BREVE INTRODUZIONE ALLA BIBBIA | 1. Il testo biblico 1. Il rapporto con la Rivelazione Una premessa è necessaria per un giusto approccio alla Bibbia: comprendere, anche se nel modo più semplificato possibile il concetto di Rivelazione. Il testo biblico infatti si propone come un testimone della Rivelazione. Come intendere la parola Rivelazione nel modo più piano possibile? La costituzione dogmatica Dei Verbum del Concilio Vaticano II parla di Rivelazione in questi termini: «Con questa Rivelazione infatti Dio invisibile (cfr. Col 1, 15; 1Tm 1, 17) nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici (cfr. Es 33, 11; Gv 15, 14-15) e si intrattiene con essi (cfr. Bar 3, 38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sè» (DV 2) La Rivelazione viene presentata con la categoria di parola, anzi di dialogo amichevole: Dio ha voluto rivelarsi agli uomini e lo ha fatto con il linguaggio umano dell’amicizia, in vista di quella comunione di vita che è il fine della Rivelazione stessa. Prima del CVII l’idea Rivelazione era ridotta al concetto di insegnamento circa alcune verità che l’uomo da solo non potrebbe conoscere; DV amplia: Dio non solo insegna ma, parlando il linguaggio dell’amicizia, chiama e interpella, interpreta l’uomo, parla di sè per ammettere gli uomini alla comunione con Lui. Centro della Rivelazione non è una Verità, ma una Persona. In sintesi: - oggetto: Dio stesso che si comunica agli uomini offrendo a loro se stesso e la sua stessa vita (eterna); - modo: Gesù Cristo, che rivela Dio con tutto il suo essere, parole, opere; in Lui, Dio, la Sua Parola, la Sua Vita si danno a vedere: - trasmissione: la Chiesa custodisce e trasmette la Rivelazione con il Magistero, la Tradizione, la Scrittura - fine: la comunione con il Padre e i Figlio nello Spirito Santo. L’immagine che forse ci aiuta di più a capire questa idea di Rivelazione è quella di un Dio che entra nella storia e manifesta la Sua Presenza personale per mezzo del Suo concreto agire. La Rivelazione è dunque un fatto storico: databile e localizzabile; avente come oggetto eventi concreti; che acquista credibilità da alcuni eventi precisi. Se dunque la Rivelazione è storica, si può viceversa dire che c’è una storia rivelatrice: vicende, eventi, gesta e parole in cui si può rintracciare il volto divino. Il nesso tra la Rivelazione così intesa e la Scrittura quale suo testimone diviene chiaro… Che qualità deve avere ogni lettura della Bibbia per essere fedele alla natura interpersonale e storica della Rivelazione? a) La Bibbia non è riducibile a una collezione di nozioni da imparare e a cui dare il proprio assenso. C’è tutto un “mondo emotivo e affettivo” che si muove nel testo biblico che mi interpella e mi chiama a reagire allo stesso livello. b) Se la Rivelazione è parola personale di Dio cha chiama, invita, cerca... la prima chiave d’ingresso nella Parola è l’ascolto. c) Scopo della lettura della Bibbia è la sapienza, cioè un conoscere che chiama in causa la vita e la storia con tutte le sue armoniche. d) Fatta dentro la Chiesa, sotto il suo Magistero. 2. Tradizioni AT e NT La Rivelazione, con la sua natura dialogica, ha trovato un alleato efficace e fecondo al suo dispiegarsi e perpetuarsi nel tempo e nello spazio (epoche e nazioni) nella struttura umana della tradizione, meccanismo che naturalmente lega una generazione all’altra attraverso la consegna della comune cultura (lingua, usi, conoscenze, arti, lavori, beni, riti, credenze…) e che si attua sempre nella duplice forma scritta e orale. Due sono le tradizioni fondamentali da prendere brevemente in considerazione: quella ebraica e quella cristiana. Tradizione ebraica Per il popolo di Israele la tradizione non è solo un dato di fatto, ma un imperativo di Dio: «Guardati e guardati bene dal dimenticare le cose che i tuoi occhi hanno viste: non ti sfuggano dal cuore, per tutto il tempo della tua vita. Le insegnerai anche ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli» (Dt 4,9); essa è memoria viva che lega le vicende di Israele a una storia di salvezza. Si esprime in varie forme: orale, composizioni letterarie minori (inni, proverbi…), tradizioni scritte maggiori (le fonti del Pentateuco e quelle profetiche), scritti interpretativi della Sacra Scrittura; è una tradizione che già nel suo formarsi è cosciente di essere normativa per la fede (= canonica); si forma nella vita del popolo di Dio: famiglia, la corte del Re, il culto; il suo contenuto fondamentale è l’alleanza elettiva di Jahvè con Israele; ha un carattere di stabilità (alcuni elementi fondamentali sono fissi) e insieme di progresso (rimane aperta alla attualizzazione). Tradizione cristiana La tradizione cristiana si colloca in continuità con quella ebraica, ne accoglie il contenuto rivelativo e lo conduce a compimento. Gesù stesso si oppone agli abusi della tradizione, non ai suoi contenuti autentici: «Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno» (Mt 23,3). Tuttavia Gesù con il suo operato dà vita a una tradizione nuova. Egli sa di essere colui che dà compimento alla Rivelazione e alla salvezza, il suo “io vi dico” detto con autorità lo testimonia e, insieme alla costituzione di un gruppo di discepoli inviati autorevolmente a predicare, indica il carattere immediatamente normativo di questa tradizione. Dopo la Resurrezione, in continuità con questa tradizione di Gesù sorge una tradizione su Gesù vissuta, narrata e poi scritta (i Vangeli) insieme a quella tradizione che raccoglie la dottrina, la vita, il culto della Chiesa apostolica e che si propone come autoritativa in virtù della continuità tra il ministero di Gesù e quello apostolico. 3. Formazione del testo Un popolo non comincia la sua storia scrivendo libri. Prima c’è la vita, poi la memoria. La Bibbia per il popolo ebreo e per quello cristiano costituisce tale memoria. E’ questa però una memoria che non ha come unico scopo la custodia dei fatti ma propone una lettura dei movimenti della storia capace di far emergere l’operare e il rivelarsi di Dio in essi (lettura teologica). Essa pur contenendo una Rivelazione non è un libro caduto dal cielo o dettato da un angelo, bensì scritto nell’arco di dieci secoli da decine di autori per lo più sconosciuti, tutti però preoccupati di narrare le gesta di quel popolo che Dio aveva fatto “suo”. Antico Testamento Gli studi di critica letteraria uniti a quelli storici e archeologici hanno permesso di riconoscere il testo attuale dell’AT come esito di un processo redazionale molto complesso che non affrontiamo nello specifico ma che indichiamo nelle sue linee essenziali. Potremmo descrivere tale processo come un movimento ad ondate successive in cui materiale tradizionale in forma scritta od orale veniva di volta in volta ordinato (o scritto) rispetto a criteri diversi secondo l’epoca e l’ambiente originale dello scrittore-redattore. Le grandi opere o fasi redazionali possono ricondursi a: Jahvista, Deuteronomista, Sacerdotale, Elohista, opera del Cronista. opera profetica e dei loro discepoli, letteratura sapienziale. Nuovo Testamento Al principio del NT sta la Pasqua di Gesù. La prima comunità apostolica riceve dal Risorto il mandato perché l’annuncio di salvezza – “Gesù è risorto” – giunga ad ogni uomo partendo da Gerusalemme fino ai confini della terra. Nell’iniziare quest’opera di evangelizzazione – di buon annuncio – i primi apostoli si accorgono di due necessità: rileggere tutta la loro esperienza con Gesù proprio a partire dalla fede pasquale (la memoria diventa così lettura “teologica”), affidare a degli scritti il loro messaggio perché potesse essere ascoltato e ripreso anche in loro assenza. Il primo a scrivere è Paolo con le sue lettere. Ad esse segue il costituirsi, all’interno delle prime chiese cristiane, di alcune raccolte di detti, parabole, opere di Gesù probabilmente per un uso liturgico. Da queste raccolte nascono i primi Vangeli (Matteo, Marco, Luca) detti Sinottici per la loro somiglianza derivante dal probabile uso delle medesime fonti. E’ importante sottolineare che questi testi nascono in risposta ad un vissuto ecclesiale che sollecita, interroga e orienta l’opera dell’evangelista. Da ultimi vengono raccolti le lettere cattoliche e gli scritti giovannei, chiudendo un processo lungo una settantina d’anni. Vedremo in seguito il meccanismo di fissazione del Canone (la scelta tra gli scritti riconosciuti come ispirati e dunque canonici, normativi e quelli no) 4. Breve storia dei testi In quali lingue sono stati scritti i testi sacri? Tre sono le lingue dei testi sacri: ebraico, aramaico, greco. Quasi tutto l’AT fu scritto in ebraico, alcune parti in aramaico; un solo libro ci è giunto già nella traduzione greca di un originale ebraico: il Siracide. Tutto il NT è stato scritto in greco. Come sono giunti fino a noi? Degli originali, ovviamente non c’è più traccia, anche perché il primo formarsi del testo avviene in un ambiente in cui i supporti alla scrittura erano altamente deteriorabili: tavolette, papiri… (la pergamena arriva solo nel 110 a.C.). I testi più antichi che abbiamo sono i papiri ritrovati a Qumran nel deserto di Giuda che risalgono circa al II sec. a.C. A causa del rapido deteriorarsi si rendeva necessaria una frequente trascrizione e copiatura, con il necessario propagarsi degli errori. Dunque noi possediamo solo dei “testimoni dei testi originali” giunti a noi dopo numerose modifiche, correzioni, alterazioni dei testi originali. Ecco perché non è possibile non accedere a quei testi se non attraverso un lavoro di critica testuale. Antico Testamento Le principali versioni antiche dell’AT sono quella greca detta dei settanta (LXX) del III sec. a.C.; e quella ebraica detta masoretica del VIII-X sec. d.C. opera del gruppo dei Masoreti (=traduttori) che vocalizzarono e fissarono il testo emendando errori e inserendo correzioni. Nuovo Testamento Oltre alla versione greca, del NT esistono anche le versioni latine: la Vetus latina (II-III sec. d.C.) e la Vulgata (IV sec. d.C) opera di S. Girolamo contenenti anche l’AT. BREVE INTRODUZIONE ALLA BIBBIA | 2. Bibbia come Parola di Dio 1. La Bibbia è Parola di Dio Anzitutto per definizione di DV9: “E’ Parola di Dio in quanto scritta per ispirazione dello Spirito Santo”. Rimane un’affermazione di fede, ma è anche un’esperienza vitale. A questa definizione dogmatica si arriva per via di una presa di coscienza graduale e a sua volta ispirata dallo Spirito Santo. Nell’AT: - la legge di Mosè fu sempre considerata divina da Israele perché donata direttamente da Dio; nei successivi processi di scrittura e riscrittura fu automatico che tali scritti fossero considerati sacri in quanto codificazioni letterarie del pronunciamento di Dio; - i profeti erano la “bocca di Dio” tanto che non si distingueva tra la parola del profeta e quella di Dio; quando vengono messi per iscritto viene riconosciuto il carattere divino anche ai libri profetici; - gli scritti sapienziali erano raccolte di “scienza di vita”; l’esilio le mette alla prova costringendone una nuova lettura e scrittura a partire dalla fede in Jahvè; questa rilettura dà autorevolezza alla sapienza che diviene Sapienza. Gli studiosi hanno riconosciuto nel processi di formazione delle tre parti dell’AT dei fenomeni di ri-capitolazione (cfr. come si riavvolgevano i rotoli antichi), cioè delle occasioni in cui avveniva una presa di coscienza, con relativa affermazione, dell’identità profonda degli scritti. I profeti iniziarono con al Torah dichiarandola Legge e affermando così che la legge era rispettare la Legge. Lo stesso avviene per gli scritti profetici (oracolo è ascoltare l’Oracolo) e per quelli sapienziali (sapienza è seguire la Sapienza). Nel NT il meccanismo è stato simile: - Gesù si propone come parola del Padre con un’autorità e una pretesa nuova. L’esito della Pasqua conferma l’identità messianica di Gesù e la divinità delle sue parole. Automatico diviene la considerazione trascendente delle parole evangeliche. - L’opera degli Apostoli ripete la Parola del Signore Gesù con gesti e discorsi provocando la crescita della Chiesa: Dio dunque continua a rivelarsi e operare nel loro agire e parlare. Da qui la coscienza dell’ispirazione e della normatività delle loro parole e dei loro scritti. Attenzione: la Bibbia però non solo contiene cose che Dio ha detto, ma Dio lì dentro parla. 2. Continuità tra i due testamenti E’ ancora la DV a indicare che i libri dell’AT sono stati integralmente assunti nel messaggio evangelico, conferendo loro il valore permanente di saper illuminare e spiegare il NT. Il dibattito è stato lungo quanto la Chiesa, da Marcione in giù… Gli elementi che indicano la continuità sono numerosi, ne indichiamo tre semplici ma fondamentali: - anzitutto l’apertura delle tre parti dell’AT (Torah, Profeti, Sapienza) a un futuro; - il riferimento frequente degli evangelisti alle Scritture; - il radicarsi di Gesù nella storia che lo ha preceduto e il suo proporsi come compimento delle promesse profetiche. Dunque Primo e Secondo Testamento, come due capitoli di una medesima storia di salvezza. Qualche elemento per una corretta e cristiana lettura dei rapporti tra i due scritti. a) I fattori che hanno ispirato la reinterpretazione del AT a partire dal NT sono principalmente due: l’esempio di Gesù e la Pasqua. Di fronte all’antica legge Gesù mostra un’autorità sovrana, tanto che si dimostra libero di “violarla”; questa sua libertà non va però nella direzione di un’abrogazione della Legge, bensì di una radicalizzazione della stessa. Il Venerdì Santo e la luce della Risurrezione costringono i discepoli a rivedere e rileggere il profilo del Messia che era stato delineato nei salmi regali e negli oracoli profetici nella prospettiva dell’umiliazione ed esaltazione pasquale. b) Quali fondamenti ha la lettura cristiana del AT? Anzitutto l’ispirazione: la Chiesa per fede apostolica ritiene sacri e canonici libri del AT e NT perché scritti sotto ispirazione dello Spirito hanno Dio per autore. E’ lo Spirito a garantire anzitutto l’unità, che però non è identità, bensì interdipendenza, capacità di reciproca illuminazione. In seconda battuta è la validità e peculiarità del AT che benché contenga anche cose imperfette e temporanee, dimostra anche la pedagogia di Dio. Esso è riferimento imprescindibile per comprendere anche terminologicamente il NT (“Figlio dell’uomo”, “giustizia”, “regno”…) c) Quali criteri per riconoscere nel NT un reale compimento del AT? La continuità anzitutto: Gesù si inserisce dentro la storia precedente anche in riferimento alle profezie. La discontinuità: c’è anche rottura, novità, originalità in Gesù, altrimenti sarebbe stato solo ripetizione. Infine il superamento: c’è un salto qualitativo. 3. L’ispirazione Per chiarire l’origine divina dei testi sacri sono state usate varie immagini; indichiamo e spieghiamo le principali. a) Il “dettare”. Nel senso latino di dictare, rafforzativo del verbo dire, per indicare un esprimersi energico di Dio nella Scrittura, ma anche con tutte le altre sfumature linguistiche del verbo (la precisione testuale, la profondità e ricchezza, l’imperiosa autorevolezza). L’idea è che Dio abbia indicato parola per parola… E’ un’immagine limitativa e che si presta a fraintendimenti. b) Dio come “autore”. Nel senso che ne è promotore responsabile, origine autorevole, colui che pensa e vuole fortemente il libro affidato poi a degli “autori secondari”. c) Lo “strumento”. Il rapporto tra Dio e chi ha scritto fisicamente i testi sarebbe simile a quello tra il corpo e i suoi organi, o tra lo scrittore e la penna, il musicista e lo strumento musicale. d) L’ispirazione: è un’immagine fondamentale perché suggerita dagli stessi testi del NT (2Tm 3,16: “tutta la Scrittura è ispirata da Dio”; 2Pt 1, 19-21: “mossi dallo Spirito parlarono gli uomini da parte di Dio”) che ne tratteggiano anche la dinamica: il Padre è visto come sorgente; da Lui lo Spirito dona la Scrittura che ha dunque potere di salvezza; il contesto in cui si incontra la Scrittura è la Chiesa che ha un ministero di interpretazione e formazione. E’ un’immagine complessa che ha bisogno di alcune aperture. Innanzitutto va ricordata la presenza e l’opera dello Spirito lungo tutta la storia dell’uomo (già aleggiava sulle acque…) come principio salvifico. Dunque non solo la scrittura dei testi, ma le vicende contenute, le tradizioni originate, la loro rilettura, la redazione, la fissazione dei testi fino al nostro leggere e interpretare tutto è da considerarsi dentro l’operare dello Spirito che è pervasivo. Inoltre lo Spirito va considerato nel suo operare: è potenza creatrice, vivificante e salvatrice; raduna i credenti nella comunione della Sua unicità; fa memoria di Cristo nella Chiesa, rende capaci di testimoniarlo e tiene viva l’attesa del Suo ritorno. Se questo è lo Spirito, è “ovvia” la Sua presenza nelle Scritture. Essa però non è azione passeggera sugli autori sacri, bensì presenza permanente e vivificante nelle Scritture stesse. e) Parola di Dio: nel senso dello strettissimo rapporto di dipendenza della Scrittura da Gesù, Verbo del Padre, la cui venuta è annunciata e preparata dal Primo Testamento e custodita e compiuta nel Secondo Testamento. 4. Il Canone La parola Canone significa: misura, regola, norma. La canonicità dei testi è qualcosa che la Chiesa riconosce, riceve e di cui dà atto, ma non saprebbe darla, né estenderla, né limitarla. E’ ciò che fa il Concilio di Trento quando, nel 1569 a fronte della controversia luterana, invita a d accogliere integralmente tutti i testi come si è soliti leggerli nella Chiesa cattolica secondo la traduzione latina. Il Canone attualmente fissato nella Chiesa cattolica è di 46 (AT)+27(NT) libri. Il canone ebraico, che viene fissato definitivamente attorno alla fine del II sec. e all’inizio del III, esclude: Dn 13-14, Ester 10, 4-16;24, Tb, Gdt, 1e2Mac, Bar, Sir, Sap. La Chiesa luterana assunse il canone ebraico e rifutò del NT: Gc, Gd, Eb, Ap; oggi però vengono utilizzati e commentati. La fissazione definitiva del Canone avviene in risposta ad una controversia e anche i precedenti pronunciamenti in merito da parte della Chiesa furono sollecitati dalla salvaguardia dell’ortodossia. La Chiesa apostolica non aveva un Canone fisso per l’AT. Terminata l’epoca apostolica, il fatto che fosse bilingue (aramaico e greco), spinse la Chiesa primitiva a far uso della versione dei LXX. L’incertezza tra il canone breve e quello più lungo trovò una vera soluzione solo durante le controversie del XV-XVI sec. con i Concili di Firenze e di Trento. Anche il testo neotestamentario, sin da principio, conobbe una storia travagliata anch’essa poi risolta a Trento. Con quali criteri la Chiesa compì quest’opera di riconoscimento? A Trento vengono indicati due criteri di scelta fondamentali: la lettura liturgica nella Chiesa e la presenza nell’antica versione latina della Vulgata. Oltre a questi due, altri criteri furono decisivi nello stabilirsi delle raccolte di testi. Importanti furono quelli più oggettivi: la destinazione di uno scritto apostolico a una chiesa ufficiale e l’uso che essa ne ha fatto; l’origine o l’approvazione apostolica di un libro; la conformità con la “regola della fede”. Gli argomenti che però appaiono più chiarificatori possono essere questi due: la fissazione del Canone come opera ispirata dallo Spirito Santo; la fissazione del Canone quale atto di auto-coscienza della Chiesa, che riconosce alcuni scritti come gli unici che corrispondono alla Sua natura e la esprimono. BREVE INTRODUZIONE ALLA BIBBIA | 3. Lettura, interpretazione, “utilizzo” della Bibbia 1. La verità della Bibbia Stando tutto ciò che abbiamo detto e descritto della formazione dei testi biblici, la domanda che sorge spontanea è: cosa c’è di vero e di autentico? Se è così rilevante la componente umana (tradizioni, redazioni, copiature…) nella formazione del testo, cosa ci sarà di vero? Oltretutto sono testi canonici, normativi… In sostanza: quale verità ci dice la Bibbia? Possibile che non sbagli? Che la Bibbia non inganni e non possa ingannare perché è Parola di Dio, è sottinteso nel dogma dell’ispirazione. Però sin dall’inizio ci si è interrogati a riguardo, stimolati anzitutto dalle discordanze dei testi… La prima vera e propria contestazione si ha con il caso Galilei che, pur condannato, non faceva altro che anticipare la posizione che la Chiesa avrebbe preso nel 1893 con Leone XIII nell’enciclica Providentissimus Deus: lo Spirito Santo attraverso gli autori sacri ha voluto insegnare agli uomini solo ciò che era per la loro salvezza (S. Agostino), dunque la forma e il movimento del cielo e altre questioni del genere non competono la Scrittura; Essa insegna come si va in cielo e non come va il cielo. Il XIX secolo, con la teoria evoluzionistica, fa esplodere la questione. Molti sono i tentativi di soluzione della controversia (limitare l’ispirazione solo ad alcune parti o contenuti… ammettere l’errare della Bibbia per gli aspetti scientifici…) ma la strada giusta viene aperta dall’enciclica Divino Afflante Spiritu di Pio XII che riconosce la presenza nella Bibbia di una varietà di generi letterari e invita a farne un uso ampio e corretto. E’ il Vaticano II a porre la parola decisiva: «Poiché tutto ciò che gli autori sacri asseriscono è da ritenersi asserito dallo Spirito Santo, è da ritenersi anche, per conseguenza, che i libri della Scrittura insegnano con certezza, fedelmente e senza errore la verità che Dio, per la nostra salvezza, volle fosse consegnata nelle Sacre Lettere» (Dei Verbum 11). Due particolari sottolineature: - non si va alla Bibbia semplicemente perchè “non sbaglia” ma perché vi si può incontrare la Parola di salvezza; - viene indicato un principio formale in virtù del quale considerare le affermazioni della Scrittura: “per la nostra salvezza”; la verità in senso biblico da cercare, ciò per cui le Scritture esistono è la volontà salvifica di Dio per l’uomo. Se dunque l’oggetto della Scrittura è comunicare la “verità salvifica”, anche le notizie profane hanno valenza salvifica nella misura in cui partecipano a questa comunicazione; sono di conseguenza libere da errori in quanto contenenti o concernenti l’agire di Dio. Tutto nella Scrittura è partecipe della Verità o direttamente ed essenzialmente, o indirettamente e in virtù del servizio alla Verità. Esempio: la creazione… Ma dunque, i fatti storici? Vale il medesimo criterio formale… Il dato storico non è il fine del testo, d’altra parte se non si può in alcun modo raggiungere la verità storica… Soprattutto per Gesù e i Vangeli questo è stato un problema: il Gesù storico, le “ipsissima verba”. Tre criteri: criterio della differenza (è propriamente del Gesù storico ciò che non è attribuibile al mondo ebraico o alla Chiesa primitiva); criterio della coerenza (ciò che è stato storicamente provato assicura la storicità di tradizioni simili); criterio della molteplice testimonianza (ciò che è attestato in vari filoni del NT è storicamente autentico). Una particolare sottolineatura meritano i cosiddetti “generi letterari”. Una definizione: «Varie forme o maniere di scrivere usate comunemente tra gli uomini di una data epoca e regione e poste in relazione costante con determinati contenuti». Ciò che è decisivo in un genere letterario è il legame tra la forma letteraria, il contenuto che si vuole esprimere e la situazione vitale in cui il testo sorge e che determina sia la forma che il contenuto. Poiché in ogni epoca della storia biblica, la cultura umana dell’ambiente ha condizionato fortemente il linguaggio e le forme letterarie usate, è necessario identificare, studiare e interpretare i generi letterari per comprendere il significato di un testo biblico. 2. Cenni di storia dell’interpretazione Le prime scuole di interpretazione sorsero già nel II-III secolo. La più importante era la scuola di Alessandria che sosteneva una lettura allegorica delle Scritture a partire dal mistero di Cristo, basata su un precedente approccio letterale e verificata sui contenuti del deposito della fede. Sin da allora si cominciò a distinguere un senso letterale e uno spirituale della Scrittura e tale criterio divenne assodato specificando ulteriormente il senso spirituale in: allegorico, morale, anagogico (es.: Gerusalemme=città, Chiesa, anima, città celeste). Nel XVII secolo sorge un approccio basato maggiormente sulla ragione: il metodo storicocritico che approccia il testo dal punto di vista letterario, attento ai doppioni, le divergenze, le differenze stilistiche… Questo metodo ha conosciuto un larghissimo sviluppo e oggi persegue sempre più l’obbiettivo di chiarire i processi storici di formazione dei testi secondo criteri scientifici. E’ un’analisi che segue tappe precise: critica testuale (per ricostruire un testo il più possibile fedele all’originale); critica dei generi letterari (per determinare il genere del testo, l’ambiente origine, il tipo di comunità che lo produsse…); critica delle tradizioni (per ricostruire le tradizioni in cui collocare i testi); critica della redazione (studia gli interventi con cui l’autore ha strutturato i testi orientandoli secondo una precisa teologia). Oggi ci sono metodi nuovi (analisi retorica, narrativa, e semiotica) che non si preoccupano tanto di ricostruire il testo quanto di studiarlo nella sua figura finale. Il Vaticano II sintetizza in due i livelli di lettura del testo: senso letterale, senso spirituale. Il primo è quello direttamente espresso dagli autori umani ispirati e lo si può discernere con un’analisi del testo dal punto di vista del suo contesto storico e letterario (non è letteralistico…). Il senso spirituale è quello espresso dai testi biblici quando questi vengono letti nel contesto del mistero pasquale di Cristo che, illuminato dallo Spirito, insegna a rileggere le Scritture secondo il loro compimento. Perché non diventi un’interpretazione arbitraria, al senso spirituale vanno affiancati tre criteri che già abbiamo presentato: l’interezza della Scrittura, l’ascolto della Tradizione della Chiesa, il confronto con il deposito della fede. 3. “Usare” la Sacra Scrittura Qualche criterio di semplice buon senso… Nella Liturgia Attenzione alla scelta dei brani per lunghezza, per genere letterario, per difficoltà di interpretazione… Non si fanno a pezzi le pericopi senza criteri… Usare i salmi non è lo stesso della raccolta di preghiere dell’autore spirituale più in voga… Attenzione al contesto della lettura e alla modalità: è sempre Parola di Dio. Nella Catechesi La Bibbia non è un sussidio, nemmeno un sussidio privilegiato, della catechesi, un testo a cui attingere per contenuti o argomenti; è il libro stesso della catechesi cristiana nella sua impostazione fondamentale. Occorre fare una vera e propria impostazione biblica della catechesi. La Bibbia non è una raccolta di frasi da “baci perugina”… Non si possono snocciolare citazioni estrapolandole dal loro contesto – e magari male interpretandole – solo per sostenere e dare forza al proprio discorso… Bisogna un po’ prepararsi prima di dire sciocchezze… Ci sono ottimi commenti! Lo scopo dell’uso della Scrittura nella Catechesi è anzitutto favorire l’incontro con Gesù. Attenzione a non fare i collage di testi secondo criteri estrinseci al testo stesso. Alla fin fine: un po’ di buon senso ricordando che è e rimane sempre Parola di Dio Due modi per pregarla. Il metodo tradizionale della lectio divina Lectio: cosa dice il testo? Leggi il testo così com’è, come se fosse pronunciato oggi per la prima volta Meditatio: cosa mi dice il testo? Rifletti con la tua intelligenza sul testo cercando di comprenderlo a fondo e applicalo alla tua vita Oratio: cosa rispondo alla Parola? Loda, ringrazia, chiedi, intercedi… Contemplatio: sosto in pace, rimanendo alla presenza di Dio che mi parla Actio: lascio cha la Parola dia forma alla mia vita… Il metodo ignaziano E’ uno schema simile alla lectio divina con alcune sottolineature particolari. Dopo una prima lettura si raccomanda la “composizione di luogo” che consiste nell’immaginare la scena ricostruendola nei suoi particolari. Da lì si rilegge il testo “ascoltandolo” con l’intelligenza, la memoria, la volontà. Occorre fermarsi sulle parole che muovono il cuore “ruminandole”, ascoltando e interrogando i sentimenti che fanno sorgere nel cuore per poi dialogare con il Signore a partire da esse. Entrambi i metodi domandano di essere applicati sotto la guida dello Spirito di cui è piena la Parola e che ci è promesso come Colui che conduce alla verità intera.