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APPUNTAMENTO
CON DIO
Come sentire ogni giorno
la sua presenza
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Segni dei tempi, anno XLVIII, n. 1/2001
Pubblicazione semestrale già registrata presso
il tribunale di Firenze al n. 837 del 12/02/1954.
In fase di registrazione presso il tribunale di Roma
Direttore responsabile: Franco Evangelisti
Redazione: Giuseppe Marrazzo
Impaginazione: Enza Laterza
Grafica di copertina: Valeria Cesarale
ISBN 88-7659-117-6
Editore: Edizioni ADV dell’Ente Patrimoniale U.I.C.C.A.
Falciani - Impruneta FI
Tel. 55/2326291 - Fax 55/2326241
Stampatore: Legoprint spa - Lavis TN
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Una copia (anche arretrata): L. 6.000 (E 3,09)
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DPR n. 633/1972) e non può quindi operare, sempre ai fini di tale imposta,
alcuna detrazione. In considerazione di ciò l’editore non rilascia fatture.
Titolo originale: Sensing His Presence Hearing His Voice
Autrice: Carrol Johnson Shewmake
Traduzione: Marilena De Dominicis
Copyright originale 1994 by Review and Herald Publishing Association
Hagerstown, MD 21740 U.S.A.
Per l’edizione italiana
© 2001 Edizioni ADV
Tutti i diritti sono riservati all’editore. La riproduzione in qualsiasi forma,
intera o parziale, è vietata in italiano e in ogni altra lingua. I diritti sono
riservati in tutto il mondo.
I testi biblici riportati, salvo diversa indicazione, sono tratti dalla versione
Nuova Riveduta, 1994, Società Biblica di Ginevra, CH 1211 Ginevra
(Svizzera). Questa versione traduce il tetragramma ebraico YHWH con
SIGNORE in maiuscoletto per distinguerlo dalla parola Signore che traduce «’adhonai». Là dove ricorre «’adhonai YHWH», l’espressione è stata
resa con «il Signore, DIO» per evitare la ripetizione.
Prima edizione: 2001 - Tiratura: 7.000 copie
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segni dei tempi
APPUNTAMENTO
CON DIO
Come sentire ogni giorno
la sua presenza
Carrol Johnson Shewmake
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Indice
Prefazione La storia del nonno Abramo
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Cap. 1
«Ascolta la mia voce...»
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Cap. 2
Il luogo dell’appuntamento
21
Cap. 3
Di che cosa devo parlare?
32
Cap. 4
Parole nella nostra lingua
40
Cap. 5
Nascosto nel cuore
49
Cap. 6
Rendere reale la Parola di Dio
59
Cap. 7
La vita è una parabola
73
Cap. 8
Imparare a parlare
la lingua materna
81
Cap. 9
Di che cosa parlerà Dio?
94
Cap. 10
Ubbidienza
105
Cap. 11
Archivi della mente
117
Cap. 12
Riconciliazione della memoria
128
Cap. 13
Che ne farò del mio orgoglio
137
Cap. 14
Pensieri positivi
e influssi seducenti
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Cap. 15
Dio utilizza la nostra voce
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Cap. 16
Il mio rapporto con Dio
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Prefazione
La storia
del nonno Abramo
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er anni e anni la storia del mio bis-bis-bis
nonno Abramo (credo per adozione, non
per sangue) mi ha incuriosita e stupita. Non mi
riferisco però ai primi episodi della sua vita,
quando Dio lo aveva chiamato a lasciare il
paese, la culla della sua famiglia per intere
generazioni, e lo aveva fatto vagare insieme a
servi e familiari alla ricerca di un ipotetico
paese che un giorno gli avrebbe assegnato.
Questa parte era abbastanza chiara per me;
anch’io, infatti, ho uno spirito avventuroso e
sensibile al richiamo di una voce interiore, mi
piace esplorare sentieri sconosciuti e nuove
città… amo le sfide, così come lavori e amici
sempre diversi.
La storia che più toccava il mio cuore era il
racconto del figlio del miracolo che Dio aveva
dato a nonno Abramo e a nonna Sara quando
erano già in età avanzata. Mi incantava la storia
di questa nascita e ho riso di gioia insieme a
nonna Sara per il prezioso dono che le era stato
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fatto. Ma non era nemmeno questa la storia che
mi incuriosiva, bensì la parte che tralasciava
Sara e si concentrava tutta su Abramo.
Forse perché anch’io sono madre e so quanto
siano preziosi i figli per i genitori. Come aveva
potuto Abramo pensare che fosse la voce di Dio
a chiedergli il sacrificio del suo unico figlio, il
figlio del miracolo? Dio non chiede alle persone
di uccidere: Dio è e dà la vita. L’unico problema
che vedevo nel mio modo di ragionare era che
una lettura attenta del racconto biblico (Genesi
22) rivelava che nonno Abramo aveva ragione e
io avevo torto. Era proprio la voce di Dio che gli
parlava. Nonostante Dio non possa chiedere di
uccidere, voleva, però, mettere alla prova la
fede di Abramo. Dio non aveva mai avuto l’intenzione di fargli uccidere il figlio ma voleva
solo invitarlo a testimoniare di essere pronto a
seguire Dio anche quando non ne capiva le
intenzioni.
Quello che personalmente mi preoccupava
era la consapevolezza che io non avrei superato
questa prova. Come può - mi dicevo - una persona essere sicura che quella che udiva era la
voce del Signore? Come aveva fatto Abramo a
capire che era il Signore a parlare e come aveva
potuto trovare la forza di raccogliere la legna,
chiamare il figlio e avviarsi verso il luogo del
terribile sacrificio?
Spesso durante l’infanzia e l’adolescenza dei
miei figli ho riflettuto sulla fede di Abramo e
sulla sua capacità di riconoscere la voce di Dio.
I miei figli erano tutti in età adolescenziale
quando un giorno ebbi la risposta ai miei dubbi.
Abramo riconobbe chiaramente la voce di Dio
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perché la sentiva ogni giorno, la voce di Dio gli
era familiare quanto quella di Sara! Il patriarca
aveva ricevuto Dio sotto sembianze umane
(senza saperlo) nel suo accampamento. Gli
aveva parlato a tu per tu chiedendogli di non
distruggere la città di Sodoma. Le Scritture
descrivono Abramo quale amico di Dio (2 Cronache 20:7; Isaia 41:8; Giacomo 2:23).
Abramo non fece domande... perché sapeva
che era Dio a chiedergli il sacrificio di suo figlio.
Lo sapeva senza ombra di dubbio perché la voce
di Dio gli era familiare. Ma sicuramente gli avrà
chiesto una conferma. «Dio» immagino che gli
abbia detto «sei veramente tu? Vuoi proprio che
sacrifichi mio figlio come fanno i pagani?
Perché mi chiedi questo?».
Anche se non ne conosceva il motivo, Abramo
sapeva che era stato Dio a parlargli, forse intuiva che aveva qualcosa a che fare con la fede
vacillante del suo passato. Abramo aveva imparato una cosa durante gli anni di amicizia con
Dio: per ogni cosa che Dio chiedeva c’era una
ragione, ed era sempre in rapporto con la felicità futura. Avere completa fiducia in Dio: questo
era quello di cui Abramo era convinto anche se
sembrava contraddire la divina promessa di far
nascere dalla discendenza di Isacco una nazione. Il patriarca credeva in un Dio sempre fedele.
Dio in un modo o nell’altro avrebbe mantenuto la sua promessa e sarebbe stato glorificato
dall’ubbidienza di Abramo. La lotta di Abramo
non fu credere che fosse stato Dio a parlargli,
ma piuttosto ubbidirgli contro i suoi stessi desideri: quanto a ubbidienza Abramo aveva imparato la lezione. Non voglio con questo dire che
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era stato facile per lui scegliere di sacrificare il
figlio: sarà stato un tormento ma era la sola cosa
che poteva fare. Come Enoc, Abramo aveva
camminato con Dio ogni giorno e aveva cercato
sempre più la sua presenza. Ascoltare la voce di
Dio, per Abramo significava ubbidirgli.
Quando ho capito questo, la storia di Abramo
è diventata la luce della mia vita. Ho cercato con
tutte le forze di riconoscere la voce divina e ho
cominciato il pellegrinaggio che mi avrebbe
insegnato ad ascoltare.
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Capitolo 1
«Ascolta la mia voce...»
B
isogna fare attenzione ad ascoltare le voci,
specialmente oggi. Non sto parlando solo
delle voci udibili da orecchio umano, ma di
quelle interiori che il cuore sente. Dio ha scelto
la mente come unica via di comunicazione con
il genere umano. Ma non è il solo ad avere
accesso. Nel cervello ci sono altre voci che spingono per entrare.
Le voci che oggi ci circondano sono tantissime
e si impongono con più prepotenza rispetto a
ogni altro periodo storico. Se da un lato ciò ci
permette di riconoscere più facilmente la loro
provenienza, dall’altro dobbiamo essere molto
più prudenti e intelligenti perché, se non possediamo un profondo spirito di discernimento,
possiamo essere più facilmente ingannati. Altre
persone, per evitare di lasciarsi impigliare nelle
frange del New Age, decidono di non prestare
ascolto nessuna voce interiore. Accettano solo
la parola scritta di Dio ed evitano qualsiasi coinvolgimento emotivo. Ma anche questo atteggiamento può essere pericoloso, e per due motivi:
1. Se non crediamo con il cuore - risposta
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emotiva - non crediamo veramente. La morte di
Gesù sulla croce resta solo un evento storico
fino a quando non capiamo che sono stati i
nostri peccati che lo hanno inchiodato. La fede è
la risposta emotiva alla verità dottrinale ed è
impossibile credere solo intellettualmente.
2. Non possiamo capire la Bibbia se lo Spirito
santo non illumina la mente.
L’avversario si è impegnato a dimostrare l’errore della Scrittura perfino con Gesù Cristo ed
è sempre attivo in quest’opera. Se non saremo
in stretto rapporto con Gesù attraverso lo
Spirito santo, ascolteremo la voce sbagliata credendo sinceramente che sia quella di Dio, perché inevitabilmente ogni uomo sente e segue
una voce.
Da quando ho pubblicato i miei due libri sulla
preghiera (Practical Pointers to Personal Prayer,
Review & Herald Publishing Association, 1990),
ho avuto spesso l’occasione di parlare con molte
persone del desiderio di Dio di avere un rapporto intimo e familiare con ogni essere umano.
Ho visto questo disperato bisogno negli occhi
delle persone, ho udito il dolore e lo scoraggiamento nelle voci e ho notato con grande tristezza che la maggior parte delle persone, anche
cristiane, non sente nella propria vita la presenza di Dio. Il mio libro vuole essere una risposta
a questo vuoto.
Vorrei poter condividere con tutti la gioia
della presenza quotidiana di Gesù nella mia vita
e dare nello stesso tempo alcune indicazioni
pratiche perché ognuno possa coltivare nel proprio cuore l’ascolto della voce di Dio sia quando
prega, sia quando lavora o studia o gioca. Non
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dobbiamo convincere per questo un Dio riluttante. È lui piuttosto che lo vuole. Lui ci parla,
ma siamo noi che non lo ascoltiamo o che non
riusciamo a capire che è proprio Dio a voler
comunicare con noi personalmente.
Non mi riesce sempre naturale percepire la
presenza di Dio nella mia vita. Spesso mi sono
sentita sola, convinta che Dio si fosse allontanato da me perché disgustato dalla mia mancanza
di fede. Ma ogni volta Dio mi ha dimostrato che
le sue promesse sono vere e che mai, mai, mai
mi lascerà o mi abbandonerà (Giosuè 1:5).
Questa certezza ha allontanato da me quel
senso di panico che nel passato accompagnava
sempre la mia solitudine e mi ha resa libera di
percepire fino in fondo la presenza di Dio. Ora
sono in grado di capire Dio per quanto enormi
possano essere le situazioni in cui mi trovo. E da
questa nuova angolazione tutto mi appare completamente diverso.
La preghiera non è più una normale routine
di richieste a Dio perché le esaudisca, ma un
rapporto personale tra Dio e me. Vado da lui
per comunicare con lui, per amarlo e per esserne amata. È sottinteso che è vero il contrario:
Dio mi ha amata per primo, poi l’ho amato in
risposta. E per questo il circolo continua... Dio
ama me, io amo Dio ed è un amore senza fine
che mi spinge a presentarmi a lui ogni giorno,
perché l’amore, una volta nato, non ha più fine.
Dio mi ama e s’interessa a ogni dettaglio della
mia vita. Mi chiede di ricorrere a lui e di poter
intervenire nella vita della mia famiglia, degli
amici e del mondo intercedendo in loro favore.
Mentre nel passato mi tormentavo cercando di
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capire perché Dio non rispondesse come desideravo alle mie preghiere, ora sto imparando a
dargli la mia più completa fiducia senza pormi
domande. Ho capito che la mia conoscenza dei
fatti e delle persone è molto limitata, mentre
Dio può vedere chiaramente passato, presente
e futuro. Perché dunque dovrei lamentarmi se
non segue le mie raccomandazioni? Ora so che
ascolta le mie richieste e se ne occuperà nel
migliore dei modi.
Questa certezza non diminuisce comunque le
mie richieste in favore degli altri, consapevole
come sono che Dio ha reso ognuno di noi parte
di una umanità universale. Ognuno deve aiutare
l’altro a sopportare le difficoltà. La preghiera,
per ragioni che non possiamo spiegarci, permette al Signore di fare cose che non potrebbe fare
senza di essa. Il potere di Dio non ha limiti, ma
egli si è volutamente ridimensionato per permettere all’umanità di essere completamente
libera. Con la preghiera chiedo a Dio la libertà di
agire secondo i suoi piani e gli presento le mie
richieste né in modo assoluto né esigendo risposte. Chi sono per dare ordini a Dio e per chiedergli di rispondere alle mie preghiere secondo
i miei desideri? Sto imparando ad avere fiducia
nella stabilità del rapporto con Dio.
In questo modo la mia preghiera va al di là di
una formale meditazione: coinvolge tutta me
stessa, giorno e notte, mano nella mano e cuore
a cuore. Gesù, parlando del suo rapporto con il
Padre, disse: «il Padre è in me e io sono nel
Padre» (Giovanni 10:38). Poiché sperava che
tutti i credenti potessero unirsi a lui in una profonda relazione: «che siano tutti uno; e come tu,
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o Padre, sei in me, e io sono in te, anch’essi
siano in noi, affinché il mondo creda che tu mi
hai mandato» (17:21). Come posso parlare con
tanta certezza di questo argomento? Perché ho
scoperto questo meraviglioso rapporto descritto dalla Scrittura!
Una relazione personale
Quando Dio dichiarò di aver creato l’umanità a
sua immagine, ci dette un primo avviso di quanto dovesse essere intimo il rapporto che voleva
instaurare tra lui e gli esseri umani. Dio creò i
suoi figli per se stesso, come i bambini crescono
a immagine e somiglianza dei genitori.
Un giorno, dopo che il nostro figlio maggiore
aveva avuto il suo primo lavoro a tempo pieno,
mio marito andò a trovarlo nell’ufficio dove
lavorava. Una delle segretarie sorpresissima
spalancò la bocca per chiedergli: «Che impressione, lei è sicuramente il padre di John
Shewmake, non è vero?». John era cresciuto e
assomigliava al padre; tutti se ne accorgevano.
Ed è questo che Dio aveva previsto per i suoi
figli. Naturalmente non pensava a una somiglianza nel fisico ma soprattutto nei pensieri,
nei desideri, nelle capacità e nei comportamenti. I suoi figli dovevano rassomigliargli, ma il
peccato cambiò i piani originali di Dio.
Nel giardino dell’Eden, prima dell’interruzione del rapporto di amicizia, Dio parlava faccia a
faccia con i suoi figli ed essi udivano distintamente la sua voce (cfr. Genesi 3:8). Ma dopo la
caduta di Adamo ed Eva Dio non fu più in grado
di comunicare con loro in modo diretto, nono-
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stante il loro pentimento. Essi non potevano più
contemplare la sua perfezione e il suo splendore e continuare a vivere. L’episodio avvenuto al
Sinai ne è la riprova (cfr. Esodo 19 e 20). Così
Dio, che è amore e compassione, istituì la preghiera affinché l’umanità potesse, anche se
indirettamente, udirlo nel cuore e rispondergli
con il pensiero e le azioni. È questo l’unico modo
per ascoltare e percepire la voce di Dio.
La Bibbia ci offre numerose illustrazioni del
forte desiderio che Dio ha di creare un profondo rapporto con i suoi figli. Quando scelse i
discendenti di Abramo come popolo e li guidò
fuori dall’Egitto, disse: «Camminerò tra di voi,
sarò vostro Dio e voi sarete mio popolo»
(Levitico 26:12).
Come loro Dio, promise di amarli, proteggerli dai nemici, nutrirli e guarirne le malattie. I
loro piedi non si gonfiarono durante i quarant’anni nel deserto (Deuteronomio 8:4). In cambio
Dio chiedeva: «Mi sarete santi, poiché io, il
SIGNORE, sono santo e vi ho separati dagli altri
popoli perché foste miei» (Levitico 20:26). Egli
desiderava un rapporto personale e familiare
con il suo popolo.
Il Signore illustrò questo stretto rapporto in
numerosi modi perché ne fosse chiaro per tutti
il significato: Dio è il padre, noi siamo i figli
(Geremia 3:19); Dio è il marito, noi la moglie (v.
20); Dio è il pastore, noi le pecore (Ezechiele
34:12,13). Attraverso tutto l’Antico Testamento
egli formula e riformula il desiderio accorato di
un rapporto amichevole con il suo popolo. È il
tema centrale dell’intera Bibbia.
Il cerchio del patto si restringe con la rivela-
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zione di Gesù nel Nuovo Testamento: egli è Dio
e uomo. Nella vita di Cristo vediamo all’opera il
rapporto padre-figlio. Nei Vangeli troviamo
Gesù che dedica le prime ore dell’alba per
comunicare con il Padre e ricevere da lui le
istruzioni per il giorno. Quale voce Gesù sentiva
nell’appuntamento quotidiano con il Padre? Era
una voce udibile?
Il Vangelo dichiara che in tre occasioni Gesù
udì la voce di Dio: al suo battesimo (Matteo 3:17),
sul monte della trasfigurazione (17:5) e nel tempio poco prima della sua morte (Giovanni 12:28).
In quest’ultima circostanza Gesù disse al popolo: «Questa voce non è venuta per me, ma per
voi» (v. 30). Evidentemente Gesù in quanto uomo
trovò maggiore consolazione nella voce intima
dello Spirito che non in quella udibile di Dio.
È interessante esaminare i modi con cui Dio
parlò al suo popolo ai tempi biblici. A volte comunicava in modo udibile. Parlò con Mosè come con
un amico e chiamò Paolo sulla via di Damasco.
Ma molto più frequentemente Dio comunicava
con i suoi figli tramite sogni e pensieri. Sembra
quasi che una voce udibile fosse troppo sconcertante e terrificante per rivelarsi utile. La piccola
flebile voce dello Spirito santo sembrava più
adatta a guidarli giorno dopo giorno.
Davide, il cantore e poeta di Israele, trovava
conforto nella voce interiore di Dio. «O SIGNORE,
ascolta la mia voce quando t'invoco» egli dice
nel Salmo 27:7,8 «abbi pietà di me, e rispondimi.
Il mio cuore mi dice da parte tua: “Cercate il
mio volto!” Io cerco il tuo volto, o SIGNORE». Nel
suo cuore Davide aveva udito la chiamata e
aveva risposto con tutto se stesso.
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Gesù parlò spesso della voce interiore. Egli
ripeté innumerevoli volte: «Chi ha orecchi per
udire oda» (Matteo 11:15; 13:9,43; Marco 4:23;
Luca 14:35; Apocalisse 2:7). Che stesse parlando
della voce interiore e della risposta del cuore
viene spiegato chiaramente in Matteo 13:14,15,
dove viene citato il brano di Isaia 6:9,10: «E si
adempie in loro la profezia d'Isaia che dice:
“Udrete con i vostri orecchi e non comprenderete; guarderete con i vostri occhi e non vedrete; perché il cuore di questo popolo si è fatto
insensibile: sono diventati duri d'orecchi e
hanno chiuso gli occhi, per non rischiare di
vedere con gli occhi e di udire con gli orecchi, e
di comprendere con il cuore e di convertirsi,
perché io li guarisca”».
Nella similitudine del buon pastore e del gregge Gesù spiega la varietà delle voci interiori.
«In verità, in verità vi dico che chi non entra
per la porta nell'ovile delle pecore, ma vi sale da
un'altra parte, è un ladro e un brigante. Ma
colui che entra per la porta è il pastore delle
pecore. A lui apre il portinaio, e le pecore ascoltano la sua voce, ed egli chiama le proprie pecore per nome e le conduce fuori. Quando ha
messo fuori tutte le sue pecore, va davanti a
loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono
la sua voce. Ma un estraneo non lo seguiranno;
anzi, fuggiranno via da lui perché non conoscono la voce degli estranei. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono» (Giovanni 10:1-5,27).
Gli israeliti costruivano grandi ovili disseminandoli razionalmente tra le terre da pascolo in
modo che il pastore durante la notte potesse
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proteggere il gregge dall’assalto di leoni, lupi,
orsi e altri predatori. Spesso più pastori con i
loro greggi trascorrevano la notte in un unico
ovile. Al mattino ogni pastore chiamava le proprie pecore per nome, ad una ad una. Le pecore rispondevano solo alla voce familiare del proprio pastore e ignoravano le altre.
Ascoltare e identificare la voce di Dio nella
nostra vita quotidiana è di vitale importanza per
mantenere inalterato un rapporto di amicizia
con Dio che ci dà la sicurezza della sua presenza.
Conclusione
Dio ha scelto la mente umana come la via di
comunicazione con le sue creature. La voce
interiore dello Spirito santo, percepita con il
cuore o la mente, è il mezzo con cui Dio raggiunge e tocca i nostri cuori.
Ma anche il nemico può utilizzare lo stesso
canale servendosi perfino delle Scritture come
ha fatto con Gesù (cfr. Matteo 4:5,6).
Il modo sicuro per identificare la voce di Dio
è avere una relazione, un appuntamento quotidiano con lui per ricordare che Dio ama ognuno
di noi e di conseguenza anche noi l’amiamo.
Dio ha gettato le basi per una relazione di
fiducia con l’umanità già nel giardino dell’Eden
dopo che Adamo ed Eva avevano chiesto perdono per aver agito in modo autonomo, dando
ascolto alle lusinghe del seduttore. Malgrado
non potessero più comunicare direttamente
con Dio a causa della rottura di una relazione
basata sulla fiducia, vennero però riabilitati nel
ruolo di figli. Dio pose la legge nei loro cuori
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perché potessero ascoltarlo anche se indirettamente. Dio non si è arreso davanti alla nostra
ostinazione e continua a parlare come un pastore comunica con le sue pecore abituate a riconoscere la sua voce (Ezechiele 34:12,13).
Gesù nella sua umanità ha mantenuto un’amicizia profonda con il Padre coltivando l’appuntamento quotidiano con lui. Anche noi possiamo riconoscere la voce di Dio se ci abituiamo
a sentirla regolarmente. Nella similitudine del
buon pastore il Salvatore spiega che le sue pecore distinguono la voce del pastore da quella di
tutti gli altri: solo il pastore entra dalla porta
dell’ovile. Tutti gli altri, ladri e mercenari, usano
percorsi alternativi ma non legittimi. La pecora
riconosce la voce del suo pastore e non presta
alcuna attenzione alle altre. Il pastore chiama le
sue pecore per nome ed esse lo seguono.
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Capitolo 2
Il luogo
dell’appuntamento
I
l modo migliore per ascoltare la voce di Dio è
fissare ogni giorno un appuntamento fisso.
Nel capitolo precedente abbiamo visto che Dio
desidera stabilire una relazione personale, amichevole e familiare con ogni essere umano. Egli
ci ha creati perché fossimo suoi figli. Il peccato
ha interrotto questa amicizia, ma se l’uomo
riconosce la sua colpevolezza e cambia vita può
essere riabilitato nel ruolo di figlio amato da
Dio. Egli comunica con noi come fece con i suoi
figli ai tempi biblici e sta a noi creare un
ambiente che favorisca l’ascolto della sua voce.
Ogni persona è diversa dalle altre per stile di
vita ed educazione, e Dio si avvicina a noi tenendo conto del contesto in cui viviamo. Quello che
desidero condividere con voi sono varie esperienze che si sono dimostrate efficaci nella mia
vita di ogni giorno. Forse alcune di queste vi
saranno utili.
Avevo diciannove anni quando decisi di dedicarmi completamente a Dio. Mi ero resa conto
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che il Signore desiderava una relazione più personale. Malgrado fossi cresciuta in una famiglia
di credenti, fu quella la prima volta che colsi un
barlume della profondità del suo amore per me.
L’esempio che i miei devoti genitori ogni giorno
mi davano mi fece capire che sarebbe stato più
facile camminare con Dio se avessi imparato a
farlo gradualmente, passo dopo passo.
Avevo trovato un libro che conteneva una
guida giornaliera per la lettura della Parola di
Dio. Lo comprai e seguii il piano di lettura previsto per ogni giorno: leggevo il testo e lo facevo
seguire da una breve preghiera. Non dedicavo
più di cinque minuti al giorno a questa meditazione ma essa dava una direzione ben precisa a
tutta la giornata. Pensavo a Dio durante il giorno, scrivevo poesie su di lui e parlavo di lui con
gli amici. Molto romanticamente divenne per
me come un innamorato, e il nostro luogo di
appuntamento era quel momento del mattino
che gli dedicavo.
Sapere di appartenergli mi dava una pace
fino a quel momento sconosciuta. Mi sentivo in
pace con Dio e con me stessa, ma più di ogni
cosa sentivo che Dio dirigeva la mia vita.
In quel periodo conobbi un giovane studente
iscritto alla facoltà di teologia del collegio in cui
studiavo: si preparava per essere un pastore
evangelico. Ci sposammo una settimana dopo la
laurea e una settimana dopo il matrimonio iniziammo il lavoro nella chiesa.
Il primo incarico fu di collaborare con un
gruppo di pastori che avevano organizzato un
ciclo di incontri itineranti. La collaborazione
che ci veniva richiesta era molto varia: doveva-
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mo installare il tendone per le riunioni, ci occupavamo dei proiettori e visitavamo le persone
che frequentavano le riunioni e chiedevano di
approfondire alcuni temi della Parola di Dio a
casa. Eravamo impegnati fino alla sera tardi e ci
alzavamo presto la mattina, vivevamo nei camper o in piccoli appartamenti e ci spostavamo
continuamente!
In quel periodo trovai difficile mantenere l’abitudine del mio appuntamento quotidiano di
preghiera perché non ero mai sola. Certamente
continuavo a leggere la Bibbia e pregavo ma lo
sentivo come parte del mio lavoro. In un certo
senso il lavoro per Dio a tempo pieno sembrava
aver ingoiato il rapporto personale che avevo
con lui.
Finalmente dopo due anni e mezzo di matrimonio cominciarono ad arrivare i bambini. Sia
John sia io li aspettavamo con impazienza e
fummo veramente felici. Ma i bambini misero
fine alla mia partecipazione alle varie attività di
chiesa e non fui più in grado di accompagnare
John nelle visite. Avemmo quattro bambini nel
giro di quattro anni e tre mesi e naturalmente
non avevo mai avuto tanto lavoro da fare!
In quel periodo mio marito si occupava della
cura pastorale di una comunità e quindi oltre ai
bambini avevo tutte le responsabilità di moglie
di pastore. Non avevamo una lavatrice o un’asciugatrice, né altri elettrodomestici utili a
farmi risparmiare tempo. Dovevo lavare, strizzare e asciugare pannolini continuamente; e
ora, quando ci penso, mi sembra di averlo fatto
ininterrottamente per sei lunghi anni!
Oltre a questo dovevo rassettare la casa e sti-
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rare. Quando eravamo più giovani tutti i pastori indossavano ogni giorno una camicia bianca
pulita con un cambio la sera se avevano una
riunione. Questo voleva dire che ogni settimana
dovevo lavare e stirare almeno sette camicie, e
alcune volte erano nove o dieci. Poi naturalmente c’erano gli indumenti dei bambini e i
miei personali, più la biancheria e tutte quelle
cose necessarie per mantenere pulita una casa:
per anni ho stirato persino le lenzuola! Tutto
questo oltre naturalmente alla cura dei bambini, alla cucina e alla pulizia della casa.
Solo a ripensarci mi sento stanca.
Dimenticavo... mi dovevo occupare della classe biblica dei bambini, avere ospiti per il pranzo
del sabato, preparare torte per le varie vendite
di beneficenza e rispondere sempre di sì a tutte
le varie richieste!
Che cosa era diventato il mio incontro giornaliero con il Signore? Svegliarmi da sola la mattina era sempre difficile, e quindi anche le mie
meditazioni erano scomparse. Generalmente
era l’urlo di un bambino a farmi saltare giù dal
letto. Non mi sembrava di dormire mai abbastanza. Però il mio ruolo di madre e moglie di
pastore mi piaceva. Credo che se non avessi
sposato un pastore avrei deciso di esserlo io
stessa, naturalmente se fossi stata un uomo perché al mio tempo c’erano ancora tanti pregiudizi, nel nostro ambiente ecclesiale, circa la figura della pastora.
Gli anni in cui i bambini erano piccoli rappresentano per me il periodo più bello della mia
vita. Ogni loro nuova conquista era motivo di
gioia. Se fossimo stati più ricchi credo che ne
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avremmo avuti una dozzina! Anche se sentivo
una stanchezza terribile e dormivo poco. Ma ciò
che veramente mi mancava era l’appuntamento con Dio.
Dio intervenne e prese l’iniziativa. Incominciò
a chiedermi di passare più tempo con lui.
Mentre lavoravo sentivo una profonda nostalgia delle parole della Bibbia e del momento
della preghiera... desideravo conoscere la volontà del Signore per ogni aspetto della mia
vita, volevo sentire la sua presenza e adorarlo.
Ma non avevo tempo. C’erano dei momenti in
cui stranamente tutti i bambini erano tranquilli... allora aprivo la Bibbia per leggerla. Ma succedeva sempre la stessa cosa: mi addormentavo
con le pagine aperte davanti a me. Le sole cose
che facevo era leggere ogni sera la storia biblica
ai bambini e dare uno sguardo frettoloso alla
guida settimanale per lo studio biblico per argomenti. Non riuscivo mai ad ascoltare un sermone per intero. Oh sì, ero seduta al mio posto, ma
dovevo tenere tranquilli i quattro bambini!
Sapevo che Dio mi capiva. Ma la cosa incredibile è che lui riesce a mantenere viva una relazione con noi anche quando sembra umanamente impossibile.
Una sera, erano circa le dieci, stavo stirando
una camicia per mio marito quando sentii dentro di me la voce di Dio che prendeva l’iniziativa. «Padre mio» risposi silenziosamente «quanto
vorrei avere più tempo da passare con te! Ma mi
è impossibile trovare dei momenti da dedicarti.
Non dormo mai abbastanza e non riesco ad
alzarmi senza la sveglia. Se mettessi una sveglia
mi sveglierei presto ma sarei troppo assonnata
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per studiare o pregare: mi addormenterei come
mi succede durante il giorno quando cerco di
leggere. E in ogni caso, se facessi suonare una
sveglia avrei subito almeno tre bambini che mi
saltano nel letto. Vedi anche tu che è impossibile».
Mi bilanciai prima su un piede e poi sull’altro,
cercando di riposare alternativamente le
gambe stanche mentre continuavo a stirare.
«Padre» continuai «ho l’impressione che passeranno almeno altri dieci anni prima di poter di
nuovo passare qualche momento con te!». Ma
poi, guidata dallo Spirito santo, aggiunsi disperata: «Padre mio, non posso aspettare così tanto
tempo! Chi mi insegnerà a essere una buona
madre, che cosa insegnerò ai miei bambini e
come farò a essere una buona moglie di pastore? Ho bisogno di te ora. Ho però in mente un
piano, e per realizzarlo ti prego di svegliarmi
almeno una mezz’ora prima dei miei passerotti
e di darmi una mente sveglia e lucida per poter
comunicare con te. Se farai questo saprò che
hai ascoltato la mia preghiera e mi hai risposto».
Con ansia parlai a mio marito della richiesta
che avevo fatto a Dio. Gli chiesi se gli avessi dato
troppo fastidio accendendo la luce la mattina
presto a letto. Alzarmi per andare in un’altra
stanza era fuori discussione: si sarebbero svegliati tutti i bambini che erano sensibili al più
piccolo rumore. Mio marito mi rassicurò: avrebbe nascosto la testa sotto il cuscino. E così misi
la Bibbia sul comodino e andai a letto.
Dio rispose alla mia preghiera! Ogni mattina,
giorno dopo giorno, settimana dopo settimana,
anno dopo anno. Mi svegliava in piena forma e
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mi dava una mente serena e attenta per poter
leggere e pregare prima che i bambini si svegliassero. Naturalmente con il passare degli
anni fui in grado di lasciare la camera da letto e
andare in salotto. Ma questo continuo miracolo
quotidiano mi cambiò la vita e rallegrò il mio
spirito. Mi dette una maggiore dose di vitalità
per occuparmi dei bambini, dei lavori domestici e della chiesa.
Molti anni dopo scoprii con stupore un versetto della Bibbia nel quale Dio prometteva di
svegliare tutti i suoi figli come aveva fatto con
me! «Il Signore, DIO, mi ha dato una lingua pronta, perché io sappia aiutare con la parola chi è
stanco; egli risveglia, ogni mattina, risveglia il
mio orecchio, perché io ascolti, come ascoltano
i discepoli» (Isaia 50:4).
È una profezia su quanto Dio Padre avrebbe
fatto per Dio Figlio, quando quest’ultimo sarebbe venuto, rivestito della fragilità di ogni essere
umano, per conservare inalterata un’intima
relazione con lui. Ma qualunque cosa Dio intendesse fare per Gesù, ha promesso di farla anche
in nostro favore. Il versetto è quindi una promessa per ogni figlio di Dio: mi ha aiutata a
capire in che modo anche la mia volontà deve
coincidere con quella di Dio, più ferma nel
ricercare e mantenere una relazione personale
con noi. Nonostante l’iniziativa di cercare l’uomo appartenga a Dio, dipende anche da noi
renderla operativa.
Avrei potuto scegliere di tornare a dormire
dopo essermi svegliata: Dio ci lascia sempre
liberi. Ma amavo questo tempo trascorso all’ascolto della sua Parola, e l’essere stata svegliata
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da lui mi rendeva così felice che mai e poi mai
avrei pensato di tornare a dormire. E così ebbe
inizio l’abitudine di svegliarmi presto per parlare con Dio prima dell’inizio del giorno.
Per tante ragioni le prime ore della giornata
sono il momento migliore per comunicare con
Dio. La notte ha dato riposo al corpo e alla
mente. La casa è silenziosa, il telefono non squilla. Anche dall’esterno non entra rumore, il traffico è lento. Il mondo si prepara al risveglio e gli
uccelli iniziano appena il canto mattutino... e il
lavoro giornaliero è ancora fermo. Niente ci distrae, e nella pace e nella tranquillità possiamo
discernere chiaramente la voce di Dio.
«O SIGNORE, al mattino tu ascolti la mia voce;
al mattino ti offro la mia preghiera e attendo un
tuo cenno…» (Salmo 5:3).
«È una grazia del SIGNORE che non siamo stati
completamente distrutti; le sue compassioni infatti non sono esaurite; si rinnovano ogni mattina.
Grande è la tua fedeltà!» (Lamentazioni 3:22,23).
«Il SIGNORE non commette ingiustizie; ogni
mattina egli dispensa i suoi giudizi e non manca
mai» (Sofonia 3:5). Anche dopo un giorno di
lavoro in mezzo agli ammalati, Gesù si alzò
prima dell’alba per cercare un posto solitario
dove pregare (Marco 1:35).
Per moltissime persone la mattina è il
momento migliore per ascoltare la voce del
Signore. Il lavoro, lo stile di vita e la personalità
di ognuno possono creare delle varianti.
Tuttavia, quando il giorno inizia è il momento
giusto per rinnovare la vita con il Signore decidendo di servirlo per tutta la giornata. Il tenore
della giornata dipenderà dalle decisioni e dalle
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scelte del mattino. E vi assicuro che qualunque
siano le circostanze o qualunque sia lo stile di
vita di chi vi vive intorno o quanto siate occupati, Dio lavorerà insieme a voi per scoprire il
momento migliore da dedicare alla comunione
con lui. Egli sa come programmare la vostra vita
e farvi trovare il tempo da passare con lui.
Molti anni fa scoprii negli scritti di Ellen White
una citazione adatta a questo argomento. A
quel tempo ero bibliotecaria in un liceo e una
mattina, proprio prima dell’inizio delle classi,
uno dei professori venne in biblioteca a cercare
un libro di E.G. White. Lo trovò e si mise a sfogliare velocemente le pagine. Mentre si avvicinava alla scrivania capii che aveva trovato quello che cercava perché incominciò a esclamare
con voce esultante: «È ancora lì, è ancora lì a
pagina novanta!».
La sua eccitazione mi divertì. Presi anch’io in
mano il volume dal titolo Messages to Young
People, andai a p. 90 (in italiano è a p. 60) e gli
chiesi che cosa ci fosse in quella pagina che lo
rendeva così felice. «Leggi a pagina 90» mi disse
mentre correva via per andare in classe.
Appena potei ripresi in mano la copia del
libro, aprii quella pagina e lessi: «Quando vi svegliate al mattino vi sentite deboli e avete bisogno
di ricevere forza da Dio? Comunicate al Padre i
vostri desideri più profondi? Se la risposta è
affermativa, gli angeli prenderanno nota delle
vostre preghiere sincere. Se rischierete, senza
volerlo, di non agire correttamente e di portare
qualcuno su una via senza uscita, il vostro angelo resterà al vostro fianco per suggerirvi cosa
fare, sceglierà le parole adatte e guiderà le
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vostre azioni. Se credete di non correre nessun
pericolo, e non pregate per chiedere l’aiuto e la
forza per resistere alle tentazioni, con molta
probabilità perderete. La vostra negligenza sarà
annotata nel libro di Dio e non sarete pronti per
affrontare i tempi difficili» - E.G. White, Messaggi
ai giovani, ed. ADV, Impruneta, 1998, p. 60.
Non appena iniziai il mio rapporto con Gesù
scoprii che per sentire chiaramente nel cuore la
sua voce avevo bisogno di trovare un luogo d’appuntamento dove poter parlare con lui da sola.
Credo che questa possa essere anche la vostra
esperienza: ascoltare la voce di Dio nella quiete
e nel silenzio vi preparerà a riconoscere la sua
voce nel tumulto del giorno che avanza.
Conclusione
La cosa migliore per iniziare a sentire la presenza di Dio è programmare un momento particolare della giornata da dedicare alla preghiera. Per udire la voce di Dio che ci parla niente è
meglio del silenzio mattutino.
Dio promette di risvegliare ognuno di noi per
ascoltare la sua voce (Isaia 50:4).
Malgrado sia lui a fare il primo passo, è la
nostra risposta che ne determina il successo.
Siamo noi a decidere di alzarci e pregare. Se
ignoriamo la voce di Dio, ben presto non saremo
più in grado di udirla.
Le ore del mattino sono un momento buono
per parlare con Dio perché il corpo e la mente
sono riposati, la casa è silenziosa, il mondo esterno è tranquillo e anche la natura tace, il lavoro
giornaliero non è ancora iniziato e non ci distrae,
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Gesù stesso dedicava un tempo al raccoglimento, la preghiera dà il giusto tono alla giornata.
Imparare a udire la voce di Dio nella quiete ci
prepara a riconoscere la sua voce nel tumulto
della vita quotidiana.
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Capitolo 3
Di che cosa devo parlare?
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uando Dio ogni mattina incominciò a svegliarmi per pregare e studiare la sua
Parola, ne fui felicissima perché sentii di aver
imboccato il percorso della santificazione. Anni
prima, ero ancora ragazza, avevo preso la decisione di trascorrere ogni giorno un momento
con il Signore. A quell’epoca il mio momento di
meditazione si limitava solo alla lettura di un
versetto biblico e a una breve preghiera. Con il
passare del tempo e l’aumento delle responsabilità familiari mi resi conto di aver bisogno di
un momento più lungo da passare con il
Signore, per cui decisi di dedicargli almeno
mezz’ora ogni mattina. Mi ci volle molto tempo
per capire e accettare l’idea che in realtà ero
lontana dalla perfezione1 e che forse non l’avrei
mai raggiunta!
Più tardi fu Dio a prendere di nuovo l’iniziativa. Mi fece capire che la comunione con lui deve
essere continua e costante durante tutta la giornata. Non potevo relegare la preghiera a un
breve periodo mattutino perché essa è un continuo camminare con Dio, come aveva fatto Enoc.
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Dio parla, io rispondo... Dio parla di nuovo e
guida ogni mio pensiero e azione.
Naturalmente questo processo non avviene
istantaneamente, ma è lo scopo che mi sono
prefissa e a cui tutti dobbiamo mirare.
Per coltivare l’ascolto della voce divina ho
dato finora due suggerimenti:
1. capire e accettare il bisogno di un rapporto
intimo e familiare come sola via di comunicazione con Dio e la nuova nascita è la porta d’ingresso di questo rapporto;
2. mettere da parte ogni mattina un momento
in un luogo appartato per ascoltare il Signore.
Dio ci ha creati intelligenti, e malgrado sia lui
a prendere l’iniziativa di chiamarci, ci lascia
però liberi di rispondere sì o no. Non sarà mai lui
a decidere per noi. Se Dio suscita in noi lo struggente desiderio di conoscerlo, ma decidiamo di
non svegliarci e di non trascorrere del tempo
con lui, nostro amico, niente accadrà mai.
I momenti di raccoglimento quotidiano, però,
non sono magici. Non sono diventata perfetta
perché per anni mi sono svegliata presto per
pregare. Ognuno di noi ha sempre un passo
avanti da fare. Quando cominciai a capire che
anche la mezz’ora di studio in più era inadeguata alla crescita di cui avevo bisogno, chiesi a
Dio di mostrarmi il passo successivo.
Prolungai il tempo dedicato alla preghiera,
ricorrendo alla sveglia come mi aveva suggerito
di fare un giovane di mia conoscenza. Ma
durante l’ora che volevo dedicare alla meditazione non avevo mai molte cose da dire al
Signore. Incredibile! Io che non ero mai a corto
di parole non riuscivo a trovare argomenti per
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riempire un’ora da passare con Dio! A quel
punto capii di avere bisogno d’aiuto.
Dio cominciò ad aprire per me i segreti del
piano della redenzione attraverso il santuario
israelitico. Capii che il santuario, che aveva guidato Mosè nel deserto, non rivelava solo il futuro del popolo di Dio nel mondo, ma molto di più.
Attraverso il santuario il Signore mi faceva
capire quale fosse il suo intervento nella mia
vita. I vari servizi cerimoniali dei sacerdoti nel
santuario prefiguravano l’opera che Dio svolgeva per salvarmi dal peccato.
Quando provai a cooperare con lui mi accorsi
improvvisamente che molte erano le cose di cui
potevo parlare. Un’ora non sarebbe bastata,
perché Dio aveva assunto con me un impegno
programmatico di ventiquattro ore giornaliere
e dovevo essere pronta ad ascoltarlo e a parlargli giorno e notte.
Ho già descritto dettagliatamente nel mio
libro Sanctuary Secrets to Personal Prayer (I
segreti del santuario per la preghiera personale) che cosa intendo per preghiera nel santuario. Qui mi limiterò a elencare solo i servizi giornalieri relativi alla preghiera personale contenuti nel santuario: lodare quando ci accostiamo
ai sui cortili; pentirsi e confessare dinanzi all’altare del sacrificio; purificarsi giornalmente,
abbandonando il proprio io e i peccati, e ribattezzarsi alla conca di rame; essere ripieni dello
Spirito santo dinanzi al candelabro a sette braccia; nutrirsi del cibo spirituale per la crescita,
l’ubbidienza e l’impegno al tavolo della presentazione dei pani; intercedere per gli altri di
fronte all’altare dei profumi e affrontare il giu-
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dizio del luogo santissimo che implica investigazione, disciplina e istruzione.
Trasportare l’ordine seguito dal rituale del
santuario nella mia preghiera quotidiana mi ha
aiutata a focalizzare il problema, mettere ordine, stabilire una progressione e trovare maggiore completezza. Si riesce a conoscere meglio
Dio e a mettere a nudo i vari temi che riguardano l’umanità intera: il peccato, il perdono, la
realtà purificatrice, la pienezza dello Spirito e
la crescita. Si riesce a pensare più razionalmente e a vedere Dio che agisce. A mano a mano
che si procede, si capisce che è necessario
andare sempre più avanti per evitare di rimanere impantanati nell’autocommiserazione o in
un esame di sé ossessivo (anche se è importante per riconoscere la verità). Si deve progredire
continuamente e avere lo sguardo sul futuro e
sui piani di Dio per ognuno di noi. Alla fine di
tutto questo percorso si coglie la realtà del
sacrificio di Dio e siamo in grado di poter mettere la nostra mano nella sua per continuare la
giornata, fiduciosi di udire la sua voce.
La preghiera che tiene conto del simbolismo
del santuario mi ha dato molto e consiglio di
provare questa esperienza. Ma riconosco che
non per tutti può essere valida o vincolante proprio perché il Signore non è costrittivo. Non tutti
devono pregare nello stesso modo. Molti grandi
uomini di fede non hanno mai sentito parlare
della preghiera del santuario. Tuttavia ho il
sospetto che le loro preghiere seguano press’a
poco le stesse tappe del santuario. Forse capire
la preghiera del santuario è uno di quei doni
speciali fatti da Dio al popolo del rimanente. È
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senz’altro il dono speciale che ha fatto a me!
Una rilettura della storia del popolo d’Israele
che il Signore trasse fuori dall’Egitto perché
fosse il suo popolo eletto vi aiuterà a conoscere
sempre meglio Dio e a capire di più voi stessi.
Riflettete particolarmente sugli arredi del santuario nel deserto, incluso i sacrifici (Esodo,
Levitico, Numeri e Deuteronomio). Nel mio libro
citato in precedenza, troverete inoltre alcune
idee per seguire il percorso suggerito dal santuario nella vostra preghiera personale.
Un altro libro utile sul santuario è The cross
and its shadow di Stephen Haskell pubblicato
nel 1914 ma ristampato nel 1970 dalla Southern
Publishing Association e ancora disponibile in
un opuscolo in stampa fotostatica. Stephen
Haskell nella sua prefazione dice: «Non c’è altro
argomento che unisca armoniosamente le varie
parti della Parola ispirata come il tema del santuario. Ogni verità evangelica confluisce nel
servizio del santuario, e da qui spande i suoi
raggi solari. Ogni tipo usato nell’intero sistema
sacrificale fu ideato da Dio per raffigurare una
verità spirituale. Il valore di questi tipi sta nel
fatto che era stato Dio stesso a sceglierli per
illuminare le diverse fasi dell’intero piano
redentivo, reso possibile dalla morte di Cristo.
La somiglianza fra tipo e antitipo non è mai
accidentale, ma è semplicemente un adempimento del grande piano di Dio».
Un pomeriggio, durante una pausa del seminario dedicato alla preghiera incentrata sul
messaggio del santuario ebraico, una donna mi
raccontò una storia particolarmente toccante.
Alcuni mesi prima aveva partecipato a un ritiro
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per sole donne e un giorno il conduttore della
riunione aveva invitato le donne presenti a raccontare qualche esperienza di vita spirituale. Fu
la storia di Maria, una delle giovani donne presenti, che la colpì particolarmente.
Maria era stata ricoverata in ospedale per
una malattia incurabile. Fedele nella preghiera
sapeva di avere buoni dottori ed era tranquilla e
convinta che i risultati sarebbero stati buoni.
Tuttavia un pomeriggio diversi medici entrarono nella sua stanza d’ospedale e le dissero che
avevano fatto tutto quanto era umanamente
possibile per la sua malattia ma che il suo corpo
non rispondeva alle cure. Si doveva preparare a
morire. Scioccata, Maria rimase silenziosa.
Dopo l’uscita dei dottori Maria si mise a parlare
con Dio.
«Dio» disse Maria «ero sicura che volessi
tenermi in vita. Sono giovane e ho ancora così
tanto da fare... Ho appena incominciato a lavorare! Ma se il tuo desiderio è che io muoia, sono
pronta. Ho solo una richiesta. Durante i giorni,
le settimane o i mesi che mi restano da vivere
voglio conoscerti per quanto è possibile a un
essere vivente conoscere Dio. È la sola cosa che
ti chiedo».
Subito dopo i medici rimandarono Maria a
casa. Un giorno sentì parlare della preghiera
collegata al santuario e ne rimase colpita: era il
modo di conoscere Dio che aveva chiesto in preghiera. E così giorno dopo giorno cominciò a
pregare collegando il pensiero al piano della
salvezza preannunciato dal santuario. La grazia
di Cristo agì: in capo a poche settimane cominciò a sentirsi meglio e poco prima di partecipa-
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re al ritiro aveva ripreso a lavorare. Stava di
nuovo bene!
«La preghiera è la mia salute» disse.
Maria ricevette anche la guarigione fisica, ma
ritengo che il punto centrale della sua esperienza sia non tanto la guarigione ma il fatto che ella
abbia accettato la volontà di Dio e si sia sottomessa a lui senza riserve. Maria, non più preoccupata della sua salute, si era sottomessa a Dio
e aveva accettato la sua volontà.
La storia di questa giovane donna mi toccò
così profondamente che da allora quasi ogni
giorno, in preghiera, mi sottometto alla volontà
del mio Signore e dico: «Mio caro Papà, aiutami
a conoscerti, per quanto un essere umano limitato possa farlo».
Seguire i vari momenti del santuario celeste
nella preghiera giornaliera ci dà la sicurezza di
parlare con Dio di temi vitali, quali la salvezza,
e apre le nostre orecchie all’ascolto di Dio che
comunica con noi.
Conclusione
Nonostante Dio ci inviti a iniziare il giorno con
lui, l’appuntamento con lui non ha di per sé
nulla di magico. Il semplice fatto di pregare ogni
mattina non ci dà la garanzia di crescere. Dio ci
invita a camminare costantemente con lui come
fece Enoc. Nella preghiera apriamo il nostro
cuore a Dio e Dio ci parla tramite la sua Parola
e lo Spirito santo per mantenere una relazione
continua e costante con i suoi figli.
Attraverso la parabola vivente del santuario
descritto nei libri di Esodo e Levitico, Dio ha illu-
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strato il suo modo di operare per eliminare il
senso di colpa del peccatore e offrire la salvezza. Durante la meditazione del mattino ho
imparato a seguire i passi dei sacerdoti nel santuario terreno per capire che cosa Dio vuole
realizzare nella mia vita. Lo studio dei simboli e
dei servizi del tabernacolo ci aiuta a collaborare
e a interagire intelligentemente con Dio. La preghiera giornaliera ci dà la sicurezza che stiamo
parlando con Dio di questioni vitali per la salvezza e ci mette in grado di percepire il calore
della presenza di Dio che non si stanca di comunicare con noi.
Nota
1La
perfezione secondo la Bibbia non indica uno
stato di conpiutezza e di maturità, ma piuttosto
l’obiettivo verso cui dovrebbe tendere ogni credente (cfr. J. Zurcher, La perfezione cristiana,
ed. ADV, Impruneta, 1995). (n.d.r.)
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Capitolo 4
Parole nella nostra lingua
H
o fin qui suggerito tre percorsi spirituali per
coltivare l’ascolto della voce di Dio: riconoscere che Dio ci ha creati per essere la sua famiglia e per avere un rapporto intimo e familiare
con lui; programmare giornalmente un determinato momento da passare soli con Dio; seguire le varie fasi del santuario che ci insegnano a
passare da una condizione di peccatori a quella
di santi. Questi tre metodi di ascolto sono fondamentali perché le nostre orecchie siano in
grado di udire.
La quarta tappa è altrettanto importante:
accettare le parole delle Scritture come se fossero parole da parte di Dio rivolte a noi personalmente. A volte, a proposito di insegnamenti
biblici non condivisi, ho sentito persone esprimersi in questi termini: «Quando il Signore mi
parlerà personalmente, allora crederò».
In realtà ogni parola della Bibbia ha un messaggio personale per noi. La funzione dello
Spirito santo è aiutarci a capire la parola scritta
o un problema specifico della nostra vita, non di
sostituirsi allo studio della Bibbia. Anzi lo
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Spirito santo spesso usa le parole della
Scrittura per rivolgersi a noi.
Per dirla in altri termini, Dio non verrà da me
a dirmi «Carrol non voglio che rubi»: me lo ha
già detto nella Scrittura. Ma udrò forse la voce
dello Spirito santo che si rivolgerà a me personalmente e mi spiegherà che se arrivo sempre
in ritardo agli appuntamenti, rubo tempo agli
altri. O se faccio un pettegolezzo mi può dire
che rubo la reputazione altrui.
Con il titolo «Parole nella nostra lingua», non
ho in mente l’inglese, il portoghese, l’italiano o
altre lingue moderne che ci servono per leggere
la Bibbia nella lingua che parliamo, ma mi riferisco piuttosto al linguaggio del cuore. Lo Spirito
santo prende le parole della Bibbia e le applica
alle mie necessità specifiche. Il mondo ha una
tale influenza su di noi che spesso è difficile pensare spiritualmente. Così si esprime l’apostolo
Paolo: «Ma l’uomo naturale non riceve le cose
dello Spirito di Dio, perché esse sono pazzia per
lui; e non le può conoscere, perché devono essere giudicate spiritualmente» (1 Co-rinzi 2:14).
Dio ci chiede di coltivare una mente spirituale. Per molto tempo mi sono chiesta perché Dio
ci inviti a cercarlo quando dai racconti biblici
appare ovvio che è Dio stesso a cercarci. È sempre il Signore che prende l’iniziativa per allacciare un rapporto. Dio si mise alla ricerca dell’uomo, il quale si era nascosto nel giardino a
causa del senso di colpa: Dio chiamava Adamo
ed Eva: «Dove siete?». La stessa cosa fa con noi,
e non perché non sappia in quale pasticcio ci
siamo messi.
Non troppo tempo fa ho capito che cercare
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Dio è la nostra risposta alla sua iniziativa.
Invece di stare comodamente seduti con le
braccia conserte perché intanto ci ha trovati,
Dio desidera che ci dedichiamo interamente a
coltivare questa relazione, così come lui l’ha
fatto. Dobbiamo rivolgerci a lui e cercarlo con
tutto il cuore. Lo Spirito santo, parlando per
bocca del profeta Geremia, dice: «Voi mi cercherete e mi troverete, perché mi cercherete
con tutto il vostro cuore» (Geremia 29:13).
Anche nel suo incontro iniziale con noi Dio
tiene conto dell’individualità e della libera
volontà. Egli ci cerca per primo e poi aspetta
che siamo noi a cercare lui. La nostra ricerca è
vitale per il rapporto. Ecco che cosa accade
quando sviluppiamo una relazione di fiducia
con Dio: «Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perché chiunque chiede riceve; chi cerca trova, e sarà aperto
a chi bussa» (Matteo 7:7,8).
Il modo migliore per affinare una certa sensibilità spirituale è cercare Dio tramite la lettura
della sua Parola. Questo non vuol dire semplicemente leggere ma chiedersi costantemente e
continuamente che cosa Dio vuole dirci con
quelle parole. È la nostra mente che si apre all’idea di Dio come il fiore si apre al sole e alla pioggia. La Bibbia diventerà per noi incredibilmente
interessante; sarà come una lettera personale
inviataci da un genitore o da un fidanzato.
Dio ci parla attraverso le Scritture in due
modi diversi. Il primo è un modo diretto: mentre leggo la Bibbia o ascolto un’altra persona
che la legge, un brano mi colpisce e illumina la
mia mente. Se sto leggendo per mia edificazio-
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ne, è come se un evidenziatore avesse messo in
risalto il testo, e mi capita di tanto in tanto di
andare a rileggere il brano per vedere se lo
avevo veramente sottolineato. Se è invece qualcun altro a leggere il versetto a voce alta, è
come se udissi la voce di Dio.
Il secondo modo in cui Dio mi parla attraverso la Scrittura è invece indiretto: egli mi fa tornare in mente qualche brano già letto. Questa
voce interiore di Dio mi parla con autorità e
potenza e crea in me lo stesso sentimento di
gioia di quando leggo la Parola. Sia in un modo
sia nell’altro Dio mi ammonisce, mi insegna, mi
conforta. Anche la sua disciplina mi rallegra. La
gioia ci permette di riconoscere la voce di Dio
da quella di Satana. Satana si è servito della
Scrittura per ingannare (Matteo 4:6). Ma c’è differenza tra la voce di Satana e quella di Dio:
quando Satana ci presenta i nostri peccati, fa in
modo che essi ci perseguitino e ci rendano
miserabili e scoraggiati, mentre Dio anche nel
peccato ci offre speranza e perdono dandoci la
gioia della sua presenza.
In una certa occasione mio marito e io ci
accorgemmo di aver commesso un grave errore
di valutazione in una questione finanziaria. Le
conseguenze potevano essere molto serie e la
vita in quel momento ci apparve veramente
nera. Avevamo perso la consapevolezza della
presenza di Dio, e mi chiedevo se non fosse
rimasto disgustato dal nostro comportamento!
Un pomeriggio mi inginocchiai e pregai: «O
Signore, dovremo forse perdere tutto: reputazione, lavoro e tutto ciò che possediamo? Quali
sono i tuoi piani per noi? Permetterai che ogni
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cosa ci crolli addosso?» L’oscurità intorno a me
era paragonabile a quella di mezzanotte.
Era da molto che non sentivo quella voce dentro di me. La mia disperazione era tale che non
riuscivo a sentire altro. Ma in quel momento Dio
mi parlò: «Conosco i miei piani per te» disse.
Riconobbi immediatamente la voce e fui sicura che le parole facevano parte di un verso della
Scrittura. Ancora inginocchiata aprii la Bibbia e
trovai subito il versetto: «Infatti io so i pensieri
che medito per voi, dice il Signore: pensieri di
pace e non di male, per darvi un avvenire e una
speranza» (Geremia 29:11). Questa volta aveva
citato solo una parte della meravigliosa promessa; stava a me cercare il resto sulla Bibbia e
leggere la promessa di un meraviglioso futuro.
La sofferenza svanì malgrado le circostanze
rimanessero esattamente le stesse. Ci vollero
degli anni prima che potessimo rimediare l’errore, ma camminammo da allora lungo un sentiero illuminato dalla presenza di Dio.
Un’altra volta mi ero trovata in una situazione
molto critica e quasi di rottura con una persona
che amavo molto. Negli ultimi tempi avevo sentito questa rottura avvicinarsi ma non riuscivo a
trovare il modo di evitarla. Un giorno questa
persona mi prestò un libro: era una copia con
dedica dell’autore, e se lo avessi perso non
avrebbe potuto essere sostituito. Sapendolo,
esitavo a prenderlo. E se fosse successo qualcosa? Non volevo fare niente che potesse affrettare la fine del rapporto. Però volevo leggere quel
libro. Decisi che lo avrei letto velocemente e lo
avrei restituito entro due o tre giorni.
Lessi effettivamente il libro in due giorni, ma
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poi successe qualcosa che mi tenne molto occupata e così passarono diverse settimane. Un
pomeriggio mi ricordai improvvisamente del
libro. Lo cercai immediatamente dove lo avevo
lasciato con la ferma decisione di restituirlo il
pomeriggio stesso.
Il libro non era più al suo posto! Guardai in
giro sicura di ritrovarlo, ma in casa abbiamo
moltissimi libri e cercarne uno è come cercare
un ago nel pagliaio. Guardai in tutti i posti possibili e immaginabili e poi iniziai una ricerca
capillare libro per libro. Controllai minuziosamente le due librerie nel salotto, le altre due
nello studio e quella in camera da letto. Fui assalita dal panico. Mentre cercavo pregavo. Forse mi dissi - devo rivolgermi a Dio in preghiera!
Inginocchiata vicino al letto gli aprii il mio
cuore: «O Signore, devo trovare questo libro.
Dove l’ho messo? Non posso averlo perso. La
mia amica non me lo perdonerebbe mai. Oh, ti
prego, aiutami a ricordare dove posso averlo
messo!». Fui colta dal panico.
«O Padre, che genere di persona sono se
perdo un oggetto così importante per la mia
amica? Sono così inaffidabile! Nessuno mi vorrà
avere come amica. Sono senza speranza».
A quel punto le lacrime avevano spento ogni
parola ma non c’era silenzio intorno a me.
Guardando l’orologio attraverso le lacrime mi
resi conto che mancavano solo due ore all’appuntamento serale che avevo preso. Mi dovevo
preparare. Forse una doccia mi avrebbe calmata, ma non funzionò. In quel momento mi accorsi che la finestra del bagno era aperta e ebbi
paura che i miei vicini avessero udito la mia
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angoscia. Mio marito entrò per prepararsi a sua
volta; guardandomi capì che avevo pianto e mi
chiese come stessi.
«Oh bene» replicai «mi sto preparando per
andare all’appuntamento». «Sembra quasi che tu
abbia pianto» continuò mio marito. Non risposi
perché avevo paura di ricominciare a piangere
se avessi cercato di spiegargli la situazione.
Lungo la strada mi chiesi che cosa sarei stata
in grado di capire della riunione alla quale stavo
andando. Però parlava un’amica e non volevo
farle mancare il mio sostegno. Se devo essere
sincera non ricordo nemmeno il soggetto trattato. Ricordo solo il versetto biblico letto dall’oratore: «Nei giorni della sua carne, con alte grida
e con lacrime egli offrì preghiere e suppliche a
colui che poteva salvarlo dalla morte ed è stato
esaudito per la sua pietà» (Ebrei 5:7).
Con alte grida e lacrime! «O Gesù» esclamai
silenziosamente «vuoi forse dire che anche tu ti
sei sentito come me? Lo sai come mi sento?». La
presenza di Dio si manifestò e capii che il
Signore era stato con me durante tutto il pomeriggio e aveva pianto con me. Il peso mi scivolò
dalle spalle e lo depositai su di lui.
Dopo la riunione, tornata a casa, mi stavo preparando per andare a letto quando squillò il
telefono. Sedutami sulla sedia accanto al letto
risposi. Mentre distrattamente toccavo un giornale appoggiato sul comodino accanto al telefono, lo sollevai e sotto c’era il libro che avevo cercato per tutto il pomeriggio disperatamente e
affannosamente.
«Perdonami Signore» lo pregai una volta di
più «perdonami per il panico e per la mancanza
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di fede. So che sei sempre vicino a me, ma grazie per avermi parlato attraverso la tua Parola.
Quale grande conforto è sapere che conosci
personalmente le lacrime e le grida. Questo
versetto avrà sempre un particolare significato
per me».
Metà battaglia è vinta quando ci ricordiamo
che le parole della Scrittura sono state scritte
per noi personalmente, e che parlano al cuore
nella nostra lingua.
Conclusione
Abbiamo visto come è possibile sentire la presenza di Dio: riconoscere che Dio ci ha creati
per essere la sua famiglia e che desidera avere
un rapporto personale e familiare con noi; programmare durante la giornata un momento per
essere soli con il Signore; seguire le varie fasi
del simbolismo dei servizi del santuario capiti
alla luce del sacrificio di Cristo che toglie i peccati del mondo.
Il quarto suggerimento è di accettare le
Scritture come parola di Dio rivolta a noi personalmente. Non dobbiamo aspettarci che Dio ci
dica individualmente di non rubare o non mentire, perché lo ha già detto chiaramente nella
sua parola. La sua voce tuttavia renderà grandi
questi concetti in rapporto alla nostra situazione individuale. Lo Spirito santo prende le parole che Dio ha detto nella Bibbia e le applica alle
nostre specifiche circostanze e necessità.
Dobbiamo coltivare il discernimento spirituale. Malgrado Dio prenda l’iniziativa di cercarci,
chiede a noi di rispondergli cercandolo a nostra
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volta con tutto il cuore. La nostra ricerca è vitale perché, per coltivare una relazione, occorre
essere in due.
Dio mi parla attraverso la Scrittura in due
modi diversi:
a. mentre leggo o ascolto la lettura sento che
le parole sono rivolte a me personalmente. È
come se un evidenziatore sottolineasse il brano;
b. proprio nel momento in cui ne ho necessità
Dio mi ricorda parole lette nel passato che mi
ritornano in mente con grande forza e convinzione e che accolgo come parole di vita.
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Capitolo 5
Nascosto nel cuore
I
l ragazzo stava per essere bocciato alla licenza media. Le speranze dei genitori e l’incoraggiamento dei professori non erano serviti a
niente... stava deludendo tutti. «Sono uno stupido» si disse «hanno ragione i miei compagni di
classe». Poi il ragazzo scoprì Gesù e decise di
non essere più uno «stupido» o almeno non nella
vita cristiana. Si prefisse di dedicare ogni giorno un’ora alla memorizzazione di versetti.
Poiché amava la musica, spesso cantava i versetti accompagnandoli con la musica che egli
stesso componeva.
All’inizio impercettibilmente poi sempre più
chiaramente il rendimento scolastico del ragazzo incominciò a migliorare. Alla fine del liceo
ricevette una borsa di studio per andare all’università e continuò a dedicare un’ora al giorno
allo studio della Bibbia. Divenne uno studioso
della Bibbia conosciuto a livello nazionale e rese
felice migliaia di persone rispondendo alle problematiche della vita quotidiana che gli venivano sottoposte. La testimonianza personale di
quest’uomo che aveva iniziato imparando a
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memoria la Scrittura ispirò mio marito e me.
Alla fine del seminario al quale stavamo partecipando ci guardammo a vicenda e ci chiedemmo: «Che cosa possiamo fare?». Ci sembrò, inizialmente, che imparare a memoria capitoli
interi sarebbe stato difficile, ma eravamo intenzionati a fare tutto il possibile e così decidemmo
di provare.
John ed io non eravamo più bambini, anzi
eravamo adulti, e scoprimmo che a questa età
imparare a memoria è molto difficile. Ma decidemmo di perseverare. Mi vedevo seduta
davanti a un fuoco scoppiettante mentre recitavo a memoria un capitolo della Scrittura, sotto
gli alberi e sotto un cielo stellato. Era una visione molto bella.
Il primo capitolo che memorizzai fu il Salmo
139. Lo avevo inciso nella mente alla vigilia di
partire per un campeggio itinerante dalle parti
della Sierra Nevada. Però non mi sentivo pronta per recitarlo attorno al fuoco da campo.
Nonostante conoscessi tutte le parole a memoria, già quando ero sola facevo fatica a pronunciarle. Con altre persone intorno sarebbe stato
ancora più difficile.
La pista che quell’anno avevamo deciso di
seguire cominciava con una ripida salita lungo
un sentiero cosparso di grossi macigni. Al mio
meglio sono già una modesta camminatrice. In
questo viaggio ero ancora più lenta del solito.
Avevo stupidamente comprato nuovi scarponi
poco prima di partire e mi ero accorta che mentre percorrevo questi sentieri montagnosi mi
sfregavano proprio nei posti meno indicati. A
causa della mia lentezza gli altri mi avevano
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lasciata indietro. Non potevo sedermi, togliermi
gli scarponi e ungere le ferite con un unguento
apposito perché portavo sulle spalle un grosso e
pesantissimo zaino e sapevo che se mi fossi
seduta per togliermi le scarpe non mi sarei più
potuta rialzare. E così continuai lamentandomi
e compiangendomi. Si aggiunga al dolore dei
piedi le vertigini di cui soffrivo. Avevo sempre
paura del primo giorno di cammino perché era
per me il più difficile. Anche quando mi fermai
per riposarmi e appoggiai la schiena alla roccia
non osai guardarmi indietro. Ogni volta che
dovevo raggiungere un punto più in alto lungo il
sentiero ero assalita dalla paura di inciampare
e di rotolare giù fino ai piedi della montagna.
Ma questa volta Dio mi aveva provvista di uno
strumento perfetto per allontanare quel sentimento di autocommiserazione. Non avevo forse
nascosto la sua parola nel mio cuore?
Le parole che avevo memorizzato cominciarono a scorrermi davanti agli occhi:
«O SIGNORE, tu mi hai esaminato e mi conosci.
Tu sai quando mi siedo e quando mi alzo, tu
comprendi da lontano il mio pensiero. Tu mi
scruti quando cammino e quando riposo, e
conosci a fondo tutte le mie vie. Poiché la parola non è ancora sulla mia lingua, che tu,
SIGNORE, già la conosci appieno. Tu mi circondi,
mi stai di fronte e alle spalle, e poni la tua mano
su di me» (Salmo 139:1-5).
Ero sola sul sentiero? Sicuramente no. Dio
procedeva davanti a me, scegliendo le rocce
presso le quali mi sarei fermata per riposarmi.
Perché dovevo temere di rotolare giù dalla montagna? Come potevo cadere quando Dio era
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davanti e dietro di me e posava la sua mano sulla
mia testa? Improvvisamente dimenticai il sentiero ripido e le ferite ai piedi. Ero davanti al tempio dell’Altissimo: «La conoscenza che hai di me
è meravigliosa, troppo alta perché io possa arrivarci. Dove potrei andarmene lontano dal tuo
spirito, dove fuggirò dalla tua presenza?» (vv. 6,7).
Quando raggiunsi il resto del gruppo che mi
aspettava mi sentii quasi dispiaciuta. Sì, è vero,
potevo liberarmi dello zaino e riposare i piedi
doloranti, ma la camminata di quella mattina,
sola con Dio, era stata di incomparabile bellezza.
Avevo scoperto che se nascondevo nel mio
cuore le parole di Dio, esse potevano al momento opportuno illuminare e rischiarare qualsiasi
sentiero. Capii anche altre cose. Il valore di
conoscere a memoria brani della Scrittura non
sta nel fatto di poterli recitare davanti a un pubblico ma nel tenerli nascosti dentro di noi, nel
nostro cuore. Non sono stata mai capace di recitare lunghi capitoli in pubblico: le parole mi
escono sempre un po’ incerte, ma il loro valore
personale fu e resta immenso.
Mio marito e io abbiamo ormai preso l’abitudine di imparare a memoria interi capitoli che
ci riempiono la mente di pensieri divini. Per
entrambi la cosa è piuttosto difficile forse a
causa dell’età. Ma le benedizioni che ne traiamo
sono molte sia nel momento in cui memorizziamo i passi biblici sia più tardi quando li richiamiamo alla memoria. E spesso Dio ce li ricorda
al momento giusto, quando più ne abbiamo
bisogno. È vero che tendiamo a dimenticarli nel
giro di poche settimane, ma sono convinta che
la memoria di questi versetti non ci abbandone-
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rà mai del tutto. Spesso recito tra me e me i
Salmi 91, 51, 1 e 139 per non dimenticarli.
Quali sono i momenti migliori per memorizzare? Mio marito lo fa molto spesso quando
viaggia. Io ho scoperto che mi riesce più facile
mentre cammino. L’esercizio del camminare mi
serve da stimolo. Per diversi anni nelle mie passeggiate mattutine portavo con me un piccolo
Nuovo Testamento con i Proverbi e i Salmi e
spesso li consultavo. Ora che viviamo in montagna stiamo cercando il momento giusto per
riprendere l’abitudine di imparare a memoria.
John e io spesso al mattino facciamo a piedi il
giro di un lago che è vicino a casa nostra ma,
invece di memorizzare le Scritture, impariamo
dal secondo grande libro di Dio: la natura.
In passato ho memorizzato al mattino, nel
tempo dedicato alla preghiera, con un breve
ripasso la sera prima di andare a letto. Ho
memorizzato mentre stiravo o pulivo la casa...
ma penso si possa farlo in tante altre occasioni.
I soli ingredienti necessari sono un cuore volenteroso, una piccola Bibbia o una parte delle
Scritture scritta su fogli di carta. Dio sarà felice
di aiutarci scolpendoci le sue parole nel cuore.
Dio sa come distrarci dalle preoccupazioni
terrene per ricondurci a lui e riconoscere la sua
voce, ma questo non esclude la nostra collaborazione. E per arrivare a questo ci sono varie
metodologie che ho scoperto e che desidero
condividere con voi:
a. accettare l’idea di far parte della famiglia
di Dio e che egli aspira a parlare con noi
b. dedicargli ogni giorno un momento per
incontrarlo da soli
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c. imparare a riconoscere quanto Dio ha fatto
e sta facendo per la nostra salvezza sulla base
delle varie fasi del santuario
d. accettare personalmente le parole della
Scrittura come voce di Dio.
In questo capitolo e nei seguenti illustrerò
vari modi insegnatimi da Dio per familiarizzare
con le sue parole nella Bibbia. Più conosceremo
le Scritture, più saremo in grado di udire e riconoscere senza esitazione la sua voce.
Nelle mie classi di Bibbia alle medie, al liceo e
all’università ho imparato testi e dottrine, ma
non mi sembra di aver mai imparato a conoscere Gesù intimamente. A meno che la Bibbia non
diventi personalmente per noi la parola di Dio,
non saremo mai in grado di sentire dentro di
noi la presenza di Dio. Solo conoscendolo in
veste di Padre, di innamorato e di amico, potremo capirne le dottrine.
Più conoscevo la Bibbia più mi piaceva. Mi
ricordo di aver imparato a memoria Isaia 40.
Non fu una cosa veloce perché mi esercitavo
solo la mattina durante il tempo riservato alla
preghiera e alla sera prima di coricarmi. Oggi
non sono in grado di recitare il capitolo parola
per parola ma so quello che contiene.
Poi imparai a memoria il primo capitolo del
libro di Giacomo. Arrivai al verso che parlava
del fiore che appassisce e muore e mi accorsi
che mi ricordava qualcosa... appunto Isaia 40.
Sempre a proposito del capitolo 40 di Isaia trovai
un’allusione simile nel primo capitolo di 1 Pietro.
A quel tempo non leggevo la Bibbia servendomi
delle referenze e tutte le scoperte che facevo
erano personali. Più leggevo la Bibbia più sco-
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privo i legami tra i vari scrittori biblici, e il tutto
mi risultava molto ma molto interessante.
Non sono sempre stata una studiosa della
Bibbia. Nei primi anni di matrimonio, malgrado
amassi il Signore e passassi con lui momenti
preziosi della giornata, mi rilassavo leggendo
libri di racconti. Mio marito non faceva commenti perché sapeva che amavo il Signore. Non
trascuravo lo studio biblico per argomenti... e
inoltre insegnavo e testimoniavo della mia fede.
Ma una sera, lo ricordo vivamente, mio marito
fece un’osservazione mentre ero presa dalla lettura di un racconto: «Che peccato» mi disse «che
non metti questo interesse in letture più stimolanti». Se lo avesse detto in tono critico mi sarei
ribellata, ma la sua voce era gentile e affettuosa
e mi ricordo che alzando gli occhi dal libro
rimasi perplessa: non dimenticherò mai il rimpianto che la sua voce e le sue parole esprimevano. Queste parole furono l’inizio di un cambiamento nelle mie abitudini letterarie. Ma
prima dovevo imparare ad amare la lettura
della Bibbia, ad amare la Parola di Dio. E questo
avvenne per gradi e in risposta alle preghiere.
Memorizzare parte della Scrittura mi aiutò ad
accrescere l’interesse per lo studio della Bibbia.
I miracoli di Dio non sono magici come quelli
di Satana. Egli non vuole avere su di noi altro
controllo che quello dell’amore ed è per amore
che ci lascia liberi. Ecco perché l’amore per la
lettura della Bibbia non avviene così, di colpo,
ma solo in risposta alle preghiere e alla volontà
di sentirsi coinvolti con la Parola. Memorizzare
la Scrittura avvince il cuore e crea in noi un profondo amore per il Signore.
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Dio ha ancora qualcosa da dirmi con Isaia 40.
Spesso per incoraggiarmi e per riaccendere la
speranza penso alle parole ispirate: «Egli dà
forza allo stanco e accresce il vigore a colui che
è spossato. I giovani si affaticano e si stancano, i
più forti vacillano e cadono; ma quelli che sperano nel SIGNORE acquistano nuove forze, si alzano
a volo come aquile, corrono e non si stancano,
camminano e non si affaticano» (Isaia 40:29-31).
Promesse preziose
Ogni giorno che passa le sue promesse diventano per me più preziose.
Una mattina, mentre parlavo con Dio sul lavoro di ripulitura che stava facendo nella mia vita,
gli dissi che rimpiangevo profondamente gli anni
sciupati e le cattive abitudini che in quel periodo
erano diventate parte integrante della mia vita.
Riconobbi che molti dei problemi con i quali
dovevo lottare nel mio cammino cristiano derivavano da tendenze acquisite mentalmente in
anni di pratica. Avevo innalzato barriere e scavato trincee che ora sembravano volermi ingoiare. La mia situazione mi appariva disperata.
Ma poi Dio mi parlò con le parole di Isaia 40:
«La voce di uno grida: “Preparate nel deserto la
via del SIGNORE, appianate nei luoghi aridi una
strada per il nostro Dio! Ogni valle sia colmata,
ogni monte e ogni colle siano abbassati; i luoghi
scoscesi siano livellati, i luoghi accidentati
diventino pianeggianti. Allora la gloria del
SIGNORE sarà rivelata, e tutti, allo stesso tempo,
la vedranno; perché la bocca del SIGNORE l’ha
detto» (Isaia 40:3-5). «Se mi servirai riempirò le
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trincee e le vallate che hai scavato», sembrava
dirmi il Signore «e le montagne cadranno giù.
Questo è quello che sto facendo alla fonte purificatrice del santuario. Accadrà a tempo dovuto
se sarai fedele. E così la mia gloria sarà rivelata
dalla tua vita. Questa è la mia promessa».
Ogni mattina, nella mia preghiera, quando mi
avvicino alla fonte purificatrice ricordo al
Signore l’opera che sta compiendo nella mia
vita. «Fa che io non fallisca» gli chiedo «rendimi
fedele e diligente».
Isaia 40 è la profezia del ruolo che avrebbe
avuto Giovanni Battista nell’annunciare il futuro ministero di Gesù. È anche il lavoro dell’ultima generazione di persone che vivono sulla
terra e che devono preparare la seconda venuta di Gesù e la fine del peccato.
«Egli (l’anticristo) imiterà - dice Ellen White la verità così bene, che sarà quasi impossibile
riconoscere il vero dal falso senza l’aiuto delle
sacre Scritture… Solo coloro che hanno fortificato la loro mente con lo studio delle verità
bibliche, potranno superare l’ultimo grande
conflitto» - Il Gran Conflitto, ed. ADV, Impruneta, 1998, p. 464.
Quale miglior modo di nascondere le verità di
Dio nel nostro cuore se non memorizzandone
alcuni punti chiave?
Conclusione
Davide disse al Signore: «Ho conservato la tua
parola nel mio cuore per non peccare contro di
te» (Salmo 119:11).
Memorizzare brani delle Scritture è un buon
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metodo per imparare ad ascoltare la voce di
Dio. Imparare a memoria non per recitare pubblicamente ma per conservare nel cuore. Anche
se s’impara a memoria lentamente e si dimentica velocemente, i testi rimangono dentro di noi
e si rivelano una benedizione nei momenti più
impensati. Possiamo dimenticare le parole
esatte ma non i concetti.
Suggerimenti per facilitare la memorizzazione:
1. Copiare una porzione del capitolo che si
vuole imparare a memoria su un foglio di carta
o portare sempre con sé un formato tascabile
del Nuovo Testamento con i Salmi e i Proverbi e
leggere ripetutamente il brano che si vuol imparare a memoria.
2. Memorizzare mentre si cammina, si guida,
si fanno i lavori domestici o si lavora in giardino.
Si può farlo anche durante la meditazione del
mattino, ripetendo poi quanto appreso la sera
prima di coricarsi. Più conosciamo le Scritture,
più saremo in grado di riconoscere la voce di
Dio ed essere certi che è proprio lui che parla e
non la nostra mente.
Memorizzare interi brani delle Scritture
aumenta il mio interesse per lo studio della
Bibbia, avvince il mio cuore con le parole di Dio
e crea in me l’amore per Dio e la certezza della
sua presenza nella mia vita.
Ellen White dice: «Solo coloro che hanno fortificato la loro mente con lo studio delle verità
bibliche, potranno superare l’ultimo grande
conflitto» - Il Gran Conflitto, op. cit., p. 464.
Quale strada migliore per nascondere le
parole di Dio nei nostri cuori se non memorizzandone i passi più importanti?
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Capitolo 6
Rendere reale
la Parola di Dio
L
a presenza di Dio nella vita di ogni giorno è
in diretto rapporto con la fede. Credere che
momento dopo momento egli è nella mia vita mi
dà la certezza della sua presenza.
L’apostolo Paolo ci dice che la fede viene dall’udire - o sottinteso dal leggere - le parole di
Cristo (Romani 10:17) per cui è naturale che più
ci avviciniamo alla Scrittura maggiore sarà la
consapevolezza di averlo vicino a noi e di poter
udire la sua voce.
A volte mantenere inalterato e reale l’interesse per la lettura della Bibbia è stato per me un
problema. Ho chiesto spesso a Dio di insegnarmi ad amare la lettura della Bibbia, però i miei
progressi mi sono sembrati piuttosto lenti finché non ho capito che Dio faceva la sua parte
ma che anch’io dovevo fare la mia. Uno dei
meravigliosi attributi di Dio è l’interesse e la
stima nei confronti dell’umanità. Dio ha creato
gli esseri umani perché voleva la loro amicizia.
Ci ha dato la facoltà di scegliere, pensare, eser-
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citare la nostra volontà. Ho infine capito che la
scelta di rendere la Bibbia una componente attiva della mia vita era l’ingrediente che mi mancava: solo così potevo imparare a godere della
Bibbia. Incominciai a memorizzare brani delle
Scritture e fu allora che Dio fece nascere in me
l’amore per la sua Parola.
Da quel momento in poi egli mi ha mostrato
altri modi di leggere attivamente la Bibbia.
Questa non è un libro qualsiasi, è un messaggio
che viene direttamente dal cielo, non è una storia per passare il tempo o un libro di scienze
comprensibile solo a livello intellettuale. La
Parola di Dio è vivente. Attraverso la Parola,
Dio ha creato il cielo e la terra, e la sua Parola
oggi è altrettanto creativa. Mediante la meditazione possiamo comprendere contemporaneamente: la Parola vivente, la Parola scritta di Dio
e la nostra vita.
Rendere attiva la lettura della Bibbia significa
capire che quel brano è stato scritto per me.
Invece di considerare le Scritture come un insieme di fatti avvenuti tanto tempo fa, m’inserisco
nella storia. A.W. Tozer dice che dovremmo avvicinarci alla Bibbia «con l’idea che non sia solo un
libro che una volta parlava, ma un libro che sta
parlando ora... Possiamo usare correttamente il
verbo al passato per indicare che in un certo
momento una certa parola di Dio è stata detta,
ma una parola di Dio una volta detta continua a
essere detta, come un bambino che nasce continua a vivere» - The Pursuit of God, Christian
Publications, Harrisburg, Usa, 1948, p. 82.
Ellen White osserva: «I rapporti tra Dio e ogni
individuo sono personali e intimi, come se sulla
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terra non ci fosse nessun altro da aiutare, come
se il Figlio diletto fosse morto solo per quella
persona» - La via migliore, ed. ADV, Impruneta,
1982, p. 90.
La consapevolezza che tutta la Bibbia, pur
non essendo stata scritta inizialmente per me, si
rivolga a me e continua a parlarmi, cambia il
mio modo di vedere gli episodi e le profezie.
Allora possiamo cantare un inno alla creazione
di Dio, come se essa fosse rivolta a me personalmente, con le parole del poeta italiano:
«Dovunque il guardo giro,
immenso Dio, ti vedo;
nell’opre tue t’ammiro,
ti riconosco in me.
La terra, il mar, le sfere,
parlan del tuo potere;
tu sei per tutto e noi,
tutti, viviamo in te.
Tu sei;
nel giro immenso tutto per te si volve;
quest’animata polve,
gran Dio, respira in te.
Se vo, se sto, se penso,
mi leggi in cor, mi vedi;
e dalle eterni sedi vegli, Signor, su me.
(Metastasio)
Dio ha fatto per me ogni cosa e cerco di
immedesimarmi nelle vesti del protagonista dei
molteplici racconti biblici. Come reagirei in tale
o tal’altra situazione? Poi chiedo a Dio di
mostrarmi che cosa ha fatto per me in quella
particolare storia, e il procedimento è così
nuovo che devo ancora imparare ad applicarlo
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alla mia lettura della Bibbia. Ma riconosco che
le possibilità sono elettrizzanti.
La Bibbia ricorda molte preghiere pronunciate dai personaggi biblici. Se nelle mie letture
m’imbatto in uno di essi, o li cerco per una particolare necessità, pronuncio le loro preghiere
come se fossero mie.
«Se la Bibbia diventa la nostra preghiera, la
preghiera diventa un insieme di parole ispirate
e rivela sentimenti molto più profondi di quelli
che la nostra mente potrebbe elaborare. La
Parola di Dio è “vivente ed efficace più affilata di
qualunque spada a due tagli, e penetrante fino a
dividere l’anima dallo spirito, le giunture dalle
midolla; essa giudica i sentimenti e i pensieri
del cuore” (Ebrei 4:12). La Parola di Dio, quando
viene usata come veicolo delle nostre preghiere, è capace di svelare desideri profondi e intimi, pensieri dell’anima e della mente» - J. Cornwall, Praying the Scripture, Creation House,
Lake Mary, FLA, 1990, p. 11.
La preghiera di Daniele (cap. 9) è diventata
per la mia famiglia una preghiera d’intercessione così come il profeta la usava per intercedere
per il suo popolo. Prego con Davide nei Salmi e
nel Nuovo Testamento, mi unisco a Gesù, ai
discepoli, a Paolo e agli altri scrittori nelle lodi
e nelle preghiere. Ogni promessa di Dio può
diventare una preghiera. Spesso ho l’impressione che il versetto che sto leggendo risponda
esattamente alle mie esigenze, e chiedo a Dio di
esaudire per me quella promessa.
Leggendo la Bibbia trovo varie occasioni per
lodare e ringraziare Dio per tutte le volte che è
venuto in mio soccorso, modificando gli eventi e
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trasformando i cuori delle persone. Gli israeliti
non hanno mai dimenticato i miracoli che Dio
ha compiuto per loro e come sono stati tratti
fuori dall’Egitto. Quei miracoli ancora oggi sono
degni di lode: sono lì per essere ricordati da voi
e da me.
Spesso riteniamo che siano storielle per
bambini anche episodi come quelli di Daniele
nella fossa dei leoni o di Davide contro Golia.
Ma ringrazio il Signore anche per quegli episodi. Quando canteremo il canto di Mosè e dell’Agnello sul «mare di vetro» nella nuova Gerusalemme, loderemo Dio per i suoi interventi in
favore dell’umanità attraverso i secoli. Desidero
essere pronta e unirmi a quel coro e a quel concerto universale che ricorderà i fatti storici contenuti nei brani che oggi leggo nella Bibbia.
Quegli eventi non sono storielle o speculazioni
filosofiche ma autentici resoconti del rapporto
intercorso tra Dio e il suo popolo.
Personalmente accetto le ammonizioni e gli
avvertimenti della Bibbia perché tramite loro
scorgo meglio le mie fragilità, le mie debolezze
e ho così la possibilità di chiedere il perdono e
la guarigione. Leggendo la Bibbia colgo volentieri le occasioni favorevoli per consacrare nuovamente la mia vita a Dio!
In questo modo la lettura e lo studio della
Bibbia sono strettamente collegati al momento
dedicato alla preghiera. Quando gli insegnamenti divini diventano parte attiva della nostra
vita, produrranno un cambiamento radicale.
Non potendo avere accesso alle lingue originali è bene leggere un brano nelle diverse versioni e traduzioni; questo è un modo per allar-
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gare le nostre conoscenze e rendere la lettura
più attuale e interessante. I giovani di oggi,
sono particolarmente avvantaggiati grazie alle
moderne versioni della Bibbia. Nonostante ami
sempre il ritmo e la maestà della King James
Version (in italiano corrisponderebbe alla versione del Diodati, n.d.r.), devo ammettere che il
linguaggio usato nel 1611 (Diodati nel 1607) non
è lo stesso linguaggio oggi in voga. Da bambina
sono stata un’appassionata lettrice di libri di
racconti e di fantasia, e spesso leggo la Bibbia
con lo stesso criterio. Quei racconti però erano
bellissimi ma non reali. Il linguaggio attuale
delle nuove versioni mi hanno dato una visione
più reale della Bibbia.
Naturalmente anch’io, come tutti quelli della
mia generazione, sono cresciuta con la King
James Version (versione Diodati). I miei genitori spesso ci leggevano ad alta voce i passi delle
Scritture ma apprezzavo soprattutto gli elementi estetici della Parola di Dio. Ci piaceva
ascoltare le storie bibliche, cullati dalla voce di
nostro padre. Mi ricordo che mi piacevano
soprattutto i Salmi. Uno dei nostri favoriti, che
tutti sapevamo a memoria, era il Salmo 23. Le
immagini contenute in questo salmo stimolavano la mia fantasia di bambina, mi piaceva la sua
maestosità e la bellezza delle immagini, ma non
riuscivo a coglierne l’applicazione pratica per la
vita di tutti i giorni. Per esempio, quando leggevo: «Egli mi conduce per i sentieri di giustizia ...»
(v. 3 - Diodati), mi chiedevo: «Quali sono questi
sentieri?». Da bambina immaginavo sentieri
pieni di luce che guidavano a Dio. Sotto l’impressione delle mie letture infantili non avevo
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mai avuto l’occasione di riconsiderare questi
versi con uno sguardo adulto fino a che non scoprii una nuova edizione del salmo.
Un giorno, non molto tempo dopo la pubblicazione della Living Bible (una traduzione parafrasata della Bibbia, n.d.r.), decisi di imparare a
memoria la versione parafrasata del Salmo 23.
Arrivata al punto in cui si parlava di sentieri di
giustizia, lessi: «Egli mi aiuta a fare ciò che lo
onora di più». Improvvisamente questo versetto
trovò un’applicazione pratica nella mia vita.
Udii la voce di Dio che mi parlava e mi chiesi:
«Onoro veramente Dio con gli atti e le parole?».
Per settimane questo interrogativo mi risuonò
nella mente e prima di parlare o di agire spesso
mi chiedevo: sto onorando il Signore? Il Salmo
23 aveva preso corpo ed era diventato vivo.
Un’altra volta fui deliziata nel leggere le beatitudini (Matteo 5) nella versione Good News
Bible (il testo in lingua corrente, n.d.r.). Mi piaceva enormemente l’espressione con cui iniziavano: «felici coloro» invece del tradizionale
«beati coloro». La King James Version recita:
«Beati (lett. ‘benedetti’) coloro che hanno fame e
sete di giustizia: perché saranno saziati». La
nuova versione dice: «Felici coloro il cui più
grande desiderio è fare la volontà del Signore;
Dio li soddisferà completamente». Ne fui spaventata. È veramente un mio grande desiderio
fare ciò che il Signore chiede? Quali sono i miei
veri sentimenti? Desidero fare la sua volontà
con tutta me stessa?
La traduzione mi aveva dato l’occasione di
pensare in modo diverso. Pregai Dio di cambiarmi il cuore e di farmi desiderare ardente-
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mente una più stretta aderenza alla sua volontà.
Quando mi trovai in difficoltà di fronte a Ebrei
9, decisi di leggere ogni versione della Bibbia
disponibile nella nostra biblioteca. La New
English Bible (una versione in lingua corrente,
n.d.r.) rispose perfettamente al mio bisogno in
quanto traduceva il termine greco ta hagia con
una sola parola inglese, cioè «santuario», ogni
volta che appariva, contro tutta una serie di
parole inglesi diverse che venivano usate dalla
maggior parte delle versioni.
Mi fu utile in quell’occasione leggere diverse
versioni e anche la parafrasi della The Living
Bible perché ognuno di noi è un essere a sé. Non
arriviamo tutti alle stesse conclusioni. Parole
diverse hanno diversi significati per noi, e leggere le varie versioni mi apre la mente e mi permette nuove esplorazioni.
Un altro modo da me sperimentato, che mi ha
aiutato e mi ha reso più sensibile alla voce di
Dio, è imparare a memoria delle liste. Prima
che mi diciate che non siete il tipo di persona
che usa le liste, come ricette per vivere felici, vi
dico subito che nemmeno io lo sono. Queste
però non sono liste ma elenchi che ho trovato
nella Bibbia o negli scritti di Ellen White.
Imparandole a memoria ne ho una riserva nella
mente e ovunque io sia posso meditare sull’insegnamento che Dio mi vuole dare per mezzo di
queste sue enumerazioni. Le liste sono utili nei
momenti in cui non ho niente da fare: per esempio nella sala d’attesa del medico, in macchina
o altrove. Sono anche utili nelle notti insonni o
quando sono troppo stanca per leggere. Mi
siedo accanto al fuoco e medito (forse dopotutto
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i miei anni di sogni a occhi aperti sono stati una
buona pratica). Inoltre le enumerazioni sono
una buona base per uno studio profondo della
Bibbia. Per ogni punto della lista prendo in considerazione vari versetti e li metto a confronto.
Il mio elenco favorito è quello dei frutti che lo
Spirito santo ha promesso di produrre nella mia
vita: amore, gioia, pace, pazienza, gentilezza,
bontà, fedeltà, amabilità e autocontrollo (Galati
5:22,23). Ogni giorno chiedo al Signore di poter
riflettere la sua immagine con uno di questi
attributi. Spesso gli ricordo la sua promessa di
farmi diventare un albero che sulle rive di un
fiume cresce e produce frutto e le cui foglie non
appassiscono mai (Salmo 1:3). La cosa bella di
queste liste è che ci danno la doppia possibilità
di investigare e di contemplare le Scritture.
Un’altra lista è contenuta in Isaia 11:1-5, dove
troviamo l’enumerazione dei vari modi con cui
lo Spirito avrebbe potenziato Gesù, «il rampollo
che uscirà del tronco d’Isai», quando sarebbe
venuto sulla terra come uomo. Forse questo
elenco non vi è familiare ma per me è una benedizione e chiedo a Dio di riempirmi di saggezza
e di intelligenza, di spirito di consiglio e di forza,
di conoscenza e di timore del Signore. Ho bisogno di questi attributi! Se glielo chiediamo Dio
ha promesso di dare lo Spirito a ognuno di noi e
la lista di Isaia 11 mi aiuta a capire che cosa lo
Spirito farà per me e come opererà nella mia
vita.
L’armatura di Dio è una lista più nota. Ogni
giorno esprimo al Signore il desiderio di rivestire la sua armatura (Efesini 6:10-18). Una mattina
ero scontenta di me perché il giorno prima
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avevo fatto qualcosa che non mi era piaciuta;
parlando con il Signore dell’armatura, gli chiesi
tra l’altro come poter diventare più forte per
non cadere nelle tentazioni. Più tardi, nella
stessa mattinata, mentre camminavo ripetevo
tra me e me il Salmo 91; alle parole «La sua
fedeltà ti sarà scudo e corazza» la mia mente
s’illuminò.
«La sua fedeltà, non la mia!», esclamai. «Ma
certo, perché non l’ho capito prima? La mia
fedeltà non potrà mai essere uno scudo. È la
fedeltà di Dio che mi protegge!». Ringraziai Dio
per questa scoperta.
Un altro giorno chiesi a Dio di rendere i miei
piedi pronti al vangelo della pace. Mi venne in
mente che Gesù aveva indossato il manto del
vangelo della pace ogni giorno della sua vita terrena. I suoi sandali lo avevano portato in tutto il
piccolo mondo ebraico per dare quella pace che
poi avrebbe ricoperto l’intero universo.
«O Padre» pregai «rivesti i miei piedi degli
stessi sandali indossati da Gesù così che io
possa, oggi, andare dove tu vorrai che io vada».
Si potrebbe anche prendere in considerazione la lista di Paolo circa le virtù che devono
essere oggetto dei nostri pensieri (Filippesi 4:8)
o la scala di Pietro per poter arrivare a essere
un cristiano efficiente (2 Pietro 1:5-7). Potreste
anche trovare liste brevi, per esempio in
Giacomo 1:27, dove si danno consigli sul modo
di mantenersi puri dal mondo, e in Luca 11:28
che contiene la benedizione di Gesù per coloro
che ascoltano e obbediscono alla Parola di Dio.
Ho anche scoperto liste che comprendono
interi libri della Bibbia: per esempio la lettera
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agli Ebrei. Qualcuno mi ha fatto notare che il
tema di questo libro è «qualcosa di meglio».
Ogni capitolo svela come Dio ha dato con Gesù
qualcosa di meglio di quanto il mondo possa
mai offrire.
Capitolo uno: qualcuno migliore da adorare.
Capitolo due: l’umanità migliore. Capitolo tre:
una figliolanza migliore. Capitolo quattro: un
riposo migliore. Capitolo cinque: la consacrazione migliore. Capitolo sei: migliore speranza
e impegno. Capitolo sette: il miglior sacerdozio.
Capitolo otto: il miglior ministero e il nuovo
patto. Capitolo nove: il miglior santuario e la
mediazione eccellente. Capitolo dieci: il miglior
sacrificio. Capitolo undici: il paese e la città
migliori. Capitolo dodici: la migliore disciplina.
Malgrado non abbia ancora memorizzato la
lista, sulla mia Bibbia ho sottolineato i capitoli
degli Ebrei, aggiungendo queste definizioni che
mi aiutano molto.
Una delle mie liste favorite non proviene dalla
Bibbia e non ricordo dove l’ho trovata, ma vale
la pena ricordarla. È costituita da due nozioni
fondamentali: uno è la consapevolezza che il
peccato conduce alla morte e l’altro la coscienza della presenza di Dio che offre la vita.
Ricordare questi due elementi mi fa sentire
spesso benedetta e privilegiata.
Un’altra lista di grande benedizione per me
l’ho trovata nel libro La via migliore (p. 65) dove
Ellen G. White menziona i quattro elementi che
Satana usa per separarci da Dio: i piaceri mondani; le preoccupazioni; le perplessità e i dolori
della vita; le colpe degli altri; i propri difetti.
Utilizzo spesso questa lista per controllarmi e
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vedere se sto permettendo a una di queste cose
di separarmi da Dio.
Mio marito mi ha fatto notare una breve lista
contenuta ne La speranza dell’uomo: «Gesù è
venuto su questa terra per soffrire e morire,
motivato dall’amore per il Signore, dallo zelo
per la sua gloria e dall’amore per l’umanità
decaduta. Questo fu il principio dominante
della sua vita. E vuole che lo sia anche della
nostra» (p. 243). L’amore per il Signore, lo zelo e
l’amore per l’umanità sono state le tre cose che
hanno spinto Gesù a venire sulla terra e a soffrire e morire; sono state la forza dominante
della sua vita.
Se questo è un principio importante che Dio
vuole insegnarci vale la pena memorizzarlo e
meditarlo. La mia preghiera in risposta è:
«Signore, aiutami ad amarti infinitamente, rendimi zelante alla tua gloria e fa che io possa
amare l’umanità come la ami tu. Se questo principio ha portato Gesù sulla terra a morire per
me, può anche essere il motore principale della
mia vita».
Liste, enumerazioni, elenchi? Forse vi può
sembrare un metodo alquanto strano per imparare ad ascoltare la voce di Dio ma per me ha
funzionato.
Voglio sperare che sia chiaro anche per voi;
sono sicura che potete trovare molti altri elenchi utili. Forse, come me, siete ansiosi di utilizzare ogni mezzo possibile per memorizzare le
verità spirituali di Dio e offrirgli la possibilità di
parlarvi.
Il solo modo che ho trovato per avere costantemente il senso della presenza di Dio nella mia
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vita è di riempirla con pensieri celesti. Una lettura attiva della Bibbia, la memorizzazione e
una riflessione sulle liste mi hanno aiutata a
saper ascoltare.
Conclusione
Poiché la percezione della presenza di Dio è in
stretto rapporto con la fede che scaturisce dall’ascolto della Parola di Dio, più ci dedichiamo
allo studio personale delle Scritture, maggiormente sentiremo la sua presenza e aumenterà
anche la nostra abilità a saper riconoscere la
voce di Dio che ci parla.
Ogni credente ha un ruolo di primo piano nel
rendere reale la Parola di Dio. Occorre mettere
la Bibbia al posto più importante della nostra
vita e poi agire di conseguenza.
Per attuare in concreto questa decisione,
occorre:
- memorizzare brani tratti dalle Scritture
- studiare la Bibbia per argomenti e confrontare testo con testo
- leggere attivamente la Bibbia, ricordando
che la Parola di Dio è creativa oggi come alla
creazione del mondo
- chiedere a Dio di farci capire come attualizzare una parola non diretta proprio a noi
- pregare con le parole della Bibbia
- odare Dio per i suoi miracoli e per il suo
amore
- accettare le riprensioni e gli avvertimenti
che Dio utilizza per mostrarci la nostra debolezza e fragilità
- chiedere a Dio il perdono e la guarigione
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- consacrarci nuovamente a Dio
- leggere i brani della Bibbia confrontandoli
con le diverse traduzioni
- leggere la Bibbia con in mente una precisa
domanda, per esempio: qual è l’immagine di
Dio che troviamo in questo brano?
- memorizzare e meditare le liste che troviamo nella Bibbia o negli scritti di Ellen G. White.
Questo è il percorso che ho utilizzato per
familiarizzarmi con la Parola. Mettendolo in
pratica, ho sentito la presenza di Dio nella mia
vita e ascolto la sua voce che guida la mia vita
del continuo.
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Capitolo 7
La vita è una parabola
I
mparare ad ascoltare la voce di Dio vuol dire
anche creare un ambiente adatto all’ascolto.
Ho dedicato diversi capitoli a illustrare i vari
modi che Dio utilizza per rendere le Scritture
reali e a illustrare il modo in cui egli parla attraverso la sua Parola e mi aiuta ad applicarla
nella mia vita privata. Ma il Signore utilizza
anche altri mezzi.
Uno di essi è il lavoro manuale. Non è intenzione di Dio rendere l’uomo come dice un proverbio «un essere con la testa fra le nuvole che
perde il contatto con la realtà». Gesù attraverso
le parabole ha insegnato a integrare le lezioni
spirituali con il lavoro quotidiano. Con i suoi
continui richiami ai lavori dei campi, alla pesca,
alla vita di famiglia, alla pulizia della casa, Gesù
vuole assicurarsi che ricordiamo le sue lezioni.
Egli ha parlato di coltivare le vigne e amministrare una proprietà; ha parlato di servi e
padroni, di padri e figli. Le sue storie hanno toccato le classi sociali più disparate. Noi esseri
umani dobbiamo ogni giorno espletare attività
fisiche inderogabili. Se impariamo a introdurre
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valori eterni nella banalità del lavoro quotidiano, la nostra capacità di udire la voce di Dio
aumenterà.
Dio mi ha insegnato questa lezione alcuni
anni fa. Ero all’inizio dei miei studi teologici di
livello superiore e mi sentivo frustrata per
doverli sempre interrompere a causa dei lavori
domestici. Desiderando passare ore e ore nello
studio della Bibbia e nella preghiera, sentivo la
mancanza di conversazioni e stimoli intellettuali. Ma come impiegavo il mio tempo? Pulivo la
casa, cucinavo, lavavo, stiravo e mi occupavo di
quattro bambini in età preadolescenziale. Oltre
a ciò dovevo assumermi le responsabilità di
moglie di pastore. Naturalmente questi obblighi
mi davano un po’ di avvilimento.
Dio però non smette mai di sorprendermi.
Non mi disse di tirarmi su, tornare al lavoro e
smettere di sognare. No, Dio poco a poco mi
mostrò che uno dei suoi migliori libri di testo
riguarda proprio il lavoro fisico. Le lezioni che
mi insegnò cambiarono il mio atteggiamento
verso le pulizie domestiche, i piatti, lo stirare e
altri lavori ripetitivi di questo tipo.
Non so spiegare esattamente come avvenne.
Quello che so è che mentre lavavo i piatti capii
che la mia vita era sporca come il piatto che
avevo tra le mani, ma che Dio mi avrebbe pulito
utilizzando l’acqua della vita che sgorga direttamente dal trono di Dio. Il tempo speso al lavandino della cucina diventò un periodo di comunione con Dio e la presenza di Dio riempiva in
effetti tutta la mia casa!
I pavimenti della cucina e del soggiorno
erano fatti di mattoni che sembravano attirare
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le impronte delle scarpe come la calamita attira il metallo. Ogni settimana passavo ore intere
sulle ginocchia a pulire i pavimenti. Ma Dio s’inginocchiava con me e mentre io toglievo dal
pavimento i segni neri delle pedate egli mi diceva che il suo perdono poteva cancellare dalla
mia vita ogni segno nero.
Stirare divenne una delle occupazioni preferite perché Dio mi assicurava che non solo
avrebbe stirato le pieghe della mia vita ma
anche quelle dei miei figli! Mentre stiravo pregavo specialmente per il figlio di cui stavo stirando gli indumenti e riponevo nelle tasche l’amore di Dio.
Dio allontanò da me l’impazienza di raggiungere un servizio e uno studio superiori e fece in
modo che mi accontentassi dell’occupazione
che mi aveva dato. Non avevo capito che era
proprio ciò di cui avevo necessità ma lui lo sapeva. Con la mia nuova mentalità «d’ora in poi felice» ingenuamente mi convinsi che in futuro
avrei per sempre camminato e parlato con Dio.
Invece il piacere di stare con Dio e godere dei
suoi insegnamenti durò solo sei settimane.
Dopo avrei spesso sentito accanto a me questa
presenza ma non in modo costante. Tuttavia
quelle settimane di pesante allenamento produssero risultati per un lungo periodo: non ho
mai dimenticato la dura lezione e da allora ho
sempre apprezzato i lavori domestici.
In quelle poche settimane il Signore mi aveva
insegnato qualcosa che non avevo né richiesto,
né programmato. Ora so che è possibile coltivare una sensibilità spirituale anche negli impegni abitudinari della vita che acquistano un
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significato particolare. Credo che Dio desideri
farci provare piacere per le svariate manifestazioni della vita: lavori domestici, giardinaggio,
falegnameria, meccanica, cucina ed educazione
dei bambini. Le potremmo catalogare come
occupazioni banali, ma con la presenza di Gesù
possono diventare un’occasione per ascoltare la
sua voce. Da allora Dio lo ha spesso reso possibile per me.
Un venerdì mattina, diversi mesi dopo aver
incominciato a considerare il lavoro domestico
un momento di benedizione spirituale, parlai
con Dio e gli dissi che ero entusiasta dei suoi
insegnamenti. In quel periodo lavoravo fuori
casa per quattro giorni a settimana e il venerdì
era l’unico giorno che trascorrevo a casa.
«Oggi Signore» dissi quel mattino «sto per
pulire la casa, lavare i vestiti e preparare il cibo
in vista del giorno di riposo. Vorrei che la mia
mente pensasse a te in ogni momento di questa
giornata. Vorrei imparare qualche lezione particolare mentre lavoro. Fa che questo giorno sia
piacevole!».
Ansiosa di iniziare un giorno pieno di scoperte, scesi le scale canticchiando un canto religioso. Mentre ero quasi arrivata alla fine udii la
nostra gatta siamese, Samanta, che miagolava
dietro la porta a vetri del salotto perché voleva
entrare. Attraversai velocemente la stanza,
aprii con la mano sinistra la porta a vetri e con
la mano destra cercai di aprire la zanzariera. In
genere mi muovo molto rapidamente e quella
mattina lo feci in modo particolare perché volevo che la mia giornata fosse veramente diversa.
Avevo però dimenticato che la porta a zanzarie-
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ra ultimamente era un po’ dura ad aprirsi e nel
forzarla la mano rimase incastrata. Ritirai la
mano destra e la sollevai guardando con orrore
le dita. L’unghia era spezzata fino a scoprire la
carne viva. Samanta mi si strusciava addosso
ma la ignorai.
«Dio» esclamai a voce alta «come mai mi è successo questo, proprio oggi? Guarda il mio dito:
mi farà male tutto il giorno. Come credi che
potrò lavorare con un dolore così forte? Se lo
fascerò la benda cadrà nell’acqua del lavandino
o nella doccia. Ma se non lo fascerò sbatterò il
dito contro ogni cosa e mi farà male!».
A volte ho bisogno di più tempo per udire la
risposta del Signore, ma quel giorno la udii
immediatamente. «Carrol» sentii «ogni volta che
durante questa giornata il dito ti farà male,
ricordati che ti amo molto».
Così cominciai il mio giorno particolare. Me
la cavai con il dolore e con la fasciatura.
All’inizio fasciai il dito, poi sostituii la fasciatura
due volte e infine la tolsi completamente e lavorai senza. La mia unghia spezzata, come avevo
previsto, sbatteva contro tutto, ma ogni volta
che sussultavo dal dolore, e accadeva spesso, mi
ricordavo che Dio mi amava moltissimo.
Giunse il tramonto e tutta la famiglia era
riunita attorno al tavolo per la meditazione e la
cena. Mentre affettavo il pane ancora caldo,
preparato per la circostanza, ripensai alla giornata appena trascorsa. Quante benedizioni
avevo ricevuto! Avevo programmato un giorno
piacevole colmo di insegnamenti meravigliosi
da parte del Signore. Ma egli sapeva che avevo
bisogno di imparare una lezione fondamentale:
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Dio mi ama anche nelle prove. Durante la giornata avevo udito la sua voce che diceva «Ti amo,
ti amo e ti amerò sempre». Era stata veramente
una giornata piacevole, anche con il dito ferito
che costantemente riconduceva la mia mente al
Signore.
Non solo Dio desidera insegnarci a integrare
le lezioni spirituali con il lavoro ma desidera che
adottiamo lo stesso metodo con i nostri figli.
Non molto tempo dopo l’esperienza dell’unghia spezzata, un venerdì pomeriggio andai a
fare spese con mia figlia in un negozio di alimentari. Mentre acquistavamo le provviste ci
lasciammo tentare da un servizio di piatti in
offerta.
Tornate a casa, mentre sistemavamo la spesa
cercavamo anche di trovare il posto per il nuovo
servizio di piatti nella cristalliera già piena
zeppa. Una delle cose che mi erano piaciute del
servizio erano gli otto piatti fondi.
Mentre li contemplavo e ne ammiravo la brillante lucentezza, di un bel colore verde, Julie,
mia figlia, mi chiese: «Il vecchio servizio blu lo
conserviamo lo stesso anche se abbiamo il
nuovo, vero?».
Distolsi lo sguardo dai nuovi e guardai i vecchi piatti nelle mani di Julie. Improvvisamente
sembrarono incarnare il passato: i popcorn
caldi del sabato sera, le calde minestre delle
sere invernali, il porridge cremoso delle colazioni mattutine prima di andare a scuola, il
gelato alla pesca fatto in casa nelle serate estive... Sorridevo pensando ai bei ricordi che i piatti blu rappresentavano ma di nuovo la voce di
mia figlia ruppe il silenzio: «Mi ricordo che papà
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m’insegnò una lezione proprio prendendo
spunto da questi piatti blu».
«Una lezione riguardo al Signore?» chiesi
meravigliata.
«Sì!» annuì mia figlia «non capivo come Dio
poteva essere eterno, senza inizio né fine.
Stavamo mangiando e papà m’indicò il bordo
del piatto. “Dov’è l’inizio e dov’è la fine di questo
piatto?” mi chiese. Così ogni volta che avevo
qualche perplessità sull’esistenza di Dio mi
ricordavo del piatto blu».
Credo che Dio desideri ricondurre a sé ogni
cosa che ci circonda. In questo modo i nostri figli
potranno godere di raggi di verità ovunque
guardino e qualsiasi cosa facciano.
Sì, la vita è una parabola e il piano di Dio è che
ogni cosa intorno a noi aumenti la conoscenza
che abbiamo di lui. Se lo cerchiamo sinceramente egli illuminerà ogni più piccolo evento
dandoci la possibilità di scorgere qualcosa di lui
nella natura, nei rapporti umani e in tutte le circostanze della vita. Egli ci parlerà in modo chiaro e inequivocabile per capire chi è lui veramente. Non è sorprendente che Dio si manifesti
soprattutto nel mondo del lavoro: aveva assegnato un lavoro ad Adamo ed Eva già prima del
peccato. Il lavoro fisico è una benedizione che ci
procura salute mentale, fisica e spirituale. La
vita è una parabola. Chi ha l’orecchio attento
udrà la voce di Dio e si rallegrerà.
Conclusione
Uno dei modi in cui Dio ci parla è attraverso il
lavoro fisico. Gesù illustra i suoi insegnamenti
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ricorrendo alla vita di ogni giorno. Se impariamo a integrare le lezioni spirituali con il lavoro
quotidiano saremo in grado di migliorare l’ascolto della sua voce.
Dio si serve dei lavori quotidiani per darci
delle lezioni e desidera che anche noi lo facciamo con i nostri figli in modo che ovunque guardino e dovunque vadano si ricordino di lui.
Se abbiamo orecchie per udire la voce dello
Spirito santo, Dio illuminerà ogni più piccola e
ordinaria occasione e scorgeremo qualcosa di
lui nella natura, negli esseri umani e in ogni circostanza della vita.
Dio dette un lavoro ad Adamo ed Eva ancora
prima del peccato. Il lavoro fisico è una benedizione che ci procura salute mentale, fisica e spirituale.
Sì, la vita è una parabola.
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Capitolo 8
Imparare a parlare
la lingua materna
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io aveva per l’umanità un piano stupendo:
dovevano essere tutti suoi figli e gioire di un
rapporto intimo e familiare con lui. Questo era
il piano prima dell’entrata del peccato e, grazie
a Gesù, è ancora il suo piano. Se lo accettiamo
come nostro Salvatore, riceviamo immediatamente il dono della figliolanza tramite lo Spirito
santo. Camminare nello Spirito è la vita normale del cristiano. Udire l’intima voce di Dio è un
diritto di nascita dei figli e delle figlie di Dio.
A volte dimentichiamo l’eccezionale privilegio di sentire la voce di Dio che ci parla nell’intimo. Ogni desiderio che sentiamo o ricerca di
lui che facciamo è un disegno dello Spirito
santo. Spiritualmente non possiamo vivere
senza la voce interiore di Dio. Dovremmo sempre aver cara questa voce, ascoltarne attentamente le parole e rispondere offrendo i nostri
cuori a lui con amore, gratitudine e lode.
Ascoltiamo la voce del re Davide in questi versi
«struggenti»:
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«O Dio, tu sei il mio Dio, io ti cerco dall’alba;
di te è assetata l’anima mia, a te anela il mio
corpo languente in arida terra, senz’acqua»
(Salmo 63:1).
«Come la cerva desidera i corsi d’acqua,
così l’anima mia anela a te, o Dio.
L’anima mia è assetata di Dio, del Dio vivente;
quando verrò e comparirò in presenza di Dio?»
(42:1,2).
«Oh, quanto sono amabili le tue dimore,
SIGNORE degli eserciti! L’anima mia langue e
vien meno, sospirando i cortili del SIGNORE, il
mio cuore e la mia carne mandano gridi di gioia
al Dio vivente» (84:1,2).
«Una cosa ho chiesto al Signore, e quella
ricerco: abitare nella casa del SIGNORE tutti i
giorni della mia vita, per contemplare la bellezza del SIGNORE, e meditare nel suo tempio» (27:4).
«Oh, come sono dolci le tue parole al mio
palato! Son più dolci del miele alla mia bocca»
(119:103).
«Chi ho io in cielo fuori di te? E sulla terra non
desidero che te. La mia carne e il mio cuore possono venir meno, ma Dio è la rocca del mio
cuore e la mia parte di eredità, in eterno»
(73:25,26).
Il profeta Isaia aggiunge: «Con l’anima mia ti
desidero, durante la notte; con lo spirito che è
dentro di me ti cerco» (Isaia 26:9).
È questo l’atteggiamento che Dio vuole dai
suoi figli: quando si avvicina a noi per amore,
desidera una risposta d’amore e di lode che
salga dal profondo del cuore.
La sua presenza nella nostra vita sarebbe
ancora più visibile se alle amorevoli richieste
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del padre celeste potessimo dare simili risposte. Nel Salmo 103 Davide inizia:
«Benedici, anima mia il SIGNORE; e tutto quello
ch’è in me benedica il suo santo nome» (v. 1).
Quando si rivolge a me il mio cuore dovrebbe
esclamare: «Oh Signore ti desidero più di qualsiasi altra cosa nella vita. Non posso immaginare la vita senza di te. Voglio compiacerti in tutto
quello che faccio perché ti amo con tutto il
cuore». Nei rapporti umani, quando qualcuno
dice di amarci, generalmente rispondiamo con
un «anch’io ti amo». Quanto di più dovremmo
rispondere così a Dio! Il nostro cammino con
Dio è un percorso di fede, non visibile. Non dovremmo nemmeno aspettarci da Dio una chiamata emotiva, ma per fede dovremmo sapere
che ci sta parlando del suo amore. Sapendo che
questo amore è vero gli possiamo rispondere
ripetutamente con amore.
A volte la voce interiore di Dio ci avverte di un
peccato o ci mette in guardia da azioni sbagliate, altre volte invece ci parla per stabilire un
rapporto più stretto con lui.
Una sera mio marito ed io stavamo giocando a
uno dei nostri giochi preferiti, lo Scarabeo. Si
usano pedine con lettere e vocali. Lo scopo del
gioco è fare il punteggio più alto ricavando due
parole da una parola che è già sul tavolo con
l’aggiunta delle lettere in possesso dell’uno o
dell’altro giocatore. Quella sera avevamo incominciato a giocare piuttosto tardi; ben presto mi
sentii molto stanca e rimpiansi di aver detto di sì
a mio marito. Non vedevo l’ora che il gioco finisse per andare a letto, ma non volevo ammetterlo con mio marito: mi dispiaceva perché lo vede-
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vo, al contrario di me, molto preso dal gioco.
Era il turno di mio marito e, finito di comporre le parole, disse: «Non farò un punteggio molto
alto ma queste due parole sono molto belle».
Guardai meglio e lessi «amorevole» e «Signore». La mia mente assopita dalla stanchezza si
risvegliò come se Dio mi avesse toccata. «Dio
amorevole» o «Dio d’amore».
Sì, il Signore è veramente un Dio amorevole.
Sollevando gli occhi vidi John sorridermi. Era
ovvio che Dio ci aveva entrambi toccati con il suo
amore anche durante un semplice gioco. Passai
felicemente il resto della serata e ogni tanto mi
ritornava in mente la stessa frase: «Il Signore è
un Dio amorevole». Il mio cuore esultava!
Nella preghiera quella sera ringraziai Dio per
essere un Dio d’amore. E durante la notte, ogni
volta che mi svegliavo pensavo a quella frase.
Verso mattina mi alzai e andai in bagno sempre
con la stessa frase in mente. Mentre nell’oscurità sorridevo tra me e me sentii una voce insinuarsi nella mia mente: «Quanto sei ridicola,
come puoi pensare che Dio ti abbia parlato
durante un gioco?! Dio non parla alle persone in
modo così triviale. È stata solo una tua risposta
emotiva a quelle parole. Non è stato Dio».
Immediatamente fui presa dalla depressione,
ma poi mi dissi: «Stai attenta, qualcuno vuole
insinuare il dubbio. Non voglio distruggere la
gioia della relazione con Gesù». Sussurrando
una preghiera, dissi: «Signore, ti prego, nel
nome di Gesù, non farmi dubitare della tua presenza nella mia vita». L’oscurità si diradò. «Oh, il
Signore è veramente un Dio d’amore», esclamai
di nuovo.
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Il Padre che disse al mondo: «Questo è il mio
diletto figlio nel quale mi sono compiaciuto»
(Matteo 3:17) è lo stesso che ha cura di voi e di
me. È difficile da credere ma è vero. Come Gesù
ha compiaciuto il Signore, così anche noi possiamo compiacerlo. Possiamo farlo in ogni attività della vita: nel gioco, nel lavoro e nella preghiera. Egli vuole essere sempre presente perché è un Dio amorevole.
Ogni volta che ricordo quella sera, quel gioco
e quel momento, sorrido ed esclamo di nuovo:
«Egli è il mio Signore amorevole».
A volte non approfittiamo delle benedizioni
che Dio vuole riversare su di noi e non le sappiamo riconoscere per timidezza e per timore.
Un mercoledì sera non ero andata alla riunione
di preghiera con mio marito perché non mi sentivo bene. Ero andata a letto presto e mi ero
messa due cuscini sotto la testa per poter leggere prima di addormentarmi. Ero alquanto
dispiaciuta per aver dovuto saltare la riunione
di preghiera ma volevo lo stesso ricevere delle
benedizioni. Il libro che stavo leggendo era il
primo volume della biografia di Ellen G. White
scritto da suo nipote Arthur. A pagina 181 White
citava una lettera scritta dalla nonna nel 1850
dopo aver avuto una visione. Nella lettera diceva che le era stato rivelato che il canto di lode a
Dio allontana le tentazioni. Ne fui sorpresa perché non avevo mai letto prima una tale citazione. Posai il libro e pensai: «Esprimere la lode a
Dio a voce alta allontana il nemico?».
«Ci voglio provare», dissi a me stessa, «in casa
non c’è nessuno e se fossi stata alla riunone di
preghiera sicuramente avrei lodato il Signore
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ad alta voce. Lo farò da sola e nella mia camera
da letto».
Mi sentivo piuttosto sciocca ma lo feci ugualmente e dissi: «Lode sia al Signore!». Mi sentii
meglio e percepii la presenza del Signore
accanto a me. Di nuovo esclamai: «O Dio, ti amo
e ti adoro. Lode sia al tuo nome!». E continuai
lodando il Signore per la sua bontà, per le sue
benedizioni e per il suo amore.
Improvvisamente scesi dal letto e mi inginocchiai, sempre lodandolo. Ebbi così la mia piccola riunione di preghiera e di lode.
Non avevo mai espresso la lode a Dio in questo modo durante una riunione e non intendo
farlo. Ogni cosa che facciamo per il Signore
deve provenire da un cuore sincero, da una fede
e un amore che si esprimono in modo adeguati.
Tuttavia forse abbiamo bisogno di imparare e
disfarci della nostra timidezza e manifestare
verbalmente la nostra lode personale.
Potremmo scoprire che possiamo allontanare
il nemico più facilmente di quanto abbiamo fatto
nel passato.
Nella citazione di prima Ellen G. White dice
che cantare le lodi a Dio allontana il tentatore.
La musica è uno dei doni più grandi che Dio
abbia fatto all’umanità, e quando viene usata
per lodare Dio porta l’atmosfera del cielo nei
nostri cuori. La Bibbia ci parla dell’importanza
del canto. Nell’Antico Testamento Dio disse ai
capi d’Israele di formare un coro e una banda
per guidare l’esercito in battaglia! Il canto fa
parte del nostro culto al Signore al pari della
preghiera. Gesù, quando si fece uomo sulla
terra, ci dette il suo esempio: «Nella sua vita ter-
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rena, Gesù affrontava la tentazione con un
canto: spesso, quando venivano pronunciate
parole dure e sferzanti, quando l’atmosfera si
faceva pesante perché densa di tristezza, di
insoddisfazione, di sfiducia e di opprimente
timore, si poteva udire il suo canto di fede e di
santa allegrezza» - Principi di educazione cristiana, ed. ADV, Impruneta, p. 136.
«Nello svolgimento del suo lavoro, Gesù era
amabile e pieno di tatto… Spesso esprimeva la
sua gioia con il canto di salmi o di inni sacri. Gli
abitanti di Nazaret lo udivano mentre innalzava
a Dio espressioni di lode e di ringraziamento.
Mediante il canto restava in comunione con il
cielo, e quando i suoi compagni si lamentavano
per la stanchezza del lavoro li confortava intonando dolci melodie. Sembrava che i suoi canti
allontanassero i demoni e riempissero di profumo il luogo in cui si trovava. La mente degli uditori era trasportata da questo esilio terreno fino
alla loro patria in cielo» - La Speranza dell’uomo, op. cit., p. 44.
Come Gesù anche noi possiamo sempre
ricordare che il canto «può essere sempre utilizzato per arginare lo scoraggiamento» - Sulle
orme del gran Medico, op. cit., p. 139. Quali grandi benedizioni potremmo trarne se al momento
opportuno ce lo ricordassimo! Anche prima che
leggessi la citazione di cui ho parlato, Dio ha
usato la musica per allontanare la depressione
nella mia vita.
Un caldo mattino d’estate mi ero svegliata
tardi; in casa già rumoreggiavano le frenetiche
attività ludiche dei miei quattro figli più due
loro amichetti che dormivano da noi. Mi ero
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vestita velocemente e avevo riunito nel salotto i
ragazzi per una breve riflessione mattutina.
Quella mattina il mio appuntamento con Dio
era stato solo una frettolosa preghiera in mezzo
al frastuono e al vocio del bambini. La colazione
che avemmo subito dopo fu tutto un allegro parlare di piani e programmi in vista di un altro bel
giorno estivo. Mio marito, pastore, era uscito di
casa per andare al lavoro e i sei bambini, subito
dopo la colazione, erano corsi in giardino per
giocare.
Sola in cucina pensavo al giorno che avevo
davanti. La lavatrice stava già emettendo il suo
monotono cigolio, il lavandino era pieno di piatti sporchi, i letti erano da rifare e avevo sei bambini da tenere felici e contenti durante tutta una
lunga giornata estiva. Mi sentii afferrare dalla
depressione!
Mentre caricavo la lavastoviglie pensai: «Se
solo avessi il tempo di studiare e pregare...
potrei sentirmi meno depressa!».
Due piccoli indiani che attraversarono correndo la cucina mi fecero subito capire che quel
giorno nella mia casa non ci sarebbe stato
tempo né per studiare né per pregare. Però
piatto dopo piatto cercai ugualmente di scacciare da me l’ombra della depressione.
«Mio caro Signore» pregai silenziosamente
«aiutami a fare di questo giorno un giorno benedetto. Aiutami a essere dolce e gentile. Fa che il
mio cuore si riempia di pace».
I modi che Dio usa per risponderci sono infiniti: chi può dire come risponderà?
Mi ritrovai a pensare alla mia infanzia, quando amavo la solitudine. I miei genitori, le mie
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due sorelle e io vivevamo nella Carolina del
nord in una fattoria con sterminati ettari di pace
e tranquillità. Mi piaceva passare ore intere
nella foresta di alti pini e ascoltare gli uccelli
che cantavano le lodi al Signore. A volte mi
univo al canto degli uccelli e tiravo fuori tutto
l’amore per il Signore che c’era nel mio cuore.
Non erano mai canti «scritti» ma solo l’espressione di un cuore infantile traboccante d’amore.
Però dopo quei momenti mi sentivo sollevata.
Con gli anni la bambina libera da condizionamenti era diventata una donna moderna.
Mentre stendevo il bucato all’aria aperta sotto il
bel sole di luglio, uno strano pensiero mi attraversò la mente: «E se osassi cantare?».
Mi fermai e mi guardai intorno. C’era una
pace incredibile per essere in città. Non si sentiva il frastuono delle radio, nessuno parlava...
anche i bambini sembravano spariti.
Per un momento riapparve la bambina di un
tempo: «Sì, voglio osare!». E cominciai a cantare
mentre continuavo a stendere il bucato.
All’inizio cantai inni che parlavano della bontà e
della grandezza di Dio e del suo amore per me,
dapprima lo feci con voce esitante poi divenni
più coraggiosa finché cantai a voce piena proprio come «io» piccola bambina avevo fatto in
campagna tanti anni prima. Così lavaggio dopo
lavaggio stesi al sole tutti i panni accompagnata
da «un allegro rumore» in onore del Signore.
Cantai la nuova Gerusalemme e la meravigliosa terra rinnovata. Mentre cantavo mi sentii trasportata in un regno di gloria.
Più tardi, mentre preparavo il pranzo per i
ragazzi affamati, mi ritrovai a sorridere serena-
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mente, e scoprii che non avevo problemi a essere dolce con quei sei instancabili marmocchi
che si erano fermati solo perché avevano bisogno di essere rifocillati.
Il resto di quel giorno estivo passò serenamente tra una faccenda e l’altra. Di sera in
camera da letto ripensai alla mattina. «È stato
bello che Dio abbia allontanato tutti affinché
potessi dare libero sfogo alle mie improvvisazioni». Sorrisi a me stessa. Uno dei miei figli intanto era entrato in camera e si era trattenuto per
aiutarmi a piegare gli indumenti che avevo lavato. «Mamma», mi chiese, «che titolo aveva quell’inno che stavi cantando questa mattina?».
«Oh» risposi sorpresa «beh, veramente, non
era proprio un inno. Lo avevo composto lì per
lì... solo per accompagnarmi mentre lavoravo».
Rimanemmo un attimo in silenzio e poi chiesi:
«Ma dove eri mentre cantavo?».
«Stavamo tutti giocando dietro la casa, ma
quando hai cominciato a cantare ci siamo fermati ad ascoltarti. Era molto bello, mamma».
Inghiottii la saliva, ero sbigottita. «Sai, mamma» continuò il mio bambino «a che cosa mi ha
fatto pensare sentirti cantare?»
«A che cosa?» risposi.
«Ho pensato di abitare in campagna e che una
mamma molto ma molto felice stesse stendendo
il bucato». Mi sorrise dolcemente; avevamo finito di ripiegare le lenzuola e uscì di nuovo per
continuare a giocare.
Gli occhi mi si riempirono di lacrime. Dio
aveva trasformato un giorno infelice in uno indimenticabile.
Ho scoperto che cantare inni di gioia cambia
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l’atmosfera familiare. Quando i bambini erano
piccoli non cantavamo solo durante il culto, sera
e mattina, ma anche in macchina. Ma da quel
giorno scoprii che anche quando sono sola posso
sentire la presenza di Dio attraverso il canto.
Canto quando ho il mio momento di preghiera
personale, e credetemi: anche nei miei pensieri
più ottimistici so di non essere una grande cantante. Ma non bisogna aver ricevuto questo dono
per cantare in privato. Infatti agli occhi di Dio
anche coloro che pensiamo abbiano ricevuto
una bellissima voce non possono competere con
quella degli angeli. E quindi Dio non giudica il
nostro canto sulla base di criteri musicali ma
sulla base dell’amore che abbiamo per lui.
E dunque canto. Mi solleva l’animo e credo
che anche Dio ne goda.
Quando lavoravo nella biblioteca della scuola
spesso, mentre guidavo per andare al lavoro,
cantavo. Il mio inno favorito faceva pressappoco
così: «Ho deciso di seguir Cristo, non torno
indietro, no, no, no». Lo cantavo come una preghiera: era il mio impegno personale con Gesù.
Il canto ha una freschezza e una giovinezza
che sono sicura Dio apprezza. Davide dice che
anche da anziani possiamo essere vigorosi e
verdeggianti (Salmo 92:14). Mia madre che ha
novantuno anni è un esempio di quella giovinezza che Dio elargisce a coloro che lo lodano.
Vive sola, guida la macchina e non solo si prende cura di sé ma è anche molto attiva in seno
alla comunità, si offre di fare da autista alle sue
amiche che non guidano più e le accompagna a
fare la spesa o altre commissioni. La mamma
cura un piccolo orto e la sua più grande felicità
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è lavorare nell’orto e in mezzo ai fiori. Viviamo
centinaia di chilometri distanti l’una dall’altra e
possiamo vederci di persona solo due volte
all’anno, qualche volta anche una sola. Ma ogni
venerdì mattina alle sette e mezzo la chiamo e
parliamo fino alle otto quando il costo della telefonata aumenta. Un venerdì mattina sentii che
la sua voce era un po’ roca. La mamma non è
una che si lamenta e spesso, quando sta male,
non mi dice niente, per cui fui io a chiederle se
fosse raffreddata.
«No» mi disse «non sono raffreddata».
«Forse» insistetti «sei roca perché questa mattina non hai ancora parlato abbastanza?».
«Ma» rispose «forse è perché ho cantato!». «Hai
cantato?», le chiesi sorpresa. «Sì, mi disse la
mamma esitante, ho un innario e durante il mio
momento di meditazione spesso canto alcuni inni.
Questa mattina per esempio ho cantato: «Son
bambino, son piccino ma il Signore mi vuol ben».
Mi vennero le lacrime agli occhi al pensiero
della gioia che prova il Signore a sentire la mia
anziana madre di novantuno anni ancora cantare.
Le chiesi a quel punto se avrei potuto riportare questo episodio nel mio libro. Esitò per un
attimo, ma poi disse: «Ma tutti quelli che mi
conoscono sanno che non so cantare!». «Lo so,
mamma» le spiegai «e tutti quelli che mi conoscono sanno che anch’io non so cantare. Ma la
cosa meravigliosa è che il Signore sa che cantiamo con il cuore!». A quel punto acconsentì a
patto che raccontassi questo episodio velocemente, infilandolo alla fine di un capitolo. Cosa
che ho fatto.
La risposta della preghiera e della lode a Dio
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equivale all’apprendimento della lingua materna del credente. Alcuni di noi lo hanno quasi
dimenticato. Coltivare questa risposta ci aiuterà a imparare ad ascoltare la piccola, quieta
voce di Dio nei nostri cuori.
Conclusione
Ascoltare nell’intimo la voce di Dio è un diritto
dei figli e delle figlie di Dio. Ricordiamoci che
ogni volta che sentiamo una voce che ci guida
verso Dio è proprio la sua voce. Dobbiamo accarezzare questa voce, ascoltare teneramente il
Signore che ci parla e rispondergli con espressioni di amore, gratitudine e lode. Poiché camminiamo per fede e non per opere, possiamo
capire per fede che egli ci chiama continuamente a sé e non dobbiamo attendere una
manifestazione emotiva per rispondergli.
Dio desidera che la risposta provenga dal
profondo del nostro essere. Saremo benedetti
da una risposta verbale, sia con le parole della
Scrittura, quali quelle di Davide nei Salmi, sia
manifestandogli con parole nostre l’amore che
abbiamo per lui e il desiderio di compiacerlo. I
Salmi ci danno molti esempi di questo tipo di
risposta: Salmo 63:1; 42:1,2; 84:1,2; 27:4; 119:103;
73:25,26.
La lode orale, espressa e cantata, ha l’enorme
potere di respingere il seduttore. La risposta amorevole a Dio è la lingua materna del cristiano.
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Capitolo 9
Di che cosa parlerà Dio?
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i questi tempi si sentono fare tante previsioni soprannaturali. All’inizio di ogni anno
le riviste scandalistiche dedicano pagine e pagine a predire che cosa accadrà a divi e dive del
cinema o della TV e che cosa succederà nei
mesi futuri a livello nazionale e internazionale.
Anche se fossero di origine sovrannaturale queste previsioni non vengono certamente da Dio.
Il solo interesse di Dio è completare il piano di
redenzione e di salvezza degli esseri umani.
Quando ci parla è per presentarci avvenimenti
di portata eterna. È altamente improbabile che
ci parli del futuro di qualcuno. Dopo che Gesù
ebbe rivelato a Pietro di che morte sarebbe
morto, il discepolo gli chiese: «Signore, e di lui
che sarà?». Gesù gli rispose: «Se voglio che
rimanga finché io venga, che t’importa? Tu,
seguimi» (Giovanni 21:21,22).
Il Signore non parla ad alta voce ma parla ai
nostri cuori solo attraverso l’intima voce dello
Spirito santo, ed è per questo che è facile non
sentire la sua voce in mezzo al clamore del
mondo che ci circonda. Di che cosa parla il
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Signore? Che cosa possiamo aspettarci da lui?
La risposta a questa domanda può aiutarci a
distinguere la sua voce da quella di un contraffattore.
Sappiamo per certo che non ci rivelerà i
segreti delle stelle del cinema o degli uomini
politici. Ma quali sono i temi che lo interessano?
S’interessa ai miei affari personali?
I discepoli si ponevano le stesse domande.
Quando Gesù disse loro che stava per lasciarli
per andare al Padre, Filippo gli chiese di
mostrare loro il Padre. Gesù rispose: «Chi ha
visto me, ha visto il Padre» (Giovanni 14:9).
Leggendo le pagine dei Vangeli che ci parlano
della vita di Gesù ci accorgiamo che la sua
attenzione era sempre rivolta ai discepoli. Fece
il miracolo del ritrovamento di una moneta per
permettere a Pietro di pagare la tassa del tempio e procurò il cibo per cinquemila persone
affamate. Da questo possiamo capire che Dio ci
parlerà di cose che ci interessano personalmente e che tutto ciò che gli portiamo in preghiera
avrà in un modo o nell’altro una risposta.
Man mano che diventiamo meno egoisti e discutiamo con lui delle necessità altrui, il Signore
dirà come poterli aiutare, ma non ci rivelerà
mai gli affari personali di altri, violandone la
privacy. Nell’episodio della donna adultera,
Gesù non rivelò alla folla i peccati personali dell’uomo che aveva indotto la donna all’adulterio,
ma scrisse per terra forse proprio quei i peccati che riguardavano tutti e in questo modo fece
appello alla coscienza degli accusatori.
Pastori, anziani o amici si devono a volte
occupare di qualcuno per un peccato commes-
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so. In questi casi lasciamo che sia Dio a dirigerci e ascoltiamo la voce dello Spirito che ci dice
come trattare la persona. Ecco il consiglio di
Ellen G. White: «Soltanto quando sentirete di
essere pronti a sacrificare il vostro amor proprio e addirittura la vostra vita per salvare un
fratello dal male, avrete tolto la trave che è nel
vostro occhio e sarete pronti ad aiutarlo.
Soltanto allora potrete avvicinarlo e colpire il
suo cuore. Nessuno ha mai abbandonato i propri errori spinto dalla censura e dai rimproveri.
Al contrario molti si sono allontanati dal Cristo
e hanno definitivamente chiuso il proprio cuore
alla possibilità di riconoscere i propri errori.
Uno spirito gentile, affettuoso e amabile può salvare colui che è nell’errore per aiutarlo ad
abbandonare il peccato» - E.G. White, Con Gesù
sul monte delle beatitudini, ed. ADV, 1998, p. 149.
L’apostolo Paolo ci ammonisce: «Fratelli, se
uno viene sorpreso in colpa, voi, che siete spirituali, rialzatelo con spirito di mansuetudine.
Bada bene a te stesso, che anche tu non sia tentato. Portate i pesi gli uni degli altri e adempirete così la legge di Cristo» (Galati 6:1,2).
Non dovremmo mai sottovalutare il lavoro di
recupero. Solo le direttive dello Spirito santo e
uno spirito di umiltà e di preghiera ci permetteranno di raggiungere e toccare il cuore di un
peccatore.
E per quanto riguarda le piccole cose che sono
per me una tentazione? Dio me ne parlerà?
Cose per esempio come la dieta, la casa, i vestiti, il lavoro, i bambini, i rapporti interpersonali?
Ricordatevi sempre che Dio è nostro padre e
qualsiasi cosa ci riguardi, qualsiasi cosa faccia
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parte della nostra vita, lo interessa. Nei precedenti capitoli ho ricordato che Dio si era interessato anche al mio lavoro. Niente gli sfugge. Gesù
ci dice che il Padre si accorge anche del passerotto che cade sul terreno. Tanto più si prenderà
cura di noi e delle nostre preoccupazioni.
Dio s’interessa anche ai vestiti che indossiamo. Ci ha dato buoni consigli in questo campo
dicendoci che essi devono essere di buona qualità, modesti, semplici ma eleganti. E credo che
possa guidarci anche oggi nella scelta dell’abbigliamento più adatto.
Ho da tanto tempo un problema che riguarda
le scarpe. I miei piedi sembrano perfettamente
normali ma non riesco a trovare calzature
comode. Per quarantacinque anni ho sprecato
centinaia e centinaia di dollari per l’acquisto di
scarpe che non potevo indossare. Sapevo di
poter portare solo calzature di buona qualità e
così cercavo scarpe che fossero non solo belle
esteticamente ma anche comode. Molto spesso
nel negozio risultavano tali e inevitabilmente
erano costose. Purtroppo, dopo qualche ora che
le indossavo sapevo già che i miei piedi non le
avrebbero più sopportate.
Avevo già parlato di questo mio problema con
il Signore, ma un giorno toccai proprio il fondo.
«Signore» gli dissi «è ora che utilizzi i miei soldi
per qualcosa di più valido. E inoltre ho bisogno
di scarpe comode. Come posso camminare e
parlare di te con i piedi che mi fanno male? Non
so come ma è arrivato per me il momento di trovare il modo di comprare scarpe comode».
Ero un po’ preoccupata perché l’unico paio
che usavo generalmente in classe e nelle occa-
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sioni più eleganti erano piuttosto malandate. A
essere sinceri non erano nemmeno comodissime, comunque erano le migliori che avevo.
Come avrei fatto a trovarne un altro paio?
Chiedendo a Dio di aiutarmi e guidarmi gli
ricordai che le scarpe mi servivano anche per
lavorare per lui.
Il problema delle scarpe continuò a preoccuparmi. Alcuni giorni dopo, mentre parlavo con
un’amica al telefono, menzionai casualmente la
difficoltà che avevo in questo campo. «Sono
stanca» le dissi «di continuare a spendere soldi
per scarpe che non posso indossare. Ho chiesto
a Dio di darmi scarpe comode».
La mia amica sospirò: «Ti capisco, anch’io ho
lo stesso problema ma ho trovato un negozio
che vende proprio scarpe per piedi difficili».
«Dammi l’indirizzo» le chiesi, «è lontano da
qui?». Il giorno successivo guidai fino al piccolo
negozio. Le vetrine erano piene di saldi.
Speranzosa, detti un’occhiata alla merce e vidi
vari modelli che mi piacevano, sia scarpe eleganti sia sportive. I saldi erano eccezionali.
Provai alcune paia di scarpe e le trovai comodissime. Ero al settimo cielo, anche se, dissi a me
stessa, spesso le stesse scarpe che nel negozio
mi andavano benissimo mi facevano male a casa.
«Come va» mi chiese la commessa «quale ha
deciso di prendere?». Le volevo rispondere di
allontanarsi perché volevo fare una preghiera
ma le dissi semplicemente che ci dovevo pensare ancora un momento. Mettendomi di nuovo a
sedere guardai e riguardai le scarpe. «Signore»
pregai silenziosamente «è questa la tua risposta
alla mia preghiera? O sto nuovamente buttando
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via i soldi?». Mi sarebbe piaciuto che Dio mi
avesse risposto direttamente proprio là nel bel
mezzo del negozio, ma a volte Dio parla per
bocca della provvidenza, per edificare la nostra
fede. Dopotutto avevo pregato e un’amica mi
aveva dato l’indirizzo di quel negozio.
Sicuramente era la risposta del Signore. Decisi
di agire per fede e comprai quattro paia di scarpe: due eleganti e due sportive.
Quando arrivai a casa con i pacchi mio marito mi guardò interrogativamente. Sapeva bene
quale fosse il mio problema con le scarpe e non
era stupito: a casa cammino quasi sempre a
piedi nudi. Ma la cosa meravigliosa fu che ogni
paio di scarpe acquistato quel giorno si rivelò
comodissimo e ancora adesso calzo quelle scarpe. Dopo di allora ho acquistato nello stesso
negozio altre due paia di scarpe e sono tutte
comodissime.
Sono molto grata al Signore per essersi interessato alle mie scarpe.
Nello stesso modo Dio ci aiuterà a scegliere la
carriera, le macchine, le case, ecc. Egli vuole
essere coinvolto nei nostri affari e nella nostra
vita di ogni giorno. Dio vuole che ci consigliamo
con lui per il matrimonio e per i figli.
Dio ci chiede soprattutto di tener presente
una cosa: «Cercate prima il regno e la giustizia
di Dio, e tutte queste cose vi saranno date in
più» (Matteo 6:33). Gesù ha fatto questo commento subito dopo aver parlato delle necessità
materiali della vita: è quindi ovvio che le considerava secondarie rispetto al suo regno.
L’apostolo Paolo consigliava ai corinzi: «Ma
questo dichiaro, fratelli: che il tempo è ormai
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abbreviato; da ora in poi, anche quelli che
hanno moglie, siano come se non l’avessero;
quelli che piangono come se non piangessero;
quelli che si rallegrano, come se non si rallegrassero; quelli che comprano, come se non
possedessero; quelli che usano di questo
mondo, come se non ne usassero, perché la
figura di questo mondo passa. Dico questo nel
vostro interesse; non per tendervi un tranello,
ma in vista di ciò che è decoroso e affinché possiate consacrarvi al Signore senza distrazioni»
(1 Corinzi 7:29-35).
Quanto più vicini al tempo della fine siamo
noi rispetto ai corinzi! Sì, Dio vuole parlarci
della nostra vita personale e delle necessità
pratiche ma ancora di più vuole condividere
con noi i segreti del suo regno.
Ci possiamo aspettare che gli stessi temi di
cui discuteva Gesù quando era sulla terra come
essere umano, siano quelli di cui Dio oggi vuole
parlare con noi. Le Scritture non ci presentano
un Dio che svela grandi verità scientifiche o
parla solo all’intelletto. «Non disse nulla per
soddisfare la curiosità o l’ambizione egoistica;
non si soffermò su teorie astratte, ma si occupò
di quello che è essenziale per lo sviluppo del
carattere, di quello che accresce nell’uomo la
capacità di conoscere Dio e aumenta in lui la
forza di fare del bene» - E.G. White, Principi di
educazione cristiana, p. 67.
Molti discorsi di Cristo puntavano sui contrasti tra i principi del regno celeste e quelli dei
regni di questo mondo. Quando i suoi discepoli
gli chiesero perché parlasse in parabole Gesù
rispose: «Perché a voi è dato di conoscere i
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misteri del regno dei cieli; ma a loro non è dato»
(Matteo 13:11). Gesù poteva parlare esplicitamente del regno dei cieli con i suoi discepoli ma
per gli altri parlava in parabole, perché la maggior parte non era in grado di capire le cose spirituali. E in realtà anche oggi capiamo meglio le
parabole. In esse la verità cresce, si espande e
cambia con il maturare della nostra spiritualità.
Dio ha rivelato i segreti del suo regno a coloro
che sono maturi spiritualmente.
Proprio poco prima di morire Gesù cercò di
preparare i discepoli, abituati ad ascoltare la
sua voce familiare, ad ascoltare la stessa voce
ma internamente: «e io pregherò il Padre, ed
Egli vi darà un altro consolatore, perché stia con
voi per sempre, lo Spirito della verità, che il
mondo non può ricevere perché non lo vede e
non lo conosce. Voi lo conoscete, perché dimora
con voi, e sarà in voi. Non vi lascerò orfani; tornerò da voi. Ancora un po’, e il mondo non mi
vedrà più; ma voi mi vedrete, perché io vivo e
voi vivrete. In quel giorno conoscerete che io
sono nel Padre mio, e voi in me e io in voi. Chi
ha i miei comandamenti e li osserva, quello mi
ama; e chi mi ama sarà amato dal Padre mio, e
io lo amerò e mi manifesterò a lui» (Giovanni
14:16-21).
Gesù ha espresso questo pensiero ancora più
chiaramente: «ma il Consolatore, lo Spirito
santo, che il Padre manderà nel mio nome, vi
insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto quello
che vi ho detto» (v. 26).
Più tardi nello stesso discorso Gesù disse ai
discepoli che lo Spirito santo ha tre importanti
messaggi da imprimere nei cuori di coloro che
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ascoltano le cose spirituali. Lo Spirito convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al
giudizio (Giovanni 16:8-11). Ci aspettiamo che
Dio discuta queste cose anche con noi. E in realtà la prima evidenza che lo Spirito santo ci sta
parlando è la profonda convinzione di essere
peccatori. Vedendo la giustizia di Cristo e accettando il suo perdono, rivelatoci dallo Spirito
santo, possiamo credere nella sua salvezza e
dare inizio a quel rapporto intimo e familiare di
cui abbiamo appena parlato.
Capire che il Signore ci parla delle cose pratiche della vita è una salvaguardia contro le tentazioni dell’avversario. Dal 1844, secondo la profezia di Daniele, il popolo di Dio vive il giorno
del giudizio (yom Kippur). Oggi è il tempo
opportuno per approfondire le profezie bibliche
e l’insegnamento di Gesù. Oggi è il tempo propizio per glorificare il carattere del Signore nel
mondo e per scoprire il modo migliore per santificare il giorno di riposo e di osservare i
comandamenti di Dio e conservare la fede in
Gesù. Questo è il momento opportuno per testimoniare che Gesù trasforma il nostro carattere
ogni giorno e che desideriamo rassomigliargli.
Il Signore vorrà certamente parlarci dei doveri
e dei privilegi che caratterizzano i credenti dei
tempi della fine. È un nostro privilegio camminare con Dio come fece Enoc.
Dio ci parlerà di tutte quelle cose di cui parla
un padre, un innamorato, un amico. Ma ricordatevi che Dio ci guida verso pensieri sempre
più profondi per fare di noi quel popolo che grazie alla sua forza possiamo diventare. Parlare
con Dio ci cambierà sempre.
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«Benedetto l’uomo che confida nel SIGNORE, e
la cui fiducia è il SIGNORE! Egli è come un albero
piantato vicino all’acqua, che distende le sue
radici lungo il fiume; non si accorge quando
viene la calura e il suo fogliame rimane verde;
nell’anno della siccità non è in affanno e non
cessa di portar frutto» (Geremia 17:7,8).
Anche noi porteremo frutto se ascolteremo la
voce del Signore.
Conclusione
Di che cosa mi parlerà Dio? Non farà certamente pettegolezzi sulle stelle del cinema o sugli
uomini politici, ma ci parlerà di ogni cosa che
riguarda la nostra pace. Egli vuole partecipare a
tutti gli aspetti della nostra vita: anche i dettagli
della vita quotidiana sono importanti per lui.
Gesù ha detto ai suoi discepoli di cercare
prima il regno di Dio e ogni cosa sarebbe stata
data in più. Anche se sa che dobbiamo vivere in
questo mondo, ci consiglia di non tormentarci
troppo per le cose terrene ma di sperimentare
una relazione personale con Dio. Egli ci parlerà
del genere di cose di cui Gesù si è occupato
sulla terra:
- cose essenziali allo sviluppo del carattere
- cose capaci di aumentare la capacità di
conoscere Dio
- cose che possono accrescere la possibilità
di fare il bene
- cose che riguardano la gestione della vita e
che ci collegano all’eternità.
Gesù ha anche promesso ai suoi discepoli
che, dopo averli lasciati, il Padre avrebbe invia-
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to un consolatore, lo Spirito santo, che sarebbe
stato sempre con loro. Lo Spirito santo li avrebbe istruiti e avrebbe ricordato loro quanto Gesù
aveva insegnato.
Gesù disse ai discepoli che lo Spirito avrebbe
avuto tre importanti compiti:
- convincere di peccato
- rivelare la giustizia di Cristo
- mettere in guardia circa il giudizio futuro
(Giovanni 16:8-11).
Dio desidera guidarci verso una saggezza sempre più profonda e verso la conoscenza del suo
regno: adorazione, osservanza dei comandamenti, testimonianza, dottrina e profezia.
Imparando ad ascoltare la voce di Dio avremo
la possibilità di essere cambiati.
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Capitolo 10
Ubbidienza
C
ome ogni rapporto anche quello con Dio
dipende dal modo in cui rispondiamo quando ci parla, e comunque è importante rispondergli ogni volta che ci parla. La risposta può
essere di lode, come ho ampiamente mostrato
nel capitolo otto, di pentimento o d’azione. Non
rispondere diminuisce quasi sicuramente la
nostra futura capacità di sentire la voce di Dio e
di percepire la sua presenza.
Per continuare a sentire la voce di Dio devo
ubbidire spontaneamente, quando mi parla e
m’invita a modificare un aspetto del mio carattere o a realizzare qualcosa. Ma se non ubbidisco, per paura, ribellione o interesse entro in
depressione e divento indifferente e pessimista.
Spesso passa molto tempo prima di essere di
nuovo in grado di sentire la presenza di Dio e
sentire la sua voce. È triste notare che non sempre ci accorgiamo della sua assenza. La disubbidienza addormenta la coscienza e può renderci
aspri e disillusi.
Fortunatamente Dio è paziente e indulgente.
Per aiutarci a risolvere un problema o sempli-
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cemente a prenderne consapevolezza, il Signore lo affronta da varie angolazioni.
Alcuni episodi della mia vita possono illustrare il metodo che Dio usa per ognuno di noi. Sono
innanzitutto felice perché la Bibbia parla di vittorie e di sconfitte: le sconfitte mi danno la speranza di poter superare le mie debolezze e i
successi mi rivelano la potenza di Dio. Nella mia
esperienza ho provato entrambe le situazioni.
Ricordate che nel capitolo due ho parlato di
come Dio mi svegliasse ogni mattina per parlare con lui. Camminavo con gioia insieme al
Signore e il Signore rinnovava ogni giorno il
miracolo dentro di me e mi parlava durante le
mie occupazioni quotidiane.
Per introdurvi alla seconda parte di questa
storia è utile che vi dica qualcosa di me. Sono
sempre stata una sognatrice. Fin da piccola
avevo scoperto che per rendere la vita più piacevole potevo ricorrere all’immaginazione.
Raramente mi annoiavo appunto perché avevo
l’immaginazione come compagna. Credo che la
fantasia ci venga da Dio e sono riconoscente per
la gioia che mi dà nel mio cammino di cristiana.
Tuttavia anche le cose positive si possono rovinare per puro egoismo, e qualche volta il tutto
ha l’apparenza dell’innocenza.
Da bambina, quando la vita diventava noiosa
o sgradevole mi rifugiavo nelle fantasticherie e
la mia vita di bambina era felice. Anche se spesso stavo male non mi lamentavo. La mia fantasia
mi portava a immaginare storie fantastiche di
cui erano protagoniste le mie bambole, e con le
mie storie divertivo anche le mie sorelle. Avevo
l’abitudine di raccontare queste storie la sera a
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letto e ogni storia durava circa una settimana o
più. Io stessa non sapevo all’inizio quali sarebbero stati gli sviluppi e la fine delle mie storie,
ma suppongo che questo sia normale per ogni
bambino. Man mano che crescevo questa mia
fantasia divenne un meccanismo che m’impediva di fare le cose che dovevo fare e spesso creavo storie che esaltavano me stessa.
Quando, da giovane madre, Dio incominciò a
svegliarmi ogni mattina per parlare con lui,
piano piano mi fece vedere i pericoli di questo
mio sognare a occhi aperti. Ero così occupata
che non mi restava molto tempo per leggere,
ma anche mentre lavoravo continuavo a sognare a occhi aperti. I soldi che avevamo bastavano
appena per sopravvivere, e spesso mi sorprendevo a sognare sul come avrei speso un milione
di dollari se l’avessi avuto. Sognavo per esempio
una grande e bellissima villa con una camera
per ognuno dei nostri quattro figli mentre in
realtà vivevamo in una casa piccolissima, praticamente l’uno sull’altro. Programmavo mentalmente il giardino dove avrei piantato fiori e
cespugli. M’immaginavo di avere in garage una
macchina nuova e bella e tanti vestiti per tutti.
Questi sogni sembravano innocui e mi rendevano felice e contenta.
Ma Dio disse no: voleva che la mia mente
fosse libera di udire la sua voce e pensare i suoi
pensieri. Fu duro da accettare. Malgrado la sua
presenza fosse reale e mi soddisfacesse pienamente, avevo paura di abbandonare la possibilità di una vita irreale. Ritardai nel dire sì a Dio.
Ben presto fummo trasferiti in un’altra città e in
un’altra chiesa, e nella confusione del momento
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ripresi l’abitudine di sognare a occhi aperti. La
cosa straordinaria fu che dimenticai che Dio mi
aveva precedentemente parlato di questa situazione. Continuai a sognare per molti anni duri e
infelici. Fu solo nel momento in cui il più grande
dolore della mia vita mi piombò addosso, che
Dio, attraverso la preghiera del santuario, mi
parlò di nuovo di questo argomento e mi ricordò di averlo già fatto nel passato.
Questa volta presi la ferma risoluzione di
ubbidire a Dio e di dirgli: «Sì, mio Signore, ho
felicemente abbandonato l’abitudine di sognare
a occhi aperti». Ma quello che più mi ha rattristato è stato riconsiderare il mio passato e realizzare che Dio mi aveva dato l’opportunità di
camminare con lui più di trent’anni addietro e
non ne avevo colto l’occasione. Se avessi accettato la sua offerta di aiuto la mia vita sarebbe
stata sicuramente diversa, e così anche quella
dei miei figli, di mio marito e delle comunità
dove avevamo lavorato: avrei potuto essere una
testimone di Dio molto più efficace.
Ma Dio, nella sua bontà, non mi aveva abbandonata, aveva solo seguito un piano diverso. Sì,
mi parlava, mi guidava e mi istruiva, ma si era
persa quella particolare intimità, e dovevano
passare trentacinque anni prima che potessi di
nuovo operare la scelta. La sola consolazione
per il mio passato rifiuto era il grande conforto
che Dio mi dava. La sua promessa era per me
«un manto di lode» in luogo di uno «spirito
abbattuto» (Isaia 61:3). Ringrazio Dio per la sua
pazienza, per il suo amore, per la sua volontà di
accettarmi completamente e per l’opportunità
che oggi mi dà di servirlo.
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Altri hanno fatto la mia stessa esperienza. Un
giovane con il quale avevo parlato durante un
seminario me ne aveva raccontata una simile:
Dio gli aveva fatto notare che qualcosa della sua
vita doveva cambiare. Improvvisamente si era
ricordato che Dio gli aveva parlato di questa
stessa cosa dieci anni prima. Ma avendo deciso
in quel momento di non ubbidire, aveva dimenticato tutto.
Anche voi non dovete disperare se avete
avuto una simile esperienza. Dio non vi abbandonerà. Mi viene in mente la storia di Abramo
che non aveva avuto fiducia nella capacità di
Dio di salvare la sua vita e aveva mentito facendo passare Sara per sua sorella. Lo aveva fatto
due volte. Non ci viene detto quanti anni passassero tra i due episodi, ma infine Dio mise
Abramo davanti alla prova più grande: offrire il
figlio in sacrificio a Dio. Grazie a Dio Abramo
superò la prova! Ma forse se non avesse fallito le
altre due volte, Dio non lo avrebbe messo di
fronte a quest’ultima esperienza.
Comunque sono grata per la storia di Abramo. E sono anche contenta per la prova finale
che ha dovuto affrontare. Mi ha confortato il
cuore e mi ha aiutato a capire l’amore di Dio
per me.
E così anch’io racconto la mia storia. Non dite
mai no a Dio: perdereste molto. Rispondete
sempre a Dio che vi parla.
Nel corso degli anni Dio mi ha fatto conoscere molte persone. Spesso ho capito che me le
aveva fatte incontrare perché le amassi, pregassi e mi interessassi a loro, almeno per un certo
periodo di tempo. Lavoravo come bibliotecaria
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in uno dei nostri licei e per quattro estati avevo
frequentato uno dei nostri collegi per ottenere
un diploma di bibliotecaria. In quei quattro anni
feci molte esperienze e nuove amicizie. Durante
la prima estate frequentai per due settimane un
corso di approfondimento e la mia compagna di
camera era una suora cattolica.
Suor Anna aveva dieci anni più di me ed era
bibliotecaria in un liceo cattolico. Sin dal primo
momento del nostro incontro avevo sentito che
la presenza di Dio costituiva un legame molto
forte nel nostro rapporto. Era la prima volta,
dall’età di sedici anni, che suor Anna indossava
abiti laici. Qualcun altro li aveva comprati per
lei e non le si addicevano molto. Ricordo che in
una caldissima mattina si era allontanata dopo
l’inizio della lezione perché non si sentiva a suo
agio con le braccia nude. Era la prima volta che
le capitava di vivere questa circostanza in quasi
cinquant’anni. Era rientrata subito in camera e
aveva indossato un golf.
Suor Anna mi osservava in tutto quello che
facevo. Preparavo la colazione nel cucinino dell’appartamento che condividevamo e facevo la
preghiera prima dei pasti. Per le meditazioni
del mattino e della sera leggevo dei brani in una
moderna versione del Nuovo Testamento, poi
insieme ci inginocchiavamo e mentre io pregavo lei generalmente sgranava il rosario.
Mi parlò di lei e della sua vita, del perché era
entrata in convento all’età di sedici anni, delle
sue ansie per ogni nuova suora che entrava in
convento e di tutte le cose strane che succedevano da quando alle suore era stato permesso di
indossare abiti laici: alcune portavano gioielli e
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altre persino fumavano. Sentii che c’era in lei
un sincero attaccamento a Dio e alla verità.
Spesso passavamo insieme il sabato. Suor Anna
veniva in chiesa con me perché il suo sacerdote
le aveva suggerito che «mentre era a Roma
doveva fare quello che fanno i romani».
S’interessava moltissimo allo studio collettivo
della Parola di Dio (la scuola del sabato) e al
culto d’adorazione. Per lei era la prima volta
che frequentava una chiesa protestante.
Un annuncio fatto in chiesa ci informò che nel
pomeriggio Arthur White avrebbe presentato
un programma di diapositive e avrebbe parlato
della nonna. Mi ripromisi di essere presente.
Nel frattempo alcuni amici mi avevano invitato
ad un picnic... invitai a mia volta suor Anna a
partecipare ma mi disse che doveva studiare e
che preferiva rimanere in camera.
Avvicinandosi l’ora del programma mi sentii
un po’ ansiosa. Dovevo tornare in camera per
cambiarmi il vestito ma non volevo chiedere ad
Anna di venire con me. Come potevo far comprendere il ministero di Ellen G. White a suor
Anna? E comunque - mi dissi - lei stava studiando e sicuramente non sarebbe voluta venire. Ma
mentre mi cambiavo mi sentii fortemente spinta a invitarla, e così feci con molta titubanza.
Subito si alzò e disse: «Speravo proprio che tu
mi invitassi!».
Mentre ci recavamo alla riunione spiegai brevemente l’opera profetica di Ellen G. White e la
sua collocazione nella chiesa. Suor Anna rimase
fino alla fine del programma dimostrando un
grande interesse. Pochi giorni prima della sua
partenza, alla fine del seminario, suor Anna visi-
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tò la libreria della facoltà. Al suo ritorno mi
mostrò i libri che aveva acquistato: un Nuovo
Testamento identico al mio e due libri di Ellen G.
White.
Per diversi anni suor Anna ed io ci scambiammo gli auguri di Natale ma poi fu trasferita a un
altro convento e persi il suo indirizzo. Mi sono
spesso chiesta che cosa ne fosse stato di quella
dolce donna che Dio aveva fatto entrare nella
mia vita per due settimane. Penso di aver ubbidito alla voce di Dio nell’amicizia con suor Anna
ma spesso ho avuto dei dubbi: e se fossi stata più
invadente? Se una timidezza eccessiva mi avesse impedito di udire la voce di Dio?
L’estate successiva passai otto settimane nella
stessa facoltà. La mia compagna di camera era
la bibliotecaria di un collegio di una federazione
vicina. Ci eravamo già conosciute a un incontro
organizzato dalle nostre due federazioni, per
cui avevamo deciso di condividere la stessa
camera. Condividevamo la stessa fede e studiammo e pregammo insieme per i nostri figli.
Fu un’estate piacevole e da allora Martha è
stata per me sempre un’amica.
La terza estate occupai una stanza singola.
Ma il Signore fece sì che incontrassi Elsa, la
bibliotecaria di una scuola elementare.
Al momento dell’iscrizione Elsa non pensava
minimamente che il corso si svolgesse in un’istituzione avventista o forse non aveva nemmeno
idea di che cosa fosse la chiesa avventista. La
sua stanza si trovava tre camere dopo la mia, al
pianoterra del convitto femminile. Avevamo
molti corsi in comune e quindi ci incontravamo
spesso negli stessi luoghi, mangiavamo insieme
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e studiavamo insieme. Ogni pomeriggio la invitavo nella mia camera a bere un succo di frutta
freddo. Un giorno mi disse che quello era proprio il momento della giornata in cui era abituata a bere una birra. Dio mi aveva guidata a
soddisfare un suo bisogno. Studiammo insieme
per gli esami e spesso pregavo con lei, chiedendo a Dio di aiutarci nello studio e naturalmente
negli esami. Superammo entrambe l’esame
finale con successo.
Generalmente Elsa tornava a casa per i week
end perché abitava nella città vicina. Ma un
week end rimase a scuola per poter studiare di
più. Le spiegai che di sabato non studiavo per
cui lo fece da sola. Quel sabato sera al tramonto
sentii chiaramente che Dio mi chiedeva di andare nella stanza di Elsa per pregare con lei.
All’inizio mi sentivo frenata e mi chiedevo che
cosa avrebbe pensato Elsa. Dopotutto era rimasta per studiare.
Poi mi ricordai che durante un seminario un
professore ci aveva detto che nei casi in cui eravamo esitanti a ubbidire alla voce di Dio dovevamo porci questa domanda: qual è la cosa peggiore che potrebbe succedermi?
Per cui mi chiesi: «Che cosa potrebbe succedermi di brutto se vado nella camera di Elsa e le
chiedo di pregare con me?».
«Beh» mi dissi «mi potrà dire che non vuole
farlo perché è occupata». Decisi che avrei potuto sopportare questo rifiuto. Risi fra me e me e
dissi: «Bene, Signore, andrò».
Bussai alla porta e lei mi rispose, apparentemente felice di interrompere per qualche minuto lo studio. «Elsa» le dissi «generalmente quan-
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do sono in famiglia al tramonto del sabato ringrazio il Signore e prego per i miei figli. Ti dispiace se prego con te per i miei figli?».
Elsa mi aveva confidato che il figlio di sedici
anni aveva dei problemi e che non le piacevano
le compagnie che frequentava. Sospettava
anche che facessero uso di droghe. Il figlio era
diventato estremamente scortese con lei ed
Elsa ne soffriva molto. Così io e lei pregammo
per i nostri figli. La mattina dopo il telefono
della mia camera squillò alle sette e mezzo. Era
la voce eccitatissima di Elsa.
«Carrol!» esclamò «Dio ha ascoltato le tue preghiere. Ieri sera alle undici e mezzo ha chiamato mio figlio e ha detto di essere molto dispiaciuto per tutti i problemi che mi ha causato. Ha
deciso di comportarsi meglio e di non fare più
uso di droghe. E mi ha detto che mi vuole bene».
Elsa era così commossa che anch’io mi sono
lasciata coinvolgere. Insieme ringraziammo il
Signore per la risposta immediata.
Poi pensai: «Se non fossi andata nella camera
di Elsa per pregare?». Fui estremamente felice
di aver prestato ascolto alla voce di Dio.
La quarta estate Dio mi mandò un’altra compagna di camera: Julie, mia figlia. Fui sorpresa
di sapere che aveva accettato di dividere la stanza con me. Poiché ero molto presa dagli studi e
lei lavorava nel dipartimento di biologia, non ci
ritrovavamo quasi mai insieme in camera.
Alla fine dell’estate mi disse: «Sai, mamma,
avevo molti dubbi sulla nostra convivenza nella
stessa camera». Risi fra me perché avevo avuto
anch’io gli stessi dubbi. «Ma sei stata la migliore
compagna di camera che abbia mai avuto» pro-
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seguì. «Sì» aggiunsi «sicuramente la sola che ti
abbia lavato la biancheria e rifatto il letto!».
Però fui molto riconoscente a Dio per i momenti vissuti con Julie durante le due settimane
estive, qualunque siano state le sue motivazioni.
È importante mettere subito in pratica qualsiasi cosa Dio ci spinga a fare. Man mano che
procediamo sul cammino dell’ubbidienza egli
illumina la strada per proseguire il percorso. Mi
fa venire in mente la lampada che un minatore
indossa sul casco: mentre avanza la luce prosegue con lui, ma se si ferma la luce si arresta.
Possiamo vedere il cammino spirituale davanti
a noi solo se avanziamo sulla strada dell’ubbidienza. Dio vuole essere per noi una presenza
viva e quotidiana. Sarà possibile solo se risponderemo alla sua voce.
Conclusione
La maniera con cui rispondiamo oggi agli appelli di Dio condiziona il proseguimento di una
relazione futura con Dio ancora più feconda. Le
nostre risposte possono essere di lode, di pentimento o d’azione. Più sono disposta a mettere
in pratica gli insegnamenti di Dio più aumenta
la mia capacità di ascoltare la sua voce. Al contrario se rifiuto diventa ancora più difficile riconoscere le parole di Dio e percepire la sua presenza. Infatti il non ascolto attenua la convinzione, porta il credente allo sconforto e alla
depressione, indebolisce la coscienza, arreca la
delusione e l’asprezza d’animo. Una parola, un
consiglio di Dio non ascoltati al momento
opportuno possono ripresentarsi dopo anni e
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accorgersi di aver perso un tempo prezioso.
Infatti Dio non ci abbandona a causa della
nostra disubbidienza ma rinnova i suoi appelli,
come fece con Abramo.
È importante mettere in pratica immediatamente qualsiasi cosa Dio ci chieda di fare. Ci
accorgeremo che non vale la pena correre il
rischio del rifiuto. Seguire la voce di Dio ci porterà sempre più lontano nel cammino della
fede. Dio desidera essere nella nostra vita una
presenza vivente e quotidiana. Questo è possibile se gli ubbidiamo.
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Capitolo 11
Archivi della mente
U
n giorno Tami, la mia nipotina di nove anni,
dopo essersi lungamente guardata e
riguardata allo specchio disse alla madre: «È
incredibile: la nostra testa è molto più grande
all’interno che all’esterno!».
L’intuizione di Tami mi sorprese. Non era
meraviglioso che anche una bambina riuscisse
a capire le infinite possibilità della mente
umana? Imparare ad ascoltare la voce di Dio è
possibile solo con la mente umana. Dio l’ha progettata in modo meraviglioso. Il re Davide dice:
«Io ti celebrerò, perché sono stato fatto in modo
stupendo. Meravigliose sono le tue opere, e l’anima mia lo sa molto bene» (Salmo 139:14).
È solo attraverso la mente che Dio raggiunge
l’animo umano. La preghiera, la comunicazione
a doppia corsia tra terra e cielo, opera attraverso la mente. I cinque sensi: gusto, tatto, odorato,
udito e vista sono i viali di accesso sia del bene
sia del male. Le risposte che daremo renderanno più acuto l’udito spirituale o lo affievoliranno.
Se la mente fosse veramente piccola come la
testa sarebbe facilissimo controllarla. Ma, come
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Tami ha detto, l’interno è molto ma molto più
ampio dell’esterno! La nostra mente conserva in
archivio i fatti di una intera vita, la maggior
parte dei quali riposa nell’inconscio e non ne
viene quasi mai rimossa. Eppure ci viene detto
che l’inconscio controlla quasi l’80 per cento del
nostro modo di agire durante la vita. Spesso
senza nemmeno rendercene conto reagiamo in
un certo modo a causa di quello che abbiamo
vissuto nel passato.
Quando ho accettato Gesù come mio
Salvatore e ho chiesto a Dio di guidare anche la
mia mente, non avevo idea di quanta immondizia fosse stivata nel mio inconscio: una parte
ereditata e una parte coltivata da me. E non mi
rendevo conto che Satana avesse intelligentemente imparato a circoscrivere i centri nervosi
della nostra mente per tentare perfino i credenti. Ma, grazie al Signore, l’opera più importante
dello Spirito santo è rivelare passo per passo
che cosa nascondiamo nel subcosciente.
Chiedendo perdono per i peccati del passato e
presentandoli a Dio perché vengano rimossi,
potremo fronteggiare le accuse dell’avversario
che mirano a colpire la mente. A quel punto
potremo udire la voce di Dio che dice: «Questa
è la via, camminate per essa!» (Isaia 30:21).
Perché Dio non spazza via una volta per tutte
il sudiciume dalla nostra «cantina»? È una
domanda che nel passato spesso mi sono posta.
La risposta è che Dio ci ha creati liberi. Egli desidera che ogni persona prenda consapevolezza
di quanto sia profondo il bisogno di lui, che
ognuno capisca le proprie debolezze, resistenze
e ribellioni, e che ogni individuo possa coopera-
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re con lui nel processo di purificazione e di guarigione. Dopotutto l’uomo è stato creato a
immagine e somiglianza di Dio, il quale desidera che camminiamo al suo fianco per ricostruire la nostra vita. Ogni modifica deve essere realizzata in accordo con Gesù e con lo Spirito
santo. Solo in questo modo il nostro carattere si
fortificherà.
Ricordiamoci sempre che Dio non è un mago.
Oggi siamo abituati a una spiritualità sacromagica: non mi riferisco ai trucchi da circo, ma
a come viene presentato il soprannaturale
attraverso i mezzi di comunicazione di massa:
televisione, stampa, letteratura ecc. La magia
attrae la natura umana. Anche i cristiani spesso
scelgono inconsciamente il lato magico dei
miracoli perché nella magia non c’è sforzo di
comprensione mentre il miracolo ci mette a disagio. La magia non ci chiede niente, non dobbiamo sacrificare niente. Infatti non comprendiamo che i miracoli provenienti da Dio sono
autentici mentre la magia porta solo alla delusione. Ma in Dio non c’è magia anche se i suoi
miracoli vengono spesso contraffatti da potenze
occulte.
Parlo in prima persona di questo argomento
perché Dio mi ha mostrato quanto sia stato non
proficuo per la mia vita spirituale credere in
una spiritualità magica: aspettarsi molto senza
fare niente, ottenere un maggior profitto senza
sofferenza alcuna.
Mi sono sempre piaciute le storie di avventura, coraggio, amore e magia. Naturalmente
sapevo che la magia non era reale. Ma quando
lessi i miracoli di Gesù inconsciamente mesco-
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lai la menzogna con la verità. I cristiani devono
fare attenzione a non assorbire le teorie del
mondo applicandole a Dio. Il Signore opera in
modo completamente diverso. La magia è finta,
il miracolo è reale. Mosè fece dei miracoli
davanti al faraone d’Egitto. I maghi del Faraone
operarono fenomeni simili ai miracoli di Mosè,
ma le magie svanirono mentre i miracoli durarono per sempre.
Il miracolo che Dio opera nella nostra vita è la
formazione del carattere. La magia non porta
felicità duratura a nessuno, mentre il miracolo
di un carattere rigenerato ci darà eterna felicità. I miracoli autentici sono da Dio, non sono
nostri. Un miracolo ci cambierà per sempre e le
nostre vite non saranno più le stesse. Un miracolo non fallirà mai. Dieci anni dopo il miracolo
che Dio ha fatto nella mia vita sento che era proprio quello di cui avevo bisogno.
La Bibbia chiama questi miracoli quotidiani
un processo di santificazione, la crescita giorno
per giorno, ed è così che Dio ci prepara a vivere
nel cielo con gli angeli. La crescita graduale
della mente e della vita è un miracolo così reale
quanto la trasformazione immediata della
nuova nascita. Quando Gesù alle nozze di Cana
tramutò l’acqua in vino, realizzò più in fretta i
processi di trasformazione degli alimenti. Fu lo
stesso miracolo della vita che ogni giorno si rinnova. Ogni alimento è un miracolo di Dio che
utilizza il sole, la pioggia, gli elementi del suolo
e naturalmente il lavoro dell’uomo per la produzione del cibo. Il miracolo è un’accelerazione
di questo procedimento, ma Dio lo ha rallentato
per permetterci di cooperare intelligentemente
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con lui. Egli vuole che ci sentiamo a nostro agio
con gli altri abitanti del cielo. Poiché Dio ci ha
creati a sua immagine, sa anche che la nostra
mente può crescere e capire idee che al
momento ci sembrano incomprensibili.
Gli strumenti che Dio utilizza per scavare nel
profondo della mente umana sono le difficoltà, il
dolore, la sofferenza. Certo non ci piacciono, ma
vi posso assicurare che la gioia che ne deriva è
superiore al dolore. E alla fine con l’aiuto di Dio
si trova la vera felicità.
Ecco un altro modo per imparare a sentire la
voce di Dio: scegli oggi di cooperare con Dio per
rinnovare la mente. Permettigli di rimuovere
dal subcosciente la sporcizia per poter vivere
non più nel passato ma nel presente.
Quando feci questa scelta non avevo idea di
cosa mi aspettasse. Ma non l’ho mai rimpianta,
nemmeno per un istante. È come decidere di
partecipare a un’escursione in montagna: se la
prima volta avessi immaginato la fatica che mi
aspettava non sarei partita; ma poi la gioia e la
bellezza delle montagne, i fiori selvatici, i fiumi,
il cielo azzurro, le notti stellate mi fecero dimenticare ogni cosa. Lo stesso avviene quando decidiamo di prepararci a una spedizione con Dio:
se ti soffermi solo sulla sofferenza non vale la
pena incominciare; ma quando poi provi la gioia
e l’amicizia di Gesù la sofferenza scompare.
Non arriveresti mai a pensare che la mente,
che coabita con il cervello, che a sua volta confina con le ossa e la pelle di una piccola testa
possa contenere spazio sufficiente per esplorare tutta la vita. Ma è così. Ed è un viaggio entusiasmante.
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Ho iniziato coscientemente questo viaggio
quando ho incominciato a praticare la preghiera del santuario. Man mano che salivo i gradini
del santuario (capitolo 3) scoprivo che Dio aveva
piani radicali per la mia riconversione. Era eccitante ma anche spaventoso. Ma so che la mia
spedizione con Dio non finirà fino al ritorno di
Gesù e che in cielo inizieremo un viaggio spirituale eterno.
Per molto tempo mi sono preoccupata perché
non sapevo quali peccati Dio avesse annotato
sui libri del cielo. Come potevo essere sicura di
averli confessati uno ad uno? Studiando il santuario ho provato un grande sollievo nel realizzare che Gesù, il mio sacerdote, ha riservato un
posto speciale - il luogo santissimo del santuario
in cielo - e un momento particolare - il giorno
del giudizio investigativo - per rivelarmi quello
che i libri del cielo dicono di me. Egli non
nasconde niente. Ci vuole tempo per capire la
serietà delle rivelazioni divine ma Dio ci concede tutto il tempo di cui abbiamo bisogno.
Non molto tempo fa Dio mi sorprese con tutta
una serie di piccoli incidenti. Il primo ebbe
luogo proprio il primo giorno in cui accendemmo il condizionatore d’aria. Avevamo l’abitudine di spegnere il condizionatore verso le sei o le
sette di sera, non appena la temperatura esterna incominciava a rinfrescarsi. Durante la notte
spalancavamo le finestre e le chiudevamo di
nuovo al mattino, in attesa di riaccendere il condizionatore verso mezzogiorno.
Quella notte avevamo spento il condizionatore
e le finestre erano spalancate. Faceva caldo e mi
misi a dormire sopra le coperte. Ben presto però
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mi svegliai con addosso una sensazione di freddo: mi misi sotto le coperte e mi riaddormentai.
Ma non passò molto che ero di nuovo sveglia,
questa volta coperta di sudore. Gettai via le
coperte e tornai a dormire. Questo coprirmi e
scoprirmi durò tutta la notte. Caldo, freddo,
caldo, freddo: passai una notte estremamente
irrequieta.
Al mattino mi svegliai e andai in bagno.
Passando davanti alla caldaia mi accorsi che
era accesa! Ecco perché non ero riuscita a dormire bene! Essendo l’apparecchio in funzione,
l’aria fredda che entrava dalla finestra non solo
raffreddava me ma faceva scattare anche il termostato della caldaia e la metteva in funzione, e
di conseguenza sudavo. Successivamente la
casa si riscaldava e il termostato si spegneva...
ed ecco di nuovo la brezza che mi gelava. E così
per tutta la notte.
Immediatamente spensi la caldaia e tornai a
letto. Era evidente che chiunque avesse spento
l’aria condizionata aveva inavvertitamente
acceso il riscaldamento.
Più tardi affrontai mio marito: «Lo sai che cosa
hai fatto ieri sera? Quando hai spento il condizionatore hai acceso il riscaldamento!». E gli raccontai della mia notte insonne. Mio marito, che ha un
sonno di piombo, non si era accorto di niente.
«Mia cara» mi disse «non ricordo proprio di
averlo fatto!».
«Naturalmente» risposi «non lo ricordi perché
non lo hai fatto apposta».
Lasciammo cadere l’argomento e nessuno di
noi ci ritornò sopra. Quello stesso giorno però,
più tardi, mentre stavamo parlando di tutt’altra
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cosa, udii mio marito mormorare qualcosa tra i
denti. Lì per lì non riuscii a capire, ma quella
frase sussurrata rimase evidentemente in un
angolino del mio cervello e mi si ripresentò più
tardi. Aveva detto: «Mi si rimprovera sempre
per cose che non faccio». Non so perché ma la
sua frase mi colpì e sentii che Dio la stava imprimendo nella mia memoria.
Molti giorni dopo entrai in bagno e notai che il
mio asciugamano non era stato appeso per il
verso giusto. Sono una perfezionista, mi piace la
casa pulita e ordinata e ho passato molti anni
della mia vita a educare tutti i membri della
famiglia ad appendere per il verso giusto gli
asciugamani. La mia reazione a quella vista fu
quindi immediata: «Che cosa ha fatto John con il
mio asciugamano?». Ma immediatamente dopo
mi resi conto di quanto fossi ridicola. Era chiaro
che ero stata io a metterlo inavvertitamente in
quel modo.
E in quel momento Dio s’infilò nei miei pensieri e mi disse: «Sei stata tu ad accendere il
riscaldamento!». Quella verità mi colpì profondamente. Deve essere andata così perché sono
io che spengo il condizionatore e apro le finestre
di notte e non c’era alcun dubbio che ero stata io
a farlo anche quella notte.
E allora perché avevo dato immediatamente
la colpa a mio marito? Il suo borbottio di qualche giorno prima mi ritornò in mente: «Mi si
rimprovera sempre per cose che non faccio».
Umilmente riconobbi il mio sbaglio davanti a
Dio. Qualcosa di importante stava succedendo
dentro di me.
«Signore» gli chiesi «che cosa stai cercando di
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dirmi?». Dio rispose che la mia abitudine di condannare sempre gli altri per le mie disattenzioni durava da una vita ed era un mio meccanismo
di autodifesa. Così facendo evitavo di sentirmi
nell’errore! Mi chiesi quanto male avessi fatto a
mio marito e senza dubbio anche ai miei figli!
«Signore» pregai «ti chiedo perdono. Ho bisogno di cambiare. Cancella i miei peccati e rendimi simile a te. Voglio liberamente e umilmente prendermi la colpa per i miei sbagli».
Più tardi nello stesso giorno Dio rafforzò questo bisogno di cambiamento.Verso mezzogiorno,
mentre uscivo dal soggiorno, trovai la porta
scorrevole aperta benché l’aria condizionata
fosse in funzione. Il mio primo pensiero fu:
«Perché John l’ha lasciata aperta?».
Immediatamente però mi misi a ridere perché mio marito era uscito di casa presto al mattino e quindi la responsabilità poteva essere
solo mia.
«Signore» confessai «sono senza speranza, ti
prego cambiami».
Naturalmente sapevo che oltre a Dio dovevo
confessare la mia scoperta anche a mio marito.
E quella sera lo feci raccontandogli quello che
ero riuscita a capire con l’aiuto di Dio. Gli chiesi anche di perdonarmi per la tristezza che sicuramente gli avevo causato nel corso degli anni.
John mi si avvicinò, mi abbracciò e mi disse:
«Non hai bisogno di chiedermi perdono. Non c’è
niente da perdonare. Sei sempre stata una
buona moglie».
Dio desidera che lo sviluppo positivo del
carattere inizi nell’ambito della famiglia. E non
importa l’età: egli può sempre cambiare il
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carattere e le abitudini. Fa parte del processo
della crescita spirituale tramite il quale Dio prepara un popolo a incontrarlo.
Il Signore ha grandi piani per l’uomo già qui
su questa terra. Egli vuole purificarlo dal peccato, svuotarlo delle cose effimere e riempirlo con
i suoi pensieri e i suoi progetti. Tami, la mia
nipotina, aveva ragione quando diceva che l’interno della testa è molto più grande dell’esterno. Dandoci i suoi meravigliosi pensieri, Dio
desidera ampliare la nostra mente per poterlo
ricevere in misura sempre maggiore.
Conclusione
Dio può influire sulla vita delle persone solo
passando attraverso i neuroni del nostro cervello. La preghiera è la strada a due corsie che unisce il cielo e la terra, si serve della mente per
operare. I cinque sensi: gusto, tatto, odorato,
udito e vista permettono sia al bene sia al male
di entrare. La nostra risposta affinerà o smorzerà l’udito spirituale.
La mente umana conserva la memoria di tutta
una vita, spesso registrata nel subcosciente.
Uno dei compiti importanti dello Spirito santo
è di rivelarci punto per punto tutto ciò che è
conservato nel subconscio in modo che possiamo chiedere perdono e andare da lui per essere purificati. Dio non è un mago: non cancella
con una spugna tutti i segreti del passato. La
magia è una falsificazione di Satana. I miracoli
durano nel tempo, mentre la magia è illusoria.
Il Signore opera due miracoli nella vita del
credente: quello immediato della giustificazio-
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ne (o conversione), con il quale diamo a Dio il
controllo centrale della nostra mente, e quello
della santificazione che si sviluppa giorno dopo
giorno e con il quale Dio rinnova anche il subcosciente. Ogni cambiamento nella nostra vita
deve essere il risultato di una scelta personale
concertata con Gesù, lo Spirito santo.
Poiché Dio ci ha creati a sua immagine ci
chiede di interagire nella trasformazione già su
questa terra. Scegli oggi di cooperare con Dio
rinnovando la tua mente.
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Capitolo 12
Riconciliazione
della memoria
L
a mente conserva i ricordi riponendoli in
vari classificatori e chiudendoli a chiave nel
subcosciente. Di tanto in tanto qualche avvenimento presente fa risalire dal subcosciente una
serie di questi ricordi.
Poiché fu Dio a creare la mente è lecito pensare che l’abbia fatta così con uno scopo ben
preciso.
Dio sta preparando un popolo la cui memoria
non può riservare sorprese o timori; ma mentre
lui usa solo la verità per governare la mente,
Satana è libero di usare la menzogna. È importante dunque che la mente sia sempre sotto il
controllo divino.
Geremia descrive la mente umana: «Il cuore è
ingannevole più di ogni altra cosa, e insanabilmente maligno; chi potrà conoscerlo? Io, il
SIGNORE, che investigo il cuore... per retribuire
ciascuno secondo le sue vie» (Geremia 17:9,10).
Ma il profeta manifestò la sua fiducia nella
capacità di Dio di guarire la mente ammalata:
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«Guariscimi, o SIGNORE, e sarò guarito; salvami,
e sarò salvo; tu sei la mia lode» (v. 14).
Se il popolo di Dio coopera con lui e confessa
i peccati del passato, non potrà più essere tentato da Satana. Il passato è passato, quello che
resta da fare è capire la propria debolezza e
imparare ad affrontare Satana che cerca di controllare la mente...
Dio desidera un popolo intelligente, libero dai
bagagli del passato: reali o immaginari.
Imparare a riconoscere il lavoro che Dio fa
dentro di noi ci aiuta a capire quanto sia importante cooperare e mantenere aperte le vie di
comunicazioni tra cielo e terra. Il Signore prende le nostre menti, deboli e colpevoli, le guarisce e rivela i segreti del suo regno.
Avevo quattordici anni quando a Natale una
delle mie sorelle, la più piccola, per la prima
volta era andata in giro per negozi a comprare
regali con i soldi che aveva guadagnato. Il regalo per me fu un delizioso asinello di ceramica di
colore beige con gli zoccoli marroni, la coda
ritta, la criniera, gli occhi, le orecchie e le narici rosa. Sin dal primo momento in cui lo vidi me
ne innamorai e lo chiamai Bimbo.
Il regalo per la nostra sorella maggiore fu
invece un cervo di colore blu che Ardith chiamò
Bambi. Mettemmo le due statuine sul tavolo,
una accanto all’altra, e le rimirammo tutta la
sera. Poiché amavamo teneramente la nostra
sorellina, considerammo questi suoi primi regali oggetti preziosi. Li aveva scelti personalmente e li aveva pagati con i primi soldi che aveva
guadagnato. Bimbo e Bambi furono quel Natale
i nostri regali preferiti.
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Bimbo mi accompagnò in collegio e, non solo
servì a rallegrare e a rendermi familiare la
camera che mi era stata assegnata, ma venne
anche utilizzato per rallegrare il mio diario scolastico. Disegnai Bimbo sulla prima pagina di
copertina e la sua coda sull’ultima.
Dopo sposata Bimbo mi seguì nella nuova
casa e mi aiutò a farmi sentire meno sola. John,
mio marito, trovò subito il posto giusto per sistemarlo in bella vista: il ripiano di una complicata
libreria Chippendale che lui stesso aveva fatto
in un corso di intaglio. Sia il mio oggetto sia il
suo facevano parte del nostro passato e ora
erano uniti nel nostro presente.
Mio marito era un giovane pastore e spesso
venivamo trasferiti. Ogni volta che questo succedeva impacchettavo con tutta la cura possibile Bimbo e, nella nuova casa, lo rimettevo sempre allo stesso posto: sul ripiano dello scaffale
Chippendale.
Nacque il nostro secondo figlio e, finita la
degenza ospedaliera, mio marito mi riportò
subito a casa. Non vedeva l’ora di farmi una sorpresa. Infatti in mia assenza aveva ritappezzato
la sala da pranzo e rinnovato le due finestre e le
tende. Aveva anche comprato dei cuscini nuovi
per il divano: tutti miglioramenti che avevo a
lungo desiderato. Era bello essere di nuovo a
casa insieme al nuovo arrivato e al mio primo
figlio che a quell’epoca aveva diciotto mesi. Mi
sentivo molto amata.
Passarono alcuni giorni e una mattina, mentro ero seduta nel soggiorno e ammiravo la bellezza della mia nuova casa, lo sguardo mi cadde
sulla libreria Chippendale. Spalancai gli occhi e
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guardai di nuovo: Bimbo non c’era. Guardai per
tutta la stanza sperando che John avesse messo
altrove la statuina, ma non c’era da nessuna
parte. Dire che ero turbata è dire poco.
«John» lo chiamai tutta agitata «dov’è Bimbo?».
Il suo sguardo imbarazzato e colpevole mi
angosciò. «Non lo hai rotto, vero?» esclamai con
orrore.
John attraversò la stanza, si avvicinò allo scaffale Chippendale e aprì il cassettino che c’era in
basso. E lì vidi il mio piccolo asinello ridotto in
pezzi. Il mio sguardo s’indurì.
«Buttalo via» gli dissi con un tono di voce freddo.
«Credo di poterlo incollare... e vedrai, non te
ne accorgerai nemmeno» mi rispose mio marito.
«No» gli dissi «sarebbe comunque un oggetto
rotto. Non lo voglio più. Buttalo via».
«Mi dispiace così tanto, mia cara» mi disse
John. «Lo so che per te aveva una grande importanza».
Prese i pezzi di ceramica, trovò una colla speciale, ricostruì l’asinello e lo risistemò sullo scaffale Chippendale. Ma era rotto e per me non era
più il mio piccolo dolce asinello. Guardandolo
non sorrisi più e da allora in poi lo tollerai solo
perché sapevo che John voleva disperatamente
rimediare al suo errore.
Bimbo traslocò insieme a noi molte altre
volte. Dallo scaffale lo spostammo sul pianoforte che rallegrava con la sua musica la nostra
casa. E da lì guardava i nostri quattro musicisti
che si esercitavano al piano, alla tromba e al clarinetto.
Mio marito scrisse anche una piccola poesia
che poi musicò per tenere allegri i bambini. E
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per molti anni ancora il piccolo asinello fece
parte della nostra vita. Ma non del mio cuore. Lo
maneggiavo senza troppa attenzione, volevo
romperlo di nuovo per avere la scusa di buttarlo via definitivamente.
E un bel giorno questo avvenne. Durante un
ennesimo trasloco, disfacendo i pacchi, lo trovai
ridotto in pezzi. Questa volta non c’erano più
scuse e lo buttai via senza rimpianti. Non amavo
le cose rotte!
Durante il mio viaggio spirituale e subito dopo
aver imparato la preghiera del santuario, iniziai
a sentire dentro di me un certo disagio per questo mio rifiuto delle cose rotte.
Ma solo recentemente Dio mi ha fatto capire
che il mio è un grosso difetto di carattere, un
segnale esterno del mio rigore interno: l’impazienza che provo di fronte a cose e persone al di
sotto della perfezione.
La Bibbia in realtà ci dice che Dio ama le cose
rotte con un amore del tutto speciale; più di
quelle sane e perfette. Anche lui fu spezzato per
poter salvare chi era spezzato. Si potrebbe dire
che la colla che Dio usa per riparare le persone
è migliore di quella usata da John per riparare
il mio Bimbo, anche se la riparazione rimane
visibile in ognuno di noi. Di fronte al mondo presentiamo delle superfici incrinate, e così sarà
fino all’eternità. Amiamo gli altri nonostante
queste incrinature? Siamo in grado di amare
anche le cose che non sono perfette?
La settimana scorsa, mentre camminavo nei
reparti di un centro commerciale, improvvisamente in una vetrina ho visto un piccolo asinello di ceramica con le macchie marroni e le orec-
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chie rosa: un perfetto gemello del mio Bimbo.
«Quanto costa?» chiesi al commesso del negozio. «Un dollaro e mezzo» mi rispose l’uomo,
aggiungendo che era un oggetto piuttosto vecchio. Pagai il prezzo richiesto e uscii con il mio
caro asinello dal negozio. Avevo la tentazione di
dire a quel commesso che l’oggetto non era poi
così vecchio. Era nuovo quando avevo quattordici
anni e costava allora solo venticinque centesimi.
Il mio Bimbo è di nuovo al suo posto nel soggiorno ma ora è in compagnia di tanti libri e di
una bambola. Ogni volta che lo guardo mi ricordo che di fronte a Dio anch’io sono piena di
incrinature che lui però sa riparare e che anche
così mi ama.
Il mio motto «felice per sempre» dovrebbe sottintendere che ho imparato la lezione e che ora
amo le cose e le persone incrinate, ma naturalmente non è così. I più grandi miracoli della mia
vita avvengono per crescita e non per cambiamento istantaneo. Il Signore ha ancora molte
cose da insegnarmi a questo proposito. E mi
viene subito in mente un’altra esperienza.
Le ultime settimane precedenti la nascita del
nostro primo bambino mi recavo a una visita
medica ogni giovedì pomeriggio. Carrie, una
ragazza che avevo conosciuto a scuola, aveva
anche lei un appuntamento settimanale ogni
giovedì pomeriggio dal mio stesso dottore e per
lo stesso motivo. Settimana dopo settimana,
incontrandoci all’ambulatorio, parlavamo dei
nostri futuri bambini ripromettendoci di farli
conoscere dopo la nascita.
Un giovedì, alcuni giorni prima della nascita
prevista, mi accorsi che Carrie non stava bene.
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«Penso» mi disse «di avere già cominciato il travaglio». «Che fortunata» pensai «vorrei essere al
posto suo!». Il dottore disse che Carrie aveva
ragione: era veramente arrivato il momento, e
la fece ricoverare in ospedale. Io invece tornai a
casa. Il giorno successivo chiamai a casa di
Carrie per avere notizie e mi dissero che il bambino era nato morto. La notizia mi sconvolse.
Cominciai a immaginare anche il mio bambino
nato morto... ma tre settimane dopo nacque un
bel bambino, sano e robusto.
Mentre ammiravo il mio bel bambino mi
ricordai di Carrie e del nostro desiderio di far
crescere insieme i nostri figli. Non so come, ma
mi persuasi che Carrie sarebbe stata contenta
di vedere il mio bambino anche se aveva perduto il suo. Nella mia immaturità non m’immedesimai minimamente in lei ma pensai solo a me
stessa e al mio orgoglio di mamma! Carrie fu
molto gentile con me, nonostante mi accorgessi
che le mancava un certo calore, e ammirò molto
il bambino. Con un indefinibile senso di disagio
la lasciai e non pensai più a questo episodio fino
alla settimana scorsa.
Mentre stavo pulendo casa mi ritornò in
mente l’intera storia con tutti i suoi tristi particolari. Come avevo potuto essere così egoista?
Ma ora ero sicura di essere più matura. E
dimenticai di nuovo l’incidente.
La mattina successiva mentre ero in preghiera, mi rividi di nuovo nell’atto di presentare il
mio bambino alla povera madre il cui bambino
era morto. In quel momento capii che il Signore
mi stava facendo ripensare a quell’incidente
per uno scopo ben preciso. Confessai immedia-
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tamente il mio peccato di egoismo e chiesi a Dio
di perdonarmi. Di nuovo rimisi tutto l’episodio
nel dimenticatoio.
Parecchi giorni dopo ero seduta sul divano
del soggiorno e stavo rivedendo le bozze di questo capitolo. Avevo appena letto i primi due
paragrafi quando l’intera scena di me con il
bambino e di Carrie con il suo dispiacere mi
ritornò di nuovo in mente con un grande senso
di dolore, come se fossi stata io a perdere il
bambino. Questa volta rimasi perplessa.
«Dio» dissi «ti ho chiesto di perdonare il mio
peccato. Perché ora mi torna di nuovo in mente? Appartiene al passato».
«No» mi disse chiaramente «non è tutto passato, è ancora presente».
Questa volta rimasi veramente male. Mi alzai
dal divano e andai in cucina, come se volessi
fuggire lontano dalla voce di Dio. E mentre ero
in mezzo alla cucina, chiesi: «Che cosa significa
che è ancora presente, che cosa vuoi dire? Non
capisco».
«Tu» mi disse il Signore «sei ancora la stessa.
Sei sempre pronta a condividere con gli altri
tutte le cose meravigliose che ti accadono non
tenendo conto delle persone che spesso hanno
dovuto seppellire le speranze e i sogni. Questo ti
accade ancora oggi, non appartiene al passato».
E poi Dio mi fece ricordare una donna che
avevo incontrato recentemente e che aveva perduto ogni speranza. Poiché non sapevo come
affrontare il suo dolore, le parlai di me. Sì, era
vero. Continuavo a mostrare il mio bambino vivo
e perfetto a persone che avevano perduto il loro.
Oh Signore, perdonami! Crea in me la capa-
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cità di vivere attraverso gli occhi e il cuore degli
altri. Insegnami a dare coraggio a coloro che
hanno perso i loro sogni!
Sono così felice che Dio ami gli oggetti rotti
perché anch’io ho bisogno di essere riparata e
so che il Signore possiede ancora tanta colla per
farlo.
Conclusione
Dio ogni giorno riporta alla mente vecchie
memorie che ci aiutano a rinnovarci. Il ricordo
di tanti episodi del passato ci permette di pentirci... e Dio può cancellare dagli archivi i nostri
peccati e purificarci il cuore.
È così che Satana viene annientato nel suo
tentativo di controllare i pensieri e le azioni
agendo direttamente sul subcosciente senza
tener conto del controllo centrale della mente
dove avvengono le scelte. Dio desidera un popolo intelligente, libero da bagagli emotivi del passato e completamente in grado di prendere
decisioni immediate in ogni situazione.
Il Signore ama le cose rotte, ma ripara gli
esseri umani e li mette accanto a sé nel cielo
per l’eternità. Anche noi dobbiamo fare così nei
confronti degli altri.
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Capitolo 13
Che ne farò
del mio orgoglio?
C
’era una volta una donna (non voglio
ammettere di essere io)
che sperava e sognava
la grande opera che voleva fare!
I libri che avrebbe scritto,
che tutti avrebbero apprezzato,
le sue meravigliose conferenze,
che tutti le avrebbero chiesto di tenere.
Da nord e da sud,
da est e da ovest.
Praticamente tutti,
sempre e ovunque,
avrebbero conosciuto il suo nome.
Naturalmente questo sogno era dedicato
al Signore.
Sì, voleva essere un testimone vivente,
ma per Dio.
Solo per Dio, sì, solo per Dio,
diceva al suo cuore.
Voglio essere un suo strumento!
Un giorno mentre sognava
lesse dal libro le parole di Dio:
«Tu cercheresti grandi cose per te?
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Non le cercare!» (Geremia 45:5).
Si fermò, senza parole.
Sì, il Signore aveva parlato
e i suoi sogni di gloria erano svaniti.
«Entrate per la porta stretta, diceva Gesù
poiché larga è la porta e spaziosa la via
che conduce alla perdizione,
e molti sono quelli che entrano per essa.
Stretta invece è la porta e angusta la via
che conduce alla vita,
e pochi sono quelli che la trovano»
(Matteo 7:13,14).
Ogni volta che questa donna
(ancora non voglio ammettere di essere io)
viene tentata di sognare e di illudersi
c’è una voce che le ricorda:
«Tu cercheresti grandi cose per te?
Non le cercare!».
E s’incammina sulla strada stretta,
la percorre allegramente
perché ha Gesù al suo fianco
e la meta brilla davanti a lei
in tutto il suo splendore.
(Oh sì, questa donna naturalmente sono io!).
Ora lo sapete, Dio ha dovuto combattere una
dura lotta con me e sono felice di poter dire che
dispone di una grande quantità di tempo per
ognuno di noi... Tutti dobbiamo combattere contro l’orgoglio. E per me personalmente è stata
una delle battaglie più dure contro l’orgoglio e
tutto ciò che ne consegue: risentimento, autocommiserazione, gelosia, lamentele, indolenza,
ansia, rabbia e disistima.
Scoprii i versi di apertura di questo capitolo in
un mio vecchio taccuino. Li avevo scritti nel
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1983, e a quel tempo naturalmente non immaginavo nemmeno lontanamente che un giorno
avrei scritto libri e fatto conferenze. Ma Dio mi
stava preparando... dovevo imparare a mettere
da parte l’orgoglio.
Che cosa ne farò del mio orgoglio? La voce
dello Spirito santo mi dava una sola soluzione:
confessarlo e metterlo ai piedi del Salvatore
chiedendogli di liberarmi da questo peccato che
tra tutti è il più grave. Spesso mi sono detta che
se fossi stata orgogliosa di qualcosa di veramente valido forse sarei stata scusata. Ma poi ho
sempre visto che l’orgoglio come la paura è
completamente irrazionale. Anche nei momenti di maggiore orgoglio riconosco di non aver
niente di cui vantarmi e sento che Satana se la
ride sotto i baffi mentre studia mille piccoli trucchi per farmi cadere. Ma il Signore mi dà la vittoria e lo ringrazio per questo. Egli lavora ogni
giorno con me per scoprire le radici del peccato e metterle a nudo, e io sono pronta a collaborare con lui in questo compito doloroso.
Ero ancora alle elementari quando per la
prima volta mi resi conto dell’irrazionalità del
mio orgoglio. Mi ricordo che mentre cantavamo
tutti insieme l’inno d’apertura, cercai di cantare
più forte degli altri sperando che tutti i bambini
imparassero da me. Ero orgogliosa di come cantavo, ma contemporaneamente mi rendevo
conto di non essere dotata musicalmente e di
non avere una buona voce. Il paradosso mi turbava. Quel giorno mentre tornavo a casa mi
saltò agli occhi l’irrazionalità del mio orgoglio.
Non tutti i lettori avranno i miei stessi problemi ma ognuno ne avrà uno personale. L’orgoglio
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ha molti aspetti. Non mi permette di essere
calda e amichevole con coloro che sono freddi
con me o mi impedisce il contatto con altri per
paura di essere rifiutata. L’orgoglio non mi
lascia vedere le necessità di chi mi vive attorno
perché sono troppo concentrata su me stessa.
Mi rende più disponibile verso chi è socialmente importante e mi fa ignorare chi è solo e nel
bisogno. L’orgoglio attrae sempre inevitabilmente il cuore umano.
La preghiera e la decisione di praticare quotidianamente il raccoglimento nel simbolismo del
santuario in Israele, cioè confessando i peccati e
le debolezze, con la consapevolezza di voler
cooperare con Gesù, mi convinsero che avrei
per sempre eliminato l’orgoglio dalla mia vita.
Ero consapevole di quanto Dio lo disprezzasse.
Ricordavo perfettamente la sua denuncia contro
i sacerdoti e i farisei del tempo di Gesù; nello
stesso modo considera gli orgogliosi odierni.
L’orgoglio purtroppo non è il primo peccato a
scomparire bensì l’ultimo. Il peccato di Satana è
nascosto in ogni piega profonda del nostro io.
Dobbiamo imparare a scoprire ogni più piccola
manifestazione di orgoglio e confessarla immediatamente a Gesù. Non sto parlando qui del
lato positivo di chi si impegna a fare bene il proprio lavoro, ad avere rapporti interpersonali
piacevoli, a essere felice e creativo. Queste sono
ricompense e doni della vita. Nel denunciare
l’orgoglio mi riferisco solo al sentimento irrazionale che diventa ossessione e che ci rende
schiavi e inutili per il regno di Dio.
Due giovani, membri della comunità di cui
era pastore mio marito, avevano avuto un collo-
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quio con un dirigente di un’altra istituzione.
Quando tornarono in sede fecero un resoconto
dell’incontro e dissero: «Il direttore dell’istituzione è un uomo consacrato a Dio, ma siamo
stati colpiti particolarmente dalla moglie. È una
donna piuttosto singolare, si occupa di varie
organizzazioni cittadine ed è una donna di preghiera. Ci ricorda la moglie del nostro pastore».
Queste furono le loro parole, almeno quelle
che avevo udito. Sentii l’orgoglio invadermi.
Così quella donna mi somigliava? Ma riconobbi
l’orgoglio e lo allontanai. Dopodiché dimenticai
l’incidente, ma lo dimenticai veramente?
Alcuni mesi più tardi ospitammo una giovane
coppia che conosceva quel dirigente e la sua
moglie. In una riunione che si tenne il sabato
pomeriggio ci mostrarono le diapositive e parlarono dei progressi dei due giovani della
nostra chiesa. Il marito parlò dello studio sistematico della Parola di Dio e il discorso cadde
sulla moglie del direttore e quanto ella fosse
spirituale. Sentii un sussulto dentro di me e mi
dissi: «È di nuovo la moglie che mi rassomiglia
così tanto». Ma cercai di allontanare questo sentimento.
Qualche ora dopo, mentre mi dirigevo verso
l’auto mi trovai faccia a faccia con la moglie
della giovane coppia che era stata a pranzo da
noi. Mi disse: «Lo sa, lei mi ricorda moltissimo la
moglie del nostro direttore di cui abbiamo parlato. Ha lo stesso modo gentile, affabile e caloroso di salutare le persone e di chiedere se hanno
bisogno di particolari preghiere... avete lo stesso modo di avvicinare le persone». La ringraziai
e salii in macchina. L’orgoglio mi stava vera-
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mente dando alla testa. I tentativi per allontanarlo si rivelavano inutili. Combattei contro
questo sentimento tutto il sabato pomeriggio, la
domenica e il lunedì ma il lunedì sera mi arresi
e parlai di questo problema con mio marito.
«Ero sicura» gli dissi «di poterne uscire con la
preghiera e ho cercato di resistere ma non c’è
stato niente da fare. Questo sentimento d’orgoglio non vuole abbandonarmi. Sono stanca;
prega tu per me, puoi farlo?».
Ci inginocchiammo nel salone e mio marito
chiese al Signore di allontanare queste tentazioni nel nome di Gesù. Mi sentii molto meglio e
ringraziai il Signore!
Non so perché le mie preghiere da sole non
erano state sufficienti, ma mi ricordo delle
parole che Gesù un giorno disse ai discepoli: «E
in verità vi dico anche: se due di voi sulla terra
si accordano a domandare una cosa qualsiasi,
quella sarà loro concessa dal Padre mio che è
nei cieli. Poiché dove due o tre sono riuniti nel
mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Matteo
18:19,20).
Pregare insieme ad altri accresce il potere
della preghiera? Sicuramente esiste una preghiera che coinvolge anche gli altri e così ho
imparato ad accogliere la richiesta di pregare
per me.
A volte l’orgoglio si manifesta sotto altri
aspetti. Un pomeriggio ero seduta nel mio salotto e ripensavo al sermone che aveva fatto una
giovane donna: era stata piuttosto brava. Aveva
trasmesso un bel messaggio ma qua e là aveva
detto cose piuttosto imbarazzanti che avevano
un po’ rovinato la sua presentazione. Mentre
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ripensavo a questo sentii il Signore che mi diceva: «È proprio come te».
«Vuoi dire, Signore, che anch’io dico cose
imbarazzanti quando parlo in pubblico?». «Sì, lo
fai» mi rispose.
«Bene Signore» dissi «se è così non parlerò più.
Ho chiuso. Da ora in poi mi limiterò a scrivere.
Non voglio disonorarti con la mia stravaganza».
«No» rintuzzò il Signore «ora è il tuo orgoglio
che sta parlando. Voglio che tu continui a parlare in pubblico ma che contemporaneamente
cerchi di controllarti. La tua forza nel parlare ti
viene solo da me. Senza di me non puoi fare
niente».
Da quel momento ho cercato di capire cosa
Dio volesse dirmi e ho notato una cosa: la maggior parte dei più autorevoli conferenzieri cristiani non sono esperti nell’arte oratoria però la
loro onestà e la loro sincerità tocca il cuore degli
ascoltatori. Hanno una grande comunicativa e
gli ascoltatori si identificano nelle loro parole.
Naturalmente non mi sognerei mai di non
voler migliorare le mie capacità di oratrice:
sono convinta che Dio ci spinge a migliorarci
per essere dei testimoni sempre più efficaci, ma
tengo sempre presente che senza Dio non posso
fare niente e questo serve a proteggermi dall’orgoglio.
Qualche giorno dopo la festa del ringraziamento (nel mese di novembre, negli Stati Uniti,
si festeggia il giorno del ringraziamento - ndr)
stavo riflettendo su tutte le benedizioni che
avevo ricevuto e sul modo in cui Dio mi stesse
utilizzando per rivolgere un messaggio diretto a
chi mi leggeva e mi ascoltava. Avevo appena
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terminato due seminari che erano stati particolarmente benedetti e nei quali mi ero espressa
con molta scioltezza: mi aveva fatto piacere constatare che il Signore aveva ancora bisogno
dime, uno strumento così limitato.
La voce di Dio a un certo punto interruppe il
mio fantasticare: «Potrei usare anche una pietra».
Mi ricordai subito la storia dell’entrata trionfale di Gesù in Gerusalemme prima della sua
morte. Mentre il popolo gridava e osannava
Gesù, i farisei gli chiesero di rimproverare i
discepoli: «Ma egli rispose: “Vi dico che se costoro tacciono, le pietre grideranno» (Luca 19:40).
In umiltà ringraziai il Signore per avermi
mostrato il lato umano del mio orgoglio. C’è
solo una cosa che attraverso lo Spirito santo
posso fare con l’orgoglio: confessare il peccato e
permettere a Dio di purificarmi. Ringrazio
Gesù, il mio sacerdote, perché è la sua opera di
purificazione che può liberarmi completamente
dall’orgoglio.
Conclusione
L’orgoglio è il nemico più grande che dobbiamo
affrontare nel nostro viaggio. Da esso derivano
il risentimento, l’autocommiserazione, le
lamentele, l’indolenza, le preoccupazioni, la
rabbia e la disistima.
La natura di questa belva è irrazionale. La
mente può anche riconoscere l’illogicità dell’orgoglio, ma le emozioni ne subiscono ugualmente la tentazione. L’orgoglio rende difficile il mio
cammino di credente e m’impedisce di essere
amico con chi apparentemente non lo è e di
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avvicinarmi agli altri per paura di essere rifiutato. Preso dai miei bisogni non mi accorgo di
quelli degli altri, e sempre l’orgoglio mi spinge
a occuparmi delle persone socialmente importanti ignorando i deboli e i soli.
Che cosa ne farò del mio orgoglio? Lo confesserò e permetterò a Dio di purificarmi. Questo è
il messaggio della grazia nel Signore Gesù
Cristo.
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Capitolo 14
Pensieri positivi
e influssi seducenti
È nei piani di Dio che l’intelligenza e l’autocontrollo si sviluppino proporzionalmente al rapporto che riusciamo ad allacciare con lui. Per
poter fronteggiare una situazione dobbiamo
tenere lontano per quanto possibile le voci che
ci provengono dal mondo esterno e dalla natura
carnale. Se le elimineremo potremo sostituirle
con la voce di Dio.
In uno dei miei libri Practical Pointers to
Personal Prayer racconto una storia che ripeterò qui in breve. Una sera mentre lavavo i piatti
mi compiangevo perché ero lì a lavorare e il
resto della famiglia era nel salotto a divertirsi. A
un certo punto sentii la voce di Dio che mi diceva: «Perché hai questi pensieri?». Rimasi turbata e balbettai: «Che cosa?». «Non devi avere simili pensieri» ripeté. E improvvisamente mi resi
conto che aveva ragione. Stavo compiangendomi. Deliberatamente e progressivamente stavo
coltivando pensieri di autocommiserazione. Ma
Dio mi aveva scossa e voleva che riuscissi a
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dominare la mente. Non dovevo soffermarmi su
queste cose. Potevo decidere di escluderle e di
introdurre al loro posto pensieri piacevoli.
Abbandonai quel sentimento di autocommiserazione e mi misi invece a lodare Dio.
Quell’incontro con il Signore ha cambiato la mia
vita. Spesso quando sono tentata di compiangermi, com’è spesso avvenuto nel passato, sento
la voce di Dio che mi dice: «Non accarezzare
questi pensieri». Immediatamente uso l’autocontrollo e invece di autocommiserarmi, di provare risentimento, rabbia e orgoglio mi sforzo di
pensare in modo più costruttivo.
Riesco a controllare meglio i miei pensieri se
faccio tacere i mille frastuoni che mi circondano. Se dessi ascolto in modo preponderante ai
mezzi di comunicazione di massa potrei essere
facilmente travolta da pensieri collegati alla
violenza, sensualità e prevaricazione. Molti programmi televisivi sono contenitori pubblicitari
vuoti e leggeri. Personalmente non riesco ad
ascoltare tutto il giorno la radio e la televisione
o a leggere riviste e libri per poi passare alla
meditazione della Parola e cambiare totalmente il registro dei miei pensieri. In generale i personaggi che invadono le pagine dei giornali e
appaiono in televisione non pensano minimamente a Dio ma ammirano la saggezza umana e
soprattutto hanno uno smodato amore per loro
stessi. Coloro che trascorrono molte ore davanti al video e leggono prevalentemente riviste di
informazione o di pettegolezzo rischiano di
lasciarsi coinvolgere in pensieri e idee che non
favoriscono lo studio della Bibbia anche se i programmi sono apparentemente innocui.
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Per quanto mi riguarda preferisco sempre
concludere la mia giornata con lo studio della
Bibbia, la riflessione e la preghiera. Se la vita
del credente deve essere simile a quella del
Maestro occorre essere vigilanti. Siamo circondati da miriadi di voci eccessivamente sovrastanti, ma sono anche affascinanti e seducenti.
Queste voci invadono anche i centri commerciali delle città tramite musica rock, giornali a
sfondo sessuale e materialismo; queste cose
esaltano i sentimenti mondani e accarezzano
l’amor proprio. Spesso, quando rientro dopo
aver fatto degli acquisti, non mi sento attratta
dalle cose spirituali e, per recuperare me stessa cerco un luogo tranquillo dove posso leggere
un passo biblico e mi sento meglio: rinfrescata,
ringiovanita e di nuovo in grado di sentire la
voce di Dio. Per sintonizzare la mente con quella di Gesù, occorre escludere i frastuoni che
vengono dal mondo, cioè un sistema che ha eliminato Dio dal proprio orizzonte.
Molti credenti trascorrono una buona parte
della giornata in ambienti mondani. In quel caso
Dio può aiutarvi a trovare un angolo per comunicare con lui anche in mezzo alla confusione e
alla futilità. Chi si trova in queste situazioni ha
condiviso con me una tecnica molto valida per
spegnere le voci del mondo e sintonizzarsi con
Dio: legge al mattino e nella pausa del pranzo
un brano delle Scritture e coglie ogni occasione
per testimoniare della propria fede. Lo stesso
Dio che ci sveglia ogni mattina e ci invita a studiare e a pregare sa anche come aiutarci a
comunicare con lui durante la giornata. E se al
mattino, prima di andare al lavoro, abbiamo tra-
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scorso un tempo qualitativamente intenso con
Dio, possiamo essere sicuri che egli sarà con noi
durante l’intera giornata.
«In mezzo alla gente che ha fretta e fra le tensioni delle attività quotidiane, coloro che si ritemprano in questo modo saranno circondati da
un’atmosfera di luce e pace. Riceveranno nuova
forza fisica e spirituale. La loro vita emanerà
una specie di profumo e manifesterà una potenza divina che raggiungerà il cuore degli uomini»
- Sulle orme del gran medico, op. cit., p. 26.
Leggiamo il consiglio di Davide, il grande re
d’Israele. Con le sue parole egli dice come
escludere le voci del mondo e ascoltare quelle
di Dio: «Beato l'uomo che non cammina secondo
il consiglio degli empi, che non si ferma nella via
dei peccatori; né si siede in compagnia degli
schernitori; ma il cui diletto è nella legge del
SIGNORE, e su quella legge medita giorno e notte.
Egli sarà come un albero piantato vicino a
ruscelli, il quale dà il suo frutto nella sua stagione, e il cui fogliame non appassisce; e tutto quello che fa, prospererà» (Salmo 1:1-3).
Davide dice di non ascoltare il consiglio dei
malvagi, di non fermarsi con i peccatori o gli
schernitori ma di dilettarsi alla luce della rivelazione divina meditando sulla sua parola.
Se il desiderio più grande è quello di essere
come Gesù, non sceglieremo di passare il
tempo con chi non ha interessi spirituali, a
meno che non sia per aiutarlo o per parlargli di
Dio. Cercheremo gli amici tra quelli che amano
Gesù come noi lo amiamo.
«Allora quelli che hanno timore del SIGNORE si
sono parlati l'un l'altro; il SIGNORE è stato atten-
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to e ha ascoltato; un libro è stato scritto davanti
a lui, per conservare il ricordo di quelli che
temono il SIGNORE e rispettano il suo nome. Essi
saranno, nel giorno che io preparo, saranno la
mia proprietà particolare, dice il SIGNORE degli
eserciti; io li risparmierò, come uno risparmia il
figlio che lo serve» (Malachia 3:16,17).
L’autore della lettera agli Ebrei si dilunga
sugli effetti dell’amicizia cristiana: «Facciamo
attenzione gli uni agli altri per stimolarci all'amore e alle buone opere, non abbandonando la
nostra comune adunanza come alcuni sono soliti fare, ma esortandoci a vicenda; tanto più che
vedete avvicinarsi il giorno» (10:24,25).
Spesso sento la voce di Dio che mi parla per
bocca di un amico. A volte incontro qualcuno il
cui cuore sembra battere insieme al mio, come
fu per Davide e Gionatan. Con questa persona
posso condividere i pensieri più intimi e parlare di quello che Dio sta facendo nella mia vita. I
suoi commenti, suggerimenti e storie mi aiutano a chiarire alcuni punti della mia vita e a
vederli nella giusta prospettiva. Nessuno può
considerarsi infallibile. A volte possiamo deviare e allontanarci dalla verità ma un vero amico
ci aiuterà a capirlo. Il consiglio di un amico cristiano ci dà sicurezza ed equilibrio.
Abbiamo tutti bisogno di un amico che preghi
con noi. Amo quelli che lo fanno con semplicità
e spontaneità. Con loro mi sento a mio agio perché sentono come me la voce di Dio e insieme
possiamo dedicarci completamente a Gesù.
Mio marito ed io abbiamo trovato nella natura un altro modo per non ascoltare altra voce
che quella di Dio. Quel Dio che ci ha creati per
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essere suoi figli e che quotidianamente ci sostiene è lo stesso che si occupa minuto dopo minuto del mondo naturale. Nonostante il peccato
abbia rovinato l’opera perfetta di Dio, rimane in
essa ancora molto di lui. La vita misteriosa che
pervade gli animali e le piante proviene dalla
stessa fonte che ci ha dato la vita. Il cuore che
cerca Dio lo troverà nelle cose da lui create.
John ed io siamo cresciuti in campagna e in
mezzo alla natura troviamo quel riposo spirituale che cerchiamo. Nonostante la maggior
parte della nostra vita matrimoniale sia trascorsa nelle città, abbiamo però sempre cercato di
riposarci e ricrearci in mezzo alla natura.
Quando i bambini erano piccoli passavamo le
vacanze in campeggio. Quando hanno avuto
l’età per far parte del club degli scout li accompagnavamo durante i fine settimana a fare
escursioni insieme agli altri bambini. Durante
l’adolescenza prolungammo le escursioni e ogni
estate, per due settimane, ci univamo a un
gruppo di amici per scalare le montagne della
Sierra. Durante i giorni trascorsi fra boschi e
sentieri solitari, lontani dai frastuoni delle città,
ci sentivamo in un mondo diverso.
Percorrevamo i sentieri di montagna e bevevamo direttamente l’acqua dei ruscelli. La
preoccupazione più grande era trovare un
posto adatto per piantare la tenda: uno spazio
pianeggiante, l’acqua vicina, un anfratto di roccia per collocare la cucina da campo e un bel
fuoco caldo di sera. I suoni e i silenzi della natura azzeravano le preoccupazioni e la stanchezza della vita cittadina. Trovavamo quella pace
che spesso è impossibile avere nella confusione
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della vita quotidiana e dopo due settimane tornavamo a casa rinnovati e pronti ad affrontare
un nuovo anno.
Quando, dopo quarantatre anni di servizio,
John è andato in pensione, per la prima volta
siamo stati in grado di scegliere dove vivere. Ci
siamo costruiti una casa su un terreno di montagna che avevamo comprato trent’anni prima.
Durante quei trent’anni ogni tanto andavamo
sul nostro terreno per osservare la vallata ai
nostri piedi e sognare il giorno in cui avremmo
potuto vivere definitivamente in mezzo ai
monti. Ora i nostri sogni si sono realizzati. Il
richiamo piagnucoloso di un piccolo passerotto
di montagna è il primo suono che ci sveglia al
mattino. È come se quel passerotto dicesse:
«Dove sei, dove sei?» e il mio cuore risponde:
«Sono qua, sono qua, non sono di passaggio ma
vivo qui». Ogni giorno John ed io ringraziamo il
Signore per il privilegio che abbiamo di vivere
in mezzo ai silenzi e alle melodie della creazione di Dio. Ci aiuta ad avere un’idea, anche se
limitata, di quello che significhi vivere in cielo.
Molto tempo fa John e io decidemmo di conoscere meglio la natura per poter apprezzare di
più le escursioni che facevamo. E una primavera incominciai uno studio approfondito sui fiori
selvatici, imparai a fotografare la natura, a fare
schizzi, a tenere un diario e imparai i nomi delle
famiglie e delle specie della flora e della fauna.
È stata una delle più belle primavere della mia
vita! Le escursioni divennero incredibilmente
interessanti. Passeggiavamo lungo le spiagge,
studiavamo i fiori della costa, visitavamo il
deserto imparando a riconoscerne i fiori e poi
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andavamo tra le montagne dove i colori ricoprivano intere colline. Sceglievamo i luoghi da visitare seguendo il calendario di fioritura dei vari
fiori. Di ogni zona feci un collage che abbiamo
tuttora e che decorano i muri della nostra casa.
Ho poi un enorme album di ritagli: è il mio tesoro e mi sarà sempre caro.
Due anni fa siamo andati a vivere in montagna e abbiamo deciso non solo di studiare gli
alberi, gli arbusti e i fiori ma anche gli animali.
La prima notte nella nuova casa abbiamo sentito due procioni che bussavano delicatamente
alla porta per cercare qualcosa da mangiare. I
giorni successivi ricevemmo la visita di scoiattoli e coyote. Ma gli ospiti più numerosi furono gli
uccelli. A causa della miopia non ero mai stata
attratta dagli uccelli, non riesco a vederli da
vicino come faccio con i fiori e spesso mi passano davanti come in un flash. Ma ce n’erano così
tanti che poco a poco imparammo a riconoscere le varie specie.
Il primo inverno in montagna eravamo preoccupati per gli uccelli. Come avrebbero fatto a
trovare il cibo nel terreno coperto di neve? Poi
scoprimmo che i nostri vicini gettavano i semi
sul terreno davanti casa e John pensò di fare
una piccola mangiatoia da attaccare all’esterno,
sopra la porta scorrevole della sala da pranzo, e
la riempì di semi. Fu una festa per gli uccelli e
per noi. Finalmente anch’io potevo vederli da
vicino e imparai a riconoscerli uno a uno.
Comprammo un libro, un binocolo e piano
piano diventammo esperti. Ora, dovunque
andiamo, il binocolo ci segue ed è diventato il
mio secondo occhio.
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In primavera una coppia di ghiandaie decise
di costruire il nido nel sottotetto. Evidentemente non aveva letto il libro degli uccelli che diceva chiaramente che le ghiandaie nidificano
sulle conifere! E in effetti incontrarono molte
difficoltà. Nel canyon durante il pomeriggio
spira un forte vento e ogni volta che le due
ghiandaie avevano radunato un bel mucchietto
di ramoscelli pronti per fabbricare il nido, arrivava una folata di vento che portava via tutto.
Mio marito non faceva altro che spazzare via
ramoscelli e mamma ghiandaia era veramente
arrabbiata. Si vedeva che aveva fretta di finire
per poter deporre le uova. Si aggirava come una
chioccia che cerca il suo nido.
«Dobbiamo aiutare questi uccelli prima che
abbiano un crollo nervoso», disse un giorno mio
marito.
Trovammo una tavoletta che andava bene per
il sottotetto, radunammo i ramoscelli che erano
caduti dal posto che le ghiandaie avevano scelto per fare il nido, John prese colla e pennello e
costruì un nido che non sarebbe stato spazzato
via dal vento. Con l’aiuto di alcuni fili ricoprii
l’interno. John prese la scala e inchiodò la tavola con il nido proprio nel posto scelto dalle
ghiandaie. A quel punto eravamo curiosi di
vedere cosa sarebbe successo.
Mamma ghiandaia sembrò molto stupita di
scoprire il nido. Gli girò intorno due giorni accomodando qua e là i ramoscelli e poi finalmente
si fermò e si dette alle pulizie domestiche.
Mamma e papà allevarono una famiglia di cinque piccole ghiandaie proprio nel nido che John
e io avevamo costruito e forse non avranno mai
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sospettato che il nido fosse stato costruito da
altri esseri viventi!
Quanto ci rassomigliano, pensai fra me e me!
Crediamo di essere padroni delle nostre vite e
non ci immaginiamo neppure lontanamente
che è Dio a organizzare ogni cosa per noi! I programmi e le rifiniture sono solo superficiali: è
Dio l’architetto della vita! Conoscere a fondo la
natura può aiutarci a entrare nel suo mondo
armonioso allontanando la mente dalle cose
innaturali e aprendo una linea diretta con Dio.
L’igiene mentale, cioè il controllo dei pensieri,
è la chiave che apre l’ascolto della voce di Dio,
ma chiude l’ascolto di quelle del mondo; all’inizio può sembrare difficile, ma proseguendo la
strada diventa più facile.
«La vera ubbidienza nasce dal cuore. Gesù
mise tutto il suo cuore in ciò che faceva. Se lo
vogliamo, trasformerà il nostro cuore e la nostra
mente secondo la sua volontà e così, ubbidendo,
non faremo che seguire i nostri impulsi. La
volontà dell’uomo, trasformata e santificata,
proverà la sua massima soddisfazione nel servire il Signore. Quando riusciremo a conoscere
Dio, nei limiti in cui è possibile, allora la nostra
vita diventerà un’espressione continua dell’ubbidienza. Il peccato sembrerà sempre più odioso per coloro che apprezzano il carattere del
Cristo e vivono in comunione con Dio» - La speranza dell’uomo, op. cit., p. 512.
Conclusione
L’intelligenza e l’autocontrollo si sviluppano
proporzionalmente al rapporto che l’uomo
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riesce a instaurare con Dio, e per arrivare ad
avere il pieno controllo della propria mente
occorre escludere il più possibile le voci che
possono distoglierci: le ambizioni, il materialismo, l’autocommiserazione, il risentimento, la
rabbia. È più facile esercitare il controllo della
mente se si riesce a far tacere altre voci insidiose, come ad esempio: la televisione, il cinema,
certa stampa, come quella scandalistica.
Non si tratta di demonizzare ogni impulso che
viene dall’esterno ma occorre non trascurare
l’antidoto dato da Dio: le Scritture sacre. La salvaguardia migliore contro le forze del maligno è
di conservare un angolo nascosto della mente
per proteggerci dalle cose che non possiamo
controllare. Inoltre è meglio evitare di dedicare
troppo tempo a chi non ha interesse per le cose
spirituali a meno che non sia per testimoniare o
dare soccorso.
Gli amici con i quali si può condividere la fede
di Gesù sono importanti, perché ci danno equilibrio, ci impediscono di cadere nell’errore.
Spesso udiamo la voce di Dio tramite questi
amici.
La natura è il secondo libro di Dio, e il tempo
trascorso in mezzo alla natura aiuta a tenere
lontani i rumori del mondo e apre la porta alla
voce di Dio.
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Capitolo 15
Dio utilizza la nostra voce
L’essere umano è egoista. Siamo interessati a
noi più che a qualsiasi altra persona o cosa.
Date a qualcuno una fotografia che lo ritrae
insieme ad altri e osservatelo. Vi accorgerete
subito che la prima persona che cerca nel gruppo è se stesso.
A prima vista può sembrare che l’introspezione o l’autocritica siano una sorta di ripiegamento su se stessi, un atteggiamento egoistico; invece sono qualità indispensabili per collaborare
con Dio nella rieducazione della mente: infatti
chi contempla il Signore evita di indulgere nell’autocommiserazione. Accettare sinceramente
l’autocontrollo porterà ogni persona a stabilire
relazioni autentiche con se stesso, con gli altri e
con Dio; in questo modo il Signore potrà utilizzare anche la nostra voce per aiutare gli altri a
conoscerlo meglio.
Un sabato pomeriggio decisi di fare una sorpresa a Beatrice, una signora anziana che visitavo settimanalmente. Volle venire con me
anche Mae, un’amica che aveva scoperto di
recente il messaggio del vangelo, la quale desi-
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derava conoscere Beatrice; e così preparò un
dolce e prese con sé due innari. Quest’ultima
decisione mi lasciò alquanto perplessa. Mi piace
cantare e posso anche intonare una melodia ma
so di non aver ricevuto il dono del canto, e altrettanto si poteva dire di Mae. Temevo che il nostro
non sarebbe stato un bel duetto, ma non volevo
assolutamente scoraggiare Mae; quindi acconsentii, salimmo in macchina e ci avviammo.
Lungo la strada parlai di me, del Signore e le
raccontai alcuni episodi della mia vita per illustrarle il modo scelto da Dio per disciplinarmi. A
un certo punto Mae si girò stupita verso di me.
«Che cosa vuoi dire con questo, che sei ancora una peccatrice?», mi chiese con voce esitante. Le lanciai un rapido sguardo. Ero sicura che
stesse scherzando. Ma il turbamento che lessi
sul suo viso mi convinse del contrario.
Cercai di spiegarle che nonostante una persona amasse Dio, la vita cristiana era un cammino senza fine, e che Dio aveva sempre qualcosa di nuovo da insegnarci per aiutarci a servirlo meglio. Non ero sicura che Mae mi stesse
ascoltando. Era chiaro che l’avevo delusa: ero la
moglie del pastore, avevo diversi incarichi di
responsabilità nella comunità, eppure mi sentivo ancora una peccatrice!
Stetti male al pensiero di averla delusa.
Silenziosamente Mae scese dalla macchina e si
avviò verso la casa di Beatrice. La donna fu contentissima della visita, sparecchiò in un attimo e
ci accolse con delicata ospitalità: disse perfino
che le nostre voci assomigliavano a quelle di
angeli nel canto che le avevamo dedicato! Mae
e io pregammo con Beatrice e la lasciammo feli-
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ce di essere stata con noi. Sulla via del ritorno
non raccontai a Mae altri particolari della mia
vita. L’incidente mi lasciò piuttosto confusa.
Forse non era stata una buona idea parlare così
apertamente della disciplina di Dio! Ben presto
però dimenticai questo episodio e ripresi a raccontare all’uno o all’altro alcuni particolari
della mia vita, incapace di tenere per me il lavoro che Dio vi faceva.
Molti mesi dopo, in un piccolo gruppo di preghiera, stavo raccontando come al solito quello
che Dio aveva fatto per me durante la settimana. Mae faceva parte del gruppo insieme ad
altre donne. Una delle donne si espresse pressappoco come si era espressa Mae tempo
addietro.
«Carrol, da te non me l’aspettavo» mi disse
Ruthann.
Nessuno parlò e io non seppi che cosa rispondere. Sì, era vero, ero tremenda ma nonostante
tutto Dio mi amava e operava nella mia vita.
Riflettendo sulle parole di Ruthann mi chiesi se
il Signore non mi stesse suggerendo di fare più
attenzione alle parole che dicevo e se non fosse
il caso di tenere per me alcuni particolari intimi.
Forse raccontandoli facevo più male che bene.
Poi intervenne Mae. «No» disse «Carrol è esattamente come ognuna di noi solo che è più
aperta e sincera».
Capii in quel momento che come cristiani
dobbiamo imparare a essere onesti, anche a
costo di essere fraintesi. Se avessi spinto gli altri
a credere che ero perfetta e non peccavo mai
potevano verificarsi due cose, entrambe molto
negative: prima o poi si sarebbero accorte che
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non era vero, ne sarebbero rimaste deluse e
avrei distrutto la mia credibilità e influenza; si
sarebbero sentite peccatrici e scoraggiate perché non erano invincibili come me. Era meglio
condividere le battaglie che sostenevo e pregare tutte insieme per la crescita.
Nei vangeli leggiamo la vita di Gesù e conosciamo il piano di Dio. Ogni cosa ricevuta dal
Padre, Gesù la dà a noi. Infatti «nulla, eccetto il
cuore egoista dell’uomo, vive solo per sé» - La
speranza dell’uomo, op. cit., p. 9.
Ogni cosa in natura contribuisce alla vita di
qualche altra specie. Come esseri umani non
abbiamo niente da offrire. Tutto quello che
abbiamo lo riceviamo da Dio e dovremmo darlo
agli altri. Più diamo e più abbiamo. Il mondo è
pieno di persone affamate e bisognose che non
hanno necessariamente bisogno di cibo ma di
attenzioni, di conforto e d’amore. Tutti abbiamo
bisogno del conforto che solo Dio può dare ed
egli desidera che chi lo riceve sia pronto a passarlo ad altri. Dio usa le nostre voci per raggiungere chi soffre.
Uno dei miei versetti preferiti dice: «Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù
Cristo, il Padre misericordioso e Dio di ogni
consolazione, il quale ci consola in ogni nostra
afflizione, affinché, mediante la consolazione
con la quale siamo noi stessi da Dio consolati,
possiamo consolare quelli che si trovano in qualunque afflizione» (2 Corinzi 1:3,4).
L’esperienza personale mi ha insegnato che
questo è vero. Dio è un padre compassionevole
e un Dio di conforto. Quando la vita mi ha maltrattata, Dio mi ha confortata.
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Ho passato la mia vita nella comunità ecclesiastica. Ho lavorato come moglie di pastore e
come bibliotecaria di una scuola privata. Ho
svolto il mio servizio tra le donne, i giovani e i
bambini. Conoscevo molto poco il mondo esterno. A un certo punto del suo ministero mio
marito dovette trasferirsi in un’altra città e contemporaneamente il più giovane dei nostri figli
lasciò la casa per andare a vivere da solo. Nella
nuova città decisi di non lavorare più a tempo
pieno, però cercai un’occupazione che mi permettesse di guadagnare qualcosa e mi lasciasse
libera di scrivere e collaborare con la chiesa.
Uno dei miei hobby sono le bambole per cui
decisi di aprire un piccolo negozio di bambole.
John e io trovammo un angolino in un negozio
di antiquariato di cui era proprietaria una gentile signora che acconsentì a farmi tenere chiuso il sabato anche se il resto del negozio rimaneva aperto. Nel negozio c’era già una commessa e io non dovevo stare per forza in negozio.
Ricevevo bambole vecchie che avevano bisogno
di essere lavate, pettinate e vestite, e mi divertivo a rimetterle a nuovo. Per tenermi aggiornata
presi a frequentare club e mostre che s’interessavano di bambole.
Per la prima volta nella vita mi trovai a contatto con persone che non frequentavano la
chiesa e che non si rivolgevano a me per una
guida spirituale. Il tema delle discussioni erano
le bambole. Come potevo trovare una scusa per
parlare di Dio? Ma non so come, Dio trova sempre il modo per farlo.
Una delle mie nuove amiche si chiamava
Anita: era proprio la proprietaria del negozio.
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Aveva tre figli adulti: una figlia ancora a casa,
un’altra sposata e un figlio anche lui sposato. Il
marito, Ed, l’aiutava in negozio quando non era
impegnato con il suo laboratorio di vetraio.
Subito dopo il mio arrivo Anita lasciò il negozio per circa un anno. La figlia minore, che spesso lavorava alla cassa e sapeva che John era un
pastore, mi disse confidenzialmente che la
mamma era molto ammalata e chiedeva di pregare per lei. Un giorno finalmente Anita tornò al
lavoro. Stava benissimo.
«Grazie» mi disse «per aver pregato per me.
Dio ha fatto un miracolo». Seppi così che sia lei
sia il padre avevano avuto in quel periodo un
tumore. Il padre era morto ma la chemioterapia
e le preghiere erano servite almeno apparentemente ad Anita per recuperare la salute.
Spesso la domenica mattina Anita suonava
l’organo in chiesa mentre Ed si occupava del
negozio fino a quando la moglie non tornava.
Anita e le figlie avevano molti interessi spirituali e quando scoprirono che avevo scritto un libro
sulla preghiera insistettero per averne una
copia. Spesso chiedevano a me e a mio marito di
pregare per amici e parenti.
Poi un giorno accadde l’imprevisto e su di
loro si abbatté di nuovo la sfortuna. Ed, non sentendosi bene era andato dal dottore e aveva scoperto di avere un tumore nella fase terminale.
Aveva noduli linfatici al collo. Dimagrì rapidamente e il futuro si fece buio. Ma Anita era ottimista. La preghiera aveva fatto bene a lei e
avrebbe fatto bene anche a Ed.
Incominciammo a pregare per la guarigione
di Ed. Anita lo accompagnava all’ospedale per
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le cure chemioterapiche, lo sosteneva e lo invitava a non lasciarsi andare.
Un giorno mi venne incontro sulla porta del
negozio e mi disse che aveva qualcosa da dirmi.
Andammo in un angolino appartato e mi raccontò che quella mattina era entrata nel negozio una donna dall’aria molto sofferente. «L’ho
incoraggiata a parlare» proseguì Anita «e lei mi
ha detto che si trovava nell’ospedale di Loma
Linda perché suo marito si era ustionato gravemente ed era stato ricoverato nel centro ustioni.
Era entrata nel negozio per cercare di dimenticare almeno momentaneamente i problemi ma
non funzionava. Ho sentito dentro di me qualcosa e le ho preso la mano. “Si affidi a Dio”, le ho
detto, “e le ho raccontato di Ed, della sua malattia e di quello che anche noi stavamo passando”.
E poi le ho spiegato che era Dio a darmi la forza
di andare avanti».
«La donna è stata contenta della conversazione, mi ha ringraziato calorosamente e mi ha
detto che era stato Dio a mettermi le parole in
bocca. Le ho anche detto che avrei pregato per il
marito e lei mi ha promesso di pregare per Ed».
Ero commossa. «Sì» dissi «è stato sicuramente
Dio. Lo sai che la Bibbia dice che è nostro dovere fare esattamente quello che hai fatto per
quella donna?». «Che cosa vuoi dire?», mi chiese
Anita.
«Aspettami» le risposi «vado a prendere la
Bibbia che ho in macchina e ti farò leggere un
versetto». Lessi il brano che si trova in 2 Corinzi 2
e lessi il versetto che parla del conforto. «È quello
che hai fatto tu» le dissi. «Qui si parla del conforto che possiamo dare agli altri perché lo abbiamo
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ricevuto da Dio. Tu hai avuto fiducia nel conforto
di Dio e lo hai potuto condividere con quella
donna che ne aveva estremamente bisogno».
Anita volle sapere quale fosse il versetto.
Glielo annotai su un foglio ma non mi ricordavo
se nella versione della King James il versetto
era diverso da quello della nuova versione che
utilizzavo. Comunque le parlai delle due diverse versioni e aggiunsi che personalmente preferivo la più recente.
Anita mi disse che voleva acquistare la mia
versione e mi chiese dove potesse trovarla. Le
diedi l’indirizzo di un negozio che vendeva libri
religiosi e tutte e due tornammo al nostro lavoro. Quando la sera rientrai a casa raccontai l’episodio a mio marito.
«Perché», mi disse subito mio marito, «non vai
tu a comprare la Bibbia e gliela regali?». L’idea
mi piacque molto: ero sempre felice quando potevo comprare una Bibbia. «Sei sicuro che posso
farlo?» chiesi a mio marito. «Se le faccio un regalo vorrei farglielo bello. La vorrei rilegata in
pelle e costa molto». «Ma sì» disse mio marito
«dopotutto non le hai mai fatto un bel regalo.
Non ti preoccupare, comprala». E così feci.
Tornai a casa con una bella Bibbia. Mio marito la
guardò e mi disse: «Perché non le fai incidere il
suo nome?». Era proprio gentile! Feci incidere il
nome e ritirai la Bibbia proprio in tempo per la
festa della mamma. Sono sicura che Dio ha programmato anche questo.
Confezionai un bel pacchetto da regalo e glielo portai al negozio dove ero andata per appendere il mio solito cartello: «Chiuso dal tramonto
del venerdì al tramonto del sabato».
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«Questo è un regalo per la festa della mamma» dissi ad Anita. «Che bello! Lo porterò a casa
e lo aprirò domani insieme agli altri».
La settimana successiva entrai una mattina
presto in negozio. C’era Ed seduto al bancone.
Da quando si era ammalato veniva spesso perché il suo lavoro era troppo faticoso e preferiva
il negozio di Anita. Ed mi trattava come una
sorella perduta e ritrovata sin da quando avevo
incominciato a lavorare nel negozio. Spesso mi
accompagnava dai vari fornitori per le mie
bambole, mi diceva che ingrassavo e altro.
Quel giorno mi salutò con una doppia dose di
entusiasmo. «Sai» mi disse «hai proprio indovinato il regalo per Anita! Mia moglie generalmente non si entusiasma troppo per i regali, ma
per il tuo lo ha fatto». Poi proseguì raccontandomi che il resto della famiglia aveva guardato la
confezione e aveva deciso che si trattava di una
scatola di cioccolatini. «No» aveva detto Anita,
«non credo». E quando aveva scartato il pacchetto, continuò Ed, si era messa a fare salti di
gioia. «È una Bibbia, aveva gridato, è proprio
uguale a quella di Carrol». Ed poi l’aveva presa
tra le mani e le aveva fatto notare il suo nome
inciso sulla copertina. Secondo Ed non era mai
stata così eccitata per un regalo!
Quando rividi Anita mi ringraziò per la Bibbia
e mi disse quanto l’avesse apprezzata. Ma la sua
versione fu molto più tranquilla di quella di Ed.
«Carrol» mi disse «vorrei che un giorno trovassimo il tempo per studiarla insieme». «Ma
certo!» le risposi «con gran piacere».
Non lo dicemmo, ma per entrambe era sottinteso che lo avremmo fatto non appena Ed si
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fosse sentito meglio. Questo però non accadde.
Purtroppo non molto dopo Ed dovette essere
ricoverato in ospedale. John andava spesso a
trovarlo e malgrado Ed non fosse un credente
praticante, la moglie e le figlie lo portarono ad
accettare Gesù. Ed chiese alle figlie di pregare
per lui. Gradiva anche le nostre preghiere.
Un giorno, in negozio, ricordai ad Anita che
non sempre il Signore guarisce. Anche i credenti muoiono. «Lo so», mi disse, e il giorno dopo
mi chiese se mio marito avrebbe potuto celebrare il funerale.
Ed morì un sabato sera. John e io arrivammo
all’ospedale proprio pochi minuti dopo il decesso. Rimanemmo lì insieme alla famiglia; John
lesse alcuni brani della Bibbia che parlano della
risurrezione e pregò per ognuno di loro. Poi parlammo di Ed e ricordammo alcuni episodi buffi
della nostra amicizia. Ridemmo e piangemmo.
La Bibbia che avevo dato ad Anita era nella stanza dell’ospedale. La prese e chiese a mio marito
di annotarle, in una delle pagine bianche alla
fine del libro, tutti i versetti che aveva letto. Li
voleva poter leggere e rileggere ogni volta che
avesse sentito il bisogno di farlo. Il giorno del
funerale mio marito li rilesse di nuovo.
«Dio» mi disse Anita «ci ha mandato te e John
proprio per un momento come questo».
Nonostante mio marito, in quanto ministro
del vangelo, avesse celebrato diversi funerali,
per me fu un’esperienza nuova. Avevo partecipato ad altre cerimonie d’addio, ma ho sempre
trovato molto difficile trovare qualcosa di particolare da dire per consolare le persone. Ora
però avevo sofferto personalmente ed ero pron-
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ta a consolare gli altri. Due settimane dopo
Anita mi parlò di nuovo: «Non credi sia arrivato
il momento di studiare la Bibbia insieme?».
Decise il momento e il luogo per farlo e invitò
altre due amiche, Bess e Lora, che avevano un
negozio nella stessa strada, a unirsi a noi. Fu
bello settimana dopo settimana assistere alla
crescita spirituale di Anita! All’inizio esitava a
pregare a voce alta e diceva solo poche parole
ma più le settimane passavano più le sue preghiere diventavano profonde e complesse.
Purtroppo il cancro di Anita riapparve.
Vendette il negozio di antiquariato e Lora e io
cominciammo a studiare con lei in casa.
L’interesse di Anita era commovente. Una mattina esclamò: «Come sono state significative le
nostre preghiere, non è vero?». Ridemmo del
suo candore ma lei continuò: «Non vi ricordate
quanto fosse difficile per me pregare? Ora però
posso parlare con Dio proprio come se fosse qui
in mezzo a noi!».
A causa della sua malattia non potevamo
incontrarci ogni settimana ma appena possibile
ci riunivamo tutte e tre. Spesso le medicine le
offuscavano la mente e lei chiedeva scusa per
questo. Sapeva che pregavamo per lei ogni giorno e aveva fiducia in Dio.
Si avvicinava per mio marito e per me il momento di partire per una vacanza di cinque settimane, ma ero preoccupata per Anita: avevo
paura che non vivesse fino al nostro ritorno.
Poco prima della partenza le telefonai e le dissi
che al mio ritorno sarei andata subito a trovarla. Passammo la prima settimana in un congresso insieme con altri credenti della mia fede.
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Il sabato sera, mentre ci stavamo preparando
per raggiungere uno dei nostri figli, ricevemmo
una telefonata da Lora.
«Anita è all’ospedale» mi disse «e chiede di te
e di John. I medici hanno detto che ha solo pochi
giorni di vita». Cambiammo i nostri programmi
e ritornammo a casa per stare vicino ad Anita.
«Siamo qui, Anita», le dicemmo. Ci sorrise con
occhi pieni di sofferenza. «Sono così contenta di
vedervi», ci disse. Nei giorni successivi passai
con lei molte ore. John veniva quando poteva e
pregavamo insieme. Morì il venerdì mattina. Sì,
il Signore aveva dato John e me a quella piccola
famiglia perché potessimo camminare insieme
nella valle dell’ombra della morte. Egli ci aveva
chiesto di essere la sua voce e le sue mani.
Dopo la morte di Ed e quella di Anita mi sembrò che attorno a me non ci fossero altro che
persone sofferenti con le quali parlare. In occasione delle riunioni del club delle bambole lessi
parole di promessa e di speranza a madri dal
cuore gonfio di ansia per figli ribelli e scrissi lettere di condoglianze a chi aveva perso marito,
moglie o figli. Vicino a un letto d’ospedale tenni
compagnia a una moglie affranta per la malattia
del marito e l’aiutai ad affrontare la morte del
proprio caro. Visitai un’amica che aveva appena
perso la madre.
«Che cosa succede, Signore», gli chiesi. Non
mi ero mai resa conto che ci fossero così tante
persone sofferenti! Il Signore mi mise sotto gli
occhi un versetto molto familiare: «Il Signore,
DIO, mi ha dato una lingua pronta, perché io
sappia aiutare con la parola chi è stanco; egli
risveglia, ogni mattina, il mio orecchio, perché
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io ascolti, come ascoltano i discepoli» (Isaia 50:4).
«Non sapevi», mi chiese il Signore, «che quando passavi con me le ore del mattino ti davo
istruzioni per usare bene la lingua e per saper
parlare opportunamente allo stanco?».
Non mi ero resa conto della responsabilità
che Dio mi aveva affidato: «saper parlare in
modo opportuno allo stanco». Mi ero rivolta a
Dio per ottenere un conforto personale ai miei
problemi e ora egli mi concedeva una «lingua
per saper parlare in modo opportuno allo stanco». Il conforto che mi aveva dato potevo offrirlo
agli altri. Sì, Dio poteva utilizzare la mia voce
per parlare a chi soffriva.
L’esperienza del giudizio, la rieducazione
della mente non farà di noi degli esseri solitari
o egoisti ma ci darà le parole di Dio da condividere con gli altri. L’amicizia nella sofferenza è
sempre e per chiunque un meraviglioso comune denominatore, e l’interesse sincero non può
fallire. Solo una lingua che sa parlare può confortare veramente i cuori sofferenti.
Conclusione
Cooperare con Dio nella rieducazione della
mente non vuol dire necessariamente indulgere nell’autocommiserazione, ma confortare chi
soffre. Se accettiamo il conforto di Dio potremo
a nostra volta consolare gli altri (cfr. 2 Corinzi
1:3,4). Egli promette di darci una lingua che sa
sostenere lo stanco (cfr. Isaia 50:4). L’amicizia
nella sofferenza apre le porte e i cuori. Dio può
usare la nostra voce per parlare a coloro che
hanno bisogno di conforto.
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Capitolo 16
Il mio rapporto con Dio
N
on sempre sento una forte presenza di Dio
nella mia vita né sento ogni giorno la sua
voce. In ogni caso è la fede che viene in mio
aiuto. Per fede ricordo le parole che il Signore
mi ha detto nel passato e per fede so che non
cambieranno mai. Leggo la Bibbia e per fede ne
accetto le parole come se fosse la sua voce a
pronunciarle; ma ho imparato, fin dalla prima
settimana del mio raccoglimento nel simbolismo del santuario, che l’essere umano non può
dire a Dio quando e come deve rivolgersi a noi.
All’inizio del mio cammino, mentre quotidianamente seguivo passo dopo passo il percorso
dei sacerdoti nel santuario, Dio iniziò la rieducazione della mia mente. In realtà il Signore ci
aveva provato fin dalla mia conversione durante la mia giovinezza, ma avevo così spesso gridato e protestato per i suoi rimproveri da vanificare la sua opera. Il Signore ha capito che ero
disponibile ad ascoltare e a cooperare con lui e
ha iniziato l’eliminazione degli ostacoli che
ostruivano il mio cammino verso di lui.
Le scoperte che facevo erano sconvolgenti ma
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nel contempo desideravo capire e vedere come
Dio operasse nella mia vita. Mi aspettavo che da
allora in poi il Signore e io avremmo camminato insieme.
Invece non fu così! Durante le ore del sabato
non ebbi la sensazione di udire la voce del
Signore. Nella mia ingenuità mi ero convinta
che durante il sabato avrei ricevuto una benedizione particolare, ma non accadde così. Al tramonto mi inginocchiai nel mio studio e presentai qualche rimostranza: «Signore, non capisco
perché oggi non ho sentito la tua voce. Sono
molto delusa. C’è forse nella mia vita qualcosa
che m’impedisce di sentire?». Non ricevendo
nessuna risposta mi alzai e lasciai la stanza.
«Aslan non è un leone addormentato», mi sussurrò una voce.
Mi fermai di botto. La voce era appena percettibile ma seppi immediatamente che cosa
Dio mi voleva dire.
C.S. Lewis, un famoso scrittore di libri cristiani per bambini, aveva scritto una collana di libri
intitolata The Chronicles of Narnia. I sette volumi della collana parlavano della visita di alcuni
bambini terrestri alla mitica terra di Narnia che
era stata creata perfetta da Aslan, un leone che
rappresentava Cristo. Narnia era poi stata sottomessa da una strega malvagia che l’aveva
condannata a un inverno perenne. I libri svelavano progressivamente il piano di redenzione
pensato da Aslan che aveva offerto la sua vita
per riscattare le malefatte di uno dei bambini.
Aslan di volta in volta appariva o scompariva
secondo un suo piano personale. Il regno di
Narnia aveva un detto, «Aslan non è un leone
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addormentato». In altre parole, non si potevano
dare ordini a Aslan. Solo lui sapeva quando era
il momento giusto di apparire o scomparire.
Dio sapeva che conoscevo la storia e la scelse
per dirmi che non dovevo fare affidamento sulla
voce interna per essere felice. No, dovevo vivere per fede e la mia fede doveva poggiare sulla
Parola di Dio. Se da allora in poi non avessi più
udito la sua voce che mi parlava avrei dovuto
accontentarmi dell’illuminazione della Scrittura che è più affidabile dei sensi.
Prima della fine di questo libro ho ritenuto
mio dovere condividere questa riflessione con
voi. Alcuni, leggendo le mie parole, possono
aver concluso che non avendo mai sentito parlare la voce interna non sono figli di Dio. Non è
così. Le impressioni che riceviamo possono o
non possono venire da Dio, ma la base della
nostra fede deve essere la Bibbia. Le parole della
Scrittura sono la nostra guida più sicura e Dio le
illumina per ognuno di noi individualmente.
Ecco perché la maggior parte di questo libro
parla della Parola di Dio. Se il nostro rapporto
con Dio non ha le sue fondamenta nella Bibbia
non riuscirà mai a sopravvivere alle prove.
Avere coscienza della presenza di Dio non
significa necessariamente sentire la sua vicinanza, ma è sapere per fede che lui è al nostro
fianco e, ricordandoci le esperienze del passato,
essere sicuri che «colui che ha cominciato in voi
un’opera buona, la condurrà a compimento fino
al giorno di Cristo Gesù» (Filippesi 1:6).
Personalmente ho preso l’abitudine di tenere
un diario spirituale dove annoto tutte le volte
che Dio mi parla. Di tanto in tanto lo rileggo e
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rafforzo la mia fede. Sono convinta che Dio
parla quotidianamente ai suoi figli, però non
sempre possiamo dire con sicurezza da quale
parte la sua voce arriverà fino a noi. Ma se desideriamo udirla dobbiamo aprire semplicemente le pagine della Bibbia e iniziare a leggerle.
«Le parole di Dio sono come fonti di vita... Le
verità più familiari si presenteranno alla vostra
mente sotto una nuova luce; brani noti delle
Scritture improvvisamente assumeranno nuovi
significati: scoprirete la relazione fra l’opera
della redenzione e le altre verità e comprenderete che il Cristo vi sta guidando e che il
Maestro divino è accanto a voi» - Con Gesù sul
monte delle beatitudini, op. cit., p. 31.
Dio ci parla attraverso le parole delle
Scritture. I commentari di Ellen G. White non
hanno lo stesso valore della Bibbia ma ci aiutano a capire meglio il piano della redenzione e la
crisi finale della storia del mondo. I suoi libri,
letti con spirito di preghiera e studiati, possono
essere una grande benedizione.
Ellen White ci dice che «il tema preferito di
Cristo era l’amore paterno e l’abbondante grazia di Dio» - Parole di vita, op. cit., p. 18. Questi
dovrebbero essere anche i nostri temi preferiti.
Sull’importanza di parlare con Gesù, Ellen
White aggiunge: «Se teniamo presente quanto il
Signore ci sia vicino, se il nostro cuore trabocca
di gratitudine e lode, la nostra vita religiosa
rimarrà sempre fresca e parleremo con Dio in
preghiera come con un amico, ed egli ci svelerà
i suoi misteri personalmente. Con gioia sentiremo spesso la dolce presenza di Gesù e il nostro
cuore arderà quando egli si avvicinerà per
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comunicare con noi come faceva con Enoc.
Quando il cristiano fa veramente questa esperienza, vivrà una vita di semplicità e umiltà, dolcezza e mansuetudine, e quanti gli sono attorno
noteranno che conosce Gesù e ha appreso da
lui» - Parole di vita, op. cit., p. 83.
Varie sono le prove a cui possiamo sottometterci per controllare se stiamo effettivamente
camminando mano nella mano con Dio e se la
voce che sentiamo è la sua voce. L’apostolo Paolo
ci dice che lo Spirito stesso attesta insieme con il
nostro spirito che siamo figli di Dio (cfr. Romani
8:16). Tutto il capitolo 8 è sulla figliolanza. Ellen G.
White spiega che la gioia del credente è la prova
che lo Spirito attesta insieme al nostro spirito.
«Questa è la prova che tutti possono avere: la
gioia di Cristo nell’intimo tramite la Parola di
Dio... e la messa in pratica di ogni richiesta del
Salvatore» - E.G. White, In Heavenly Places,
Review & Herald P.A., p. 144.
Ascoltare la voce di Dio apporta sempre gioia.
Sì, anche quando è una parola di rimprovero o
di disciplina. La voce interiore unita alla Parola
scritta di Dio e alla nostra condotta diventa un
banco di prova. Dio non suggerisce al nostro
cuore nulla che sia in disarmonia con la sua
Parola scritta. E se i sentimenti del cuore non
cambiano il nostro modo di vivere, sono totalmente inutili. Se il tempo trascorso in compagnia di Gesù non ci porta a essere più gentili e
ad avere una maggiore considerazione degli
altri, stiamo illudendo noi stessi proprio in rapporto alla presunta relazione con lui.
La vera religione inizia dalla famiglia. I genitori, i coniugi, i figli sono i testimoni oculari
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della genuinità della nostra relazione con Dio e
lo stesso possono testimoniare anche i colleghi
d’ufficio e tutti quelli con i quali abbiamo a che
fare. I figli di Dio portano sulle spalle i propri
pesi, non li affidano ad altri anzi si fanno carico
anche di quelli degli altri. Sono attenti ai dettagli e onesti anche nelle piccole cose. Anche il
volto esprimerà la gioia dello Spirito santo.
Un pomeriggio, tornando a casa dopo il lavoro, mi fermai in un supermercato per acquisti di
cui non potevo fare a meno. A casa avevo molto
da fare e volevo sbrigarmi. Presi dagli scaffali
quello che mi serviva, cercai la cassa meno
affollata e mi misi in coda. Mentalmente intanto
pensavo a tutte le cose che dovevo fare ed ero
talmente assorta nei miei pensieri che non
vedevo né sentivo le persone intorno a me.
L’uomo che mi precedeva nella fila era un burlone. Mentre aspettava divertiva gli altri con le
sue battute. Arrivato davanti al cassiere si voltò
e vide il mio volto accigliato.
«Signora», mi disse, «ma lei non sorride mai?».
Pagai in fretta gli acquisti e lasciai il negozio.
Salita in macchina mi raccolsi un attimo in preghiera: «Signore perdonami per essermi lasciata talmente coinvolgere dai pensieri sulle buone
cose che dovevo fare che ho dimenticato di
essere una tua buona testimone. Possa l’espressione del mio volto esprimere la tua pace e la
tua gioia e non la mia ansia interiore».
Non dimenticherò mai l’osservazione di quell’uomo: «Signora, ma lei non sorride mai?». La
gioia del Signore dovrebbe essere segnata sulle
nostre labbra e in ogni momento il nostro volto
dovrebbe essere sorridente.
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Una volta mi chiesero di partecipare a una
classe biblica nella stessa comunità di mia
madre. La richiesta mi era stata fatta proprio
prima di cominciare e, mentre salivo con altre
persone sulla pedana, riflettevo su quello che
avrei detto. Gli altri iniziarono a parlare e io
pensierosa riflettevo. Arrivato il mio turno parlai brevemente e mi sembrò che quanto avevo
detto fosse piuttosto buono. Ma più tardi a casa
mia madre commentò: «La bocca di tutti quelli
che erano sulla pedana era sorridente, la tua
aveva un’espressione triste».
«Anche mentre ho fatto il commento?», le
chiesi dispiaciuta. «Oh, no, mentre parlavi
andava bene, ma quando eri seduta avevi un
volto pensieroso».
Mi sono esercitata a cambiare espressione del
viso cercando di avere uno sguardo piacevole
anche se non proprio sorridente. Nonostante mi
piaccia ridere sono spesso molto occupata e
pensierosa, e la mia faccia lo riflette. Voglio credere di più nel Signore e permettergli di aiutarmi in tutto quello che devo fare. Ogni giorno
prego: «Signore, rendi il mio volto simile al tuo».
Alcuni anni fa Dio mi ha fatto capire che i miei
nomi sarebbero potuti essere Preoccupazione e
Lamentela. Ora mi voleva dare nuovi nomi:
Fiducia e Allegrezza. Non è nei piani di Dio che
io attenda di essere in cielo per ricevere il mio
nuovo nome. Desidera che lo abbia subito.
«È molto difficile conoscersi. Dobbiamo esaminarci in profondità per vedere se c’è qualcosa
che deve essere eliminato. Il prezioso Salvatore
ci darà tutto l’aiuto di cui abbiamo bisogno per
poter vincere il nostro io» - Op. cit., p. 145.
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La capacità di ascoltare la voce di Dio, per
mezzo delle Scritture e tramite la voce interna
(lo Spirito santo), può essere vanificata in vari
modi. Il peccato volontario o involontario escluderà la voce di Dio. È impossibile apprezzare la
Scrittura se siamo deliberatamente disubbidienti. Trascurare un dovere avrà lo stesso effetto.
Altre situazioni possono interrompere la
linea di comunicazione tra noi e Dio: gli affari, i
piaceri mondani, le amicizie, i dubbi, l’incredulità, le critiche e i pettegolezzi, le preoccupazioni e le lamentele, l’attaccamento al denaro, la
difficoltà a perdonare.
«La gloria che riposava sul Cristo (al suo battesimo) è un pegno dell’amore di Dio per noi.
Essa testimonia la potenza della preghiera e
dimostra come la voce umana possa arrivare
fino a Dio ed essere ascoltata in cielo. A causa
del peccato la terra è stata divisa dal cielo e
separata dalla comunione con il Signore, ma
Gesù l’ha ricollegata nuovamente con la sfera
della gloria. Il suo amore ha abbracciato l’uomo
e ha raggiunto i cieli altissimi. La luce divina che
si è posata sul capo del nostro Salvatore si poserà anche su di noi quando chiederemo l’aiuto
per resistere alla tentazione. La voce che parlò
a Gesù dirà a ogni credente: questo è il mio
diletto Figlio, nel quale mi sono compiaciuto» La Speranza dell’uomo, op. cit., p. 73.
Due estati fa mio marito e io siamo andati a
trovare mio figlio Paul, sua moglie Shery e le
loro due figlie, Cassandra e Mishaela che abitano nei boschi a nord di Washington. Shery è
un’ottima cuoca e utilizza esclusivamente alimenti naturali. Ha scaffali interi di conserve di
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frutta e verdure e un freezer colmo di frutti di
bosco e frutta varia oltre a verdure, fagioli, frumento, ecc. Paul cura un orto fornitissimo, e
durante tutto il periodo della nostra permanenza mangiammo in modo delizioso.
Come casalinga sapevo quanti piatti e utensili si dovessero utilizzare per una famiglia numerosa, per cui ogni volta che Shery cucinava l’aiutavo a lavare i piatti e le pentole che a mano a
mano utilizzava.
Un giorno, dopo aver riempito il lavandino di
acqua, vi misi i piatti sporchi e decisi di lasciarli un po’ in ammollo. Nel frattempo andai a preparare la tavola. Mentre stavo apparecchiando
sentii qualcosa cadere sul pavimento di linoleum della cucina. La mia nipotina di tre anni,
Mishaela, aveva spinto un panchetto davanti al
lavandino della cucina, vi era salita sopra e
aveva iniziato a lavare i piatti. La mamma la
guardava perplessa: sapeva che i piatti non
sarebbero stati al cento per cento puliti e che
l’acqua usata per il risciacquo era sicuramente
fredda; ma la lasciò fare, e Mishaela continuò il
suo lavoro indisturbata fino alla fine.
Finii di preparare la tavola in tempo per vedere la bambina che si asciugava le mani e si girava esultante verso la madre: «Guarda mamma,
li ho lavati tutti. Il lavandino è vuoto e tutti i piatti sono nello scolapiatti. Guarda!».
«Brava, Mishaela» rispose Shery «sono veramente orgogliosa di te. Hai fatto un lavoro
immenso, brava veramente!».
Gli occhi della bambina brillarono e sorrise
teneramente. «Oh, mamma, è così bello lavare i
piatti sapendo che sei orgogliosa di me!».
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Mi venne da pensare che assomiglio molto a
quella bambina di tre anni. La piccola Mishaela
desiderava ardentemente l’approvazione della
madre, io quella di Dio Padre. E quando ho sentito la sua voce dire: «Tu sei la mia diletta figliuola; mi compiaccio con te», allora tutte le prove,
tutte le pene sono passate in secondo piano. Il
lavoro per il Padre non è faticoso ma divertente. È tutta questione di relazioni.
Conclusione
Non dobbiamo dipendere dalla voce interiore
per essere felici, ma dobbiamo vivere per fede
nella Parola di Dio. Le parole delle Scritture
sono una guida sicura e Dio le personalizza per
ognuno di noi. Se il rapporto tra noi e Dio non si
basa sulla Bibbia, esso non supererà la prova.
Dio parla all’umanità per mezzo le Scritture. I
commentari di Ellen White ci aiutano a capire
ancora meglio la sacra Bibbia, sarebbe bene leggerli attentamente.
Come possiamo verificare se stiamo camminando con Dio e se la voce che sentiamo è la sua?
1. La voce di Dio è sempre fonte di gioia.
2. Non c’è mai conflitto tra la voce interna, la
Parola scritta di Dio e la condotta di vita.
3. La fede si coltiva in famiglia i cui membri, o
semplicemente i colleghi di lavoro, sono le persone più adatte a dire se siamo dei credenti
coerenti.
Ci sono atteggiamenti, azioni e situazioni che
possono allontanarci da Dio, come ad esempio:
il peccato che ci rende schiavi, la negligenza del
proprio dovere, gli affari che assorbono tempo,
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la ricerca del piacere, l’influsso di amicizie
mondane, l’amore per le ricchezze, le perplessità, le critiche, la maldicenza, il rancore, l’incapacità di perdonare.
Quando la nostra relazione con Dio è basata
sulla preghiera quotidiana e sullo studio della
Parola di Dio, potremo provare la gioia di sentire la sua presenza e la sua guida sicura.
«Anche su questa terra possiamo godere la
gioia della comunione con Cristo, essere illuminati dal suo amore e confortati dalla sua presenza… Non rinunciamo quindi ad avere fiducia, ma crediamo più che mai fermamente alle
promesse divine, perché il Signore che fin qui ci
ha protetti, ci sosterrà fino alla fine» - La via
migliore, op. cit., p. 112.
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Ho letto con attenzione questo libro e vorrei
conoscere altre pubblicazioni della stessa collana
❐ UN MONDO
CHE CAMBIA
Studio di alcune profezie
della Bibbia
❐ AFFERRA LA VITA
Dieci principi che
portano al vero
successo nella vita
❐ PERCORSI DI DONNE
Riscoprire il valore
e la responsabilità
di essere donna
❐ IL RITORNO
ANNUNCIATO
Studio sul messaggio
dell’avvento nella Bibbia
❐ LA PERFEZIONE
CRISTIANA
Che cosa significa
essere santi?
❐ LA TERRA
Storia delle origini
❐ SALVI
PER MIRACOLO
Come essere felici
e fiduciosi anche quando
il futuro è incerto
❐ NEL LABIRINTO
DI GIOBBE
Come affrontare la
sofferenza
❐ LA CHIESA CRISTIANA
AVVENTISTA
DEL 7° GIORNO
Chi, come, dove,
quando, perché?
❐ SPIRITUALITÁ
FRA ORIENTE
E OCCIDENTE
Alla riscoperta
della fede cristiana
❐ LA BIBBIA:
ISTRUZIONI
PER L’USO
Quali sono le origini
della Bibbia?
Chi c’è dietro il testo
biblico? Come leggerlo?
❐ VIVERE
PER SEMPRE
È possibile superare
la fine dell’esistenza
umana?
❐ INNAMORARSI
DEL TEMPO
Il significato e il valore
del sabato biblico
❐ LA VIA MIGLIORE
Tradotto in più di 100
lingue, diffuso in circa
40 milioni di copie è
senza dubbio l’opera
più popolare, la più letta
che ha esercitato un
notevole influsso
spirituale.
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❐ IL POTERE
DELLA PREGHIERA
Storie di miracoli
realmente accaduti
❐ VIAGGIO NEL
SOPRANNATURALE
Una personale vittoria
contro lo spiritismo
❐ INCONTRI
CON CRISTO
Nella semplicità della vita
quotidiana, nell’apparente
banalità delle «piccole
cose», Gesù riesce a
portare ogni persona
che incontra al contatto
diretto con Dio e con
la dimensione dell’eternità
❐ CON GESÙ
SUL MONTE
DELLE BEATITUDINI
Le beatitudini
rappresentano il saluto
del Cristo, non solo a
coloro che credono
ma a tutta l’umanità
❐ YOBEL
L’ALTRO GIUBILEO
Un altro Giubileo non
per partire alla ricerca
di Dio, tramite sacramenti
e pellegrinaggi, ma per
accogliere Dio incarnato
in Gesù Cristo, eterno
pellegrino alla ricerca
dell’uomo
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❐ CHE T’IMPORTA,
SEGUIMI!
Il lettore parteciperà a
un viaggio appassionante
in compagnia di Gesù e
di Pietro. Un percorso
a volte colorato dal senso
dell’umorismo che offre
altresì spunti di riflessione
profonda
❐ IL SOGNO
DEL NEW AGE
Il sogno utopistico
dell’avvento di una
«Nuova Era” di pace e
di felicità per l’uomo e
per la terra, non è solo
un fenomeno che
accompagna le svolte
storiche dei grandi cicli,
bensì un leit motif che
da sempre vive
nel cuore dell’uomo
Per informazioni
telefonare
al numero verdi:
800/865167
dal lunedì al giovedì
dalle 14 alle 16.45
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CORSI GRATUITI DELLA VOCE DELLA SPERANZA
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Speranza ti aiuta a trovare questo equilibrio con i corsi che propone.
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Finito di stampare nel mese di giugno 2001
da Legoprint spa - Lavis TN
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4 - Testimoni di Geova