QUESTIONARIO RELATIVO AL PROGETTO ERFP 2009 ‘Caratterizzazione della razza bovina Podolica sia locale che migliorata e identificazione delle minacce di estinzione nei cambiamenti globali’ Compilato da: Matassino D*., Castellano N.*, Grasso M.*, Manzone M. *, Occidente M.* e Ciani F.* * ConSDABI – Sub National Focal Point italiano FAO (Sub NFP.I - FAO) (biodiversità mediterranea) per la tutela del germoplasma animale in via di estinzione nell’ambito della Strategia Globale FAO per la gestione della risorsa genetica animale (GS-AnGR, Global Strategy for the Management of Farm Animal Genetic Resources) – Centro di Scienza Omica per la Qualità e per l’Eccellenza nutrizionali - Centro di Ricerca sulle Risorse Genetiche Animali di Interesse Zootecnico in ambito mediterraneo - Centro Produzione Sperma ed Embrioni – Contrada Piano Cappelle 82100 Benevento – Italia - Tel.: +39 0824 334300; tf.: +39 0824 334046; email: [email protected]; Internet: http://www.consdabi.org/" www.consdabi.org . 1. Qual è il nome della popolazione italiana (nome in inglese e nome locale)? Apulian cattle (Pugliese), Podolian Cattle (Podolica) (Mason, 1969). 2. Cosa sai sull’origine del nome della razza ‘Bovino Podolica’? Il termine “Podolica”, attualmente usato per identificare questo tipo genetico (TG) Bovino, fino alla prima metà del 19° secolo, in Italia era sconosciuto agli zootecnici, i quali utilizzavano denominazioni legate al bioterritorio1 di distribuzione dei vari ecotipi. Solo nella seconda metà del 1800 e agli inizi del 1900, a seguito dei primi studi archeo-zoologici, osteologici e biometrici, condotti principalmente da ricercatori tedeschi, inglesi e francesi Cuvier, Weckerlin, Rutimeyer, Wilckens, Sanson, Keller, Durst, ecc. (Marchi, 1927), iniziarono a emergere ipotesi, supposizioni e teorie, spesso inesatte e in contraddizione fra loro, inerenti all’origine delle popolazioni bovine, alla loro incipiente domesticazione e alla relativa classificazione tassonomica, nelle quali compaiono anche le definizioni: “bovini di Podolia”, “Podolica”, “bovino Podolico”, “Bos taurus podolicus”, unitamente a molte altre denominazioni per ciascuna località di diffusione degli ecotipi di bovini grigi nell’Europa Orientale e Centro-Meridionale. Dalle varie ipotesi, risultate successivamente scientificamente erronee, emerge quella recepita da alcuni zootecnici italiani (Faelli, 1903; Marchi, 1927) nella quale si riteneva che tutte le popolazioni bovine grigie taurine eurasiatiche derivassero dalla regione della Podolia in Ucraina; pertanto nel secolo passato questa definizione generalizzata di “Podolica” è stata usata anche per definire la più diffusa popolazione bovina grigia autoctona italiana, precedentemente chiamata principalmente “Pugliese”; pertanto, 1 Il bioterritorio o bioregione viene definito come “un modello di gestione sostenibile delle risorse naturali di un territorio da parte delle comunità locali” (World Resources Institute, World Conservation Union, FAO, UNESCO, United Nations, 1992). 1 alla luce di quanto emerso dalle recenti ricerche genetiche, paleozoologiche e archeozoologiche, che testimoniano la condivisa autoctonicità mediterranea centro-orientale di questo TG Bovino, la denominazione di “Podolica” è attualmente da ritenersi inesatta, restrittiva e inadeguata (Ciani e Matassino, 2001; Ciani e Matassino, 2007, Ciani e Matassino 2008, Ciani e Giorgetti, 2009, Matassino e Ciani, 2009, Giorgetti et al., 2009). Alla luce di tale constatazione nelle risposte successive, si preferisce indicare tale bovino con la denominazione “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica). 1.1. Quali razze si pensa derivino dal gruppo bovino “Podolica” ? Alla metà del 1800, in Italia Settentrionale e Centro-Meridionale, erano presenti numerose popolazioni bovine grigie autoctone appartenenti a un unico ceppo ancestrale primitivo, con caratteristiche somatiche simili, avendo mantenuto come attitudine principale quella al lavoro, conservando però anche buone produzioni di latte; questi ecotipi, fra cui avvenivano frequenti scambi genetici, erano denominati in base alla seguente loro diffusione geografica: Piemontese, di Pinerolo, Bresciana, Grigia Val d’Adige, Mantovana, Veneta, Bellunese, Modenese, Bardigiana, della Val di Serchio e della Nievole (Garfagnina), Pisana, Volterrana (Cecinese), Maremmana, Chianina, Calvana, Perugina, della Val Tiberina (Pasturina), Romagnola, Romana, Marchigiana, Abruzzese, Napoletana, Sannita, Lucana, Pugliese e Calabrese (Cristin, 1861-1862; Faelli 1903; Mascheroni, 1929; Parisi, 1950). Nel secolo successivo da queste popolazioni, alcune delle quali si sono estinte, si sono sviluppati gli attuali Tipi Genetici di Bovini Autoctoni Grigi: Chianina, Calvana, Garfagnina, Marchigiana, Maremmana, Modenese, “Podolica”, Romagnola e Piemontese. 1.2. Cosa si pensa sia comune nel gruppo bovino Podolico? Le popolazioni bovine Grigie Autoctone sono caratterizzate dai seguenti principali aspetti somatici, legati alla conservazione delle preminenti caratteristiche ancestrali dell’Uro, loro arcaico progenitore selvatico : 1) dimorfismo sessuale più o meno accentuato; 2) corna tendenzialmente macrocere dirette lateralmente poi in avanti e in alto, a forma di mezzaluna nel maschio e di lira nella femmina, di colore chiaro nei 2/3 della base e nere nella parte terminale; 2 3) mantello uniforme, con variazioni del grigio da chiaro-biancastro a grigio-ferro scuro, con marcature scure più o meno accentuate, particolarmente nel maschio, sulla testa, sul collo, sulla spalla, sulle zampe, sulla parte inferiore dei fianchi, con riga dorsale o sella più chiara sul dorso; anello di colore chiaro intorno al musello; il mantello del vitello è di colore fromentino alla nascita; colore che caratterizza tutti i neonati degli ungulati selvatici per la sua principale funzione mimetica (Figura 1); Figura 1. “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica): effetto mimetico del mantello del vitellino. 4) aperture naturali, musello, fondo scrotale, fiocco della coda e zoccoli sono tendenzialmente di colore nero ardesia. 3. Caratterizzazione: (fenotipica, genotipica della popolazione italiana) 3.1. Conformazione Premessa L’attuale “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica) ha conservato, a livello strutturale, la conformazione somatica del bovino primitivo, sottoposto per millenni a una duplice selezione esercitata dal rapporto diretto con il bioterritorio di allevamento, essenzialmente basato solo sull’utilizzazione delle risorse naturali, e dalla selezione zootecnica mirata alla produzione, operata dall’uomo per soddisfare le esigenze di forza lavoro nei cicli agronomici stagionali delle aziende rurali. Il suo aspetto somatico esprime robustezza, energia e resistenza, poiché questo TG ha uno scheletro di ottima conformazione espressa dalla tendenza dei quarti anteriori e posteriori a equilibrarsi, ma nel toro i quarti anteriori si mantengono ancora particolarmente imponenti, avendo conservato questo aspetto primitivo poiché è stato sempre allevato allo stato brado o semibrado e selezionato da millenni principalmente per la spiccata attitudine al lavoro. Inoltre, è contraddistinto da temperamento vivace e da andatura agile e sciolta. 3 Principali caratteristiche somatiche Il “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica) presenta i seguenti aspetti somatici (Mizzi, 1960): 1) mantello: di colore grigio, con tendenza al grigio scuro-nerastro nel maschio in particolare ai lati della testa, sulle orecchie, sul collo, sulla spalla, sui 2/3 inferiori del costato, sull’addome, sulla coscia e sulla parte anteriore degli arti, con tonalità gradatamente più chiare sul terzo superiore del tronco fino alla linea dorso-lombare; più chiaro fino al biancastro nella femmina; il musello è nero, contornato da alone chiaro; 2) cute: con pigmentazione scura, è fine, elastica e abbondante, tale da formare una giogaia pendente dal sottogola alla regione sternale, scendendo oltre l’altezza del ginocchio nei migliori tori; anche la mucosa boccale e le aperture naturali sono pigmentate di nero; inoltre, in alcune linee femminili le aperture naturali possono essere depigmentate; 3) testa: leggera, con sincipite appena marcato da una larga depressione a V molto aperta, con profilo rettilineo, fronte larga e piana, arcate orbitali prominenti, leggera depressione fra le orbite, testa corta e massiccia nei maschi, allungata nella femmina; orecchie piuttosto grandi, larghe e dirette orizzontalmente; 4) corna: macrocere, posizionate sullo stesso asse del sincipite, con sezione basale circolare o ellittica, di colore giallastro nei 2/3 inferiori; la sezione diviene costantemente circolare nel terzo superiore di colore nero; pertanto, per due anni, durante la fase di crescita e di sviluppo delle corna, queste rimangono di colore completamente nero e solo negli anni successivi emerge la parte chiara; hanno la forma di mezzaluna nel toro e a lira nella vacca; sono dirette lateralmente, poi in avanti e in alto, lunghe da 45 a 50 cm nel soggetto adulto; 5) collo: corto, grosso, muscoloso e prominente, con giogaia abbondante nel maschio; piuttosto lungo ed esile nella vacca; 6) spalla: lunga, larga ben aderente al tronco; 7) garrese: serrato, esteso verso il dorso, particolarmente muscoloso nel maschio; 8) tronco: ben sviluppato, con linea dorso lombare tendente al rettilineo; 9) torace: largo, profondo e lungo, con costole non molto arcuate; 10) lombi: lunghi e larghi, ben attaccati e abbastanza robusti; 11) groppa: leggermente spiovente e sufficientemente muscolosa, generalmente con bacino leggermente sopraelevato; 4 12) coda: attaccata alta, piuttosto grossa alla base e lunga, con fusto sottile che termina con un fiocco abbondante di peli neri; 13) arti: gli anteriori sono asciutti, con braccio corto muscoloso e ben diretto, avambraccio lungo, ginocchio spesso e ampio, stinco breve, pastorale corto, nodello largo e spesso; gli arti posteriori nel toro hanno coscia muscolosa, con natica a profilo convesso e ben discesa; nella vacca si presentano con coscia poco sviluppata e natica a profilo rettilineo; la gamba è lunga e muscolosa nei maschi, meno muscolosa nella femmina, con stinchi brevi, pastorali corti, garretti larghi e robusti; 14) zoccoli: compatti, serrati e resistenti, di colore nero-ardesia. Dati biomerici Le principali misure somatiche sono: peso vivo: vacca adulta: kg 500 – 550 (Bonadonna, 1976); kg 345 – 470 (Ferrara et al., 1986a); toro adulto: kg 700 –800; peso vivo del vitello alla nascita: da kg 24 a kg 29 (Ferrara et al., 1986b); altezza al garrese: vacca adulta: cm 140 – 145 (Bonadonna, 1976); 124 – 133 (Ferrara et al., 1986a); toro adulto: cm 150 – 155; circonferenza del torace: vacca adulta cm 160 – 179 (Ferrara et al., 1986a); lunghezza della groppa: vacca adulta cm 46 – 50 (Ferrara et al., 1986a); lunghezza del tronco: vacca adulta cm 144 – 162 (Ferrara et al., 1986a); larghezza mediana della groppa: vacca adulta cm 43 (Ferrara et al.,1986a). La standardizzazione delle caratteristiche somatiche è avvenuta con l’istituzione del Libro Genealogico (1984), a sua volta, preceduta dalla costituzione del registro anagrafico; quest’ultimo istituito al fine di effettuare un censimento della popolazione di “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica), nonché rilievi biometrici su larga scala per definire lo standard di razza. Tale indagine ha, tra l’altro, evidenziato la presenza di soggetti in taluni bioterritori che, pur presentando caratteristiche peculiari del tipo genetico, mostravano valori medi inferiori rispetto a quelli relativi ad altri bioterritori (Matassino, 1983) (tabella 1). Tale evidenza ha indotto la Commissione interregionale preposta alla definizione dello standard a voler comunque conservare le femmine di mole ridotta ricorrendo alla definizione di due standard (A e B) per la femmina e uno per il maschio. 5 Tabella 1. Standard nazionale del bovino ‘Podolico’ (Matassino, 1983) Carattere biometrico Standard nazionale 12 mesi 18 mesi 24 mesi 36 mesi 48 mesi 60 mesi 72 mesi 84 mesi Femmine Femmine Femmine Femmine Femmine Femmine Femmine Femmine Maschi Maschi Maschi Maschi Maschi Maschi Maschi Maschi A B A B A B A B A B A B A B A B Altezza garrese 120 115 110 125 118 112 130 122 144 134 125 116 138 127 119 143 129 121 150 130 124 152 131 125 Lunghezza tronco 125 120 110 135 130 115 143 135 120 151 140 125 156 142 130 152 145 135 167 148 140 170 150 143 Larghezza groppa anteriore 42 39 33 44 41 35 47 44 37 49 46 39 52 47 41 54 49 42 56 50 43 57 51 43 36 35 27 40 36 30 43 38 32 45 40 34 47 42 36 49 43 37 50 43 38 51 44 38 23 22 12 25 24 13 27 26 14 29 28 15 31 29 16 32 30 17 34 30 17 35 30 17 43 Larghezza groppa mediana Larghezza groppa posteriore Lunghezza groppa Circonferenza torace Altezza del torace Circonferenza stinco Peso 42 40 32 45 42 34 48 44 36 50 46 39 52 48 41 54 49 42 55 50 43 56 51 145 140 128 158 148 135 167 155 141 177 162 145 184 168 150 190 170 152 193 172 154 195 174 156 54 52 40 58 55 43 63 58 46 67 61 49 70 62 50 75 63 78 64 80 65 53 17 14 12 18 15 13 19 16 13,5 20 17 14,5 21 17 16 22 17,5 16 23 18 16,5 24 18 16,5 260 220 160 330 250 180 400 300 200 490 340 250 560 370 300 650 400 330 700 420 350 750 440 370 51 52 L’attuale Libro genealogico (Allegato I) è articolato in singole sezioni per ciascuna delle cinque razze incluse: Marchigiana, Chianina, Romagnola, Maremmana e Podolica e rappresenta lo strumento per lo sviluppo e l’aggiornamento continuo dell’azione di miglioramento dei bovini da carne promuovendone nel contempo la valorizzazione economica. 3.2. Profilo Metabolico I fattori che hanno influenzato l’efficienza produttiva del “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica) inserito nel suo contesto “bioterritoriale” sono sempre stati numerosi e fra questi, come ampiamente dimostrato, hanno svolto un ruolo fondamentale le risorse alimentari pabulari offerte dagli agro-silvo-ecosistemi delle aree demaniali. E’ noto che il problema fondamentale dell’area mediterranea è la più o meno forte siccità dei pascoli nel periodo estivo, per cui la produzione foraggera è piuttosto scarsa e concentrata prevalentemente in primavera. L’elevata fluttuazione della disponibilità quanti-qualitativa degli alimenti, legata all’alternarsi delle stagioni, ha indotto questo bovino a perfezionare particolari sistemi di controllo del metabolismo per ridurre gli effetti negativi determinati dai momenti di particolare carenza di risorse pabulari. 6 E' opportuno evidenziare che il ridotto metabolismo di base di questo bovino comporta un aumento del tempo di ritenzione degli alimenti nel tubo gastroenterico e, pertanto, migliora l'utilizzazione digestiva degli alimenti (Cianci, 1986). Montemurro e Pacelli (1996) hanno messo in evidenza che alcuni metaboliti (proteine totali, albumina, globulina, colesterolo, urea, glucosio, calcio e fosforo) variano in relazione alla stagione. In sintesi, nel “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica) si è specializzata la capacità di uniformare il livello di ingestione, e quindi di utilizzazione, ai volumi di biomassa foraggera disponibili: elevati nel periodo primavera- estate, molto contenuti in autunno- inverno. In tal modo l’animale, in primavera, oltre a soddisfare le consistenti esigenze legate alla prima fase di lattazione [i parti sono concentrati per oltre il 60% nel periodo marzo- maggio (Gambacorta e Cosentino, 1991)], riesce a costituire scorte organiche sottoforma di lipidi di deposito da utilizzare nei periodi di carenza alimentare. I risultati emersi da alcune indagini finalizzate a valutare l’andamento del profilo metabolico nel corso delle stagioni (Freschi et al., 1994), mettono in luce che nel “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica), nonostante l’aspetto esteriore non mostri segni di carenza nutrizionale, il metabolismo energetico (glicemia) è caratterizzato da elevata oscillazione, con valori minimi in estate (0,89 mmol/l in estate contro 2,5 mmol/l in inverno). Andamento contrario si rileva per il metabolismo proteico che evidenzia una maggiore concentrazione in estate (87,7 g\l di proteine totali) e una minore in inverno (76,6 g\l). Questi risultati confermano quanto emerso da un’altra prova eseguita nel 1981 (Matassino et al., dati non pubblicati), mirante a valutare, tra l’altro, la composizione botanica del “pabulum” e il relativo effetto sul bilancio in nutrienti: mediamente i bovini, durante il periodo estivo, assumono una quantità di proteine superiore alle proprio esigenze, anche se nel complesso la razione risulta carente in energia. 3.3. Caratteristiche riproduttive La manza è fecondata per la prima volta all’età di 2 anni e mantenuta in produzione almeno per 8 ÷ 10 anni; il toro è inserito nel nucleo di riproduzione ‘naturale’ a 2 anni e utilizzato fino a 5 ÷ 6 anni in attività di monta (Parisi, 1950). 3.4. Genotipo Il “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica) è stato oggetto di tipizzazione genetica utilizzando i microsatelliti, allo scopo di individuare il “range” di differenziazione e l’eventuale struttura genetica della popolazione, nonché la relazione genetica con altri Tipi 7 Genetici Autoctoni di Bovini Grigi italiani ed europei. I risultati delle analisi hanno evidenziato l’esistenza nella Podolica italiana di una ampia variabilità genetica, ma dai polimorfismi nei loci microsatellite analizzati non è emersa alcuna strutturazione di questo TG bovino in subpopolazioni allevate in differenti regioni, risultando il valore di eterozigosità abbastanza omogeneamente distribuito nei vari ceppi di ‘Podolica’ dei diversi bioterritori di allevamento, poiché è attuato un continuo scambio di riproduttori (principalmente maschili) tra gli allevamenti ubicati nelle diverse regioni dell’Italia meridionale e una scarsa utilizzazione della inseminazione strumentale; inoltre il “Bovino Grigio Italiano Autoctono” (già Podolica) evidenzia anche una maggiore variabilità fenotipica, probabilmente di origine epigenetica (Bruzzone et al., 2001; D’Andrea et al.,2009). L’analisi filogenetica ha dimostrato la stretta relazione del TG “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica) con le altre razze bovine Grigie italiane, con quella della Croazia, nonché lo stretto legame genetico tra le popolazioni Podoliche dei differenti paesi europei, confermandone l’origine comune (D’Andrea et al., 2009). Ricerche genetiche sono in corso al fine di individuare alleli, genotipi o aplotipi che contribuiscono alla elevata “capacità al costruttivismo”2 del bovino grigio in ambienti cosiddetti ‘difficili’. A esempio, Maróti –Agóts et al. (2009) hanno analizzato il polimorfismo della regione promotrice del segmento di DNA codificante la proteina da shock termico HSP-70, responsabile della differente capacità di difesa cellulare da tale stress3 dei bovini, evidenziando nel bovino grigio ungherese e nella Maremmana rispetto al bovino di razza Rossa Norvegese una maggiore frequenza dell’allele associato a una migliore capacità di risposta alla sollecitazione termica. Pertanto, l’esposizione al clima caldo e secco per millenni potrebbe essere stato un fattore in grado di contribuire alla selezione (probabilmente naturale) per la resistenza al caldo. 3.5. Produzioni 2 Capacità al costruttivismo: nel senso che le ‘novità evolutive’, per quanto imprevedibili, non sono una produzione ‘dal nulla’, ma una trasformazione di ‘precedenti potenzialità’ grazie alle quali gli organismi partecipano attivamente alla ‘costruzione’ del microambiente in cui vivono; nel 1907, nell’opera ‘L’évolution créatrice’, Bergson H. aveva proposto il termine ‘creativo’ nel senso di ‘élan vital’ (slancio vitale) per indicare “la capacità di produrre un flusso continuo di ‘novità evolutive’” (Matassino, 1989, Lewontin, 1993). 3 Le HSP (Heat shock Protein) vengono classificate, in base al loro peso molecolare, in varie famiglie. Trattasi di proteine essenziali per la sopravvivenza della cellula quando esposta a eventi in grado di perturbarne l’omeostasi; tra i fattori in grado di indurre un aumento delle HSP si ricordano quelli: (a) ambientali (aumento della temperatura, presenza di metalli pesanti, ecc.); (b) legati a malattia (infezioni virali, febbre, infiammazioni, ischemia, lesioni da ossidanti, neoplasie, ecc.). Oltre alle HSP ‘indotte’ dai suddetti fattori di stress, esistono HSP cosiddette ‘costitutive’, cioè presenti normalmente nella cellula e associate, a esempio, a: divisione, crescita e differenziamento cellulare. Sono fondamentali, specialmente le cosiddette chaperonine ai fini del folding (ripiegamento) delle proteine. 8 Premessa Dalla seconda metà del secolo passato fino ad oggi sono stati eseguiti numerosi lavori scientifici sulla popolazione di “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica), allo scopo di sviluppare e approfondire la caratterizzazione, sul piano tecnico e scientifico, delle produzioni e della qualità delle carni e del latte, ottenuti da questo TG Bovino, che nei secoli passati aveva dimostrato la sua principale attitudine produttiva per eccellenza nella potente forza dinamica che poteva sviluppare nei lavori agricoli. Un programma di intervento, che mira al recupero e all’ottimizzazione delle risorse locali, deve tenere nel giusto conto tutti quegli interventi riguardanti la commercializzazione dei prodotti ottenuti dagli animali allevati, valutando sia le esigenze di mercato esistenti che quelle inducibili. E’ ferma convinzione, infatti, che il futuro del “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica) è legato alla commercializzazione di produzioni (latte e carne) di qualità. Le caratteristiche qualitative della carne e del latte e la grande capacità al “costruttivismo” in ambienti “difficili” sono ampiamente sufficienti a evidenziare la non comune potenzialità insita in questo tipo genetico, in grado, tra l’altro, di utilizzare le risorse trofiche che non potrebbero trovare altro impiego. Carne e prodotti derivati Il maschio del “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica), macellato nel periodo compreso da un anno (vitello) a 2 anni di età (vitellone), se sottoposto a un regime alimentare razionale, è in grado di raggiungere rese soddisfacenti variabili dal 57% al 59%; un soggetto cresciuto al pascolo e stabulato negli ultimi tre mesi (finissaggio) prima della macellazione fornisce una resa del 52%, mentre se allevato al pascolo per tutto il periodo di sviluppo e di accrescimento rende solo il 47%; tutti i soggetti sono caratterizzati da una bassa percentuale di grasso, confermando l’assenza di riserva adiposa nelle fasi di crescita e massimo incremento ponderale (Ferrara et al.,1986c). Il “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica) è caratterizzato da media precocità, sviluppando il tronco nei diametri traversi e in profondità, correlata al minore accrescimento delle masse muscolari posteriori, tipica delle popolazioni a crescita tardiva; pertanto, si ha un maggiore sviluppo del quarto anteriore rispetto al posteriore, confermando l’attuale duplice attitudine (latte e carne) di questo tipo genetico (Ferrara et al., 1986 c). Il soggetto (età 24 mesi) allevato al pascolo produce una carne più tenera e con un minore capacità di ritenere acqua rispetto a un animale sottoposto per tempi più lunghi alla stabulazione fissa e a un regime alimentare caratterizzato da una maggiore concentrazione proteica; 9 quest’ultimo fornisce una carne dalle caratteristiche reologiche meno gradite al consumatore (Girolami et al.,1986). Il vitellone allevato al pascolo, rispetto a quello in stabulazione fissa, fornisce una carne più rossa (Zullo et al., 1986). Il livello alimentare di un soggetto allevato in box con pavimento grigliato influenza le caratteristiche morfometriche della fibra muscolare; infatti, il vitellone sottoposto a un livello alimentare medio arricchito con amminoacidi essenziali presenta la superficie, il perimetro, il diametro (massimo e minimo) della fibra muscolare significativamente maggiore rispetto al soggetto sottoposto a un livello alimentare alto e medio (Matassino et al., 1986). Per la descrizione del regime alimentare si rimanda a Ferrara et al. (1986b). Il consumatore è particolarmente sensibile all’utilizzo di carne del “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica) se opportunamente informato sulla tecnica di allevamento del soggetto macellato: la preferenza è molto elevata se la carne proviene da animali allevati al pascolo in quanto tale consumatore ritiene che la carne proveniente da questo tipo di vitellone sia più ricca di nutrienti poiché fornita da un animale che dispone di un sistema di allevamento confacente al suo benessere (Napolitano et al., 2007). Infatti, al pascolo, il vitellone dedica la maggior parte del tempo alla deambulazione e alla ingestione delle risorse pabulari e minor tempo alle interazioni sociali di tipo agonistico (Napolitano et al., 2009). I tre schemi seguenti (Matassino, 2009) riportano alcuni risultati inerenti alla qualità della carne del “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica): IL “BOVINO GRIGIO AUTOCTONO ITALIANO” (GIÀ PODOLICA), RISPETTO AD ALTRI TIPI GENETICI (CHAROLAISE, ABERDEEN ANGUS, SIMM ENTHAL) E ALL’ INCROCIO ‘LIMOUSINE X PODOLICA’ , PRODUCE UNA CARNE CARATTERIZZATA DA UN PIÙ ELEVATO: CONTENUTO IN PUFA (ACIDI GRASSI POLINSAT URI) [SOPRATTUTTO OMEGA 3 A LUNGA CATENA; ACIDO LINOLEICO (C18:2); ACIDO LINOLENICO (C18:3)] EFFETTO SALUT IST ICO POSITIVO (FUNZIONE ‘NUTRACEUTICA’) RAPPORT O PUFA (ACIDI GRASSI POLINSATURI /SFA (ACIDI GRASSI SAT URI) PRODUCE UNA BRESAOLA CON UN BUON GRADO ACCETTABILITA’ (50 % DELLA GIURIA A FAVORE*) DI IL M AGGIORE CONTENUTO DI ACIDI GRASSI POLINSATURI NELLA PODOLICA SAREBBE LEGATO ALLA ‘NATURA MAGRA’ DI QUESTO TIPO GENETICO CARATTERIZZATO DA SCARSA PRESENZA DI ‘GRASSO DI RISERVA’, PRINCIPALE SEDE DI ACCUMULO DI ACIDI GRASSI SATURI NEI RUM INANTI * NEL CASO DI SALAME, OLTRE IL 60 % DELLA GIURIA DA’ UN GIUDIZIO FRA ‘ BUONO’ ED ‘ ECCELLENTE’ (FONTE: BRAGHIERI A.M. ET AL., 2005; COSENTINO E. ET AL., 2005; BUREŠ, D ET A L., 2006) 10 IL ‘PASCOLO’ RISPETTO AL ‘PASCOLO + INTEGRAZIONE DI ALIMENTO’ E’ RESPONSABILE DI PIU’ ELEVATA % DI TAGLI DI I CATEGORIA (COMUNEMENTE DETTI DI ‘I SCELTA’) PROFILO ACIDICO DELLA CARNE O DI PRODOTTI DERIVATI (OMOGENEIZZATO, HAMBURGER, SALAME) CARATTERIZZATO DA UN CONTENUTO SIGNIFICATIVAMENTE PIU' ELEVATO IN PUFA (ACIDI GRASSI POLINSATURI) (SOPRATTUTTO OMEGA 3 A LUNGA CATENA) PIU’ ELEVATO RAPPORTO PUFA (ACIDI GRASSI POLINSATURI)/SFA (ACIDI GRASSI SATURI) PIU’ BASSO RAPPORTO OMEGA 6/OMEGA 3 VALORI PIU’ BASSI DEGLI INDICI ATEROGENICO E TROMBOGENICO EFFETTO SALUTISTICO POSITIVO (FUNZIONE ‘NUTRACEUTICA’) PIU’ ELEVATA % DI CLA (ISOMERI CONIUGATI DELL’ACIDO LINOLEICO) IN PRODOTTTI DERIVATI (OMOGENIEIZZATI, HAMBURGHER, SALAME) MAGGIOR CONTENUTO IN - POTASSIO - VITAMINA E MINOR CONTENUTO IN SODIO MIGLIORI CARATTERISTICHE REOLOGICHE E COLORIMETRICHE (FONTI: GIROLAMI ET AL., 1986; ZULLO ET AL., 1986; COSENTINO E. ET AL., 2005a; MAIORANO ET AL., 2005; MARINO R. ET AL., 2009) SISTEMA ‘TRANSUMANTE’ RISPETTO A QUELLO ‘STANZIALE’ INFLUENZA POSITIVAMENTE I SEGUENTI PARAMETRI PV (kg)* IPMG (g/d)** IPG/PV (g/kg)*** IPG/PM (g/kg)**** % DI TAGLI DI I E III CATEGORIA***** (COMUNEMENTE DETTI DI ‘I’ E ‘III SCELTA’) RAPPORTO CARNE/OSSA (FONTI: GAMBACORTA E. ET AL., 2005; COSENTINO E. ET AL., 2005b) *PV = PESO VIVO; **IPMG = INCREMENTO PODERALE MEDIO GIORNALIERO; ***IPG/PV (EFFICIENZA BIOLOGICA) = INCREMENTO PONDERALE GIORNALIERO SU PESO VIVO CHE LO HA PRODOTTO; **** IPG/PM 0,75 (EFFICIENZA ZOOTECNICA) = INCREMENTO PONDERALE GIORNALIERO SU PESO METABOLICO CHE LO HA PRODOTTO; *****TAGLI DI ‘I CATEGORIA ’: COSCIA PRIVATA DELLA GAMBA E PARTE DORSO-LOMBARE; TAGLI DI ‘II CATEGORIA’: SPALLA PRIVATA DELL’AVAMBRACCIO E COLLO; TAGLI DI ‘III CATEGORIA’ ’: LE PARTI RESTANTI (% DEL PESO VIVO). L’utilizzazione di una vacca da riforma e/o una di quella eccedente la produzione del quoziente di avvicendamento come “riceventi” di embrioni di tipi genetici da carne permetterebbe un incremento dell’efficienza produttiva. 11 Latte e prodotti derivati Premessa. Oltre alla carne di ottima qualità, ottenuta dai vitelloni di “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica) macellati a circa 2 anni, il prodotto per eccellenza fornito da questo tipo genetico è il suo latte, che per la qualità delle sue componenti risulta eminentemente vocato alla trasformazione casearia, escludendolo completamente dal consumo diretto come latte fresco. Infatti presenta un’ottima resa, qualificata dalla preparazione di un antico formaggio a pasta filata, denominato “Caciocavallo Podolico”, tipico per la media o lunga stagionatura e maturazione (Salerno, 1892); questo prodotto caseario è stato da sempre apprezzato non solo dal mercato locale e nazionale ma anche da quello internazionale, che offre per questo prodotto compensi molto remunerativi. La durata, la quantità della produzione e alcune caratteristiche chimiche e organolettiche del latte della vacca di “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica) sono influenzate e direttamente correlate al peculiare assetto genico di questa popolazione, che riesce a valorizzare in modo eccellente anche la limitata quantità e qualità di un pascolo e l’ eventuale alimentazione supplementare. Produzione. La vacca pluripara di “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica) produce individualmente, durante una lattazione di circa 6 ÷ 9 mesi, mediamente, kg 1.500 (da 1.100 a 3.300 kg) di latte, incluso quello utilizzato dal vitello (Parisi, 1950; Matassino, 1995, 1996, 2001; Sportelli, 2004; Perna et al., 2005); prove sperimentali, condotte nella metà del secolo passato, di allevamento stabulato supportato da un regime alimentare ‘bilanciato’, su alcune femmine scelte casualmente in un gruppo di 200 vacche in lattazione, hanno fornito una quantità individuale media annuale di kg 2.280; nel 1935 un gruppo di 24 vacche di “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica) della Calabria, presentato alla Mostra Zootecnica di Crotone, ha prodotto una media giornaliera di kg 15,80 di latte a capo, variabile da kg 10,80 a kg 20,36 (Parisi, 1950). Nella femmina in allevamento eminentemente brado, la produzione giornaliera di latte può variare da kg 5 per vacca primipara, a kg 10 per vacca pluripara, con una resa dell’8,3% di caciocavallo, del 3,7 % di ricotta, e l’1,25% di burro (Parisi, 1950). Attualmente la vacca di “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica), per ogni lattazione media di 200 giorni, escluso quello assunto dal vitello per circa 6,5 mesi, garantisce una produzione di kg 800 di latte destinato totalmente alla trasformazione casearia, con 4,87% di grasso e 4,06 di proteine (Sportelli, 2006). Tabella 2. Composizione chimica del latte (Matassino, 2001). 12 DETERMINAZIONE COMPONENTEַ N x GRASSO, % 943 3,36 PROTEINA, % 943 3,44 LATTOSIO, % 943 4,76 RESIDUO SECCO MAGRO, % 271 9,46 SODIO, mg/100 271 78,39 POTASSIO, mg/100 271 147,77 UREA, mg/100 271 25,48 L’attitudine alla caseificazione del latte, stimata sulla base dei tre parametri ‘classici’ secondo la metodica ufficiale [(i) durata della fase enzimatica (‘T’), (ii): velocità della coagulazione (‘K’), (iii) consistenza del coagulo a un tempo definito dall’inizio della coagulazione (‘a’)], varia significativamente in relazione a (Matassino et al., 1995): (a) anno, ordine di parto, distanza dal parto e turno di mungitura; (b) % di lipidi, % di protidi e % di lattosio; (c) pH. Tabella 3. Distribuzione numerica e percentuale della classe di valutazione dell’attitudine alla caseificazione del latte (Matassino, 2001). DISTRIBUZIONE CLASSE DI VALUTAZIONE N % DISCRETA 452 46,69 OTTIMALE 316 32,64 RAPIDA 129 14,36 LENTA 48 4,96 NON IDONEA 13 1,35 Tutte 958 100 13 Dalla tabella 3 si rileva che solo circa l’l % delle quasi 1.000 determinazioni risulta non idoneo, mentre il 94 % è compreso nelle tre classi: ‘discreta’, ‘ottimale’ e ‘rapida’. Polimorfismo lattoproteico. E’ noto che il polimorfismo lattoproteico può influenzare in modo molto variabile le caratteristiche ‘chimico-fisiche’, nonché alcune proprietà ‘nutrizionali’, ‘extranutrizionali’ e ‘salutistiche’ del latte. Il latte del bovino “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica) è caratterizzato dalla presenza di alcuni alleli favorenti la trasformazione casearia (k-CN: allele B); questo allele evidenzia una frequenza maggiore rispetto ad altri tipi genetici (Bettini e Masina 1972; Chianese et al., 1988; Matassino, 1996, 2001; Matassino et al., 2010a). Dall’analisi del profilo proteico risulta che il latte di bovino “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica) è particolarmente ricco del Κ-CN F(106-111). Questo peptide bioattivo (casopiastrina) esplica un’interessante funzione antitrombotica (Matassino et al., 2010b). Pertanto, il latte di questo tipo genetico bovino e i suoi derivati potrebbero trovare impiego quali veri e propri “cibi fisiologicamente funzionali” per l’uomo o ‘nutraceutici’ (Matassino, 1995). La caratterizzazione proteomica (Matassino et al., 2007) del caciocavallo ‘podolico’ indica che la variazione del volume dei peptidi prodotti dalla proteolisi della beta-caseina potrebbe rappresentare un valido indicatore del tempo di stagionatura. Quest’ultimo influenza la dinamica delle proteine e quindi la presenza di amminoacidi liberi e piccoli peptidi che conferiscono al prodotto proprietà nutrizionali, extranutrizionali, flavour più intenso, nonché maggiore digeribilità. Lipidomica. La caratterizzazione lipidomica (Matassino et al., 2009a) del caciocavallo ‘podolico’ evidenzia un andamento del profilo acidico in funzione del mese di caseificazione e del tempo di stagionatura che lascia presupporre un ruolo fondamentale, durante la stagionatura, di: (a) fattori microambientali del ‘bioterritorio’ di allevamento (b) possibili variazioni temporali dell’equilibrio della microflora presente nel prodotto. Caratteristiche reologiche del caciocavallo. Interessante è l’effetto dei fattori tipo genetico e tempo di stagionatura sulle caratteristiche reologiche del caciocavallo (Matassino et al., 2009b). 3.6. Rischio Sulla base del valore del numero effettivo (Ne = 770), calcolato considerando la consistenza della popolazione iscritta al Libro Genealogico (ANABIC, 2009), il “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica) rientra nella classe di ‘rischio genetico’ ‘danneggiata’ (Ne = 100÷1.000) in accordo con il criterio di classificazione (FAO, 1992). Tale criterio stabilisce il grado di 14 ‘rischio’ di estinzione di un TGA e/o TGAA in base alla valutazione della popolazione genetica o effettiva (Ne), calcolata come segue (Falconer e Mackay, 1996): Ne= 4 x N m x N f Nm+Nf dove: Nm = numero dei maschi in età riproduttiva Nf = numero di femmine in età riproduttiva. Si precisa che nell’allevamento reale, sulla base di una consistenza stimata pari a circa 100.000 capi (Matassino, 2008), considerando la struttura demografica riportata da Matassino (1986a; 1996), il numero effettivo assume un valore pari a 7.660; valore, quest’ultimo che promuove il “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica) nella categoria di ‘rischio genetico’ ‘rara’.‘ Nel 1998 l’EAAP suggerisce l’uso del parametro incremento del ‘tasso di Inbreeding’ (‘rate of Inbreeding’, ∆F) nell’arco di più di 50 anni . L’Ne è correlato al ‘tasso di Inbreeding’ (‘rate of Inbreeding’, ∆F) mediante la formula Ne = ½ ∆F. Il parametro ∆F si ricava dalla formula Ft – Ft-1 1 – Ft-1, dove Ft e Ft-1 sono le medie dei livelli di Inbreeding dall’anno t all’anno t-1. Sulla base del valore di ∆F, viene definita la seguente classificazione del grado di rischio (Tabella 4) : Tabella 4. Categoria di rischio basata sul tasso di inincrocio (F) in un arco temporale superiore ai 50 anni (EAAP, 1998). CATEGORIA DI RISCHIO CRITICAMENTE IN PERICOLO O DANNEGGIATA ∆F IN UN ARCO TEMPORALE SUPERIORE AI 50 ANNI >40 % IN PERICOLO 26 ÷ 40 % MODERATAMENTE IN PERICOLO 16 ÷ 25 % POSSIBILMENTE IN PERICOLO 5 ÷ 15 % NON IN PERICOLO <5 % 15 quanto proposto da M.L. sulle politiche di conservazione è di viva attualità:“applicazione di opportune ‘funzioni di diversità’”. Sarebbe auspicabile una valutazione del grado di rischio del “Bovino Grigio Autoctono Italiano” sulla base del parametro ∆F. I suddetti 2 criteri di valutazione del rischio andrebbero opportunamente integrati con quanto proposto da Weitzman (1992, 1993), il quale ha introdotto l’uso della ‘funzione di diversità’, che permette di effettuare opportune scelte per una politica di conservazione ‘a breve’ e ‘a lungo termine’. Metrick e Weitzman (1996) e Ollivier L. (1998) hanno suggerito una procedura interessante per decidere quale tipo genetico a rischio di estinzione deve essere preservato sulla base di concetti scientifici inerenti a ‘rarità’ e ‘unicità’. I suddetti Autori hanno evidenziato, con procedure matematico–statistiche, la possibilità di redigere una lista di priorità riguardante contemporaneamente un TGA ‘raro’ e un TGA ‘unico’ giungendo a concludere che: “nella classificazione di priorità un TGA ‘raro’ può precedere geneticamente un TGA ‘unico’”. Weitzman (1998) ha aggiornato il criterio proposto per l’assegnazione del grado di priorità di conservazione di una determinata specie introducendo ulteriori fattori di cui tener conto, quale a esempio l’Ui, inteso come utilità ottenuta attraverso la conservazione di una specie. Simiamer et al. (2003) e Gizaw et al. (2008) hanno proposto nella misura di Ui l’introduzione di fattori come le prestazioni produttive o gli aspetti culturali legati alla tradizione locale. 3.7. Confronti genetici (dati di studi precedenti, se disponibili) Le recenti analisi del DNA mitocondriale dei più antichi resti di bovini di incipiente domesticazione (Bos primigenius taurus) discendenti da Uri locali ( Bos primigenius primigenius), rinvenuti in località del Vicino Oriente (Siria) e risalenti agli inizi del Neolitico preceramico (8.650 – 8.250 a.C.), sono utili per identificare geneticamente gli attuali bovini domestici taurini. Le ricerche evidenziano che quest’ arcaica popolazione di Bos primigenius taurus appartiene all’ “aplogruppo T”, per la presenza dell’ “aplogruppo T3”. Anche i bovini domestici che 6.800 anni a.C. iniziano a essere introdotti in Europa si caratterizzano per l’ “aplogruppo T3”, oggi presente in tutte le razze bovine domestiche Europee. E’ interessante evidenziare che attualmente le popolazioni bovine del Vicino Oriente si caratterizzano per la presenza di quattro aplogruppi T,T1,T2,T3, dimostrando cosí una più alta variabilità. L’ “aplogruppo T1” è estensivamente dominante e diffuso in Nord Africa è presente in percentuale dal 5 al 30 in diverse razze lungo le 16 sponde Europee del Mediterraneo (Grecia, Italia, Spagna e Portogallo), mentre sarebbe assente nelle attuali popolazioni bovine dell’Europa centro-settentrionale (Ciani e Matassino, 2008). Dall’analisi delle sequenze del DNA mitocondriale, tutte le razze bovine Grigie autoctone italiane risultano caratterizzate dall’ “aplogruppo T3”, identico a quello degli Uri indigeni (Bos primigenius primigenius) dell’Italia centro-meridionale e del Vicino Oriente, in circa il 60% degli individui esaminati; frequenza che si riduce al 44,3% nei soggetti delle altre attuali razze bovine europee; lo stesso aplotipo incide solo per il 30% nelle razze Anatoliche e in quelle del Vicino Oriente. Allo stato attuale delle ricerche, questi risultati fanno supporre che anche gli Uri dell’Italia centro- meridionale possono essere considerati diretti progenitori dei tipi genetici bovini Grigi autoctoni italiani, poiché si può ipotizzare che gli allevatori Neolitici in Italia abbiano accettato, o addirittura favorito, limitati o moderati livelli di introgressione nelle popolazioni domestiche, almeno con l’allevamento di femmine di Bos primigenius primigenius (Ciani e Matassino, 2008). Le suddette evidenze sulla probabile origine degli attuali bovini europei da progenitori del Vicino Oriente confermano una precedente ricerca di Troy et al. (2001), i quali hanno messo in luce una ripartizione degli aplogruppi tra le varie popolazioni bovine europee e Vicino-Orientali in linea con quella attesa dalla storia della domesticazione, nonché una netta divergenza genetica tra le popolazioni zebuine (Bos primigenius indicus) e quelle taurine (Bos primigenius taurus). Anche studi basati sull’uso di marcatori AFLP (Negrini et al., 2007) avvalorano la chiave di lettura protostorica secondo cui la prima migrazione accertata in Italia di genti di cultura anatolica insediatesi lungo le coste pugliesi con il relativo bestiame macrocero sarebbe avvenuta circa nel VI millennio a.C.; dalle coste pugliesi le popolazioni si sarebbero diffuse verso le regioni limitrofe e nel resto della penisola; circa 15 tipi di civiltà diverse si sarebbero sviluppate e succedute in Italia dal 5.000 al 2.000 a.C.. Nuove migrazioni portarono altri popoli con i loro animali domestici sia dai Balcani che dalla Spagna. Alla fine del Neolitico inferiore, verso il III millennio a.C. in Italia il panorama antropologico e zootecnico venne a più riprese sconvolto da nuove invasioni di genti caratterizzate dalla civiltà Calcolitica (inizio dell’Età dei Metalli) che giunsero sia dalle Alpi che dal Mediterraneo, cambiando la situazione culturale, colturale e zootecnica della penisola. In tale contesto si inseriscono i risultati di ricerche supportanti l’ipotesi di una origine non locale degli Etruschi. Questi ultimi discenderebbero da popolazioni del Vicino Oriente che, migrate in Toscana avrebbero ivi trasferito non solo la loro sofisticata cultura, ma anche le mandrie; infatti, l’analisi del DNA mitocondriale effettuata sia su popolazioni bovine che su quelle umane toscane evidenziano una somiglianza con l’assetto genetico individuato nelle popolazioni umane e bovine del Vicino Oriente (Achilli et al., 2007; Pellecchia et al., 2007). 17 I bovini domestici introdotti in Europa centro-settentrionale e caratterizzati dall’ “aplogruppo T3”, sebbene abbiano condiviso il bioterritorio con le locali popolazioni di Uro caratterizzate dall’ “aplogruppo P”, non sarebbero state oggetto di alcun contributo genetico da parte di questo “ecotipo” di bovino selvatico, che rimane geneticamente distinto fino alla sua definitiva estinzione, senza contribuire alla formazione delle moderne razze bovine (Ciani e Matassino, 2008). La ricerca di Mona et al. (2010) supporterebbe tale ipotesi; infatti, il modello di variazione genetica emerso confermerebbe che l’Uro italiano è geneticamente simile alle moderne razze bovine ma molto diverso dall'Uro dell’Europa nord\centrale, lasciando presupporre una certa stabilità (assenza di espansione demografica) delle popolazioni orientali immigrate nelle aree dell’Europa centrale e settentrionale dopo l’ultima glaciazione. 3.8. Consistenza (vacche e totale) FEMMINE ANNO (1) 1997 2000 2005 2009 VACCHE N % su (8) (2) 13.426 10.981 14.978 15.374 (3) 80,80 77,38 73,97 76,96 MASCHI MANZE % su (16) (4) 73,91 68,72 59,76 65,79 GIOVANI N % su (8) % su (16) (5) 3.191 3.210 5.272 4.602 (6) 19,20 22,62 26,03 23,04 (7) 17,57 20,09 21,03 19,69 TOTALE (8) 16.617 14.191 20.250 19.976 N (9) 1.370 1.700 4.675 3.198 % su (15) (10) 88,50 95,03 97,11 94,23 TOTALE TORI % su (16) (11) 7,54 10,64 18,65 13,68 N (12) 178 89 139 196 % su (15) % su (16) (13) (14) 11,50 0,98 4,97 0,56 2,89 0,55 5,77 0,84 TOTALE (15) 1.548 1.789 4.814 3.394 Dallo schema (dati ANABIC) sopra riportato, relativamente al periodo 2005- 2009, si evince una riduzione del numero totale di capi iscritti al Libro Genealogico di circa 2.200 unità. Tale diminuzione è dovuta soprattutto alle modifiche apportate al disciplinare del Libro Genealogico che hanno determinato l’introduzione di nuovi controlli sull’iscrizione dei capi al Registro del Giovane Bestiame. 18 (16) 18.165 15.980 25.064 23.370 Figura 2. “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica): toro (Fonte: ConSDABI, 2008). Figura 3. “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica): vacca (Fonte: ConSDABI, 2008). 19 Figura 4. “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica): vitello (Fonte: ConSDABI, 2008). Figura 5. “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica): mandria (Fonte: ConSDABI, 2008). 4. Storia della razza 20 4.1. Origine e evoluzione della razza Tutte le popolazioni di bovini Grigi autoctoni dell’Europa orientale e meridionale appartengono alla sottospecie Bos primigenius taurus e sono i diretti discendenti domestici della specie euroasiatica di Uro selvatico (Bos primigenius, Bojanus 1827), in particolare l’ ecotipo diffuso nel Vicino Oriente (Anatolia, Siria, Libano, Palestina, Giordania, Iraq e Iran) e nell’Italia Meridionale; questi bovini di incipiente domesticazione erano caratterizzati da corna macrocere (grandi) , con direzione laterale, curvate in avanti ed in alto (Matassino e Ciani, 2009); le corna sono state definite macrocere quando, al termine del loro accrescimento, la loro lunghezza è superiore ad almeno ¾ di quella del cranio (Marchi, 1927). I più antichi reperti osteologici di bovini di incipiente domesticazione, recuperati in siti zooarcheologici del Vicino Oriente (Siria), risalgono all’inizio del Neolitico preceramico locale (IX millennio a.C.) inizialmente questo materiale è stato ritenuto appartenere a Uri selvatici, ma recenti e approfondite ricerche somatiche hanno individuato un relativo decremento di dimensioni e, soprattutto, una leggera ma significativa riduzione del dimorfismo sessuale, che motiva la convinzione di una incipiente domesticazione, confermata dal trasferimento coevo di questi bovini, da parte dell’uomo, sulla limitrofa isola di Cipro ove sono stati individuati ulteriori reperti osteologici risalenti allo stesso periodo (Ciani e Matassino 2008). Alla fine del IV millennio a.C. nell’insediamento Neolitico di Fikirtepe (Anatolia) erano ancora presenti grandi bovini domestici, che mantenevano il dimorfismo sessuale e le dimensioni del progenitore selvatico, comprese le corna macrocere a forma di mezzaluna nei maschi ed a lira nelle femmine (Ciani e Matassino 2001). In tutto l’areale eurasiatico di diffusione dell’Uro, non sono ancora mai emersi reperti osteologici di alcuna sottospecie o popolazione di questo bovino selvatico, caratterizzata da corna corte (brachicere), confermando quanto emerge dai numerosi reperti zooarcheologici che indicano i bovini a corna corte o acorni quali ecotipi di bovini domestici macroceri, ove la riduzione o assenza delle corna stesse si sia manifestata per l’effetto combinato di modificazioni genetiche naturali e della selezione antropica; questo tipo di bovino si è evoluto protostoricamente all’inizio del 4.000 a.C. nel Vicino Oriente, diffondendosi successivamente nelle regioni mediterranee e in Centro Europa ove era già presente la precedente popolazione a corna macrocere, introdotta dalle prime migrazioni antropiche del Neolitico preceramico (Epstein, 1971; Ciani e Matassino, 2007). Con la diffusione della civiltà Neolitica, dallVIII al IV millennio a.C., nell’intero bacino del Mediterraneo e successivamente nel resto d’Europa, dall’Anatolia attraverso la penisola Balcanica, fino agli Appennini ed alla penisola Iberica, e dalla Palestina e dall’Egitto attraverso l’Africa settentrionale, è stata distribuita la più antica popolazione bovina dalle grandi corna della sottospecie Bos primigenius taurus di 21 incipiente domesticazione (Ciani e Giorgetti, 2009). Nei siti di Rendina (Potenza) e di Scamuso (Bari) in Italia meridionale, risalenti al Neolitico antico (VI millennio a.C.), viene accertata la prima comparsa di bovini, di incipiente domesticazione, che conservano ancora le grandi dimensioni e le corna dell’Uro progenitore (Tagliacozzo, 2002). Nei millenni successivi alla diffusione della civiltà Neolitica, in tutto il vasto areale italiano ed europeo, le abbondanti incisioni e sculture in pietra, unitamente a statuette, a sigilli di vari materiali e ad affreschi, confermano che i bovini da lavoro allevati dalle civiltà preceltiche, camune, villanoviano- etrusche, iberiche, nuragiche, italiche e minoico-micenee, sono principalmente animali macroceri e somaticamente molto somiglianti fra loro (Ciani e Matassino, 2001). Una immagine rappresentativa e qualificante di questo bovino è riprodotta da un vaso per libagioni in pietra scura, rinvenuto negli scavi del palazzo di Cnosso a Creta, risalente al II millennio a.C., raffigurante la testa di un toro con corna grandi e con la presenza del tipico alone scuro intorno al musello, che ripropone l’ identica immagine di un moderno e attuale toro Grigio autoctono (figura 7) (Ciani e Matassino, 2001). In epoca Romana nel I secolo d.C., Plinio il Vecchio, nella sua “Storia Naturale” narra di un bovino rustico dalle grandi corna definito “Bos silvestris”, presente allo stato brado nei boschi e nelle macchie dell’Italia centro-meridionale; anche Columella, coevo del predetto autore, nella sua opera classica “De re rustica” descrive il bovino grigio da lavoro che allora era diffuso nelle varie regioni centro-meridionali italiane; infatti l’autore ne descrive i principali ecotipi, precisando che: “La Campania produce buoi bianchi di piccola statura e di estrema resistenza. L’Umbria ha buoi di grande corporatura, anch’essi bianchi, in più ha un’altra razza di colore fromentino, non meno pregiata per indole e forza fisica; in Toscana e nel Lazio ci sono buoi compatti e robusti nel lavoro; l’Appennino fornisce buoi resistentissimi che possono sopportare qualsiasi avversità. In ogni caso l’aratore deve ricercare animali giovani, quadrati, dalle grandi membra, con corna grandi, scure e robuste, dalla fronte larga e rugosa, con occhi e labbra neri, con narici larghe, giogaia ampia che arriva quasi alle ginocchia, con petto grande, spalle possenti, dorso diritto e pianeggiante o anche leggermente calante, natiche rotonde, arti corti e diritti, zoccoli grandi, coda lunghissima e pelosa, pelo fitto e breve su tutto il corpo, mantello scuro o fromentino”. Questa descrizione rimane immutata se confrontata con le principali caratteristiche somatiche degli odierni bovini Grigi Autoctoni; una ulteriore conferma della presenza in Italia, sempre nel I secolo d.C., di questi bovini indigeni è documentata dal reperimento di cavicchie ossee appartenenti a bovini dalle grandi corna, stratificati in un deposito di rifiuti risalenti a quel periodo e ubicato ad Aquileia, vicino a Venezia (Riedel, 1979). Quindi non solo la documentazione zoopaleontologica, ma anche reperti zooarcheologici, documenti 22 storici e ricerche genetiche, testimoniano l’antica diffusione protostorica anche in Italia delle popolazioni di bovini Grigi Autoctoni (Ciani e Matassino, 2008). Inoltre non è possibile alcun riscontro scientifico della presunta derivazione dei bovini grigi italici da introduzioni di bovini macroceri provenienti dalla Podolia (Ucraina) né dalla più occidentale e meridionale Pannonia (comprendente parte dell’attuale Ungheria) durante le invasioni barbariche a partire dal V secolo d.C.; probabilmente questa teoria dell’origine podolica deriva dall’errata interpretazione di un passo della “Historia Longobardorum” di Paolo Diacono (720-799 d.C.), nella quale si fa riferimento a bovidi dalle grandi corna, sconosciuti fino ad allora alle genti italiche, per le quali costituirono oggetto di meraviglia e stupore; però la parola latina usata dall’autore alto-medievale è Bubalus , Bufalo, che indica chiaramente l’importazione in ambiente italico di un’altra specie di bovidi (Ciani e Giorgetti, 2009); inoltre, lo stesso autore (libro II, cap.24) sempre nella “Historia Longobardorum”, informa che “…. Sive ob hoc Italia dicitur, quia magni in ea boves,hoc est itali, habentur. Ab eo namque quod est italus per diminutionem, licet una lettera addita altera immutata, vitulus appellatur”(Traduzione: “E’ detta Italia per la ragione che in essa vivono grandi bovini, ovverosia ‘itali’. Dalla parola italus,infatti, come diminutivo deriva vitulus, cioè vitello, anche se con una lettera aggiunta e una mutata”); pertanto da questa ulteriore informazione emerge che in Italia erano diffusi e conosciuti, da periodi protostorici molto precedenti, i grandi bovini autoctoni denominati con il termine di “itali”, dai quali addirittura sarebbe derivato il nome Italia. 23 Figura 6. Raffigurazione di Uro maschio del Paleolitico, Italia meridionale, Grotta del Romito, Papasidero (CS). Figura 7. Testa di toro-civiltà Minoico cretese, 1.700-1.450 a.C. (Fonte: Epstein, 1971). 4.2. Descrizione delle razze e/o degli ecotipi Agli inizi del secolo passato le popolazioni di ‘Bovino Grigio autoctono’ occupavano diffusamente tutta la penisola italiana, poiché rappresentavano l’ unica forza dinamica in grado di sopperire anche ai più pesanti lavori agricoli; inoltre, esse manifestavano un alto livello di rusticità, una elevata ‘capacità al costruttivismo’, una notevole sobrietà alimentare e una insuperabile resistenza alle fatiche, dovuta alla conformazione somatica primitiva tipica degli animali eminentemente di tipo dinamico; come gli altri attuali Tipi Genetici Autoctoni Bovini Grigi italiani 24 Chianina, Romagnola, Marchigiana, Maremmana, Piemontese e Modenese, anche la popolazione denominata “Pugliese” o “Podolica” era suddivisa nei seguenti “ceppi” (Parisi, 1950), la maggior parte dei quali sono stati amalgamati e unificati nell’attuale razza “Podolica”, dalla quale sono rimasti isolati e esclusi gli “ecotipi” rappresentati dalla Montanara Modenese, dalla Pasturina, dalla Calvana e dalla Garfagnina, anch’esse definite di “ceppo podolico” dagli studiosi e ricercatori della prima metà del secolo passato, attualmente a grave rischio di estinzione o estinte: 1) Abruzzese : diffuso negli ambienti montani e collinari dell’omonima regione, aveva forme abbastanza corrette con buona attitudine al lavoro e discreta possibilità di produrre carne; questa predisposizione fu acquisita con l’immissione saltuaria di sangue pugliese, maremmano, chianino e romagnolo; allevato allo stato brado su prati naturali e sulle stoppie dalla primavera all’autunno, durante i mesi invernali era ricondotto in stalla o in recinti coperti e alimentato con fieno, paglia e foraggi da erbai; 2) Pugliese : era presente principalmente nella Capitanata, allevato in semibrado con ricovero notturno in stalla da novembre a febbraio, con supplemento alimentare di fieno e paglia; la vacca adulta raggiungeva il peso di kg 450, il toro circa kg 650 (figura 8); Figura 8. ‘Pugliese’: vacca di 4 anni, del peso vivo di 430 kg (Puglie) (Fonte: Parisi O., 1950). 3) Murgese: allevato nella omonima zona allo stato semistabulato, con supplemento alimentare di leguminose, era caratterizzato da conformazione somatica corretta e ben proporzionata con discreto sviluppo delle masse muscolari e quindi buon produttore di 25 carne; aveva una lattazione media di 200 giorni con produzioni di latte variabile da kg 1.000 a kg 1.100, escluso quello utilizzato dal vitello (figura 9); Figura 9. Toro ‘Pugliese’ del bioterritorio delle Murge (Fonte: Parisi O., 1950). 4) Lucana: era distribuito in Campania e Basilicata; veniva allevato allo stato brado nella zona Ionica, trascorrendo l’inverno nelle pianure prospicienti il mare e l’estate sui monti, utilizzando le risorse foraggere dei pascoli naturali, del bosco, dei terreni a riposo e delle stoppie; vivendo in questi agro-silvo-ecosistemi la vacca produceva in media kg 1.000 di latte; nelle zone agronomiche più favorevoli l’allevamento diveniva semibrado con ricovero e alimentazione in stalla in inverno; in queste condizioni la produzione di latte poteva superare i kg 2.000; con questo ecotipo fu sperimentato l’incrocio con la Bruna alpina e i meticci risultarono più precoci, con forme più armoniche e con una maggiore produzione di latte (figura 10); 26 Figura 10. Toro ‘Pugliese’ della Lucania (Fonte ANABIC). 5) Calabrese : diffuso in Calabria, era ritenuto il migliore “ecotipo” Pugliese del Meridione per sviluppo e conformazione, con notevole sviluppo del quarto anteriore; era allevato allo stato brado o semibrado, con transumanza altitudinale verso la Sila e il Pollino, in estesi ambienti montani utilizzati da maggio a ottobre, quando discendeva ai pascoli naturali del piano; le nascite dei vitelli si verificavano da gennaio a tutto aprile; la lattazione era prolungata per quasi 9 mesi e il latte munto ammontava a circa kg 600; la vacca pesava mediamente kg 500, il toro kg 700 e raggiungevano, rispettivamente, un’altezza al garrese di cm 155 e di cm 160; furono tentati ripetuti incroci con tori Romagnoli, Chianini e Marchigiani (figura 11); Figura 11. Toro ‘Podolico’ della Calabria di 2 anni di età (Fonte: Parisi O., 1950). 27 6) Veneta : popolava le province del Basso Veneto, aveva forme molto corrette, ottima attitudine dinamica e una buona resa in carne, poiché fu migliorato incrociandolo con la Romagnola; il peso vivo del toro adulto superava kg 1.000 e l’ altezza media al garrese era di cm 165; la vacca pluripara pesava mediamente kg 700 ed era alta fino a cm 152; alla nascita il vitello pesava kg 38; era allevato in stalla, e solo in alcune località, lungo la costa e sul delta del Po, veniva praticato l’allevamento semibrado stagionale (figura 12); Figura 12. Toro di razza pugliese del Veneto (Padova) (Fonte: Parisi O., 1950). 7) Modenese montanara : era allevato nell’Appennino Emiliano, viveva da maggio a novembre allo stato brado sui pascoli appenninici d’altitudine, mentre in inverno era ricoverato nelle piccole stalle di montagna; aveva una statura ridotta o media a seconda della fertilità dei suoli sui quali era allevato; aveva forme angolose, con torace ben sviluppato soprattutto in altezza, ma il bacino era leggermente stretto, con la groppa inclinata e muscolatura poco sviluppata; la sua principale attitudine era la produzione del latte utilizzato per il consumo familiare e principalmente per produrre burro e formaggi; la produzione lattea annuale era di circa kg 1.500. I vitelli nascevano tutti in primavera, con svezzamento a 5 mesi; il maschio riproduttore era utilizzato già da 14 mesi di età, per una sola stagione di monta e castrato in autunno; a 2 anni era domato e mantenuto al lavoro per 8 anni e macellato a un peso vivo di kg 650 con rese del 53%; erano buoi instancabili con unghioni durissimi e resistenti, molto sobri e con predisposizione all’ingrassamento; infatti, il vitellone di questo ecotipo, se sottoposto a un’alimentazione abbondante fin dallo 28 svezzamento, aumenta notevolmente di dimensioni con grande sviluppo muscolare del bacino e delle cosce; la vacca veniva accoppiata per la prima volta a 15 mesi e terminava la sua carriera produttiva a circa 10 anni (figura 13). Figura 13. Toro ‘Podolico’ della montagna modenese (detto di razza ‘Montanara’ ) (Fonte: Parisi O., 1950). 8) Pasturina e Calvana: diffusi in Appennino Tosco Emiliano-Romagnolo oltre i 600 metri di quota s.l.m., dalla collina Calvana, al Mugello e al Monte Falterona, in Alto Casentino, fino al Montefeltro, erano bovini robusti, angolosi, con corna grosse, caratterizzati da dimensioni variabili, a secondo del bioterritorio di allevamento; la vacca aveva un’altezza al garrese compresa fra cm 125 e cm 150, il toro da cm 140 a cm 160; il peso vivo medio della femmina adulta oscillava da kg 450 a kg 750, quello del maschio adulto da kg 650 a oltre 1.000 (Giuliani, 1933; Silvestri, 1975); il peso vivo del vitello alla nascita variava da kg 20 a kg 30; questi ecotipi avevano una spiccata attitudine al lavoro; il vitello era svezzato a 3÷6 mesi, castrato a 10 mesi e addestrato al lavoro quando raggiungeva i 2 anni, altrimenti veniva macellato all’età di 12 ÷18 mesi con peso vivo rispettivamente di kg 250 ÷ kg 450, con rese del 60% (Silvestri, 1975); la manza era fecondata per la prima volta a 2 anni e allevata per il lavoro per 8 ÷ 10 anni, il loro allevamento era principalmente stabulato, alternato in alcuni periodi al semibrado; la vacca pluripara Calvana, se curata nella alimentazione, poteva prolungare la lattazione oltre i 6 mesi, dando una discreta 29 quantità di latte; infatti, questa vacca veniva munta durante tutto il periodo di allattamento e anche dopo lo svezzamento del vitello; la produzione giornaliera di latte, registrata negli anni ’30 del secolo passato, andava da 16 ÷ 18 litri a oltre con resa di grasso superiore a quella della Bruna alpina (Galotti, 1938); si riporta che 10 vacche pluripare Calvane in allevamento stabulato hanno prodotto una media annua individuale di kg 2.840, con un contenuto in grasso del 4,4 ÷ 4,8 % (Pugelli, 1928); questi ecotipi erano il risultato dell’incrocio e del meticciamento delle bovine Grigie appenniniche locali pugliesi (Montanare), con tori Maremmani, Romagnoli (Parisi, 1950) e, nella seconda metà del secolo passato, con tori Chianini (Russo et al.1997) (figure 14 e 15). Figura 14. Bovino Grigio ‘Pasturina’: vacca. 30 Figura 15. Calvana: torello e manzetta (Fonte: collezione privata) . 9) Garfagnina: questa razza/popolazione è ancora allevata e distribuita in Alta Toscana, nella Garfagnana, zona Appenninica compresa nell’attuale provincia di Lucca; questo Tipo Genetico Autoctono bovino possiede un’elevata ‘capacità al costruttivismo’ nelle condizioni economico-agrarie della Garfagnana, dove è diffusa la proprietà poderale parcellizzata, con limitate condizioni di produzione foraggera, ma con la possibilità di usufruire del pascolo negli estesi castagneti della zona; l’utilizzazione completa di tutte le limitate risorse alimentari stagionali, è stata legata all’allevamento stabulato, con limitati periodi di pascolo controllato nei boschi coltivati; le attitudini funzionali di questa popolazione in ordine di importanza sono state: la produzione del latte, della carne e del lavoro; ma nella prima metà del secolo passato era utilizzata esclusivamente per la produzione di latte e selezionata per questo presentava una mammella ben conformata e sviluppata; la produzione annuale delle pluripare, se correttamente alimentate, ha superato i kg 3.000 di latte, con una media di 4,18% di grasso, per 280 ÷ 300 giorni di lattazione; l’utilizzazione di tutta la produzione del latte per la trasformazione casearia ha favorito la produzione di vitelli da macello, che in passato venivano abbattuti a 60 giorni con un peso vivo oscillante da kg 90 a kg 120 (Bonadonna, 1950); il toro è caratterizzato da una altezza media al garrese di cm 156, la vacca è alta mediamente cm 131; il peso vivo medio del maschio adulto è di kg 650 e quello della femmina pluripara è di kg 455; la durata della vita media produttiva della vacca si aggira sui 12÷13 anni (Bonadonna, 1950) (figura 16). 31 Figura 16. Vacca ‘Garfagnina’ (Fonte: Parisi O., 1950). 5. Gestione storica e ambienti di allevamento brado 5.1.Gestione Storicamente la “mandria” era composta mediamente da 70 capi (50 vacche adulte, 17 soggetti di ambo i sessi sotto i tre anni e 3 tori); i vitelloni destinati a diventare buoi da lavoro erano castrati a 18 mesi, domati all’età di 28 mesi e utilizzati per lavori agricoli fino a circa 9 anni, età in cui venivano opportunamente sottoposti a finissaggio e macellati (Parisi, 1950). L’allevamento brado o semibrado del “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica) richiedeva il lavoro permanente di 5 addetti, ai quali erano affidate la custodia e la gestione dell’attività produttiva; quest’ultima includente la trasformazione giornaliera del latte e il trasporto al mercato dei relativi prodotti caseari. 5.2. Transumanza Con l’incipiente domesticazione delle varie specie di ungulati in tutto l’areale della loro diffusione mediterranea, già in epoca Neolitica gli allevatori hanno privilegiato lo spostamento dei loro animali alla continua ricerca di foraggio fresco e lussureggiante legato alla crescita e/o stasi vegetativa stagionale, piuttosto che coltivare e/o immagazzinare le produzioni foraggere. Tale sistema di pascolo continuo cosiddetto ‘vagante’, supportato da ampie ed estese superfici incolte, era legato fondamentalmente alla stagionalità e alla disponibilità di foraggio in relazione ai vari agroecosistemi interessati. In questo sistema agro-silvo-pastorale è sopravvissuto per millenni l’allevamento del “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica), che ha sempre instaurato 32 uno stato di omeostasi4 con la risorsa pabulare naturale, riuscendo a produrre comunque un discreto reddito in rapporto ai loro ridottissimi costi di mantenimento e di gestione. La transumanza e la monticazione del Bovino Grigio aveva modalità e tipi di spostamento molto variegate e variabili da regione a regione e da zona a zona; in tempi storici la transumanza è sempre stata collegata principalmente all’utilizzazione di terreni demaniali gravati di uso civico. 5.3. Pascolo brado Premessa Gli agro-silvo-ecosistemi naturali o spontanei mediterranei offrono al primitivo Bovino Grigio una composita vegetazione formata da numerosissime specie e varietà di piante, che differiscono ampiamente fra loro in rapporto alle differenze climatiche, geografiche, alla qualità del suolo e alle diversità colturali attuate nel corso dei secoli. Le condizioni climatiche dell’area centrale del Mediterraneo hanno profondamente caratterizzato la produzione foraggera nella variabilità stagionale e interannuale; questi aspetti meteo-climatici, che nelle aree interne dell’Italia meridionale si manifestano con due stasi vegetazionali e produttive in inverno e in estate, hanno favorito lo sviluppo di innumerevoli specie di piante erbacee, arbustive e arboree, che sono largamente utilizzate dal “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica) durante il pascolo. Molte di queste specie sono ancora sconosciute per quanto attiene alla loro qualità in termini di ‘nutraceutica’. La scelta alimentare del “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica) è guidata da una successione temporale dei seguenti fattori in ordine di priorità: il grado di reperibilità, la presenza di sostanze sgradevoli o repellenti, la prensibilità, i diversi livelli di indispensabilità a soddisfare i principali fabbisogni fisiologico-metabolici e la capacità di soddisfare la palatabilità. La vegetazione del pascolo naturale cambia profondamente nel corso delle stagioni, in qualità e quantità. E’ noto che fra tutte le specie ungulate poligastriche, quelle dei Bovini (Uro, Gaur, Banteng, Yak, Bisonte e Bufalo) per la molteplicità e differenziazione dei bioterritori presenti nei loro estesi areali di rispettiva diffusione, sono il risultato di un’elevata ‘capacità al costruttivismo’, che ha permesso a queste specie di sviluppare la maggiore capacità di metabolizzare la notevole quantità di fibre vegetali grezze o grossolane presenti nelle pareti cellulari delle piante (cellulosa). All’interno della stessa specie bovina (Bos primigenius taurus) sono emerse differenze comportamentali fra i vari Tipi Genetici, nella utilizzazione della risorsa 4 Omeostasi: capacità dei viventi di governare le variabili dell’ambiente interno al variare di quello esterno, al fine di mantenerle entro valori tali che non causino danni irreversibili al loro ‘status’ identificabile con quello fisiologico ‘normale’. 33 pabulare, anche quando le fitocenosi sono solo erbacee; infatti, la maggior parte di questi tende a una scelta trofica indifferenziata utilizzando contemporaneamente e completamente le diversificate risorse pabulari, radendo cosí tutto il cotico erboso. Diversamente, il “Bovino Grigio italiano Autoctono” (già Podolica), come il suo diretto progenitore selvatico l’Uro che aveva abitudini alimentari opportunistiche poiché preferiva un regime alimentare misto ed era in grado di adattarsi facilmente, manifesta una successione temporale stagionale delle preferenze trofiche legate a deficit di disponibilità foraggera, che influenza gli equilibri alimentari del bestiame e quegli ambientali del sistema pabulare che supporta l’allevamento: in primavera-inizio estate sono ricercate principalmente le specie leguminose erbacee, arbustive e arboree (per la maggiore concentrazione proteica necessaria per un rapido recupero ponderale e quindi riproduttivo e produttivo) e anche le graminacee; in piena estate l’utilizzazione del pascolo degli ambienti boscati e cespugliati diventa spesso una esigenza indispensabile per la sopravvivenza del bestiame, quando i pascoli sono disseccati dalla siccità e solo la macchia fornisce ancora risorse verdi, erbacee o fogliame di arbusti e di alberi; in autunno sono disponibili principalmente le graminacee, che con il loro equilibrato apporto nutrizionale di proteine e fibre completano e preparano fisiologicamente il “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica) ad affrontare le carenze energetiche dell’inverno. Nel periodo invernale sono disponibili principalmente le specie arboreo-arbustive del pascolo della macchia, della gariga e dei cespuglietti che costituiscono la risorsa primaria di sostentamento per i bovini Grigi. Quindi la stagione di pascolamento è un elemento differenziale di importanza non trascurabile, anche nella scelta degli orizzonti trofici potenzialmente in grado di influenzare le caratteristiche qualitative delle produzioni. Principali Biocenosi e Fitocenosi Le fitocenosi di maggiore interesse pabulare, presenti nei pascoli naturali e/o spontanei delle aree marginali dell’Appennino Meridionale utilizzate per l’allevamento brado del “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica) sono costituite da una serie di tipologie vegetazionali assai diverse fra loro che riguardano particolarmente (Corbetta et al., 1993): 1) faggete, che tradizionalmente nel passato venivano capitozzate per la millennaria consuetudine (scalvatura) di uso del fogliame e della frasca per foraggio, sono caratterizzate da Fagus selvatica, Acer lobelii, Chaerophillum temulum, Asperula taurina, con presenza di Melica uniflora, Lathyrus venetus, Brachypodium sylvaticum, Milium effusum, Festuca eterophylla; le foglie verdi di queste fitocenosi hanno un valore nutrizionale medio equiparabile a 0,75 U.F. x kg di s.v. (sostanza verde); 34 2) prati aridi, talvolta in evoluzione verso la gariga ad Elicriso (Helicrisum italicum 0); prati grassi con predominanza di Asfodelo (Asphodelus albus 2); Exerobrometi; le fitocenosi di questi pascoli sono rappresentate dalle seguenti specie: Bromus erectus 2, Thymus pulegioides 0, Achillea collina 0, Luzula campestris 2, Medicago lupulina 3, Brachypodium rupestre 2, Eryngium campestre 1, Carlina vulgaris 0, Sanguisorba minor 2, Helianthemum nummularium 0, Teucrium chamaedrys 0, Festuca circummediterranea 2, Hieracium pilosella 0, Galium verum 1, Anthillis vulneraria 3, Cerastium arvense 1, Trifolium ochroleucum 3, Carex caryophillea 2, Poa bulbosa 2, Satureja montana 0, Phleum ambiguum 3, Medicago minima 3, Arabis irsuta 2, Ranunculus bulbosus 0, Anthoxantum odoratum 3, Plantago lanceolata 3, Poa trivialis 3, Trifolium repens 3, Dactylis glomerata 3, Cynosurus cristatus 3, Hypochoeris radicata 3, Lotus corniculatus 3, Bellis perennis 1, Rhinanthus alectotolophus 0, Calamintha nepeta 0, Gaudania fragilis 1, Ajuga reptans 0, Phleum pratense 3, Leontodon hispidus 2, Scorpiurus muricatus 3, Dasypirum villosum 3, Trifolium stellatum 3, Aegilops geniculata 2, Bromus hordeaceus 2, Stachys salvifolia 0, Ononis spinosa 1, Sherardia arvensis 0, Viola aethnensis 0, Parentuncellia latifoglia 0, Dorycnium pentaphyllum 2, Pteridium aquilinum 0, Filipendula vulgaris 2, Saxifraga bulbifera 0, Leontodon tuberosus 2, Salvia verbenaca 0, Lathyrus sphericus 3, Dactylis ispanica 3, Orchis sambucina 0, Cruciata laevipes 0, Potentilla hirta 0, Sedum tenuifolium 0, Aristolochia pallida 0, Helleborus bocconei 0, Phlomis erba-venti 0, Myosotis arvensis 0, Myosotis alpestris 0, Leucanthenum sp. 1, Serapias vomeracea 0, Cynosurus echinatus 2, Coronilla scorpioides 3, Melilotus solcata 3, Oenanthe pimpinelloides 0, Secale strictum 3, Crepis vesicaria 2, Pyrus amygdaliformis 2, Briza marina 3, Reichardia picroides 2, Hypericum perforatum 0, Koeleria splendens 2, Anthemis arvensis 0, Aira elegans 1, Cichorium intibus 3, Catapodium rigidum 3, Prunus spinosa 1, Crataegus monogyna 1, rosa sp. 2, Rubus ulmifolius 2, Quercus cerris 2, Malus silvestris 2, Pyrus communis 2, Acer campestre 2; 3) cenosi prative su maggesi (con notevole produzione di massa foraggera), fisionomicamente dominate dalla graminacea Dasypirum villosum 3, in associazione con Anthoxantum odoratum 3, Dactylis glomerata 3, Gaudinia fragilis 1,Lolium perenne 3, Trifolium repens 3, Trifolium radium 3, Plantago lanceolata 3, Rhinanthus minor 0, Poa trivialis 3, Trrisetum flavescens 3, Achillea collina 0, Eryngium campestre 1, Phleum ambiguum 3, Carlina vulgaris 0, Medicago minima 3, Medicago transylvanica 2, Avena barbata 3, Phalaris minor 3, Aegilops geniculata 3, Trifolium stellatum 3, Vicia sativa 3, Medicago 35 orbicularis 3, Trifolium cherleri 3, melilotus solcata 3, Coronilla scorpioides 3, Trifolium tomentosum 3, Urospermum dalechampi 2, Satureja calamintha 0, Salvia verbenaca 0, Anthemis altissima 0, Sherardia arvensis 0, Cichorium intybus 3, Rumex thyrsoides 1, Tragopogon porrifolius 2, Rumex sanguineus 1, Anagallis arvensis 0, Pallenis spinosa 0, Reichardia picroides 2, Stipa capensis 2, Papaver rhoeas 2, Sinapis arvensis 2, Orlaya grandiflora 1, Catapodium rigidum 1,Parentucellia latifoglia 0, Legousia speculum-veneris 0; 4) macchie a Ginestra (Spartium Junceum 1), con cespuglietti di specie spinose (Crataegus monogyna 1, Pyrus amygdaliformis 1, Prunus spinosa 1); inoltre sono presenti Lonicera etrusca 0, Rosa sp. 1, Rubus ulmifolius 1, Pyrus communis 1, accompagnate a specie erbacee quali Bromus erectus 2, Eryngium campestre 1, Teucrium chamaedris 0, Brachipodium sylvaticum 3, Leucanthenum sp. 1, Filipendula vulgaris 2, Anthoxantum odoratum 3, Digitalis ferruginea 0, Thymus serpillum 0, Cynosurus echinatus 3, Cruciata laevipes 0, Viola aethnensis 0, Carlina vulgaris 1, Festuca circummediterranea 3, Luzula campestris 2, Sassifraga bulbifera 0, Poligala major 0, Dactylis Hispanica 3, Phleum ambiguum 3, Rhinantus alectorolophus 0, Koeleria splendens 3, Dorycnium pentaphyllum 3, Geranium lucidum 0, Hieracium piloselloides 0, Silene cucubalus 2, Aira capillaris 2, Calamintha nepeta 0, Phlomis erba-venti 0, Brachypodium pinnatum 2; 5) sodaglie (arativi abbandonati) a Felce aquilina (Pteridium aquilinum 0) unitamente a Bromus erectus 2, Anthoxantum odoratum 3,Trifolium repens 3, Eryngium campestre 1 . Sono presenti inoltre Thymus serpyllum 0, Carlina vulgaris 0, Digitalis ferruginea 0, Luzula campestris 2, Antyllis vulneraria 3, Phleum ambiguum 3, Arabis irsuta 2, Sanguisorba minor 3, Achillea collina 0, Teucrium chamaedrys 0, Cynosurus cristatus 3, Holcus lanatus 1, Dactylis ispanica 3, Calamintha nepeta 0, Trifolium pratense 3, Gaudinia fragilis 1, Trisetum flavescens 3, Plantago lanceolata 3, Briza maxima 3, Rubus ulmifolius 2, Helichrysum italicum 0, Filipendula vulgaris 2, Lathyrus anuus 3, Cruciata laevipes 0, Plantago serraria 2, Phlomis erba-venti 0, Aegilops geniculata2, Cynosurus echinatus 3, Parentuncellia latifoglia 0, Hypericum perforatum 0, Anthemis arvensis 0, Reichardia picroides 2, Dorycnium pentaphyllum 3. Gradi di valutazione pabulare: 3 = Ottimo (Graminacee tenere, Leguminose e Composite non spinose né aromatiche); 2 = Discreto (Graminacee silicizzate o tomentose); 1 = Sufficiente (Piante spinose ma appetibili nei giovani ricacci erbacei); 36 0 = Insufficiente (specie repellenti o per lo scarso pregio organolettico o perché eccessivamente aromatiche o perché spinose, o velenose). La produzione annuale per ettaro, delle predette biocenosi naturali meridionali, varia da 2.400 a 3.970 U.F. (Unità Foraggere) con un contenuto di P.G. (Protidi Grezzi) del 9,11 ÷ 12,73 % della s.s. (sostanza secca) e di F.G. (Fibra Grezza) variabile dal 27,90 al 33,81 % della s.s. (Rubino et al.,1988). 6. Tradizioni, costumi, strumenti per la mandria correlati all’utilizzazione del Bovino Grigio Autoctono Italiano L’attitudine al lavoro del “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica) è stata e tuttora è utilizzata in particolari eventi che evocano antiche tradizioni, usi e costumi della civiltà rurale dell’ Italia meridionale. In Abruzzo si è conservata la tradizione di organizzare corse di carri trainati da Bovini Grigi Autoctoni; la preparazione di queste corse coinvolge e mobilita le comunità, i cui rappresentanti partecipano alle gare, costituendo un settore microeconomico produttivo, che stimola gli investimenti economici, l’attività zootecnica e l’impegno costante dei partecipanti che devono selezionare, curare, preparare e allenare i migliori buoi da corsa, poiché questi spettacoli attirano numerosi turisti e spettatori, con notevoli vantaggi economici per l’economia locale. Questi animali vengono utilizzati anche per trainare lunghissimi tronchi scelti per addobbare le piazze dei vari paesi durante le principali feste tradizionali; infine solo i predetti buoi possono trainare i carri appositamente addobbati e predisposti per trasportare, durante le feste patronali, le statue dei Santi Protettori (figura 17). Una festa patronale particolarmente suggestiva, coinvolgente “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica) per il trasporto di tronchi d’alberi è la Sagra del Maggio celebrata ad Accettura (Matera) dedicata al patrono San Giuliano. Tale festa, culminante con il matrimonio simbolico tra un “maggio” (tronco d’albero) e un ‘agrifoglio’, rappresenta un antico rito propiziatorio di fertilità e di auspicio per un buon raccolto e consta di varie fasi che susseguono dalla domenica dopo Pasqua a quella del Corpus Domini: (a) scelta del “maggio”, simboleggiante il maschio, nel bosco di Montepiano; (b) scelta dell’ “agrifoglio”, simboleggiante la femmina, nella foresta di Gallipoli Cognato, trasportato a spalla, da ragazzi per 15 chilometri; (c) taglio del “maggio”, il quale nella domenica di Pentecoste viene trasportato in paese con l’ausilio di 50 coppie di buoi. Le tradizioni patronali legate all’uso del “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica) consentono di attribuire a tale bovino la cosiddetta ‘quarta virtù’, quella religiosa. 37 Figura 17. “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica): coppia di buoi utilizzata per il trasporto di un tronco. Una particolare tradizione che distingue l’allevamento brado del “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica) è rappresentata dalla utilizzazione di pesanti collari di circa kg 4 di peso, costruiti con cuoio grezzo o con legno appositamente lavorato e stagionato, ai quali è appeso un campanaccio metallico; questi strumenti tradizionali vengono applicati al collo delle femmine più anziane, “leader” dei vari gruppi in cui si suddividono le mandrie durante il pascolo. Questo strumento arcaico, serve ai mandriani per tenere sotto controllo visivo e acustico tutti gli animali affidati alla loro custodia, in modo particolare durante la transumanza (Sportelli, 2005) (figura 18). 38 Figura 18. Campanaccio da transumanza (Fonte: Informatore Zootecnico, 17, 2005, 66). Altri strumenti tradizionali utilizzati nell’allevamento del “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica) sono raffigurati nelle figure 19 e 20. Figura 19. “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica). Ferro per zoccolo di bue (Fonte: ‘Cultura contadina in Toscana’ Ed. Bonechi, 1970). . 39 Figura 20. “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica). Nasiera di contenimento: corta per toro e lunga per buoi (Fonte: ‘Cultura contadina in Toscana’ Ed. Bonechi, 1970). 7. Utilizzazione 7.1 Attitudine Latte e Carne (si rimanda al paragrafo 3.5 per la descrizione delle specifiche produzioni). Lavoro. Con l’avvento della meccanizzazione agricola, il “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica) non è stato più selezionato anche per lo sforzo dinamico necessario nei lavori agricoli. Le figure 21 e 22 mostrano due esempi dell’impiego di tale tipo genetico per la sua attitudine al lavoro. Attualmente l’utilizzo del “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica), come forza lavoro, è limitata all’esbosco nelle aree protette ove la normativa italiana vieta la costruzione di strade tratturabili; a esempio, in Calabria, nelle principali Aree Protette, è consentita l’attività di coltivazione dei boschi e il trasporto dei tronchi recisi utilizzando solo i buoi Grigi Autoctoni come mezzo di trazione. 40 Figura 21. Buoi aggiogati per l’aratura. Figura 22. “Bovino Grigio Autoctono Italiano" (già Podolica): vacche trainanti un tipico carro agricolo (Fonte: Touring Club Italiano “Il folklore: tradizioni, vita, arti popolari 2, Collana “Conosci l’Italia”, XI, 1967). . 7.2 Sistemi di produzione Il principale sistema di produzione della carne con il vitellone ‘Grigio Autoctono Italiano’ è basato principalmente su due tipi integrati di allevamento; i soggetti sono allevati allo stato semibrado con integrazione alimentare, per circa un anno quando raggiungono un peso vivo medio di kg 338; successivamente vengono stabulati per almeno 6 mesi fino al raggiungimento del peso vivo medio finale di kg 470 (Marino et al.,2009). La produzione tradizionale di latte di “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica) è legata a una tradizione molto antica, collegata all’allevamento brado dei bovini primitivi che conservano ancora il comportamento materno ancestrale della specie selvatica da cui derivano, 41 infatti nella vacca la discesa del latte si manifesta solo in presenza del vitello, quindi il redo, nato nel periodo da gennaio ad aprile, per i primi 15-20 giorni è separato dalla madre e avvicinato solo alla mattina e alla sera per il suo allattamento; in seguito madre e figlio stanno insieme solo durante il giorno. Questa separazione dipende dalla necessità di mungere parzialmente la vacca; infatti, nei primi 2 mesi di lattazione è munta al mattino in due quarti della mammella, successivamente nei tre quarti; durante la monticazione o transumanza verticale praticata nel mese di giugno, è solo il vitello a utilizzare il latte; nei mesi di luglio e di agosto, alla sera la vacca è separata dal redo e munta completamente al mattino, rimanendo durante il giorno con il vitello fino al suo svezzamento, che avviene a fine settembre-ottobre (Parisi, 1950). E’ importante annoverare alcune interessanti iniziative di mungitura meccanica, quale quella realizzata presso un’azienda sita in Mottola (TA) (Regione Puglia). 8. Programmi di miglioramento Premessa Le possibilità del “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica) di estrinsecare le proprie potenzialità sono legate all’attuazione di opportuni piani di miglioramento delle sue prestazioni riproduttive e produttive. In effetti esso risulta ancora sconosciuto nelle sue peculiari caratteristiche e, conseguentemente, è necessario approfondire una sua tipizzazione sotto il profilo: genetico, metabolico, biochimico, comportamentale e adattativo. Un continuo miglioramento delle produzioni fornite da questo tipo genetico permetterà di giungere all’ottenimento di prodotti (latte e carne) con specifiche caratteristiche “nutrizionali”, “exstranutrizionali” e “salutistiche” in funzione delle categorie di consumatori alle quali il prodotto è destinato. 8.1. Conservazione e miglioramento in atto Il “Bovino Grigio Italiano Autoctono” (già Podolica), allevato principalmente nell’Italia meridionale, può svolgere un ruolo fondamentale ai fini dello sviluppo delle produzioni animali in determinate aree, a condizione che il reddito dell’allevatore venga incrementato attraverso la razionalizzazione del sistema di allevamento e l’attuazione di opportuni piani di miglioramento. Come è noto (Matassino, 1990), caratteristica peculiare di questo bovino è l’eccezionale capacità al “costruttivismo” in ambienti particolarmente difficili, senz’altro superiore a quella dei bovini di “cultura”, che si esprime sostanzialmente: 42 (a) in una maggiore capacità di controllo omeostatico in condizioni ambientali di grande e talora di estrema variabilità (figura 23); (b) in una maggiore lunghezza fisiologica della vita media; (c) in una più elevata capacità di utilizzazione di foraggi “poveri”; (d) nella capacità di sopravvivere anche a lunghe carenze nutrizionali specifiche; (e) ecc.. Questo tipo genetico, infatti, costituisce il risultato di dinamiche modificazioni genetiche e fenotipiche avvenute nel corso di centinaia, se non di migliaia di anni in relazione alle millenarie variazioni del sistema bioterritoriale; tali modificazioni hanno portato ad un continuo miglioramento della suddetta eccezionale capacità al “ costruttivismo” (Matassino, 1989; Lewontin, 1993). L’attuale programma di conservazione e di miglioramento della “Podolica”, perseguito dal Libro Genealogico della razza, ha individuato i seguenti obbiettivi da realizzare con la selezione: (a) conservazione della: (i) eccezionale “capacità al costruttivismo” in ambienti molto difficili; (ii) notevole facilità di parto; (iii) grande vitalità dei vitelli; (iv) ottima produzione di latte; (b) miglioramento tramite: (i) mantenimento della rusticità e dell’attitudine materna; (ii) aumento della capacità di produrre carne; (iii) incremento della precocità e della resa alla macellazione. A tale scopo nel 1996 è stato istituito il Centro di selezione dei Torelli di Laurenzana (PZ), ove sono state avviate le Prove del Performance Test, che hanno permesso il perfezionamento dell’Indice di selezione Toro e la preparazione di nuovi indici genetici dei riproduttori, che hanno confermato negli anni successivi con i soggetti selezionati le potenzialità della razza ai fini della produzione della carne. L’attività di miglioramento della linea femminile viene attuata, secondo le direttive dell’ANABIC, presso il Centro sperimentale di Molarotta (CS) gestito dall’Agenzia Regionale per lo sviluppo e l’innovazione in Agricoltura. Attualmente l’ANABIC ha dato un indirizzo ben preciso sul modello somatico affinché il “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica) possa definitivamente consolidare una tipologia univoca e ben definita, inerente in particolare ai seguenti aspetti: 43 - permanenza di un’ampia variabilità della taglia, in funzione delle diverse aree di diffusione, poiché una omogeneizzazione delle dimensioni non è compatibile con l’ampia differenziazione degli ambienti di allevamento; - indipendentemente dalle dimensioni, il modello previsto dovrà convergere verso tratti razziali forti, tronco lungo e più marcatamente cilindrico, costato più aperto nell’anteriore, ventre tendenzialmente sostenuto, groppa con migliore struttura e inclinazione e con maggiori diametri ischiatici; - essendo una razza a eminente attitudine materna, dovranno essere preferiti nelle vacche i caratteri di evidente femminilità, con testa leggera, espressiva, con incollatura lunga e collegata armoniosamente al corpo; l’addome dovrà dimostrarsi capiente e la mammella dovrà mantenere l’attuale volume dei quarti e conservare le forme e le dimensioni dei capezzoli; - la funzionalità degli arti, particolarmente i posteriori dovranno essere più corretti e meno vaccini; - l’aumento della muscolosità rimane un obbiettivo primario, che deve interessare tutto il tronco e in particolare le parti identificate dai tagli nobili, che valorizzano la carcassa. Il centro Selezione Torelli sta producendo, per questo aspetto, significativi risultati (Guarcini e Ridolfi, 2007). 44 Figura 23. “Bovino Grigio Autoctono Italiano" (già Podolica): immagini che testimoniano la notevole “capacità al costruttivismo” (Fonte: Rocco G., 2008). 9. Economia Da ricerche effettuate da Matassino (1986a; 1996), rivalutate in euro correnti, per un’azienda di 100 capi che abbia la seguente composizione categoriale annuale media: (a) femmine = 64 %, di cui: (i) 19 % in età anteparto; (ii) 45 % in età postparto; (b) maschi = 7,5 %, cosí distinti: (i) 2 % torelli; (ii) 2% tori; (iii) 3,5 % vitelloni scaturirebbe quanto riportato nella tabella 5. Tabella 5. Reddito netto (RN) (Euro correnti) dell’ ‘imprenditore-allevatore’ del bovino Podolico (Matassino, 1986a; 1996). CONDUZIONE DIRETTA PROPRIETA' RN (I + ST + BF + T) * FIDA RN (I + ST + T) 53.862 49.987 61.512 57.637 CON SALARIATI SUPERFICIE A PASCOLO IN AFFITTO PROPRIETA' RN (I + ST + T) RN (I + ST + BF + T) FIDA RN (I + ST + T) AFFITTO RN (I + ST + T) 1. Senza integrazione UE 40.898 7.141 3.245 -5.842 2. Con integrazione UE 48.548 14.791 10.895 1.808 * RN: Reddito netto I: interessi sul reddito ST: stipendio (compenso per lavoro intellettuale,di direzione, amministrazione e sorveglianza tecnica) BF: beneficio fondiario T: tornaconto (compenso per l'opera di organizzazione e di coordinamento dei diversi fattori produttivi). La conduzione di tale allevamento richiede, mediamente, 1,47 unità lavorative uomo (ULU) giornaliere per effettuare le seguenti operazioni: custodia (controllo degli animali al pascolo, 45 all’entrata e all’uscita dei recinti), mungitura, trasformazione casearia, allattamento vitelli, trattamenti profilattici e terapeutici, ecc.. Tenendo conto dell’incidenza delle festività, delle ferie e delle assenze per malattia, il compenso relativo a ciascun addetto si aggira intorno ai 900 euro netti al mese. 9.1 Prodotti locali Caciocavallo ‘Podolico’ Formaggio stagionato a pasta filata, semidura e non cotta, salata in salamoia (qualche giorno) prodotto dal latte di vacca di “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica) (mungitura della mattina). Alcune curiosità storiche. Tra le ipotesi sull’origine della denominazione si ricordano le seguenti: (a) provole, legate insieme, venivano fatte stagionare a 'cavalcioni’; (b) marchiatura della superficie del formaggio con un logo rappresentante un cavallo (Regno di Napoli). Il caciocavallo rappresenta, anche, un prodotto per il pagamento dell’affitto di un pascolo; a esempio, nel Cilento (Sa) si alleva un fenotipo denominato ‘culo rosso’5, ritenuto piú galattopoietico. Marchio di qualità. Il marchio di qualità legato al ‘caciocavallo Podolico’ è attualmente riconducibile al ‘caciocavallo silano’, riconosciuto come DOP con Regolamento (CE) n. 1236/96 (pubblicato sulla GU n. L 163/96 del 2.7. 96) nel rispetto del Disciplinare di Produzione approvato con DPCM del 10 maggio 1993 pubblicato sulla GURI n. 196 del 21.VIII.93. L’allegato II riporta il disciplinare di produzione, nonché altri riferimenti legislativi Ai fini di una tutela del “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica) quale TG produttore di questo formaggio, sarebbe auspicabile un marchio con la denominazione ‘caciocavallo podolico’ . Valore Energetico/ 100 G: Kcal: 340 Carboidrati: 1.5 g Proteine: 20 g Grassi: 27 g 5 Fenotipo caratterizzato dalla depigmentazione delle aperture naturali. 46 Acqua: 50 g Calcio: 300 mg Manteca o Burrino Prodotto agroalimentare tradizionale (ai sensi dell’art. 8 del D. Lgs 30 aprile 1998, n. 173). Categoria: formaggio Area geografica di produzione: Puglia e Campania Caratteristiche generali: è composto da due parti: (a) quella esterna: pasta filata di caciocavallo di colore bianco o giallo paglierino; (b) quella interna (cuore) di materia grassa, derivante dalla ricotta di siero ‘manteca’ in salamoia. Il sapore è dolce, pastoso e burroso. Scamorza La 'scamorza' Podolica è ottenuta nell'ambito dello stesso ciclo produttivo del 'Caciocavallo' Podolica. Alla sua produzione viene destinata quella porzione di pasta che, a causa del susseguirsi delle operazioni di filatura e formatura del 'Caciocavallo', risulta troppo consistente per la produzione di quest’ultimo. Le forme sono modellate manualmente a forma di anfora allungata e sono rassodate in acqua fredda a 10 ÷ 15 °C per qualche ora; segue la salatura per immersione in salamoia al 20 ÷ 22 %, a 15 ÷ 16 °C per 2 ÷ 3 ore. Le scamorze sono generalmente consumate fresche oppure, legate in coppia con una corda di rafia, previa asciugatura in apposite cantine ventilate e fresche (< 20 °C) per non più di 7 giorni. Mozzarella nella Mortella La mozzarella è di forma allungata, a mò di fuso, lunga circa 10 cm, con un peso intorno ai 70 grammi. Il colore è biancastro tendente al giallo chiaro. La pasta ha una maggiore consistenza rispetto a quella di un comune fiordilatte e rilascia scarse quantità di siero al taglio. Spesso alla pasta si conferisce la forma di treccia. La zona di produzione di questo formaggio è rappresentata da comuni siti nel Cilento (Regione Campania). La tipicità di questo prodotto è legata alla sua materia prima e alla modalità di confezionamento. Secondo un’antica tradizione le mozzarelle, generalmente in numero di sette, appena preparate vengono avvolte in rametti di mirto, essenza tipica della macchia mediterranea, ricca di oli essenziali. Dopo alcune ore dal confezionamento, il caratteristico aroma del mirto comincia a profumare anche le mozzarelle che conservano in superficie l’impronta dei rametti e delle foglie. Nelle zone più interne e caratterizzate da maggiore altitudine, diversi trasformatori 47 sostituiscono al mirto le foglie del faggio. Oltre a questa tipica essenza della macchia mediterranea si usavano anche il giunco o l’asfodelo. Caciocchiato Il “Caciocchiato” o “Caciocchiata”, è un formaggio tipico del salernitano, prodotto dal latte di vacche di “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica) allevate allo stato brado. Le forme di “Caciocchiata” assomigliano a una grossa pera, e hanno un peso variabile tra i 10 e i 15 kg; nonostante la stagionatura si protragga per 8 ÷ 10 mesi, il sapore rimane dolce e delicato. La pasta si presenta ricca di piccoli fori detti “occhi” responsabili della denominazione di tale formaggio: “cacio occhiato”. Carne Nel 2006, in analogia all’IGP “Vitellone bianco dell’Appennino Centrale”, è stata proposta la Dop del “Vitellone Podolico del Mezzogiorno italiano”, quale marchio di qualità della carne prodotta dal “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica) (Ciappelloni, 2006). 9.2 Marketing Le predette ricerche (Matassino, 1986a; 1996), rivalutate in euro correnti, forniscono un valore di produzione vendibile/anno pari a circa 55.379 euro derivante per circa il 68 % dalla vendita dei prodotti caseari e per circa il 32 % dalla vendita dei soggetti da carne e di fine carriera: (a) caciocavallo ‘Podolico’: 37.327 euro all’anno considerando una utilizzazione annua di soltanto 500 kg da latte /vacca dei 1.575 kg prodotti, una resa minima pari al 10 %, 31,5 vacche in lattazione (70 % delle vacche presenti/anno) e un prezzo di 23,70 euro al kg (b) carne: 18.052 euro ottenuti da: (i) soggetti a fine carriera (‘quota di rimonta’ o ‘quoziente di avvicendamento’ = 14%): 3.271 euro (ii) vitelloni: 14.781 euro. 10. Finanziamenti Tra i progetti di tutela del “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica), con particolare riferimento alla valorizzazione delle tradizioni e dell’economia dei bioterritori interessati dall’allevamento di tale tipo genetico, si ricordano i seguenti: 48 (a) Progetto UE - INEA - POM (Programma Operativo Multiregionale) A06 “Ecosostenibilità dell’allevamento dei tipi genetici bovini Marchigiana e Podolica in aree della Campania, del Molise e della Basilicata”; (b) REGIONE CAMPANIA- PROGRAMMA LEADER + - Asse II – Misura 1Progetto di cooperazione interterritoriale LEADER+; si è trattato di un progetto di cooperazione interterritoriale avente lo scopo di valorizzare il sistema di allevamento pastorale e transumante del “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica) dell’Appennino Meridionale attivando sinergie tra i Gruppi di Azione Locale e le altre istituzioni operanti nelle regioni Campania, Basilicata, Puglia e Calabria; l’intento è stato raggiunto operando secondo due linee: (i) attivazione di percorsi di storia, cultura, turismo e ambiente della montagna meridionale; (ii) valorizzazione produttiva del “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica) dell’Appennino Meridionale; (c) Programma Operativo Regionale (POR) (2000-2006). 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