Richard A. Posner
Un fallimento del capitalismo
La crisi finanziaria
e la seconda Grande depressione
Prefazione di Federico Rampini
Traduzione di Chiara Barattieri di San Pietro
ES_POSNER_CS4.indd 3
12/05/11 16.50
Richard A. Posner
Un fallimento del capitalismo
La crisi finanziaria e la seconda Grande depressione
Progetto grafico: studiofluo srl
Impaginazione: adfarmandchicas
Coordinamento produttivo: Enrico Casadei
Richard A. Posner
A Failure of Capitalism
The Crisis of ’08 and the Descent into Depression
Copyright © 2009 by the President and Fellows of Harvard College
All rights reserved
© 2011 Codice edizioni, Torino
ISBN 978-88-7578-236-8
Tutti i diritti sono riservati
ES_POSNER_CS4.indd 4
12/05/11 16.50
Indice
viiPrefazione
all’edizione italiana
di Federico Rampini
xiiiPrefazione
Capitolo 1
3La seconda Grande depressione e le sue cause
Capitolo 2
27La crisi bancaria
Capitolo 3
47Le cause
profonde
Capitolo 4
71Perchè la crisi non è stata prevista
Capitolo 5
91La risposta
del governo
Capitolo 6
131Non vien
per nuocere?
Capitolo 7
139Che cosa
stiamo imparando sul capitalismo e sul governo
Capitolo 8
149I begli economisti
addormentati
Capitolo 9
1 59Dividersi la colpa
ES_POSNER_CS4.indd 5
12/05/11 16.50
Capitolo 10
1 71Il cammino davanti a noi
Capitolo 11
1 81Il futuro del conservatorismo
1 87Conclusioni
1 97Postfazione dell’autore
2 17Bibliografia
ES_POSNER_CS4.indd 6
(gennaio 2011)
12/05/11 16.50
ES_POSNER_CS4.indd 12
12/05/11 16.50
Prefazione
Il sistema bancario mondiale è collassato nell’autunno del 2008, è
stato messo in terapia intensiva al costo di alcune migliaia di miliardi
di dollari, e tuttora non sembra passarsela molto bene. Può darsi che
ci troviamo ancora troppo vicini all’evento per coglierne l’enormità.
Un vocabolario ricco solo di eufemismi ha definito quello che è successo come una recessione, ma dobbiamo ammettere che si tratta di ben
altro: la verità è che ci troviamo nel bel mezzo della più grande crisi
economica dai tempi della Grande depressione degli anni Trenta. È
nata come recessione nel dicembre 2007, è vero, ma la flessione non
è stata così graduale e lenta perché ci volesse quasi un anno prima che
gli economisti si mettessero d’accordo nel riconoscere che già allora
era iniziata una recessione (questi professionisti sono ormai diventati
un indicatore poco tempestivo dei nostri problemi economici).
L’estate precedente, il rapido crollo dei prezzi delle case in tutti
gli Stati Uniti aveva causato il collasso del mercato dei famigerati mutui subprime (mutui, come si sa, molto rischiosi), innescando
una pesante contrazione economica. All’inizio degli anni Duemila
i prezzi delle case avevano raggiunto livelli insostenibili. Quando il
mercato ha deciso che le case non erano un investimento poi così
vantaggioso, molte persone che possedevano ipoteche che eccedevano il valore della propria casa hanno smesso di pagare il mutuo,
abbandonando la propria abitazione o venendone sfrattati in seguito
alla vendita forzata. Il risultato è stato un eccesso di case rimaste invendute e una drastica riduzione della quantità di immobili, insieme
a una moltitudine di mutui non pagati. Nell’estate del 2007 due
fondi speculativi (hedge funds) posseduti dalla banca d’investimenti
Bear Stearns sono falliti, insieme alla American Home Mortgage
Corporation e a tre fondi di investimento di proprietà della banca
francese bnp Paribaps. Countrywide Financial Corporation, invece,
la più grande finanziaria americana specializzata in mutui, ha evitato
la bancarotta per un soffio.
ES_POSNER_CS4.indd 13
12/05/11 16.50
xiv
Un fallimento del capitalismo
Nel marzo 2008, dopo che la stessa Bear Stearns ha collassato, la
recessione ha lasciato il passo alla crisi finanziaria. A metà settembre
la crisi si è acutizzata: allora, la bancarotta della Lehman Brothers,
la svendita della Merrill Lynch, il quasi fallimento e la conseguente
acquisizione da parte del governo della Fannie Mae e della Freddie
Mac (giganteschi compratori e assicuratori di mutui residenziali),
e il salvataggio della American International Group, la più grande
compagnia di assicurazioni nazionale, hanno dato inizio al rapido
tracollo del mercato finanziario e, a livello mondiale, a una stretta
creditizia mai vista. La Federal Reserve, il dipartimento del Tesoro
e il Congresso si sono attivati nel frenetico tentativo di salvare il
sistema finanziario. I loro sforzi sono culminati all’inizio dell’ottobre 2008, quando il Congresso ha promosso un salvataggio da più
700 miliardi di dollari del sistema bancario (il Trouble Asset Relief
Program, o tarp). Eppure il salvataggio non è stato in grado di prevenire l’ulteriore aggravarsi della recessione. Alla fine del 2008 le
case automobilistiche di Detroit si sono trovate sull’orlo della bancarotta, e l’attività economica era ovunque in rapido declino, il Dow
Jones Industrial Average si era abbassato a 8 800 dai 14 000 nell’ottobre del 2007 e da 11 100 del 26 settembre, e la Federal Reserve stava
tentando disperatamente di prevenire la deflazione. Solo allora si è
iniziato a guardare alla recessione come alla prima depressione americana dalla fine della Grande depressione degli anni Trenta.
La parola stessa è un tabù nei circoli “rispettabili”, come a riflettere una specie di pensiero magico: se non la chiamiamo depressione, non sarà una depressione… Eppure, chi ha vissuto le tutto sommato modeste flessioni economiche americane dei decenni passati sa
bene che oggi la situazione è completamente diversa. Le azioni e i
piani intrapresi dal governo sanno di paura, e senza misure estreme,
tipo quelle che furono (o forse avrebbero dovuto essere) intraprese
durante la Grande depressione, presto ci troveremo in una situazione altrettanto difficile. Gli elementi che mi spingono a definire la
situazione attuale dell’economia americana come una vera e propria
depressione sono la gravità della flessione economica, le radicali risposte del governo e il pervasivo senso di malessere e crisi.
Non esiste una designazione universalmente accettata della parola depressione, ma potremmo definirla come una rapida riduzione
della produzione che causa, o minaccia di causare, una deflazione.
La depressione inoltre crea una diffusa ansia nell’opinione pubblica,
e tra le élite politiche ed economiche un senso di crisi che spinge a
ES_POSNER_CS4.indd 14
12/05/11 16.50
Prefazione
xv
intraprendere rimedi assai costosi. È troppo presto per dire quanto
a lungo si protrarrà la flessione: so che la durata, una caratteristica
così particolare della Grande depressione (specialmente negli Stati
Uniti), è un indicatore comune delle crisi, ma ci si aspetta che ecceda in lunghezza qualsiasi recessione degli ultimi cinquant’anni.
Non credo che assisteremo a una caduta del 34 per cento nella
produzione, o a un tasso di disoccupazione del 24 per cento, come
è successo nei momenti più bui della Grande depressione. Eppure
c’è una bella differenza tra una “grande depressione” e una semplice recessione, soprattutto se, come in effetti potrebbe accadere nel
nostro caso, uno sforzo “efficace” per evitare il ripetersi dei tragici
eventi degli anni Trenta imporrà costi enormi che incideranno a
lungo sull’economia. Il costo di una depressione non equivale solo a
quello della mancata produzione e della disoccupazione che precedono l’inizio della ripresa: c’è anche il costo del recupero stesso, che
include l’inflazione, senza contare le conseguenze politiche.
Nel febbraio del 2009 il governo federale, in un disperato tentativo di accelerare il rilancio dell’economia, si è impegnato spendere
più di 7000 miliardi di dollari, e ne ha garantiti altri 2000 miliardi
sotto forma di prestiti e depositi. Di questi, più di 5000 miliardi
provenivano dalla Federal Reserve, mentre i restanti 2000 miliardi
dal dipartimento del Tesoro. In questa cifra ho incluso anche il pacchetto di aiuti discusso al Congresso.
Stiamo ora affrontando la certezza di un enorme aumento del
debito pubblico e della possibilità di tassi di futuri inflazione così
alti che, come all’inizio degli anni Ottanta, la Federal Reserve dovrà
progettare una pesante recessione (imponendo un improvviso e rapido aumento dei tassi di interesse) così da ripristinare la stabilità dei
prezzi. Tale recessione sarebbe un “dopo shock”, e quindi un costo,
della crisi attuale: un fardello che potrebbe essere molto maggiore se,
oltre ad alzare i tassi di interesse, il governo decidesse di alzare allo
stesso tempo le tasse, così da generare un debito pubblico astronomico. Supponiamo che per ridurre i danni di una “recessione post depressione” la Federal Reserve faccia ripartire il ciclo di rigonfiamento
e scoppio della bolla, abbassando artatamente i tassi di interesse. Per
farla breve, anche se la contrazione attuale fosse fermata nel giro di
qualche mese, le misure straordinarie che il governo sta intraprendendo per fermarla causeranno gravi problemi economici per anni.
Alcuni conservatori credono che la depressione sia il risultato di
politiche governative poco sagge, ma io credo che si tratti di una
ES_POSNER_CS4.indd 15
12/05/11 16.50
xvi
Un fallimento del capitalismo
sconfitta del mercato. La miopia, la passività e i grossolani errori del
governo hanno giocato un ruolo critico nel permettere alla recessione
di diventare una depressione, cui hanno contribuito anche parecchi
fattori fortuiti. Eppure, senza alcuna regolamentazione governativa
dell’industria finanziaria, con ogni probabilità l’economia sarebbe
ancora nel mezzo di una depressione. Stiamo imparando che abbiamo bisogno di un governo più attivo e intelligente per tenere sui
binari questo modello di economia capitalista. Il movimento per la
deregolamentazione del settore finanziario si è spinto troppo in là,
sopravvalutando enormemente la capacità di recupero (ovvero di
autoregolamentarsi) del capitalismo laissez-faire.
Capire la crisi economica e ricavarne le giuste lezioni mentre
questa è in corso richiederà un’attenta valutazione di alcune domande. Che cos’è esattamente questa depressione? Una semplice crisi di
liquidità? Una crisi di solvibilità? Oppure qualcos’altro? E cosa l’ha
accelerata? Quali sono le cause? Perché non è stata prevista e magari
prevenuta? Cosa pensare dei provvedimenti che sta mettendo in
atto il governo? La depressione è solo una scocciatura bella e buona,
o potrebbe avere qualche positiva conseguenza politica o economica, quel famoso “non vien per nuocere” che qualsiasi “male” che si
rispetti dovrebbe avere? Che cosa possiamo imparare da questa crisi
sul capitalismo, sul governo e in genere sulla professione economica? Cosa si può fare per evitare che questa catastrofe si ripeta? Quali
individui o istituzioni sono più colpevoli per non aver previsto ed
evitato la depressione? Qual è la principale lezione politica che dobbiamo trarne? Il libro che state per leggere è stato scritto proprio per
rispondere a queste domande.
La copertura mediatica della crisi è stata ampia, vivace, spesso penetrante, a tratti avvincente, sebbene adesso stia diventando banale,
e abbia incluso denunce insensate rivolte a una Wall Street accusata
di avarizia e stravaganza. (Ma i giornalisti che cosa pensavano che
fossero, gli uomini di affari?). Da un punto di vista puramente quantitativo il volume di tale copertura è spaventoso, anche se la gran
parte di essa è aneddotica o superficiale, o entrambe le cose. Ci sono
libri e articoli in abbondanza, di taglio giornalistico o accademico,
sulla depressione in generale così come su questa in particolare. Il
fatto è che molti di questi testi sono scritti da autori che hanno interessi personali; altri invece sono troppo tecnici per essere capiti dai
non specialisti, o arrivano al pubblico con mesi di ritardo rispetto
agli avvenimenti; altri ancora danno per scontata una conoscenza
ES_POSNER_CS4.indd 16
12/05/11 16.50
Prefazione
xvii
del sistema finanziario (sono troppo “dentro”) o, all’estremo opposto, sono troppo vaghi.
Insomma, era ormai necessario un esame dei principali aspetti del
più grande disastro economico degli Stati Uniti cui io e la maggior
parte dei miei contemporanei abbiamo mai assistito. Un’indagine
che doveva essere concisa, costruttiva, priva di gergo specialistico e
acronimi, non tecnica, non sensazionalistica, con pochi aneddoti e
molto analitica. Questo è il vuoto che il mio libro vuole colmare.
La mia attenzione si è rivolta all’andamento, alle cause e alle possibili cure della depressione. Ho voluto prendere in considerazione
anche alcuni punti che secondo me in altre occasioni hanno ricevuto poco spazio: le dimensioni politiche della crisi, la scarsa competenza mostrata dagli economisti nel prevenirla e nel guidare il paese
verso un’adeguata risposta, il modo in cui l’ideologia può distorcere
la politica economica e infine i limiti intrinseci all’economia della
depressione. Ho anche valutato il contributo dato dalle decisioni
egoistiche di imprenditori e consumatori cosiddetti razionali (senza
dover per questo scomodare la psicologia). Ho messo in luce come
l’incapacità dei funzionari dei dicasteri economici, e degli stessi economisti, di riconoscere la crisi finanziaria e di prevenirne l’aggravarsi
echeggi quella di altri professionisti che si sono dovuti confrontare
con differenti tipi di eventi catastrofici, come Pearl Harbor, gli attacchi dell’11 settembre o l’uragano Katrina a New Orleans. Nel
discutere queste analogie ho fatto riferimento a miei lavori precedenti sulla catastrofe e sui fallimenti dell’intelligence (mi riferisco ai
miei testi Catastrophe: Risk and Response e Preventing Surprise Attacks:
Intelligence Reform in the Wake of 9/11).
Ho cercato di essere semplice senza essere banale, di scrivere
per il lettore generico ma di offrire anche degli spunti che siano di
qualche interesse per lo specialista. Ho evitato il solito apparato di
note e citazioni, ma ho comunque elencato alla fine del libro alcune
letture di appoggio per chi voglia approfondire un soggetto come
questo, affascinante e attuale. Mi sono impegnato a eliminare sistematicamente dettagli che non fossero inerenti agli argomenti del
libro. Si tratta di un’analisi di alto livello, e dato che non sono un
macroeconomista essa riflette il punto di vista di un non addetto ai
lavori che può comunque avere un suo valore.
Per semplificare non ho fatto distinzioni tra gli enti governativi
che fanno parte del Federal Reserve System (il consiglio direttivo
della Federal Reserve e il Federal Open Market Committee) ma li
ES_POSNER_CS4.indd 17
12/05/11 16.50
xviii
Un fallimento del capitalismo
ho trattati come una singola entità: la Federal Reserve. Il Federal
Open Market Committee, più del consiglio direttivo, controlla la
disponibilità di denaro. Tuttavia il presidente di entrambi gli organi
è la stessa persona, quindi per quanto mi riguarda non c’è necessità
di distinguere tra i due. Faccio inoltre uso dei termini banca e settore bancario in senso ampio: nella mia accezione indicano tutti gli
intermediari finanziari (società il cui mestiere è quello di dare in
prestito del capitale preso a credito) perché la linea che una volta
separava banche commerciali, banche di investimento e intermediari finanziari “non banche” si è fatta molto sfocata. Quando voglio
parlare delle banche in senso stretto, ma il contesto non lo indica,
uso l’espressione banca commerciale.
I primi cinque capitoli descrivono come e perché l’economia si
è messa in un tale pasticcio, cosa sta facendo il governo per tentare
di tirarla fuori e quali sono le probabilità che ci riesca. Gli ultimi
sei capitoli si concentrano invece sulle lezioni che si possono trarre
da questo crollo e dagli sforzi per evitarlo o mitigarlo. Lezioni che
potrebbero aiutarci a evitare la prossima depressione.
Qualcuno potrebbe pensare che sia prematuro scrivere in merito a una depressione prima che sia finita, o prima ancora che
abbia toccato il fondo. Tuttavia, quando sarà finita, il senno di
poi riscriverà la storia. Con l’adozione dell’American Recovery and
Reinvestment Act nel febbraio 2009 sono stati virtualmente messi
in pratica tutti i mezzi immaginabili per contrastare la depressione
(sebbene possiamo aspettarci innumerevoli cambi di rotta e nuove
misure). Ci potrebbero volere anni per valutare l’efficacia di tali
misure e per essere testimoni di un qualsiasi dopo shock, come
un’inflazione fuori controllo. Questo è un buon momento per valutare i fatti, anche se in maniera provvisoria e preliminare, di un
evento economico di grande importanza che probabilmente avrà
un profondo effetto sull’America e sul mondo. The Debt-Deflation
Theory of Great Depressions, il saggio di Irving Fisher sulla Grande
depressione, fu pubblicato nel 1933 molto prima che la depressione
finisse, e il grande classico di John Maynard Keynes, Teoria generale
dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, apparve nel 1936, prima
che l’America uscisse dalla depressione.
Dal momento che il libro è stato scritto in larga parte in medias res, ho deciso di creare un blog gentilmente ospitato dal “The
Atlantic” (http://www.theatlantic.com/richard-a-posner) in cui ho
continuato a parlare della depressione.
ES_POSNER_CS4.indd 18
12/05/11 16.50
Prefazione
xix
Questo libro non è un’avventura totalmente nuova per me.
L’economista Gary Becker ed io scriviamo su argomenti di politica
economica (andate a vedere il Becker-Posner Blog, http://www.
becker-posner-blog.com/). Già a partire dal giugno del 2007 abbiamo iniziato a riflettere sulla nascente crisi: sebbene non l’abbia
riconosciuta come vera e propria depressione, avevo già espresso
alcune preoccupazioni che gli eventi hanno poi (purtroppo) confermato. Chiunque sia interessato alle mie considerazioni, di prima che
io stesso mi rendessi conto che stavamo navigando a vele spiegate
verso una depressione, può guardare i post del blog del 24 giugno,
19 agosto e 23 dicembre 2007. Ho incorporato qua e là nel libro
del materiale dal blog dall’inizio del settembre 2008, quando la crisi
finanziaria ha colpito con tutta la sua forza.
Voglio ringraziare il mio co-blogger, Gary Becker, per le discussioni su un buon numero di argomenti che ho trattato in questo
libro, e Laura Bishop, Ralph Dado, Justin Ellis, Anthony Henke
e Michael Thorpe per avermi assistito durante il lavoro di ricerca.
Ho ricevuto preziose osservazioni da una chiacchierata con Robert
Lucas e dall’utile materiale che mi ha fornito, e grazie a una discussione con Lynn Maddox e a uno scambio di email con Myron
Scholes. Lee Lockwood e Christina Opp hanno riletto con attenzione il manoscritto per gli errori tecnici e nel farlo hanno offerto suggerimenti di valore per migliorarlo. Micheal Aroson, Douglas Baird
Larry Bernstein, Michael Boudin, Nathan, Christensen, Kenneth
Dam, Benjamin Friedman, Rebecca Haw, Ashley Keller, William
Landes, Jonathan, Lewinsohn, Jennifer Nou, Charlene Posner, Eric
Posner, Kenneth Posner, Raghuram Rajan, Andrew Rosenfield,
Andrei Shleifer, e Luigi Zingales hanno fatto commenti molto utili
in fase di lavorazione. L’aiuto di Friedman a questo mio progetto
merita uno speciale riconoscimento. Devo anche un ringraziamento
particolare a Aroson, il mio editore dell’Harvard University Press
per il suo incoraggiamento, l’abile coordinamento di questo progetto e i molti e preziosi commenti. Nessuno di loro è da ritenersi responsabile per eventuali errori o inesattezze contenute nelle pagine
che state per leggere.
ES_POSNER_CS4.indd 19
12/05/11 16.50
Scarica

Prime pagine - Codice Edizioni