1950: ‘Birth of the Cool’
... rileggendo Miles Davis
pianista
Arrigo Cappeletti
Flight Band-Città di San Donato
direttore
Biagio Coppa
Auditorium Omnicomprensivo - San Donato Milanese
22 maggio 2004 - ore 21
Il presente concerto chiude la manifestazione “Birth of the Cool: il jazz e l’America degli anni Cinquanta”, nella quale la Flight
Band–Città di San Donato, in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura, ha voluto proporre un insieme di iniziative volte ad
illustrare le diverse espressioni artistiche e culturali di quel periodo, in modo da rievocare il clima in cui vide la luce il celebre album
di Miles Davis, cui il concerto è dedicato.
Il progetto della Flight Band al fine di presentare al pubblico sandonatese alcune di queste espressioni culturali, ha approfondito, in
tre serate a Cascina Roma, i seguenti aspetti:
- Cultura, arte e società negli Stati Uniti negli anni ‘50
- La musica degli anni ’50 e la nascita del Cool
- ‘Birth of the cool’: un capitolo si storia del jazz.
Programma
Prima parte
“Birth of the Cool” - suite
Piano solo: Arrigo Cappelletti
Seconda parte
“Birth of the Cool”
1. Move (D. Best/arr. J.Lewis)
2. Jeru (G. Mulligan)
3. Moon Dreams (C. MacGregor–J. Mercer/arr. G.Mulligan)
4. Venus De Milo (G.Mulligan)
5. Budo (B. Powell – M. Davis/arr. G.Mulligan)
6. Deception (M. Davis/arr. G.Mulligan)
7. Godchild (G. Wallington/arr. G.Mulligan)
8. Boplicity (C. Henry/arr. G.Evans)
9. Rocker (G. Mulligan)
10. Israel (J. Carisi)
11. Rouge (J. Lewis)
Flight Band - Città di San Donato
Direttore: Biagio Coppa
“La nostra meta non è mai un luogo, ma un nuovo modo di vedere le cose."
Henry Miller
Birth Of The Cool: genesi di un capolavoro
Nel settembre 1948, mentre a Berlino si apriva il lungo periodo della guerra fredda con l'aspro confronto tra gli alleati occidentali e
l'Unione Sovietica, al Royal Roost di New York debuttava un insolito gruppo, guidato dal ventiduenne Miles Davis. All'ingresso del
noto ristorante di Broadway specializzato in carne di pollo un cartello avvertiva:
"Nonetto di Miles Davis.
Arrangiamenti di Gerry Mulligan, Gil Evans e John Lewis".
Nel jazz era la prima volta che il ruolo degli arrangiatori veniva messo in evidenza
(Davis arrivò a litigare col proprietario del locale, che non voleva includere altri nomi
nel conto spese...)
Il nuovo sound di quella che fu chiamata successivamente ‘Tuba Band’, un’insolita
formazione di nove elementi – sestetto di fiati più sezione ritmica -, furono accolti con
freddezza sia dal pubblico che dalla critica. Nessuno poteva allora pensare che avrebbe
impresso una svolta decisiva alla storia del jazz.
Le origini di quel singolare gruppo vanno rintracciate in una quindicina di musicisti che
a partire dalla metà del 1947 iniziò a trovarsi nel seminterrato – non lontano dalla 52ma
strada – dove alloggiava Gil Evans, esperto arrangiatore, che godeva di enorme
ammirazione per le numerose brillanti e ardite orchestrazioni di capolavori del be-bop
realizzatete per la Claude Thornhill Orchestra.
Evans era il leader carismatico del gruppo. Le loro discussioni vertevano sulle
possibilità di arricchire l'architettura del be-bop, sperimentando nuovi impasti timbrici e
conciliando scrittura e assoli. Lui stesso aveva già sperimentato nuove soluzioni,
ampliando la tessitura con l’utilizzo del basso tuba e dei corni negli arrangiamenti di "Anthropology", "Donna Lee" e "Yardbird
Suite”. Ma in seguito a contrasti di vedute, nell'estate del 1948 Evans lasciò la Thornill Orchestra.
Frattanto, sotto la catalizzante influenza di Davis, le discussioni infomali e le session estemporanee si trasformavano in qualcosa di
diverso, e le idee che fino ad allora erano poco più di vaghe possibilità teoriche, furono presto revisionate per prendere forma nella
verifica di prove regolari, che produssero poi l’ingaggio per due settimane al Royal Roost.
Come già detto, solo in pochi apprezzarono l’esibizione di quelle serate: ma tra questi c’era il produttore della Capitol Records Pete
Rugolo, che propose un contratto al gruppo, per registrare una dozzina di brani.
Così, il 21 gennaio 1949 troviamo presenti negli studi Capitol, oltre a Davis, Kai Winding al trombone, Junior Collins al corno
francese, Bill Barber alla tuba, Lee Konitz al sax contralto, Gerry Mulligan al sax baritono, Al Haig al pianoforte, Joe Shulman al
contrabbasso e Max Roach alla batteria.
Quel giorno furono registrate: "Move", composizione del batterista Denzil Best, arrangiata in maniera energica e ‘swingante’ dal
pianista John Lewis; "Jeru", uno dei capolavori della serie, composto e arrangiato da Gerry Mulligan, che forzò vistosamente lo
schema tipico della forma AABA, ridisegnandola in modo asimmetrico, con l'inserimento di battute in 3/4 e 2/4, e mantenendo pur
tuttavia un effetto sull'ascoltatore di grande piacevolezza; “Budo”, composizione del pianista bop Bud Powell, rimaneggiata da Davis
e arrangiata successivamente da Lewis e Mulligan; "Godchild" di George Wallington, orchestrato da Mulligan che continuava ad
alterare la tipica metrica del jazz (alternando frasi di durata ‘regolare’, con altre di quindici o diciassette battute, pur mantenendo
un’incredibile scorrevolezza).
Il 22 aprile 1949 vede la registrazione di "Venus De Milo", "Boplicity", "Israel" e "Rouge". Il trombonista J.J.Johnson sostituiva Kai
Winding, il cornista Sandy Siegelstein prese il posto di Collins, mentre la ritmica era del tutto rinnovata: John Lewis al pianoforte,
Nelson Boyd al contrabbasso e Kenny Clarke alla batteria. Restavano al loro posto Davis, Barber, Konitz e Mulligan.
"Boplicity" è uno dei capolavori della Tuba Band e di tutto il jazz moderno, orchestrato, come abbiamo detto, da Gil Evans. Il tema
fu scritto a quattro mani con Davis e firmato con lo pseudonimo di Cleo Henry (che era poi la madre del trombettista).
L'arrangiamento è ricco di soluzioni originali pur nella chiarezza dello svolgimento, che rispetta lo schema AABA. La grandezza del
brano sta nel raffinato connubio tra scrittura ed assoli (Mulligan, Davis, Lewis) in un percorso ricco di leggerezza e dinamismo.
"Israel", scritto e arrangiato da Johnny Carisi è un altra splendida gemma. Si tratta semplicemente di un blues in minore
caratterizzato da una sofisticata scrittura polifonica ricca di dissonanze e un'accentuata tensione ritmica.
Tra la seconda e la terza seduta trascorse quasi un anno L'iniziale apprezzamento dei dirigenti Capitol s'era molto raffreddato, anche a
causa delle scarse vendite.
Dopo un'altra esibizione pubblica, la Tuba Band tornò in studio il 9 marzo 1950, per registrare "Moon Dreams", "Deception",
"Rocker" e "Darn That Dream", quest’ultima col cantante Kenny Hagood. Gli unici mutamenti riguardarono il cornista Gunther
Schuller che sostituiva Siegelstein ed il bassista Al McKibbon che prendeva il posto di Boyd, mentre Max Roach rientrava in
organico.
Otto brani tra quelli incisi dal Nonet,
parecchi anni dopo la loro uscita sotto forma
di singoli, vennero raccolti in un 78 giri,
nella collana della Capitol "Classic In Jazz".
Tre anni dopo, nel febbraio del 1957, con
l’aggiunta di Move, Budo, e Boplicity, che
non erano state inserite nella precedente
versione, tutti gli undici brani strumentali
del Nonet vennero pubblicati in un 33 giri
Capitol (il T762, riprodotto qui ed in
copertina), dal titolo “Birth of the Cool”,
che da allora in poi li rese famosi. Sembra
che il titolo dell’album venne concepito
dallo stesso Pete Rugolo.
Il bello di queste tre sedute di registrazione sta nella loro omogeneità e nella loro orchestrazione perfetta, senza sbavature o
impennate ‘boppistiche’, e tuttavia caratterizzata da un ritmo pulsante, per niente "freddo", se per cool si intende erroneamente
qualcosa di cadaverico o privo di emozioni... Si tratta invece di musica di una forza emotiva coinvolgente, che a maggior ragione
colpisce per essere così impercettibile e apparentemente ‘tranquilla’.
Ciò che distingue davvero questo sound dal be-bop sta nel fatto che tutte le parti solistiche sono controllate, ridotte, essenziali,
mentre quelle corali sono semplicemente sintonizzate su una lucida e concisa perfezione sinfonica, o, per meglio dire, polifonica.
(Per polifonia si intende ua scrittura nel quale i caratteri specifici delle singole voci siano udibili e chiaramente distinte, anche quando
suonano all'unisono).
Tra questi dodici brani si può trovare la musica più interessante, ingegnosa, riccamente strutturata e creativa, ma insieme energica,
combinata e determinata, che sia mai stata scritta da una piccola formazione di compositori nella storia del jazz.
A distanza di oltre mezzo secolo, questa musica, nata per conciliare la flessibilità di un combo con le possibilità timbrico-armoniche
di una big band suona straordinariamente fresca e quelle innovazioni riescono ancora a sorprendere.
Se il jazz rimane qualcosa di bello e vitale è perchè la dialettica delle sue diverse anime non si è mai spenta, ed è da questa dialettica
che continuano a nascere ed evolvere vari tipi di sound. Ancora una volta, ce n'è per tutti i gusti...
Il nonetto di “Birth Of The Cool” nella seduta di registrazione del 21 gennaio 1949.
Si riconoscono, da sinistra: Junior Collins (parzialmente coperto), corno francese; John ‘Bill’ Barber, tuba; Kai Winding,
trombone; Gerry Mulligan (in primo piano), sax baritono; Miles Davis (in piedi), tromba; Lee Konitz, sax alto; Al Haig al piano.
Non sono visibili Joe Shulman al contrabbasso e il batterista Max Roach.
(@ The Frank Driggs Collection)
Le riletture
“Birth of the Cool”
secondo Arrigo Cappelletti
Re-interpretando “Birth of the cool” di Miles Davis al pianoforte solo, Arrigo Cappelletti torna alle sue radici
musicali, alle origini della sua passione per il jazz. Da anni ormai è un ‘adepto’ di Paul Bley e della libera
improvvisazione pur divertendosi qualche volta a ‘colorare’ il suo jazz con tango argentino, fado portoghese,
romanze popolari russe, musiche dai sapori forti, drammatici. Ma in origine ascoltava soprattutto i grandi
del ‘cool’, Lennie Tristano, Lee Konitz, Gerry Mulligan, John Lewis, e naturalmente il Miles Davis di
“Birth of the Cool”, ed alla loro eleganza, al loro lirismo pacato e riflessivo è sempre, nonostante tutto,
rimasto legato. Anche al blues, ma a un blues straniato, complesso e malinconico, come si usava nel periodo
‘cool’ e come usa lo stesso Paul Bley.
Detto ciò, una rilettura di “Birth of the Cool”, e da parte di un pianista come Arrigo Cappelletti, inquieto e
perennemente alla ricerca di sé, non poteva essere una operazione filologicamente rigorosa. Il classicismo
del modello, frutto di un miracoloso equilibrio fra parti scritte e improvvisate, non poteva essere riproposto
tale e quale oggi che il jazz non si preoccupa più di raggiungere un equilibrio all’interno del proprio codice e
tende semmai a gettare ponti verso altri mondi, altre musiche. Non dimentichiamo inoltre che Arrigo
Cappelletti si trovava davanti la difficoltà di riprodurre al pianoforte solo un organico orchestrale piuttosto
inusuale e complesso.
Ecco perciò la scelta di riproporre “Birth of the Cool” come una Suite aperta, avventurosa, in cui i temi,
malamente riconoscibili, se si escludono gli ultimi eseguiti, appaiono legati in un’improvvisazione
melodicamente, ritmicamente e armonicamente varia, con coesistenza di elementi blues, funky, latin, free. Si
parte da “Jeru”, di Gerry Mulligan, riproposto in chiave ‘cool’, per andare, attraverso una improvvisazione
ondeggiante fra atmosfere diverse, a volte rarefatte a volte espressioniste, a “Venus de Milo”, suonato con
ritmo ‘latin’. Poi c’è il suggestivo “Deception” di Miles Davis, di cui vengono riproposte soltanto alcune
cellule tematiche, punto di coagulo per la successiva improvvisazione in cui vengono proposte di passaggio
le cellule di altri temi. L’esecuzione in stile ‘classico’ (improvvisazione sulla struttura) di tre brani
dell’album, il parkeriano “Boplicity”, l’evansiano “Israel”, suonato in maniera delicata e danzante, e la
splendida ballad di Van Heusen “Darn That Dream”, conclude la performance, pensata, come si vede, come
un movimento a ritroso nel tempo, dal moderno (o post-moderno) alla tradizione.
Arrigo Cappelletti
Nasce a Brunate (Como) nel 1949. Dopo una laurea in Filosofia e aver insegnato alcuni anni nei Licei, si è dedicato al
jazz realizzando finora dodici dischi a suo nome, di cui almeno quattro (Samadhi, Reflections, Pianure e Terras do risco)
hanno avuto importanza nella definizione di una via italiana al jazz fatta di lirismo, introspezione e collegamenti con altri
universi musicali.
Delle diverse rassegne cui ha partecipato ricordiamo qui: Como jazz meeting (1976, 1996), Festival di Rapallo (1984),
Festival jazz in Italia al Capolinea di Milano (1986, 87, 89), VII Festival internazionale del jazz Città di Milano (1988),
Festival “I suoni del jazz”(Pavia, 1991), Rassegna jazz a Palazzo Butera (Palermo, 1991), Festival di Pori (Finlandia,
1991), Festival “Sanremo: l’altra musica” (1993), Festival Jazzitalia (Verona, 1994), Noto jazz festival (1996). Portogallo
EXPO 98, Festival Sete Sois Sete Luas (Portogallo, 1999)., Clusone jazz 2000, Festival Jazz&Wine ( Gorizia, 2000),
Festival “Le voci del jazz” ( Auditorium di Milano, 2003).
In Italia ha suonato, tra gli altri, con Gianni Cazzola, Sergio Fanni, Paolo Dalla Porta, Roberto Ottaviano, Gianni Coscia.
Con musicisti stranieri annovera collaborazioni con Barre Phillips, Lew Soloff, Mike Mossmann, Daniel Schnyder, Bill
Elgart, Olivier Manoury, Steve Swallow
Ha collaborato inoltre con la cantante Mia Martini e con l’orchestra nazionale di jazz di Giorgio Gaslini. Nel 1988 la
rivista americana “Cadence” ha inserito il suo disco Reflections tra i dieci migliori dischi del’anno.
Ultimamente ha vissuto molto in Portogallo dove, insieme con alcuni dei più importanti musicisti portoghesi di fado
come Custódio Castelo, Jorge Fernando, Alexandra, ha realizzato un suo progetto musicale di canzoni su testi di poeti
portoghesi del ‘900, Terras do risco, e in Russia (San Pietroburgo), dove collabora con la vocalist Polina Runovskaya.
Molto attivo anche come scrittore e saggista, ha pubblicato per la casa editrice ESI (Napoli) un libro sull’improvvisazione
jazzistica a metà fra il didattico e l’autobiografico: Il profumo del jazz, e, per la casa editrice Lepos (Palermo), una
biografia-studio su Paul Bley dal titolo Paul Bley, la logica del caso. Ha insegnato inoltre jazz al CDM e alla Nuova
Milano Musica, al Civico istituto Musicale “Brera” di Novara, al Conservatorio di musica di Sassari e di Como.
Attualmente tiene corsi di formazione e perfezionamento jazz presso l’Accademia Musicale Europea dell’Agimus di
Varenna e provincia di Lecco (informazioni: www.eurarte.it) ed è docente di jazz presso il Conservatorio di musica di
Reggio Calabria.
Discografia:
1982 - A. Cappelletti Trio, Residui, Coop. La Pera, Bologna
1984 - A. Cappelletti Trio, Bianco e Nero, Bull Record
1986 - A. Cappelletti – R. Ottaviano Quartet, Samadhi, Splasc(h) Records
1987 - A. Cappelletti Trio, Reflections, Splasc(h) Records
1989 - A. Cappelletti Duo & Trio, feat. B. Phillips, Open Spaces, Splasc(h) Records
1990 - A. Cappelletti New Latin ensemble, feat. G.Coscia, Pianure, Splasc(h) Records
1993 - A. Cappelletti Trio, (Hämerli, Elgart), Singolari Equilibri, Splasc(h) Records
1994 - A. Cappelletti Quartet, feat. O.Manoury, Transformations, SILEX, France
1995 - A. Cappelletti, Gioconda Cilio, Gianni Coscia, Todos los nombres del agua, Splasc(h) Records
1997 - A. Cappelletti Solo Performance, – Ananda, Splasc(h) Records
1998 - A. Cappelletti, Gioconda Cilio, Gianni Coscia, The Moon and the Cat, Mingus Live Prod.
1999- A. Cappelletti – G. Visibelli duo, Free Tango, CDPM Lyon
2001 - A. Cappelletti Terras do risco, Terras do risco, Amiata Records
2001 - A. Cappelletti, Spiritual and Christmas Songs, Eurarte
2002 - A. Cappelletti – G. Visibelli – S. Swallow, Little Poems, Splasc(h) Records
-----------------------
Birth of the Cool
secondo B.Coppa e la Flight Band
La Flight Band ripropone stasera la partitura originale di “Birth of the Cool”, lasciandone intatto lo spirito
compositivo ma, allo stesso tempo, alterandone e rimescolandone alcuni elementi linguistici e strutturali.
Il progetto parte dalla paziente trascrizione realizzata da
Alberto Scavazza per adattare la partitura originaria
all’organico della Flight Band, operando già alcune
precise scelte timbriche (come per esempio assegnare la
parte della tuba al secondo basso elettrico, o sostituendo
quella del corno con l’unione di tromba e sax tenore).
Successivamente viene portata avanti la concertazione,
che, sotto la guida di Biagio Coppa, tiene conto di
esperienze storiche come quelle delle big band
cosiddette ‘non tradizionali’ - che vanno dalla Sun-Ra
Arkestra, alla Liberation Orchestra, o dei diversi gruppi
condotti da Gil Evans o, più recentemente da Butch
Morris e Carla Bley– e di alcune moderne tecniche di
direzione d’orchestra, come quella del ‘sound painting’,
che danno modo a Coppa di concedere ampio sfogo al suo gusto per la variazione intesa nel suo senso più
ampio. In questa modalità di conduzione, infatti il band leader controlla il flusso degli eventi musicali con
precise indicazioni gestuali, lasciando ad ogni musicista la scelta del materiale da suonare. Nell’adozione di
tale tecnica di direzione assistiamo ad un vero e proprio ‘ritorno alle origini’...: sappiamo bene che la stessa
comparsa della prima scrittura musicale – pensiamo alla notazione neumatica del canto gregoriano – non fu
altro che una trasposizione sulla carta dei gesti del magister chantorum. Dopo undici secoli, il cerchio
sembra chiudersi..., naturalmente in una consapevole non univocità del significato del gesto, ma ciò in virtù
di una matura scelta artistica, che porta a privilegiare alcuni parametri (dinamica, sequenzialità, alternanza,
continuità, ecc.) rispetto ad altri più ‘tradizionali’ e scontati – almeno nella nostra cultura.
Il lavoro (re)interpretativo condotto in tal modo trova massimo spazio nei momenti di introduzione - veri e
propri ‘preludi’ - di ciascuno degli undici brani: qui la creatività e la capacità di interagire e - perché no - di
divertirsi della Flight Band propone situazioni, ritmi, groove, giochi tematici che ‘preludono’ al tema vero e
proprio che seguirà, mettendo mano a tutte le possibili soluzioni che da sempre hanno caratterizzato l’arte
della variazione e dell’elaborazione tematica nella tradizione musicale di qualsiasi cultura, non solo quella
europea...
Così, ad esempio, in apertura di “Boplicity” ci è dato di ascoltare il tema ‘retrogrado’ (letto da destra verso
sinistra, dall’ultima nota alla prima: una tecnica già in uso presso i contrappuntisti del Quattrocento),
utilizzato a sua volta come una sorta di ‘rondò’ in forma ciclica, che si estende ad ogni ripetizione.
Su un ritmo dal sapore di mambo apre invece “Venus de Milo”, mentre in “Jeru” e “Move” sono proposte
introduzioni su figurazioni squisitamente funky da parte del basso, dove tutti gli altri musicisti improvvisano
utilizzando le unit, vere e proprie cellule ritmico-melodiche, secondo la scuola M-Base di Steve Coleman.
Una situazione analoga la ascoltiamo in “Deception”, che presenta peraltro espliciti richiami alle note
esperienze rock dello stesso Miles Davis.
Ma ciò che ha reso questo progetto sicuramente interessante ed originale è stato il rapporto creatosi tra
direttore e musicisti, mediante una sorta di ‘trasmissione orale’ dell’arrangiamento, in modo da
responsabilizzare l’intero gruppo nella lenta definizione dell’opera.
Le situazioni di improvvisazione collettiva, alternate con i momenti di improvvisazione solistica e con
passaggi esecutivi di fedele adesione al testo, concorrono a proporre all’ascoltatore, a distanza di
cinquant’anni, ciò che probabilmente rappresentò all’epoca “Birth Of The Cool”: un’operazione di
‘ricapitolazione’ delle diverse anime del jazz, il quale affondava sì le radici più profonde in terra d’Africa,
ma avvalendosi della mediazione di strumenti, e quindi di tecnica, e di impianto formale oltre che linguistico,
di provenienza europea ‘colta’.
A distanza di oltre mezzo secolo, un’analoga ricapitolazione viene ritentata, cercando di tenere in conto
quanto è accaduto frattanto nel panorama della musica afroamericana.
A voi giudicare se - e quanto - sia riuscita.
Flight Band
la formazione
Alberto Caiani
tromba
Michele Luit
tromba
Angelo Contini
trombone
Nicola Riato
clarinetto
Enzo Montrasio
sax alto
Riccardo Mestroni
sax alto
Paolo Branzaglia
sax tenore
Antonio Perini
sax tenore
Alberto Scavazza
sax baritono
Rocco Cavallaro
chitarra
Roberto Novati
basso
Chicco Carrara
basso
Giuseppe Fiorito
piano
Gino Natalicchio
Biagio Coppa
batteria
direzione
"Alla fine della nostra esplorazione, arriveremo là da dove eravamo partiti.
E conosceremo quel posto per la prima volta".
T.S. Elliot (Quattro Quartetti)
Renato Di Nubila
Scarica

1950: `Birth of the Cool`