1 CHRISTI BONUS ODOR DEO: L’ARTE DEL PROFUMIERE IN LITURGIA di Gian Pietro Caliari ∗ Il profumo sta alla bellezza, come la gioia alla vita. Nel linguaggio biblico, profumarsi non significa meramente agghindare la bellezza estetica di un elemento accessorio e olfattivo, ma sostanzialmente estraneo all’essenza del pulchrum. Profumarsi è, prima di tutto, esprimere, manifestare la gioia di vivere e, ancor più, sensualmente rivelare la vita stessa! Il profumo e l'incenso allietano il cuore, la dolcezza di un amico rassicura l'anima (Proverbi 27,9). In ogni tempo le tue vesti siano bianche e il profumo non manchi sul tuo capo (Ecclesiate 9,8). Come cinnamomo e balsamo ho diffuso profumo; come mirra scelta ho sparso buon odore; come galbano, onice e storace, come nuvola d’incenso nella tenda (Siracide 24,15)1. 1. IL PULCRUM SIVE L’APTUM DELLE FRAGRANZE CULTUALI. Nelle istituzioni sociali bibliche così come nelle pratiche cultuali dell’Antico Testamento, il pulchrum olfattivo non è circoscrivibile alla mera categoria dell’estetica filosofica. Neppure, è comprensibile in una dimensione soggettiva ed emozionale, che la eleverebbe a percezione straordinaria, incomprensibile e, da ultimo, irrazionale. Il pulchrum olfattivo di cui parliamo è essenzialmente aptum. È, in un’ultima analisi, ciò che è peculiarmente aptum a manifestare e rilevare. La sua radice prima non è estetica, bensì epifanica. Così, l’uso di profumi e oli profumati2 era prescritto ogni qualvolta che la gioia pervadeva la vita: ai convitati per un banchetto (Bevono il vino in larghe coppe e si ungono con gli unguenti più raffinati, Amos 6,6) o agli amanti al momento dell’unione fisica (Ho profumato il mio giaciglio di mirra, di aloe e di cinnamomo, Proverbi 7,17). ∗ L’Autore è Maestro delle Celebrazioni Liturgiche della Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri alle Terme in Roma (www.gianpietrocaliari.eu). 1 I testi biblici sono tratti dalla traduzione italiana della Sacra Bibbia della CEI, editio princeps, 1971. L’autore, tuttavia, li ha, talora, leggermente modificati così che il testo italiano sia più atto a trasmettere pienamente il senso dell’originale ebraico e/o greco. 2 Nel Vicino Antico Oriente e ai tempi della stesura dell’Antico Testamento (dal VII al II secolo a.C. circa), il profumo era utilizzato sotto forma di preparati oleosi, chiamati in ebraico puk, di oli profumati, di polveri a base di henna, ma anche di sacchetti di erbe aromatiche portati addosso o messi fra i vestiti. Da quest’ultima usanza deriva l’espressione biblica in vesti profumate. Anche gli uomini portavano vesti profumate. 2 Al contrario, non farne uso è obbligatorio quando la vita è privata della sua intrinseca gioia, e alla bellezza viene meno la sua sensuale fragranza. Così è, nell’Antico Testamento, di fronte alla morte e alla violazione dell’alleanza stabilità da JHWH con il suo popolo: Mettiti una veste da lutto, non ti ungere il capo (2 Samuele 14,2). Allora, il lutto e la penitenza assumono espressione rituale nel mortificare il corpo con il digiuno, nell’umiliare l’apparenza stracciando le vesti e indossando abiti di sacco, nel mutilare la bellezza astenendosi dall’uso di profumi e oli profumati, e nell’esprimere l’immensità del dolore o della contrizione nel lamento. La stessa percezione olfattiva del profumo rappresenta, nell’Antico Testamento, la vibrazione silenziosa che esala l’essenza intima dell’essere3. Nel Cantico dei Cantici, la sposa indica l’amato come: profumo olezzante è il tuo nome, per questo le giovinette ti amano (1,3); Per la fragranza4 sono inebrianti 5 i tuoi profumi; e la presenza dell’amato è definita colonna di fumo che sale dal deserto , esalando profumo di mirra e d'incenso e d'ogni polvere aromatica (3,6). Parimenti, lo sposo invoca l’amata come mia mirra, mio balsamo (5,1); e così la descrive: Le tue labbra stillano miele vergine, o sposa, c'è miele e latte sotto la tua lingua e il profumo delle tue vesti è come il profumo del Libano (4,11). La percezione olfattiva da semplice funzione sensoriale dei chemiorecettori è, infine, elevata a indice e manifestazione della benedizione di JHWH per i suoi prescelti. Come leggiamo nel racconto biblico, dove si narra che Giacobbe, figlio minore di Isacco, riesce a carpire al padre la benedizione di primogenitura a scapito del fratello maggiore Esaù: Avvicinati e baciami figlio mio, disse Isacco. Giacobbe gli si avvicinò e lo baciò. Isacco aspirò l’odore degli abiti di lui e lo benedisse: Ecco l’odore del mio figlio come l’odore di un campo che JHWH ha benedetto (Genesi 27, 26‐27). L’uso di profumi, incensi e oli profumati è, in secondo luogo, strettamente connesso alla più alta dignità conferita da JHWH al suo popolo: quella di essere una stirpe eletta e una nazione santa per il culto del solo e vero Dio. 3 Nell’ebraico biblico, le essenze profumate sono chiamate shemen e il sostativo shem significa nome. 4 Si noti che nell’ebraico biblico per fragranza si usa il sostantivo reah, che contiene le stesse consonanti del sostantivo ruah (soffio, spirito) e la ruah Elohim è lo Spirito stesso di Dio. 5 Il termine inebriante è reso in ebraico dall’aggettivo tob, che in realtà ha il significato principale di bello, buono e giusto. Si tratta dello stesso aggettivo che JHWH usa nel racconto sacerdotale di Genesi 1, 1‐31 per commentare l’opera compiuta, al termine di ognuno dei giorni della creazione: Dio vide che era cosa buona (Genesi 1, 9; 12; 18; 21; 25), Dio vide quanto aveva fatto ed ecco era cosa molto buona (Genesi 1, 31). 3 Nel culto di Dio,l’‘abodah, il popolo d’Israele non mostra semplicemente la sua sottomissione alla mitsvah, al precetto di JHWH, ma è associato alla stessa opera creatrice di Dio. L’actio cultuale è, infatti,‘asah: il medesimo fare del Creatore che ricorre come leitmotiv del racconto della creazione nel primo capitolo del libro della Genesi6. Nel culto ebraico l’olfatto era, pertanto, la funzione sensoriale principale. Per il Talmud, infatti, l’olfatto è l’unico senso che provoca il piacere dell’anima, mentre tutti gli altri sensi sono preposti al piacere carnale7. Per i Midrashim, poi, l’olfatto fu l’unico dei sensi a non essere stato coinvolto nel peccato originale. Secondo il raccolto biblico8, invero, Eva vide che il frutto era buono, Adamo ascoltò la voce della moglie, e ovviamente, entrambi toccarono il frutto proibito e se ne cibarono. L’olfatto è, perciò, definito come il più spirituale dei sensi ed è associato alla capacità di saper cogliere l’essenza della realtà oltre le apparenze. Commentando, infine, il testo messianico di Isaia: Egli avrà il profumo del timore di Dio, non giudicherà secondo ciò che appare agli occhi, e non prenderà decisioni per sentito dire (Isaia 11,3); molte scuole rabbiniche definiscono l’olfatto: il senso del Messia. La liturgia del Tempio di Gerusalemme era, come logica conseguenza, ricchissima di profumi. C’è un altare dei profumi o dell’incenso9, si usano incensieri per bruciare l’incenso 10 e, ogni sera e ogni mattina, è compiuto un sacrificio di profumo11. Il fumo dei profumi e degli incensi rende, poi, visibile e olfattiva la lode, l’adorazione, la supplica e l’azione di grazie rivolte alla divinità. L’incenso, la sua composizione e la sua fragranza sono così importanti nella liturgia cultuale ebraica che la sua preparazione e la stessa composizione sono meticolosamente descritte dal redattore sacerdotale del libro dell’Esodo. Più ancora, l’autore biblico pone sulla bocca stessa di JHWH la ricetta autentica: Il Signore disse a Mosé : Procurati balsami: storace, onice, galbano come balsami e incenso puro: il tutto in parti uguali. Farai con essi un profumo da bruciare, una composizione aromatica secondo l’arte del profumiere, salata, pura 6 Cfr. Genesi 1, 1‐31. 7 Cfr. Berakhòt 43b. 8 Cfr. Genesi 3, 1‐24. 9 All’interno del Tempio di Gerusalemme, l’altare dei profumi o dell’incenso era posto nel Santo (hekal) insieme alla tavola dei pani davanti all’ingresso al Santo dei Santi (devir). 10 L’incenso in ebraico è indicato con il sostantivo di lebonah, quanto è puro. Gli incensi, mescolati ad altre fragranze per il sacrificio di profumo erano chiamati timiati. 11 Aronne brucerà incenso aromatico, lo brucerà ogni mattina e lo brucerà anche al tramonto, incenso perenne davanti al Signore per le vostre generazioni (Esodo 30, 7). Un rito ancora in uso e osservato ai tempi di Gesù, come ci testimonia l’Evangelista Luca: A Zaccaria toccò in sorte di entrare nel tempio per fare l’offerta dell’incenso. Tutta l’assemblea del popolo pregava fuori nell’ora dell’incenso (Luca 1, 9‐10). 4 e santa. Ne pesterai un poco riducendola in polvere minuta e ne metterai davanti all’arca della Testimonianza, nella tenda del convegno, dove io ti darò convegno (Esodo 30, 34‐36). L’impiego d’incensi, aromi e olii era così frequente che dal Tempio di Gerusalemme si alzava una ruah nichoah, un soffio di serenità e che da sollievo. Lo stesso monte del Tempio har haMoria è indicato con un termine che contiene le stesse consonanti mr che in ebraico sono contenute nel sostantivo che indica la mirra, chiamata anche incenso puro, e anche nell’aggettivo mar che significa amarezza. Quasi a indicare che il potere dei profumi dell’incenso offerto a Dio è di tramutare le pene della vita in gioia e i dolori in felicità. Lo esprime chiaramente il profeta Isaia, con un preciso riferimento alla ruah nichoah, che si eleva perennemente dal Tempio di Sion: Per allietare gli afflitti di Sion, per dare loro una corona invece della cenere, olio di letizia invece dell'abito da lutto, canto di lode invece di un cuore mesto. Essi si chiameranno querce di giustizia, piantagione del Signore per manifestare la sua gloria (Isaia, 61,3). Similmente gli oli profumati trovano largo impiego sia nella vita quotidiana sia in quella rituale del popolo dell’Antica Alleanza. Il loro uso indica gioia ed esultanza, ma anche elezione. Su questo monte essi berranno la gioia, berranno vino: si ungeranno con olio profumato su questo monte (Isaia 25, 6‐7). Per questo, la gioia messianica è contraddistinta dal profumo dell’olio di esultanza. Nella vita quotidiana, infine, l’utilizzo di olii aromatici serve a onorare l’ospite per significare e augurargli l’abbondanza dei favori divini: Dinnanzi a me tu prepari una mensa di fronte ai miei avversari; mi profumi il capo con una unzione (Salmo 23,5). Così come, nel culto, tutti i luoghi e gli oggetti necessari erano consacrati con unzioni per significarne l’eminente santità. 2. PULCHRUM ET APTUM AD CONSACRANDUM. Particolare riguardo, per la sua importanza sia nel linguaggio dell’Antico e del Nuovo Testamento sia per la teologia e la pratica liturgica della Chiesa merita l’uso dell’unguento riservato alla consacrazione delle persone, chiamato olio per l’unzione o chrisma. Similmente alla preparazione dei profumi e dell’incenso da offrire a Dio, il redattore sacerdotale del capitolo trentesimo del libro dell’Esodo trasmette un’accurata e dettagliata composizione che JHWH stesso comunica a Mosé: Procurati balsami pregiati: mirra vergine per il peso di cinquecento sicli, cinnamomo odorifero, la metà, cioè duecentocinquanta sicli, canna odorifera, duecentocinquanta, cassia cinquecento sicli, secondo il siclo del santuario, e un hin d’olio d’oliva. Ne farai l’olio per l’unzione sacra, un unguento composto secondo l’arte del profumiere (Esodo 30, 22‐25). 5 Si tratta di un olio veramente prezioso per composizione così come intensamente profumato per le distinte fragranze che lo compongono. Nell’Antico Testamento, l’unzione era espressamente riservata ai re e ai sacerdoti. Saul e Davide furono unti e consacrati re da Samuele (1 Samuele 10,1 e 16,13); Jehu da un profeta inviato da Eliseo (2 Re 9,6); Salomone da Sadoq (1 Re 1,39) e Joas da Jehojada (2 Re 11,12). Parimenti, JHWH prescrive che Mosè conferisca l’unzione ad Aronne (Esodo 29,7) stabilendolo quale sommo sacerdote, il sacerdote consacrato mediante l’unzione (Levitico 4,5), e la sua discendenza quale tribù sacerdotale fra le dodici d’Israele. L’unzione, ma si tratta certamente di una tradizione del post‐esilio, è poi conferita anche ai semplici sacerdoti figli di Aronne (Esodo 28,41 e Numeri 3,3). L’Antico Testamento riporta, infine, almeno due casi di profeti che hanno ricevuto l’unzione a segno della loro investitura: Eliseo e Isaia. Del primo abbiamo la testimonianza nel primo libro dei Re quando Elia riceve da Dio l’ordine di ungerlo quale profeta (1 Re 19,16). Di Isaia abbiamo, invece, una testimonianza indiretta: Lo Spirito di JHWH è su di me, perché mi ha unto (Isaia 61,1). Si tratta, tuttavia, di unzioni extra‐rituali che indicano metaforicamente l’investitura ricevuta per disseminare la darwan, la parola profetica che illuminava la dahat, la legge rivelata, e ne incitava alla vera obbedienza e al sincero ossequio. L’unzione‐consacrazione era, così, riservata alla guida e al capo del popolo d’Israele. In epoca monarchica fino alla conquista della Giudea da parte di Nabucodonosor (598 a.C.), l’unto del Signore (1 Samuele 26,16) è il re; dopo l’esilio in Babilonia, dal 531 a.C., è invece il sommo sacerdote. L’unzione‐consacrazione tramite un olio di grande fragranza, reah, rende l’unto partecipe dello spirito, ruah di JHWH, come ci testimonia la prima unzione regale narrataci dall’Antico Testamento, quella di Davide: Samuele prese il corno dell’olio e lo unse in mezzo ai suoi fratelli. Da quel giorno lo spirito di JHWH s’impadronì di David (1 Samuele 16,13). La fragranza, reah, del chrisma possiede la forza di suscitare nell’unto‐ consacrato lo stesso spirito, ruah, di Dio. La stessa fragranza, poi, diffondendosi fra gli astanti li porta all’estasi cultuale e gioiosa che suscita l’olio di esultanza (Isaia 61,3; Ebrei 1,9), come ci testimonia l’affascinante Salmo 45, noto anche come l’Epitalamio 12 regale. Effonde il mio cuore liete parole, io canto al re il mio poema. La mia lingua è stilo di scriba veloce. Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo, sulle tue labbra è diffusa la grazia, ti ha benedetto Dio per sempre. 12 Epitalamio, dal greco epitalamoi: canto nuziale che era eseguito davanti al talamo. 6 Dio il tuo Dio ti ha consacrato con olio di letizia. Le tue vesti son tutte mirra, aloe e cassia così i popoli ti loderanno in eterno, per sempre (2‐3; 9; 18b). Potenza di una mistura sapiente, di una fragranza di profumi, effluvio di aromi che stimola l’olfatto, ma soprattutto eccita alla tehillah, la lode infinita di Dio! Nel Nuovo Testamento, l’unto del Signore è Gesù stesso, il Cristo da chrisma, che è Messia (Atti 2,36 e Filippesi 2,11) nell’accezione più piena e triplice: di Re, Sacerdote e Profeta. É lui, infatti, l’Uomo‐Dio, che Dio ha unto di Spirito Santo e di Potenza (Atti 10,38). Su di lui, infatti, scese lo Spirito Santo in apparenza corporea di colomba e vi fu una voce dal cielo: Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto (Luca 3,22). La sua unzione, tuttavia, non è rituale ma divina, ontica, sostanziale, ed eterna: Ti unse Dio il tuo Dio con olio di esultanza più de tuoi compagni. Terra e cieli periranno, ma tu rimani; invecchieranno come un vestito. Come un mantello li avvolgerai, come un abito e saranno cambiati; ma tu rimani lo stesso e tuoi anni non avranno fine (Ebrei 1, 9‐12). L’effluvio di fragranze che l’unzione cristica suscita non ha confini né nel tempo, né nello spazio, né nel numero di coloro che possono inebriarsi degli aromi che emano dalla regale maestà di Gesù il Cristo: Alleluia! Il suo profumo sale per i secoli dei secoli! (Apocalisse 19,3). Siano rese grazie a Dio, il quale ci fa partecipare al suo trionfo in Cristo e diffonde per mezzo nostro il profumo della sua conoscenza nel mondo intero! (2 Corinzi 2,14). 3. PULCHRUM ET APTUM AD REVELANDUM. Il Nuovo Testamento, come l’Antico, ci riferisce di episodi, dove profumi e unguenti profumati non solo entrano della narrazione, ma ne costituiscono l’elemento centrale e l’annuncio, il kerigma essenziale. A Betlemme, il bambino Gesù è onorato dai Magi con l’offerta di oro, incenso e mirra13. Durante la sua predicazione, in più occasioni, il capo e i piedi di Gesù 13 I Padri della Chiesa hanno identificato in ognuno dei tre doni uno specifico omaggio e riconoscimento all’umanità e divinità di Gesù. Oro, per omaggiarne la regalità; incenso, per adorarne la divinità; mirra, sia per significarne la vera umanità sia per riconoscere la sua dignità di Sommo ed Eterno Sacerdote. L’evangelista Matteo, l’unico dei quattro evangelisti canonici a riportare l’episodio della visita dei Magi (màgoi), definisce in greco líbanos il tipo di incenso offerto a Gesù (cfr. Matteo 2, 11‐12). Il termine greco líbanos, designa primariamente l’albero dell’incenso. Dobbiamo dedurne che l’autore del primo dei quattro vangeli, certamente un cristiano proveniente dall’ambiente giudaico che scriveva per le comunità cristiane provenienti dal giudaesimo, volesse distintamente fare riferimento al lebonah, l’incenso puro (direttamente dall’albero) di cui JHWH aveva comandato l’uso per la composizione dei timiati che erano offerti nel sacrificio dei profumi nella liturgia del Tempio. 7 sono unti con olii profumati e preziosi. Una peccatrice, durante una cena a casa di un fariseo, cosparge il capo e i piedi di Gesù con olio profumato14. Un gesto di omaggio che il Signore stesso così commenta: Tu non mi hai cosparso il capo di olio profumato, ma lei mi ha cosparso di profumo i piedi. Per questo ti dico: le sono perdonati i suoi peccati, perché ha molto amato (Luca 7,50). L’olio profumato ha onorato il Messia, ma poiché il suo effluvio era stato sparso con molto amore, la sua fragranza s’è diffusa come aroma di perdono. Nel brano di Luca rivive lo stesso moto di compassione di JHWH, quando dopo il Diluvio Universale riceve da Noè un sacrificio di lode: Il Signore ne odorò la soave fragranza e pensò: Non maledirò più il suolo a causa dell'uomo, perché l'istinto del cuore umano è incline al male fin dalla adolescenza; né colpirò più ogni essere vivente come ho fatto (Genesi 8,21). L’episodio riecheggia, poi, la stessa liturgia del Tempio e l’incontro fra Cristo e la peccatrice segna l’ora15 della seconda e serotina offerta cultuale dei profumi, dei timiati, quella serale. L’unzione e il perdono squarciano l’ombra delle tenebre e avvolgono il tempo dello splendore cosparso di profumi del corpo dell’Unto di Dio e da Dio stesso unto come Cristo (Atti, 4,27). La ruah nichoah, il soffio di serenità, che emana non più dal Tempio dell’Antica Alleanza ma dal Corpo di Gesù, Nuova ed Eterna Alleanza, unto di olio profumato dalla peccatrice, è ora e per sempre quello della Misericordia. Insieme, l’abodah – il culto – la torah – la legge – e la misericordia, la khesed, sono le colonne del mondo. Il Corpo unto, il Cristo emana la suprema khesed mostra le viscere dell’amore, l’essere stesso del Dio cristiano – Deus Caritas est! (1 Giovanni 4,16) ‐ e si svela come cosmogonia del creato ed eukosmía della Salvezza. Il vangelo di Giovanni, poi, racconta di Maria di Betania, che sei giorni prima della Pasqua versa olio profumato sulla testa di Gesù16. Il testo giovanneo riferisce con scrupolo che: Maria, allora, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento (Giovanni 12, 3). L’Evangelista, nel testo greco, fa notare la quantità María laboúsa lítrav: 14 Cfr. Luca 7, 36‐50. 15 L’evangelista Luca non precisa, nel testo greco, se si trattava del pasto serale. Scrive genericamente che un fariseo eróta ína fáge met’autoú, gli chiese di mangiare con lui (Luca 7, 36). Tuttavia, precisa che entrato nella casa del fariseo, Gesù aneklíthe, si sdraiò; e introducendo la narrazione dell’unzione, specifica che la donna epignoúsa óti avákeitai, sapendo che Gesù si era sdraiato (Luca 7,37). Il verbo greco avaklíno indica lo sdraiarsi su di un fianco. Quella di cenare straiati su di un fianco, e non seduti o in piedi, era un’abitudine introdotta dai romani in Palestina. Il testo lucano, dunque, lascia intendere che Gesù entrò nella casa del fariseo per il pasto serale e che, dunque, l’unzione ebbe luogo nell’ora in cui era offerto nel Tempio il sacrificio serale dei profumi. 16 Cfr. Giovanni 12, 1 – 7. 8 Maria prese un’intera libbra che in epoca romana equivaleva a 327, 168 grammi. Specifica pure la tipologia dell’olio usato múrou nárdou pistikés: olio di mirra pura. La stessa che JHWH prescrive a Mosè d’utilizzare per la composizione dell’olio dell’unzione. Giovanni, inoltre, annota che la mirra usata era polutímou, costosa. Non doveva trattarsi, dunque, della mirra usata normalmente per le sepolture dalla popolazione d’Israele, ma proprio di quella mirra vergine prescritta in Esodo 30, 22. La pericope evangelica, infine, rileva come a causa dell’unzione l’oikía epleróthe ék tés osmés, la casa fu riempita di profumo. L’aggettivo greco epléros – pieno, riempito, ricolmo – è lo stesso che ritroviamo per descrivere lo stato interiore degli apostoli e dei discepoli quando ricevono il dono dello spirito: reah e ruah, fragranza e Spirito stesso di Gesù il Risorto. Sono loro, apostoli e discepoli, ora l’oikía, la casa del Signore. Nel ricevere il dono dello Spirito, nell’oikía della Nuova Alleanza si ripete lo stesso effluvio che riempi e ricolmò quella di Betania, epleróthe ék tés osmés: ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo (Atti, 2,4). Lo stesso aggettivo e usato, sempre negli Atti degli Apostoli, quando lo Spirito è donato alla Chiesa nascente e ai discepoli: Quand'ebbero terminato la preghiera, il luogo in cui erano radunati tremò e tutti furono pieni di Spirito Santo e annunziavano la parola di Dio con franchezza (4, 31); mentre i discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo (13, 52). Clemente Alessandrino definisce lo Spirito Santo, santo profumo e profumo regale di Cristo. Questo è il profumo che Cristo prepara ai suoi discepoli: un unguento fatto con gli aromi dei cielo17. Jean‐Marie Vianney, noto come il Santo Curato d’Ars, diceva, poi: Esce da un'anima in cui risiede il Santo Spirito un buon profumo, come di vigna quando è in fiore. Maria, sorella di Marta, anticipa con il suo gesto l’unzione aromataria da fare al corpo di Gesù, dopo la sua morte in croce prima della sepoltura. Ancor di più, Maria di Betania preannuncia con quell’unzione pistiké kai polutíma ‐ pura e ricca ‐ quella autentica cristologia della bellezza che è la fonte del nuovo culto, della Liturgia nuova e perenne che il Cristo ha inaugurato con il suo Mistero Pasquale. In questa, a differenza dell’antico culto, tutti i sensi, non solo l’olfatto, e tutte le dimensioni corporee sono implicate perché dignos nos habuisti astare coram te et tibi ministrare18. Dio stesso in Cristo, per lui e con lui ci ha trovato degni di stare eretti davanti a lui: mai potremmo esserne degni da noi stessi! E di celebrare il suo culto: e mai lo potremmo senza Lui! Degni nella nostra totale interezza corporea, sensuale e intellettuale. Degni di astare di assumere la stessa posizione eretta che il Cristo glorificato per potenza di Spirito Santo nella Resurrezione assume 17 Pedagogo, II, 8; PG 8, 472 B‐C. 18 Anafora Eucaristica II: Ti rendiamo grazie per averci fatto degni di stare davanti a Te e di servirTi. 9 quando si manifesta alla sua Chiesa: Venne Gesù dove erano radunati i discepoli per timore dei giudei ed stava in piedi in mezzo a loro (astabat in medio eorum) (Giovanni 20,19). La potenza della Resurrezione abilità la dignità del battezzato a ministrare, non un semplice servire – come ambiguamente e in modo inadatto dice la traduzione italiana della Prece Eucaristica II – ma a un servire inliturgia, ad agire nel culto ed esserne ministri. 4. PULCHRUM ET APTUM AD CELEBRANDUM. La liturgia cristiana non è una semplice congregatio, una riunione o un insieme di persone. La liturgia convoca in assemblea santa i battezzati, stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui (1 Pietro 2,9). Come membra del Corpo di Cristo (Efesini 5,30), i battezzati‐in‐liturgia hanno in Cristo stesso il loro Sommo ed eterno Sacerdote e sono adunati cum Christo Capiti, con Cristo Capo. Solo in‐liturgia i battezzati rendono pienamente visibile la loro identità ontologica, quella conferitagli con l’acqua e l’unzione crismale del battesimo con cui Cristo stesso li consacra con il crisma di salvezza, perché inseriti in Cristo, sacerdote, re e profeta, perché siano sempre membra del suo corpo per la vita eterna19. La liturgia cristiana, poi, non è una velleitaria sequenza di parole e neppure l’occasione di un insegnamento o di una catechesi, che sia altra dalla liturgia stessa. La liturgia è la suprema mistagogia che porta l’essere del cristiano a Cristo e che lo fa Cristo, come ci ricorda efficacemente sant’Agostino: Estote quod videtis et accipite quod estis20. La liturgia cristiana, infine, ha un triplice inscindibile e perentorio ordine: quello del corpo, della dignità e della bellezza. Corporalmente l’assemblea‐in‐liturgia è totalmente assunta a Cristo Capo e, per questo, ogni battezzato‐in‐liturgia è chiamato a esercitare ogni capacità intellettuale, motoria, e ogni aspetto della sua sensualità, incluso l’olfatto. Per la dignità, poi, è quel buon ordine – eutaxía – che i Padri della Chiesa prescrivevano e che Cirillo di Gerusalemme così spiegava ai neo‐batezzati: Sei entrato, sei stato giudicato degno, e il tuo nome è stato registrato; ormai puoi ammirare la nostra santa struttura ecclesiale, contemplare l’ordine e la dottrina, sentire come vi si leggono le Scritture e conoscere i membri del clero, la sequenza logica dell’insegnamento che viene dispensato, e lasciati educare da quello che è sotto i tuoi occhi21. 19 Rituale del Battesimo, Unzione Crismale. 20 Sant’Agostino, Sermones, 272. 21 Cirillo di Gerusalemme, Protocatechesi 4. 10 E cos’era sotto gli occhi dei battezzati‐in‐liturgia, ai tempi dei Padri della Chiesa? Lo descrive lo scrittore siriaco Narsai: L’altare è qui coronato di bellezza e splendore; sopra di esso c’è l’Evangelo di vita e il Legno adorabile. I misteri sono disposti in ordine, i turiboli fumano, le lampade brillano, i diaconi agitano ventagli alla maniera dei Vigilanti22. Questi due testi ci testimoniano quale fosse l’esperienza olfattiva in‐ liturgia del neo‐battezzato, all’epoca una persona adulta. L’unzione del capo con il crisma che gli permetteva di entrare perché giudicato degno. E, poi, i turiboli fumano, le lampade – all’epoca alimentate da olii e resine profumate – brillano, i diaconi agitano ventagli aumentando così la dispersione degli effluvi di olii e incensi e rendendo l’oikía leitourgías, l’aula liturgica, epleróthe ék tés osmés, ripiena di quel profumo. Nell’ordine della bellezza, infine, la liturgia è eukosmía. La stessa perenne e inesauribile cosmogonia del Creatore, che rende e dichiara bello, buono e giusto (tob nel testo della Genesi) la perpetuazione dell’atto creativo, che in liturgia diventa teandrico, perché efficacemente e misteriosamente congiunge Dio e il credente‐in‐liturgia. Eukosmía, insieme, perché è l’eterno e il bell‐agire di Cristo Sacramentum Salutis. La liturgia, ancora, arte per eccellenza; ars artium, l’albero stesso che porta tutte le arti e le fa fiorire alimentandole dall’interno23. La bellezza liturgica non deriva dal senso dell’estetica. È diretta emanazione dell’epifania del Cristo‐ Pasqua e per essere compresa esige una radicale cristologia della bellezza24, non con fine estetico ma con alfa‐omega epifanico e cristico, incoativo ed escatologico, nella pienezza delle sue dimensioni visibili e invisibili, temporali ed eterne. Confrontando le testimonianze liturgiche dei Padri della Chiesa, potremmo osservare che nell’attuale ordinamento della liturgia cattolica, in realtà, poco è cambiato rispetto agli usi liturgici della Chiesa antica. Ancora, oggi, l’uso di olii, in particolare del crisma, è richiesto nel Battesimo, nella Cresima, e nelle Ordinazioni. Un altro olio, meno aromatico del crisma, è usato nel Battesimo e chiamato olio dei catecumeni. Un altro ancora, olio degli infermi, è impiegato per amministrare il sacramento dell’Unzione. Nulla è cambiato, poi, circa l’utilizzo di lampade e candele; anzi i Prenotanda del Messale Romano ne indicano come obbligatorio l’uso, insieme alle tovaglie, al corporale e alla croce: La celebrazione dell'Eucaristia, nel luogo sacro, si deve compiere sopra un altare; fuori del luogo sacro, invece, si può compiere anche sopra un tavolo adatto, purché vi siano sempre una tovaglia e il corporale, la croce e i candelabri25. 22 Narsai, Omelie 17 (Esposizione sui Misteri). 23 Cfr. F. Cassingena‐Trévedy, La Liturgie: art et métier, pp. 13‐19. 24 Cfr. Sant’Agostino, Commento ai Salmi, XLIV, 3. 25 Istitutio Generalis Missalis Romani, 297. 11 Circa l’uso dell’incenso, anche in questo caso nulla è cambiato. Anzi, se il Messale Romano e i Rituali della Riforma Tridentina ne limitavano espressamente l’uso alla sola Messa Solenne e a quella Cantata, il Messale Romano promulgato da Papa Paolo VI prevede, al contrario, che: Incensum ad libitum adhiberi potest in qualibet forma Missae (l’incenso si può usare a piacimento in qualunque forma della Messa)26. Gli stessi Prenotanda ai Libri Liturgici ne codificano le modalità d’impiego in tutte le celebrazioni liturgiche: Eucarestia, Rituali Sacramentali, Rituali di Benedizione e, non da ultimo, nella celebrazione della Liturgia delle Ore. Nonostante questo, tuttavia, assai raramente le nostre chiese sono epleróthe ék tés osmés, ripiene di profumo! Ci pare anche questa una delle ragioni, in primo luogo, che rendono necessario e urgente che le celebrazioni liturgiche siano riscoperte quale “sacramento, quale gesto ecclesiale di Gesù Cristo verso l’uomo”27. Appare, in secondo luogo, necessario riscoprire che ogni liturgica actio è l’Assenso del Mistero di Dio al Suo popolo, e non il facile consenso degli astanti al celebrante o a coloro che animano o hanno preparato l’azione litugica. Sembra, inoltre, utile ripetere che la liturgia per sua natura è actio, il medesimo agire creaturale di Dio, e non una mera e stanca auditio. Ciò che per sua essenza è leitourgía azione comune del Cristo Capo con il suo Corpo, fattosi assemblea‐in‐liturgia, non può mai e non deve essere trasformata in una modestissima, trascurata e trascurabile cerimonia, per altro noiosa. La liturgia, somma regola del credere, infine, non può mai essere distinta o persino dissociata dalla bellezza di Colui che è la bellezza stessa, come scrive ancora sant’Agostino: Interroga la bellezza della terra, del mare, dell’aria rarefatta e ovunque espansa, interroga la bellezza … La loro bellezza è un inno di lode – confessio laudis – e chi ha fatto tutto questo se non uno che è bello – pulcher – in modo immutabile?28 Bisogna riconoscere che dall’oíkia leitourgías da troppi anni è stata, spesso, assente l’arte del profumiere! Come abbiamo visto nel capitolo trentesimo dell’Esodo per ben due volte JHWH ordina a Mosè che, nella preparazione dell’incenso per l’offerta e in quella dell’olio per l’unzione, tutto si compia secondo l’arte del profumiere. È questa un’arte necessaria perché i segni liturgici e sacramentali ritornino a significare, anche all’olfatto, ciò che manifestano. A dire il vero, pochi accorgimenti con l’aiuto dell’arte del profumiere 26 Istitutio Generalis Missalis Romani, 276. Si dovrebbe far notare che nella tertia editio tipica dell’Ordinamento Generale del Messale Romano pubblicata a cura della Conferenza Episcopale Italiana (2000), il traduttore ha commesso un pericoloso e fuorviante errore di traduzione dal latino: ad libitum vuol dire a piacimento, quando si ritiene, e non significa facoltativo. La traduzione italiana recita al contrario: l’uso dell’incenso è facoltativo! 27 H.U. von Balthasar, Gloria I, p. 542. 28 Sant’Agostino, Sermones, 241. 12 potrebbero ridare verità alle nostre liturgie. Sostituire le false candele di plastica, così impietosamente diffuse nelle nostre chiese, con candele vere e aromatizzate con essenze proprie della tradizione biblica e liturgica. L’assemblea liturgica potrebbe riscoprire anche sensualmente la bellezza dell’esortazione del Siracide: Come incenso spandete un buon profumo, fate fiorire fiori come il giglio, spargete profumo e intonate un canto di lode; benedite il Signore per tutte le opere sue (39,14). Il buon senso – più che i divieti della normativa, che per altro non sono mai rispettati – dovrebbero poi spingere a far scomparire dalle nostre chiese i ceri pasquali di plastica, e a utilizzare sempre e solo ceri di vera cera e profumati, così come esige il senso e la lettera del magnifico Preconio Pasquale, che apre la Madre di tutte le Veglie nella notte della Pasqua: Oramus ergo te, Domine, ut cereus iste in honorem tui nominis consecratus, ad noctis huius caliginem destruendam, indeficiens perseveret. Et in odorem suavitatis aceptus, supernis luminaribus misceatur29. L’incenso, anche quando e assai scarsamente usato, più che uno stimolo all’olfatto è, spesso, un fastidio, perché dai turiboli esce molto fumo ma quasi nessuna fragranza. L’abitudine, molto commerciale ma assai poco liturgica, d’acquistare incensi di produzione industriale e non artigianale, di dozzinale composizione e di non selezionata fragranza ci priva di poter esercitare quando siamo battezzati‐in‐liturgia uno dei componenti della nostra fisicità: l’olfatto. Per gli olii, spesso conservati non in ampolle ma in piccoli contenitori pieni di bambagia, e in particolare per il crisma è necessario che ritornino alla loro funzione originaria e sacramentale: ungere e profumare. Questi, poi, andrebbero effusi direttamente da un’ampolla e non trasmessi per contatto dal celebrante che bagna il pollice su di un cotone intriso d’olio. L’arte del profumiere sarebbe pure necessaria per la conservazione delle vesti liturgiche. Queste, in primis, per il celebrante ma anche per chi svolge uno specifico ministero liturgico, sono sovrabbondanza di vesti, non un essere svestiti, e la liturgia ci conduce sulla via di questa sovrabbondanza di vesti, sulla via della salvezza del corpo nel corpo di Cristo risorto che è la nuova casa che dura in eterno, nei cieli, non costruita da mano d’uomo30. La doverosa dignità e il decoro delle vesti liturgiche sono stati spesso sminuiti dall’abusato e – a dire il vero ‐ poco compreso concetto di nobile semplicità, dove quest’ultima soggiaceva inerte sotto l’impellente aggettivo. Dignità e decoro possono, invece, trovare maggiore trasparenza liturgica se accompagnati dal buon profumo del pulito e dell’ordine. 29 Ti preghiamo dunque, o Signore, che questo cero offerto in onore del Tuo nome per illuminare l’oscurità di questa notte, risplenda di luce che mai si spegne. Salga a Te come profumo soave, si confonda con le stelle del cielo. 30 Joseph Ratzinger, Einfuhrung in den Geist der Liturgie, 214. 13 Sono questi solo alcuni esempi di come la scienza e l’arte del profumiere siano ancora quanto mai necessari per ridare verità d’intenzioni ai segni e alle celebrazioni liturgiche. In nessun ambito – infatti, come ammoniva Guardini ‐ la profanazione della parola, lo svuotamento dell'agire, la vanificazione del segno è così terribile quanto nella vita liturgica31. Ci ha lasciato scritto Basilio di Cesarea: Se il mare è bello e degno di lode davanti a Dio quanto non è più bella quest’assemblea liturgica nella quale il suono delle voci miste di uomini, donne e bambini, come quello dei flutti che si frangono sulla riva, s’innalza nelle nostre preghiere rivolte a Dio. Una calma profonda la conserva imperturbata32. Il battezzato‐in‐liturgia trova la pienezza del suo essere Cristo e di Cristo. Lo può quando il suo essere‐in‐liturgia coniuga, nella calma profonda che rende imperturbabili, ordine, dignità e bellezza; non per una mera ricerca dell’estetica, ma per celebrare l’avvento epifanico del Mistero ed essere parte dell’estasi eterna della Liturgia celeste di cui è già partecipe e, per il battesimo, ministro e sacerdote. Proprio per il essere ontologicamente liturgico, il battezzato può essere nel mondo la viva testimonianza che il suo essere‐in‐liturgia è l’indice della bellezza più certa al mondo. Una tale bellezza che, come l’olio profumato di Maria di Magdala, riempie lo spazio e il tempo del Christi bonus odor Deo, del buon odore di Cristo per Dio, che i battezzati‐in‐liturgia sono, per coloro che si salvano e per coloro che si perdono (2 Corinti 2,15). [email protected] 31 R. Guardini, I santi segni, p. 5. 32 Basilio di Cesarea, Omelie sull’Esamerone, 4,7. 14 Summary La liturgia arte per eccellenza; ars artium, l’albero stesso che porta tutte le arti e le fa fiorire alimentandole dall’interno. La bellezza liturgica non deriva dal senso dell’estetica. È diretta emanazione dell’epifania del Cristo‐Pasqua e per essere compresa esige una radicale cristologia della bellezza, non con fine estetico ma con alfa‐omega epifanico e cristico, incoativo ed escatologico, nella pienezza delle sue dimensioni visibili e invisibili, temporali ed eterne. A questa arte e bellezza può e deve potere contribuire, ancor oggi, quella che il libro dell’Esodo chiama a più riprese l’arte del profumiere. Un’arte che riecheggia anche nel Nuovo Testamento e che fin dalle origini del culto cristiano è stata pulchra et apta alla celebrazione del mistero che nascosto da secoli e da generazioni è ora celebrato dai credenti‐in‐liturgia. Pubblicato in: Rivista liturgica, Psicologia e culto, Terza Serie, Anno XCVIII, fascicolo 1, gennaio‐febbraio 2011, pp. 149‐160.