COMUNICAZIONE di Claudio Burlando e Max Morales “Above” o “below the line”? Dipende dal budget e dalla creatività. Grazie ai nuovi strumenti di comunicazione, l’attività pubblicitaria ha ancora grandi potenzialità di sviluppo. Linee di comunicazione Se Carlo Martello non avesse respinto a Poitiers nel 733 d.C. l’esercito dell’impero musulmano, questo articolo avrebbe potuto essere stampato in caratteri arabi anziché romani. La guida delle nazioni ha sempre fornito uno straordinario incentivo per il cambiamento nell’arte della scrittura e nel tramandare le informazioni, ovvero comunicare. Il grande conquistatore, per estendere il suo potere sul territorio, usava gli strumenti più importanti in suo possesso, comunicava “above the line”; gli amministratori, i soldati e i monaci diffondevano ancora più capillarmente: comunicavano “below the line”. Comunicare sopra e sotto una linea immaginaria, quindi. Ma da cosa è costituita questa linea immaginaria a cui si riferiscono i pubblicitari? Per citare Michael John Baker e il suo “Marketing book”, i termini “above the line” e “below the line” appaiono nel 1954, quando Procter&Gamble (ancora oggi uno dei principali gruppi al mondo di beni di consumo) ingaggiò due agenzie diverse e le pagò con tariffe diverse sulla base delle attività promozionali che avrebbero svolto. La prima agenzia si sarebbe occupata di comunicare i valori dei prodotti alla massa dei consumatori; la seconda, invece, avrebbe agito, con una comunicazione più 68 Genova Impresa - Gennaio / Febbraio 2014 “one to one”, allo scopo di avvicinare e di fidelizzare i clienti attuali e potenziali. La linea immaginaria, sopra o sotto la quale si poteva comunicare, era quindi la massa generalista dei pubblici, considerata fino ad allora come il miglior target possibile per la diffusione di un brand. Da allora, grazie anche all’evoluzione del marketing in quanto vera e propria disciplina economica, si è cominciato a guardare al pubblico della comunicazione aziendale come a qualcosa di più complesso, alla costruzione della marca come a un’operazione economicamente strategica e alla pubblicità come un oggetto tutt’altro che banale, oltre che multisfaccettato. Nell’ottica di posizionare il brand nei confronti di potenziali clienti, sempre più esigenti e viziati da un’offerta crescente (dal dopoguerra ad oggi), è stato necessario quindi tenere in considerazione almeno due livelli di comunicazione, da integrare tra loro, un livello “above the line” e uno “below the line”. Quante volte, anche con la volontà di conquistare il mercato, ma senza un budget per comunicare “above the line” (campagne televisive) dobbiamo necessariamente utilizzare media alternativi. È qui che entra in gioco il “below the line”, e non va in alcun modo considerato una for- ma minore di pubblicità. Un’altra interessante storia legata alla nascita del termine - storia che non mette in discussione l’aneddoto su P&G - è legata al campo giornalistico e indica le notizie presenti in una posizione particolare, cioè sotto (below) la piega (line) della prima pagina di un quotidiano, esposto in edicola. L’obiettivo principale del “below the line” è fare notizia anche senza avere la notizia, cioè comunicare la qualità del prodotto con grande impatto e pochi mezzi a disposizione. Infatti i media normalmente utilizzati non sono i classici “above the line” (televisione, radio, editoria, affissioni). ma complementari (sponsorizzazioni, relazioni pubbliche, direct marketing, promozioni, materiale p.op.). Nel contesto dei media contemporanei, però si può e si deve andare oltre. Il panorama creativo offre molte opportunità. Si possono per esempio sfruttare strumenti multimediali e on line (social media), che raggiungono un target ad ampio raggio, e riconsiderare strumenti che non sono tecnicamente media ma lo possono diventare con un sapiente utilizzo. Immaginiamo il packaging: perché non trasformarlo in un medium sorprendente? Si può sviluppare una campagna pubblicitaria istituzionale quasi esclusivamente abbigliando il prodotto, in maniera tale che quando è posizionato sullo scaffale si abbia la percezione di una mini affissione e quindi generare nel consumatore l’impulso di acquisto. È il prodotto che parla direttamente al consumatore, come in uno spot. Il “below the line” può stimolare anche tutti i cinque sensi, con tecniche realizzative non convenzionali che stupiscano l’utilizzatore finale. Brochure e pieghevoli studiati con materiali alternativi che stuzzichino altri sensi oltre alla vista: il tatto (rilievo, floccato), l’olfatto (microcapsule), l’udito (jingle elettronici), il gusto (gadget alimentari). Per questo negli ultimi anni la comunicazione “below the line” ha avuto una rapida ascesa: perché i consumatori non si accontentano più di forme di comunicazione obsolete e noiose, vogliono essere piacevolmente colpiti, invogliati, meravigliati. E allora comunichiamo, sotto le pieghe, tra le pieghe, ma comunichiamo. Per ogni prodotto esiste sempre il budget ideale per farsi vedere. Cominciamo ad amare la rivoluzione creativa, la comunicazione alternativa, insomma...” let it be loved the line!”.l Claudio Burlando è presidente della Sezione Comunicazione di Confindustria Genova Max Morales è delegato alla Piccola Industria della Sezione Comunicazione di Confindustria Genova Genova Impresa - Gennaio / Febbraio 2014 69