Betilo Bilitico Bonnanaro (Cultura di) Brassard Calcolitico Campaniforme (Cultura) Carbonio 14 (Datazione al) Cardiale Cèntina Chiusino Ciclopica (Tecnica o architettura) 84 tombe di giganti, con la duplice funzione di sostenere gli ortostati e di costituire un punto d’appoggio per le offerte ai defunti. Pietra eretta, spesso lavorata, ritenuta essere «abitazione del dio». Il termine è di origine semitica (beth-’el), ma in Sardegna è usato sia riferito a manifestazioni delle culture prenuragiche, sia nuragiche e fenicio-puniche. Elemento formato da due pietre sovrapposte. Cultura che caratterizza l’Età del Bronzo Antico della Sardegna. Placca generalmente quadrangolare in pietra con fori pervii alle estremità, interpretata comunemente come salvapolso. È sinonimo di Età del Rame o Eneolitico. Cultura che prende il nome dalla forma ceramica più caratterizzante, il bicchiere a campana rovesciata. È diffusa nell’Europa occidentale e centrale, dalla Scozia alla Sicilia. I portatori di questo vaso diffusero le tecniche della metallurgia del rame. Sistema di datazione assoluta, basato sulla determinazione della radioattività residua del Carbonio, per il calcolo del tempo trascorso dalla morte di un organismo vivente. In archeologia, questo metodo è usato per stabilire la data di un campione organico (legno, osso, etc.) che si rinviene durante uno scavo. Ceramica diffusa nel Neolitico Antico del Mediterraneo, decorata mediante impressioni sull’argilla prima della cottura, con il peristoma di una conchiglia (soprattutto il cardium, secondo una tecnica detta, appunto, cardiale). Elemento ligneo di supporto per la costruzione di un arco. In senso traslato è usato come cornice arcuata. Lastra in pietra posta a sbarrare gli ingressi nelle sepolture, siano esse domus de janas (grotticelle funerarie) siano tombe di giganti. Dicesi della costruzione a secco con massi irregolari, disposti a file (filari) orizzontali sovrap- Circolo di tipo A Circolo di tipo B Cista (litica) Clactoniano Coppelle Cultura Dolmen Domus de janas Dromos Eneolitico Esedra Facies Falsa cupola poste. Struttura funeraria del Neolitico Recente costituita da una congerie di piccole pietre disposte in cerchio a reggere il tumulo che copriva una cista litica sepolcrale, posta al centro. Struttura circolare di età nuragica, formata da un doppio paramento murario e fornita di ingresso al quale si oppone una lastra più alta. Struttura a forma di scatola formata da lastre di pietra messe a coltello e adibita ad uso funerario. Industria di selci databili al Paleolitico inferiore e i cui manufatti consistono in schegge di selce lavorate. Cavità, più o meno emisferiche, scavate nella roccia. L’insieme delle attività umane rappresentate dai manufatti (cultura materiale) e dalle credenze (culti, riti, etc.) proprie di una società. Tomba megalitica a camera, di pianta rettangolare o poligonale la cui copertura è, nel primo caso, di lastroni affiancati e, nel secondo caso, di un grande lastrone spesso circolare posto orizzontalmente. Letteralmente «casa delle fate», indica le tombe preistoriche sarde, d’età Neolitica e Calcolitica, scavate nella roccia, spesso articolate in molti ambienti intercomunicanti. Talvolta essi sono arricchiti da motivi simbolici dipinti o scolpiti (teste bovine, elementi architettonici del tetto e delle pareti, etc.). Corridoio di accesso a camera funeraria, è usato per elemento strutturale di grotticella artificiale o sepoltura megalitica. Età del Rame, detto anche Calcolitico. Area sacra, prevalentemente semicircolare, antistante la facciata delle tombe di giganti. Aspetto particolare e distinto di una cultura. Volta a base circolare, costituita da filari di pietre in aggetto usata in Sardegna nelle camere interne dei nuraghi o nei templi a pozzo. 85 Falsa porta Feritoia Filare (o assise) Filigosa (o Cultura di) Finestrino di scarico Fittile Frontone Incinerazione Inumazione Ipogeo Lesena Lesina Lingotto Litico Megalitico Megalitismo 86 Finta porta, scolpita, incisa o dipinta sulla parete di fondo del vano maggiore nelle «domus de janas». Stretta apertura verticale delle murature che nei nuraghi si allarga verso l’interno; serviva per l’illuminazione e l’areazione di corridoi, celle, etc. Poteva anche essere utilizzata per la difesa della costruzione. Allineamento di una fila orizzontale di pietre della muratura. Cultura sarda dell’Età del Rame. Vuoto lasciato nelle murature subito sopra un architrave per evitare che il peso delle medesime gravi sul centro dell’architrave stesso, provocandone la rottura. Sinonimo di oggetto in terracotta, argilla, etc. Elemento architettonico a forma triangolare, ubicato sulla porta, a coronamento della struttura muraria. Rito funerario che implica la combustione completa dei resti umani. Rito funerario che implica deposizione del cadavere in una tomba. Architettura sotterranea, grotticella artificiale. Fascia verticale in rilievo, semipilastro. Subbia, punteruolo. Fusione di metallo in una forma specifica, utilizzata per il commercio. Spesso il suo peso è standard e ne è garantita la purezza. Nella Sardegna nuragica i lingotti di rame possono avere o forma piano-convessa, a «panella», oppure a pelle di «bue» (oxhide), del tipo così detto cretese-cipriota. Di pietra. Detto anche per l’industria su pietra (punte di freccia, di giavellotto, accette, asce, oggetti d’ornamento quali grani di collana, pendenti, bracciali, etc.). Dicesi di opera muraria fatta con grandi massi impiegati a secco, e cioè senza l’uso di malta. Sistema costruttivo di grandi pietre proprio, in Megaron Menhir Mensolone (o mensola) Microlito Modanatura Monolite Monte Claro (Cultura di) Muratura a secco Necropoli Neolitico Nuraghe a tholos Sardegna, di genti prenuragiche e nuragiche. Edificio di pianta rettangolare composto da una camera principale preceduta da un vestibolo. Al centro della sala principale si trova un focolare. In Grecia il tipo compare dai tempi del Neolitico; in Sardegna il termine è mediato dalla Grecia. Monolite di varia forma, assai spesso allungata, infitto verticalmente nel terreno ed avente funzione sacrale o funeraria. Di difficile datazione, non è da confondersi con i betili, di forma conica o troncoconica, e attribuibili ad età nuragica. I menhir in Sardegna appartengono al mondo prenuragico. Elemento di sostegno, sporgente, in pietra o in legno, che coronava la sommità della costruzione e serviva a reggere nei nuraghi e nei castelli in genere gli sporti dei terrazzi delle torri e delle cortine. Utensile di piccole dimensioni ottenuto dalla lavorazione di una lama o scheggia. Presenta, talvolta, forma geometrica (triangoli, trapezi, semilune) ed era immanicato in legno o osso. Il complesso di questi oggetti è detto industria microlitica. Listello che risalta dal piano e sottolinea cornici architettoniche. Composto da una sola pietra. Aspetto culturale dell’Eneolitico in Sardegna (2400 a.C.). Muro edificato con l’impiego di sole pietre che si reggono in virtù del loro peso. Letteralmente: «città dei morti». Ampia area destinata a sepolture. Letteralmente: Età della pietra nuova. Dicesi per quell’età che vede il sorgere dell’agricoltura e dell’allevamento del bestiame, e che utilizza la pietra levigata per la produzione di armi e strumenti. Edificio caratteristico della Sardegna costituito, nella sua forma più semplice, da una torre tron- 87 Nuraghe a corridoio (o protonuraghe) Ogiva Ortostato Ossidiana Ozieri (Cultura di) Paleolitico Paleosuolo Padiglione Panella Paramento murario Parasta Pianta a T 88 coconica con vani circolari sovrapposti e coperti da falsa volta ottenuta con l’aggetto delle pietre delle pareti. I vani sono raccordati fra loro da una scala elicoidale che corre all’interno della muratura. La forma più complessa è costituita da una serie di torri (da una a cinque) che si dispongono attorno ad una torre semplice (mastio), unite fra loro da murature rettilinee o concavo-convesse. Un antemurale formato da torri e cortine rettilinee circonda talora il complesso. Edificio simile al precedente, ma costituito prevalentemente da corridoi di varia articolazione, spesso coperti da lastroni orizzontali affiancati. Vi si trovano anche ambienti coperti a falsa volta. Arco acuto che segue il profilo delle false volte delle camere e di anditi dei nuraghi. Larga pietra o lastra, disposta verticalmente. Vetro vulcanico, di colore grigio-nero, utilizzato nell’antichità per la fabbricazione di armi e strumenti. In Sardegna ne sono assai ricche le pendici del Monte Arci (Oristano), da cui veniva commercializzata fino all’Italia centro-settentrionale, alla Corsica, alla Francia. Cultura del Neolitico Recente della Sardegna. La più antica età dell’uomo, detta anche Età della pietra scheggiata. Dicesi per quell’età nella quale l’uomo viveva di un’economia di raccolta (caccia, pesca, raccolta di tuberi e frutti, etc.). L’antico piano di calpestio. Nelle «domus de janas», vestibolo coperto con una sorta di tettoia scavata nella roccia. Sinonimo di lingotto di forma piano-convessa. Aspetto costruttivo visibile della superficie della muratura. Lesena, semipilastro. Schema planimetrico tipico di molti ipogei sardi nel quale la seconda stanza, a pianta rettangolare o trapezoidale, è disposta in senso trasversale rispetto all’asse longitudinale della tomba. Piattabanda Elemento costruttivo a forma di parallelepipedo, disposto orizzontalmente in una serie numerosa che viene utilizzata per la copertura di anditi o vani che risultano così con soffitto piano. Pietra fitta Detta anche menhir. Monolite infitto verticalmente nel terreno, con funzione sacrale o funeraria. Pozzo o Fonte sacra Edificio di età nuragica destinato al culto delle acque. Prospezione archeologica Rilevamento di emergenze e dati archeologici effettuato sul terreno senza opera di scavo. Pseudocupola Sinonimo di falsa cupola. Ripostiglio Insieme di materiale metallico (monete, bronzi, metallo prezioso, etc.) depositato sotto terra oppure occultato nelle murature. Spesso il ripostiglio è racchiuso in un recipiente di terracotta. Sa Turricula (Cultura di) Facies culturale degli inizi del Bronzo Medio della Sardegna. Selce Roccia di origine sedimentaria o metamorfica, che si rinviene sotto forma di noduli o liste. Nell’antichità costituiva materia prima per la fabbricazione di utensili o armi. Sepoltura primaria La deposizione di un cadavere in un sepolcro, subito dopo la morte del soggetto. Può essere, a seconda della posizione, una deposizione distesa, flessa (con le gambe ripiegate) o rannicchiata, supina o sul fianco. Sepoltura secondaria La deposizione delle sole ossa di un defunto, dopo la scarnificazione operata per esposizione, cremazione, etc. Specchio Parte piana di un elemento architettonico ribassato rispetto ad una cornice. Stele Cippo o lastra verticale segnacolo di tomba o di valore votivo. Nelle tombe di giganti è sottolineata da una centina. Stratigrafia Il sovrapporsi in un sito di depositi naturali o artificiali. L’accumulo di rifiuti, documentato dai resti della cultura materiale o da quelli di pasto, forma uno strato archeologico. Un temporaneo abbandono del sito in questione è docu- 89 Strato archeologico Tafone Temenos Tholos Torre Trilite Tumulo Vestibolo (o atrio) mentato da terra sterile. Gli strati più bassi sono quelli più antichi, mentre man mano che si sale ci si avvicina sempre più alle epoche attuali. L’accumulo dei rifiuti di un sito nel quale l’uomo ha soggiornato forma uno strato archeologico. Termine di origine corsa per indicare le cavità naturali del granito dovute a processi di erosione. Muro di recinzione (haràm in punico) del tempio, che delimita l’area sacra dalla zona profana. Vano o costruzione con copertura circolare a falsa volta o falsa cupola ottenuta dal restringimento progressivo del cerchio di ciascun filare di pietre. Costruzione tipica della Corsica Meridionale, a forma di torre, dell’Età del Bronzo Medio e Recente; per le caratteristiche della tecnica muraria impiegata è ritenuta affine ai nuraghi. Struttura formata da due pietre ortostatiche, spesso megalitiche, unite da una terza pietra orizzontale, posta ad architrave, poggiata sulle due precedenti. Agglomerato di terra e pietre, spesso contenuto da una fila di massi, che ricopre le sepolture megalitiche subaeree (dolmen, allées couvertes, tombe di giganti, etc.) formando una collinetta. Spazio davanti all’ingresso di una costruzione. Disegni e fotografie di: Consorzio Archeosystem: 6-10. Carlo Mura: 11. Soprintendenza Archeologica per le Province di Sassari e Nuoro: 1-5, 12-49. 90 INDICE Le ricerche e gli scavi Itinerario archeologico nel Sarcidano L’altopiano di Pranemuru in età prenuragica L’altopiano di Pranemuru in età nuragica L’altopiano di Pranemuru in età storica 1 2 3 4 p. 5 9 12 18 21 IL NURAGHE ARRUBIU L’antemurale 23 Il Cortile X Il Cortile Y La Torre H La Capanna Y Il Cortile K1 25 29 30 31 31 Il bastione pentalobato 35 Andito del pentalobato Il cortile centrale (B) Lo scavo La Torre C Le Torri D-E-F-G La Scala 35 36 40 47 48 50 La Torre Centrale (A) 51 Andito e nicchia d’andito La Torre Centrale Camera primo piano Il vano sospeso 51 53 56 57 I reperti 59 I materiali ceramici 59 91 Il ripostiglio di piombo e i materiali bronzei Le faune e i reperti d’osso e di pietra L’Alabastron Miceneo 62 64 67 5 6 7 Le capanne 69 Capanna 1 Capanna 2 Capanna 3 69 71 72 I “laboratori enologici” di epoca romana 75 Il “laboratorio enologico” n. 1 Il “laboratorio enologico” n. 2 75 76 La Tomba di Giganti 77 Gli scavi: i tempi e i costi 78 Bibliografia 80 Glossario 83 Finito di stampare nel mese di luglio 1994 presso A.G.E. Via P.R. Pirotta 20-22, Roma 92 93