Penelope
“…Così ragionerà l’ anima di un
uomo che è filosofo:essa riterrà
che,se è compito della filosofia
slegarla dal corpo,non debba poi l
anima stessa,finalmente slegata dal
corpo,restituirsi ai piaceri e ai dolori
e di nuovo consegnarsi alle loro
catene,e così fare il lavoro senza fine
di Penelope,che disfa e ritesse la tela.
Al contrario,messasi al riparo da
queste,seguendo il discorso
(logismos) e sempre trattenendo in
esso l essere suo,contemplando il
vero,il divino e ciò che non è
apparenza e di questo nutrendosi,in
tal modo l anima ritiene di dover
vivere finchè dura la vita,e,quando la
vita giunge alla fine,va allora verso
ciò che le è simile e congenere,libera
da ogni umano male…”
Platone,Fedone 84 a-b
Penelope (gr. Πηνελόπεια, ας, poi Πηνελόπη, -ης; lat.
Pēnĕlŏpe, -es) è una figura
della mitologia greca, Attese
per vent'anni il ritorno del
marito, partito per la guerra
a Troia, evitando di scegliere
uno tra i proci, nobili
pretendenti alla sua mano,
anche grazie al famoso
stratagemma della tela: di
giorno tesseva il sudario per
Laerte, padre di Ulisse,
mentre di notte lo disfaceva.
Avendo promesso ai proci che
avrebbe scelto il futuro
marito al termine del lavoro,
rimandava all'infinito il
momento della scelta.
“…Itaca, il mondo è per
Penelope la stanza del
tempo impenetrabile
dove sta con le ancelle…
Un luogo che è
radicamento e dimora:
lo stare presso di sé, un
appartenersi per così
dire assoluto che viene
prima, e anzi rende
possibile, il fare altre
cose a partire da lì…” (
Anna Cavarero,
Nonostante Platone)
Il tempo assurdo e la riva del mare
Il tempo di Penelope,ritmato al telaio,è
assurdo,sfugge ogni evento:esso è altro sia dal
tempo dell'azione degli uomini,sia dal tempo
della produzione domestica assegnata alle
donne. Questo tempo,scandito dal lavoro
infinito di Penelope,finirà con il ritorno di
Ulisse,e con esso finirà anche lei
stessa:Penelope è questo lavoro di disfare e
tessere. Ma fino ad allora esso non sarà mai
turbato dalle ragioni del mondo:la riva del
mare come limite, Penelope lascia che la
leggenda narri di guerre,dolori,furori,e fa della
sua stanza la sua leggenda, perchè il suo posto
è questo,non la sala dei discorsi degli
uomini,non il mare dell'azione.
La negazione dell'ordine patriarcale
Penelope lascia che Ulisse sia il campione dell'azione, e
lei quella del lavoro al telaio,ma tuttavia non si piega
al ruolo che Ulisse e la società in generale le ha
imposto. In un tempo in cui le donne si vedono
assegnare il loro ruolo,funzione,tempo e posto,
Penelope diventa figura che nega il luogo e il tempo
che le sono ascritti: lei tesse e disfa,vanificando il ruolo
che l'ordine patriarcale le assegna. Per esso infatti la
donna è tutta nel lavoro domestico,c'è interezza tra
corpo e pensiero, ma in Penelope quest'interezza si
trasforma in un'intelligenza aiutata dall'abilità
manuale. La metis di Penelope sta tutta nel suo lavoro
di tessere e disfare,non è separabile dal suo corpo né ha
influenze dal mondo esterno, e questa metis conosce la
situazione e la tiene in scacco.
come rilegamento dell'anima
Il tessere
Compito del filosofo è quello di
slegare l'anima dal corpo,per
loro l'assurdo consiste nel
tessere ciò che hanno
disfatto;per Penelope l'assurdo
consiste nel contrario,cioè nel
disfare ciò che ha tessuto. Il
lavoro di Penelope è
un'operazione inversa a quello
della filosofia. Lo scandalo,nel
gioco metaforico,non sta nel
fatto che ella disfi ciò che ha
tessuto,ma che ritessa ciò che ha
disfatto. E non è un caso che lo
scandalo appartiene ad una
donna: lo slegare l'anima dal
corpo appartiene alla filosofia,ai
discorsi degli uomini, il legarli
insieme appartiene alle donne.
Penelope si trova quindi
emblematicamente non a
disfare,ma a tessere.
Servetta
tracia
“…Quello stesso, o
Teodoro, che si racconta
anche di Talète, il quale,
mentre stava mirando le
stelle e aveva gli occhi in
su, cadde in un pozzo; e
allora una servetta di
Tracia, spiritosa e
graziosa, lo motteggiò
dicendogli che le cose del
cielo si dava gran pena di
conoscerle, ma quelle che
aveva davanti e tra i piedi
non le vedeva affatto…”
Le interpretazioni
“Servetta” è gentile traduzione
dal greco “schiava”,ma non
cattiva traduzione,infatti
servetta rimanda al mondo
quotidiano dei fatti terreni.
Questo personaggio viene
trasformato in una vecchia
maligna quando si vuole
sottolineare l'ottusità di coloro
che irridono alla filosofia, ma
viene sostituito da un sapiente
Egiziano quando,dal punto di
vista metafisico,si vuole
disprezzare il pensiero
taletiano. Blumenberg afferma
che il sesso della servetta è
casuale e ininfluente,e che
conta di più il fatto che ella sia
schiava,perchè ignorante,e
provenga dalla Tracia,la quale
evoca “lo sfondo di un mondo
di dei
estranei,femminili,notturni,cto
ni”.
Le cose che stanno dappresso e le
cose che sono
La servetta sta nel mondo della vita
ritenendolo vero e reale,ed è lontana dal
pensiero parmenideo che considera la realtà
apparenza. Il suo mondo è fatto di cose “che
stanno dappresso”,in basso,mentre quello
del filosofo è fatto di cose “che sono”,in alto e
in profondità. La servetta ride,non solo
dell'incidente di chi cade in un pozzo, ma
dell'impalcatura menzognera su cui poggia la
filosofia: le cose del mondo rimangono
nascoste alla filosofia, ma tuttavia non
scompaiono,e anzi la
ostacolano,trasformandosi in fatti duri,come
quel pozzo in cui cade Talete.
L'idea di uomo
L'idea di uomo,a differenza delle altre idee
platoniche,si comporta eccezionalmente:essa
contiene non solo gli uomini,ma anche le
donne. Queste sono uomini in cui sono capitati
corpi di sesso femminile,poichè hanno il
proprio essere nell'idea di uomo;ed è sempre
per questo che l'essere donna viene
considerato apparenza. Nell'idea di uomo si
perde non solo la singolarità dei viventi,ma
anche la differenza sessuale femminile,come
un suo specificarsi che depotenzia. Una donna
è un umano carente,in quanto,se l'essenza
dell'uomo è pensare (razionalità), un uomo a
cui capita un corpo sessuato al femminile vede
questa accidentalità materiale tradotta in un
depotenziamento della razionalità stessa.
Diotima
“… Dirò il discorso su
Amore che ascoltai una
volta da una donna di
Mantinea di nome
Diotima, la quale era
sapiente su ciò e su molte
cose. Consigliando gli
Ateniesi a fare sacrifici
ritardò l’epidemia di peste
di dieci anni e fu proprio
lei che mi ostruì sulle cose
d’amore. Tenterò dunque di
riportarvi, così da me solo e
per quanto ne sarò capace,
il discorso che lei fece a me
…” Platone, Simposio
Il Simposio
Nel Simposio di
Platone sei
personaggi
intervengono e
parlano dell’Amore,
tra cui Aristofane il
quale racconta il mito
degli androgini e
Socrate che riporta il
discorso della
sacerdotessa Diotima
Il mito dell’androgino
Vi era infatti un tempo in cui esistevano tre generi: Maschio, Femmina e
Androgino, che aveva entrambi i connotati. Aveva una forma rotonda,
perfetta, quattro gambe e quattro braccia e due teste. La spiegazione per
questi tre generi era che il maschio discendeva dal sole, la femmina dalla
terra e l’androgino dalla luna, che partecipa sia all’Idea del sole che della
luna. L’androgino era felice, poiché completo.
Ma Zeus e gli Dei erano gelosi della loro felicità, e si riunirono a
consiglio: non potendo annientarli come avevano fatto con i giganti, né
lasciarli vivere a quel modo, Zeus decise di spaccarli in due. Avrebbero
Da tempi remoti,camminato
quindi, è innato
uomini
il reciproco amore
eretti,negli
su due
gambe.
che li riconduce
alle umano
origini efuche
di due
cerca di metà
farne cercava
uno la
Ma quando
l’organismo
diviso
in esseri
due, ciascuna
solo risanando,
così,
l'umana
natura.
propria e cercavano
di tornare di
nuovo
insieme.
E quando una metà
moriva e l’altra restava in vita, questa ne cercava un’altra simile. Ma
morivano così di fame e accidia.
Zeus allora, impietositosi, trasferì i loro genitali sul davanti, così da
costituire per loro mezzo il processo di procreazione. In questo modo una
volta appagati gli uomini sarebbero tornati al lavoro, permettendo quindi
la sopravvivenza.
Aristofane considera
negativamente l’amore
eterosessuale anche se questo
assicura la continuità della
specie. Questo infatti
consegue alla punizione di
Zeus e si sostituisce a quel
generare in terra come le
cicale. Aristofane inoltre
esalta solo l’amore
omosessuale tra uomini che
si traduce in un generico
disinteresse per l’amore
femminile e in una
cancellazione della potenza
materna.
Dopo Aristofane
ecco che compare
Socrate che parla
dell’Amore
servendosi del
discorso della
sacerdotessa
Diotima, la quale
narra il mito di
Eros.
Amore è figlio della mortale
Penìa (= Povertà), che un
giorno, recatasi come
mendicante ad un banchetto
degli dèi, approfittando
dell'ubriachezza del dio
Pòros (= Espediente), riuscì
a rimanerne incinta. Così,
per parte di madre, Amore è
povero, squallido, miserabile,
ed ecco perché desidera
continuamente ciò che non
ha; ma per parte di padre è
audace, coraggioso, astuto,
stregone e ciarlatano,
disposto a tutto pur di
ottenere ciò che desidera.
Non è né mortale né
immortale, ed infatti di
continuo muore e rinasce.
Amore è un demone
A differenza degli altri filosofi che durante il
simposio avevano paragonato l’Amore a un dio
Socrate, e indirettamente Diotima, lo
paragonano a un demone, cioè a un mediatore
tra Dio e gli uomini. Amore infatti non può
essere un Dio perché è privo di bellezza ed è per
questo motivo che, come un filosofo, la cerca.
Amore è desiderio di immortalità
Inoltre Amore è “desiderio di possedere il
bene per sempre, ossia di essere felici e di
stare presso la bellezza”. Chi ama infatti
non desidera essere felice solo un istante
ma sempre. Amore infatti è definito
desiderio di immortalità. Diotima prosegue
il suo discorso dicendo che ci sono tre tipi
di amore.
Amore fisico
La natura mortale cerca con ogni mezzo di essere per
sempre, ossia immortale. E ciò sembra rendersi possibile
attraverso il generare, perché il generare lascia sempre
un giovane al posto di un vecchio. Non si tratta
evidentemente dell’immortalità del singolo ma di quella
della specie. Il partorire secondo il corpo è allora “un
espediente col quale il mortale partecipa
dell’immortalità”, si tratta però di una partecipazione
simbolica, perché il mortale muore e solo la specie si
perpetua attraverso il ciclo di nascita e morte.
Amore per la gloria
Tremendo è, per gli uomini, il desiderio di essere
ricordati e “ conquistarsi una gloria mortale che
duri per sempre”. Essi amano a tal punto
l’immortalità proiettata nel futuro della
memoria altrui da affrontare ogni rischio e ogni
travaglio, “a costo d morirci”, per conquistarsi
una fama imperitura. Quest’uomo bramoso di
gloria immortale è certamente Achille che preferì
morire in guerra e essere ricordato per sempre
piuttosto che salvarsi ma essere dimenticato.
Amore per il sapere
L’amante ascenderà, per gradi, dall’amare un
solo corpo ad amare la bellezza di tutti i corpi
belli, per poi amare come più preziosa la
bellezza delle anime, e soprattutto la bellezza
delle virtù e del sapere di cui le anime belle sono
pregne, fino a giungere, attraverso il mare
infinito della bellezza, all’idea del bello a cui
tendo la philosophia in quanto amore della
sapienza.
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