www.caosfera.it creativitoria 100% MADE IN ITALY V is i on i Aurelio Vacca Arleri REPARTO BLITZ 2077 ISBN copyright 2012, Caosfera Edizioni www.caosfera.it soluzioni grafiche e realizzazione Aurelio Vacca Arleri REPARTO BLITZ 2077 CAPITOLO PRIMO La nuovissima Fiat Secura del Dr. Giacomo Carli procedeva verso piazza San Carlo in testa a una fila di una decina di altre auto che mantenevano al millimetro la distanza tra di loro grazie allo scambio continuo di dati tra le rispettive centraline automatiche a controllo totale. La macchina, ovviamente, non era programmata per essere orgogliosa di se stessa ma il Dr. Carli, libero da ogni problema di guida, sedeva a testa alta nell’abitacolo, guardandosi intorno per cogliere le reazioni ammirate dei passanti di fronte al più recente gioiello uscito dalle catene automatiche di produzione della Fiat. Davanti al semaforo giallo tutta la fila ridusse gradualmente la velocità e la distanza relativa tra i veicoli, in modo da arrivare a fermarsi esattamente a filo della riga del passaggio pedonale, senza procurare la minima scossa ai propri passeggeri, occupati nelle più svariate attività, con i paraurti praticamente a contatto, in modo da non occupare neanche un millimetro in più dello spazio strettamente necessario. 5 La vecchia Lancia da collezione, ancora a guida manuale, arrivò alle spalle della coda a velocità sostenuta, ignorando in pieno il divieto di passaggio per tutti i veicoli non automatici, e il suo guidatore decise che non valeva la pena di frenare di colpo e di mettersi in fila ma che era molto meglio passare tranquillamente sulla sinistra, invadendo in parte la corsia opposta, in modo da trovarsi in testa quando fosse nuovamente scattato il verde. Prese di sorpresa da questo comportamento, rilevato dai sensori di ostacoli ravvicinati, le centraline automatiche di controllo totale iniziarono a inviare una serie continua di messaggi verso la Lancia, che non li raccolse minimamente per il fondamentale motivo di non essere dotata di una propria sofisticata centralina per riceverli, banalmente sostituita dal cervello, dalle mani e dai piedi del proprio guidatore, i cui riflessi risultavano anche un po’ offuscati dai cinque o sei sinto-brandy ingollati poco prima. Non essendo prevista nei suoi programmi la possibilità che la macchina in arrivo la potesse superare scavalcando la linea di mezzeria, che per lei era come un muro assolutamente invalicabile, la centralina dell’ultima vettura in fila iniziò a trasmettere i dati raccolti dai propri sensori e relativi a distanza, velocità, fattore di decelerazione, dimensioni lineari, volume e massa dell’intrusa, avviando nel frattempo una serie di calcoli automatici il cui risultato, prontamente trasmesso a tutte le altre, portava a dovere effettuare un’immediata ripartenza veloce di tutta la fila, per ristabilire il giusto flusso del traffico ed evitare incidenti. Come risposta immediata, da parte della prima della fila, giunse la rilevazione del semaforo (rosso) e della distanza dal passaggio pedonale (0,1 micron) che di fatto impedivano il seppur minimo avanzamento della fila. L’unica soluzione possibile, elaborata e condivisa 6 nel giro di pochi microsecondi, era l’occupazione della zona neutra d’emergenza al confine con il marciapiede, in modo da lasciare alla Lancia lo spazio sufficiente per proseguire nella direzione di marcia, minimizzandone l’invasione della corsia opposta. I sensori ravvicinati verificarono la disponibilità di spazio nella zona d’emergenza e la manovra fu avviata immediatamente da tutta la fila delle auto. Purtroppo l’indice di urgenza valutato da tutte le centraline superava abbondantemente quello del livello di confort di guida programmato dai rispettivi occupanti, visto che l’unica possibilità di attuare la manovra consisteva nell’improvviso arretramento di tutta la fila, seguito da un altrettanto rapido avanzamento con accostamento a destra. Dopo un ulteriore controllo dello spazio disponibile nella zona di manovra, da parte dei sensori di vicinanza, le centraline si sincronizzarono tra di loro e la manovra venne attuata. Come un enorme serpente le dieci macchine scattarono all’indietro, dopo avere uniformato la velocità complessiva scambiandosi i dati sulle rispettive accelerazioni massime, e quindi ripiombarono nuovamente in avanti, fino alla linea pedonale, effettuando contemporaneamente una brusca sterzata verso destra. L’uovo sodo che il Rag. Rampelli stava iniziando a sbocconcellare gli si infilò in bocca sino a metà, impedendo così al ragioniere stesso di pronunciare a voce alta la sfilza di imprecazioni che proruppe invece da parte del Sig, Cosimo, che si era vista piombare addosso la faccia del Presidente del Consiglio, la cui foto campeggiava sulla pagina del giornale che stava leggendo, fino ad attraversarla e ritrovarsi quindi con la testa al di là degli annunci pubblicitari. L’impettito Dr. Carli, che sedeva piuttosto rigido nella 7 stupenda Secura di testa, facendosi ammirare dai pedoni che stavano attraversando l’incrocio, si trovò a proporre ai passanti la vista, non certo eclatante, delle proprie terga, essendo piombato tutto disteso sui sedili anteriori, con il braccio destro malamente incastrato tra gli stessi. Analoghi comportamenti stavano capitando a tutti gli occupanti della fila delle auto quando Bob, cane bastardo inspiegabilmente sfuggito alla severissima polizia ecologica, che stava indecentemente orinando sulla base della più vicina colonna dei portici, disturbato dalla brusca manovra della fila di auto decise, senza la minima logica, di smettere di fare pipì e allontanarsi da tutto quel trambusto attraversando di corsa la strada e senza rispettare il passaggio pedonale e il semaforo, bensì tagliando l’incrocio in diagonale in modo da seguire la via più breve per l’angolo diametralmente opposto dell’incrocio, visto come meta ideale in base a non si sa bene quali assurdi pseudo-ragionamenti canini. Privo della matematica certezza di essere completamente al sicuro tra le azzurre strisce pedonali, certezza radicata ormai da tempo in tutti i pedoni, Bob aveva evidentemente ed erroneamente deciso che questo sistema di fuga fosse la migliore risposta all’improvvisa e sconcertante manovra di tutte quelle auto piombate verso il portico, dove stava tranquillamente svuotando la vescica. La decisione su cosa fare nei confronti delle auto in movimento, che stavano attraversando l’incrocio nell’altro senso, era stata temporaneamente rimandata al momento opportuno. Quando s’accorse che il momento era arrivato, visto che si trovava ormai in mezzo all’incrocio, Bob decise che la migliore soluzione del problema era quella di aggirare di corsa le auto in movimento, mano a mano che gli si presentavano davanti, iniziando così una specie di rapidissimo girotondo proprio nel centro 8 dell’incrocio stesso. Ancora una volta i sensori delle varie auto in marcia dimostrarono la propria efficienza nel rilevare tempestivamente l’ostacolo e le centraline di controllo coordinarono perfettamente le manovre delle auto, consentendo così a tutte di completare in maniera assolutamente indolore, sia per loro stesse che per il cane, l’attraversamento dell’incrocio. La serie di bruschi sbandamenti, di frenate e di improvvise accelerazioni era stata adeguata al livello di pericolosità della situazione e quindi gli unici a subire qualche conseguenza furono i placidi occupanti delle auto, colti assolutamente impreparati, essendo ormai abituati da lungo tempo ai tranquilli spostamenti garantiti dalle loro super evolute vetture automatiche. Furono rari anche i pedoni, nel tranquillo e ordinato flusso che scorreva tra le due righe azzurre, che spostarono lo sguardo per seguire l’improvviso carosello al centro dell’incrocio e tutti comunque valutando che quanto succedeva non era un loro problema, ripresero rapidamente l’abituale assetto di marcia gomito a gomito nella folla. Luigi Sella, comodamente seduto a un tavolino del dehors del bar Roma, con vista perfetta sull’incrocio, sorseggiando l’aperitivo appena fornitogli dal barman automatico seguì invece tutta la movimentata scena con evidente e crescente interesse, scoppiando infine in una gran risata che stupì non poco le persone che lo circondavano, convinte che non ci fosse nulla di divertente nella dimostrazione di efficienza tecnologica appena avvenuta. Luigi Sella però, cinquantenne ex esperto di informatica al suo primo giorno di pensionamento forzato, felice e triste allo stesso tempo per il suo nuovo stato di inattività obbligata, grazie alla sua esperienza lavorativa aveva 9 visto tutto l’accaduto come una bella farsa, logica conseguenza della programmazione delle centraline, effettuata dai programmatori automatici dei centri di produzione automatizzati, programmati automaticamente da calcolatori centrali collegati tra loro per l’automatico accesso comune ai dati automaticamente raccolti dai rilevatori automatici e autoprogrammanti sparsi un po’ ovunque. E lui, invece, era stato messo in pensione, dopo essersi laureato e avere frequentato corsi di specializzazione tecnica sino ai quarant’anni per poi dedicarsi, negli ultimi dieci anni, a seguire corsi di aggiornamento e simulazioni non-applicative di programmi. L’unico intervento attivo gli era capitato di farlo circa sei mesi prima, grazie a un filtro delle procedure di aggiornamento automatico dei livelli decisionali che richiedeva una risposta (SI oppure NO) dall’esterno del sistema per potere variare la qualità dei sensori applicati alle vettura. La variazione di qualità era automaticamente determinata in base a rilevazioni statistiche e a prove di laboratorio auto-regolanti; l’eventuale risposta NO veniva quindi rifiutata, causando unicamente la riproposizione della domanda sino al doveroso SI (che comunque veniva preso come ovvia risposta di default dopo tre ricicli della domanda stessa), ma era comunque stata una bella soddisfazione quella di fare attendere a un calcolatore l’autorizzazione umana a procedere, grazie a quell’ultima, stupida richiesta di intervento esterno lasciata all’interno del programma, anni addietro, da un programmatore romantico incaricato della conversione delle procedure all’automazione globale. Anche se non avrebbe comunque potuto agire altrimenti, il fatto di essere stato lui a dovere rispondere quel SI lo coinvolgeva un po’ negli avvenimenti appena accaduti, 10 visto che proprio i sensori erano stati i maggiori responsabili del carosello di auto a cui aveva assistito. Intanto Virginio Ferri, comunemente detto Spinotto per la sua innata abilità nell’inserirsi in qualsiasi apparecchiatura automatica per utilizzarla a proprio vantaggio, stava comodamente seduto nell’auto di testa della fila, ferma al semaforo, che proveniva dalla parte opposta a quella della Secura, nell’unica zona dell’incrocio sinora rimasta tranquilla. La sua auto lo stava efficientemente trasportando alla destinazione richiesta, certa che si trattasse del suo legittimo proprietario, il quale invece in quel momento stava vagando nell’ampio parcheggio sotterraneo in cui l’aveva lasciata due ore prima, convinto di essere in preda ad un attacco di amnesia totale. Vedendosi arrivare di fronte la Lancia, a cavallo della linea di mezzeria, Spinotto riuscì rapidamente a disinserire lo stato di marcia automatica della sua vettura, lasciandole solo la modestissima possibilità di segnalare alle altre auto la sua presenza e la sua momentanea impossibilità a muoversi, anche per casi di emergenza. In contemporanea con il verde del semaforo questa nuova situazione anomala venne quindi trasmessa a tutte le altre auto ferme all’incrocio e le auto che seguivano quella di Spinotto dovettero rapidamente mettersi d’accordo con quelle della fila di fronte, sempre guidate dalla nuovissima Secura, per concordare uno spostamento virtuale, temporaneo, della linea di separazione delle carreggiate, in modo da sfruttare il poco spazio rimasto disponibile per ottenere comunque un ordinato flusso di traffico in entrambi i sensi di marcia. Grazie al perfetto coordinamento delle manovre, concordato tra tutte le auto in tempo reale, iniziò quindi l’attraversamento dell’incrocio da parte delle due file 11 sino a quando il guidatore della Lancia, i cui riflessi erano molto più lenti di quelli delle centraline di controllo, realizzò finalmente il verde del semaforo, scattato ormai da ben più di mezzo secondo, e pigiò sull’acceleratore cercando, assurdamente, di balzare in testa alla fila di auto già in movimento dalla sua parte. Ancora una volta i sensori captarono il movimento della Lancia e i messaggi delle centraline si incrociarono ad altissima velocità per concordare una soluzione comune al problema. Tutte le soluzioni estrapolate però, in stretto ordine decrescente di rendimento, si autoscartarono immediatamente per le condizioni contingenti di occupazione dell’incrocio, per i tempi di reazione necessari, ridotti al minimo, e per l’assoluta impossibilità di coinvolgere in una manovra comune sia la macchina di Spinotto che la Lancia la quale, oltretutto, divenne la variabile determinante, in rapida e continua variazione di posizione e di velocità, tanto che contribuì a generare duemilacinquecentosedici ipotesi di soluzioni, subito scartate perché ormai obsolete, nel giro di circa 24 centesimi di secondo. Mentre le auto elaboravano e si scambiavano rapidamente altre ipotesi di soluzioni, la Lancia urtò con il proprio paraurti la Secura, mandandola parzialmente a invadere l’attraversamento pedonale, e si infilò tranquillamente in testa alla fila, allontanandosi dall’incrocio. La centralina della Secura entrò in crisi, data la posizione assolutamente anomala del veicolo, e decise a sua volta di disinserire lo stato di marcia, permettendo così agli altri veicoli di coordinare finalmente tra di loro le modalità di attraversamento dell’incrocio. I pedoni questa volta si dimostrarono molto meno apatici, soprattutto quelli che solo con un salto all’ultimo momento erano riusciti per un pelo a evitare di essere 12 investiti dalla Secura, in certi casi travolgendo altri pedoni nel loro scomposto movimento, e intorno alla macchina ferma a cavallo delle strisce pedonali si formò un seppur piccolo gruppo di curiosi. La curiosità era alimentata anche dalla reazione del Dr. Carli che non appena era riuscito a disincastrarsi dai sedili aveva constatato lo stato di marcia stop della sua vettura, era sceso quindi dalla vettura stessa, aveva collegato all’anomala botta subita l’ampia ammaccatura ben visibile sul parafango anteriore della sua stupenda Secura e si era inginocchiato a terra, piangendo come un bambino e abbracciando l’acciaccato muso verde smeraldo della sua auto. Spinotto a questo punto rimise in moto la sua macchina e le permise di sincronizzarsi con le altre e attraversare l’incrocio, rimuovendo così l’ultimo ostacolo alle manovre delle altre auto. Luigi Sella, dalla sua sedia del dehors, notò che l’uomo al volante stava ridendo a crepapelle, sporgendosi dal finestrino per gustarsi meglio la scena. Pur avendolo appena intravisto, il Ferri gli fu subito simpatico e il suo volto ridente gli rimase impresso nella memoria, probabilmente anche perché loro due erano gli unici visibilmente divertiti da quel piccolo e incruento incidente, in mezzo a una marea di gente per lo più indifferente o al massimo blandamente sorpresa dall’anomalo funzionamento della tecnologia automatica, perfetta per antonomasia. 13 CAPITOLO SECONDO Circa quindici giorni dopo l’incidente della Secura, Luigi Sella, mentre stava entrando a fare acquisti in un mercato servo-assistito di via Garibaldi, ebbe l’occasione di rivedere Spinotto. Questa volta Virginio Ferri stava tranquillamente pagando il conto della merce acquistata presso una delle tante casse automatiche che, avendo perfettamente identificato l’acquirente tramite la carta di credito e le impronte digitali, stava diligentemente addebitando il tutto a una certa signora Lodetti, la quale si stava invece limitando a pagare, alla cassa accanto, il suo pacchetto da mezzo litro di latte scremato. Sella si fermò a guardare Spinotto il quale, sentendosi fissato, si volse, lo guardò a sua volta per benino e poi continuò tranquillamente a mettere nei sacchetti gli acquisti fatti, ormai legalmente suoi, avendo constatato che non si trattava di uno dei noiosi controllori del 15 Supermarket. Inoltre, anche se si fosse trattato di uno di loro, egli non aveva assolutamente nulla da temere, poiché il loro compito era quello di verificare che tutti gli acquisti fossero fatti passare sotto la finestra di rilevazione della cassa automatica e che, al momento dell’addebito in conto del totale finale non si accendesse la luce rossa di denuncia della mancanza di fondi sul conto, mentre la verifica che l’addebito fosse fatto sul conto giusto non era assolutamente prevista, dato l’utilizzo dei più moderni e infallibili sistemi automatici di identificazione dell’acquirente. In effetti anche il Sella non si accorse dell’errato addebito della cassa ma comunque, rinunciando temporaneamente alla propria spesa, si mise a seguire il Ferri fuori dal Supermarket, semplicemente incuriosito sia dall’accaduto di quindici giorni prima, ancora vivo nella sua mente, sia dalla anomala aria di vitalità e di sicurezza che emanava da Spinotto e che risaltava particolarmente sul sottofondo di un’umanità ormai visibilmente abulica e standardizzata nei comportamenti. Spinotto si accorse subito di essere seguito ma fece finta di niente e si infilò nel primo bar che incontrò sulla sua strada, sia per prendere un caffè che per controllare le reazioni del suo sconosciuto pedinatore. Il Sella in effetti ebbe un attimo di esitazione, ma poi lo seguì nel bar, gli si sedette accanto e premette a sua volta la combinazione del caffè, sulla tastiera delle ordinazioni che gli stava davanti la quale, una volta pronunciato uno squillante e metallico grazie, signore, si ritirò all’interno del bancone e lasciò il piano libero per la tazzina di caffè che il braccio robot aereo si affrettò a depositare davanti al Sella. Entrambi, fianco a fianco, si misero a sorseggiare la scura e fumante bevanda, che del caffè dei vecchi tempi aveva ereditato solo il nome, guardandosi ogni tanto 16 di sfuggita, finché Spinotto, troppo istintivo per potere resistere ulteriormente, si rivolse direttamente al Sella chiedendogli, senza mezzi termini: «Scusi ma lei per caso stava cercando me?» L’ex programmatore fu preso per un attimo alla sprovvista dalla domanda diretta del Ferri, ma si riprese prontamente e rispose francamente: «Sì, anche se non ci conosciamo di persona devo confessare che lei mi incuriosisce parecchio.» Dopo la prima, stringata risposta, avendo ormai rotto il ghiaccio, il Sella si ritenne in dovere di spiegare al suo interlocutore quando e perché l’avesse notato la prima volta e di essersi anche stupito, ripensandoci, di come egli fosse riuscito a fare arrestare la propria vettura in una situazione di particolare emergenza, che avrebbe dovuto inibire qualsiasi intervento manuale. Spinotto si mise a ridere, ricordandosi anche lui l’accaduto di quindici giorni prima, e lo invitò a sedersi a un tavolino per proseguire comodamente la conversazione, colpito a sua volta dal fatto che uno dei tanti rappresentanti del noioso gregge umano avesse mantenuto la capacità di attenzione e di giudizio autonomo, senza la necessità di elaborazione automatica delle informazioni e di scelte decisionali suggerite da uno dei tanti terminali elettronici messi a disposizione della massa. Da quel primo incontro nacque una strana amicizia tra due persone profondamente diverse tra di loro, che avevano in comune solo la particolarità di non essersi completamente integrate nella società del proprio tempo: 1. la prima, il Sella, continuava a coltivare l’utopia di un diverso ambiente di vita, dove tutti potessero usare maggiormente il proprio cervello, che egli personalmente avvertiva come enormemente sotto-impiegato; 17 2. la seconda, il Ferri, che invece aveva imparato a usare perfettamente (ma solo per il proprio tornaconto) il suo cervello nell’ambiente in cui si trovava a vivere, era ben contento che coloro che lo circondavano anziché sforzarsi di pensare in maniera autonoma si affidassero sempre di più ai surrogati automatici dell’intelligenza, che lui riusciva istintivamente e facilmente a manipolare come voleva. Alcuni mesi dopo, come conseguenza delle molte serate trascorse insieme, tra il Sella e Spinotto nacque una specie di patto di alleanza. I fini del patto non erano molto ben definiti, dato che entrambi mantenevano le proprie convinzioni di vita, ma i ruoli erano molto chiari: il Sella si sarebbe occupato dello studio teorico dei vari automatismi perfetti che integravano, in ogni campo, la vita umana e Spinotto avrebbe individuato, e attuato, il modo per renderli molto meno perfetti di quanto non apparissero alla massa dell’umanità. Entrambi, in questo accordo, trovavano una propria realizzazione: 1. il Sella nella sua utopistica speranza di costringere le persone a pensare di più in maniera autonoma, 2. Spinotto in una molto più pragmatica possibilità di migliorare ulteriormente il proprio tenore di vita, sfruttando al meglio le proprie capacità innate. Da quel momento strani fatti iniziarono a verificarsi a Torino, dal banale episodio dei bar che su richiesta di una camomilla si misero a fornire doppi scotch di pura sintesi scozzese (addebitando inoltre in conto il prezzo di una brioche e richiedendo, a fronte di ogni consumazione, il completo riapprovvigionamento automatico dello stock di gelati), al ben più grave black-out semaforico che 18 intasò completamente il centro di vetture auto-controllate ma incapaci di decidere il da farsi quando i semafori si misero a restare ostinatamente sul rosso in tutti i sensi di marcia. L’apice fu però raggiunto allo stadio, in occasione della grande sfida tra Italia-nord e Italia-sud, quando i cancelli automatici rifiutarono categoricamente di aprirsi su presentazione di tessere e biglietti perfettamente validi, costringendo così il comitato direttivo, al prezzo di grandi mal di testa dovuti allo sforzo di dovere affrontare e risolvere personalmente il problema, a fare aprire a tutti le uscite di sicurezza, con la conseguenza di iniziare la partita con tre ore di ritardo e di ottenere un incasso assolutamente irrisorio. Stranamente, infatti, nella settimana precedente la partita si era diffusa la voce che non ci si doveva preoccupare di prenotazioni e ritiro dei biglietti, poiché per quell’incontro sarebbe stato applicato un nuovo metodo di ingresso, per cui era sufficiente presentarsi allo stadio per l’inizio della partita. Di incidenti, fortunatamente, non ce ne furono dato che, pur essendo al proprio apice emozionale grazie all’imminente avvenimento sportivo, l’umanità restò una massa ben ordinata e irregimentata che fluì tranquillamente attraverso le nuove vie di accesso allo stadio, convinta che il fatto di poter entrare senza addebiti sui propri conti personali fosse dovuto a qualche nuova trovata pubblicitaria e che il ritardo nell’inizio dell’incontro fosse stato determinati da calcoli automatici dei parametri di sicurezza o da necessità macro-sociali, assolutamente non discutibili. Dopo una serie di avvenimenti di questo genere, una sera il Sella e Spinotto si ritrovarono al solito bar, un po’ demoralizzati. L’uno infatti era assolutamente insoddisfatto dall’esito quasi nullo delle stimolazioni 19 che aveva cercato di fornire ai propri abulici concittadini (che continuavano imperterriti a non porsi domande e a utilizzare sempre di più gli automatismi che li circondavano, anziché la propria testa); l’altro un po’ stufo di compiere manipolazioni di apparecchiature varie, a volte piuttosto complesse, che si limitavano a fornirgli delle occasioni per qualche bella risata, ma non un utile concreto e immediato. Quella stessa sera, dopo parecchi bicchieri di metavino ingollati per consolarsi, dallo spirito frustrato dei due amici nacque il grande progetto Belfagor. 20