Tematica 7
TEMATICA 7
RUOLO DEGLI IONI METALLICI NELLE PATOLOGIE
DEGENERATIVE CRONICHE
Alla realizzazione di questo progetto di Ricerca concorreranno sei unità operative, in cui sono
localizzati gruppi di ricerca con competenze specifiche e complementari, in particolare:
UNITÀ OPERATIVA DI CATANIA,
UNITÀ OPERATIVA DI BARI,
UNITÀ OPERATIVA DEL SALENTO,
UNITÀ OPERATIVA DI FERRARA,
UNITÀ OPERATIVA DI SIENA,
UNITÀ OPERATIVA DI NAPOLI.
- SINTESI
Negli ultimi decenni, le patologie di tipo neurodegenerativo (es. morbo di Alzheimer, morbo di
Parkinson, diabete di tipo II) hanno raggiunto larghissima diffusione. In casi specifici, quali il
morbo di Creutzfeld-Jakob o la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), è stato evidenziato rispetto
all’eziologia della malattia un coinvolgimento della disomeostasi cellulare dello ione rame, sebbene
siano ancora sconosciute le possibili ricadute nel processo neurodegenerativo [1, 2]. E’ innegabile
che il rame costituisca un micronutriente essenziale, in tracce, per la sopravvivenza di tutti gli
organismi [3]. Tuttavia, se in eccesso rispetto alle necessità fisiologiche di una cellula e non
adeguatamente gestito da opportuni tamponi cellulari, questo ione scatena degli effetti tossici o
addirittura letali [4]. L’assunzione di rame da parte di un organismo animale avviene
essenzialmente attraverso le mucose intestinali ed è mediata da sistemi di trasporto saturabili ad
elevata affinità per il substrato appartenenti alla famiglia CTR [5, 6]. All’interno della cellula, gli
ioni rame liberi, data la loro natura estremamente reattiva, sono praticamente inesistenti e sono
legati da una famiglia di proteine altamente conservate nei procarioti e negli eucarioti, i chaperon
del rame, che veicolano il metallo verso specifici compartimenti subcellulari ed enzimi che lo
richiedono come cofattore [7]. L’efflusso di rame dalla cellula avviene essenzialmente ad opera
delle Cu-ATPasi di Menkes e Wilson, normalmente localizzate a livello dell’apparato di Golgi, ma
che, in presenza di un eccesso di rame, si localizzano a livello della membrana plasmatica per
promuoverne l'uscita dalla cellula [8]. Alterazioni del delicato equilibrio omeostatico del rame
dovuto al malfunzionamento di queste ATPasi sono associate a stati patologici di tipo
neurodegenerativo conosciuti come morbo di Menkes e morbo di Wilson [9]. Nell’intento di
chiarire i meccanismi molecolari attivati in risposta ad una ridotta biodisponibilità dello ione e che
potrebbero essere ragionevolmente messi in relazione con l’evoluzione di patologie di carattere
neurodegenerativo, l’UO di Lecce intende sviluppare un progetto di ricerca basato sull’utilizzo di
modelli cellulari di origine neuronale esposti ad un’alterata disponibilità di rame nel mezzo
extracellulare. Si valuterà in ciascuna condizione sperimentale la suscettibilità allo stress ossidativo
attraverso misure di espressione ed attività dell’enzima Superossido-dismutasi e analisi delle
alterazioni nei livelli di radicali liberi. Sarà studiata l'azione del rame sulla stabilità delle sinapsi
utilizzando marcatori molecolari specifici del processo di sinaptogenesi (sinaptofisina) e della
stabilità delle membrane post-sinaptiche (PSD95), e valutando l'espressione della proteina di
Menkes. L'espressione dei chaperon coinvolti nel trasporto intracellulare dello ione sarà monitorata
attraverso PCR e Western blotting, mentre il dosaggio intracellulare dello ione sarà eseguito tramite
assorbimento atomico. L'utilizzo della spettrometria Raman, una tecnica non invasiva e non
distruttiva che si basa sull’interazione radiazione-materia, permetterà di localizzare le possibili
compartimentalizzazioni dello ione a livello di organelli sub-cellulari. Infine, lo studio proteomico
di estratti cellulari e del secretoma nelle condizioni sperimentali testate permetterà di individuare
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eventuali variazioni nel pattern di espressione proteica specificatamente legate al dismetabolismo
del rame.
Patologie neurodegenerative quali il morbo di Alzheimer, il morbo di Parkinson, le patologie
prioniche o l’Insonnia Fatale, sono indiscutibilmente legate a processi di misfolding a carico di
particolari proteine (o frammenti di proteina), che, diventando conseguentemente insolubili e
resistenti alle proteasi, si accumulano in organi vitali come cervello, fegato o milza [10]. Nel caso
specifico del morbo di Creutzfeldt-Jacob nell’uomo, della BSE nei bovini e della scrapie negli ovini
(per citare solo le malattie prioniche più note), a rimarcare una possibile correlazione tra
disomeostasi del rame e alterato metabolismo di specifiche proteine, risulta opportuno sottolineare
come l’agente eziologico di queste malattie ad esito fatale sia costituito da un’isoforma aberrante
della proteina prionica cellulare (PrPc), la quale è in grado di interagire con gli ioni rame Cu2+ [11].
La PrPc è una glicoproteina ancorata alla membrana cellulare tramite un residuo di
glicosilfosfatidilinositolo (GPI) ed è un normale costituente della superficie dei neuroni [11]. Le sue
funzioni biologiche non sono conosciute. Caratteristica peculiare della proteina prionica è la
presenza del dominio 60-91, altamente conservato in tutti i mammiferi, in cui si trova un
octapeptide ripetuto quattro volte, PHGGGWGQ, in grado di legare quattro ioni Cu2+. E’,
comunque, noto che gli ioni Cu possono stabilire interazioni anche con i residui istidinici nelle
posizioni 96 e 111 [11]. Nell’intento di fornire informazioni più precise sulla natura dell’interazione
tra ioni Cu2+ e proteina prionica cellulare, l’UO di Ferrara, già impegnata nello studio degli equilibri
di complesso-formazione dello ione metallico con opportuni frammenti di proteina assunti a
modello (tecniche impiegate: potenziometria, calorimetria, spettroscopia) [12-15], intende rivolgere
la propria attenzione al problema tuttora irrisolto dei modi di coordinazione dello ione Cu2+ al
dominio della PrPc contenente i residui His-96 e His-111. Di particolare interesse risulta chiarire
quali siano, oltre all'istidina, i residui amminoacidici coinvolti nel legame di coordinazione.
L’indagine sarà approfondita mediante l’utilizzo di opportuni derivati peptidici, che possano aiutare
a chiarire il ruolo delle catene laterali degli amminoacidi presenti nei confronti della struttura e della
stabilità dei complessi formati. L'U.O. di Napoli intende proseguire i suoi studi sulle proteina
prionica, inserendosi nell’ampio panorama degli studi sui determinanti biostrutturali della proteina
prionica. L'attenzione sarà rivolta al dominio relativo all’elica α2 della PrP umana che, in relazione
con gli aspetti conformazionali, esibisce effetti singolari riconducibili alla sua composizione
amminoacidica. Infatti è proprio in questa zona del dominio C-globulare del prione che si trovano le
maggiori mutazioni genetiche alla base di significative e ben descritte patologie nell’uomo. Studi di
mutagenesi hanno infatti dimostrato che alla mutazione del residuo di Asp178 con uno di Asn
[D178N] sono associati due distinti disordini: l’Insonnia Familiare Fatale e la Sindrome di
Creutzlfeldt-Jacob (CJD), entrambi dipendenti dal polimorfismo M/V al codone 129 del gene della
proteina prionica. Lo studio e la comprensione di aspetti conformazionali di questo dominio in
presenza dello ione Cu2+ potrebbero costituire un opportuno sistema semplice e maneggevole, utile
soprattutto per la comprensione delle interazioni struttura-funzione alla base del folding anomalo
dell’intera proteina.
Saranno sintetizzati in forma protetta peptidi protetti all’estremità C-terminale con il gruppo
ammide e funzionalizzati all’ N-terminale con il cromoforo fluoresceina del dominio C-globulare
corrispondente all’elica 2 della PrP umana di sequenza:
Fluoresceina- NNFVHNSVNITIKQHTVTTTTKG-NH2 :
Fluoresceina- NNFVHNC(Me)VNITIKQHTVTTTTKG-NH2:
Fluoresceina- NNFVHNCVNITIKQHTVTTTTKG -NH2 :
Fluoresceina- VNITIKQHTVTTTTKG-NH2 :
Fluoresceina- VNITIKQATVTTTTKG-NH2 :
hPrP[173-195]C179S
hPrP[173-195]C179C(Me)
hPrP[173-195]D178N
hPrP[180-195]
hPrP[180-195]H187A
Successivamente si effettueranno studi di interazione peptide/cationi metallici (Cu2+, Zn2+, Na+)
mediante analisi spettroscopiche in soluzione di UV, di fluorescenza e di Dicroismo Circolare (CD).
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Infine si valuterà attraverso test
di attività biologica sui peptidi mediante la tecnica
dell’immunofluorescenza seguita da analisi al microscopio confocale.
Oltre che in riferimento alle patologie prioniche, un’innegabile correlazione con disomeostasi dei
metalli è emersa nel caso specifico del morbo di Alzheimer (AD), ritenuto una patologia
"angiogenesi-dipendente" [16]. Infatti, la neurotossicità da β-amiloide (A-β) è correlata ad
alterazioni nei processi di angiogenesi (processo Cu-dipendente) [17], mediate da interazioni del
peptide con i recettori integrinici [18]. Un altro mediatore delle interazioni tra cellula e peptidi A-β
con effetti nelle disfunzioni cellulari dell'AD è il Receptor for Advanced Glycation End Products
(RAGE). A questo proposito, esiste una correlazione tra la glicazione dei peptidi A-β, la loro
aggregazione/oligomerizzazione e tossicità rispetto a cellule neuronali, in presenza di rame e
attraverso l'attivazione dell’enzima iNOS (Inductible Nitric Oxide Synthase), deputato alla
produzione di NO [19]. Se a questo si aggiunge che l’Angiogenina (Ang), proteina plasmatica
angiogenica legante 2.4 ioni per molecola e in grado così di modulare la sua interazione con le
cellule endoteliali [20-21], presenta ruoli particolari nell'angiogenesi normale e patologica (SLA)
[22-24], sarebbe di grande interesse studiare la possibile formazione di complessi tra l'NO ed il
rame con l'Ang e la loro capacità di influenzare l'attività angiogenica.
Date queste premesse, l’U.O. di Catania intende avviare un progetto di ricerca in cui si utilizzi come
modello di studio il derivato peptidico solubile A-β(1-42) coniugato con PEG (glicole
polietilenico), unitamente ad altri peptidi trealosio-coniugati analoghi al peptide β-sheet breaker di
Soto LPFFD, da usare come modulatori del processo di aggregazione dell'A-β(1-42). L’U.O.
focalizzerà, inoltre, la propria attenzione sulla sintesi di un derivato peptidico fluorescente dell'Aβ(1-42). Tutti i peptidi sintetizzati, previa caratterizzazione mediante studi NMR e di Dicroismo
Circolare, saranno impiegati per dare risposte alle seguenti problematiche: i) individuazione degli
epitopi di A-β responsabili del riconoscimento della subunità alfa-V delle integrine; ii) valutazione
degli effetti del rame(II) sulla fibrillogenesi e sull'attività angiogenica dell'A-β (1-42); iii) analisi
dell’attività chaperonica di una proteina, l'αB-cristallina, nota per esercitare un effetto inibitorio
sull'aggregazione di piccoli peptidi A-β [25-27] in varie condizioni (presenza di rame, ambiente
capace di glicazione, variazioni di temperature, etc...) e definizione di una possibile correlazione
con i fattori angiogenetici; iv) studio dell'interazione dell'NO con i complessi di rame(II) e
rame/zinco con il peptide A-β(1-16) (frammento noto per inglobare i residui amminoacidici
responsabili dell’interazione metallo/β-amiloide). L’UO di Catania prevede di condurre un’analisi
delle modalità di interazione rame-Ang, cui sarà associato lo studio dell’l'interazione tra l'Ang e
l'NO e tra le specie di rame con l'Ang e l'NO. Saranno studiati gli effetti di differenti peptidi
sintetici dell'Ang sull'attività ed espressione di fattori quali il VEGF (Vascular Endothelial Growth
Factor) ed il bFGF (basic Fibroblast Growth Factor) in colture cellulari endoteliali e neuronali, in
modo da evidenziare un'interazione funzionale. Inoltre, poiché l'attività neuroprotettiva del VEGF si
esplica attraverso la sua capacità di promuovere neurogenesi ed angiogenesi, nella prospettiva della
messa a punto di nuovi approcci terapeutici in almeno alcuni disordini neurodegenerativi, l’UO di
Catania intende valutare l’effetto di peptidi con attività VEGF forniti dall'UO dell'Università di
Napoli (VEGF, elica 17-25) in modelli di colture cellulari, prestando attenzione all’attivazione di
specifiche trasduzioni di segnale tirosina chinasi dipendenti (PI3K/Akt, Ras/Raf-MEK/Erk,
eNOS/NO, IP3/Ca2+) e al ruolo del rame e dei recettori RAGE. Il ruolo di questi ultimi sarà
investigato mediante l’uso di specifici anticorpi monoclonali come bloccanti o per misurare
variazioni d’espressione, mentre i vari cammini antinfiammatori potranno essere rivelati attraverso
l'analisi di specifici marker (ILs, NFKB, PARP, iNOS). Si impiegheranno saggi di
immunoistochimica, RT-PCR, tecniche Western-blot and ELISA per analizzare l'espressione dei
vari fattori e l'attivazione delle cellule endoteliali sarà testata tramite misure d’espressione o analisi
della distribuzione degli elementi coinvolti nella proliferazione o nella tubulogenesi (Tie-1, Tie-2;
endotelina-1, endoglina, Krit-1, Efrine, Integrine, IL-6, VCAM-1, etc...). I processi proinfiammatori saranno studiati misurando la produzione di interleuchine (IL-6), TNFα, MIP-2,
l'espressione di NF-kappaB, iNOS, PARP e valutando l’attivazione della via di trasduzione del
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segnale Jak-STAT. Una sfida nello studio dell'attività del RAGE e del suo impatto nella risposta
agli stress e nello sviluppo delle malattie croniche è cercare di distinguere tra il meccanismo che
sostiene l'infiammazione e il danno ai tessuti e quello che tenta, invece, di rimediare. In quest’ottica,
l'UO di Catania analizzerà i processi legati all’attivazione del RAGE, con riferimento
all’espressione di fattori di crescita e loro recettori coinvolti nel processo di angiogenesi in colture
cellulari endoteliali e neuronali e al ruolo dei recettori integrinici.
Caratteristica comune a svariate malattie neurodegenerative (morbo di Parkinson, il morbo di
Alzheimer, Sclerosi Amiotrofica Laterale) è l'accumulo di proteine ubiquitinate nelle placche di
inclusione [28], che suggerisce come il malfunzionamento del Sistema Ubiquitina-Proteasoma
(UPS) rivesta un ruolo importante nello sviluppo patologico di queste malattie. L'Ubiquitina è una
proteina costituita da 76 amminoacidi, che, se attivata, si lega covalentemente alle proteine
substrato destinate alla proteolisi, rendendole riconoscibili da parte di un vasto complesso multisubunità con un nucleo centrale proteolitico, noto come Proteosoma [29]. A ribadire una
correlazione tra alterata omeostasi di ioni metallo e malfunzionamento del sistema UPS, occorre
ricordare che il danneggiamento del proteasoma può essere innescato, oltre che
dall'invecchiamento, da una condizione di stress ossidativo [30], cui contribuiscono gli livelli
elevati di metalli (come Fe, Cu e Zn) riscontrati nei tessuti di soggetti malati [31-32]. In particolare,
processi di ossidazione catalizzati dal rame a carico dell’ubiquitina ne alterano la stabilità
conformazionale [33]. Inoltre, gli ioni metallici possono condizionare stati patologici legati ai
tumori e alle metastasi incidendo sui processi di neovascolarizzazione [34-37]. A conferma di ciò, è
stato dimostrato che farmaci in grado di chelare il rame usati nella patologia di Wilson (TM,
trientina, D-PA) hanno effetto anti-angiogenetico in modelli murini di cancro [38-40] e che zinco e
ferro hanno un ruolo nel deterioramento dell’UPS [41-45]. Essendo stati parallelamente riportati
degli effetti anti-angiogenetici da parte di inibitori del proteasoma [46, 47], l’ipotesi di una
correlazione metallo-UPS risulta più che plausibile. A questo si aggiunga che un accumulo del
complesso ferro-neuromelanina è riscontrabile nei neuroni dopamminergici della sostanza nigra
durante l'invecchiamento [48]. La neuromelanina può compromettere l'attività del proteosoma 26S,
sebbene non sia chiaro quale parte sia realmente citotossica ed inibisca l'attività del proteosoma
[49].
Nel complesso, tali evidenze avvalorano l'idea che agenti in grado di complessare metalli
(cliochinolo, carnosina) possano essere impiegati nel trattamento di malattie correlate ad
un'anomala attività dell'UPS. Sulla base di studi preliminari che hanno evidenziato il ruolo di Fe, Cu
e Zn sulla stabilità termodinamica dell'ubiquitina, l’UO di Catania propone un progetto di ricerca
che si articola in due fasi:
i) Si propone la caratterizzazione del dominio di interazione Ubiquitina/metallo (Fe, Cu, Zn) e degli
effetti del pH, della forza ionica e del diverso rapporto molare metallo-proteina sulla stabilità
termodinamica dell’Ubiquitina e sulla sua conformazione (cristallografia a raggi-X, misure di
risonanza magnetica nucleare 2D). Si effettuerà uno studio dei complessi metallo/proteina in
presenza o meno di H2O2 mediante indagini spettroscopiche. Quindi, dopo aver caratterizzato gli
intorni di coordinazione di diversi ioni metallici con l'Ubiquitina, sarà progettata una libreria di
molecole antagoniste per il legame metallico.
ii) Saranno condotti studi sull’azione svolta dagli ioni metallici, in particolare rame e zinco, sulle
colture di neuroni corticali di ratto rispetto alla loro capacità di modulare le attività proteolitiche del
proteosoma 20S purificato. La tossicità indotta dal metallo sarà misurata mediante saggio MTT e
l'induzione della proteina p53 sarà verificata come marker dell'apoptosi neuronale
(immunocitometria, Western blot). Gli estratti cellulari relativi a ciascuna condizione sperimentale
saranno impiegati per misurare l'attività del proteosoma. Inoltre, gli effetti del rame e dello zinco
saranno paragonati a quelli esercitati dalla lattocistina, un inibitore del proteosoma coinvolto nella
neurotossicità. L'accumulo di proteine ubiquitinate sarà verificato mediante analisi Western blot e
mediante imaging con microscopia confocale delle inclusioni intra-neuronali di ubiquitina. Si
verificherà se gli ioni metallici siano in grado di impedire l'attività del proteosoma per interferenza
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con il meccanismo di assemblaggio-disassemblaggio del proteosoma 26S (studi di coimmunoprecipitazione per verificare la mancanza di associazione tra la subunità catalitica della
particella 20S e la subunità del recettore dell'ubiquitina Rpn10 della particella 19S; analisi di
colocalizzazione subcellulare delle diverse subunità del proteosoma mediante microscopia
confocale). Dopo aver caratterizzato gli effetti dei differenti ioni metallici sui diversi partner
coinvolti nel sistema UPS, saranno testati specifici agenti metallo-chelanti (es. carnosina) come
potenziali agenti farmaceutici. Infine, saranno anche saggiate le molecole progettate sulla base degli
studi chimici.
I corpi di Lewy sono aggregati proteici presenti nel citoplasma dei neuroni dopaminergici di
pazienti affetti da morbo di Parkinson e da altre malattie neurodegenerative. Essi hanno una forma
sferica e sono costituiti da un denso nucleo centrale circondato da un alone fibrillare [50]. I
principali componenti dei corpi di Lewy sono l’α-sinucleina, l’ubiquitina e la parkina, una
ubiquitina-ligasi. Si ritiene che l’accumulo di α-sinucleina rappresenti il primo evento nel processo
di formazione dei corpi di Lewy, mentre la parkina e l’ubiquitina vengano incorporate in un
secondo momento. Eccezioni a questa serie di eventi sono rappresentate da una rara forma di
Parkinson giovanile ed una forma familiare della malattia, in cui l’aggregazione della parkina e
della ubiquitina avvengono nella fase iniziale.
L’aggregazione dell’α-sinucleina è stata studiata estesamente ed è stato dimostrato che essa viene
catalizzata da ioni metallici [51]. Al contrario, in letteratura non esistono studi sull’aggregazione
dell’ubiquitina, che viene considerata una proteina molto stabile. Le UO di Bari e Catania hanno
recentemente dimostrato che Cu(II) si lega all’ubiquitina con affinità micro molare [52],
confrontabile con quella dell’α-sinucleina [53] e di altre proteine amiloidogeniche [54], e ne riduce
la stabilità termica. Una proteina destabilizzata è più propensa all’aggregazione. Infatti l’ubiquitina
in presenza di ioni Cu(II) tende a formare specie oligomeriche, che evolvono verso aggregati più
estesi in condizioni di pH e temperatura vicine a quelle fisiologiche ed in presenza di solventi
organici che abbassano la costante dielettrica del mezzo. L’UO di Bari si propone di caratterizzare
gli aggregati di ubiquitina indotti da ioni metallici attraverso tecniche di determinazione strutturale
allo stato solido e in soluzione, come la risonanza magnetica nucleare, e attraverso tecniche di
microscopia di forza atomica e a trasmissione elettronica, e di studiare le possibili correlazioni e
analogie con gli aggregati patogeni di α-sinucleina. Inoltre, dal momento che Cu(II) e altri metalli
bivalenti si legano alla regione N-terminale dell’ubiquitina, in prossimità del residuo Lys63, l’UO
di Bari studierà l’effetto del legame degli ioni metallici sul processo di poliubiquitinazione sulla
Lys63 [55], che è fondamentale per la rimozione degli aggregati citoplasmatici per autofagia,
ovvero attraverso il loro confinamento e la successiva degradazione lisosomiale [56].
Poiché l'inibizione del proteosoma 26S è noto essere correlata con la bassa affinità del ferro rispetto
alla neuromelanina o ad altre componenti della sua struttura, tre diverse componenti del complesso
neuromelanina-Fe saranno isolate da campioni autoptici del cervello di soggetti che non presentino
evidenze di malattie neuropsichiatriche e neurodegenerative: i) neuromelanina senza componente
lipidica; ii) neuromelanina senza componente peptidica; iii) neuromelanina con un contenuto
variabile di ferro. Queste specifiche componenti saranno trattate per preparare campioni per studi in
vitro ed in vivo, al fine di stabilire in che misura siano responsabili dell'inibizione del proteosoma.
A prescindere dagli effetti legati ad una compromessa interazione del ferro con la neuromelanina,
alterazioni nel metabolismo di questo metallo sono correlate a numerose patologie umane.
L’emocromatosi, le talassemie, l’artrite reumatoide, l’infiammazione, le neoplasie e le malattie
neurodegenerative sono esempi emblematici del coinvolgimento del ferro libero nelle complicanze
di malattie con differente eziogenesi [57-61]. La disponibilità di ferro non più legato a specifiche
proteine a causa di errori nella sua regolazione sembra essere responsabile del quadro patologico. In
tutti i mammiferi, il ferro è trasportato e immagazzinato tramite specifiche proteine e il suo rapporto
assorbimento/escrezione è finemente regolato da un complesso sistema informativo basato
sull’espressione/repressione di specifici geni [62]. Il ferro trasportato dall’emoglobina ed
immagazzinato dalla ferritina epatica rappresenta quasi totalmente quello presente nel corpo umano.
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Dopo la rimozione dal circolo e la degradazione intrasplenica degli eritrociti senescenti,
l’emoglobina viene degradata, il residuo porfirinico escreto per via biliare come bilirubina, gli
amminoacidi ed il ferro eminico ridistribuiti. Questa procedura di riciclaggio è di grande importanza
in quanto consente che il fabbisogno giornaliero di ioni ferrosi sia estremamente basso. Durante
l’evoluzione questo aspetto ha consentito la scelta selettiva del meccanismo esposto, dal momento
che esso minimizza il "turnover" del ferro. Una più intensa escrezione, e, pertanto, un maggiore
assorbimento aumenterebbero il rischio del contatto ferro-ossigeno molecolare, che, attraverso la
reazione di Fenton, darebbe origine a specie molecolari iperreattive dell’O2 [63-64]. Nelle ultime
decadi sono stati progettati, sintetizzati e clinicamente sperimentati diversi complessanti del ferro
[65-69] con lo scopo di favorire l’escrezione del metallo in eccesso in vari tessuti. Tuttavia, benchè
attualmente siano in commercio alcune sostanze con caratteristiche opportune per l’escrezione del
ferro, nessuna di queste è del tutto accettata a causa di effetti collaterali troppo marcati. L’UO di
Siena è stata in passato impegnata nella progettazione, sintesi e studio di un nuovo legante [70], il
cui utilizzo in vivo è risultato sfortunatamente improprio a causa di una sua eccessiva lipofilia, che
impediva di raggiungere il ferro in ambiente intracellulare. E’ stata, quindi, progettata una molecola
con gli stessi gruppi complessanti, solo un po’ più idrofila e con un peso molecolare più basso [3idrossi,2-(5’-idrossipentil)-4-pirone] [71]. In realtà, le procedure di sintesi hanno portato alla
formazione di un miscuglio di tre specie, escludendo la possibilità che tale nuovo legante potesse
essere effettivamente adoperato. Per tali ragioni, l’UO di Siena intende proseguire tali studi nel
tentativo di mettere a punto un legante del ferro che possa agire in condizioni fisiologiche.
Processi fotocontrollati in sistemi organizzati a base porfirinica.
Nel contesto di un’avviata attività di ricerca orientata alla progettazione di "drug-delivery systems"
biocompatibili, di notevole importanza nella messa a punto di approcci terapeutici nel caso di
differenti stati patologici, l’UO di Catania intende sviluppare un’attività di ricerca volta allo studio
di sistemi a base porfirinica (attivati e/o controllati dall'assorbimento fotonico), che, in virtù delle
loro proprietà fotofisiche e fitochimiche, sono candidati ideali per l’impiego in terapia
fotodinamica. Quest’ultima trova applicazione nel trattamento delle malattie tumorali e sfrutta la
combinazione di un sistema fotosensibile (fotosensibilizzatore), di luce visibile e di ossigeno
molecolare [72]. Per essere fotochimicamente attivo il fotosensibilizzatore deve essere localizzato
in prossimità del bio-target, dunque è essenziale la progettazione di "drug-delivery systems" in
grado sia di veicolare opportunamente il fotosensibilizzatore nel compartimento cellulare come
anche di preservarne l’attività fotodinamica [73, 74]. Derivati porfirinici legati tramite terminazioni
tioliche in modo “covalente” alla superfice delle nanoparticelle di metalli nobili o di semiconduttori
[75, 76], comunemente noti come metal-protected-clusters (MPC), sono particolarmente versatili
anche per applicazioni nei settori dell’optoelettronica e della sensoristica [77, 78]. Il programma di
ricerca dell'UO di Catania, che ha come filo conduttore l’interazione "porfirine-luce", prevede
l’utilizzo della radiazione luminosa UV/Vis sia come potente mezzo d’indagine in grado di fornire
informazioni sui processi di autoorganizzazione di complessi porfirinici sia come stimolo esterno
facilmente manipolabile in grado di controllarne opportunamente l’organizzazione molecolare e/o
attivarne delle funzioni specifiche.
La prima fase dell’attività di ricerca programmata si articolerà in tre differenti tematiche,
riguardanti l’organizzazione di sistemi molecolari a base porfirinica i) in soluzione, ii) in
nanoparticelle, iii) in films sottili, con potenziali applicazioni nel campo dell’elettronica molecolare
e optoelettronica, della biomedicina e della sensoristica.
i) Processi fotoindotti in soluzione.
Oggetto di studio saranno porfirine-derivati (Zn-porfirine dimeriche e coniugati di porfirine con
ciclodestrine) in grado di organizzarsi in complessi supramolecolari caratterizzati da proprietà
ottiche opportunamente modulabili. In particolare, l’idea ci si propone di esplorare le proprietà delle
Zn-porfirine dimeriche in presenza di adatti leganti contenenti nella loro struttura appropriate unità
fotoattive reversibilmente controllabili da luce di differente frequenza. L’utilizzo di coniugati
porfirina-ciclodestrina costituisce, invece, un’appropriata strategia per permettere la
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solubilizzazione in solvente acquoso di porfirine poco idrosolubili e studiare gli effetti di chiralità
indotta dalla presenza dell’oligosaccaride. Sulla base di incoraggianti risultati preliminari ottenuti in
collaborazione con altri gruppi di ricerca, l’UO di Catania si propone di analizzare un triplice
aspetto di questi sistemi: i) la capacità di autoassemblarsi su scala nanoscopica dando luogo a
strutture con peculiari proprietà fotofisiche controllabili da opportune condizioni sperimentali
(temperatura, solvente, pH etc...); ii) la capacità di incorporare dentro la cavità ciclodestrinica
opportuni "guests" in grado di permettere un nuovo riarrangiamento delle nanostrutture; iii) la
capacità di questi porfirine-coniugati di fotosensibilizzare la formazione di ossigeno di singoletto, la
principale specie attiva in terapia fotodinamica dei tumori. Saranno, infine, indagati fenomeni di
autoorganizzazione dei suddetti composti e di nuovi derivati porfirinici in sistemi biologici modello
(sistemi micellari e vescicolari) tramite combinazione di tecniche spettroscopiche stazionarie e
risolte nel tempo.
ii) Processi fotoindotti in nanoparticelle.
L’obiettivo è sviluppare nuovi tipi di sistemi nanoparticellari a base porfirinica, che fungano da
sistemi "carrier-fotosensibilizzatore" conservando le proprietà fotodinamiche. L’UO di Catania si
prefigge, inoltre, di realizzare "metal-protected-clusters" (MPC) che, a differenza di quelli su
nanoparticelle di oro, siano caratterizzati da una più efficace risposta agli stimoli luminosi e da
elevata efficienza di generazione di ossigeno di singoletto. Si vuole, inoltre, estendere le indagini a
sistemi nanoparticellari semiconduttore-porfirina con lo scopo di realizzare nanoparticelle
"bicromoforiche" con potenziali applicazioni tecnologiche anche nel campo dell’optoelettronica.
iii) Processi fotoindotti in films sottili.
Questa linea di ricerca intende chiarire le proprietà spettroscopiche, fotochimiche e strutturali di
derivati porfirinici autoorganizzati in film sottili preparati mediante tecniche Langmuir-Blodgett
(LB) e Self-Assembling (SA), dalle potenziali applicazioni nel campo dell’optoelettronica e della
sensoristica, perseguendo l’ottenimento di film sottili con proprietà dicroiche e/o fotocontrollabili.
La realizzazione di film mono- e multistrato di sistemi porfirinici su substrati di platino messi a
punto dall’UR di Catania rappresenta un’attività dalle stimolanti prospettive. Per la
caratterizzazione spettroscopica e strutturale dei suddetti sistemi, oltre alle convenzionali tecniche
spettroscopiche, l’UR si avvarrà di un fluorimetro accessoriato di doppio monocromatore e sistema
di analisi "in front-face", di un sistema di "laser-flash-photolysis" adattabile per analisi su film, di
un sistema di spettroelettrochimica particolarmente indicato per le misure sugli elettrodi di platino
ultrasottili e di indagini di tipo AFM (Microscopia a Forza Atomica).
Sintesi non-covalente in soluzione acquosa di aggregati di porfirine.
La seconda fase del progetto di ricerca elaborato dall’UO di Catania riguarda la sintesi noncovalente in soluzione acquosa di aggregati porfirinici e si articola nei seguenti punti:
i) Progettazione, sintesi e caratterizzazione (sia in soluzione che allo stato solido) di complessi
supramolecolari multi-funzionali e/o chirali multi-stabili.
Le varie specie supramolecolari saranno sintetizzate attraverso un approccio sintetico noncovalente. L’UR di Catania ha già pubblicato alcuni esempi di complessi supramolecolari formati
da porfirine tetra-cationiche (H2T4 ed alcuni suoi derivati planari) e porfirine tetra-anioniche
(H2TPPS), entrambi achirali. Se la loro complessazione avviene in presenza di templati chirali, le
specie formate presentano chiralità a livello supramolecolare. Grazie alla loro inerzia cinetica,
questi aggregati porfirinici memorizzano la chiralità del templato e la conservano anche dopo la
rimozione del templato stesso. Questi studi hanno hanno suggerito l’opportunità della progettazione
di una nuova specie supramolecolare per la quale è possibile distruggere e riformare l’aggregato
chirale (e quindi "cancellare" e "riscrivere" la memoria chirale). Dati preliminari di Dicroismo
Circolare hanno evidenziato che le caratteristiche dei complessi sono in realtà tali da consentire di
cancellare e riscrivere la memoria, ciclando tra lo stato chirale e quello achirale grazie a variazioni
di pH. La proposta è, quindi, di proseguire ed ultimare la caratterizzazione di questi complessi così
da avere maggiori informazioni sul numero di cicli di cancellazione-scrittura che si possono
effettuare. Infine, si propone lo studio del comportamento di questi aggregati con la temperatura. La
131
Tematica 7
caratterizzazione sarà effettuta in soluzione acquosa mediante tecniche spettroscopiche
(assorbimento UV-vis fluorescenza, dicroismo circolare, scattering risonante).
ii) Sintesi di complessi formati da calixareni chirali e porfirine.
Partendo da una serie di studi spettroscopici e strutturali pubblicati recentemente e relativi a
interazioni porfirina-calixarene, si intendono studiare le interazioni tra calixareni cationici e
porfirine anioniche e le complessazioni tra calixareni chirali e porfirine di carica opposta. Le
possibili applicazioni di questi complessi sono molteplici, dall’attivazione di effetti ottici nonlineari del secondo ordine o "two-photon absorption" alla sintesi di sensori (enantioselettivi) o
semplici modelli di emoproteine.
iii) Analisi strutturale e spettroscopica delle specie derivanti dal self-assembly dei complessi chirali
del Rutenio(II) con porfirine o ftalocianine anioniche.
La presenza del Rutenio offre la possibilità di attivare processi di trasferimento di energia dalla
parte inorganica verso la parte organica. Si intende, infine, investigare la modulabilità delle
proprietà multifunzionali (ottiche, di spin, etc.) delle suddette specie mediante la commutazione
redox attraverso opportune reazioni chimiche o elettrochimiche.
Effetto di ioni metallici biocompatibili sui meccanismi di fotosensibilizzazione in biomodelli a
crescente complessità molecolare.
E’ dimostrato come un oligoelemento bio-compatibile possa influenzare efficacemente non solo la
biodisponibilità di un farmaco, ma anche il suo meccanismo molecolare di fotodegradazione e di
fotosensibilizzazione. In particolare, il rame riesce a modulare le vie fotochimiche coinvolte nella
fotodegradazione di farmaci e la fotosensibilizzazione su nucleosidi con la capacità di limitare la
fotodegradazione e la formazione dei prodotti diagnostici per le reazioni di tipo II (via ossigeno
singoletto). I risultati ottenuti negli ultimi anni hanno permesso di ottenere numerose informazioni
sui meccanismi fotochimici, fotofisici e di fotosensibilizzazione di un farmaco a struttura
fluorochinolonica, la Rufloxacina (RFX), molto usato nella terapia antibiotica ad ampio spettro.
Questo composto è un inibitore della DNA girasi batterica ed appartiene ad una categoria di
farmaci, che mostra proprietà fotosensibilizzanti verso componenti biologici, quali membrane e
acidi nucleici. Alcuni di questi farmaci sono responsabili anche di reazioni cutanee pericolose,
mentre altri possono essere considerati come agenti di fotomutagenesi e fotocarcinogenesi. L’uso di
ioni metallici a basse concentrazioni può rappresentare un valido strumento per inibire gli effetti
tossici fotoindotti dal farmaco RFX e lo ione Cu2+ esercita, appunto, una buona azione
fotoprotettiva attraverso la riduzione della fotodegradazione della RFX e la diminuzione della
fotoossidazione dei residui guaninici del DNA.
Di recente sono stati avviati studi sulla fotosensibilizzazione in biomodelli a crescente complessità
molecolare (fibroblasti e lievito). Da sempre i processi chimici attivati dalla luce sono strettamente
correlati all'evoluzione del genere umano, alle sue attività e al suo ambiente naturale. La
molteplicità, la varietà e l’importanza di tali processi è tale da interessare un’intera branca della
chimica comunemente nota come “Fotochimica”. Questa moderna area della ricerca scientifica
coinvolge oggigiorno settori sempre più interdisciplinari. Processi attivati e/o controllati
dall'assorbimento fotonico hanno, infatti, molteplici sviluppi applicativi in campo chimico, fisico,
medico e biologico. La possibilità di attivare processi altrimenti inaccessibili, di bloccare canali di
reazione indesiderati o di controllarli in modo selettivo, rappresentano alcuni dei preziosi vantaggi
offerti dalla luce come “reagente” pulito, economico e facilmente manipolabile.
L’attività di ricerca che si intende intraprendere è principalmente incentrata sullo sviluppo di
sistemi nanoparticellari a base metallica attivabili dalla luce, di interesse nel campo delle terapie
fotodinamiche in oncologia. Tali trattamenti si basano sull’utilizzo della luce e di opportuni sistemi
cromoforici (fotosensibilizzatori) in grado di assorbirla, per produrre specie chimiche aggressive nei
confronti delle cellule tumorali. Ossigeno di singoletto (1O2) e ossido di azoto (NO) hanno un ruolo
determinante in questo tipo di trattamenti. L’ossigeno di singoletto è infatti una specie eccitata
dell’ossigeno dotata di un potere ossidante molto più grande dell’ossigeno nel suo stato
fondamentale. Essa viene generata in seguito ad un processo di trasferimento di energia fotoindotto
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Tematica 7
tra il fotosensibilizzatore e l’ossigeno molecolare e, se prodotta nelle vicinanze di cellule tumorali è
in grado di indurne la morte. Le proprietà dell’ossido di azoto come agente antitumorale sono state
scoperte solo recentemente ma non sono sorprendenti alla luce del suo carattere radicalico, della sua
assenza di carica e del suo alto coefficiente di diffusione. In particolare il presente programma di
ricerca si articola attraverso lo sviluppo di due differenti tipi di sistemi:
a) nanoparticelle costituite da un cuore metallico rivestito con opportuni gruppi fotoattivabili;
b) nanoparticelle di tipo anfifilico in grado di incorporare complessi metallici fotoattivabili .
Nel caso dei sistemi di tipo a l’attenzione sarà focalizzata su nanoparticelle di platino e oro
preparate sia per via termica che per via fotochimica. I gruppi fotoattivabili da inserire
successivamente saranno scelti in base alla conoscenza della loro reattività alla luce (capacità di
fotogenerare 1O2 e NO) e saranno opportunamente modificati per via sintetica in modo da introdurre
in essi terminazioni di tipo tiolico tali da favorire il legame con la superficie metallica. In tale tipo
di nanoparticelle il cuore metallico oltre che rappresentare una adatta piattaforma per l’ancoraggio
delle molecole fotoattive e per la loro bio-veicolazione, ha un ruolo attivo in prospettiva delle
cosiddette terapie bimodali, in quanto permette di dissipare sotto forma di calore e in uno spazio
relativamente ristretto l’energia luminosa assorbita dal metallo provocando una sorta di
microustioni localizzate. La sinergia di questi effetti fotochimici e fototermici è alla base di una
efficace un’azione nel trattamento
delle patologie tumorali (Fig. a). La
strategia progettuale che si intende
seguire per la
realizzazione dei
sistemi di tipo b consiste invece nella
preparazione nanoparticelle basate su
opportune molecole anfifiliche che
contengono nella loro struttura unità
fotoattive. L’idea perseguita è quella
di realizzare particelle di tipo
micellare fotoattive come opportuni
carrier di complessi metallici a base
porfirinica o ftalocianinica loro volta
fotoattivabili. I sistemi in esame
costituiscono
una
sorta
di
nanoparticelle di tipo bicromoforico
in
grado
di
essere
eccitato
selettivamente o simultaneamente
mediante stimoli di luce di opportuna
frequenza (Fig. b).
In entrambi i casi la scelta delle unità
cromoforiche sarà anche effettuata
sulla base delle loro proprietà di
fluorescenza in modo da poter
permetterne
la
visualizzazione
nell’ambiente biologico oggetto di
studio
mediante
tecniche
di
microscopia di fluorescenza.
Per la realizzazione del presente progetto ci si avvarrà sia di tecniche spettroscopiche tradizionali,
quali NMR e Massa, per la caratterizzazione dei composti sintetizzati sia di un completo parco
apparecchiature per le caratterizzazione dei sistemi nanoparticellari e della loro reattività
fotochimica quali dynamic light scattering, fotoreattori equipaggiati con sorgenti di luce di
differente energia, spettroscopia di assorbimento ed emissione in stato stazionario, laser flash
photolysis con risoluzione al nanosecondo, spettroscopia in emissione risolta nel tempo con
133
Tematica 7
risoluzione al microsecondo. Una fase particolarmente importante del progetto riguarda ovviamente
il monitoraggio e l’esatta quantificazione delle due specie chimiche transienti oggetto di interesse,
ovvero 1O2 ed NO. A tal fine, le metodologie sperimentali più convenienti consistono nella loro
rivelazione diretta senza l’ausilio di reattivi chimici che spesso possono condurre a risultati non
veritieri. Pertanto, il monitoraggio dell’1O2 sarà effettuato misurando direttamente il suo segnale di
fosforescenza centrato a 1270 nm mediante l’ausilio di un laser di eccitazione con impulsi di circa 6
ns e di un rivelatore infrarosso raffreddato ad azoto liquido e munito di un opportuno filtro
interferenziale a 1270 nm. Per quanto riguarda il monitoraggio dell’NO esso sarà effettuato per via
amperometrica sfruttando un elettrodo sensibile univocamente a questa specie radicalica e avente
una sensibilità nel range del nM. L’impiego di tali metodologie sperimentali permetterà non solo la
rivelazione non ambigua di entrambe le specie ma anche l’esatta determinazione della cosiddetta
resa quantica ossia il numero di molecole prodotte rispetto alla quantità di fotoni assorbiti dalle
unità fotoattive.
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tematica 7 ruolo degli ioni metallici nelle patologie degenerative