LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PETTI Dott. CARLEO Giovanni B. - Presidente - Giovanni - Consigliere - Dott. SCARANO Luigi Alessandro Dott. CIRILLO Francesco Maria - rel. Consigliere - Consigliere - Dott. PELLECCHIA Antonella - Consigliere - ha pronunciato la seguente: sentenza sul ricorso 27422/2012 proposto da: D.S.A. (OMISSIS), V.R. (OMISSIS), in proprio e la seconda anche come tutore della figlia D.S.C., elettivamente domiciliati in ROMA, V. DORA 2, presso lo studio dell'avvocato FEDERICO RUSSO, rappresentati e difesi dall'avvocato MANASSERI Benedetto con studio in SAN FRATELLO (ME) VIA MILANO 44, giusta procura speciale a margine del ricorso; - ricorrenti contro ALLIANZ SPA, (già RAS SPA conferitaria dell'Azienda di LLOYD ADRIATICO SPA), in persona dei procuratori Dr.C.A. e Dott.ssa G.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 88, presso lo studio dell'avvocato SPADAFORA Giorgio, che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al controricorso; P.B., P.R., n.q. di eredi con beneficio di inventario del Prof. P.A., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE NOMENTANA 60, presso lo studio dell'avvocato GIOVANNI MANISCALCO BASILE, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato PIETRO MANISCALCO BASILE giusta procura speciale a margine del controricorso; ASSESSORATO REGIONALE SANITA' REGIONE SICILIANA, in persona dell'ASSESSORE pro tempore, considerato domiciliato ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO da cui è rappresentato e difeso per legge; - controricorrenti e contro AZIENDA SANITARIA LOCALE (OMISSIS) PALERMO; - intimati avverso la sentenza n. 1199/2011 della CORTE D'APPELLO di PALERMO, depositata il 28/09/2011, R.G.N. 1929/2005; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/11/2014 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO; udito l'Avvocato GIOVANNI MANISCALCO BASILE; udito l'Avvocato ANTONIO MANGANIELLO per delega; udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VELARDI Maurizio, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con sentenza del 28/9/2011 la Corte d'Appello di Palermo, in accoglimento dei gravami interposti dal sig. P.A. (in via principale) e dall'Assessorato Regionale alla Sanità e Gestione Stralcio ex Usl n. (OMISSIS) di Palermo (in via incidentale) e in conseguente riforma della pronunzia Trib. Palermo 18/4/2005, ha rigettato la domanda nei confronti dei medesimi proposta dai sigg. D.S.A. e V.R., in nome proprio e per conto della figlia minore C., di risarcimento dei danni rispettivamente sofferti per essere quest'ultima affetta da tetraplegia da cerebropatia post-anossica con incontinenza urofecale e ritardo mentale profondo, asseritamente conseguente ad erronea e ritardata diagnosi da parte dei medici della Divisione di neonatologia e terapia intensiva del presidio Ospedaliero (OMISSIS) ove il giorno successivo alla nascita (avvenuta il (OMISSIS)) era stata ricoverata per essere dimessa il (OMISSIS), per esservi nuovamente ricoverata d'urgenza il (OMISSIS) successivo, il (OMISSIS) seguente venendo quindi trasferita presso l'Ospedale (OMISSIS), ove era sottoposta ad intervento chirurgico e successivamente trasferita nel reparto di rianimazione. Il (OMISSIS) veniva poi condotta, sempre con l'assistenza rianimatoria, presso l'Ospedale (OMISSIS), in quanto affetta da "stenosi bronchiale da compressione vascolare (arco aortico) e da tracheomalacia", e dopo diversi esami ed interventi chirurgici il (OMISSIS) subiva un arresto cardiocircolatorio durato circa quaranta minuti. Il (OMISSIS) veniva trasferita presso il reparto (OMISSIS), ove rimaneva fino all'(OMISSIS), giorno in cui veniva nuovamente ricoverata presso l'Ospedale (OMISSIS), per essere dimessa il successivo (OMISSIS), venendo quindi sottoposta a terapia fisica presso l'istituto " (OMISSIS)". Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito i sigg. D. S.A. e V.R., in proprio e quest'ultima anche nella qualità di tutore della figlia C., propongono ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi. Resistono con separati controricorsi i sigg. P.B. e R., eredi (con beneficio d'inventario) del defunto P. A., l'Assessorato Regionale alla Sanità della Regione Siciliana, e la società Allianz s.p.a. (già R.A.S. s.p.a., conferitaria dell'Azienda di Lloyd Adriatico s.p.a. ). L'Assessorato Regionale e la società Allianz s.p.a. hanno presentato anche memoria. MOTIVI DELLA DECISIONE Con il 1 ed il 2 motivo i ricorrenti denunziano "omessa, insufficiente o contraddittoria" motivazione su punti decisivi della controversia, in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Con il 3 motivo denunziano violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1697 (recte, 2697), 2236 c.c., in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Si dolgono che la corte di merito abbia erroneamente, illogicamente e con "petizione di principio" assegnato decisivo rilievo al "miglioramento delle condizioni della piccola C. durante il ricovero nell'ospedale di (OMISSIS)", laddove tale miglioramento non vi è mai stato e non può certamente esso desumersi: a) dalla circostanza che il (OMISSIS) la piccola C. ebbe un gasping respiratorio, e cioè la mancanza di "respiro agonico" o "mancanza di respiro", e bradicardia, che indica battito lento o irregolare ed è conseguenza del primo; b) dall'effettuazione il (OMISSIS) di un intervento di "legatura dell'arco aortico sinistro", asseritamente sintomatico di un miglioramento delle condizioni a cliniche, laddove esso fu eseguito "sia perchè andava fatto e sia perchè non vi era ragione alcuna di attendere"; c) da una "nuova sospensione dell'intubazione", laddove "se vi furono più estubazioni ed intubazioni significa che furono fatte più prove al fine di far respirare la bimba autonomamente e renderla indipendente dal respiratore, e che la piccola paziente non riuscì a respirare da sola, tant'è che si rese necessaria una nuova intubazione dopo ogni tentativo. Anche l'ultima estubazione non dimostra affatto il miglioramento delle condizioni generali della paziente", l'intubazione prolungata avendo "provocato già tanti danni alla piccola C." da essere "pienamente giustificato un ulteriore tentativo di estubazione", rientrando nel protocollo "tentare la possibilità di respirazione autonoma della piccola C., come era stato fatto nei giorni precedenti". Lamentano che "i due CTU e la Corte di merito hanno omesso di esaminare il danno alla funzione respiratoria ed al cuore della piccola C., dovuto alla tardiva diagnosi di fistola tracheo- esofagea e del doppio arco aortico". I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono fondati e vanno accolti p.q.r., nei termini di seguito indicati. E' rimasto accertato essere D.S.C. affetta da tetraplegia da cerebropatia post-anossica, con incontinenza uro-fecale e ritardo mentale profondo. I giudici di prime cure hanno ritenuto tale patologia costituire la conseguenza di erronea e ritardata diagnosi da parte dei medici della Divisione di Neonatologia e terapia intensiva del presidio Ospedaliero (OMISSIS), ove il giorno successivo alla nascita (avvenuta il (OMISSIS)) la neonata era stata ricoverata, venendo quindi dimessa il (OMISSIS), per esservi nuovamente ricoverata d'urgenza il (OMISSIS) successivo, il (OMISSIS) venendo quindi trasferita presso l'Ospedale (OMISSIS), ove era sottoposta ad intervento chirurgico e trasferita nel reparto di rianimazione. Successivamente veniva ricoverata presso l'Ospedale (OMISSIS), in quanto affetta da "stenosi bronchiale da compressione vascolare (arco aortico) e da tracheomalacia", e dopo diversi esami ed interventi chirurgici il (OMISSIS) ivi subiva un arresto cardiocircolatorio per circa 40 minuti. Il (OMISSIS) era nuovamente trasferita presso il reparto (OMISSIS) ove rimaneva fino all'(OMISSIS), giorno in cui tornava ad essere ricoverata presso l'Ospedale (OMISSIS), venendo dimessa il successivo (OMISSIS), per essere sottoposta a terapia fisica presso l'istituto "(OMISSIS)". Nel riformare integralmente la sentenza di primo grado, la corte di merito ha posto a base dell'adottata decisione la rinnovata (in sede di gravame) C.T.U., affermando che "le conclusioni cui sono pervenuti i CTU, sulla base di argomentazioni esaustive, sono persuasive e vanno condivise". Tale giudice si è peraltro limitato a riportare alcuni brani della detta consulenza, e in particolare le conclusioni secondo cui: "Le cause delle anomalie congenite sono da ricondurre ad effetti mal formativi verificatisi nel corso della vita endouterina ed appalesatisi, pur se con variabile espressività clinica, sin dalla nascita. La causa dell'arresto cardiaco deve ricondursi all'ematemesi e/o comunque ad un repentino ed improvviso aggravamento delle condizioni generali verificatosi alle ore 7,25 del (OMISSIS)". Ancora, ha fatto richiamo alla parte in cui risulta affermato che l'"atteggiamento diagnostico terapeutico da parte dei sanitari degli Ospedali (OMISSIS) fu connotato, in varia misura, da imprudenza, negligenza ed imperizia (quest'ultima con particolare riferimento alla degenza dal (OMISSIS)). Tali comportamenti tuttavia, per quanto in narrativa, non hanno ruolo nel determinismo dell'ematemesi e dell'arresto cardiaco verificatosi in (OMISSIS)", avvenuto "in maniera pressochè inaspettata ed improvvisa", atteso che "in accordo con quanto già emerge dagli atti al momento del ricovero e nella successiva degenza in (OMISSIS), fino al (OMISSIS), non vi era alcuna condizione di sofferenza del S.N.C."; che le condizioni generali della minore "andarono in progressivo miglioramento", stante "in primo luogo" il "fatto che il (OMISSIS), pur in presenza di un gasping respiratorio e di bradicardia non si ebbe desaturazione il che indica che vi era per l'appunto una saturazione ottimale", e per altro verso la circostanza che "la paziente fu ritenuta idonea per essere sottoposta all'intervento chirurgico ... e tanto può essersi verificato solo se le condizioni cliniche erano migliorate", sicchè, "pur sulla base di una ricostruzione che - per limiti oggettivi dei quali più volte si è detto non può ritenersi con certezza fedele agli accadimenti così come susseguitisi - è oltremodo improbabile che la ematemesi (e il successivo arresto cardiaco) siano conseguenza dei trattamenti posti in essere in (OMISSIS)", e "pur ipotizzando che la diagnosi fosse possibile prima di quanto concretamente realizzatosi, tanto non ha avuto un ruolo nel determinismo della emorragia e della sofferenza cerebrale". Orbene, i suindicati riprodotti assunti si rivelano in realtà erronei, nonché deponenti per una incongrua motivazione dell'impugnata sentenza. Questa Corte ha già avuto più volte modo di porre in rilievo, in accordo con quanto osservato anche in dottrina, che il debitore è di regola tenuto ad una normale perizia, commisurata alla natura dell'attività esercitata (secondo una misura obiettiva che prescinde dalle concrete capacità del soggetto, sicché deve escludersi che ove privo delle necessarie cognizioni tecniche il debitore rimanga esentato dall'adempiere l'obbligazione con la perizia adeguata alla natura dell'attività esercitata), mentre una diversa misura di perizia è dovuta in relazione alla qualifica professionale del debitore, in relazione ai diversi gradi di specializzazione propri dello specifico settore di attività (cfr. Cass., 20/10/2014, n. 22222). Al professionista (e a fortiori allo specialista) è richiesta una diligenza particolarmente qualificata dalla perizia e dall'impiego di strumenti tecnici adeguati al tipo di attività da espletare (cfr.Cass., 31/5/2006, n. 12995) e allo standard professionale della sua categoria. L'impegno dal medesimo dovuto, se si profila superiore a quello del comune debitore, va considerato viceversa corrispondente alla diligenza normale in relazione alla specifica attività professionale o lavorativa esercitata, giacché il professionista deve impiegare la perizia ed i mezzi tecnici adeguati allo standard professionale o lavorativa della sua categoria, tale standard valendo a determinare, in conformità alla regola generale, il contenuto della perizia dovuta e la corrispondente misura dello sforzo diligente adeguato per conseguirlo, nonché del relativo grado di responsabilità (cfr.Cass., 20/10/2014, n. 22222; Cass., 9/10/2012, n. 17143). Nell'adempimento delle obbligazioni (e dei comuni rapporti della vita di relazione) il soggetto deve osservare altresì gli obblighi di buona fede oggettiva o correttezza, quale generale principio di solidarietà sociale la cui violazione comporta l'insorgenza di responsabilità (anche extracontrattuale). E' pertanto tenuto a mantenere un comportamento leale, e ad osservare obblighi di informazione e di avviso nonché di salvaguardia dell'utilità altrui - nei limiti dell'apprezzabile sacrificio, dalla cui violazione conseguono profili di responsabilità in ordine ai falsi affidamenti anche solo colposamente ingenerati nei terzi (cfr., con riferimento a differenti fattispecie, Cass., 20/2/2006, n. 3651;Cass., 27/10/2006, n. 23273; Cass., 15/2/2007, n. 3462; Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 24/7/2007, n. 16315; Cass., 30/10/2007, n. 22860; Cass., Sez. Un., 25/11/2008, n. 28056; Cass., 27/4/2011, n. 9404, e, da ultimo, Cass., 27/8/2014, n. 18304). La condotta di adempimento della dovuta prestazione medica deve essere allora valutata sotto i segnalati profili della diligenza qualificata e della buona fede o correttezza, dovendo al riguardo altresì accertarsi se le conseguenze dannose verificatesi in conseguenza dell'evento lesivo siano, sotto il profilo del più probabile che non (cfr., da ultimo, Cass., 26/7/2012, n. 13214;Cass., 27/4/2010, n. 10060), da considerarsi alla detta condotta causalmente astrette. Con l'ulteriore avvertenza che, trattandosi di condotta attiva, e non già passiva, non vi è nella specie luogo a giudizio contraffattuale (cfr. Cass., 6/6/2014, n. 12830). Le obbligazioni professionali sono dunque caratterizzate dalla prestazione di attività particolarmente qualificata da parte di soggetto dotato di specifica abilità tecnica, in cui il paziente fa affidamento nel decidere di sottoporsi (all'intervento chirurgico, al fine del raggiungimento del risultato perseguito o sperato. Affidamento tanto più accentuato, in vista dell'esito positivo nel caso concreto conseguibile, quanto maggiore è la specializzazione del professionista, e la preparazione organizzativa e tecnica della struttura sanitaria presso la quale l'attività medica viene dal primo espletata. Giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, in ogni caso di "insuccesso" incombe invero al medico o alla struttura provare che il risultato "anomalo" o anormale rispetto al convenuto esito dell'intervento o della cura, e quindi dello scostamento da una legge di regolarità causale fondata sull'esperienza, dipende da fatto a sè non imputabile, in quanto non ascrivibile alla condotta mantenuta in conformità alla diligenza dovuta, in relazione alle specifiche circostanze del caso concreto (v. Cass., 9/10/2012, n. 17143), bensì ad evento imprevedibile e non superabile con l'adeguata diligenza (cfr., Cass., 21/7/2011, n. 15993; Cass., 7/6/2011, n. 12274. E già Cass., 24/5/2006, n. 12362; Cass., 11/11/2005, n. 22894). In altri termini, dare la prova del fatto impeditivo (v. Cass., 28/5/2004, n. 10297; Cass., 21/6/2004, n. 11488), rimanendo in caso contrario soccombente, in applicazione della regola generale ex artt. 1218 e 2697 c.c., di ripartizione dell'onere probatorio fondata sul principio di ed. vicinanza alla prova o di riferibilità (v. Cass., 9/11/2006, n. 23918; Cass., 21/6/2004, n. 11488; Cass., Sez. Un., 23/5/2001, n. 7027; Cass., Sez. Un., 30/10/2001, n. 13533; Cass., 13/9/2000, n. 12103), o ancor più propriamente (come sottolineato anche in dottrina), sul criterio della maggiore possibilità per il debitore onerato di fornire la prova, in quanto rientrante nella sua sfera di dominio, in misura tanto più marcata quanto più l'esecuzione della prestazione consista nell'applicazione di regole tecniche sconosciute al creditore, essendo estranee alla comune esperienza, e viceversa proprie del bagaglio del debitore come nel caso specializzato nell'esecuzione di una professione protetta. Orbene, nella specie, in presenza di una ravvisata condotta negligente deponente per la responsabilità del medico operante "L'atteggiamento diagnostico terapeutico da parte dei sanitari degli Ospedali (OMISSIS) fu connotato, in varia misura, da imprudenza, negligenza ed imperizia (quest'ultima con particolare riferimento alla degenza dal (OMISSIS)), e conseguentemente della struttura la quale risponde direttamente di tutte le ingerenze dannose che al dipendente o al terzo preposto, della cui opera comunque si è avvalso, sono state rese possibili dalla posizione conferitagli rispetto al creditore/danneggiato, e cioè dei danni che il medesimo ha potuto arrecare in ragione di quel particolare contatto cui è risultato esposto nei suoi confronti il creditore (la paziente C.), essendo direttamente responsabile allorquando l'evento dannoso risulti da ascriversi alla condotta colposa o dolosa posta in essere (quand'anche a sua insaputa: cfr.Cass., 17/5/2001, n. 6756) della cui attività essa si è comunque avvalsa per l'adempimento della propria obbligazione contrattuale, erroneamente la corte di merito non ha dalla medesima nel caso tratto i debiti corollari sul piano della conseguente responsabilità dei relativi autori. Nel fare apodittico ed acritico riferimento alle risultanze della CTU espletata in rinnovazione in sede di gravame, omettendo altresì di spiegare le ragioni per le quali ha ritenuto di preferirle a quelle -opposte raggiunte dalla CTU espletate nel primo grado di giudizio come riportato nella stessa sentenza impugnata, sulla base della disposta C.T.U. il Tribunale ha al riguardo ritenuto essere risultato provato l'inadempimento contrattuale del P. (e della USL n. (OMISSIS)), in relazione al periodo dal (OMISSIS), essendo in particolare emersa una condotta del medesimo connotata da "imperizia diagnostica" in quanto "il quadro clinico avrebbe dovuto indirizzare i sanitari guidati dal P. a formulare tempestivamente (invece di ritenere che la patologia avesse natura infettivo-virale) la corretta diagnosi di "broncopolmonite ab ingestis e fistola esofago- tracheale senza atresia", che invece era stata formulata al termine del ricovero, allorchè la fistola esofago-tracheale era stata casualmente riscontrata". Ha ritenuto altresì provato "il nesso causale tra il ritardo diagnostico e l'evento dannoso avuto dalla piccola C. a (OMISSIS)", determinato "dalle affezioni polmonari (che avevano recato insufficienza respiratoria); ed il ritardo diagnostico relativo a tali affezioni aveva inciso conseguentemente (per una percentuale quantificata nel 20%) sulla produzione dell'arresto cardiaco", la corte di merito ha altresì escluso la sussistenza nella specie del nesso di causalità sostanzialmente in ragione della circostanza che "il (OMISSIS), pur in presenza di un gasping respiratorio e di bradicardia non si ebbe desaturazione, con ritorno allo stato abituale. Il che indica che vi era per l'appunto una saturazione ottimale", nonchè del ravvisato miglioramento delle condizioni generali della piccola C. che ne consentirono la sottoposizione ad intervento chirurgico ("Si tratta di un atto che alla luce della malformazioni della piccola era sicuramente necessario, ma altrettanto sicuramente non urgente e/o indifferibile. Il che vuoi dire che la paziente fu ritenuta idonea per essere sottoposta all'intervento chirurgico ... e tanto può essersi verificato solo se le condizioni cliniche erano migliorate"). Un tanto pur mettendo contraddittoriamente in rilievo che trattasi di situazioni non certe ma supposte "che le condizioni cliniche della bambina fossero migliorate rinviene anche dalle segnalazioni della degenza in respirazione spontanea e senza intubazione fino al (OMISSIS). Non sappiamo in realtà se la bambina fu estubata fino al (OMISSIS) e/o se tra il (OMISSIS) fosse stata nuovamente intubata, ma sappiamo con ragionevole certezza per quelle che sono le indicazioni ricavate dalla cartella che la piccola fu quanto meno "nuovamente" estubata dall'(OMISSIS)"; "pur sulla base di una ricostruzione che - per limiti oggettivi dei quali più volte si è detto non può ritenersi con certezza fedele agli accadimenti così come susseguitisi - è oltremodo improbabile che la ematemesi (e il successivo arresto cardiaco) siano conseguenza dei trattamenti posti in essere in (OMISSIS)", e "pur ipotizzando che la diagnosi fosse possibile prima di quanto concretamente realizzatosi, tanto non ha avuto un ruolo nel determinismo della emorragia e della sofferenza cerebrale", nè dare motivatamente conto del rilievo assorbente e decisivo assegnato a diverse circostanze ed ulteriori eventi ("In maniera quindi pressochè inaspettata ed improvvisa ... si verifica l'evento di ematemesi ed arresto cardio-respiratorio con necessità di reintubazione delle ore 7.25 del (OMISSIS). In relazione ad esso e soprattutto alla sua etiologia sono possibili solo ipotesi. La prima e più probabile è che vi sia stata la rottura di piccoli vasi delle prime vie aeree, correlabile peraltro alla presenza di granulomi strumentalmente accertata il (OMISSIS), soprattutto tenuto conto che il (OMISSIS) i granulomi stessi erano stati rimossi mediante laser. La causa di tali granulomi ... deve rapportarsi alla prolungata intubazione su tessuto malacico. Per altro verso non può escludersi, anche se gaussianamente è di certo molto meno probabile, che la piccola abbia sofferto di un'ulcera da stress, evento acuto correlato alla prolungata degenza in terapia intensiva e ai trattamenti medico-chirurgici ai quali fu sottoposta"). Ancora, omettendo di fornire indicazione alcuna in ordine alla relativa considerazione in termini di concausa o di causa sopravvenuta autonoma e determinante della situazione patologica sofferta dalla minore, e non già quale conseguenza invero dello specifico antecedente causale costituito dalla ravvisata condotta negligente del medico operante. A tale stregua, con motivazione invero meramente apparente (tale appalesandosi la mera affermazione secondo cui "le conclusioni cui sono pervenuti i CTU, sulla base di argomentazioni esaustive, sono persuasive e vanno condivise"), la corte di merito ha invero violato il suindicato principio di c.d. vicinanza alla prova o di riferibilità, e ancor più propriamente il criterio della maggiore possibilità per il debitore onerato di fornire la prova, inammissibilmente richiedendo al danneggiato di fornire una prova rientrante per converso nella sfera di dominio del medico (l'esecuzione della prestazione consistendo nell'applicazione di regole tecniche sconosciute al danneggiato in quanto estranee alla comune esperienza, e viceversa proprie del bagaglio del debitore come nel caso specializzato nell'esecuzione di una professione protetta). Ha violato altresì il consolidato principio in base al quale se lo svolgimento di una prima consulenza non preclude l'affidamento di un'ulteriore indagine a professionista qualificato nella materia al fine di fornire al giudice un ulteriore mezzo volto alla più approfondita conoscenza dei fatti già provati dalle parti, è peraltro necessario che il giudice il quale intenda uniformasi alle risultanze della seconda c.t.u. non si limiti, come invero nella specie, ad un'adesione acritica alle medesime ma giustifichi la propria preferenza, specificando le ragioni per cui ritiene di discostarsi dalle conclusioni del primo consulente, salvo che le stesse abbiano formato oggetto di esame critico nell'ambito della nuova relazione peritale con considerazioni non specificamente contestaste dalle parti (v. Cass., 26/8/2013, n. 19572; Cass., 30/10/2009, n. 23063; Cass., 15/3/2001, n. 3787). Ha, ancora, fatto erronea applicazione della regola civilistica in tema di nesso di causalità. Ha infatti omesso di considerare che, giusta orientamento già delineatosi (anche) nella giurisprudenza di legittimità (v. Cass., 16/10/2007, n. 21619), poi confermato dalle Sezioni Unite civili di questa Corte, stante la diversità del regime probatorio applicabile in ragione dei differenti valori sottesi ai due processi, nell'accertamento del nesso causale in materia civile vige la regola della preponderanza dell'evidenza o del "più probabile che non", mentre nel processo penale vige la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio" (v. Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 576 ). Le Sezioni Unte hanno al riguardo in particolare sottolineato che ai sensi degli artt. 40 e 41 c.p., un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonchè dal criterio della ed. causalità adeguata, (v. Cass., 8/7/2010, n. 16123; Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 576). Si è al riguardo precisato che "in una diversa dimensione di analisi sovrastrutturale del (medesimo) fatto, la causalità civile ordinaria, attestata sul versante della probabilità relativa (o variabile), caratterizzata, specie in ipotesi di reato commissivo, dall'accedere ad una soglia meno elevata di probabilità rispetto a quella penale, secondo modalità semantiche che, specie in sede di perizia medico-legale, possono assumere molteplici forme espressive (serie ed apprezzabili possibilità, ragionevole probabilità ecc.), senza che questo debba, peraltro, vincolare il giudice ad una formula peritale, senza che egli perda la sua funzione di operare una selezione di scelte giuridicamente opportune in un dato momento storico: senza trasformare il processo civile (e la verifica processuale in ordine all'esistenza del nesso di causa) in una questione di verifica (solo) scientifica demandabile tout court al consulente tecnico: la causalità civile, in definitiva, obbedisce alla logica del più probabile che non" (così Cass., 16/10/2007, n. 21619). Si è ulteriormente sottolineato che l'adozione del criterio della probabilità relativa (anche detto criterio del "più probabile che non") si delinea invero in una analisi specifica e puntuale di tutte le risultanze probatorie del singolo processo. E che se emerge la sussistenza di concorrenti cause, la relativa diversa incidenza probabilistica deve essere attentamente valutata e valorizzata in ragione della specificità del caso concreto, senza limitarsi ad un meccanico e semplicistico ricorso alla regola del 51% ma facendosi luogo ad una compiuta valutazione dell'evidenza del probabile (in tali termini v., da ultimo, Cass., 21/7/2011, n. 15991, ove così esemplificato, in tema di danni da trasfusione di sangue infetto: se "le possibili concause appaiono plurime e quantificabili in misura di dieci, ciascuna con un'incidenza probabilistica pari al 3%, mentre la trasfusione attinge al grado di probabilità pari al 40%, non per questo la domanda risarcitoria sarà per ciò solo rigettata o geneticamente trasmutata in risarcimento da chance perduta, dovendo viceversa il giudice, secondo il suo prudente apprezzamento che trova la sua fonte nella disposizione di legge di cui all'art. 116 c.p.c., valutare la complessiva evidenza probatoria del caso concreto e addivenire, all'esito di tale giudizio comparativo, alla più corretta delle soluzioni possibili"). Va in tal caso altresì valutato se anzichè trattarsi di concausa si configuri la diversa ipotesi della causa sopravvenuta autonoma e determinante del fatto evento dannoso, con interruzione della precedente serie causale, imponendosi in tale ipotesi per il giudice la necessità di dare congrua ed idonea motivazione al riguardo. Nè può d'altro canto trascurarsi che, come questa Corte ha del pari avuto più volte modo di sottolineare, in caso di concretizzazione del rischio che la regola violata tende a prevenire, in base al principio del nesso di causalità specifica non può prescindersi dalla considerazione del comportamento dovuto e della condotta nel singolo caso in concreto mantenuta, e il nesso di causalità che i danni conseguenti a quest'ultima astringe rimane invero presuntivamente provato (cfr. Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 584;Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 582. E, da ultimo, Cass., 27/4/2011, n. 9404; Cass., 29/8/2011, n. 17685). Senza sottacersi che, laddove la causa del danno rimanga alfine ignota, le conseguenze non possono certamente ridondare a scapito del danneggiato (nel caso, della paziente), ma gravano sul presunto responsabile che la prova liberatoria non sia riuscito a fornire (nel caso, il medico e/o la struttura sanitaria), il significato di tale presunzione cogliendosi nel principio di generale favor per il danneggiato, nonchè nella rilevanza che assume al riguardo il principio della colpa obiettiva, quale violazione della misura dello sforzo in relazione alle circostanze del caso concreto adeguato ad evitare che la prestazione dovuta arrechi danno (anche) a terzi (cfr., in diverso ambito, Cass., 20/2/2006, n. 3651). Alla stregua di quanto sopra rilevato ed esposto dell'impugnata sentenza, assorbito ogni altro e diverso profilo, s'impone pertanto la cassazione in relazione, con rinvio ad altra corte di merito, che si indica nella Corte d'Appello di Palermo, la quale in diversa composizione procederà a nuovo esame, facendo dei suindicati disattesi principi applicazione. Il giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie p.q.r. il ricorso. Cassa in relazione l'impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d'Appello di Palermo, in diversa composizione. Così deciso in Roma, il 28 novembre 2014. Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2015