Introduzione Tra le fonti rinnovabili derivanti dal Sole, l’energia posseduta dal vento è stata la prima ad essere utilizzata dall’uomo sotto forma di energia meccanica. L’energia eolica viene raccolta da adeguate macchine, che sfruttano l’energia contenuta nel campo eolico, in cui la macchina è immersa. Allo stato dell’arte le macchine eoliche attualmente in uso sfruttano direttamente l’energia del campo eolico naturale, così come facevano, in maniera più empirica e rozza, i nostri progenitori sin dall’antichità, con i mulini a vento e sul mare, con le vele. La caratteristica comune tra i mulini a vento nelle varie parti del mondo dove essi sono stati installati era la loro costruzione a torre, più o meno voluminosa, in cima alla quale veniva installato il rotore, solitamente costituito da un numero più o meno elevato di pale fabbricate in genere in legno e tessuto. Quando si parla di mulini a vento è immediato pensare agli scenari tipici Olandesi, con campi di tulipani nel cui mezzo spuntano le torri e le pale dei mulini, ma costruzioni analoghe sono presenti in molti altri paesi. I mulini a vento moderni presentano ancora delle analogie con i loro predecessori, ma il loro impiego è unicamente rivolto alla produzione di energia elettrica, ed il nome “mulino” è stato ormai soppiantato dalla dicitura “turbina eolica”, analogamente a quanto avviene per gli altri tipi di turbine (idrauliche, a gas, a vapore) comunemente utilizzate per la conversione di energia meccanica in energia elettrica. I tipi di rotore fino ad oggi ideati sono numerosi, in base alla loro disposizione rispetto alla direzione del vento le turbine eoliche possono essere classificate in macchine ad asse orizzontale e macchine ad asse verticale. In particolare, in questa trattazione si parlerà di turbine eoliche ad asse orizzontale, le quali rappresentano attualmente le turbine di più comune utilizzo, e che hanno soppiantato le turbine ad asse verticale, almeno per quanto riguarda la produzione di potenza “in larga scala” . Riveste importanza fondamentale per il progettista di turbine eoliche poter prevedere le prestazioni della macchina prima ancora che di questa venga costruito un prototipo. Il modello matematico BEMT consente di fare quanto appena detto sfruttando la combinazione tra la teoria della quantità di moto, la quale consiste nell’andare a calcolare 1 la variazione della quantità di moto del flusso attraverso le pale, e la teoria dell’elemento di pala, che considera le pale della turbina suddivise in aree di lunghezza infinitesima. Mediante tale teoria, dunque, si andrà a calcolare la distribuzione radiale, per un determinato valore della velocità del vento, di un coefficiente che viene denominato fattore d’induzione. Esistono diversi livelli di approssimazione: quello più semplice utilizza il solo fattore di induzione assiale, mentre una successiva approssimazione consiste nell’introdurre anche quello circonferenziale. Quindi, una volta calcolato tale coefficiente si possono determinare così le prestazioni della turbina andandone a costruire la relativa curva di potenza, che è un grafico raffigurante l’andamento della potenza della macchina per diversi valori della velocità del vento. Per l’analisi delle prestazioni delle turbine eoliche basata sulla teoria BEMT, in questo contesto si utilizzerà un programma sviluppato nel linguaggio di programmazione FORTRAN90. Quindi, mediante due versioni di tale software che permettono di calcolare, l’una il solo fattore d’induzione assiale, e l’altra sia il fattore d’induzione assiale che quello circonferenziale, l’obiettivo della presente tesi è quello di andare a confrontare l’andamento dei fattori d’induzione ottenuti dai due programmi lungo la pala. 2 Cenni sull’energia eolica 1.1 STORIA DELL’EVOLUZIONE DELLE TURBINE EOLICHE L’energia eolica è stata largamente utilizzata sin dall’antichità in svariate applicazioni quali la navigazione a vela, la ventilazione dei cereali e l’essiccazione dei prodotti dell’agricoltura e della pesca. L’uso della vela per lo spostamento di imbarcazioni appare già in primitive raffigurazioni egizie del 2500 a.C. e costituisce il primo esempio di utilizzazione delle energie naturali come forza motrice. I primi mulini a vento comparvero nelle aree considerate la culla della civiltà: Mesopotamia, Cina, Egitto. È tramandato che il re di Babilonia Hammurabi progettò, nel 17° secolo a.C., di irrigare la pianura mesopotamica per mezzo dei mulini a vento. Si trattava probabilmente di mulini ad asse verticale simili a quelli tuttora in funzione in quei paesi. In Europa i mulini a vento apparvero in ritardo, nel Medioevo al tempo delle Crociate; essi erano di concezione del tutto diversa rispetto a quelli mesopotamici, con ruota ad asse orizzontale e di dimensioni maggiori, tecnologicamente più complessi e di maggior rendimento. I mulini furono usati nel corso dei secoli in tutta Europa per i più svariati usi, come la macinazione dei cereali, la spremitura delle olive, il pompaggio dell’acqua, l’azionamento di segherie, cartiere, tintorie, industrie del tabacco. Ricordiamo in particolare i classici mulini che gli olandesi utilizzarono a partire dal 1350 per il drenaggio delle paludi. Nel secolo scorso cominciarono a diffondersi aeropompe con giranti multipala di piccolo diametro, utilizzate poi in grandissimo numero di esemplari nelle fattorie dei territori di nuova colonizzazione. I primi generatori di energia elettrica azionati dal vento risalgono agli inizi del 900 e nel 1914 erano già in funzione diverse centinaia di macchine di potenza compresa tra 3 e 30 kW. Nel periodo tra le due Guerre Mondiali fu compiuta una rapida evoluzione sul piano tecnologico, con la costruzione di aerogeneratori di potenze crescenti da 40-80 kW fino ai 1250 kW; in alcuni paesi, come la Danimarca, si arrivò a soddisfare una consistente parte del fabbisogno di energia elettrica nazionale con generatori a vento di media potenza ubicati in prossimità di fattorie e villaggi. L’utilizzazione su grande scala dei combustibili fossili, che nel secondo dopoguerra forniva energia a costi bassissimi, portò a un quasi 3 completo abbandono delle ricerche e della produzione di aerogeneratori. Le restrizioni dei consumi petroliferi da un lato e l’affinamento delle tecnologie dall’altro hanno riproposto da qualche anno la validità dei generatori a vento, evidenziata anche da considerazioni di carattere ambientale, che spingono sempre di più l’opinione pubblica a domandare il ricorso a fonti energetiche “pulite”. Le iniziative sinora intraprese hanno peraltro già portato a risultati di notevole rilievo; si è ormai costituito nel mondo un vero e proprio mercato degli aerogeneratori di potenza fino a 400 kW per collegamento alla rete prodotti in piccola serie da aziende americane ed europee. Sono anche già in funzione nel mondo aerogeneratori Enercon di grande taglia, con potenza nominale di 7,5 MW e diametro del rotore fino a 127 m. 1.2 L’ENERGIA DEL VENTO Lo scopo di una turbina eolica è quello di catturare l’energia cinetica del vento e convertirla in energia utile, di solito sotto forma di energia elettrica. Si consideri l’energia cinetica del vento, avente una velocità V∞, nel momento in cui attraversa un disco di area A. Se il disco è normale alla direzione del vettore vento, allora la portata massica attraverso il disco sarà e quindi l’energia cinetica per unità di tempo contenuta nel vento (ossia la potenza) che attraversa il disco è: Ciò è equivalente all’energia che potrebbe essere estratta dal vento assumendo che il processo di conversione dell’energia sia efficace al 100% (caso ideale). Una turbina moderna può estrarre solo circa la metà di questa potenza a causa di perdite aerodinamiche e meccaniche. Si osservi dall’eq. (1.1) che la produzione di potenza sviluppabile da una turbina è proporzionale al quadrato della sua dimensione lineare (diametro) e al cubo della velocità del vento. Ad esempio si consideri una turbina eolica di 5 m di diametro con un coefficiente di potenza del 50% che opera con il suo disco indirizzato perpendicolarmente ad un vento di velocità di 10 m/s in condizioni standard sul livello del mare. La potenza estratta sarà: 4 Questo esempio dimostra il perché le turbine eoliche debbano essere di dimensioni molto grandi (diametro) e debbano essere collocate dove il vento soffia in media a velocità relativamente alte. Le turbine eoliche sono spesso situate in parchi o fattorie con molte dozzine o centinaia di turbine che producono una potenza utile economicamente attrattiva. Si noti che se la turbina non è posta con l’asse parallelo alla direzione del vento si avrà allora che la velocità normale al disco sarà ridotta di un fattore cosγ, dove γ prende il nome di angolo di imbardata. In questo caso, secondo l’eq. (1.2) la produzione di energia diminuisce con il cos3γ e così appare subito chiara l’importanza di un controllo accurato dell’orientamento della turbina rispetto alla direzione del vento. Questo deve essere fatto da un tipo di apparecchiatura di controllo meccanica che percepisce la direzione del vento ed automaticamente orienta in modo accurato la turbina nel vento. 1.3 CARATTERISTICHE DEL VENTO L’energia del vento è legata al movimento di masse d’aria che si spostano al suolo da aree ad alta pressione atmosferica verso aree adiacenti di bassa pressione, con velocità proporzionale al gradiente di pressione. Intensità e direzione del vento dipendono da un gran numero di fattori sia su scala locale che planetaria. Il principale è il maggiore irraggiamento delle zone prossime all’equatore rispetto ai poli. Poiché la superficie terrestre cede parte del calore ricevuto all’atmosfera sovrastante, l’aria calda equatoriale tende a salire in quota (fino a circa 10 Km) richiamando altra aria dai tropici e innescando così una circolazione di aria fredda dalle zone polari verso l’equatore, mentre l’aria calda si sposta nelle parti alte dell’atmosfera verso i poli. In assenza di altri fattori la circolazione dei venti assumerebbe l’aspetto rappresentato in figura 1. Figura 1: Circolazione dei venti sulla terra. 5 Uno di questi fattori è la forza d’attrito della superficie terrestre per vincere la quale la corrente dissipa energia, per cui l’aumento della velocità del vento con la quota dipende dalla “rugosità” della superficie lambita (fig.2); l’orografia che, in conseguenza della configurazione irregolare dovuta alla presenza di catene montagnose, causa una deviazione nella traiettoria del vento. L’energia eolica presenta caratteristiche molto interessanti: è molto diffusa, non è inquinante e ha, rispetto alla radiazione solare e all’energia geotermica, il vantaggio di rendersi facilmente disponibile sotto forma meccanica e quindi facilmente trasformabile in elettricità. La quantità di energia eolica disponibile è teoricamente grandissima; le stime più attendibili valutano che l’12% del flusso energetico solare intercettato dalla terra venga trasformato in energia del vento, dissipata in turbolenze e in attriti nell’atmosfera e sulla superficie terrestre. In particolare, circa un terzo della potenza posseduta dal vento, poco meno di un miliardo di megawatt, è dissipato in media entro il primo chilometro dell’atmosfera. Vale la pena di anticipare che direzione e intensità del vento nel nostro paese sono determinate soprattutto dai fattori climatici tipici dell’area temperata mediterranea, dalla sua posizione geografica, dalla sua forma allungata circondata dal mare (che fa prevalere il fattore termico tra terra e mare) e dalla tormentata orografia del territorio (che funziona spesso da barriera e talvolta da elemento incanalatore). Questi fattori fanno si che la quantità di energia disponibile entro i primi cento metri a partire dalla superficie terrestre (che è quella che interessa lo sfruttamento mediante macchine eoliche) in un paese come l’Italia sia molto inferiore a quella riscontrabile nei paesi europei che si affacciano sull’oceano. In ogni caso la possibilità di utilizzare l’energia del vento in modo economico è fortemente limitata dalla sua bassa concentrazione energetica (i valori medi annui di potenza per unità di superficie battuta dalle pale di un aeromotore raggiungono i 400-600 W/m2 nelle località più ventilate) e da una marcata irregolarità e incostanza sia su base giornaliera che annuale. Queste caratteristiche negative e, in particolare, la bassa densità energetica del vento, fanno si che gli impianti eolici debbano avere grandi dimensioni in relazione alla loro potenza e, 6 nello stesso tempo, debbano presentare una grande resistenza meccanica per sopportare le sollecitazioni indotte da venti eccezionali di notevole intensità. Figura 2: Lo “strato limite” dipende localmente dal tipo di superficie terrestre. 1.4 SVILUPPO DELL’ENERGIA EOLICA IN EUROPA E NEL MONDO Come si può osservare dal grafico di figura 3 l’energia eolica mondiale nel corso degli anni, in particolare dal 1993 al 2009, ha avuto uno sviluppo sempre crescente. Figura 3: Energia eolica nel mondo. 7 In particolare, si è constatato che alla fine del 2009 l’energia eolica presentava il suo massimo tasso di crescita proprio in Europa (fig.4). Figura 4: Ripartizione della potenza eolica mondiale alla fine del 2009. Per quanto riguarda appunto la sola Europa, le installazioni annuali di energia eolica dal 1995 al 2009 hanno subito delle oscillazioni come si può osservare in figura 5, con periodi di crescita alternati a periodi di calo. Solo nell’ultimo periodo si è avuto un sostanziale sviluppo dell’eolico. Figura 5: Installazioni annuali di energia eolica in Europa (MW). 8 In particolare, alla fine del 2009 gli stati europei che hanno dato il maggior contributo allo sviluppo dell’energia eolica sono stati la Spagna al primo posto e la Germania al secondo posto, mentre l’Italia si è classificata al terzo posto insieme alla Francia (fig.6). Figura 6: Distribuzione della nuova potenza eolica europea nel 2009. Si tenga presente, per avere un’idea, che in base alle esigenze europee 1 MW di potenza prodotta corrisponde all’energia elettrica sufficiente a soddisfare il fabbisogno di 750 abitazioni. Invece, per quanto riguarda le installazioni complessive europee dal 1995 al 2009, a differenza di quelle annuali, si è registrata una graduale crescita (fig.7). Figura 7: Installazioni complessive di energia eolica in Europa (MW). 9 Nello specifico, alla fine del 2009 le installazioni totali europee di energia eolica vedevano al primo posto la Germania, seguita al secondo posto dalla Spagna e al terzo posto da Italia e Francia (fig.8). Figura 8: Distribuzione della potenza eolica totale europea nel 2009. Quindi, come si può osservare, mentre la Germania ha investito maggiormente sull’eolico in passato in quanto presenta il maggior numero di installazioni complessive, negli ultimi anni è la Spagna ad aver impiegato finanziamenti sull’eolico. Per quanto riguarda l’Italia, l’eolico ha avuto sempre uno sviluppo crescente tra il 2000 e il 2008, come si può riscontrare dai dati forniti dal grafico di figura 9. Figura 9: Quadro italiano della produzione elettrica da fonte eolica dal 2000 al 2008. 10 L’obiettivo di incrementare la potenza eolica entro il 2020 fino a 230 GW, raggiungendo così il 14-18% del fabbisogno di energia elettrica, tenendo anche conto della domanda crescente. L’EWEA è la più importante associazione mondiale non governativa operante nel settore delle energie rinnovabili, raccoglie oltre 600 associati, tra questi le più importanti aziende europee costruttrici di turbine eoliche. Quindi, le installazioni annuali necessarie in Europa a partire dal 2008, per raggiungere i 230 GW entro il 2020, sono mostrate in figura 10. L’obiettivo dello sfruttamento della risorsa eolica è quello di produrre energia elettrica senza generazione di CO2, a differenza di quanto accade impiegando gas, carbone o oli vegetali. I paesi industrializzati hanno i seguenti impegni per la riduzione delle emissioni: protocolli di Kyoto (entro il 2012); obiettivi per il 2020 (Europa, Norvegia). Figura 10: Installazioni annuali necessarie in Europa. Vediamo ora quale parte di questa riduzione può essere raggiunta grazie all’eolico. Si consideri che gas, carbone e oli vegetali producono in media 666 gCO2/kWh. Per il 2012 la produzione di energia eolica è stimata attorno a 234 TWh (terawattora) con un risparmio di 91 Mt (megaton) di CO2, mentre per il 2020 si stima una produzione di 582 TWh con un risparmio di 333 Mt di CO2 (il megaton è un’unità di misura che non 11 appartiene al SI ed è frequentemente utilizzato per misurare l’energia emanata da una esplosione, un Mt è equivalente a 4,2 · 1015 J). Mentre, si tenga presente che per quanto riguarda gli obiettivi previsti per la riduzione delle emissioni si ha che: • l’obiettivo dei protocolli di Kyoto per l’Europa, negli anni 2008-2012, prevede una riduzione delle emissioni del 7,8% rispetto a quelle del 1990, corrispondenti a 450 Mt di CO2 all’anno; • l’obiettivo per il clima dell’Europa entro il 2020 prevede una riduzione delle emissioni del 20% rispetto al 1990, corrispondenti a 1160 Mt di CO2. Quindi, la CO2 che potrà essere evitata grazie all’eolico corrisponde al: 32% degli obiettivi di Kyoto per l’Europa, entro il 2012; 29% degli obiettivi per il clima dell’Europa per il 2020. 12 Sistemi di conversione dell’energia eolica L’energia del vento viene utilizzata mediante l’impiego di macchine eoliche (o aeromotori) in grado di trasformare l’energia eolica in energia meccanica di rotazione, utilizzabile sia per l’azionamento diretto di macchine operatrici che per la produzione di energia elettrica: in quest’ultimo caso il sistema di conversione (che comprende un generatore elettrico con i sistemi di controllo e di collegamento alla rete) viene denominato aerogeneratore. Il componente essenziale di un sistema di conversione dell’energia eolica è il rotore, costituito di un certo numero di pale fissate su di un mozzo e progettate per sottrarre al vento parte della sua energia cinetica e trasformarla in energia meccanica di rotazione. I tipi di rotore fino ad oggi ideati sono numerosi, in base alla loro disposizione rispetto alla direzione del vento le macchine eoliche possono essere classificate in tre grandi categorie: a) macchine ad asse orizzontale, parallelo alla direzione del vento, nelle quali la direzione del vento è perpendicolare al piano del disco intercettato dal rotore (fig.11) b) macchine ad asse orizzontale, posto di traverso al vento (fig.11, riquadro) c) macchine ad asse verticale, nelle quali l’asse del rotore è perpendicolare al terreno e alla direzione del vento (fig.12). Figura 11: Tipi di aeromotore ad asse orizzontale. 13 Figura 12: Tipi di aeromotore ad asse verticale. La maggior parte degli attuali sistemi adotta rotori ad asse orizzontale del tipo a), dato che questa configurazione è stata oggetto del maggior numero di programmi di ricerca e si trova perciò in uno stadio di maturazione tecnologica più avanzata, presentando così più alti rendimenti di conversione e costi minori per unità di potenza installata. Per questa ragione la descrizione dei componenti principali e della tecnologia impiegata farà in seguito riferimento, quando non esplicitamente richiamato, agli aerogeneratori ad asse orizzontale parallelo alla direzione del vento. 2.1 AEROGENERATORI AD ASSE ORIZZONTALE La tipica configurazione di un aerogeneratore ad asse orizzontale è schematizzata in Figura 13. Il rotore azionato dall’energia del vento è collegato tramite il mozzo ad un albero principale (albero lento) che ruota con velocità comprese tra 6 giri/min e 25 giri/min (a seconda della logica di funzionamento può ruotare a diverse velocità di rotazione). Attraverso un meccanismo moltiplicatore di giri (con rapporti di moltiplicazione da 40:1 a 50:1) la velocità angolare viene aumentata in modo che in uscita dal moltiplicatore si 14 abbiano circa 1500 giri/min (albero veloce) necessari al funzionamento del generatore. Il freno meccanico ha funzione di sicurezza, ad esso è sempre accoppiato un freno aerodinamico che consente la regolazione della potenza e l’arresto rapido. Il sistema di controllo collegato alla centralina anemometrica ed a tutti i sensori di bordo, agisce sulle pale del rotore per la regolazione della potenza e sul sistema di imbardata per orientare la navicella nella direzione del vento, allo scopo di mantenere l’asse della macchina sempre parallelo alla direzione del vento. Figura 13: Componenti di una turbina ad asse orizzontale. 2.2 AERODINAMICA DI UN AEROGENERATORE AD ASSE ORIZZONTALE Una descrizione qualitativa del funzionamento di un aeromotore risulta più immediata ricorrendo al paragone con l’aerodinamica di un aereo. Come è noto, una superficie avente sezione a profilo alare posta in un flusso d’aria è soggetta a una forza risultante avente due componenti: la portanza, perpendicolare alla velocità del vento, e la resistenza, parallela alla velocità del vento. Queste due forze 15 dipendono, tra gli altri fattori, dal tipo di profilo e, per ogni profilo, dall’angolo con cui il flusso d’aria investe l’ala. Negli aeroplani la portanza è la forza utile che sostiene il peso dell’aereo, mentre la resistenza è quella forza compensata dalla spinta di propulsione dell’aereo stesso. Analogamente, in un rotore eolico, ogni sezione della pala si comporta come un profilo alare posto in un flusso d’aria la cui velocità è data dalla risultante della velocità del vento naturale e dalla velocità del vento dovuto alla rotazione della pala stessa (pari, quest’ultima, e contraria alla velocità periferica di rotazione della sezione) (fig.14). La direzione e l’intensità del flusso d’aria risultante variano da un’estremità all’altra della pala, dato che la componente dovuta alla rotazione della pala varia con la distanza dal centro del rotore. Il vento risultante causa, come si è detto, una forza risultante la cui componente sul piano di rotazione partecipa al movimento del rotore mentre quella parallela alla direzione del vento sarà assorbita dal sostegno. L’insieme delle componenti utili di tutte le sezioni delle pale fornisce così l’energia meccanica sull’albero della macchina. Figura 14: Insieme di forze a cui è soggetto un elemento di pala di un aeromotore ad asse orizzontale durante la rotazione. 16 2.3 ANALISI DELLA TEORIA DELLA QUANTITÀ DI MOTO DI UNA TURBINA EOLICA L’applicazione dell’equazione della quantità di moto all’analisi delle turbine eoliche fu inizialmente proposta da Betz; essa si basa sulle seguenti ipotesi: Fluido incomprimibile Fluido inviscido Flusso irrotazionale Flusso stazionario Rotore con un numero infinito di pale (disco attuatore) Il disco attuatore si comporta come un ostacolo poroso: produce una perdita di carico causando una variazione di quantità di moto assiale. Per analizzare questa variazione si considera un volume di controllo (streamtube) fisso nello spazio e si studia la variazione di quantità di moto associata al flusso di massa che lo attraversa in direzione assiale (approssimazione unidimensionale, 1-D). L’analisi del tubo di flusso associato al moto dell’aria attraverso il rotore conduce alla considerazione che deve verificarsi necessariamente un’espansione della scia a monte del rotore stesso (fig.15). Infatti la variazione di quantità di moto, evidenziata dalla diminuzione di velocità dopo il rotore, non può essere localizzata in un’unica sezione del tubo di flusso ma deve avvenire con continuità lungo di esso. La diminuzione di pressione statica è invece localizzata nella sezione del rotore, a valle il flusso recupera pressione fino al valore di flusso indisturbato. Figura 15: Tubo di flusso con le relative variazioni di pressione e velocità. 17 Dunque, come si può osservare dalla figura 15, l’ipotesi di disco attuatore porta a: • un progressivo aumento di pressione in ingresso al rotore; • una caduta di pressione in corrispondenza dell’uscita del rotore; • un successivo recupero, fino alla pressione del fluido indisturbato; • una progressiva diminuzione della velocità del fluido che attraversa lo streamtube. Più precisamente, indicando con V∞ la velocità iniziale del flusso indisturbato (fig.16), quando la vena d’aria si avvicina al rotore e viene rallentata, per il teorema di Bernoulli la somma della sua energia cinetica e della sua energia di pressione resta costante a monte e a valle del rotore. Pertanto, al diminuire dell’energia cinetica, in seguito al rallentamento, fino alla velocità (vi rappresenta la velocità indotta dalla presenza del rotore nella corrente indisturbata), in corrispondenza del rotore, l’energia di pressione aumenta rispetto al valore atmosferico finché la pressione raggiunge un massimo in corrispondenza del rotore stesso. La cessione di energia al rotore comporta una brusca caduta della pressione, che scende al di sotto di quella atmosferica. Quando la vena d’aria in questione si allontana dal rotore, la pressione risale al valore atmosferico a spese sempre dell’energia cinetica e la velocità raggiunge il valore minimo . Successivamente, per effetto dell’energia cinetica ceduta dall’aria imperturbata circostante, la velocità della vena d’aria torna al valore V∞. Figura 16: Variazione della velocità nell’attraversamento della turbina. 18 Tramite l’applicazione del principio di conservazione della massa, la portata massica, , attraverso il disco della turbina è: La variazione della quantità di moto del flusso attraverso il disco può essere collegata alla spinta dalla seguente relazione: Semplificando questa equazione si ottiene una relazione che esprime la spinta sulla turbina in funzione della velocità persa nella scia della turbina: La potenza in uscita dalla turbina può essere ottenuta effettuando un bilancio energetico per il sistema. Sostanzialmente, il lavoro compiuto sul flusso dalla turbina va a variarne l’energia cinetica, sempre assumendo che il fluido sia non viscoso, ovvero trascurando le perdite. Il lavoro svolto dalla turbina per unità di tempo, , è pari a: Si noti che la turbina compie un lavoro negativo sull’aria (cioè diminuisce la sua energia cinetica). Allora, la condizione di funzionamento in cui la turbina estrae potenza da una corrente di aria è nota come stato di mulino a vento, per ovvie ragioni. Ancora, questa condizione è definita di solito come mulino a vento frenante poiché la turbina in questo caso diminuisce o “frena” la velocità del vento. Questo significa che la potenza in uscita dalla turbina, cioè fornita al disco, è positiva e pari a: Sostituendo l’eq. (2.3) nell’eq. (2.5) si ottiene: da cui si ha che 16 è valido finché o . È evidente che il modello di flusso assunto in figura o in alternativa che . Se questo non è verificato allora c’è la possibilità che si abbiano due direzioni opposte di moto del fluido in prossimità del disco della turbina e non può essere definito un unico volume di controllo che comprenda i limiti del disco. Poiché la spinta non si conosce (o non è definita) a priori, conoscendo solo V∞ non è possibile prevedere le prestazioni della turbina in funzione di un 19 determinato valore di , in quanto questo non è calcolabile (si sa solo che è pari alla metà di w). Dunque, nell’analisi delle turbine eoliche si è soliti definire un rapporto d’induzione a, mediante il quale è possibile descrivere la velocità in corrispondenza del disco in funzione della velocità del vento indisturbato: Sarà evidente che maggiore è il valore di a più il flusso che attraversa la turbina è rallentato. La spinta e la potenza in uscita possono quindi essere calcolate come funzione di a. Infatti, combinando le eq. (2.1) e (2.6), e considerando la definizione di a e che , si ottiene: Mentre, dall’eq. (2.3) la spinta può anche essere scritta come: Nel caso delle turbine eoliche il rendimento è un parametro poco significativo visto che perde il consueto significato economico, essendo il fluido di processo gratuito. Il coefficiente di potenza è invece il parametro principale che descrive le prestazioni di una turbina eolica; esso è definito come: Il CP rappresenta l’efficienza del rotore in quanto esprime quanta potenza si riesce a produrre rispetto a quella “teorica” posseduta dalla corrente che investe il rotore; il suo andamento al variare di a è rappresentato in figura 17. Analogamente definiamo il coefficiente di spinta come il seguente rapporto: il quale anch’esso è rappresentato in figura 17. Tutti questi risultati sono validi solo se , cioè per cui le curve di figura 17 sono riportate in tratteggio per ; questo è il motivo . Derivando il coefficiente di potenza rispetto al fattore d’induzione, e ponendo tale derivata uguale a zero, si ottiene l’efficienza teorica massima: 20 Il massimo di CP dunque si otterrà per un valore di , in corrispondenza di tale valore si ottiene a cui corrisponde . Il valore massimo di CP rappresenta il limite teorico di massima sfruttabilità del vento secondo l’approccio monodimensionale, e prende il nome di limite di Betz o di LanchesterBetz; dunque si avrà che anche in teoria è possibile convertire solo il 59,3% della potenza disponibile. Nella pratica le turbine eoliche raggiungono valori di pari a circa il 66-83% dell’efficienza teorica massima, e questo avviene quando tali turbine operano nelle condizioni ottimali di funzionamento. Come appena fatto per CP , derivando l’espressione di rispetto ad a ed uguagliandola a zero si ottiene il valore di a in condizioni di massima spinta ed il valore massimo di : Il massimo di . dunque si otterrà per un valore di a cui corrisponde Figura 17: Andamento dei coefficienti di spinta e di potenza al variare di a. 21 2.4 CURVA DI POTENZA RAPPRESENTATIVA DI UNA TURBINA EOLICA La quantità di energia prodotta da una turbina eolica in funzione della velocità del vento è ovviamente di primaria importanza per la progettazione. Una rappresentazione della curva di potenza è raffigurata in figura 18 per un diametro della turbina di 47 m che produce una potenza elettrica nominale pari a 0,66 MW e ruota a 28,5 giri/min. Figura 18: Curva di potenza di una turbina eolica Prima di tutto, si noti che esiste un valore di velocità al di sotto del quale la turbina non produce potenza (cut-in wind speed). Le soglie di cut-in sono variabili in funzione della taglia del generatore. Questo si ha, in parte, a causa della necessità di superare gli attriti meccanici nel sistema, che richiederanno una velocità del vento minima prima che la turbina inizi a produrre potenza utile. Inoltre, ci sono delle perdite aerodinamiche da superare che derivano dalla viscosità dell’aria. Come si può notare la potenza di uscita aumenta rapidamente all’aumentare della velocità del vento ed è essenzialmente proporzionale a , come ci si aspetterebbe dall’eq. 1.1. Quindi, all’aumentare della velocità del vento corrisponde un progressivo aumento della potenza istantanea erogata dalla macchina, fino al raggiungimento della velocità nominale 22 (rated wind speed), cioè della velocità del vento alla quale il generatore eroga la potenza di targa. La potenza erogata rimane costante fino alla soglia massima (cut-out wind speed) di velocità del vento tollerata dalla macchina. Oltre questa soglia, il generatore smette di produrre energia e si mette in sicurezza, ricorrendo a sistemi attivi o passivi di protezione, al fine di evitare danni alle componenti meccaniche. Le turbine sono dotate di sistemi frenanti , che provvedono a rallentare la velocità di rotazione del rotore, fino alla soglia massima di vento tollerata (cut-out wind speed). Oltrepassata la velocità di cut-off, la turbina smette di produrre energia e si mette in sicurezza attraverso: • il completo arresto del rotore oppure • il disallineamento tra l’asse del rotore e quello di rotazione della pala. I mini generatori utilizzano soprattutto quest’ultima soluzione, poiché si tratta di un meccanismo passivo che non richiede la presenza di dispositivi elettronici. Semplicemente, raggiunta la velocità di cut-off il rotore, grazie alla presenza di una “cerniera”, ruota verticalmente sul proprio asse; l’imbardata è la rotazione della turbina intorno al proprio asse verticale, indispensabile per posizionare il rotore secondo la direzione del vento. Il controllo dell’imbardata contribuisce anche a regolare la potenza prodotta. I due principali sistemi di controllo e regolazione dell’imbardata sono: • regolazione attiva dell’imbardata: le turbine di media e grande taglia sono dotate di un sofisticato servomeccanismo, regolato da un anemometro, che garantisce l’allineamento ottimale tra l’asse del rotore e la direzione del vento; • regolazione passiva dell’imbardata: per orientare la navicella in base alla direzione del vento, le turbine di piccola taglia sono dotate di un semplice timone (o banderuola) direzionale. Il sistema di controllo della potenza ha la funzione di ottimizzare la potenza erogata, al variare della velocità del vento. Esistono due tipologie di sistemi di controllo della potenza: controllo del passo: le pale sono realizzate in modo da poter ruotare intorno al proprio asse. Si tratta di una forma automatizzata di controllo, che aumenta o riduce 23 l’angolo di incidenza del profilo e modifica in questo modo l’efficienza aerodinamica delle pale; controllo di stallo: le pale non ruotano intorno al proprio asse, poiché sono vincolate al mozzo. Si utilizza quindi il disegno aerodinamico delle pale per il controllo della potenza, sfruttando l’insorgere dello stallo aerodinamico (ma solo per le turbine di potenza inferiore ai 100 kW) . Si tratta in ogni caso di un controllo della potenza di tipo passivo. Una rappresentazione più usuale della curva di potenza consiste nell’andare a tracciare su un grafico l’andamento del coefficiente di potenza CP in funzione del rapporto della velocità di punta, XTSR (tip-speed ratio), come rappresentato in figura 19. Il tip-speed ratio è definito come il rapporto tra la velocità tangenziale dell’estremità della pala e la velocità del vento incidente: dove è la velocità di rotazione dell’albero, mentre R è il raggio del rotore. Figura 19: Curva di potenza rappresentante l’andamento di CP in funzione XTSR. Si noti che l’efficienza aerodinamica raggiunge un picco quasi dell’85% del massimo teorico quando la turbina lavora alla sua velocità nominale. Inoltre, il picco dell’efficienza 24 è raggiunto per un intervallo di velocità molto ristretto (cioè per un unico XTSR) e questo è uno svantaggio nel caso in cui si utilizzino delle turbine con velocità di rotazione costante. 25 Codici BEMT Poiché la teoria del disco attuatore di Betz non è in grado di correlare la potenza estratta dal fluido con l’elemento meccanico che la estrae , ossia l’elica (è quindi impossibile caratterizzare la macchina in funzione: del numero di giri, del numero di pale e delle grandezze aerodinamiche generate dall’elica), si ricorre al metodo BEMT (blade element momentum theory). Il modello BEMT permette di calcolare la distribuzione radiale del fattore d’induzione a essendo noti i coefficienti aerodinamici (portanza e resistenza) per il profilo palare utilizzato, mediante la teoria dell’elemento di pala che rappresenta l’aerodinamica sezionale ed utilizzando l’equazione di bilancio della quantità di moto sugli anelli consecutivi del disco della turbina (basato dunque sulla teoria di Betz). Il principio di base è, certamente, che ogni sezione si comporta come un profilo bidimensionale, il che implica che i gradienti dei carichi lungo la pala (dalla radice alla punta) siano piccoli. Il BEMT, dunque, permette di chiarire l’analisi dei principali fattori che influenzano le prestazioni e il progetto di una turbina eolica. 3.1 MODELLO DELL’ELEMENTO DI PALA PER LE TURBINE EOLICHE Tale modello considera le pale della turbina suddivise in aree di lunghezza infinitesima come rappresentato in figura 20. Come detto nel paragrafo 2.2, ogni sezione della pala di un rotore eolico si comporta come un profilo alare posto in un flusso d’aria la cui velocità, U, è data dalla risultante della velocità del vento nel momento in cui attraversa il rotore, pari a del vento dovuto alla rotazione della pala stessa, , e dalla velocità y (pari, quest’ultima, e contraria alla velocità periferica di rotazione della sezione). Con riferimento alla fig. 20, l’angolo θ rappresenta l’inclinazione locale del profilo, ossia l’angolo che è formato dall’asse del profilo e il piano di rotazione della turbina; è l’angolo di afflusso, ossia l’angolo tra la velocità del flusso d’aria e il piano del rotore; ed infine α è l’angolo d’attacco, pari alla somma dei due angoli precedenti. L’angolo d’attacco dipende da y, a parità di ed , ed in particolare diminuisce all’aumentare di y. Poiché si vuole mantenere lo stesso valore di angolo d’attacco effettivo (quello di 26 massima efficienza del profilo) su tutte le sezioni, la pala di una turbina eolica è sempre svergolata geometricamente. Lo svergolamento geometrico viene fatto in modo da aumentare α (che tenderebbe a diminuire) verso l’estremità. Questo si ottiene incrementando l’angolo θ verso la punta della pala (rotazione oraria dalla base alla punta). Figura 20: Modello dell’elemento di pala per una turbina eolica. La risultante della portanza dL e della resistenza dD che agiscono su di un elemento infinitesimo della pala di spessore dy, sono: dove CL e CD sono i coefficienti di portanza e resistenza, rispettivamente; dy è la lunghezza dell’elemento di pala o della “striscia” in cui è suddiviso il piano del rotore (disco), mentre c è la sua corda che varierà con la distanza y dell’elemento dal centro di rotazione (mozzo). Come si può osservare si avrà che: 27 dove è pari alla velocità di rotazione dell’albero. La portanza dL e la resistenza dD operano perpendicolarmente e parallelamente alla velocità del flusso risultante, e dalla figura 20 è evidente che queste forze possono essere scomposte parallelamente e perpendicolarmente al piano del disco del rotore, ottenendo così: dove dFx è la forza utile per la rotazione, mentre dFz è la spinta trasversale. Il contributo dell’elemento di pala alla spinta, al momento torcente, e alla potenza sono quindi: Sostituendo le eq. (3.4) e (3.5) nelle eq. (3.6) si ottiene: Dunque, ad ogni elemento di pala corrisponderà un coefficiente di spinta elementare pari a: con , dove R è il raggio della punta della pala. Tenendo presente che , si ottiene: dove σ è la solidità locale, o della corda, e X è il rapporto di velocità della sezione locale, entrambi pari a: La solidità è il rapporto tra la superficie delle pale e l’area “spazzata” dal rotore. Si noti inoltre che . Dunque: 28 Procediamo in ugual modo per trovare il coefficiente di potenza elementare dCP, ottenendo: Sono appena state dimostrate le equazioni fondamentali per l’analisi della turbina eolica attraverso la teoria dell’elemento di pala. Tuttavia, per valutare CT e CP è necessario prevedere le variazioni dalla radice alla punta della velocità indotta vi (o del rapporto d’induzione a) così come i coefficienti della forza aerodinamica sezionale, CL e CD; questo perché come si è potuto studiare α=α(V∞, θ, vi), mentre vi = vi (r). Dunque, per una data turbina, dovrà essere nota la distribuzione radiale dell’angolo di calettamento θ; in più devono anche essere noti i valori di V∞ e . Quindi, per ogni elemento di pala, a partire da un valore iniziale di a, si deve calcolare dall’eq. (3.15), poi si calcola ed infine si leggono i valori di CL e CD dalle tabelle (che riportano tali coefficienti in funzione di α e Re); successivamente, mediante metodo iterativo si verifica che a sia convergente, altrimenti in caso contrario si continua ad iterare finché ciò avvenga. Possiamo calcolare ora la spinta elementare su un anello del disco della turbina mediante il bilancio della quantità di moto 1-D: 3.2 METODO BEMT PER TURBINE EOLICHE Poiché il metodo dell’elemento di pala, da solo, è di difficile implementazione si ricorre al metodo BEMT, il quale è un metodo ibrido tra la teoria della quantità di moto e la teoria dell’elemento di pala. 29 Per prima cosa si fanno delle semplificazioni sulle equazioni analizzate per la teoria dell’elemento di pala. La prima assunzione consiste nell’andare a considerare che l’angolo di afflusso sia piccolo, questo implica che e che . Dunque le equazioni (3.7), (3.8) e (3.9) diventano: . Mentre l’equazione (3.14) diventa: (3.22). Siccome è piccolo, questo implica che e dunque l’equazione (3.15) diventa: La seconda approssimazione è basata sul fatto che , e tenendo presente che è considerato essere piccolo, si ha che l’equazione (3.22) diventa: . La terza assunzione è che il flusso sia sempre attaccato al profilo. Questo implica la relazione lineare con , e quindi si può scrivere: indicante l’angolo d’attacco cui corrisponde portanza nulla. Utilizzando l’equazione (3.23), si ottiene: Assumendo che θ sia misurato a partire dalla direzione con portanza nulla, e inserendo la (3.26) nella (3.24) si ottiene: Ora, considerando che: Uguagliando queste ultime due equazioni si ottiene: 30 da cui il fattore d’induzione, a, ora può essere calcolato direttamente tramite la seguente formula: Una volta che il fattore d’induzione è stato determinato, può essere ottenuto integrando l’equazione (3.24): e andando ad integrare : Questo mette in evidenza il contributo (positivo) della portanza e il contributo (negativo) della resistenza per la produzione di potenza. Utilizzando l’eq. (3.23) si ottiene: Facciamo ora delle osservazioni sul design di una pala: a) torsione ideale: si può dimostrare che la “torsione della pala ideale” (cioè producendo la minore potenza indotta e quindi la maggiore estrazione di potenza efficiente) è ottenuta fornendo un fattore d’induzione, a, uniforme. L’eq. (3.30) dimostra che ciò accade solo se, per un dato valore di XTSR, il prodotto , cioè che ( è l’inclinazione della punta). b) controllo del calettamento delle pale: il calettamento della pala può essere variato con il rapporto della velocità di punta (e quindi della velocità del vento) per mantenere la potenza a livelli elevati per un range più ampio di condizioni operative. Nel caso di svergolamento ideale, nel quale CD è assunto essere costante e uguale a CD0 , ed a è distribuito uniformemente sul disco del rotore, dall’eq. (3.33) si ottiene che: 31 I risultati rappresentativi della BEMT sono mostrati nelle figure 21 e 22 per un rotore con una torsione ideale ed operante a differenti angoli di calettamento della pala. In questo caso bisogna tener presente che non sono considerate le perdite reali. Come si può osservare una leggera rotazione della pala intorno al proprio asse permette di estrarre energia per un range più ampio di velocità del vento; né ampie rotazioni positive, né negative consentono un’estrazione efficiente di energia. Figura 21: Coefficiente di potenza ottenuto in funzione del rapporto della velocità di punta per differenti angoli di calettamento. Figura 22: Coefficiente di spinta ottenuto in funzione del rapporto di velocità di punta per differenti angoli di calettamento. 32 La variazione della potenza generata in funzione del rapporto della velocità di punta per una turbina eolica è influenzata anche dal numero di pale. Se non si considerano le perdite reali, il comportamento risultante è come quello rappresentato in figura 23. Si noti che incrementando il numero delle pale (o la solidità) questo non incide sull’efficienza massima della turbina, ma incide sul rapporto della velocità di punta (o sulla velocità del vento) cui corrisponde la massima efficienza. Aumentando il numero delle pale o la solidità si riduce l’intervallo dei rapporti delle velocità di punta per il quale sono ottenuti valori di alti. Inoltre, molte pale o una elevata solidità danno una curva di potenza più ripida il cui massimo si ottiene per bassi . Questo, tuttavia, non è molto vantaggioso in pratica, per il fatto che le pale in queste condizioni si avvicinano allo stallo (velocità del vento elevate). Figura 23: Coefficiente di potenza ottenuto in funzione del rapporto della velocità di punta per differenti numeri di pale. Le tipologie di turbine più utilizzate sono le seguenti: 1. macchine tripala: sono la tipologia dominante sul mercato, sono preferibili in termini di prestazioni, in termini di stabilità dinamica del rotore ed in termini di impatto visivo. Infatti, a parità di potenza (stesso diametro) una macchina tripala ruota più lentamente di un bi o mono pala generando meno fastidio alla vista e minor inquinamento acustico. 33 2. Macchine bipala: presentano problemi al carico dinamico poiché quando la pala superiore sopporta il massimo carico, quella inferiore è sottoposta al carico minimo, subendo anche l’effetto di schermo della torre. Per questo devono dotarsi della tecnologia “teetering hub” (ossia necessitano di sistemi di contrappeso e bilanciamento dinamico durante la rotazione). Ruotano a velocità più alta del tripala generando maggiore impatto visivo e sonoro. Si risparmia il costo di una pala. 3. Macchine monopala: presentano tutti i problemi del bipala, sia di carico dinamico che di impatto ambientale, avendo una velocità di rotazione ancora maggiore di questo tipo di rotore. Si risparmia il costo di due pale ma è necessario inserire un contrappeso. Il differente impatto ambientale a parità di potenza è decisivo nella scelta. Questo spingerebbe verso macchine con un maggior numero di pale, in grado di ruotare più lentamente, partire ad una velocità del vento più bassa e fornire la massima potenza ad una velocità del vento più bassa, con riduzione modesta del CP. Aggiungendo le perdite viscose del profilo, tuttavia, si riscontra che i livelli di potenza estratta (che dipendono dal CP) decrescono con il numero di pale in quanto la solidità σ aumenta. Se, tuttavia, il numero di pale aumenta, ma la solidità rimane costante (ad esempio diminuendo la corda), i livelli di CP rimangono invariati. La figura 24 mostra come la potenza in uscita da una turbina eolica dipende dalla resistenza viscosa dei profili alari che compongono le pale della turbina. Chiaramente, la massima efficienza si ottiene per i profili alari con i coefficienti di perdita più piccoli, considerando che tutti gli altri fattori sono mantenuti costanti, ma questo è abbastanza ovvio. Per i numeri di Reynolds incontrati nelle turbine eoliche, la maggior parte dei profili alari tendono ad avere dei coefficienti di perdita compresi nell’intervallo (si tenga presente che CD dipende da α e Re) a meno che la finitura 34 superficiale sia degradata dall’erosione, da insetti morti, brina, o ghiaccio. Delle sezioni dei profili alari sono più sensibili a questi effetti rispetto ad altre. L’assenza di informazioni specifiche sulle caratteristiche delle sezioni dei profili alari, suggerisce dalle misurazioni l’uso di come assunzione iniziale per i primi studi sulla progettazione. Figura 24: Potenza ottenuta per una turbina eolica in funzione di XTSR, con differenti coefficienti di perdita viscosa. Non sono considerate le perdite di punta. La scia vorticosa prodotta alla punta della pala induce delle perdite addizionali e modifica il carico aerodinamico lungo la pala. Poiché la BEMT è una teoria strettamente bidimensionale, gli effetti tridimensionali devono essere trattati utilizzando delle correzioni. Un modo per stimare gli effetti indotti dalla punta è di usare la correzione della perdita di punta di Prandtl, il cui effetto può essere descritto utilizzando il fattore di correzione F: , dove mentre f è dato in funzione del numero delle pale e della posizione radiale dell’elemento, r, della pala mediante la seguente equazione: Se si considerano anche gli effetti delle perdite indotte alla radice, allora il fattore f è: 35 dove è la distanza della radice dal centro di rotazione, la quale rappresenta la mancanza di superfici aerodinamiche che producono portanza vicino al centro. Con l’inserimento degli effetti della resistenza della radice e della punta nella BEMT, il fattore d’induzione diventa: L’esame delle perdite di punta tende a favorire le turbine con un numero di pale maggiore (per una data solidità complessiva). Questo ridurrà la perdita di punta o gli effetti indotti perché la turbina si avvicinerà di più ad un disco attuatore ideale. Gli effetti separati della resistenza viscosa e delle perdite di Prandtl sulla potenza prodotta dalla turbina sono mostrati in fig.25. Si noti che entrambi i tipi di perdite non ideali tendono a diminuire la potenza prodotta (diminuzione dell’efficienza della turbina). Considerandole insieme, entrambe le perdite costituiscono il 15% della perdita di efficienza, che è chiaramente vicino ai risultati ottenuti in pratica per condizioni operative che non inducono nessuno stallo della pala. Figura 25: Andamento dell’efficienza in funzione di XTSR in funzione delle perdite. 36 3.3 EFFETTI DELL’INSTABILITÀ AERODINAMICA SULLA TURBINA EOLICA Bisogna tener presente che le turbine eoliche per la maggior parte del loro tempo operano in un campo di afflusso ambientale relativamente instabile. Gli effetti di instabilità aerodinamica che devono essere considerati per le turbine eoliche sono: velocità del vento variabile: l’esperienza suggerisce che il vento raramente soffia a velocità costante e, combinato con la bassa velocità indotta prodotta dalle pale eoliche, fluttuazioni modeste della velocità del vento possono cambiare significativamente l’angolo d’attacco sulle pale. Questo effetto si riscontra così in un mutamento nell’ampiezza e nella fase delle forze prodotte localmente sulle pale, confrontate con quelle che possono essere predette assumendo stati aerodinamici quasi stabili; gradienti di velocità del vento: le turbine eoliche operano in un’atmosfera di confine stratificata (strato limite) con gradienti di velocità notevoli (come visto in fig.2). Ciò produce un'altra causa di non uniformità nell’angolo d’attacco, con relativa instabilità delle pale; fluttuazioni instabili della velocità nel flusso di imbardata: variazioni ampiamente instabili nella velocità locale sugli elementi della pala potrebbero essere prodotte ogni volta che la turbina eolica è disallineata (imbardata) rispetto al vento. Questa è una situazione che si verifica frequentemente perché il meccanismo di controllo dell’imbardata solitamente non può seguire il vento con una buona accuratezza, assicurando così degli allineamenti perfetti per tutto il tempo; effetti della torre d’ombra: poiché durante la progettazione di una turbina è possibile la scelta di un rotore sopravento o sottovento (fig.26) rispetto al sostegno, per la seconda configurazione il transito della pala nella scia della torre o “ombra” comporta dei cambiamenti transitori dell’angolo d’attacco sugli elementi della pala. Questo effetto provoca anche periodiche variazioni della coppia motrice e quindi della potenza resa. I carichi risultanti della pala quindi non possono essere predetti accuratamente usando modelli quasi stazionari. Tali problemi provocano notevoli gradienti di velocità nell’afflusso. Un sostegno di opportuna snellezza può ridurre tali conseguenze negative; 37 Figura 26: Rotore sopravento e sottovento effetto d’ instabilità dell’induzione della scia: la presenza del rotore rallenta il flusso, creando una scia vorticosa e turbolenta a valle (fig.27). La presenza della scia si ripercuote su altri aerogeneratori eventualmente posti in prossimità per formare un parco eolico. La presenza di una scia vorticosa ed a basso contenuto energetico impone di distanziare le turbine collocate in un parco eolico (wind farm). Come si può osservare dalla figura 28 gli aerogeneratori (punti bianchi) sono distanziati di sette diametri nella direzione prevalente in cui spira il vento e quattro diametri nella direzione a questa perpendicolare. La perdita dovuta all’effetto “parco eolico” è quantificabile in circa il 2% della potenza di targa dell’intero parco. A causa di tutti questi fattori sembrerebbe che la BEMT non sia molto efficiente nel progettare l’aerodinamica di una turbina a causa del flusso fortemente non assialsimmetrico che si verrebbe a creare e della natura tridimensionale dei carichi alari sul disco della turbina. Tuttavia, nonostante le varie assunzioni e approssimazioni usate nella BEMT, studi convalidati hanno mostrato che può dare buone assunzioni preliminari sui carichi della turbina e sulle prestazioni della macchina. Ciò è molto importante per i 38 parametri del progetto di base che interessano le prestazioni della turbina, includendo i parametri geometrici della pala per la forma in pianta. Fig. 27: Effetto della scia vorticosa. Figura 28: Pianta di un parco eolico. 3.4 TURBINA EOLICA AD ASSE ORIZZONTALE IDEALE CON SCIA ROTAZIONALE Finora abbiamo utilizzato la teoria della quantità di moto, assumendo che non era impartita nessuna rotazione al flusso. L’analisi precedente può essere estesa al caso in cui la rotazione del rotore genera un momento angolare, che può essere connesso alla coppia del rotore. Nel caso della rotazione del rotore della turbina eolica, il flusso dietro al rotore 39 ruota nella direzione opposta del rotore, in reazione alla coppia esercitata dal flusso sul rotore. Un modello di tubo di flusso con corrente anulare, includendo la rotazione della scia, è rappresentato in figura 29. Figura 29: Tubo di flusso con scia rotazionale La generazione dell’energia cinetica rotazionale nella scia risulta in una minore estrazione di energia dal rotore di quanto ci si aspetterebbe senza scia rotazionale. In generale, l’energia cinetica addizionale nella scia della turbina eolica sarà più alta se la coppia generata è superiore. Quindi, le turbine eoliche a rotazione lenta (con bassa velocità rotazionale e coppia elevata) in pratica hanno più perdite di rotazione nella scia, delle macchine eoliche ad alta velocità con piccola coppia. Se si assume che la velocità angolare assegnata al flusso di corrente, ω,è piccola rispetto alla velocità angolare, , del rotore della turbina eolica, allora può anche essere assunto che la pressione sulla scia lontana è uguale alla pressione della corrente indisturbata. L’analisi che segue è basata sull’uso di un tubo di corrente anulare con un raggio y ed uno spessore dy, individuati in una sezione trasversale di area uguale a . La pressione, la scia rotazionale, e il fattore d’induzione sono tutti assunti come funzione del raggio. Se si utilizza un volume di controllo che si muove con la velocità angolare della pala, l’equazione dell’energia può essere applicata nelle sezioni prima e dopo delle pale per ricavare un espressione per la differenza di pressione attraverso le pale. Si noti che attraverso il disco di flusso, la velocità angolare dell’aria attaccata alla pala aumenta da a +ω, mentre la componente assiale della velocità resta costante. 40 La spinta risultante su un elemento anulare, dT, è: Un fattore d’induzione angolare (o circonferenziale), a’, è definito come: Si noti che quando la scia rotazionale è inclusa nell’analisi, la velocità indotta dal rotore consiste non solo della componente assiale, del rotore, , ma anche di una componente nel piano . L’espressione per la spinta diventa: In seguito della precedente analisi della quantità di moto, come si è visto, la spinta su una sezione trasversale anulare può essere determinata dalla seguente espressione che usa il fattore d’induzione assiale, a: Uguagliando le due espressioni per la spinta si ottiene: dove X è il rapporto di velocità locale. In seguito, si può ricavare un’espressione della coppia sul rotore applicando la conservazione della quantità di moto angolare. Per questa situazione, la coppia esercitata sul rotore, Q, deve essere uguale al cambiamento nella quantità di moto angolare della scia. Su un elemento di area anulare questo dà: Utilizzando la definizione del fattore d’induzione angolare, l’equazione (3.45) si riduce a: La potenza generata in ogni elemento, dP, è data da: In generale, un rotore non è della forma ottimale a causa di vincoli costruttivi. Inoltre, quando una pala “ottimale” lavora ad un rapporto di velocità di punta differente rispetto a quello di progetto, non è più ottimale. Quindi, le forme della pala devono essere progettate per poter essere facilmente fabbricate e per avere delle prestazioni globali in un ampio 41 campo di velocità del vento e del rotore, che si combinano tra loro. Considerando che le pale non sono ottimali, generalmente si utilizza un approccio iterativo. Questo consiste nell’andare ad assumere la forma della pala e predire le sue prestazioni, provare con un’altra forma e ripetere la previsione fino a quando viene trovata una pala adeguata. 3.4.1 Teoria della striscia per un rotore generico, includendo la scia rotazionale L’analisi della pala che include la scia rotazionale si fonda sull’analisi appena descritta. Qui consideriamo anche il campo non lineare della portanza in funzione dell’angolo d’attacco, cioè dello stallo. L’analisi parte con le quattro equazioni, della spinta e della coppia elementare, ricavate dalla teoria del bilancio della quantità di moto e dalla teoria dell’elemento di pala. In questa analisi, si è assunto che le distribuzioni della corda e dello svergolamento sulla pala sono note. L’angolo d’attacco non è noto, ma possono essere utilizzate le relazioni addizionali per calcolare l’angolo d’attacco e le prestazioni della pala. Le forze e i momenti derivanti dalla teoria della quantità di moto e dalla teoria dell’elemento di pala devono essere uguali. Uguagliando queste, si possono ricavare le condizioni per il progetto della turbina. Per il bilancio della quantità di moto assiale e angolare abbiamo già ottenuto, rispettivamente: Si avrà dunque, che i rispettivi coefficienti di spinta e di coppia saranno pari a: Per la teoria dell’elemento di pala, invece, abbiamo ottenuto: 42 Si tenga presente che, come in precedenza, il vento relativo è dato sempre dalla somma vettoriale della velocità del vento sul rotore, , e della velocità del vento dovuta alla rotazione della pala. Nel presente caso, in cui viene considerato il fattore d’induzione circonferenziale, quest’ultima componente è pari alla somma vettoriale della velocità sulla sezione della pala, y, e della velocità angolare indotta sulle pale per la conservazione della quantità di moto angolare, ωy/2, ovvero: La velocità relativa dunque può essere espressa nel modo seguente: e il relativo angolo d’inclinazione rispetto al piano del rotore sarà pari a: Quindi si avrà che le equazioni (3.52) e (3.53) potranno essere scritte come: I rispettivi coefficienti di spinta e di coppia sono pari a: Quindi, andando ad eguagliare tra loro le equazioni dei coefficienti di coppia (3.51) e (3.60), e dei coefficienti di spinta (3.50) e (3.59) si ottiene un sistema di due equazioni nelle due incognite a ed a’; tali valori verranno calcolati mediante un procedimento 43 iterativo. Questo procedimento consiste nell’iniziare ad ipotizzare i valori di a ed a’, da cui sono calcolate le condizioni di flusso e i nuovi fattori d’induzione. In particolare, si hanno le seguenti fasi: 1. Ipotizzare i valori di a ed a’. 2. Calcolare l’angolo d’inclinazione del vento relativo mediante l’equazione (3.56). 3. Calcolare l’angolo d’attacco e dunque CL e CD. 4. Aggiornare a ed a’ all’interno del sistema iniziale di due equazioni. Il procedimento è quindi ripetuto fino a quando i nuovi fattori d’induzione calcolati differiscono di una quantità piccola rispetto a quelli calcolati all’iterazione precedente. Quindi, come per il caso senza il fattore d’induzione circonferenziale si procede con il calcolo dei parametri relativi alla costruzione della curva di potenza. Inoltre, anche in questo caso bisogna tenere in considerazione la presenza delle perdite alla radice e alla punta delle pale, le quali continuano ad essere analizzate mediante il fattore di correzione di Prandtl. 3.5 PROFILI PER TURBINE EOLICHE Nel campo del regime di flusso attaccato, il comportamento del profilo è generalmente ben conosciuto, essendo questo il normale campo di funzionamento dei profili per uso aeronautico. Anche ai limiti del regime di flusso attaccato, quando inizia una separazione notevole, che conduce allo stallo, il comportamento aerodinamico del profilo è generalmente noto ed i dati relativi ad esso sono disponibili in letteratura. È soprattutto lo spessore del profilo che gioca un ruolo importante nel determinare il punto di inizio della separazione e la tipologia di stallo. Il regime successivo è di estrema importanza per i costruttori di turbine. Infatti i valori di portanza e resistenza prodotti in tale campo hanno un effetto preponderante sul “picco” di potenza che il rotore può produrre. Ad angoli di attacco ancora più alti, il comportamento del profilo si avvicina a quello della lastra piana: intorno a 45°, il coefficiente di portanza e quello di resistenza assumono pressoché lo stesso valore, mentre per angoli intorno a 90°, il coefficiente di portanza tende ad annullarsi. I profili usati per le pale di aerogeneratori in passato sono stati in genere NACA di tipo simmetrico per aerogeneratori ad asse verticale e di tipo asimmetrico per quelli ad asse 44 orizzontale. In una fase successiva sono stati sviluppati profili appositamente per turbine eoliche (NREL, SERI) e non di derivazione aeronautica. 3.6 TAGLIA DELLE TURBINE La potenza cresce linearmente con l’area del disco spazzato dalle pale e determina l’energia elettrica che il sito può produrre nell’arco dell’anno. La figura 30 mostra le dimensioni tipiche dei rotori eolici attualmente in commercio. Una tipica turbina accoppiata ad un generatore da 600 kW ha un diametro di circa 44 m. Raddoppiando il diametro, quadruplicherà l’area del disco spazzato e, nella stessa misura la potenza elettrica generata. Un generatore elettrico di grossa taglia richiede una maggiore potenza (quindi venti più forti) per essere mantenuto in rotazione. Pertanto, dovendo installare una turbina eolica in un sito a modesta ventosità, la resa energetica annua risulterà massimizzata impiegando un aerogeneratore di taglia modesta, in quanto sarà in grado di ruotare per più ore nell’arco dell’anno. Figura 30: Dimensioni tipiche dei rotori eolici. 45 Risultati numerici Ciò che faremo nel presente capitolo sta nell’andare a prevedere le prestazioni di una turbina eolica, basate sullo studio della teoria dei codici BEMT, mediante l’aiuto di un programma sviluppato nel linguaggio di programmazione FORTRAN90. Il programma Winstrip è stato realizzato dal Dr. M. Sergio Campobasso, lecturer presso l’università di Glasgow, con la quale l’Ateneo lucano ha attivato un accordo di cooperazione in ambito ERASMUS. Questo programma consiste nell’andare ad inserire dei dati di input, come ad esempio la velocità del vento in ingresso, la geometria della pala che si utilizza e il coefficiente di correzione di Prandtl, per dare in uscita i dati relativi alla costruzione della curva di potenza per quella determinata turbina che si sta considerando e funzionante per un dato range di velocità del vento. Esistono due diverse versioni del programma Winstrip, rispettivamente descritte nell’Appendice A.1 e A.2. L’una si basa sul modello BEMT che utilizza il solo fattore d’induzione assiale, mentre l’altra si serve dell’effetto combinato del fattore d’induzione assiale con il fattore d’induzione circonferenziale. Nel presente capitolo verrà effettuato un confronto fra i risultati ottenuti dalle due versioni al fine di valutare l’importanza del fattore d’induzione circonferenziale sulla previsione delle prestazioni della turbina eolica. La turbina oggetto dello studio ha un profilo palare NACA4413, un numero di pale pari a tre, una lunghezza palare di 6,04 m, ed una velocità di rotazione di 123,2 rad/s. Le pale sono state suddivise in 40 fasce (o strisce), mentre il campo di variazione delle velocità oscilla tra una velocità minima di 8,4 m/s ed una velocità massima di 17 m/s, con un numero di variazioni della velocità pari a 201. I grafici ottenuti considerando in uno il solo fattore d’induzione assiale, e nell’altro la combinazione tra il fattore d’induzione assiale e quello circonferenziale sono rappresentati in figura 31. Come si può osservare, l’andamento della curva di potenza ottenuta senza considerare il fattore d’induzione circonferenziale, a parità di velocità del vento, presenta dei valori di potenza maggiori rispetto alla curva in cui sono considerati sia il fattore d’induzione assiale che quello circonferenziale. 46 Questa differenza si ha proprio perché i valori della curva di potenza ottenuti con la seconda versione del programma tengono conto anche della presenza del fattore d’induzione circonferenziale e quindi, per logica, dovrebbero essere delle misurazioni più vicine alla realtà, e dunque minori a causa della presenza di maggiori perdite. Figura 31: Confronto tra le curve di potenza ottenute con le due versioni del programma. Se invece consideriamo l’andamento della curva di potenza ottenuta andando a rappresentare il coefficiente di potenza, CP, in funzione del rapporto della velocità di punta, XTSR, possiamo osservare dalla figura 32 che le due curve in prossimità del mozzo presentano un andamento pressoché simile, mentre, man mano che il rapporto della velocità di punta aumenta, il coefficiente di potenza relativo al caso ottenuto con la combinazione dei due fattori d’induzione, presenta dei valori più piccoli. 47 Figura 32: Curve di potenza ottenute andando a rappresentare CP in funzione di XTSR. Consideriamo ora l’andamento dei fattori d’induzione assiale, con e senza scia rotazionale, e del fattore d’induzione circonferenziale, al variare di r. Come si può osservare dal grafico di figura 33, in cui si è tracciato l’andamento dei fattori d’induzione per una velocità di 8,83 m/s, si è ottenuto che le due curve relative ai fattori d’induzione assiale presentano un andamento quasi uguale, poiché il fattore d’induzione circonferenziale è molto piccolo e dunque il suo effetto è poco rilevante. All’aumentare della velocità del vento, come si può osservare dai grafici delle figure 34 e 35, i fattori d’induzione assiale presentano dei valori sempre più piccoli poiché, come da definizione, questi sono inversamente proporzionali a V∞. Per quanto riguarda, invece, il fattore d’induzione circonferenziale, questo all’aumentare della velocità del vento presenta dei valori crescenti, soprattutto in corrispondenza della radice, mentre tende quasi ad annullarsi verso la punta della pala. 48 Figura 33: Andamento dei fattori d’induzione assiale e circonferenziale al variare di r, per una velocità di 8,83 m/s. Bisogna notare inoltre che all’aumentare della velocità del vento (fig. 34 e 35) i due fattori d’induzione assiale (con e senza scia rotazionale) presentano dei valori differenti in prossimità della radice, e in particolare a parità della distanza r il fattore d’induzione assiale che tiene conto della scia rotazionale presenta dei valori maggiori rispetto al fattore d’induzione assiale calcolato senza tener conto della scia rotazionale. Questa differenza nelle due curve si ha perché se si considera la presenza della scia rotazionale, come abbiamo detto nel paragrafo 3.4 la velocità indotta è composta oltre che da una componente assiale, , anche da una componente nel piano del rotore pari a , e dunque è maggiore in modulo. Quindi, siccome il fattore d’induzione assiale è direttamente proporzionale alla velocità indotta ( ), si avrà che di conseguenza quello che tiene conto della scia rotazionale risulterà essere maggiore a parità di r. E dato che, come abbiamo appena notato, il fattore d’induzione circonferenziale è maggiore verso la radice si avrà che per tale motivo le curve dei due fattori d’induzione assiale presentano uno scostamento maggiore in tale zona, il quale va appunto diminuendo verso la punta (dove la componente della velocità indotta nel piano del rotore tende ad annullarsi in quanto è direttamente proporzionale ad a’). 49 Figura 34: Andamento dei fattori d’induzione assiale e circonferenziale al variare di r, per una velocità di 13,34 m/s. Figura 35: Andamento dei fattori d’induzione assiale e circonferenziale al variare di r, per una velocità di 16,09 m/s. 50 Conclusioni Il presente lavoro di tesi ha avuto come obiettivo il confronto della distribuzione radiale dei fattori d’induzione assiale calcolati utilizzando due livelli di approssimazione: quello più semplice utilizza il solo fattore d’induzione assiale, mentre una successiva approssimazione consiste nell’introdurre anche quello circonferenziale. Tutto ciò è stato possibile grazie all’utilizzo di un programma che si chiama Winstrip, scritto in FORTRAN90 e realizzato dall’ingegnere M. Sergio Campobasso, docente presso l’università di Glasgow. Tale programma si fonda sulla teoria del modello bidimensionale BEMT, e ne sono state realizzate due versioni, a seconda del livello di approssimazione utilizzato, in quanto una prima versione utilizza il solo fattore d’induzione assiale, mentre l’altra utilizza sia il fattore d’induzione assiale che quello circonferenziale. Mediante tale programma, oltre a poter confrontare l’andamento dei fattori d’induzione assiale lungo la pala, è stato anche possibile andare a confrontare le curve di potenza della turbina per i due livelli di approssimazione utilizzati. Come è stato detto, i risultati ottenuti sono basati su una teoria bidimensionale, che non tiene dunque conto degli effetti tridimensionali legati alla realtà. Nonostante ciò, però, tale teoria permette comunque di ottenere un buon livello di approssimazione per la previsione delle prestazioni delle turbine eoliche ad asse orizzontale, tant’è vero che la progettazione di tutte queste macchine è basata sui risultati ottenuti da tale teoria. Lo studio fatto in questa tesi ha permesso dunque di poter conoscere i principi di base sui quali si fonda la progettazione delle turbine eoliche, che ricordiamo, sono macchine che trasformano l’energia cinetica posseduta dal vento in energia utile, di solito sotto forma di energia elettrica. Quindi, poiché le turbine eoliche sfruttano l’energia del vento, la quale è un’energia rinnovabile, e pulita, derivante dal Sole, non emettono CO2 in atmosfera e per tale motivo si spera che tali macchine in un futuro, non lontano, possano diventare una delle fonti di produzione di energia maggiormente utilizzate al mondo, per poter contribuire alla salvaguardia del nostro Pianeta. 51 Ringraziamenti Innanzitutto, un ringraziamento sentito va al professor Aldo Bonfiglioli, che oltre ad essere un uomo di grande esperienza e conoscenza, è soprattutto un uomo dotato di grande calma e disponibilità, ragione per cui lo stimo sia come professore che come uomo. Un ringraziamento particolare va anche al professor M. Sergio Campobasso, in quanto anche grazie al suo contributo è stata possibile la realizzazione della presente tesi, innanzitutto, per il programma da lui realizzato, ma anche per i suoi preziosi consigli. Infine, ringrazio i miei genitori per il sostegno e i sacrifici fatti durante questi anni e Marianna Reale per avermi sempre incoraggiato nei momenti più difficili del mio percorso di studi. 52 Appendice A.1 STRUTTURA DEL PROGRAMMA WINSTRIP Il programma Winstrip che viene utilizzato in tale paragrafo si basa sull’utilizzo del solo fattore d’induzione assiale, ed è strutturato nel seguente modo: Dichiarazione delle variabili. Lettura dei dati di input mediante la subroutine rd_input, i quali vengono letti dal file “input.dat”. I dati di ingresso sono i seguenti: vinf_mn: velocità minima del flusso indisturbato; vinf_mx: velocità massima del flusso indisturbato; nvinf: numero di variazioni della velocità del vento, includendo vinf_mn e vinf_mx; nstrip: numero totale di fasce; instrip_s: indice di partenza delle fasce da analizzare; istrip_e: indice finale delle fasce da analizzare; omega: velocità di rotazione (rad/s); rho: densità dell’aria (kg/m3); mu: viscosità; gamma: rapporto tra i valori dei coefficienti a pressione costante e a volume specifico costante; rair: 287 J/(kg·K); tinf: temperatura dell’aria; rtip: raggio della punta; rhub: raggio del mozzo; toler: tolleranza massima accettabile; pcorr: logica per decidere se utilizzare o meno la correzione di Prandtl; nb: numero delle pale; bladegeo: geometria delle pale; scalfac: fattore di scala; 53 twistoff: variazione della torsione della pala; tcorr: fattore di correzione della punta; rcorr: fattore di correzione della radice; tip_rad_coef: fattore di correzione delle perdite secondo Prandtl. Allocare in memoria i vettori e le matrici dichiarati precedentemente. Calcolo delle variazioni della velocità del vento; ciascun valore viene inserito all’interno del vettore “v_inf (ivinf)”, dove ivinf è un indice che va da 1 a nvinf. Lettura dei parametri geometrici della pala mediante la subroutine rd_bladegeo, che li legge dal file “bladegeo”. Questo file per ogni fascia riporta i valori di theta, del raggio, della corda, di dy e del tipo di pala utilizzato. Messa in scala dei parametri geometrici acquisiti precedentemente, del raggio della punta e del raggio del mozzo, mediante la subroutine scaleblade. Calcolo del rapporto della velocità di punta, XTSR, per ogni variazione della velocità del vento v_inf (ivinf). Dopo di ciò, per ogni valore di v_inf (ivinf) si analizzano le fasce (o anelli, o strisce), e per ogni fascia si procede nel modo seguente: Inizializzazione dei seguenti fattori d’induzione assiali a destra e a sinistra delle pale: al = 0.10d0 ar = 0.43d0 Calcolo della solidità come: sigma = nb * chord (istrip) / pi / rtip. Lettura dei valori di CL e CD dal file “xtables”, i quali vengono estrapolati dalla lettura di tabelle che ne riportano i rispettivi valori in funzione dell’angolo d’attacco, α, e del numero di Reynolds. Calcolo del fattore d’induzione, a, per ogni fascia. Per fare ciò si utilizza un metodo iterativo, il quale permette di compiere fino ad un massimo di 10000 iterazioni; per ogni iterazione: Si calcolano: vi = al * v_inf (ivinf) v = v_inf (ivinf) – vi 54 phil = atan (v / (omega * r (istrip))) w = sqrt ((v**2) + ((omega * r (istrip))**2)) rel = rho * w * chord (istrip) / mu machl = w / sqrt (gamma * rair * tinf) alphal = (phil / pi * 180) – theta (istrip). Allo stesso modo, si avranno anche: vi, v, phir, w, rer, machr, alphar. Si eseguono quattro interpolazioni lineari mediante la subroutine bilipo. Di tali interpolazioni, due servono per calcolare i valori di CL, indicati rispettivamente con cl_l e cl_r, e le restanti due per calcolare i valori di CD, indicati rispettivamente con cd_l e cd_r. Tramite la subroutine resid si ricava una funzione denominata resid, pari alla differenza tra i coefficienti di spinta elementare, dCT, ottenuti dalla teoria 2-D della portanza/resistenza e del bilancio della quantità di moto unidimensionale, e la si pone uguale a zero, ottenendo rispettivamente le funzioni resr e resl. Si tenga presente che in questo passaggio vengono anche considerate le perdite alla radice e alla punta secondo la teoria di Prandtl. Si aggiorna il fattore d’induzione an come segue: an = al – (ar - al) * resl / (resr - resl) Si ricalcolano i valori precedenti come: vi = an * v_inf (ivinf) v = v_inf (ivinf) – vi phin = atan (v / omega * r (istrip)) w = sqrt ((v**2) + ((omega + r (istrip))**2)) ren = rho * w * chord (istrip) / mu machn = w / sqrt (gamma * rair * tinf) alphan = (phin / pi * 180) – theta (istrip) Si eseguono due interpolazioni lineari mediante la subroutine bilipo per poter ricavare i valori di cl_n e cd_n. Si calcola nuovamente la funzione, “resn” questa volta. 55 Se oppure allora: am (istrip, ivinf) = an alpha (istrip, ivinf) = alphan phi (istrip, ivinf) = phin cl (istrip, ivinf) = cl_n cd (istrip, ivinf) = cd_n dct (istrip, ivinf) = dctl mach (istrip, ivinf) = machn re (istrip, ivinf) = ren Se iter = 1000 allora compare la scritta “massimo numero di iterazioni raggiunto” e il programma esce dal do utilizzato per determinare il fattore d’induzione. Se allora al=an, altrimenti ar=an. Calcolo del coefficiente di potenza elementare, dcp. Vengono visualizzate le seguenti scritte: • fascia completata … (al posto dei puntini viene visualizzato l’indice di fascia); • per la velocità del vento … (al posto dei puntini viene visualizzata la velocità v_inf (ivinf)); • iter, istrip, r, dr … (al posto dei puntini vengono visualizzati i valori di iter, istrip, r (istrip), dr (istrip)); • a, phi, theta, alpha, re, cl, cd … Se poldat = 0 allora vengono rilasciate le seguenti memorie allocate in precedenza: • x_aoa_l, y_re_l, cldata • x_aoa_d, y_re_d, cddata Creazione della cartella di output e trascrizione dei risultati ottenuti durante l’esecuzione del programma in tale cartella. 56 Appendice A.2 STRUTTURA DEL PROGRAMMA WINSTRIP CONSIDERANDO IL FATTORE D’INDUZIONE CIRCONFERENZIALE Il programma Winstrip che viene utilizzato in tale paragrafo si basa sull’utilizzo contemporaneo, sia del fattore d’induzione assiale che di quello circonferenziale, e per il calcolo di tali fattori si utilizza un procedimento iterativo basato sulla risoluzione di un sistema di due equazioni, come è stato descritto nella teoria, la cui soluzione viene calcolata grazie al metodo di Newton. Tale programma si differenzia dal precedente per i seguenti punti: Questa volta vengono inizializzati un fattore d’induzione assiale e uno circonferenziale, pari rispettivamente a: al(1) = 0.10d0 al(2) = 0.50d0 Tali valori corrispondono ai punti iniziali delle variabili indipendenti, che si considerano nel metodo di Newton. Calcolo dei fattori d’induzione assiale e circonferenziale, a ed a’, per ogni fascia. Per fare ciò si utilizza un metodo iterativo, il quale permette di compiere fino ad un massimo di 10000 iterazioni, basato sul metodo di Newton; per ogni iterazione: Si inizializzano le seguenti variabili: wax = v_inf(ivinf) * (1 – al(1)) wcrc = omega * r(istrip) * (1 + al(2)) phil = atan(wax / wcrc) w = sqrt(wax**2 + wcrc**2) rel = rho * w * chord(istrip) / mu machl = w / sqrt(gamma * rair * tinf) alphal = phil / pi * 180 – theta(istrip) Si eseguono solo due interpolazioni lineari mediante la subroutine bilipo per calcolare i valori di cl_l e di cd_l. 57 Mediante la subroutine resid si calcola il vettore resl composto dagli elementi resl(1), che indica la funzione data dalla differenza dei coefficienti di spinta elementare calcolati con la teoria della quantità di moto e con la teoria dell’elemento di pala, e resl(2), che indica la funzione data dalla differenza dei coefficienti di coppia calcolati anche questi con la teoria della quantità di moto e con la teoria dell’elemento di pala. Si tenga presente che tali funzioni sono calcolate in corrispondenza dei punti iniziali al(1) e al(2). Poiché per utilizzare il metodo di Newton bisogna avere a disposizione la matrice di Jacob, la quale è una matrice avente come righe le derivate parziali delle funzioni costituenti il sistema rispetto alle variabili indipendenti che nel nostro caso ricordiamo essere a ed a’, e poiché le derivate delle funzioni a nostra disposizione sono di difficile risoluzione si procede andandole a calcolare mediante la definizione di rapporto incrementale. Una volta nota la matrice Jacobiana, mediante la subroutine inv_jac se ne calcola l’inversa. Si calcolano i nuovi valori di a ed a’, indicati rispettivamente con an(1) e an(2), e con tali dati a disposizione, dopo aver nuovamente calcolato i valori di CL e CD mediante interpolazione (indicati questa volta con cl_n e cd_n), si calcola il vettore resn, questa volta (sempre mediante la subroutine resid). Si calcolano i moduli dei vettori an e al, i quali vengono indicati rispettivamente come: modn = sqrt(an(1)**2 + an(2)**2) modl = sqrt(al(1)**2 + al(2)**2) Se allora: am(istrip, ivinf) = an(1) alpha(istrip, ivinf) = alphan phi(istrip, ivinf) = phin cl(istrip, ivinf) = cl_n cd(istrip, ivinf) = cd_n dct(istrip, ivinf) = dct1 58 mach(istrip, ivinf) = machn re(istrip, ivinf) = ren Se il numero delle iterazioni è uguale a10000 allora a schermo comparirà la scritta “arrivato al massimo numero di iterazioni” e il programma uscirà dal do utilizzato per determinare il fattore d’induzione. Se invece non è stato raggiunto il numero massimo di iterazioni, si sostituiscono i valori di al(1) e al(2) rispettivamente con an(1) e an(2). Una volta calcolati i fattori d’induzione si procede allo stesso modo del programma precedente. 59