Unità pastorale Vivaro – Dueville
Incontri formativi per i lettori (1)
Dueville, mercoledì 21 gennaio 2015
"Non di solo pane vive l'uomo
ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio" (Mt 4,4; Dt 8,3)
Dalla Bibbia al Lezionario
Iniziamo questo nostro itinerario di formazione alla Parola e alla sua proclamazione liturgica con una citazione di una passaggio della Evangelii Gaudium di papa Francesco, il quale dedica uno spazio non indifferente al tema dell’omelia, che fa parte della liturgia della Parola e ne costituisce il contesto liturgico. Al n. 137 papa Francesco ricorda (citando una lettera apostolica di Giovanni Paolo II sul giorno del Signore) che «la proclamazione liturgica della Parola di Dio, soprattutto nel contesto della assemblea eucaristica, non è tanto un momento di meditazione e di catechesi, ma è il dialogo di Dio col suo popolo, dialogo in cui vengono proclamate le meraviglie della salvezza e continuamente riproposte le esigenze dell’Alleanza».
Il dialogo di Dio col suo popolo, dunque, perché questa è l’identità del Dio della Bibbia: è un Dio che parla al suo popolo. E’ un aspetto talmente importante che, a conclusione di ogni lettura proclamata, noi diciamo ‘parola di Dio’, o, nel caso del Vangelo ‘parola del Signore’. Questo Dio che si rivela, che si fa conoscere, è la grande scoperta fatta da Israele e fatta propria ancor più dai cristiani che in Cristo vedono la parola definitiva di Dio. La Bibbia è la testimonianza di questa scoperta.
Ricordiamo che tutte le religioni hanno i loro testi sacri; la Bibbia, però, rispetto a tutti gli altri testi sacri, si trova in una situazione tutta particolare perché ad essa si richiamano due religioni: quella ebraica e quella cristiana. Soprattutto la Bibbia ha una caratteristica tutta sua, che non è possibile riscontrare in alcun altro testo sacro: contiene interi libri (soprattutto nell’A.T.) di tipo narrativo. I libri sacri delle altre religioni contengono leggi, riflessioni filosofiche, brani poetici, prescrizioni rituali, ma la storia è completamente assente. Perché?
Perché per le grandi società dell’Antico Medio Oriente la storia non ha alcun valore, non rivela nulla. Nella storia non avviene nulla di nuovo: quello che avviene non è altro che una continua ripetizione; ecco dunque che l’immagine che descrive la concezione antica del tempo è quella di un cerchio, dove tutto ritorna di continuo (basta pensare al ciclo delle stagioni). Dio è al di sopra della storia e la governa dall’alto, avendo già tutto deciso.
All’interno di questa mentalità diffusa nei popoli antichi, la bibbia rappresenta un radicale cambio di mentalità: in essa c’è tanta storia perché ad essa si riconosce un grande significato. La storia degli uomini è il luogo dove Dio si manifesta e realizza il suo disegno. La Bibbia parla molto di storia, preoccupandosi non tanto dei dettagli del suo sviluppo (infatti spesso i fatti sono raccontati con evidente imprecisione), quanto della sua interpretazione, cercando di cogliere la manifestazione di ciò che Dio ha fatto e continua a fare per gli uomini. La storia come luogo in cui Dio parla e si manifesta non solo a parole, ma attraverso ‘avvenimenti’: basta leggere ciò che dice Isaia al cap. 55, 9‐11: la Parola è come l’acqua, la neve (il NT dirà che è come un seme); sono cioè cose che accadono....Dio si fa presente, si fa vedere, attraverso i momenti importanti della nostra storia e della storia che ci circonda. Dio usa il tempo, la durata dei giorni, dei mesi degli anni. Noi facciamo l’esperienza di Dio attraverso gli avvenimenti. Questo significa fondamentalmente dire che ‘Dio parla al suo popolo’. Però voi sapete che nella liturgia di fatto non usiamo la Bibbia (intesa come libro), ma i fatti della bibbia che la liturgia fa proclamare, chi va all’ambone li trova scritti in una libro apposito chiamato lezionario o, per i vangeli, evangeliario. Stasera partiremo da questa constatazione molto concreta per arrivare a dire l’importanza della Parola di Dio nelle celebrazioni liturgiche e, nei prossimi incontri, l’importanza di del ruolo svolto da colui che rende vive queste letture prestando la sua voce affinché la voce di Dio risuoni oggi in mezzo al suo popolo. 1
Alcuni interrogativi, a mo’ di provocazione: - dato che i testi della Bibbia costituiscono una Parola difficile, messa per scritto in tempi assai
lontani dal nostro, ha ancora un senso che questa parola venga proposta tale e quale nelle
nostre chiese? Non sarebbe forse più saggio farne una traduzione in lingua corrente,
semplificata e quindi più accessibile?
- Un tempo l’operazione della lettura pubblica era comprensibile dato che pochi sapevano
leggere; ma oggi che tutti hanno dimestichezza con la parola scritta, vale ancora la pena di
continuare così?
- Che senso ha voler insistere ad ogni costo sulla figura del lettore all'ambone, quando sappiamo
che sarebbe sufficiente inserire un audio/disco e premere un pulsante per avere una lettura
tecnicamente perfetta, o addirittura una lettura audiovisiva, usando magari il fatidico
powerpoint (tanto di moda oggi)?
Una chiara risposta a tutte queste domande emerge dall'antica tradizione del leggere «in Chiesa», ossia del proclamare la Parola di Dio all'assemblea cultuale, che si è fissata nella Scrittura stessa e che la Chiesa conserva gelosamente e non ha intenzione di mettere in discussione. Dove si radica dunque la prassi della proclamazione della Parola di Dio in ogni celebrazione?
RAPPORTO INSCINDIBILE TRA SCRITTURA E LITURGIA
Quando, professando la nostra fede, diciamo che crediamo in Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo, diciamo che il Dio cristiano è essenzialmente relazione, dialogo. Il cuore del cristianesimo è Cristo, Parola fatta carne. E’ il segno definitivo del fatto che Dio è relazione non solo al suo interno, ma anche nei confronti della creazione e dell’umanità verso la quale si è rivolto per offrirle un’alleanza, per entrare in un dialogo d'amore. Cristo di questo dialogo è il vertice è la Parola definitiva di Dio: è il Verbo.
La liturgia celebra in modo permanente questo dialogo salvifico tra Dio e il suo popolo. Ecco il motivo per cui ogni celebrazione ha, come suo elemento essenziale e qualificante, la liturgia della Parola e ogni celebrazione è strutturata in continui dialoghi.
È certo che sia il nucleo centrale dell'Antico Testamento (il racconto della liberazione nell'Esodo), sia il messaggio pasquale del Nuovo Testamento (l'unità letteraria dei racconti sulla morte e risurrezione di Gesù), prima di essere scritti, furono proposti a viva voce in contesti liturgici. Solo in un secondo momento, quando han cominciato a venir meno i testimoni diretti, gli apostoli, si è reso necessario mettere per iscritto quanto riguardava Gesù, in modo da avere disponibile un testo sicuro da leggere in mancanza della presenza personale degli Apostoli, sia per l'uso liturgico sia per la catechesi. Pertanto, i libri nella Bibbia sono nati in un contesto liturgico e sono stati composti in vista della liturgia. Per cui possiamo dire che la Bibbia è la Parola diventata Scrittura. Il Principio è il Verbo, la Parola. Per non perdere nulla di questa Parola la Chiesa l’ha fatta diventare Scrittura. Questa messa per iscritto della Parola è importante perché permette di garantire la sua permanenza, di favorire l'unità della Chiesa. E tuttavia presenta anche degli inconvenienti: la rivelazione viva si trova fissata e 'ridotta' in un testo, e il testo scritto declina la Parola al passato, ce la offre in lingue e culture molto diverse dalle nostre.
Per questo occorre che la Parola che si è fatta Scrittura, si faccia di nuovo Parola viva. E’ quanto avviene attraverso la proclamazione liturgica. Quando si celebra la liturgia, avviene il processo inverso: il testo viene proclamato perché la Scrittura ridiventi Parola. 2
Ciò giustifica la necessità che la Scrittura venga letta ad alta voce nell'assemblea. A leggerla è una persona viva tra vivi. E la lettura richiede di essere spiegata e attualizzata per separare il fossato culturale che ci separa dai suoi autori.
DALLA BIBBIA AL LEZIONARIO
Per favorire questa operazione necessaria affinché Scrittura ridiventi Parola, la liturgia si è dotata di uno strumento apposito: il Lezionario. Lo chiamiamo al singolare ma in realtà si tratta di una serie di libri (9) che raccolgono la selezione e l’ordinamento, in base al calendario liturgico, di tutte le letture bibliche usate nelle celebrazioni liturgiche. Il Lezionario è la forma singolare che la Scrittura assume quando entra nel contesto celebrativo. Caratteristiche del Lezionario
Rispetto alla Bibbia, un lezionario presenta alcune caratteristiche originali.
Anzitutto, disponendo i testi biblici in brani (pericopi), esigendo non una semplice lettura, ma la proclamazione e incorniciando le pericopi con invocazioni e acclamazioni, realizza rispetto al consueto contesto della Scrittura che è di tipo letterario‐teologico, un contesto nuovo, che possiamo chiamare pragmatico‐celebrativo. Poi cambia l’ordine delle letture. Mentre, infatti, i Libri della Bibbia sono distribuiti secondo un criterio che fa emergere l'armonico sviluppo storico del Mistero della Salvezza (Antico Testamento = tempo della promessa; Vangelo di Gesù, = centro e compimento del tempo della storia della salvezza; Atti, Lettere e Apocalisse = tempo della Chiesa come continuazione della storia della salvezza), l'ordine delle letture nella celebrazione presenta una gerarchizzazione diversa: Antico Testamento, Apostolo, Vangelo. In questo modo la priorità è data al Vangelo, posto al vertice della distribuzione dei testi biblici. Così il Lezionario diventa il modo abituale e normale con cui la Chiesa legge la Scrittura, seguendo i fatti compiuti e le parole di salvezza dette da Cristo, e vedendo in questo il compimento di tutta la Scrittura. In terzo luogo il Lezionario è un libro pensato non per la lettura ma per l'azione: dispone, infatti, le letture in modo che siano proclamate, acclamate, pregate, onorate (v. gesto dell’incenso e bacio del libro). Nella liturgia le Scritture sono legate indissolubilmente ad una serie di gesti che permettono una reale ed efficace comunicazione: vengono sollevate, portate, offerte, incensate, baciate. I nuovi Lezionari contengono addirittura delle immagini! Tutto per farci intuire che scopo della liturgia della Parola non è l’assimilazione di temi, concetti, esempi ed esortazioni, da parte della comunità che celebra, ma che accada l'evento dell’incontro con la
persona del Risorto. Celebrare la Parola vuol dire rendere possibile alla comunità che celebra instaurare un rapporto vivo con la persona di Dio che parla, e non, innanzitutto, con i contenuti della Parola. Prima che sapienza, la Parola di Dio qui è presenza, relazione. Lo scopo della Liturgia della Parola non è in primo luogo quello di offrire un tema per la riflessione, ma di suscitare una professione di fede. Beato colui che legge... (Ap 1,3)
Attraverso l’atto della proclamazione, la parola sacra, oltre ad essere pensiero spirituale, riacquista la sua dimensione fisica, si fa suono, respiro, si dispiega, percorre lo spazio e raggiunge l'ascoltatore. Scrive Romano Guardini:
“Dio, venuto tra gli uomini per redimerli, era la parola eterna, che non si è manifestata
illuminando il pensiero o affidandosi a un libro. Il Verbo si è fatto uomo, «si è incarnato»: lo si
poteva vedere, udire, toccare, come ribadisce Giovanni all'inizio della sua prima lettera. Questo
mistero è ancora vivo nella parola dell'annuncio liturgico, e tutto è affidato al mantenimento
del rapporto tra realtà fisica e spirituale”.
La sonorità esercita un influsso diretto su tutto il corpo dell'uditore, è rivolta e tocca i cinque sensi. Perché anche le parole hanno un corpo. La verità che esse esprimono infatti non coincide semplicemente 3
con il concetto che contengono. Per capire bene il concetto, dobbiamo ascoltare il suono della voce e guardare l'espressione del viso di chi ci parla. Quello che rende manifesto il senso autentico e vero delle parole è normalmente nascosto nella luce degli occhi, nei timbri della voce, nella mimica del volto, nei movimenti del corpo. Le parole dicono perché il corpo parla. Basta un tono, una inflessione, una piega delle labbra, un lampo negli occhi: e una frase che pareva scortese si rivela un gioco affettuoso, o, al contrario, quel che aveva tutta l'aria di essere un complimento può apparire in un istante una sottile malignità. Il modo con cui le cose vengono dette appartiene in profondità al contenuto che esse intendono dire. E’ l'uomo intero che parla. Sempre la parola si deve fare carne perché in essa risplenda la verità. Questa condizione del parlare umano è particolarmente evidente nella liturgia. In essa la parola è presa come testo ed effusa nel suono della voce. Quindi, attraverso la proclamazione la Parola è una realtà che si avvicina e si può incontrare. La Parola di Dio è sempre l'evento di un avvicinamento, è un seme che cerca la terra, una realtà dotata di una forza germinale che ha il potere di creare vita. Quando l'uomo ne è toccato partecipa al nuovo inizio della grazia. Non possiamo riceverla come un'idea che cerca una mente!
...e beati quelli che ascoltano (Ap 1,3; Lc 11,28)
Quando si parla della Liturgia della Parola e dei suoi protagonisti normalmente l’attenzione si concentra sul delicato e prezioso servizio del lettore, a cui è affidato il compito della proclamazione liturgica. Poche volte si ricorda che protagonisti sono anche e soprattutto gli ascoltatori a cui la Parola viene annunciata. Nella liturgia, infatti, non si leggono le letture (per cui vediamo il lettore che legge dall’ambone e tutta l’assemblea che...legge dai foglietti), ma esse vengono proclamate a favore di un’assemblea che le ascolta. L’annuncio non è fine a se stesso, ma è direttamente ordinato all’ascolto, per cui è essenziale anche che tutti ascoltino, come ricorda Gesù: “Beati piuttosto quelli che ascoltano la
parola di Dio e la mettono in pratica” (Lc 11,28). Quando un lettore sale all’ambone per proclamare la lettura e l’assemblea si mette seduta in atteggiamento di ascolto, la Parola che risuona nell'aula è la voce di Cristo stesso che parla al suo popolo. Il lettore non è tanto chiamato a leggere, quanto a dar voce a Cristo affinché parli oggi al suo popolo. Il Dio di cui la celebrazione eucaristica vuole far esperienza non è un Dio che comunica ma che si comunica, non è un Dio che dimostra ma che si mostra: per cui si dovrebbe ripetere quanto è accaduto nella sinagoga di Nazaret, quando Gesù si è alzato per leggere e «gli occhi di tutti erano fissi su di lui» (Lc 4,20).
Ascoltando le letture siamo, come Maria di Betania, «seduti ai piedi del Maestro», per ascoltare la sua Parola e lasciarci trasformare da essa. Dobbiamo convincerci del fatto che l’ascolto è l’attività per eccellenza di ogni celebrazione liturgica, come il ricevere il corpo di Cristo ‐ degustandolo con la bocca ‐ è il momento culminante di tutta la celebrazione dell’eucaristia. La missione affidata al lettore
Al lettore che sale all’ambone per la lettura, succede qualcosa di simile a ciò che è capitato a Ezechiele: «Quando io ti parlerò, ti aprirò la bocca e tu riferirai loro: dice il Signore...» (Ez 3, 27). «Quando io ti parlerò»: il lettore è il primo uditore della Parola di Dio. La lettura deve essere prima ascoltata e meditata dal lettore. «Ti aprirò la bocca»: Dio, che nessuno ha mai visto né sentito, per parlare apre la bocca a uno di noi: «Dirai loro». Il lettore non parla da sé, né per sé; la Parola è di Dio ed è Parola che Dio sta rivolgendo ad altri, all'assemblea. «Aprirò la tua bocca»: ecco la straordinaria funzione affidata al lettore: presta la sua bocca perché la Scrittura diventi Parola. 4
E' una funzione che, in qualche modo, continua il mistero dell'incarnazione: il lettore con la sua voce dà corpo al testo della Scrittura perché questo testo risuoni come Parola di Dio; e, ascoltando questa Parola, l'assemblea diventi corpo di Cristo.
don Pierangelo Ruaro
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