Aldo Ferrari
L’Asia centrale a vent’anni dal crollo dell’Urss
L’Asia centrale è costituita nella sua accezione più comune
dalle cinque repubbliche di Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan, Turkmenistan e Tagikistan, sorte in epoca sovietica e divenute indipendenti nel 19911. Questo immenso territorio – che
dal punto di vista storico-culturale è strettamente collegato
all’Iran, all’Afghanistan, alla Cina e alla Russia – ha avuto per
millenni un ruolo quanto mai importante nella storia come via di
transito privilegiata dei commerci tra Oriente e Occidente, lungo
la cosiddetta Via della Seta. Quasi completamente islamizzata a
partire dal X secolo e abitata prevalentemente da popolazioni
turche, ma con un’importante componente iranica, l’Asia centrale ha avuto a lungo un posto importante nel mondo musulmano,
in particolare grazie a centri come Samarcanda e Bukhara, ma
ha conosciuto un profondo declino in seguito al mutamento
delle rotte commerciali agli albori dell’era moderna. La regione è
stata in seguito al centro della rivalità geopolitica tra l’impero
russo e quello britannico nota con la suggestiva e kiplinghiana
definizione di “Grande Gioco”2. La conquista russa, conclusasi
intorno al 1885, ha avvicinato l’Asia centrale alle dinamiche
culturali ed economiche di tipo occidentale, nel contesto però di
una situazione almeno in parte definibile come coloniale3. Una
situazione che, mutatis mutandis, si è protratta anche in epoca
sovietica, quando l’Asia centrale è rimasta sostanzialmente
estranea ai processi decisionali provenienti da Mosca. In questo
periodo è da segnalare, oltre alle consuete politiche antireligiose e di collettivizzazione, anche un importante processo di ingegneria etno-territoriale che ha portato alla nascita di cinque
distinte repubbliche sulla base di confini alquanto problematici.
Caratterizzate da un livello di sviluppo molto limitato, pregiudi-
No.127 – JULY 2012
Abstract
After the fall of USSR Central Asia
has became one of the most relevant
areas of international scene thanks
to huge energetic resources, strategic position among Russia, China,
and India, and contiguity to sensible
countries such as Iran and Afghanistan. Nonetheless, the difficult building of an effective statehood by local
republics, more or less affected by a
legacy of backwardness and misrule,
happens in a situation of strong international competition for the control
of energetic resources. Stereotypes
as “New Silk Road”, “Geopolitical
Pivot of History”, or “New Great
Game” do not really help to understand a region characterised by both
a strong fragmentation and a proliferation of external agencies. As a
matter of fact, Central Asia is a crucial context of international relations,
whose development needs a foreseeing policy on the part of the local
governments and a balanced approach of all the global actors involved.
Aldo Ferrari, responsabile dei Programmi Russia e Caucaso-Asia
Centrale
dell’ISPI
e
docente
all’Università Ca’ Foscari.
1
Per un profilo generale della regione si veda P. CHUVIN - R. LETOLLE - S.
PEYROUSE, Histoire de l’Asie Centrale, Paris, Fayard, 2008.
2
Cfr. P. HOPKIRK, Il Grande Gioco, trad. it. Milano, Adelphi, 2004 e K.
MEYER, La polvere dell’impero. Il grande gioco in Asia Centrale, trad. it. Milano, Corbaccio, 2004.
3
Cfr. A. KAPPELER, La Russia. Storia di un impero multietnico, ed. it. a cura
di A. FERRARI, Roma, Edizioni Lavoro, 2006, pp. 190-191.
(*) The opinions expressed herein
are strictly personal and do not
necessarily reflect the position of
ISPI.
2
ISPI - Analysis
cato tra l’altro da acuti problemi ambientali, le repubbliche dell’Asia centrale conobbero negli ultimi
anni sovietici un notevole incremento demografico, facendo anche prevedere ad alcuni studiosi che
tale processo avrebbe provocato la fine dell’Urss4. Le cose, come sappiamo, non andarono così,
anzi le repubbliche centroasiatiche furono per così dire costrette a subire un’indipendenza che non
avevano richiesto e alla quale non erano preparate5.
Autoritarismo politico e risorse energetiche
Nonostante queste difficoltà, l’evoluzione politica dell’Asia centrale nei primi due decenni postsovietici può apparire relativamente tranquilla e stabile, soprattutto rispetto alle violente convulsioni
del Caucaso. Nella regione non si sono avuti conflitti separatisti e solo il Tagikistan (che confina
con Iran e Afghanistan) ha conosciuto una vera guerra civile, che vide fronteggiarsi tra il 1992 e il
1997 due schieramenti, uno “islamista” e uno “laico”, con la vittoria di quest’ultimo, appoggiato dalla Russia6.
Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, in tutti i paesi della regione le posizioni dominanti sono
sostanzialmente controllate dall’antica classe dirigente comunista, riciclatasi nel nuovo contesto
politico con modalità di governo di tipo clanico e autoritario7. In tre delle repubbliche centroasiatiche
il potere è rimasto nelle mani delle stesse persone che lo detenevano in epoca sovietica come
segretari del partito comunista locale: Nursultan Nazarbaev nel Kazakistan, Islom Karimov
nell’Uzbekistan, Saparmurat Niyazov nel Turkmenistan (sino alla morte, nel 2006). Un’eccezione
era costituita da Askar Akayev, presidente del Kirghizistan sino al 2005, che proveniva dall’ambito
4
Cfr. H. CARRÈRE D’ENCAUSSE, Esplosione di un impero? La rivolta delle nazionalità in U.R.S.S., trad. it. Roma, E/O,
1988.
5
Tra l’immensa bibliografia sulla regione segnalo in particolare O. ROY, La Nouvelle Asie Centrale ou la fabrication des
nations, Paris, Le Seuil, 1997; P. JONES LUONG (ed.), The Transformation of Central Asia. States and Societies from
Soviet Rule to Independence, Ithaca, Cornell University Press, 2004; E. KAVALSKI (ed.), The New Central Asia. The
Regional Impact of International Actors, Singapore, World Scientific Publishing, 2010.
6
Cfr. S. AKINER, Tajikistian: Disintegration or Reconciliation, London, The Royal Institute of International Affairs, 2001.
7
Su questo tema è di particolare interesse lo studio di S.F. STARR, Clans, Authoritarian Rulers, and Parliaments in
Central Asia, Silk Road Paper, June 2006, www.silkroadstudies.org/new/docs/Silkroadpapers/0605Starr_Clans.pdf.
ISPI - Analysis
3
accademico, mentre Imomali Rakhmonov, innalzato alla presidenza del Tagikistan dopo la guerra
civile, apparteneva comunque al vertice politico del paese. Queste figure di presidenti-autocrati, a
volte collettivamente chiamati “nuovi khan”8, sono riuscite in effetti a mantenere nei loro paesi una
relativa stabilità che però, con l’eccezione principale del Kazakistan, non ha determinato né un
sensibile miglioramento del livello di vita delle popolazioni né una reale democratizzazione. La regione costituisce in effetti un esempio particolarmente significativo dei limiti del paradigma della
transizione, secondo il quale in un lasso di tempo indeterminato i paesi ex sovietici sarebbero entrati in una dimensione politica ed economica di tipo democratico occidentale. In verità tutte le repubbliche centroasiatiche hanno conosciuto un percorso non riconducibile a tale paradigma, ma
accostabile piuttosto – come avviene anche per l’Azerbaigian nel Caucaso – alle dinamiche di altri
paesi musulmani quali il Pakistan e la Siria9.
Soprattutto il Turkmenistan di Niyazov e l’Uzbekistan di Karimov si sono effettivamente dimostrati
particolarmente illiberali, con la tendenza a definire “islamista” ogni forma di opposizione politica e
a reprimerla duramente in quanto tale10. La stabilità dei regimi presidenziali della regione ha però
iniziato a incrinarsi nella primavera del 2005, che vide la caduta di Akayev in Kirghizistan e i gravi
disordini che colpirono la città uzbeka di Andijan, dove la repressione governativa fu molto dura.
Peraltro, il cambiamento politico avvenuto in Kirghizistan – da alcuni inserito nel fenomeno delle
“rivoluzioni colorate” iniziato in Ucraina e Georgia – ha portato al potere un presidente debole come
Kurmanbek Bakiev e non ha affatto stabilizzato il paese. Nella primavera del 2010, infatti, violenti
scontri hanno determinato un nuovo, brusco, mutamento politico, con la cacciata di Bakiev e
l’elezione – dopo un interim di Roza Otunbayeva – di Almazbek Atambayev nelle elezioni del novembre 2011. In Uzbekistan, invece, il potere di Karimov si è dimostrato sinora estremamente solido e ha continuato a non concedere praticamente nulla alle opposizioni. In Turkmenistan la morte
di Niyazov nel 2006 ha portato limitati cambiamenti politici sotto il nuovo presidente Gurbanguly
Berdymukhammedov, rivolti soprattutto a cancellare le stravaganze megalomani del predecessore
e ad avviare politiche più concrete, in primo luogo nella sfera economica11.
Dal punto di vista politico è pertanto possibile distinguere nell’area centroasiatica tra alcuni paesi
retti da regimi particolarmente repressivi (Uzbekistan e Turkmenistan) e altri relativamente più liberali (Kirghizistan, Kazakistan e Tagikistan). Si tratta tuttavia di una distinzione forse meno significativa per una corretta comprensione delle dinamiche di questa regione della differenziazione tra i
paesi dotati di importanti risorse energetiche (Kazakistan e Turkmenistan) e quelli che ne sono privi
(Tagikistan e Kirghizistan), con l’Uzbekistan che si colloca in una posizione intermedia.
Il Kazakistan è il secondo produttore di petrolio nell’area post-sovietica dopo la Federazione Russa
e anche la sua produzione di gas naturale è notevole. Questa ricchezza, oltre alla presenza – anche se in forte riduzione rispetto al periodo sovietico – di una consistente popolazione russa o russofona e a una politica estera equilibrata, ha consentito al paese di conseguire tassi notevoli di
crescita economica e anche di affermazione politica, culminata con la presidenza Osce nel 2010.
Tuttavia, dopo l’ennesima elezione plebiscitaria di Nazarbaev nel 2011, il Kazakistan è stato scosso inizialmente da alcuni attentati terroristici di tendenza islamista, quindi dagli scioperi delle maestranze petrolifere e dai violenti scontri del 16-17 dicembre 2011 nella città di Zhanaozen. Questi
8
Cfr. G.P. CAPITANI, I nuovi khan: popoli e stati nell'Asia centrale desovietizzata, Milano, BEM, 1996.
Si veda al riguardo lo studio F. VIELMINI, Continuità post-sovietica, autoritarismo politico e diritti umani in Asia Centrale, ISPI Working Paper n. 19, settembre 2009.
10
Su queste dinamiche e per un vasto quadro del ruolo dell’islam in Asia centrale si veda lo studio di P. SARTORI,
L’islam in Asia Centrale, tra recupero della tradizione e movimenti radicali: il caso uzbeko, ISPI Working Paper n. 20,
settembre 2007.
11
Cfr. F. BORDONARO, Il nuovo corso del Turkmenistan, ISPI Analysis n. 5, marzo e C. FRAPPI, Le strategie di politica
energetica del Turkmenistan: un “gigante energetico” nel cuore dell’Asia centrale, ISPI Analysis n. 89, dicembre 2011.
9
4
ISPI - Analysis
episodi costituiscono sicuramente segnali pericolosi nell’evoluzione di un paese che ha comunque
notevoli prospettive dinanzi a sé12.
L’Uzbekistan ha un posto molto particolare nella regione13. Al suo interno si trovano, infatti, i maggiori centri culturali dell’Asia centrale e tanto dal punto di vista demografico quanto da quello militare Tashkent può legittimamente aspirare a un ruolo di perno regionale. Il paese, inoltre, è uno dei
primi 15 produttori al mondo di gas naturale e uno dei maggiori esportatori di cotone. La sua economia rimane comunque debole e disarmonica, mentre nella sfera politica continua a essere caratterizzato da una situazione stabile, ma particolarmente repressiva. Nel complesso, dunque, la sua
ambizione all’egemonia regionale non sembra in grado di competere con le assai maggiori potenzialità di crescita del Kazakistan.
Nonostante le sue notevoli ricchezze energetiche, in particolare per quel che riguarda il gas, il Turkmenistan è ancora lontano da accettabili livelli di sviluppo economico e soprattutto politico-sociale,
come confermano anche le modalità della recente rielezione a presidente di Berdymukhammedov
con il 97% dei voti e in assenza di una vera opposizione14.
Il Kirghizistan si presenta invece come un paese relativamente pluralista sin dai primi anni ’90,
caratterizzato però da tutta una serie di realtà negative: persistente fragilità economica, instabilità
politica (due “rivoluzioni” in 5 anni, 2005 e 2010), forte e crescente spaccatura tra nord e sud del
paese, contrasti con la consistente minoranza uzbeka. Il futuro di questa repubblica continua in
effetti ad apparire quanto mai incerto alla luce della sua debolezza strutturale e delle limitate risorse di cui dispone15.
Una situazione simile presenta il Tagikistan, la più povera fra tutte le repubbliche dell’Asia centrale
post-sovietica. Lacerato dalla guerra civile dei primi anni post-sovietici e privo di risorse importanti
(a parte quelle idriche), questo paese rimane sostanzialmente nell’orbita politica e militare della
Russia, dove vive una consistente immigrazione tagica, che con le sue rimesse contribuisce in
misura notevole alla sopravvivenza della popolazione. La vicinanza geografica e culturale con l’Iran
non fornisce prospettive positive a un paese in grave e strutturale sofferenza16.
La diseguale distribuzione delle risorse nei diversi paesi dell’area è inoltre aggravata dalla limitata
collaborazione regionale. Le repubbliche dell’Asia centrale sono infatti assai poco disposte a cedere anche porzioni minime della propria sovranità a organizzazioni regionali o super-regionali. Una
situazione che, come è stato osservato, deriva proprio dalla debolezza della statualità di questi
paesi, che pure avrebbero bisogno di collaborare strettamente per affrontare una serie di questioni
di carattere politico, economico e ambientale la cui soluzione è fondamentale per sfruttare appieno
la favorevole posizione strategica della regione17.
12
Cfr. A. RAHMETOV, Kazakhstan’s Presidential Elections 2011: Nazarbayev Postpones Succession, ISPI Analysis n.
51, maggio 2011 e idem, Cracks in Social Contract: Instability in Kazakhstan, Its Sources and Alternative Risks, ISPI
Policy Brief n. 217, marzo 2012.
13
Cfr. N.J. MELVIN, Uzbekistan: Transition to Authoritarianism on the Silk Road, Amsterdam, Harwood Academic Publishers, 2000 e F. BORDONARO, Uzbekistan: Tashkent ambisce al ruolo di perno dell’Asia Centrale, ISPI Policy Brief n.
121, marzo 2009.
14
Su questo paese si veda in particolare la recente monografia di S. PEYROUSE, Turkmenistan: Strategies of Power,
Dilemmas of Development, Armonk-New York, M.E. Sharpe, 2012.
15
Cfr. M. FUMAGALLI, La crisi in Kirghizistan e le conseguenze per la stabilità regionale, Osservatorio di Politica internazionale, Approfondimento n. 26, ISPI, novembre 2010.
16
Cfr. A. FORTI, Il Tajikistan: un’opzione iraniana?, ISPI Policy Brief n. 93, luglio 2008.
17
Cfr. M. FUMAGALLI, La dimensione strategica dell’Asia centrale tra Russia, Cina e USA, ISPI Working Paper n. 18,
settembre 2007.
ISPI - Analysis
5
Lo scenario internazionale
L’evoluzione interna di questi paesi avviene in un contesto che è profondamente mutato con la
dissoluzione dell’Urss. Dopo secoli di marginalizzazione politica ed economica, l’Asia centrale costituisce oggi il settore fondamentale del cosiddetto “Grande Medio Oriente” (o “Grande Asia Centrale”), l’enorme spazio, fondamentale su scala globale per le sue ricchezze energetiche, che va
dalle coste orientali del Mar Nero alle frontiere della Cina18.
La regione, inoltre, è contigua a paesi quanto mai “delicati” quali l’Iran e l’Afghanistan. Questa nuova situazione ha fortemente accresciuto l’importanza dell’Asia centrale nello scenario politico internazionale, facendola divenire almeno in parte quell’Heartland, regione-perno degli equilibri mondiali, che sin dalle teorizzazioni di Mackinder ai primi del Novecento i geopolitici hanno visto in essa19.
Venuta meno l’egemonia di Mosca, la regione si è trovata in una complessa situazione strategica
che vede intersecarsi numerosi attori locali e non. Tra i primi, in questi due decenni, il ruolo della
Turchia e dell’Iran è stato più limitato di quanto si pensasse subito dopo la fine dell’Urss20. Del tutto
diversa è invece la posizione della Russia che, dopo un sostanziale abbandono della regione nei
primi anni ’90 dello scorso secolo, è riuscita a riconquistare almeno una parte dell’antica influenza.
Soprattutto a partire dagli anni 1999-2000 – in coincidenza con l’avvento al potere di Putin, ma
anche della migliorata situazione economica – la Russia ha infatti consolidato notevolmente le sue
posizioni in Asia centrale avvalendosi di tutta una serie di elementi favorevoli: il comune
background storico e culturale, la presenza di una numerosa – anche se in rapida diminuzione –
comunità russa e russofona, la forte interdipendenza in termini di sicurezza ed economia (evidente
soprattutto nel rapporto con il Kazakistan), il controllo delle risorse energetiche e delle infrastrutture
attraverso cui queste devono essere trasportate sui mercati globali, il sostegno militare ed economico ai paesi più deboli dell’area, la sostanziale indifferenza ai temi dei diritti umani e della democratizzazione, che non pone problemi nei rapporti con i governi locali.
Alla luce dell’inadeguatezza strutturale della Csi, Mosca ha agito nella regione in primo luogo attraverso le strutture del Trattato di Sicurezza Collettiva (Tsc) e della Comunità economica eurasiatica
(Ceea o EvrAzEs nell’acronimo russo), costituita a fine 200021, quindi con la recente Unione doganale con Bielorussia e Kazakistan. È invece da vedere se e come il rieletto presidente Putin riuscirà a coinvolgere la regione nell’ambizioso progetto di un’Unione Eurasiatica lanciato nell’ottobre
dello scorso anno22.
In ogni caso, in Asia centrale come nel Caucaso Mosca è riuscita a contrastare efficacemente
quella “transizione egemonica” a favore degli Stati Uniti che alcuni anni fa appariva ineluttabile.
Dopo la fine dell’Urss, la leadership statunitense ha cercato in primo luogo di evitare «… il riemer-
18
Cfr. R.M. DJALALI, Th. KELLNER, Moyen-Orient, Caucase et Asie Centrale: des concepts géopolitiques à construire
et à reconstruire?, in «Central Asian Survey», 2000, n. 1, pp. 117-140.
19
Su questo aspetto si vedano gli studi di G. SLONE, Sir Halford J. Mackinder: The Heartland theory then and now, in
«Journal of Strategic Studies», vol. 22, n. 2-3, 1999, pp 15-38 e E. ISMAILOV - V. PAPAVA, Rethinking Central Eurasia,
Central Asia-Caucasus Institute & Silk Road Studies Program – Central Asia-Caucasus Institute & Silk Road Studies
Program, June 2010.
20
Sul ruolo della Turchia nel Caucaso si veda B. ARAS, Turkish Policy toward Central Asia, SETA Policy Brief, april
2008, n. 12 e B.R. SASLEY, Turkey in Central Asia: Turkish Identity as Enabler or Impediment, in E. KAVALSKI (ed.), op.
cit., pp. 191-214. Per quel che riguarda l’Iran si veda invece P. PAHLAVI - A. Hojati, Iran and Central Asia: the Smart
Politics of Prudent Pragmatism, in E. KAVALSKI (ed.), op. cit., pp. 215-239.
21
Cfr. F. VIELMINI, La Russia in Asia centrale, ISPI Policy Brief n. 71, gennaio 2008 e M. LARUELLE, Russia and Central Asia, in E. KAVALSKI (ed.), op. cit., pp. 149-176.
22
Per uno sguardo locale di questo progetto si veda l’articolo di Ch. ENSENGUL, Does the Eurasian Union have a future
http://www.asiapathways-adbi.org/2012/03/does-the-eurasian-union-have-a-future/.
6
ISPI - Analysis
gere di un impero euroasiatico che potrebbe ostacolare l’obiettivo geostrategico americano»23,
impostando in questi due decenni una politica di penetrazione politica e militare oltre che economica. Un tentativo intensificatosi dopo l’11 settembre 2001 ma che, dopo alcuni iniziali successi,
sembra invece essere in parte fallito24. In Asia centrale come nel Caucaso gli Stati Uniti hanno
perso terreno, nella sfera politica come in quella militare. In effetti, l’espulsione delle forze statunitensi dall’Uzbekistan nel 2005, la precaria presenza in Kirghizistan, il rafforzamento della presenza
politica ed economica di Mosca nella regione, nonché l’affermazione dell’Organizzazione per la
Cooperazione di Shanghai (Sco) come importante attore regionale sembrano dare ragione a chi
sosteneva la sostanziale alterità di Washington alla regione25.
Per alcuni anni, in effetti, la maggior parte degli analisti ha visto proprio nella competizione politica,
strategica ed economica – non cruenta, ma reale – tra Stati Uniti e Russia nei paesi post-sovietici
dell’Asia centrale il dato saliente delle dinamiche dell’intera regione. Per alcuni aspetti tale competizione richiama certamente il great game ottocentesco, ma la suggestione di questo parallelo storico non deve condizionare oltre misura l’analisi della situazione odierna, che è determinata da
fattori in larga misura differenti. In particolare, occorre tener presente la pluralità di agenti statuali
locali, super-statuali (Nato, Ue, Osce, Guaam) e sub-statuali (multinazionali, Ong, lobbies di vario
tipo, diaspore, organizzazioni criminali, gruppi terroristici e così via) che interagiscono a livelli diversi nella regione26.
Nonostante la ripresa della collaborazione di Washington con Uzbekistan, Tagikistan, Turkmenistan e Kirghizistan nel quadro del Northern Distribution Network (Ndt)27, la fase di competizione
egemonica tra Russia e Stati Uniti sembra ormai superata soprattutto per la rapida crescita della
presenza cinese. Da un punto di vista strategico la regione appare al momento inserita in un sistema orientato principalmente verso la Russia e la Cina, che rispetto agli Stati Uniti sono più “vicini”, da un punto di vista non solo geografico, ma anche politico e culturale. Mosca e Pechino, tra
l’altro, sembrano almeno per il momento capaci di collaborare nella regione, soprattutto nell’ambito
della già ricordata Organizzazione per la Sicurezza di Shangai (Sco), che riunisce Russia, Cina e i
paesi centroasiatici, eccetto il Turkmenistan28. Questa struttura è stata costituita nel giugno 2001
come un’organizzazione internazionale il cui obiettivo primario è quello della lotta ai cosiddetti “tre
mali”, vale a dire il terrorismo, il separatismo e l’estremismo religioso29.
Per la Sco gli obiettivi primari sono lo sviluppo e la stabilità, mentre la democratizzazione non è
una priorità come per gli stati occidentali e viene persino percepita come una potenziale minaccia
in un contesto che non ha tradizioni storico-politiche in tale senso. Inoltre è interesse comune di
questi paesi – in particolare di Cina e Russia – il contenimento della presenza e dell’influenza degli
Stati Uniti e della Nato nella regione. I membri della Sco sono concordi su questo punto, anche se
23
Z. BRZEZINSKI, La grande scacchiera, trad. it. Milano, Longanesi, 1998, p. 121. Per uno sguardo più generale si veda
M. FUMAGALLI, The United States and Central Asia, in E. KAVALSKI (ed.), op. cit., pp. 177-190.
24
Cfr. S. BLANK, America strikes back? Geopolitical rivalry in Central Asia and Caucasus, in «Central Asia – Caucasus
Analyst», 17 May 2006.
25
Cfr. M. FUMAGALLI, La dimensione strategica dell’Asia centrale…, cit.
26
Cfr. M. EDWARDS, The New Great Game and the new great gamers: Disciples of Kipling and Mackinder, in «Central
Asian Survey», 2003, n. 1, pp. 83-102.
27
Si tratta di un corridoio strategico che dal 2009 collega i porti del Mar Nero e del Baltico all’Afghanistan attraverso
Russia, Caucaso e Asia centrale come via di rifornimento alternativa a quella pakistana. A questo riguardo si veda A.C.
KUCHINS - T.M. SANDERSON, The Northern Distribution Network and Afghanistan Geopolitical Challenges and Opportunities, Washington D.C., Center for Strategic and International Studies, January 2010.
28
Per una valutazione di questa organizzazione e dei rapporti sino-russi si veda lo studio di A. BERKOVSKY - S. GIUSTI
- T. PENKOVA, Le relazioni sino-russe e il caso dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, Osservatorio di
politica internazionale, Approfondimento n. 14, maggio 2010.
29
Si veda al riguardo l’art. 1 della Shanghai Convention on Combating Terrorism, Separatism and Extremism,
http://www.sectsco.org/EN/show.asp?id=68.
ISPI - Analysis
7
ritengono necessaria la collaborazione con Washington nella lotta ai gruppi terroristici regionali e al
traffico di stupefacenti e di armi. Non sempre, peraltro, i paesi della Sco sono in perfetto accordo.
Per esempio, va segnalata la reazione negativa all’aggressività mostrata da Mosca in occasione
della guerra con la Georgia nell’estate del 2008, che ha preoccupato le autorità centroasiatiche e la
stessa Cina, le quali si sono ben guardate dal riconoscere – nonostante le pressioni russe –
l’indipendenza di Abkhazia e Ossetia meridionale, mantenendo la tradizionale opposizione a ogni
forma di separatismo30.
Gli interessi di Russia e Cina nella regione potrebbero entrare in conflitto anche nella sfera
economica. Se Mosca intende preservare la sua tradizionale influenza politica e mantenere il
controllo delle esportazioni energetiche, Pechino aspira a porsi come capofila dello spazio
economico centroasiatico e ad attrarne sempre più le risorse. Già negli ultimi anni il peso di Mosca
nella regione è sensibilmente diminuito rispetto a quello della Cina, soprattutto nella sfera
economica; in primo luogo perché la crisi che, sia pure in ritardo, ha investito anche la Russia, ne
ha ridotto le capacità di investimento rispetto agli anni precedenti, consentendo alla Cina di
occupare spazi crescenti nella regione, anche nella sfera energetica. Più in generale sembra
improbabile che la collaborazione russo-cinese in Asia Centrale possa proseguire senza risentire
fortemente dell’enorme crescita del ruolo di Pechino. Da questo punto di vista l’Asia centrale è
destinata a divenire nei prossimi decenni un’area cruciale del rapporto politico ed economico tra
Pechino e Mosca31.
Rispetto agli attori primari della regione – Russia e Cina in primo luogo – il ruolo dell’Unione Europea è invece piuttosto limitato. In primo luogo perché, nonostante la diffusa retorica sulla Via della
Seta, i legami storici dell’Europa con l’Asia centrale sono molto limitati. Pesano inoltre la lontananza geografica e l’assenza di stati europei che sponsorizzino quelli locali. Per questa ragione nei
primi anni post-sovietici l’Ue non ha avuto una politica definita verso la regione. Gradualmente,
però, non solo l’evidente interesse per le grandi risorse energetiche dell’Asia centrale, ma anche la
crescente consapevolezza della sua importanza strategica in rapporto all’Afghanistan, al
radicalismo islamico, al traffico di stupefacenti e così via hanno imposto a Bruxelles una politica
sempre più attiva in questa direzione, senza però che le difficoltà di tale percorso appaiano ancora
superate32.
Conclusioni
L’importanza dell’Asia centrale nel panorama internazionale è pertanto in forte crescita, ma la regione non è ancora riuscita a sfruttare al meglio la situazione vantaggiosa in cui si è venuta a trovare dopo la fine dell’Urss. Fortemente condizionati dal negativo lascito sovietico, i governi locali
faticano notevolmente a risolvere i numerosi problemi politici, economici e sociali, oltre che di integrazione regionale, che ne frenano in maniera considerevole lo sviluppo. Questo vale soprattutto
per i paesi più deboli, Kirghizistan e Tagikistan, la cui persistente fragilità può avere effetti destabilizzanti su tutta l’area. Ma anche i paesi maggiormente dotati di risorse dovrebbero individuare un
percorso di sviluppo nel quale la ricerca della stabilità non escluda maggiori spazi di libertà politica
e culturale.
30
Su questi temi si veda F. INDEO, Russia and China in Central Asia: growing geopolitical competition, ISPI Policy Brief
n. 199, ottobre 2010.
31
Cfr. F. GODEMENT, The New Great Game in Central Asia, China Analysis, European Council on Foreign Relations,
10 September 2011.
32
Cfr. A. FERRARI, L’Unione europea e l’Asia centrale, ISPI Working Paper n. 22, settembre 2007; The European Union
and Central Asia: The New partnership in Action, June 2009, http://www.eeas.europa.eu/central_asia/docs/2010
_strategy_eu_centralasia_en.pdf e J. BOONSTRA - M. EMERSON, Into EurAsia: Monitoring the EU’s Central Asia Strategy, 24 February 2010, http://www.fride.org/publication/741/into-eurasia-monitoring-the-eus-central-asia-strategy.
8
Da questo punto di vista l’evoluzione del Kazakistan appare di
particolare interesse. D’altro canto, però, è di cruciale importanza
che i numerosi attori esterni che interagiscono nell’area si muovano in maniera equilibrata, in una logica di collaborazione invece
che di competizione, lasciando che l’espressione “Grande Gioco”
rimanga il più possibile nella sua fortunata dimensione storicoletteraria, senza acquisire una preoccupante attualità geopolitica.
ISPI - Analysis
La ricerca ISPI analizza le
dinamiche politiche, strategiche ed economiche del sistema internazionale con il duplice obiettivo di informare e
di orientare le scelte di policy.
I risultati della ricerca vengono divulgati attraverso pubblicazioni ed eventi, focalizzati su tematiche di particolare
interesse per l’Italia e le sue
relazioni internazionali e articolati in:
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Programma Africa
Programma Caucaso e
Asia Centrale
Programma Europa
Programma Mediterraneo
e Medio Oriente
Programma Russia e
Vicini Orientali
Programma Sicurezza e
Studi Strategici
Progetto Argentina
Progetto Asia Meridionale
Progetto Cina e Asia
Orientale
Progetto Diritti Umani
Progetto Disarmo
Progetto Internazionalizzazione della Pubblica
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