Dio educa il suo popolo P. FRANCESCO ROSSI DE GASPERIS, SJ Pontificio Istituto Biblico di Gerusalemme 1. La corsa della fede nella Parola (Eb 12,1-2) e le sue tematizzazioni catechetiche La tematizzazione della Bibbia a proposito di alcuni suoi soggetti è già un certo modo di fare teologia biblica. Non è esattamente un prendere la Bibbia come in sé si presenta. La tematizzazione coglie un certo argomento, lo isola e lo evidenzia in un modo che nello svolgimento biblico non risulta così evidenziato e tematizzato. Così si parla della “Bibbia e la pace”, “la Bibbia e la guerra”, “la donna nella Bibbia”, “la Bibbia e la violenza”, “la Bibbia e la politica”, “Bibbia e morale”, ecc. Sono questi soggetti che in sé non fanno veramente parte dell’ordine della Bibbia stessa. Questa corre attraverso la storia, cammina, ha un suo dinamismo, mentre la tematizzazione astrae, isola e congela un argomento determinato. Una tematizzazione biblica suppone sempre delle astrazioni e ciò corrisponde a una certa mentalità degli occidentali, che ci spinge a definire le cose, astrarle, tematizzarle, teoricizzarle, mentre la Bibbia non dà delle definizioni e, se le dà, si tratta di nozioni dinamiche e in evoluzione. Svolgerò questo argomento, dunque, componendo due poli: il primo è la storia. La Bibbia è una storia, quindi l’educazione che Dio dà al suo popolo si attua nella storia, è dinamica; non si può prendere una tappa e universalizzarla, perché si è ancora in cammino, siamo ancora verso il compimento del disegno di Dio nella storia, che avverrà con la parusia del Signore. Con l’Avvento liturgico ci si prepara ogni anno all’ultima parusia del Signore, celebriamo la prima venuta per andare verso la seconda. L’educazione che Dio dà al suo popolo, a Israele e alla Chiesa, è in cammino. Da una parte dobbiamo tener conto, dunque, del dinamismo proprio dell’azione di Dio nella storia, e dall’altra, però, dobbiamo vivere il nostro oggi. Vi inviterei, dunque, a tenere in una mano la Bibbia e nell’altra un compendio tematico, teologico, di “dottrina cristiana”, prendiamo per esempio il Catechismo della Chiesa cattolica odierno, e vediamo come la Bibbia ci illumina circa l’educazione che il Signore sta impartendo al suo popolo, additandogli delle mete che vanno al di là del Catechismo. I catechismi, infatti, cambiano. Tra quindici anni cambierà anche quello presente, anzi mi sembra che sia già cambiato e superato, a proposito dell’insegnamento sulla guerra giusta. La Bibbia, invece, non cambia, è la Parola del Signore: non confondiamola con le nostre parole umane, ma teniamo conto di tutte e due, perché la Chiesa è un corpo vivo, in cui la parola del Signore è in cammino nelle nostre coscienze e nei nostri insegnamenti, così come siamo stati capaci di farli evolvere fino a oggi. Così, quando leggiamo, in Gen 1,26-27 e in Gen 5,1-2, che l’Uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio, che cosa intendiamo? Più spesso si pensa che ogni individuo sia già per natura creato a immagine e somiglianza di Dio, quale persona cosciente, intelligente, libera, ecc.: una “tematizzazione” questa, legittimamente interpretata e sviluppata da vari padri della Chiesa. Nella Bibbia, però, le cose sembrano più semplici e profonde. Ogni volta che la Genesi afferma che l’essere umano (ha’ADAM, non il solo maschio) è fatto a immagine e somiglianza di Dio, essa fa considerare che tale immagine-somiglianza consiste, oltre che nella destinazione e nella capacità di dominare su tutte le creature del mare, del cielo e della terra (Gen 1,28), nel fatto che gli “umani” sono fatti “maschio e femmina” (zakhar uneqebah), e così il Creatore li chiama ’ADAM (non “uomini”, come diceva la vecchia traduzione della CEI), il quale è stato creato maschio e femmina (Gen 1,26-27; 5,1-2). C’è dunque lo ’Adam maschio e lo ’Adam femmina, fatti 1 insieme a immagine e somiglianza di Dio, il quale d’altra parte non è né maschio né femmina. Dove risiede, dunque, in loro tale immagine e somiglianza? Il Dio della Bibbia è supremamente UNO (Dt 6,4). Ciò significa, dunque, che i due ’Adam dovranno realizzare la loro vocazione umana, di essere “immagine e somiglianza di Dio”, divenendo da due uno, nella comunione e nell’amore, così come Dio è uno. L’immagine e la somiglianza con Dio non è realizzata, perciò, in ciascuno di noi in forza della nascita, ma è un compito da realizzare insieme all’altro/a, e a tutti gli altri e le altre. Tutto questo si fa chiarissimo nella preghiera di Gesù, dopo la Cena (Gv 17,20-26). Facciamo attenzione, dunque, a non insegnare che Dio avrebbe creato “Adamo” ed “Eva”. Non il Creatore, ma il maschio, dopo il peccato, chiamerà “Eva” la donna (Gen 3,20), spogliandola del nome di ’Adam, che egli riserverà esclusivamente a sé (“Adamo”), esercitando un ambiguo dominio su di lei (cfr. Gen 3,15-16. Nominare un essere è interpretarlo e disporne, come si legge in Gen 2,19, e solamente Dio “nomina” gli esseri umani: cfr. Gen 5,1-2). Qui riconosciamo il dinamismo della Bibbia, che non appare ancora nei nostri catechismi: essa non ci consegna delle “definizioni” già realizzate, ma un imperativo finale e una speranza da realizzare. Ciascuno di noi deve cercare i modi di diventare immagine e somiglianza di Dio, diventando una cosa sola con ogni fratello e ogni sorella. Caino è chiamato a diventare immagine e somiglianza di Dio, ma tradisce questa sua vocazione, uccidendo il fratello (Gen 4,1-16). Nella sua discendenza nasce la poligamia (Gen 4,19), dove la donna viene degradata ed enumerata tra i beni di produzione, di proprietà del maschio (cfr. Es 20,17; Dt 5,21). Questa economia di decadenza e di peccato Gesù è venuto a correggere e a redimere (cfr. Mt 19,3-12; Mc 10,2-12). 2. Lo schema della triplice struttura umana nella creazione, alleanza ed escatologia Vi ho fatto distribuire una mia sintesi di questo movimento dinamico della Bibbia, per aiutarci a cogliere alcune tappe fondamentali della pedagogia di Dio nei confronti del suo popolo nella storia. Il foglio è distribuito su tre colonne: Dio, uomo-donna, terra-beni. Questi sono tre rapporti fondamentali degli esseri umani con Dio, con l’altro essere umano, e con i beni della terra: tre relazioni irriducibili l’una all’altra. Il disegno di Dio si snoda così nel tempo fino all’escatologia. L’educazione deve tener conto del rapporto dell’essere umano con il Signore, nell’adorazione, nel culto, nella preghiera e nella fede. C’è poi il rapporto con l’altro essere umano, la comunione dell’uomo (’ish = lo ’Adam maschile) con la donna (’ishshah = lo ’Adam femminile), nella carità. Infine esiste il rapporto degli esseri umani con la terra, i beni e le cose. Abbiamo il mondo, la politica, l’arte, la cultura, l’amministrazione, la sociologia, la psicologia, i beni, l’economia, l’ecologia, ecc., nella speranza dell’unico BENE finale. Tutto questo fa parte della vocazione umana, e non c’è spazio per una specializzazione. Ciascuno di noi deve integrare nella sua umanità, al proprio posto, nella sua vocazione particolare e storica, questa vocazione fondamentale che il Signore ci propone creandoci. Dobbiamo portare avanti, dinamicamente, questi tre rapporti, orientandoli storicamente in base a quella che è la volontà di Dio su ciascuno di noi. Un tale distinto esame di coscienza non va mai dimenticato nell’attività educativa: bisogna tener conto sempre del fatto che si ha a che fare con delle persone orientate alla chiamata di Dio, soggetti dello Spirito di Dio, persone in relazione gli uni con gli altri – soprattutto tra uomini e donne –, in un rapporto che fa essenzialmente parte della vocazione umana. Lo sesso si dica per la relazione con le cose, i beni della terra. Si tratta di una vocazione che non ha bisogno di alcuna verifica di padri spirituali: siamo fatti per essere uomini o donne, e quindi dobbiamo diventare tali, perché uomini o donne non si nasce, ma si diventa. È questa la nostra prima vocazione da realizzare, che nessuno può toglierci e da cui nessuno può dispensarci. Tutte le altre vocazioni saranno modi per accedere a tale vocazione fondamentale, che ci accompagna fin dal principio Le tre colonne conducono le tappe della storia del Santo dalla prima creazione all’alleanza, 2 fino all’escatologia, e alla fine di ciascuna tappa della terza colonna c’è una nota che si riferisce all’intera tappa. Essa richiama la spiegazione corrispondente, che ne viene offerta nelle pagine seguenti. Le tappe scritte in corsivo sono quelle negative, con cui il peccato umano intercetta quelle positive volute da Dio, le quali risultano scritte in caratteri normali. Nell’educazione che fa del suo popolo, Dio non nutre illusioni. Egli sa che la sua buona educazione sarà visitata e devastata da nemici, seminatori di zizzania (Mt 13,27-28), e da lupi rapaci (At 19,29-30), ma queste vicende per sé “negative” non riusciranno mai a scoraggiare il Signore e ad arrestare la pedagogia divina. Egli saprà farle servire, a suo tempo e nei suoi modi, a promuovere in avanti la storia dell’alleanza con il suo popolo, integrandone anche i momenti negativi. C’è la creazione con i tre peccati e il diluvio conseguente; c’è l’alleanza sinaitica e quella monarchica, con i suoi peccati; c’è la nuova alleanza al tempo dell’esilio, con i suoi momenti negativi di “restaurazione regressiva”; c’è il Nuovo Testamento con i peccati della Chiesa di Gesù, dei quali bisogna imparare a chiedere perdono, come ci ha insegnato Giovanni Paolo II. Bisogna, perciò, tener conto di tutto il positivo e di tutto il negativo per cogliere e assecondare docilmente l’educazione che Dio ci impartisce attraverso tutti gli avvenimenti e gli eventi della storia. 3. La tappa della creazione e quelle dell’alleanza. Provvedere all’universale attraverso il particolare Tappe fondamentali della pedagogia di Dio nei confronti del suo popolo sono la prima creazione e, dopo le degenerazioni negative e regressive dell’economia del peccato, quelle progressive dell’alleanza, che cominciano con Abramo. In Abramo ha inizio propriamente la storia lineare dell’alleanza di Dio, il Signore, con il popolo della fede. È molto importante per noi distinguere bene i ritmi della creazione e quelli dell’alleanza. Non interpretiamo la creazione come un’alleanza, perché questa si stipula tra due adulti, mentre la creazione si può assimilare piuttosto a una generazione, dove Dio crea qualcuno che non esisteva ancora. La creazione è un fatto totalmente gratuito da parte di Dio. Nella Bibbia, invece, l’alleanza viene dopo una situazione peccaminosa, che il Signore gratuitamente si propone di redimere per continuare a essere fedele alla prima creazione. Da alcuni decenni la Chiesa è intensamente occupata, almeno nei discorsi, dalla promozione della giustizia e, non di rado, essa viene addirittura confusa con l’evangelizzazione. Riconosco che una certa responsabilità di questa confusione la porta la Compagnia di Gesù. Sia ben chiaro. È una grazia di Dio aver riscoperto che la Chiesa debba occuparsi della giustizia per promuovere l’ordine divino della creazione. La giustizia è impegnata con la “necessità” delle esigenze della creazione, con quelli che sono i diritti dell’uomo, il rispetto ecologico dell’ambiente, la difesa della vita, la libertà di coscienza; il diritto alla casa, all’educazione, al lavoro, alla promozione umana; la dignità della donna, la giusta parità tra i sessi, la logica del rapporto matrimoniale e familiare; il progresso scientifico, artistico, culturale, ecc. Tutti questi sono dati ed esigenze di creazione, iscritti nella nostra natura e dei quali tutti gli uomini, in quanto tali, e dunque anche i figli della Chiesa, debbono preoccuparsi promuovendoli. La Chiesa, attraverso la sua diaconia della parola di Dio, può dare un grosso contributo a riscoprire le dimensioni della giustizia umana, per liberarla da tradizioni non accettabili, per promuoverla, aiutando gli uomini e le donne a diventare sempre più protagonisti di quell’ordine della creazione, alla quale il Creatore apre, fin dal principio, orizzonti sconfinati. I testi e i capitoli della Bibbia sulla creazione sono fondamentali per noi, per scoprire quali siano le esigenze intrinseche insite nel piano di Dio Creatore. Ci sono tappe fondamentali della creazione che non sono state ancora raggiunte, non soltanto presso altri popoli, ma anche da noi. Ci sono dimensioni di giustizia che rimangono 3 ancora bloccate da tradizioni culturali, che finalmente sono riconducibili al peccato umano. Tra alcuni decenni, anche tra noi, ci sarà chi riderà di molte cose che noi oggi facciamo, magari in buona fede, così come in altri tempi, per esempio, abbiamo predicato che Dio voleva le Crociate o che era proibito prestare denaro a interesse. D’altra parte, noi non possiamo non essere fedeli alla coscienza che abbiamo fino a oggi acquistato delle logiche proprie della creazione. Qui si gioca la storia e la progressiva perfettibilità dei catechismi della Chiesa cattolica. L’alleanza è altra cosa dalla creazione. La vocazione di Abramo non è la vocazione dell’uomo in quanto tale. È quella di un popolo particolare che cammina nella storia per riordinare la creazione secondo il piano del Dio Redentore. È questo un piano nuovo, un’economia di fede, e non di sola ragione, che Dio inventa per far avanzare la creazione, non riportandola indietro, ma facendola progredire al di là del peccato, e realizzare così le originali sue intenzioni sul mondo, ma in un modo nuovo. L’evangelizzazione, perciò, non è una diaconia della giustizia della creazione, ma l’annuncio di un’economia nuova per la creazione, volta a redimerla e a rifarla bella, promuovendola in avanti, al di là delle contaminazioni che riceve dai peccati umani. La creazione per sé esige giustizia e uguaglianza, proclama diritti, mentre l’alleanza produce differenze, provoca disuguaglianze, scelte particolari e gratuite (= l’elezione d’Israele e della Chiesa), che agli occhi dei cultori di una “giustizia solamente distributiva” possono apparire persino “ingiuste”; primato del figlio minore sul maggiore; della donna sterile sulla donna feconda; dell’ultimo sul primo; del povero sul ricco; della pietra scartata dai costruttori sulle pietre buone; ecc. All’alleanza, invece, appartiene piuttosto la misericordia, il perdono, la follia della croce. La croce non è una necessità della creazione, ma una “necessità” della redenzione. L’economia che comincia con Abramo, continua con Mosè, con Davide, Isaia, Geremia, con la nuova alleanza al tempo dell’esilio e al ritorno dall’esilio (Neemia, Esdra, l’alleanza levitica)… con il Gesù dell’Evangelo e con il Gesù Cristo della Parusia, che deve ancora venire. È questa la storia particolarissima che Dio porta avanti all’interno di una creazione universale per realizzare un disegno che finalmente salvi tutta la storia, nel suo unico e diletto Figlio, il quale della creazione è il Logos del Padre. L’alleanza ci apre la storia di un’economia particolare, in funzione dell’universale. Mi sembra che ciò sia molto importante ai fini dell’educazione, perché io devo interpretare me stesso e le persone che mi sono affidate, e discernere quale sia la vocazione particolare mia o di altre persone, una vocazione che tenga conto della nostra appartenenza alla creazione, e che, d’altra parte, rispetti le caratteristiche proprie, che la qualifichino in avanti verso la salvezza. Un capitolo fondamentale, dunque, del modo con cui Dio educa il suo popolo è quello che c’insegna che egli provvede al tutto attraverso una parte, all’universale attraverso il particolare. Tutta la Bibbia ha tre protagonisti: il Signore, Israele e le nazioni, cioè le genti. A Dio interessano tutte le genti. Egli vuole la salvezza della creazione attraverso Israele, il quale è, con la Chiesa che lo prolunga nella storia, un sacramento particolare, che gli permetta di raggiungere l’universale, non globalmente ma attraverso un’economia misteriosa, quella della nuova alleanza di Gesù. Dio vuole salvare tutti gli uomini e tutte le donne attraverso un solo uomo, che è il Logos-Figlio incarnato, Gesù Cristo. Universalismo e particolarismo sono due poli fondamentali del modo in cui Dio ci educa. Bisogna che arriviamo a interpretare nel modo migliore la nostra situazione personale e quella di coloro che ci sono affidati, condotti dall’educazione della parola di Dio. Il terzo tempo sarà l’escatologia, che terminerà alla “Gerusalemme di sopra”, quella che discende dall’alto, la sposa dell’Agnello. Ci sarà ancora, dunque, un rapporto con la terra, anche se inimmaginabile oggi da parte nostra (cfr. Rm 8,18-25). È questo un rapporto realistico con la città di Dio, che è fatta dai “ventiquattro”: i dodici figli di Giacobbe, i cui nomi sono scritti sulle dodici porte, e i dodici apostoli dell’Agnello, i cui nomi sono scritti sui dodici basamenti (Ap 21,12-14). 4 Una città che ridiventa il paradiso terrestre, in cui ci sono fiumi lungo le rive dei quali si trovano alberi, con delle foglie che servono a guarire le nazioni (Ap 22,1-2). Sarà la città degli uomini salvati, della creazione salvata, attraverso la particolarità dell’alleanza con Israele-Chiesa. Una città di tutti che si chiamerà ancora Gerusalemme. 4. L’economia del Regno Quello del Regno è certamente un capitolo esemplare del modo con cui Dio educa il suo popolo nella storia. Come nasce il Regno? Al Sinai, YHWH si presenta a Israele, affermando: “Io sono il tuo Dio, Tu sei il mio popolo” (Es 19,3-8). Questa è la formula più chiara dell’alleanza, che verrà ripetuta fino alla fine dai profeti. Il popolo cammina nel deserto guidato dal Signore, entra nella Terra promessa, ne vince gli abitanti, distribuisce le varie tribù nelle diverse regioni del paese. Il tempo dei Giudici, che segue la conquista di Giosuè, è uno dei tempi più illuminanti della storia d’Israele, perché è quello in cui lo Spirito di Dio carismaticamente governa il popolo, di cui YHWH è il Re. A un certo punto, però, gli anziani di Israele si presentano a Samuele, che è l’ultimo dei giudici, chiedendo un re, come hanno tutti gli altri popoli, volendo essere un popolo come gli altri, con un esercito, un’amministrazione, una vita civile “normale”, ecc. (cfr. 1Sam 8–10). Samuele si scandalizza, perché pensa di non poter dare un re umano a un popolo, di cui solamente il Signore è Re. Si reca allora dal Signore, il quale gli spiega che gli israeliti ce l’hanno proprio con lui e con il modo con cui egli esercita la regalità su di loro. Si tratta, in fondo, di una nuova edizione della tentazione che, nel deserto, aveva condotto all’adorazione del vitello d’oro: il bisogno di avere tra le mani una visibilità (artefatta) del divino (cfr. Es 32). Certo, essi lo riconoscono ancora come il loro Dio, ma vogliono anche essere come gli altri popoli, vogliono un esercito per difendersi dai filistei con i loro carri, desiderano un’amministrazione ordinata, un’economia centralizzata, sono sedotti dal funzionamento delle nazioni rimaste nel paese. I capi del popolo si sono ormai messi in testa l’idea del re e nessuno potrà modificarla. Samuele spieghi bene a loro quali saranno le pesanti conseguenze che un’umana istituzione comporterà per il popolo. Samuele spiega e gli anziani insistono nella loro richiesta di un re. Il giudice, allora, unge per loro Saul, un giovane atletico, prestante e bello; un re acclamato dal basso con dei criteri umani, che sa difendere militarmente il popolo. Saul, invece, non funziona come re. È messo in una situazione più grande di lui. Come si fa, infatti, a fare il re di un popolo, il cui il Signore è il vero Re? Dio, allora, manda ancora Samuele a ungere un altro, questa volta scelto da lui secondo i criteri dell’alleanza: un pastorello, il più piccolo figlio di Iesse il betlemmita. Samuele, il quale si era ormai affezionato a Saul, deve andare ora a ungere Davide. La storia di Saul e di Davide è una bellissima storia di discernimento spirituale, di come possa essere il pastore di un popolo, di cui Dio è il Re. Dopo Davide, con la sua alleanza personale e regale con YHWH, e dopo il figlio Salomone, il regno si divide con lo scisma del nord dal sud. Il regno di Samaria finirà distrutto dagli assiri. Poi crollerrà anche il regno di Giuda e di Gerusalemme sotto l’urto dei babilonesi. L’esilio dell’inizio del secolo VI° è un disastro totale e provoca una grande crisi di fede, soprattutto perché sembra che sia stata tradita l’alleanza del Signore con la discendenza di Davide. Non c’è più il trono di Davide, il Tempio è distrutto, il paese è perduto, la popolazione più scelta è deportata a Babilonia. Chi era dunque YHWH, l’alleato d’Israele? Geremia, allora, e poi Ezechiele, il Secondo Isaia e altri profeti cominciano ad annunciare un’alleanza nuova. Saranno proprio i profeti della nuova alleanza che ricominceranno a parlare insistentemente di Davide e di un suo discendente, il quale guiderà Israele alla salvezza (Is 55,3; Ger 23,5-6; 33,14-26; Ez 34,23-25; 37,25-28; ecc.). In realtà, politicamente parlando, il regno non c’è più. Passano più di cinque secoli e, dopo l’ambiguo “regno” dei maccabei – i quali però sono, 5 illegalmente, di stirpe sacerdotale – solamente con Giovanni Battista e con Gesù si ricomincia a parlare del Regno di Dio che si avvicina! Quello di Erode, un idumeo, non ha nulla a che vedere con l’alleanza davidica (cfr. Lc 16,16).. Dinanzi a Pilato, Gesù si dichiara Re, ma in un modo completamente diverso da quello dell’imperatore romano. Viene flagellato, irriso con una corona di spine e crocifisso come “re dei Giudei”. È la pietra scartata dai costruttori che diventa la pietra d’angolo. Questo è ciò che fa il Signore, quando è LUI solo ad agire! (Sal 118,22-24). In Ap 19,11-16 leggiamo della visione di un cavallo bianco, cavalcato da un cavaliere che è il Verbo di Dio, sul mantello e sul femore del quale è scritto un nome: Re dei re e Signore dei signori. E ogni anno noi terminiamo l’anno liturgico con la festa di Cristo Re. Dio, dunque vuole il regno, sì o no? Sì, Dio vuole per il suo popolo un Re che non si aggiunga alla sua propria regalità, ma la renda umanamente visibile. Questi non poteva essere Saul, e nemmeno Davide, adeguatamente. Sarà un figlio di Davide secondo la carne e, insieme, il LogosFiglio unico e diletto del Padre (Rm 1,3-4). Questa incarnazione del divino sarà finalmente la sanazione definitiva della tentazione e del peccato del vitello d’oro. La storia del Regno è illuminante circa i modi e i tempi della pedagogia di Dio: radicalità della sua mèta finale e temporanea transigenza della sua pazienza nel tempo. Nei piccoli giochi degli uomini – siano essi i grandi d’Israele o i grandi della Chiesa – il Signore fa il suo gioco santo. Gli uomini aspirano e si adattano a delle istituzioni umane, hanno bisogno di strutture che incarnino, almeno per un certo tempo, la presenza dello Spirito di Dio nella loro storia. Egli ci rivela, però, che tali istituzioni non sono la realtà finale. Bisogna andare oltre. Dio si adatta pazientemente, acconsente, aderisce alla nostre corte vedute, ci attende, finché noi non siamo capaci di andare oltre. Dobbiamo sapere che, vivendo oggi il nostro presente, è operante in noi uno Spirito che ci sorpassa e prepara per noi un domani differente. Tutto ciò ci deve educare al senso del relativo (i nostri giochi) e dell’assoluto (il gioco di Dio). Da ciò che stiamo facendo oggi fiorirà qualche cosa di nuovo, che non possiamo immaginare. Finché dura il nostro oggi, però, esso va preso sul serio, ma relativamente. Le diocesi, le parrocchie, gli ordini religiosi, le loro spiritualità, i nostri convegni, le campagne, i concili, i sinodi, le cerimonie, le “giornate”, gli “anni di questa o di quella ricorrenza”… Che cosa diventeranno domani? Che cosa, soprattutto, resterà di essi? Unicamente la qualità della carità, dell’amore, che in queste realtà passeggere abbiamo consumato. Noi non nasciamo nel Nuovo Testamento, l’alleanza – anche quella del Sinai – non è una dimensione di comunione con Dio, in cui si nasca. È una realtà in cui si entra, convertendovisi. C’è l’idolatria, da cui siamo chiamati a convertirci all’alleanza del Sinai, da cui siamo invitati a progredire, entrando nella nuova alleanza. Dove sono io oggi? Forse ancora, in parte, nella prima alleanza, un po’ nella nuova, e forse una parte di me rimane nell’idolatria? 5. La nuova alleanza (cfr. Ger 30–33) Il passaggio dall’antica alla nuova alleanza è stato preannunciato dalla tragica morte del giusto re Giosia, a Meghiddo (609 a.C.) e dalla profezia drammatica della vita e della parola di Geremia (fine VII° sec–inizi VI° sec. a.C.), al tempo dell’esilio babilonese (597–538 a.C.). Si è articolato ulteriormente durante l’esilio con Ezechiele e il Secondo Isaia (= Is 40-55), ed è stato inaugurato al ritorno dall’esilio (editto di Ciro: 538 a.C.) con la nascita del giudaismo spirituale del periodo del “Secondo Tempio” (fine sec. VI°–Tempi del Nuovo Testamento; con la parentesi del periodo maccabaico-asmoneo: 167-41 a.C.; ecc.). L’avvento-evento di Gesù Messia ne rappresenta il primo “compimento”, in attesa della sua Parusia finale. La nuova alleanza è il passaggio dall’edizione sinaitica dell’alleanza tra YHWH e Israele a quella esilica e post-esilica. I profeti la hanno chiamata: “alleanza nuova, eterna, di pace”. 6 Bisogna, prima di tutto, riconoscere che l’alleanza è una, come Dio è uno. Non ci sono due alleanze, perché Dio non ha due “elezioni” o due amori (cfr. Rm 11,28-32). Quanto al “dono della Torah”, in cui, al Sinai, si era espressa l’alleanza del Signore, ancora una volta, come si diceva del Regno, la Bibbia ci insegna che l’unica Torah, che ha in mente Dio, trascende quella (delle due tavole di pietra) che arriva a concepire il suo popolo in diversi momenti della sua storia. Così, l’alleanza rivelata al Sinai, pur restando una e la stessa, diventerà, quella rinnovata da Giosuè a Sichem (Gs 24,1-28) e, nei secoli seguenti, quella regale con Davide e la sua casa, con Salomone, ecc. All’inizio del secolo VI°, tuttavia, con la caduta del Regno del sud e dell’esperienza monarchica, tutto crolla: non c’è più il Tempio, il Re, né la possibilità di osservare la Torah come si faceva prima, con le feste liturgiche, i pellegrinaggi, i sacrifici. I sacerdoti restano inattivi e i profeti muti (cfr. la situazione esilica espressa nella posteriore confessione di Dn 9,3-19, e anche quella di Azaria in Dn 3,25-45, o Bar 1,15–3,8). Lo Spirito di Dio, allora, ispira un grandissimo profeta, Geremia, il quale fa rinascere la speranza proprio dal fondo del disastro. Non c’è più il Tempio, quale sarà, dunque, il luogo del culto del Signore? Questo profeta parla della circoncisione del cuore, delle labbra, delle orecchie, cioè dell’essere umano personalmente e interiormente purificato dall’alleanza. Il luogo del culto è la stessa persona umana, il suo corpo offerto, la propria esistenza donata al Signore. La Torah del Sinai, la medesima, è ora infusa nell’intimo dell’uomo, nella sua coscienza (cfr. Ger 30-33; Ez 36– 37; ecc.). Avviene, così, una trasformazione dell’antica alleanza nella nuova alleanza, come la esprimono i Salmi 40; 50; 51; ecc. Il vero sacerdozio è quello esistenziale da esercitarsi da ogni uomo e da ogni donna nel tempio del proprio corpo. La dimensione della fede in YHWH si dissocia dall’indipendenza nazionale della Terra d’Israele; nasce e si diffonde il giudaismo della diaspora; Gerusalemme diventa un centro dell’impero babilonese, persiano, ellenistico. Su tutto questo si delinea l’economia del Servo sofferente di YHWH (cfr. Sal 22; 118; Is 50,4-11; 52,13–53,12; Giobbe, Giona, ecc.). Un ebreo dei campi di concentramento dirà che le quattro specie che si debbono portare nella festa delle Capanne (Sukkot) – palma, salice, mirto e cedro – sono diventate la sua spina dorsale, il suo fegato, il suo cuore, ecc., se stesso, docile a piegarsi al volere del Signore. È proprio quello in cui Paolo farà consistere il culto “logico” e la santità del cristiano, che vive secondo la Parola e discerne ciò che è mondano da ciò che è santo (Rm 12,1-2). Questo testo paolino costituisce, nella liturgia romana delle Ore, la lettura breve delle Lodi del comune degli uffici dei santi e delle sante. E ancora Paolo potrà esortarci a questo culto, perché in esso è consistito il sacerdozio di Gesù Cristo, proclamato da tutta la Lettera agli ebrei come un inveramento del sacerdozio di Melchisedek, superiore a quello levitico di Aronne (cfr. specialmente Eb 4,14–10,35). È questo anche il nostro sacerdozio, quello comune a tutti i cristiani. I presbiteri del Nuovo Testamento, compresi i vescovi, infatti, non hanno un loro sacerdozio (non ci sono hiereis nella Chiesa, come c’erano invece nel sacerdozio aronnico). Il sacerdozio dei “ministri” cristiani cattolici è retto dal “sacramento” dell’Ordine, che li deputa e li abilita a ri-presentare visibilmente ed efficacemente l’unico Sacerdote (hiereus), così che nell’economia della nuova alleanza, lo SposoCristo sia sempre realmente e visibilmente presente alla Sposa-Chiesa, e questa sia interamente un corpo sacerdotale (hierateuma: 1Pt 2,5.9), destinato a santificare nel mondo il nome del Signore, mediante l’offerta dei corpi di tutti i suoi membri. Tale era, infatti, la destinazione originaria delle 12 tribù d’Israele significata dall’offerta di tutti i loro primogeniti, prima della messa a parte dei leviti (cfr. Es 13,11-16; Nm 3,11-13.40-51; 8,16-18). È questo il nostro culto liturgico. Tutto il Levitico della prima parte dell’Antico Testamento è trasfigurato, così, nella nuova alleanza, che nasce nella seconda parte dello stesso Testamento, e comincia a compiersi nel Nuovo. Il Signore ha pazienza. Il ritorno dall’esilio non è stata una “restaurazione” del passato, ma un rinnovamento radicale che ha cominciato a compiersi in Gesù Cristo, anche se con i ritardi del 7 tempo di Neemia e di Esdra, ma anche con le aperture del periodo sapienziale. Lo Spirito Santo non riconduce indietro la storia, ma la rinnova (Sap 1,7). Ci vuole, indubbiamente, tempo e agilità culturale per interpretare, in un certo luogo e in un certo tempo, presso un certo popolo, i criteri nuovi additati e promossi dal Signore. Gli educatori, però, debbono essere desti per preparare la via di un rinnovamento incessante e vero. La Bibbia, pur raccontandoci le cose di oggi, ci dà gli elementi per correggerle e portarle avanti. Così, se in Sir 42,9-14 mostra a qual punto di decadenza e di assurda deformazione culturale possa giungere la coscienza del popolo di Dio, a proposito dei “fatti” (= DeBaRim) del Signore (è parola di Dio!), ci fornisce, già in Gen 1–2, la parola che scaturisce direttamente da Dio e che ci permette di correggerne le povere e tardive interpretrazioni degli uomini, per tornare al Principio intramontabile (cfr. Mt 19,8; Mc 10,6-9). Ogni tappa della storia di Dio va sempre intesa in tutto il suo contesto. 6. Dio educa il suo popolo nella storia Dio educa gli uomini e le donne nella storia, ed egli solamente ha la chiave dei segreti della storia. Oggi noi siamo chiamati a interpretare l’azione di Dio nella storia in un particolarissimo suo momento, che è quello della nostra esistenza. Tenendo in mano il nostro Catechismo della Chiesa cattolica, dobbiamo dire: Oggi noi siamo arrivati a questo punto nell’interpretazione della fede e della vita cristiana nel nostro mondo. È inutile perdersi in sogni, in idealizzazioni o in ricusamenti del passato, come è inutile proporre per l’oggi immaginazioni ideali di ciò che potrà forse diventare reale tra qualche secolo. Si potrà, certamente, pensare, immaginare, sognare, ma è “concreto” nella realtà odierna non l’ideale, ma il presente. In questo particolarissimo momento della nostra storia, Dio sta facendo il suo gioco in vista di tutta la storia. Il Signore non è nelle nostre mani, noi siamo nelle sue. Egli supera sempre i nostri progetti e ci sfugge, per fortuna. Egli attraversa tutti i nostri giochi, nei quali fa il suo. La storia attuale è fatta dagli uomini e dalle donne di oggi. Noi facciamo le nostre scelte, gestiamo l’economia, facciamo degli errori e provochiamo le crisi. Il Signore ci lascia fare i nostri giochi, liberamente. Egli è capace di adattarsi a essi, siano positivi o negativi. In essi egli sa disegnare il suo piano di santità, di amore, di carità, di giustizia, di salvezza. Dio solo è capace di ciò. Nessun superiore umano, nessun vescovo, nessun papa sa fare la stessa cosa. Il Signore sa servirsi delle cose che noi facciamo bene e di quelle che facciamo male. Egli è capace di promuovere il mondo anche attraverso i miei peccati. A me ne resta la responsabilità, a lui la responsabilità del suo servirsene. È vero che le perversità umane possono intercettare e rallentare il gioco di Dio. Possono ostacolarlo e metterlo alla prova, e il sangue del Figlio è il prezzo che egli ha pagato anche per sporcarsi le mani nei nostri sudici giochi. Il Giordano alle sue sorgenti sorge tra alte montagne coperte di ghiacci e di neve, tra fonti limpidissime e cascate purissime, dove l’acqua precipita abbondante, per poi “discendere” (Giordano = “discendente”) e inabissarsi fino al Mar Morto, a 400 m. sotto il livello del mare, in un percorso tortuoso e accidentato (di 300 km. su 100 in linea d’aria), lungo il quale feconda la sua valle. La sua acqua purissima è intercettata dal fango, dalle rocce, dai detriti, dall’inquinamento, ma giunge alla foce, diminuita e sporca, del Mare del Sale, come è chiamato in ebraico. Questa è, per me, un’immagine dell’amore di Dio. Alla sua sorgente trinitaria è purissimo, unidirezionale, ma poi è ostacolato e inquinato dalle cose poco pulite che facciamo noi. Rimane, tuttavia, capace di arrivare fino in fondo, immancabilmente. Nella lettura della Bibbia, ricercando come Dio educhi il suo popolo, bisogna tener presente questi due elementi: la storia diretta da Dio, la finalità che Dio ha e che ci va rivelando progressivamente e delicatamente, per non sconvolgerci, e i nostro giochi, le nostre mète, alle quali diamo un’importanza molto maggiore, perché sono cose nostre e attuali per noi. I pochi anni che ci sono 8 dati da vivere ci fanno partecipare a qualcosa che è eterno. È questo il paradosso della nostra esistenza. Nel Deuteronomio 29,28 leggiamo: “Le cose occulte appartengono al Signore, nostro Dio, ma le cose rivelate sono per noi e per i nostri figli, per sempre, affinché pratichiamo tutte le parole di questa legge”. Praticando tutte le parole di questa legge – una Torah che viene dal medesimo Signore cui appartengono le cose occulte – noi partecipiamo, senza conoscerle, anche a quelle cose nascoste che appartengono a lui solo. Questo ci insegna l’umiltà, ci aiuta a non crederci protagonisti della storia umana. L’educazione del Signore, per coloro ai quali parla, si attua nella composizione dinamica fra realtà odierna e contingente e valori eterni, di cui egli solo conosce il contenuto pieno e la loro ultima realizzazione. Per esempio, la difesa della vita. Dalla sua condizione di Risorto, noi sappiamo quale sia l’ultima edizione della nostra vita presente. Non dobbiamo esaurirci, dunque, nella difesa disperata del suo stadio odierno, difendendolo con le unghie e con i denti. Facciamo oggi tutto quanto possiamo per conservarla, ma non pensiamo di essere con questo i difensori della vita umana. Questa è di Dio, è una partecipazione alla vita di Dio e alla vitalità umana del Cristo risorto. Difendiamo soprattutto la vita come via e passaggio alla Pasqua eterna, perché questo è il fine che Dio ha presente nel donarci una vita umana già nel suo primo stato biologico o vegetativo. 7. Conclusione L’educatore deve diventare un profeta, non può accettare semplicemente la situazione come si dà. La accetta per agire in essa. La Parola di Dio è il cuore della sua profezia, della sua preghiera e della sua speranza. L’educatore deve formarsi come uomo o donna della nuova alleanza, riassumendo in sé tutti gli elementi antichi che essa comporta. Ciascuno di noi è appesantito, non soltanto dai propri peccati, ma anche da tutto il passato che ci ha preceduto e che ci trasmette modelli culturali di vita, che andranno messi in questione. Paolo ci esorta a con conformarci alla mentalità di questo mondo, ma a lasciarci trasfigurare (metamorphoûsthe), rinnovando il nostro modo di pensare, per diventare capaci di discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto (Rm 12,2). È questo il nostro culto “logico”, dice Paolo (hê loghikê latreia hymôn: Rm 12,1), cioè “secondo la Parola” (piuttosto che “spirituale”). Viviamo, dunque, secondo la Parola. Il compito dell’educatore è mettere insieme la storia del momento in cui viviamo e la storia che Dio ci rivela nella sua Parola, accettando, momento per momento, tutti i passi che si possono fare, così come Samuele ha accettato di passare dai giudici a Saul, e poi da Saul a Davide, per affidare infine al Signore il compimento finale e perfetto dell’economia del Regno. Relazione tenuta al Convegno nazionale degli Assistenti diocesani e parrocchiali dell’Azione Cattolica Italiana: “Collaboratori della vostra gioia”. La cura educativa dell’Assistente di Azione Cattolica. – Roma, Domus Mariae, 29 gennaio 2009. 9