Trimestrale di Valtellina e Valchiavenna
T RIMESTRALE
DI
A LPINISMO
E
Trimestrale di Valtellina e Valchiavenna
C ULTURA A LPINA
T RIMESTRALE
N°9
N
°9 - ESTATE 2009 - EURO 3
I Laghi Azzurri e il
Pizzo della Casa
Sasso Manduino
Il grande scoglio
Passo
dopo passo
Divertenti
Le valli del torrente
Lesina
Ape
L'insetto di cui l'uomo
non può fare a meno
Valchiavenna
I Laghi Azzurri e il
Pizzo della Casa
Sasso Manduino
Il grande scoglio
Passo
dopo passo
Avventure di roccia,
uomini e acqua
Cormor
Cormor
La montagna nascosta
della Valmalenco
La montagna nascosta
della Valmalenco
Fiori e farfalle
Fiori e farfalle
Poesie e personaggi che
escono dal bozzolo
Poesie e personaggi che
escono dal bozzolo
Rapaci e erbe
Rapaci e erbe
Fauna e flora delle
nostre valli
Fauna e flora delle
nostre valli
Le tre valli
Le tre valli
Val di Campo, Val
Viola e Val Grosina in
mountain bike
Val di Campo, Val
Viola e Val Grosina in
mountain bike
Cavalcorto
Cavalcorto
Il siluro della
Valmasino
Il siluro della
Valmasino
Valle del Livrio
Valle del Livrio
Trekking sopra
Albosaggia
Trekking sopra
Albosaggia
il tetto dell'Alta Valtellina
VALCHIAVENNA
- BASSA VALTELLINA - VALMASINO - ALPI RETICHE E OROBIE - VALMALENCO - ALTA VALTELLINA
1
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Divertenti
L'insetto di cui l'uomo
non può fare a meno
Cima del Duca
Tredici Cime
C ULTURA A LPINA
Ape
Avventure di roccia,
uomini e acqua
Ricette, poesie, giochi,
leggende...
E
Le valli del torrente
Lesina
Cima del Duca
Inoltre
A LPINISMO
N°9
N
°9 - ESTATE 2009 - EURO 3
POSTE ITALIANE SPA - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE 70% DCB-SONDRIO
POSTE ITALIANE SPA - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE 70% DCB-SONDRIO
Valchiavenna
DI
Inoltre
Ricette, poesie, giochi,
leggende...
Tredici Cime
il tetto dell'Alta Valtellina
VALCHIAVENNA
- BASSA VALTELLINA - VALMASINO - ALPI RETICHE E OROBIE - VALMALENCO - ALTA VALTELLINA
1
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Editoriale
Beno
"Un amico, il compagno di cordata in mille avventure, uno di noi, non può essere vero!"
Mi sveglio al mattino e spero sia stato solo un brutto sogno,
di quelli che si fanno quando si mangia pesante, ma
se scorro l'album delle foto vedo che dal 7 maggio Fausto non c'è più, un incidente sulle montagne
di Lecco se l'è portato via e con lui anche parte della nostra spensieratezza.
Poche settimane fa, chiaccherando dopo l'ennesima ascensione, ci dicevamo:
"In soli tre mesi abbiamo provato più emozioni di quante un uomo provi nella sua intera vita.
Questa è la felicità, non abbiamo bisogno d'altro!"
E Fausto se n'è andato felice, col sorriso sul volto, senza neppure il tempo di dirci addio o di
rendersi conto di quel che accadeva mentre il sole lasciava il cielo alla luna.
Avevamo appena finito di correggere assieme il suo bel racconto sui monti Tatry, le vette slovacche
che amava tanto. Ho deciso di pubblicarlo, come avrei fatto se lui fosse ancora qui con noi.
2
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Estate 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Fausto, Mario e Andrea in vetta alla Cima di Rosso (m 3366)
durante la traversata da Ardenno (m 250) a Maloja (m 1800) del
14 e 15 marzo 2009 (foto Beno).
In copertina: il lago di Livigno visto dal Monte Parè
(15 luglio 2007, foto Roberto Moiola).
Ultima di copertina: Pulsatilla alpina in alta Val Caronno. Sullo
sfondo le cime di Caronno, Scais e Brunone (21 giugno 2008,
foto Fabio Pusterla).
1
Legenda
Spiegazione delle schede tecniche
Una breve e divertente spiegazione dei gradi di difficoltà (in “scala Beno”) che vengono assegnati
agli itinerari nelle schede sintetiche, così che possiate scegliere quelli a voi più congeniali. I gradi si
riferiscono al periodo in cui è stato compiuto l’itinerario, sono quindi influenzati dalle condizioni
del tracciato. Non sono contemplate le difficoltà estreme, che esulano dalle finalità di questa
rivista e dalle nostre stesse capacità. In DETTAGLI, invece, viene espressa la difficoltà in caso di
condizioni ideali del tracciato secondo la scala alpinistica convenzionale.
Le schede sintetiche sono anche corredate da indicatori grafici che vi permetteranno, a colpo
d’occhio, di valutare l’itinerario.
BELLEZZA
PERICOLOSITÀ
Quasi meglio il centro commerciale
Assolutamente sicuro
Carino
Basta stare un po’ attenti
Ne vale veramente la pena
Richiesta discreta tecnica alpinistica
Assolutamente fantastico
Pericoloso (è necessaria una guida)
FATICA
ORE DI PERCORRENZA
Ottimo anche per anziani non autosufficienti
o addirittura sprovveduti turisti di città. Ideale
per la camporella, anche per le coppiette
meno esperte.
Si comincia a dover stare
attenti alle storte,
alle cavallette carnivore
e nello zaino è meglio mettere
qualche provvista
e qualche vestito.
DISLIVELLO IN SALITA
Una passeggiata!
meno di 5 ore
meno di 800 metri
Nulla di preoccupante
dalle 5 alle 10 ore
dagli 800 ai 1500 metri
Impegnativo
dalle 10 alle 15 ore
dai 1500 ai 2500 metri
Un massacro
oltre le 15 ore
oltre i 2500 metri
Le scarpe da ginnastica
cominciano ad essere
sconsigliate (sono d’obbligo
abito da sera e mocassini).
E’ meglio stare attenti
a dove si mettono i piedi.
Vertigini vietate!
SU RADIO TSN
FM 101.100/97.700
BENO E GIORDI
ORE 7:45 - 8:45 - 11:15 - 12:45 - 18:45
WWW.RADIOTSN.IT
Itinerario abbastanza
lungo, ma senza
particolari difficoltà
alpinistiche.
E’ richiesta una buona
conoscenza dell’ambiente
alpino, discreta capacità
di arrampicare
e muoversi su ghiacciaio
o terreni friabili come
la pasta sfoglia.
E’ consigliabile una guida.
OGNI MARTEDÌ CON
Montagna divertente,
itinerario molto lungo
e ricco di insidie di varia
specie. Sconsigliato a tutti gli
appassionati di montagna non
esperti e non dopati.
E’ una valida alternativa
al suicidio. Solo per
persone con un’ottima
preparazione fisicoatletica e buona
esperienza alpinistica.
Servono sprezzo del
pericolo e, soprattutto,
barbe lunghe e incolte.
Le Montagne Divertenti
Trimestrale sull’ambiente alpino di Valtellina e Valchiavenna
Registrazione Tribunale di Sondrio n° 369
Editore
Beno
Direttore Responsabile
Maurizio Torri
Redazione
Alessandra Morgillo
Enrico Benedetti (Beno)
Roberto Moiola
Valentina Messa
Responsabile della fotografia
Roberto Moiola
Realizzazione grafica
Beno
Revisore di bozze
Mario Pagni
Hanno collaborato a questo numero:
Antonio Boscacci, Ambrogio Riva, Carlo Pelliciari, Carmen
Mitta, Dario Leusciatti, Enrico Minotti, Fabio Meraldi,
Fabio Pusterla, Francesco Avanti, Eliana e Nemo Canetta,
Fausto Pedrolini, Franco Benetti, Franco Cirillo, Gabriella
Morgillo, Gianfranco Lalli, Gianni De Stefani, Giordano
Gusmeroli, Giorgio Orsucci, Giorgio Palmieri, Gioia Zenoni,
Irene - Trattoria Malenca, Jacopo Merizzi, Josef Ruffoni,
Luca Bono, Luca Colzani, Luca Maspes, Luciano Benedetti,
Luciano Bruseghini, Manuela Vanotti, Marcello Di Clemente,
Marco Fransci, Marino Amonini, Matteo Gianatti, Matteo
Monti, Mario Sertori, Michele Comi, Pascal van Duin, Renzo
Benedetti, Riccardo Ghislanzoni, Ricky Scotti, Roberto Ganassa,
Rossano Libera, Sandro Sandonini, Silvio Gaggi, Viola Doddi .
Si ringraziano inoltre
Franco e Marina Monteforte, Anna Giannoni, Franco
Pinchetti, Ezio Gianatti, Nicola Giana, Mario Mafezzini,
Matteo Tarabini, Fabrizia Vido, Mirko Rosina, Johnny
Mitraglia, Serena Piganzoli, Eva Fattarelli, TeleUnica, CAI
Valtellinese, i famigliari degli operai che lavorarono al Pirola,
la Tipografia Bonazzi, tutti gli edicolanti che ci aiutano nel
promuovere la rivista e tutti gli sponsor che credono in noi e in
questo progetto.
Redazione
Via S.Francesco, 33 – 23020 Montagna (SO)
Abbonamenti per l’Italia
annuale (4 numeri della rivista):
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Beno di Benedetti Enrico
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Prossimo numero
21 settembre 2009
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Via Francia, 1
23100 Sondrio
Disegni Carlo Pelliciari / Dicle
Cartografia Antonio Boscacci, Beno, Matteo Gianatti e
Matteo Monti
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Contatti e informazioni
[email protected]
www.lemontagnedivertenti.com
La Voce dei Capannoni
Abbiamo deciso di dare all'allegato satirico La Voce dei
Capannoni una cadenza semestrale per riuscire a preparare
il lavoro al meglio. La prossima uscita perciò sarà allegata al
numero Autunno 2009 de Le Montagne Divertenti.
Continuate a mandarci i vostri testi su
[email protected].
4 -
LE
LE M
MONTAGNE
ONTAGNE DIVERTENTI
DIVERTENTI
Sommario
Speciali
d'Estate
Itinerari
d’alpinismo
Itinerari
d’escursionismo
Rubriche
71
95
6
Le Tredici Cime: il tetto dell'Alta Valle
8 Una cavalcata a oltre 3300 metri di quota
12 La Grande Guerra sulle Tredici Cime
15 La crisi del gigante bianco
45
49
Mountain bike: l'anelllo
delle tre valli
Sasso Manduino:
il grande scoglio
Itinerari di salita
19
76
Api e uomini
99
Artigiani: il restauratore
101
Flora della Valtellina:
piante erbacee estive
53
Cavalcorto: siluro di
Valmasino
82
87
Cormor: la montagna nascosta
Trekking in valle del Livrio
Il rifugio Caprari e il lago
Publino
104 Poesie e Personaggi:
parole e uomini di farfalle
106 Fauna della Valtellina:
acrobazie ad alta quota
Il mio Kima
Montagne in libertà
La luce dei Tatry
Passo dopo passo: le valli
del torrente Lesina
21 La vita sociale delle api
22 I nemici dell'ape
23 I prodotti dell'alveare
29
37
40
Valtellinesi nel mondo:
109 L'arte della fotografia:
foto glaciali
58
67
Valmalenco:
la due giorni del Duca
La storia del lago Pirola
88
Sul tetto della valle Spluga:
laghi Azzurri e Cima della
Casa
1 13
Le foto dei lettori
1 18 Giochi
120 Le ricette della nonna
Le Tredici Cime
Beno con Fabio Meraldi (Guida Alpina, tel. 328.7654564)
Sci alpinisti verso il Cevedale sullo sfondo il Gran Zebru' e il Rifugio
Casati (25 aprile 2009, foto Roberto Ganassa).
Tramonto sul Pizzo Tresero dal Rifugio Pizzini (01 maggio 2009,
foto Roberto Ganassa ).
Panoramica sulle Tredici Cime. Da sinistra: Punta Taviela, Cima di Pejo, Monte Giumella, Punta San Matteo, Cima Dosegù, Cima Linke, Punta
Pedranzini e Pizzo Tresero (7 agosto 2008, foto Riccardo Scotti).
Il laghetto delle Rosole con il ghiacciaio dei Forni, visti dal rifugio
Branca (10 agosto 2008, foto Roberto Moiola).
6
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Escursionista procede in vista del Gran Zebrù lungo il sentiero della Val
Cedec (3 luglio 2005, foto Roberto Moiola).
Estate 2009
Il Monte Tresero e la Punta San Matteo durante la salita alla Cima
Sobretta (12 ottobre 2003, foto Roberto Moiola).
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Prime luci dell’alba sulla parete Nord della Punta San Matteo
(12 agosto 2007, foto Roberto Moiola).
Le Tredici Cime
7
La traversata delle Tredici Cime
i
j
Il bacino del Ghiacciaio del Forno dal Colle Vioz (a, m 3502) al Pizzo Tresero visto dal Monte Confinale: Cima di Pejo (b, m 3549), Rocca Santa
Caterina (c, m 3529), Colle Cadini (d, m 3406), Punta Cadini (e, m 3521), Colle degli Orsi (f, m 3304), Monte Giumella (g, m 3594), Punta San
Matteo (h, m 3678), Cima Dosegù (i, m 3560), Punta Pedranzini (o, m 3599) e Monte Tresero (r, m 3594) [ndr. didascalia originale]. Foto anni '50
archivio CAI Valtellinese.
L
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
8
PARTENZA: Albergo dei Forni (m 2172).
ITINERARIO AUTOMOBILISTICO: Da Bormio si
prende la SS 300 e si raggiunge Santa Caterina
Valfurva (m 1734, 12.6 km), da dove si segue
la stretta strada asfaltata che, inoltrandosi nella
Valle dei Forni, conduce al parcheggio sottostante
l’Albergo dei Forni (m 2172). Dal 2005 il traffico
privato è regolamentato (transito estivo consentito
solo mattino e sera).
ITINERARIO SINTETICO: Albergo dei Forni
(m 2172), Rifugio Pizzini (m 2700), Rifugio Casati
(m 3254), Monte Cevedale (m 3769), Monte Rosole
(m 3536), Palon de la Mare (m 3685), Monte Vioz
(m 3645), Punta Taviela (m 3612), Cima di Pejo
(m 3549), Rocca Santa Caterina (m 3529), Punta
Cadini (m 3524), Monte Giumella (m 3594), Punta
San Matteo (m 3678), Cima Dosegù (m 3560),
Punta Pedranzini (m 3599), Pizzo Tresero (3594),
Bivacco Seveso (m 3420), Rifugio Berni (m 2541).
LE MONTAGNE DIVERTENTI
TEMPO
DI PERCORRENZA PREVISTO:
dalle 12 alle 17 ore a seconda delle condizioni. Si
consiglia di spezzare la traversata in 2/3 giorni.
ATTREZZATURA
RICHIESTA: corda, piccozza,
ramponi, imbraco, fettucce, utile 1 chiodo da
ghiaccio.
DIFFICOLTÀ: 5- su 6.
DISLIVELLO IN SALITA: 3200 metri complessivi.
DETTAGLI: passaggi su roccia fino al III+ e pendii
glaciali fino a 45°.
Possibili punti d'appoggio: Rifugio Pizzini (m 2700),
Rifugio Casati (m 3254 - nei periodi di chiusura:
Bivacco Guasti), Rifugio Branca (m 2493) nella Valle
dei Forni, Bivacco Colombo al Monte Rosole (m
3435), Rifugio Mantova al Vioz (m 3535), Bivacco
Meneghello al Colle degli Orsi (m 3304), Bivacco
Seveso al Tresero (m 3420).
Estate 2009
a traversata delle Tredici Cime
è un viaggio che si snoda a
cavallo delle creste spartiacque che
collegano il Cevedale con il Tresero,
separando Lombardia, Trentino e
Alto Adige. Il tour offre una panoramica unica su uno dei maggiori
complessi glaciali d’Italia: dalla
Vedretta del Cevedale alla Vedretta
de la Mare, dalla Vedretta Rossa al
gigantesco Ghiacciaio dei Forni, di
cui le Tredici Cime sono la corona.
Dal punto di vista litologico il
gruppo Ortles-Cevedale è complessivamente uniforme. Le rocce
appartengono alle cosiddette austridi1 e presentano diversi gradi di
metamorfismo.
1 - Rocce appartenenti al vecchio continente paleoafricano sovraccorse al vecchio continente paleoeuropeo.
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Assieme all’Adamello, anche il
gruppo Ortles–Cevedale è stato
teatro della terribile Guerra Bianca,
la guerra della neve e dei ghiacciai
che vide un’occupazione delle alte
quote senza precedenti. Una battaglia contro un nemico spesso invisibile, contro condizioni ambientali
proibitive e temperature che in inverno scendevano regolarmente fino a
–20°; una lotta per la sopravvivenza
dove il numero maggiore di vittime
non lo fecero i proiettili, ma freddo,
fame e valanghe!
La traversata delle Tredici Cime,
lunga circa 17 km, si mantiene
sempre al di sopra dei m 3300,
e, pur non presentando difficoltà
elevate, data la lunghezza e il tipo
di terreno su cui si sviluppa, richiede un buon allenamento e dime-
stichezza con l’alta montagna. E'
un tragitto che non ha stagione ed
è adatto sia all'alpinismo che allo
scialpinismo.
Sebbene la prima cordata effettuò
l’intera traversata in un solo giorno (1893, poco più di venti ore),
è consigliabile suddividere in 2/3
giornate la performance.
I tratti più impegnativi sono la
discesa della cresta SO del Vioz e la
successiva risalita della cresta NE
della Punta Taviela, il superamento
della rocciosa Rocca Santa Caterina
(IV- attrezzato con catene) e infine
la discesa dal San Matteo, specialmente se c'è ghiaccio vivo.
Abbiamo deciso di presentarvi la
traversata nel verso Cevedale-Tresero, così da affrontare i tratti più
delicati in salita.
Le Tredici Cime
9
Speciali d'estate
Alta Valle
D
all’Albergo
dei
Forni
(m 2172), si percorre la lunga
sterrata della Val Cedec che porta al
Rifugio Pizzini (m 2700, ore 1:20).
Già da subito la vista è sorprendente:
a SE il Monte Pasquale con l’omonima vedretta che scende fino quasi al
fondo valle, mentre a S dominano il
Pizzo Tresero e la Cima San Giacomo.
Dalla Pizzini ci si dirige a NE e,
oltre la conca detritica, si serpeggia sul
ripido sentiero fino allo spartiacque
tra la Val Cedec e l'amplissimo altipiano della Vedretta del Cevedale, dove
si trova il Rifugio Casati (m 3254,
ore 1:40).
Dalla Casati si guadagna quota
gradualmente sul ghiacciaio (SE percorso in genere frequentatissimo
e ben battuto), mentre alle spalle si
delinea una visuale fantastica sul Gran
Zebrù. Poco sotto la cresta E della
montagna il ghiacciaio (attenzione ad
eventuali crepacci) assume pendenze importanti: si piega a dx (SO)
e si raggiunge il Monte Cevedale
(m 3769, ore 2).
Dal Monte Cevedale si scende il
facile pendio nevoso che conduce al
Passo di Rosole (m 3502), da cui in
breve si raggiunge per facili roccette la
punta settentrionale del Monte Rosole (m 3536).
Mantenendosi dapprima in cresta e
traversando poi sul versante orientale
della montagna per "marciume misto
neve" (II) si tocca la punta meridionale (m 3529) e in breve si arriva al
Bivacco Colombo (m 3485), quindi
per ghiacciaio si è al Col de la Mare
(m 3442, ore 1:10).
Si seguita verso S, salendo gli ampi
pendii nevosi che precedono l'elegante cresta nevosa che porta in vetta
al Palon de la Mare (m 3685, ore
0:40).
Scesi per le facili rocce della cresta
SE si arriva nei pressi di un torrione
roccioso, che si aggira sulla dx, imboccando un canalino che sfocia nel
ghiacciaio sottostante. Per la vedretta
si guadagna il Passo della Vedretta
Rossa (m 3405, ore 0:30).
Oltre gli ampi pendii glaciali della
larga cresta NNO del Vioz, si vincono
le roccette sommitali della montagna
(m 3645, ore 0:40).
La discesa al Colle Vioz avviene per
le rocce della cresta SO fino a un ripi-
10
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Scialpinista arriva al Rifugio Pizzini in Val Cedec (1 maggio 2009, foto Roberto Ganassa).
Scialpinisti sulla Zufallspitze (m 3757) (25 aprile 2009, foto Roberto Ganassa).
Scialpinista procede tra i seracchi nel gruppo delle 13 Cime (10 maggio 2009, foto R. Ganassa).
Estate 2009
do salto, in corrispondenza del quale
ci si porta sotto il filo e, con un traverso, si taglia il ripido versante roccioso
che dà sul Ghiacciaio dei Forni (II). Si
torna in cresta dove le difficoltà diminuiscono. Il Colle di Vioz (m 3300,
ore 1) appare dopo un traverso nevoso esposto sul fianco meridionale.
Eccoci al tratto più impegnativo di
tutta la traversata: la risalita all'anticima della Punta Taviela, un'arrampicata su terreno misto con via non sempre
chiara. Dal colle si sale la ripida cresta
per tracce e roccette (I). A circa metà
del pendio, inizia un’arrampicata su
rocce cattive (II, un passo attrezzato di IV- su uno strapiombino) fino
alla sommità dello sperone. Superata
l’anticima, si prosegue facilmente
per roccette sino alla Punta Taviela
(m 3612, ore 1). Scesa la larga cresta
NE si risale sino alla quota 3576, oltre
la quale si scende alla modesta Cima
di Pejo (m 3549, ore 0:20).
Una cresta di misto si abbassa all’intaglio di quota m 3470 e continua
rocciosa e sottile fino alla Rocca Santa
Caterina (m 3529, ore 0:20).
Dalla cima si perde quota verso S di
qualche metro e si incontra la catena
e gli scalini artificiali che agevolano la
discesa dal risalto sommitale (5 m). Si
perviene ad un intaglio dal quale ci si
abbassa per un diedro sulla faccia O
(II, 10 m). Grazie una serie di piccole
cengie si traversa sul versante O per
una sessantina di metri, per riguadagnare la cresta, ora più facile e pianeggiante. Toccata la quota 3501, si
raggiunge il Colle Cadini (m 3409,
ore 0:30). La Punta Cadini (m 3524,
ore 0:20) vien vinta per la nevosa
cresta NE e le facili roccette dell’edificio sommitale su cui, tra l'altro, si
snoda un incredibile camminamento
della Grande Guerra con caratteristica
scaletta in legno.
Ci si dirige ora per roccette e tratti
ghiacciati verso il Colle degli Orsi
(m 3304, ore 0:30), il punto più basso
toccato dalla traversata. In breve si è
al Bivacco Meneghello, da dove parte
la cresta E della Punta San Matteo. Il
filo nevoso si trasforma in un largo
dosso privo di difficoltà che porta
all’ampia sella alla base del pendio SE
della montagna. Facili rocce portano
al poco significativo Monte Giumella
(m 3594, ore 0:45), quindi, tornati
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Prime luci dell’alba sul Monte Tresero e la Punta Pedranzini (12 agosto 2007, foto R. Moiola).
Fioritura di eriofori nei pressi del laghetto al Passo del Gavia (9 agosto 2008, foto R. Moiola).
alla sella si risale il ripido pendio nevoso fino all’elegante Punta San Matteo
(m 3678, ore 1). Si segue la cresta
NO del San Matteo che si trasforma
presto in una rampa nevosa (45°) che
si adagia su un ampio pianoro. Aggirato un torrione sulla sx grazie a un
canalino spesso ghiacciato (45°, esposto), si traversa fino al colletto che sta
alla base della dorsale.
Il percorso diviene aereo e spettacolare: dopo aver toccato la Cima Dosegù (m 3560) e la Punta Pedranzini
(m 3599), porta alla bella piramide
del Pizzo Tresero (m 3594, ore 1).
La traversata è finita e bisogna scendere al Rifugio Berni. Ciò avviene per
la cresta SO (neve e rocce). Appena
possibile, ci si porta sulla Vedretta di
Punta Pedranzini (sx, E) e la si percorre senza grandi difficoltà a ridosso
della cresta stessa.
Lasciata sulla dx la depressione nevoso-detritica alla base della
cresta SO*, si raggiunge la lingua del
ghiacciaio, dove inizia il sentiero ben
segnalato che porta per il Vallone del
Dosegù al Ponte dell’Amicizia. Attraversato il Rio Dosegù, il sentiero esce
dal vallone e, passando per le praterie
della Valle del Gavia, conduce in circa
venti minuti di cammino al Rifugio
Berni (m 2541, ore 2:30).
In circa 3 ore a piedi o 20 minuti
d'auto si può chiudere l'anello scendendo per la Valle del Gavia fino a
Santa Caterina e risalendo ai Forni.2
2 - Ai Forni si può anche tornare più brevemente per
il ghiacciaio NE (itinerario scialpinistico), oppure,
valicata la depressione della cresta SO*, portandosi
per la Vedretta di Tresero alla cresta Segnale (Capanna Bernasconi) e, per il sentiero segnalato n. 25, al
Piano delle Marmotte quindi giù ai Forni.
Le Tredici Cime
11
La Grande Guerra sulle Tredici Cime
Eliana e Nemo Canetta
S
iamo all’Albergo dei Forni, uno
dei luoghi magici delle Alpi italiane, raggiunto a piedi o a dorso di
mulo già alla fine del XIX secolo dai
touristes, accompagnati dalle loro signore in gonna, crinoline e parasole.
La gita “avventurosa” per toccare il
vicinissimo Ghiacciaio dei Forni si imponeva, ma a quei tempi ormai tutte le vette che contornano l’immenso
bacino dei Forni e di Cedè erano già
state conquistate. Era la belle époque
negli alberghi di Santa Caterina la sera si danzava. Nonostante pesanti
nubi si approssimassero all’orizzonte,
specie sui Balcani, nessuno pensava
che di lì a qualche anno anche quelle montagne avrebbero udito il cannone.
R
imontando oggi da quello stesso Albergo dei Forni verso il rifugio del CAI Milano Pizzini-Frattola,
possiamo scoprire un ben più interessante itinerario se, invece di seguire la
polverosa stradella in estate zeppa di
escursionisti, ciclisti e fuoristrada, imbocchiamo più a monte la vecchia
mulattiera. Questa, salendo a ripide
svolte, tocca le Baite dei Forni e poi
prosegue a mezza costa, in vista del
poderoso costone indicato sulla IGM
come Monte dei Forni. Qui, alla quota 2547, è indicato il toponimo La Caserma. Attorno, ruderi di baracche e,
nei pressi di un blocco vicinissimo al
tracciato pedestre, una vera e propria
postazione di mitragliatrici. Ma guardando meglio, specie verso monte,
ci si accorge che la montagna è stata completamente lavorata dall’uomo. Per la precisione dai nostri Alpini
che qui stettero, dall’inverno del ’15
fino agli ultimi dell’ottobre del ’18, a
presidiare l’alta Valfurva: stiamo letteralmente superando la prima linea italiana. Se salissimo verso nord lungo
quel costone del Monte dei Forni, troveremmo sempre maggiori resti, compresi brani di reticolati che ancor oggi
testimoniano quegli anni terribili.
M
a non è questo lo scopo per
cui vi invitiamo a salire quassù. La caserma è uno dei belvedere
migliori per osservare lo spettacolare
anfiteatro che, iniziando dalla piramide del Pizzo Tresero, termina con la
mole massiccia e possente del Cevedale. Da queste vette, da questi colli
scende la colata dei Forni, un tempo
ritenuta il maggior ghiacciaio d’Italia
12
LE MONTAGNE DIVERTENTI
(oggi non sappiamo, in epoca di ritiro).
Ebbene anche queste vette furono
teatro di quella Grande Guerra che,
dallo Stelvio fino al Piave e poi al Golfo di Trieste, vide per l’ultima volta
affrontarsi italiani e austriaci.
Anzi, una delle vette più importanti
di questa costiera, il San Matteo, con i
suoi m 3678 vide quella che fu considerata la battaglia più alta della storia. In realtà nel Caucaso si combatté
durante il secondo conflitto mondiale addirittura sulle pendici dell’Elbrus,
ma non c’è dubbio che durante la
Grande Guerra, e comunque nelle Alpi, quello del San Matteo fu un limite
mai superato. E vale la pena di aggiungere che sul Gran Zebrù, la spettacolare cima che pur non facendone
parte chiude idealmente il cerchio di
rocce di ghiaccio attorno all’Albergo dei Forni, vi fu lo scontro di pattuglie più elevato del primo conflitto
mondiale: il sergente Nino dell’Andrino di Chiesa Valmalenco, comandante del piccolo posto sull’anticima,
respinse -praticamente da solo- l’attacco austriaco che voleva sloggiare i
nostri Alpini da quell’importante punto di osservazione su Solda e sulle retrovie del fronte glaciale. Uno scontro
ad oltre m 3800!
E
cco: i punti di osservazione.
Questo era essenzialmente lo
scopo dell’occupazione di tutte queste cime, come del resto delle loro
consorelle del massiccio dell’Ortles.
La guerra sulle Retiche, dallo Stelvio
fino all’Adamello meridionale, fu, salvo poche eccezioni (San Matteo o la
conquista dei ghiacciai dell’Adamello), una guerra di pattuglie, di tiri di
artiglieria contro le retrovie, le colonne di salmerie, le teleferiche. Ma per
tirare, l’artiglieria aveva (ed ha ancor
oggi) bisogno di osservatori. Oggi si
possono utilizzare le infinite tecnologie offerte dal mondo moderno: elicotteri e radar, aeroplani e satelliti.
Ma a quei tempi era l’uomo che, appollaiato su una cima o nascosto sul
campanile di una chiesa, dirigeva il tiro dei pezzi.
E’ quindi priva di fondamento la
teoria che queste conquiste fossero
fatte per uno stupido prestigio e quasi
per una gara tra i generali degli opposti eserciti. Soprattutto in montagna,
disponendo di truppe addestrate e
validissime ma assai scarse di nume-
ro, un’idea del genere sarebbe stata,
oltre che stupida, suicida. Può essere
che in qualche caso motivi, che allora venivano definiti “d’onore”, abbiano influenzato chi stendeva i piani
d’attacco o di difesa ma, soprattutto osservando i documenti dell’epoca, le lettere tra i comandi, gli ordini,
le relazioni, si ha l’impressione che da
parte italiana (ma immaginiamo che
gli austriaci la pensassero allo stesso
modo) l’unico scopo fosse di sigillare l’Alta Valtellina. Una cima, un costone, un colle in più o in meno non
contavano nulla in quest’ottica; salvo
che offrissero buoni posti di osservazione o che col loro tiro, disturbassero
gli osservatori del nemico.
T
uttavia l’occupazione di quella che al tempo era la cresta di
confine tra Italia e Tirolo avvenne
per gradi d’ambo le parti. Sia il Regio
Esercito che quello Imperiale, in zona
avevano truppe e mezzi assai scarsi e
questi erano concentrati nell’area dello Stelvio, ove la strada costituiva per
tutti un motivo di preoccupazione:
era l’unica possibilità di transito (relativamente) facile dal confine svizzero sino al Tonale. In conclusione il
Comando del Sottosettore Valtellina,
che aveva sede a Bormio, decise in
tutto e per tutto di presidiare con una
sola compagnìa (benché assai robusta
con oltre 300 uomini), tutta la Valfurva. In realtà solo le pattuglie percorrevano la Val Zebrù, la compagnìa era
concentrata a Santa Caterina ove il
villaggio con i suoi alberghi costituiva
un ottimo centro logistico, distaccando presidi ai Forni e al Passo di Gavia, ove ci si appoggiava all’omonimo
rifugio trasformato in un fortino, come del resto l’Albergo dei Forni. Da
quest’ultimo un ulteriore presidio era
spinto in avanti alla Capanna Cedeh,
oggi Pizzini-Frattola. Se pensiamo alla vastità dei luoghi, pur trascurando
l’importante Val Zebrù, ci rendiamo
subito conto di come quei 300 Alpini
avessero un compito veramente difficile e come sarebbe stato impossibile difendere la Valfurva se gli austriaci
avessero attaccato in forze dal Passo del Cevedale, da loro già occupato
addirittura prima della dichiarazione di guerra. In quelle condizioni per
i nostri, risalire il Ghiacciaio dei Forni
per andare a occupare qualche vetta,
era fuori questione. Non così per gli
austriaci, che da Pejo avevano un’ot-
Estate 2009
Un particolare di mappa Austro-ungarica della zona Ghiacciaio dei Forni - Tredici Cime (pendici del Palon de la Mare).
Si tratta di un raro reperto, risalente ai primi mesi del 1918, con indicate le posizioni austriache (in blu) e quelle presunte italiane (in rosso).
Nota curiosa: tutti segnavano (noi sino agli anni '80 del XX secolo) il nemico in rosso, l'amico in blu, per cui sulle "nostre" carte noi eravamo
quelli blu, gli austriaci i "rossi" (Kriegsarchiv Vienna).
tima mulattiera che saliva al Rifugio
Vioz, dal quale la vetta omonima era
a poche decine di minuti di cammino.
Il Monte Vioz sarà così uno dei primissimi punti in quota occupato dagli
austriaci, ottimo osservatorio su tutta
la conca dei Forni. Proprio sfruttando queste loro posizioni dominanti,
di fatto acquisite prima del conflitto, gli austriaci cercarono - se non di
occupare - certo di mettere in gravi
difficoltà i nostri piccoli presidi. Scendendo dal Passo del Cevedale attaccarono la Capanna Cedeh, che pur
fortificata era di fatto completamente isolata e con un esiguo presidio.
Le relazioni ufficiali non sono molto
chiare, ma parrebbe che i nostri si siano lasciati prendere un po’ dal panico
ritirandosi precipitosamente. Gli austriaci ne approfittarono per distrug-
LE MONTAGNE DIVERTENTI
gere completamente il rifugio, senza
però cercare di occupare l’area; infatti se ne ritornarono alle ben più solide
posizioni del Passo del Cevedale.
Il secondo attacco prese le mosse
proprio dall’alto bacino dei Forni: disceso il ghiacciaio, superati i posti di
guardia, grazie alla notte, gli austriaci investirono l’albergo. Ma qui gli Alpini del presidio tennero i nervi saldi e
aprirono un fuoco infernale che mise
in fuga l’avversario. Rimase sul terreno un sergente cortinese cui fu trovato in tasca un biglietto che inneggia
alla guerra dell’Austria contro l’Italia
traditrice.
Da allora la situazione finì per cristallizzarsi qui come un po’ ovunque
lungo il fronte alpino; solo qua e là
gli scontri ebbero realmente qualche
importanza. Naturalmente d’ambo le
parti si iniziò quella graduale conquista delle vette che aveva più difficoltà alpinistiche e logistiche che militari.
Gli austriaci, facilitati dai buoni sentieri che della valle di Pejo salivano
verso le Tredici Cime e dal Rifugio del
Lago Gelato, vicinissimo al Passo del
Cevedale, riuscirono in pratica ad occupare tutte le Tredici Cime, escluso
il nucleo Tresero-Pedranzini-Dosegù,
ove furono preceduti anche per facilità d’accesso (dal sottostante Passo Gavia) dagli italiani. Italiani che,
proprio allo scopo di evitare nuove
sorprese, all’Albergo dei Forni costruirono ridotte e trincee, sia sulle pendici
del Monte San Giacomo, che lungo la
parte inferiore della cresta sud ovest
del Monte Pasquale. Ancor oggi, sopra il Rifugio Branca (al tempo non
esistente) si trova una complessa e
La Grande Guerra e le Tredici Cime
13
Speciale ghiacciai
La crisi del gigante bianco
Riccardo Scotti
Questo scatto proviene dal fondo fotografico dell' Heeresgeschichtliches Museum di Vienna, il vasto ed assai ben tenuto Museo Militare che,
nell'antica capitale asburgica, ricorda i fasti militari dell'Impero. Immortala due soldati sciatori, in tuta bianca (per i tempi una vera novità) dopo
un pattugliamento nell'area del Cevedale .
pressoché intatta fortificazione, che meriterebbe di essere restaurata, sia
per la facilità d’accesso, che per la completezza delle opere.
Questa era la situazione alla fine del tremendo 1917: l’anno di Caporetto che, giusto osservarlo, parrebbe non aver avuto alcuna influenza
sul fronte retico.
Nel 1918 vi fu la battaglia del San Matteo. Questa vetta costituiva
un importantissimo punto di osservazione austriaco verso il Passo Gavia, fondamentale collegamento tra Valtellina e alta Valcamonica (basti
pensare che la strada fu realizzata proprio in quegli anni). Senza entrare in dettagli, basti qui osservare che l’attacco italiano fu un capolavoro
di tecnica, preparazione e determinazione e si concluse con perdite assai scarse. Ma qui l’Aquila Imperiale ebbe un ultimo scatto d’impeto: si
era ormai a settembre del ‘18 e nessuno pensava che il conflitto avrebbe potuto avere una conclusione diversa da quella che fu. E il comando
dell’esercito imperial regio non volle abbandonare quella cima forse per
quell’orgoglio cui abbiamo all’inizio accennato. I nostri non avevano fatto in tempo a fortificarsi adeguatamente, probabilmente vi fu qualche
errore nel non occupare il vicino Monte Giumella da cui partì il contrattacco asburgico. Sta di fatto che, dopo un bombardamento spaventoso
e mercé un attacco non meno determinato di quello eseguito del nostro
esercito, la cima fu ripresa dagli austriaci. In quella battaglia sparì letteralmente inghiottito dai ghiacci quel Capitano Berni volontario di guerra
che, giunto sulle nostre montagne come inesperto ufficiale, era divenuto uno dei migliori comandanti di alta montagna.
Eliana e Nemo Canetta, Storia della Grande
Guerra in Valtellina e Valchiavenna – Volume I –
Le premesse: dal 1815 al 1915, Edizioni Libreria
Militare, Sondrio 2008. E' un piacevole ed interessante
scritto che spiega, con linguaggio semplice,
le premesse alla Grande Guerra in Valtellina.
Un volume che non può mancare a nessun appassionato
di storia militare, ma neppure ai valtellinesi che
vogliono conoscere meglio la loro storia.
14
LE MONTAGNE DIVERTENTI
O
ggi sulle Tredici Cime stanno riaffiorando i ricordi di quegli anni di
ferro che ci paiono lontani e sfumati sebbene recenti avvenimenti, pensiamo ai Balcani, ce li abbiano bruscamente rammentati. Chi percorre quelle vette, chi sale ai colli che videro salire e discendere in tute
bianche gli sciatori austriaci e italiani, si ricordi di loro. Certamente oggi siamo tutti affratellati nell’Europa Unita, ma non per questo è giusto
dimenticare chi, in estate e in inverno, nella buona e nella cattiva sorte,
fece sino in fondo il proprio dovere.
Estate 2009
Il Ghiacciaio dei Forni in una immagine dell’agosto 1907 (foto archivio Corti - CAI Valtellinese) e la medesima inquadratura dell’agosto 2007 (foto
Vittorio Sciaresa). Evidentissimo l’arretramento superiore ai 2 km lineari della fronte e la perdita volumetrica complessiva.
I
l Ghiacciaio dei Forni, il più grande ghiacciaio vallivo italiano,
occupa la testata della valle omonima, tributaria del torrente Frodolfo.
Costituito da tre grandi bacini di alimentazione che generano altrettante colate che confluiscono a quota
2700, dove si sviluppa la lingua valliva, si presenta come un ampio emiciclo chiuso ad est, sud e sud-ovest
LE MONTAGNE DIVERTENTI
da una lunga cresta sulla quale, come
sentinelle messe a sorvegliare la poderosa massa di ghiaccio, si innalzano
le famose “Tredici Cime”.
Classificato come ghiacciaio vallivo a bacini composti, con i suoi 12.4
km² di superficie è secondo soltanto al Ghiacciaio dell’Adamello (17.8
km²), (SGL, 2001). Già descritto da
Antonio Stoppani nel “Bel Paese”
del 1876, grazie alla sua accessibilità, facilitata da oltre un secolo dalla
presenza del Rifugio dei Forni, è uno
dei ghiacciai più studiati d’Italia. L’altimetria delle vette di contorno, certamente non elevatissima in relazione
all’ampiezza del ghiacciaio, e il recente netto aumento delle temperature,
non controbilanciato da un parallelo
incremento delle precipitazioni nevo-
Ghiacciaio dei Forni
15
Speciali ghiacciai
La linea di equilibrio di un ghiacciaio
la lingua valliva è fase di rapida disgregazione e sono frequenti i fenomeni di collasso dovuti all’acqua di fusione che scorre fra ghiaccio e roccia
(30 giugno 2006, foto Riccardo Scotti).
se, ha provocato, a partire dalla seconda metà degli anni ottanta del XX
secolo, una fase di crisi acuta dell’apparato. Alcune buone annate di accumulo sul plateau orientale (fra il Palon
de la Mare, il Monte Vioz e la Cima
di Pejo), non sono state sufficienti a
contenere il disastroso arretramento della fronte (- 521.5 m dal 1987
al 2008).
Ancor più eclatanti degli arretramenti frontali sono le perdite di spessore dell’intero ghiacciaio registrate
negli ultimi anni. Sulla parte terminale della lingua valliva dopo il 2003
il ghiacciaio si abbassa ogni estate di
4-6 m. Ancora più preoccupanti sono i dati che provengono dal plateau
orientale dove la palina ablatometrica posta a m 3340 nei pressi del passo della Vedretta Rossa gestita da G.
Cola per conto del Servizio Glaciologico Lombardo, ha fatto registrare una perdita di spessore di 1.4 m
nel 2006, 1.5 m nel 2007 e 1.6 m nel
2008. Considerando perdite di spessore così consistenti ad una quota
che, fino a qualche anno fa, poteva
essere considerata di “equilibrio”*
per il ghiacciaio, nel 2008 sono state
posizionate due paline ancora più in
alto a m 3450 e m 3622 nei pressi del
Monte Vioz. I primi risultati dell’esta-
16
LE MONTAGNE DIVERTENTI
La probabile linea di equilibrio sul Ghiacciaio dei Forni al 30 agosto 2008 (foto G. Cola), nel settore occidentale del ghiacciaio (in primo piano) la
ELA raggiunge una quota più bassa rispetto al bacino orientale grazie agli accumuli valanghivi della bastionata che va dal Tresero al San Matteo.
La linea indicata è piuttosto indicativa poiché gli accumuli di neve residua sono molto irregolari ed anche al di sopra di tale quota sono presenti
importanti zone con ghiaccio vivo a vista e conseguente bilancio negativo. Se non ci si lascia ingannare dalla prospettiva appare evidente come sia
ben maggiore la porzione di ghiacciaio posta al di sotto della ELA con un conseguente bilancio negativo del ghiacciaio nel suo complesso.
I
l concetto di linea di equilibrio o ELA (equilibrium line
altitude) di un ghiacciaio è fondamentale per comprendere il suo stato di salute: la ELA può essere considerata come la linea immaginaria che unisce tutti i punti del
ghiacciaio che hanno fatto registrare un bilancio di massa stagionale di equilibrio (cioè dove non c’è accumulo di
neve vecchia ma neppure si è fuso ghiaccio). Semplificando, la ELA può essere riconosciuta al termine della stagione di ablazione (fine agosto - inizio settembre), come il
“confine” fra la porzione del ghiacciaio ancora coperta da
neve vecchia (quella che ha superato l’estate, non le effimere nevicate estive), ed il resto del ghiacciaio costituito
da “ghiaccio vivo” (generalmente posto alle quote inferiori). Se la ELA tende anno dopo anno a salire di quota il
ghiacciaio avrà bilanci di massa via via più negativi (come
sta accadendo negli ultimi anni) con conseguente arretramento della fronte; se invece la ELA tende ad abbassarsi
aumenta la percentuale di superficie con bilancio positivo
sul totale del ghiacciaio, il bilancio di massa diviene quindi
progressivamente meno negativo, per passare a positivo
quando la percentuale di copertura nevosa del ghiacciaio
raggiunge il 60-70% (Kaser & Osmaston, 2002). Se questa situazione perdura per più anni si potrà osservare una
avanzata della fronte.
te scorsa ci hanno mostrato, anche in
questo settore, delle perdite di spessore che ci testimoniano il gravissimo
stato di crisi di questo maestoso complesso glaciale. Le buone nevicate di
questa stagione di accumulo ci danno
qualche speranza per una stagione
2009 migliore rispetto ai disastri glaciologici degli anni passati ma, come
sempre, molto dipenderà dalle temperature estive.
Estate 2009
BIBLIOGRAFIA
Kaser, G., & Osmaston, H., (2002): Tropical Glaciers. International
Hydrological Series. UNESCO- IHP / Cambridge University Press;
SGL, (2001): Catasto dei Ghiacciai lombardi, inedito;
SGL, (2009): Campagna glaciologica 2008, settore Alpi Centrali italiane; a cura di Scotti, R., Toffaletti, A., Pagliardi, P., Bonardi, L., Terra Glacialis XII. SGL. 21-50.
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Servizio Glaciologico Lombardo
Terra glaciālis
12
Terra glacialis è una pubblicazione annuale che nasce nel 1998, oggi
al dodicesimo volume, edita dal Servizio Glaciologico Lombardo.
64 pagine interamente a colori, numerose immagini storiche e recenti
dei nostri ghiacciai, resoconto dei rilievi nivologici, meteorologici
e glaciologici del 2007/2008 raccontati con rigore scientifico, ma
sicuramente comprensibili a tutti.
Ghiacciaio dei Forni
17
Speciali d'estate
Api e uomini
Josef Ruffoni
“Con la scomparsa dell’ape, all’essere
umano non rimarranno più di quattro
anni di vita” affermava Albert Einstein,
non senza una certa lungimiranza.
18
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Estate 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Speciale apicoltura
19
Speciali d'estate
Le api e l'uomo
Ispezione degli alveari (13 aprile 2008, foto Fabio Pusterla). A pag. 19: l'alveare (foto Roberto Moiola).
L’
inquietante profezia del
grande fisico è in realtà
frutto di un lucido ragionamento e di un’attenta osservazione dei
cambiamenti cui il mondo è continuamente soggetto: niente api - niente impollinazione, niente piante, né
animali erbivori. E quindi, niente più
uomini.
Loro malgrado, le api sono anche
strumento di misura per capire l’entità di questi cambiamenti che loro
stesse subiscono.
Facciamo un esempio. Tra il 2006
e il 2007, l’inverno è stato particolarmente mite e con scarse precipitazioni: una stagione anomala rispetto alla
media delle temperature invernali.
Le famiglie di api, diffuse su tutto il
territorio italiano, hanno svernato
perciò nell’arco di poche settimane
modificando radicalmente il loro ciclo
naturale. Per rendere l’idea, è un po’
come se l’orso bruno andasse in letargo per una settimana invece che per
i soliti tre mesi. Se il freddo perdura
normalmente, i parassiti delle api si
riproducono più lentamente e non
attaccano le colonie. Il caldo anomalo
di quell’inverno, invece, ha permesso
20
LE MONTAGNE DIVERTENTI
uno sviluppo accelerato della Varroa
(acaro parassita delle api) che in breve
tempo ha decimato intere famiglie di
api, portando alla scomparsa, in alcuni casi, del 70/80% della colonia.
I danni registrati sono stati enormi
ed alcuni apicoltori hanno dovuto
chiudere.
Inutile dire, poi, che quando anche
l’uomo ci si mette, le conseguenze
possono essere anche peggiori.
La Varroa Destructor, infatti, non
era presente sul territorio dove vive
l’ape mellifera europea. Si suppone
che l’acaro sia stato in qualche modo
“importato” in seguito all’introduzione dell’ape mellifera in oriente, più
precisamente nelle Filippine.
Qui il contatto con la locale Apis
cerana, che da tempo conviveva con
il parassita, ha in pochi anni scaturito un processo d’ infestazione quasi
globale.
Le attività umane agricolo – industriali restano certamente le insidie
più grandi per la vita delle api.
In questi ultimi anni, soprattutto
negli Stati Uniti, è sempre più diffusa
la sindrome dello spopolamento degli
alveari (SSA, in inglese CCD, ovvero
La vita sociale delle api
L'ape regina con le sue damigelle (13 aprile 2008, foto Fabio Pusterla).
Colony Collapse Disorder). Le conseguenze di questo fenomeno riportano ingenti danni economici sia nel
comparto apicolo che in quello agricolo. La strage statunitense, ad esempio,
ha ridotto del 80% la produzione di
mandorle di cui gli USA sono sempre
stati grandi produttori.
Complici colpevoli di questa
sindrome sono i pesticidi, soprattutto
i neonicotinoidi, e l’introduzione di
colture OGM.
I neonicotinoidi, con cui ad esempio viene trattato su necessità il mais
perchè aggressivo nei confronti degli
insetti nocivi alle colture, causa danni
di tipo neurale alle api che non riescono più a tornare alle proprie arnie.
Per quanto riguarda gli OGM,
invece, le modificazioni genetiche di
cui anche le api risentono attraverso il
nettare dei fiori, favoriscono la diffusione di nuovi batteri patogeni e il più
delle volte letali.
Impossibile, infine, trascurare il
fattore inquinamento che porta le api
alla perdita del proverbiale olfatto,
impedendo loro di trovare i fiori dove
raccogliere la propria fonte di sostentamento.
Estate 2009
N
umerosi studi sono stati
svolti
sull’affascinante
mondo delle api. Uno
degli ultimi ha permesso di catalogare
tutta la sequenza del DNA di questo
fantastico insetto. Dopo il moscerino
della frutta e la zanzara anofele, l’ape
è il terzo insetto di cui si conosce l’intero genoma.
Se per la zanzara gli scienziati stanno cercando di capire come faccia a
convivere ed essere insieme veicolo del
plasmodio della malaria, l’attenzione per le api ruota attorno alla tipica
coesione sociale che caratterizza la
vita e l’attività di quest’insetto. Come
per l’essere umano, infatti, le colonie
d’api rappresentano un sistema sociale in cui il ruolo del singolo risulta
indispensabile per l’intera collettività.
In uno dei quattro studi che Scienze
dedica all’ape, si è notato, infatti, che
alcuni geni, totalmente assenti nel
moscerino della frutta, sono invece
compresenti nel DNA dell’uomo e
delle api, così come risultano comuni
i meccanismi che regolano le differenti sequenze dei geni stessi.
La colonia di api è formata da tre
soggetti: la regina, l’operaia e il fuco.
LE MONTAGNE DIVERTENTI
L
a REGINA è dedita alla deposizione delle uova (fino a 3.000
al giorno) e controlla attraverso il suo
feromone la coesione della famiglia.
Nel corso della sua la vita (circa cinque
anni) viene nutrita esclusivamente
dalle sue “damigelle” con pappa reale.
Si accoppia con più maschi, ma solo
una volta nell’arco della sua esistenza.
I
l fuco nasce da un uovo non
fecondo (è la regina che decide
se fecondarlo o no),
serve per l’accoppiamento con la regina
e per immagazzinare
temporaneamente il
nettare che l’operaia
gli rigurgita. Vive in
media uno/tre mesi e
muore subito dopo il
volo nuziale.
all’interno ed all’esterno dell’alveare,
tra questi citiamoli ruolo di bottinatrice, nutrice, ventilatrice, guardiana, ceraiola. L’ape operaia si occupa,
inoltre, di mantenere pulito l’alverare.
Il suo lavoro è costante, quasi frenetico, e il suo istinto di coesione e d’altruismo fa in modo che la famiglia
cresca sana e con abbondanti scorte
per superare i difficili mesi invernali.
Un’ ape operaia vive fino a sei mesi.
L
e
operaie,
invece,
sono
la colonna portante
della famiglia, sono
le più numerose e in
base alla loro età svolgono diversi compiti
L'ape guardia ferma l'ape bottinatrice e controlla l'effettiva
appartenenza alla famiglia e il carico trasportato (foto G.
Palmieri).
Speciale apicoltura
21
Speciali d'estate
I nemici dell'ape (testi e foto www.apicoltori.so.it)
Peste americana
Peste europea
La Peste Americana è la malattia degli alveari più temuta dagli
apicoltori. E' causata da un batterio, il “Paenibacillus larvae”. La
malattia si manifesta a carico della covata, le larve muoio con un
disfacimento particolare del tessuto. Le api adulte sono vettori della
malattia. Quando l’infezione della peste americana è già abbastanza
avanzata la covata si presenta non compatta ed irregolare.
La Peste Europea è una patologia a carico della covata determinata da
un insieme di batteri. Il principale responsabile del decesso delle larve
è il Melissococcus (Streptococcus) pluton, batterio non sporigeno
e Gram positivo piuttosto resistente (fino ad un anno). La sede di
riproduzione è l'intestino delle larve dove trovano un ambiente ricco
di anidride carbonica.
Varroa
Cretini ed invidiosi
S
La Varroa, autentico vampiro che ghermisce
soprattutto la covata, è un acaro che
indebolisce e riduce comunque anche la
durata di vita delle api adulte.
Un segnale di forte infestazione di Varroa
destructor è la presenza di api deformi, in
genere più scure per le molte punture subite e
con ali ridotte a moncherini.
A volte si possono scorgere varroe
“ammaccate” in modo tale da far supporre
che siano state afferrate dalle mandibole delle
api che hanno fatto opera di spulciamento
delle compagne.
LE MONTAGNE DIVERTENTI
ono considerati prodotto dell’alveare tutti quegli
elementi necessari all’alimentazione e al sostentamento della colonia, che l’uomo in parte è riuscito a
sfruttare e a elaborare.
E’ affascinante pensare come all’interno di un alveare le sostanze presenti
in natura vengano arricchite, modificate e infine trasformate, attraverso processi biologici, in prodotti le
cui proprietà risultano di gran lunga
superiori ai derivati chimici di fattura
umana: pensiamo agli zuccheri artificiali, agli integratori, agli antibatterici,
alle cere artificiali e ai conservanti.
Le api raccolgono il miele per il
sostentamento estivo e ne stoccano il
surplus per superare il rigido inverno.
La quantità di miele raccolta risulta
talvolta superiore alla reale necessità:
non è l’ingordigia a guidare l’attività
delle api, bensì l’esigenza di imporsi
un ragionevole margine di sicurezza. Nei paesi tropicali, infatti, dove
le fioriture sono presenti tutto l’anno, nessuna colonia si preoccupa di
prevedere scorte di miele per l’inverno e la raccolta risulta più equilibrata
nel corso delle stagioni. A differenza
dell’uomo, l’ape non chiede alla natura più di quanto abbia bisogno.
Purtroppo, anche nell’apicoltura
non sempre vengono osservati stili di
Versante retico
allevamento e comportamenti “etici”,
a favore invece di un bieco profitto
che basa le proprie radici nell’abuso di
prodotti chimici. Il miele viene spesso
“taroccato” su scala industriale, spesso
mescolando mieli di diversa provenienza. Fortunatamente non è questo
il caso della Valtellina, dove la maggior
parte degli allevatori non produce
grandi quantità e lo fa per lo più per
passione, garantendo un prodotto di
alta qualità. E’ consigliabile verificare
sempre la provenienza di ciò che si
acquista, soprattutto quando si tratta di pappa reale e unguenti, spesso
importati direttamente dalla Cina.
Il miele con le celle chiuse dalla cera (13 aprile 2009, foto Fabio Pusterla). Quando la covata si sviluppa richiede essenzialmente proteine e il polline
è il fattore proteico per eccellenza. Le api lo utilizzano puro, mischiato a miele, pappa reale e acqua per le larve adulte. Le larve più giovani, fino a tre
giorni di vita, sono alimentate solo con pappa reale, sostanza altamente proteica elaborata dalle api più giovani sovralimentate con polline.
MIELE
Il vandalismo è forse la peggiore patologia
che può colpire l'apicoltore e i suoi
allevamenti. L'invidia, la gelosia, la cattiveria
e la stupidità muovono la mano di persone
vigliacche che nottetempo portono danni
per il gusto di far del male al prossimo,
come colui che ha distrutto, con gas tossici,
l'apiario con 80 alveari di Cleto Longoni.
L'individuo non è riuscito ad uccidere tutti
gli alveari in una notte sola (solo 74!) e non
contento è tornato anche in quella successiva
per completare l'opera!
22
Prodotti dell'alveare
I Greci lo consideravano il “nettare
degli dei”.
Raccolto inizialmente in alveari
selvatici utilizzando metodi rudimentali che il più delle volte portavano
alla distruzione di numerose famiglie (queste pratiche sono purtroppo
ancora attive in alcune paesi dell’ Asia,
Estate 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
tra cui il Nepal), oggi il miele beneficia di tecniche via via più moderne e
attente alle colonie di api. Gli alveari
sono stati sostituiti dalle arnie e le api
sempre più addomesticate.
L’ ape operaia è la sola addetta al
raccolto: si muove di fiore in fiore,
attratta da profumi e colori che le
piante emanano attraverso i propri
fiori. In un corteggiamento che
dura da milioni di anni la simbiosi è
perfetta e il beneficio è per entrambi.
Le api, infatti, hanno sviluppato un
olfatto e una vista potentissimi che le
guidano nella loro danza. Recuperato
il nettare, nel gozzo dell’ape avvenSpeciale apicoltura
23
Speciali d'estate
polline
Tipi di miele
POLLINE
V
Le più importanti fioriture sul territorio valtellinese per le quali si può
riuscire a raccogliere un miele monofloreale sono:
MIELE DI ERICA
Sapore: forte floreale che ricorda
l'anice;
Proprietà: azione antireumatica,
antianemico ricostituente.
MIELE DI MUGO O GINEPRO
Sapore: aromatico tipico delle essenze montane;
Proprietà: particolarmente indicato
nelle affezioni respiratorie.
MIELE DI CASTAGNO
Sapore: intenso con retrogusto leggermente amaro;
Proprietà: favorisce la circolazione sanguigna, antispasmodico, astringente, disinfettante delle vie urinarie. Consigliato per
anziani e bambini.
Erica (foto G. Palmieri).
MIELE DI TARASSACO E MELO
Sapore: marcato, persistente, caratteristico, astringente;
Proprietà: diuretico, depurativo, azione benefica sui reni.
MIELE DI TIGLIO
Sapore: di mentolo, balsamico, molto persistente e tipico.
Proprietà: sedativo dei dolori mestruali,
calmante, diuretico, digestivo. Indicato per
le tisane espettoranti. Ha proprietà sudorifere. Contro l'insonnia e l'irritabilità.
MIELE DI TIMO
Sapore: intenso e persistente, molto
aromatico;
Proprietà: antisettico, calmante,
febbrifugo, tonico.
MIELE DI TRIFOGLIO
Sapore: intenso e persistente,
molto aromatico;
Proprietà: antisettico,
calmante, febbrifugo, tonico.
Trifoglio (foto G. Palmieri).
24
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Acacia (foto G. Palmieri).
La centrifuga per estrarre il miele
(foto G. Palmieri).
MIELE DI ACACIA
Sapore: delicato, di confetto, fine,
vellutato;
Proprietà: corroborante, lassativo,
antinfiammatorio per la gola, utile
nelle patologie dell'apparato digerente, disintossicante del fegato, contro
l'acidità di stomaco.
Estate 2009
Tiglio (foto G. Palmieiri).
Rododentro e, sopra, castagno (foto F. Benetti).
,
Melo (foto G. Palmieri).
Tarassaco (foto Palmieri).
gono i primi processi enzimatici che
trasformano il saccarosio in glucosio e fruttosio. Raggiunto l’alveare,
l’ape rigurgita il nettare già in fase di
trasformazione e le altre colleghe ne
completano il processo. Il miele viene
quindi depositato nelle cellette aperte
per garantire una forte disidratazione
(dal 90% di acqua sino al 17-22 %)
e successivamente chiuso ermeticamente con della cera. La presenza
di conservanti naturali e il processo
spiegato fin qui fanno in modo che il
prodotto si conservi a lungo… anche
nei nostri vasetti!
I principali componenti del miele
sono il glucosio, il fruttosio, l’acqua e il
polline, oltre agli acidi, ai sali minerali
e agli enzimi. Ad esclusione di pochi
casi, il fruttosio è sempre lo zucchero
presente in maggiori quantità. A lui si
deve, infatti, il maggior potere dolcificante e anche il prolungato effetto
energetico del miele (il glucosio viene
bruciato molto più velocemente).
Grazie alla sua caratteristica emolliente, il fruttosio risulta essere anche terapeutico per le mucose della bocca, per
l’esofago e per l’intestino. Aiuta inoltre a smaltire le sostanze tossiche dal
fegato ed è blandamente lassativo. Per
questi motivi, il miele risulta essere un
sostituto perfetto degli zuccheri più
complessi, utilizzati comunemente.
La cristallizzazione del miele non
deve preoccupare. Alcune tipologie cristallizzano prima, altre più
lentamente. Perché ritorni allo
stato liquido, è sufficiente scaldarlo
a bagnomaria finché si scioglie. Il
miele non è più commestibile, invece, quando fermenta. È consigliabile conservarlo in un luogo fresco e
asciutto, ma non in frigo.
miele
MIELE DI RODODENDRO
Sapore: molto delicato, leggermente
piccante in gola;
Proprietà: ricostituente, calmante dei centri
nervosi, utile per combattere l'artrite.
MIELE DI MELATA D'ABETE
Sapore: resinoso, di zucchero caramellato;
Proprietà: antisettico polmonare e delle vie
respiratorie.
Fioriture d'alta quota (foto F. Benetti).
Le raccolte monofloreali non sono sempre facili, a causa delle restrizioni che impongono il territorio e le stagioni. Alcuni apicoltori, ad
esempio, arrivano a praticare il nomadismo, trasferendo per poche
settimane i propri alveari in Brianza.
Non meno pregiato è il miele così detto millefiori, derivato dalla
raccolta di differenti nettari. Tra questi ritroviamo:
MIELE MILLEFIORI
Sapore: molto delicato, senza retrogusti particolari;
Proprietà: azione disintossicante del fegato.
LE MONTAGNE DIVERTENTI
iene raccolto a scopo nutrizionale per alimentare le larve di
fuco e operaie, misto a cera per opercolare le celle, dove le pupe si stanno
trasformando in un insetto completo. Resta attaccato al corpo delle api
grazie ai pelucchi sparsi sul corpo, che
incredibilmente sono carichi elettricamente. Poi l’ ape mentre è in volo li
spazzola e li convoglia in due piccole
sacche poste sulle zampe posteriori.
L’ apicoltore lo raccoglie ponendo
all’ ingresso dell’ arnia una grata forata dove l’ ape passa appena appena.
In questo modo le palline di polline
cadono poiché non riescono a passare
assieme all’ insetto. Appena il cassettino sottostante la grata è pieno, viene
raccolto, disidratato e invasettato.
Il polline d’api offre un’ampia
gamma di nutrienti essenziali necessari per proteggere la propria salute,
fra questi compaiono le vitamine del
gruppo B e la vitamina C che, essendo
idrosolubili, dovrebbero essere assunte
con regolarità.
Nel polline sono presenti le vitamine D, E, K e il betacarotene (la vitamina A). È una fonte ricchissima di
minerali (fosforo e calcio nella quantità 1:1), di enzimi e coenzimi, di acidi
grassi di origine vegetale e di carboidrati. Contiene anche proteine e 22
aminoacidi fra i quali quelli “essenziali” che il corpo non è in grado di
produrre autonomamente. Il polline
d’api contiene più nutrienti per caloria rispetto a qualsiasi altro integratore
nutrizionale e per questo motivo non
c’è da meravigliarsi se spesso è definito
come uno degli alimenti più completi
che esistano.
Infatti, il corpo umano sarebbe
in grado di sopravvivere nutrendosi di solo polline, con un adeguato
apporto di acqua e fibre. I nutrienti contenuti nel polline d’api sono
altamente digeribili e di facile assorbimento da parte dell’organismo.
Se non siete allergici ai pollini, utilizzate il polline al posto degli altri
integratori in commercio. Io spesso ne aggiungo un cucchiaio nello
yogurt, assieme al miele è il mio unico
doping!
Speciale apicoltura
25
Speciali d'estate
pappa reale, propoli, cera d'api
PAPPA REALE
un'imponente orticaria, necessitano
cure mediche. In ogni caso è bene
estrarre subito il pungiglione per
evitare il diffondersi del veleno.
V
iene prodotta dalle api operaie
tramite specifiche ghiandole,
serve per nutrire tutte le larve nei
primi giorni di vita e la regina per
tutta la vita. Una delle cose più incredibili è la capacità di questo alimento
di far nascere da un uovo fecondo due
differenti esseri uno fertile e l’ altro
no: la regina e l’ operaia. Infatti alla
larva di operaia viene tolta la pappa
reale ed è nutrita da miele e polline. Il
suo potere nutrizionale è elevatissimo
e contiene tutto ciò che l’ organismo
necessita: acqua, minerali, protidi,
vitamine, lipidi e zuccheri. Lo si può
usare come ottimo ricostituente e per
combattere alcune forme di stress e
stanchezza.
E’ un regolatore naturale dell'appetito, favorisce il riequilibrio del sistema
endocrino, stimola l'intero organismo, soprattutto nei soggetti ipotonici, dà buoni risultati nella cura delle
anemie. Grazie alla notevole presenza
di vitamina B5 è un potente anti età.
Nella pappa reale e contenuto l'acido
10-idrossidecenoico, che esercita una
attività antibatterica e antitumorale.
Il metodo di estrazione della pappa
reale è difficile e richiede esperienza,
tutto il lavoro viene fatto a mano ed è
per questo che ha un costo elevato. Per
conservarne le caratteristiche descritte
va conservata in frigo e consumata
fresca.
L
e api pungono solo nei pressi
della loro casa per proteggerla.
A volte capita di essere punti perché le
si calpesta mentre bottinano nel prato,
o perché si fa un incidente con loro
mentre si è in moto o in bicicletta.
Le api, inoltre, non mangiano frutta
perché il loro apparato boccale non è
adatto alla masticazione. Le vespe e i
calabroni invece sì, ma essendo anche
carnivori sono utili poiché catturano
anche le larve di insetti nocivi per le
Ape su tarassaco. Il tarassaco (dente di cane) si trova in abbondanza nei frutteti proprio per le
coltivazioni.
tecniche di lavorazione dei frutteti stessi. La sua fioritura è però, a volte, competitiva con quella
del melo perché questa pianta è generosa sia in nettare che in polline (foto R. Moiola).
Latte e miele, uno dei più antichi ed efficaci rimedi contro il mal di gola (foto Enrico Minotti).
sempre più come cura omeopatica.
La propoli contiene: resine (45-55%),
cera e acidi grassi (25-35%), oli essenziali e sostanze volatili (10%), polline
(5%) composti organici e minerali
(5%) minerali, vitamine, enzimi.
La propoli ha inoltre proprietà
antibiotiche (batteriostatiche e battericide), anti-infiammatorie, antimicotiche, antiossidanti, antivirali,
anestetiche, cicatrizzanti, antisettiche,
immunostimolanti, vaso protettive,
antitumorali.
Consideratele sempre proprietà
omeopatiche e non vi devono illudere
che curino malattie serie: aiutano solo
a migliorare e arricchire la salute del
nostro organismo.
PROPOLI
CERA D'API
P
er produrre la propoli le api
raccolgono resine dalle piante,
per esempio sfruttando le cicatrici,
le sudorazioni e le secrezioni sulle
gemme. L’ aggiunta di cera e i processi
enzimatici costituiscono un materiale
duttile e con altissima carica antibatterica. Le api lo usano per sigillare,
mummificare intrusi e per sterilizzare
pereti e le celle dove la regina deposita le uova. Calcolate che all’ interno dell’ arnia vi è una temperatura
costante che supera i 30° C, terreno
facile per la proliferazione dei batteri,
ma la carica batterica è sempre sotto
controllo grazie alla propoli. L’ uomo
ne ha scoperto indirettamente la sua
peculiarità e quindi la sta utilizzando
26
LE MONTAGNE DIVERTENTI
il veleno d'api
È il “cemento” delle api; infatti tutta
la struttura dell’ alveare è formata da
cera. Viene secreta in scaglie da apposite ghiandole (per 1 kg di cera l’ ape
consuma circa 8 kg di miele), viene
plasmata attraverso le mandibole e
modellata a proprio piacimento creando strutture perfette di cui l’ uomo ha
preso spunto più volte per realizzare
opere architettoniche e prodotti per il
commercio. Nell’ alveare viene inoltre
utilizzata per opercolare le celle e come
additivo nella propoli. È composta da
sostanze oleose e facendola scaldare
diventa liquida. La cera d’ api viene
riutilizzata dall'uomo come un efficace
protettivo, lubrificante, nelle candele,
nei cosmetici e in molti altri usi.
VELENO D'API
Nato per la difesa dell’alveare è
inoculato dall’alpe tramite pungiglione uncinato (l’ ape muore poco dopo
aver punto a differenza delle vespe che
posso infierire più punture). Quasi
per caso l’ uomo è riuscito a scoprire i
suoi effetti benefici e purtroppo anche
quelli mortali.
Per quanto riguarda i primi, i più
noti riguardano la cura omeopatica
di artrosi, artrite reumatoide, sciatalgia, contribuendo a migliorare lo
stato del paziente grazie a un'azione
antinfiammatoria legata alle sostanze contenute in esso. Il trattamento
avviene tramite puntura diretta o con
l’utilizzo di creme e unguenti a base di
veleno. Il veleno è prelevato dall’ ape
con delle piccole scosse indotte da un
predellino metallico all’ ingresso dell’
arnia. Prima di iniziare una terapia del
genere bisogna sempre chiedere a uno
specialista la prassi da seguire poiché
il veleno d’ape può portare alla morte
nei soggetti allergici. Infatti, a seconda
della sensibilità al veleno di imenotteri si può arrivare allo shock anafilattico già nei primi minuti che si viene
punti.
In caso di puntura, se non si è allergici, si ha solo una piccola infiammazione che passa già nelle prime ore. Le
persone invece che accusano reazioni
generalizzate a tutto il corpo, come
Estate 2009
Come diventare apicoltore
Per chi vuole avvicinarsi al modo dell'apicoltura consiglio di frequentare uno dei numerosi corsi tenuti
dall'associazione apicoltori. Vi ricordiamo che le api sono un organismo vivente che richiede tempo e dedizione, con molte soddisfazioni, ma anche con le sue delusioni. Se volete diventare apicoltori sappiate che
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LE MONTAGNE DIVERTENTI
Speciale apicoltura
27
Cormor
la montagna nascosta
Speciali d'estate
Valentina Messa
Cormor parte alta (foto Pascal van Duin Guida Alpina - tel 335.5470126).
28
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Estate 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Cormor: la montagna nascosta
29
Speciali d'estate
L’
esplorazione a 360° delle gole scavate
dall’acqua nel cuore della montagna
ha un nome ben preciso: “golismo”.
Climbing, ice-climbing, speleologia,
canyoning, kayak; nelle gole tutto può
essere utile per affrontare l’avventura.
Nato in Valmalenco e precisamente in
Val Lanterna alcuni anni fa, il golismo
rappresenta una disciplina al confine con
molte altre.
di molte altre. Nato e praticato in Valmalenco, comincia a
diffondersi anche nelle Dolomiti.”
Sebbene il golismo non possa essere classificato come uno
sport estremo, è consigliabile non sottovalutare mai l’ambiente in cui ci si muove, né sopravvalutare le proprie capacità. Per i meno esperti la scelta di affidarsi ad una Guida
Alpina consentirà di vivere quest’esperienza in maggiore
serenità e sicurezza.
Gola dello Scerscen (foto Jacopo Merizzi - tel 335.5846050).
Rana solitaria (archivio TeleUnica).
“D
iscendiamo le gole d’estate – mi spiega Jacopo
Merizzi, Guida Alpina valtellinese che insieme
a Luca Maspes ha dato origine a questa attività - sull’impronta del canyoning più classico, e d’inverno, quando le
condizioni e le temperature lo permettono, risaliamo le
cascate di ghiaccio che si formano all’interno del canyon.
La montagna la viviamo 365 giorni l’anno. Capisco che
risalire delle gole, spesso combinando l’uso di ramponi e
canoa, possa effettivamente risultare inusuale, ma garantisce un gran divertimento.”
Il termine golismo è una sua invenzione. Ha base
geografica in Val Lanterna dove sono state scoperte
diverse gole. Il punto di partenza resta Franscia, paesino situato a m 1525. Da qui si possono raggiungere
direttamente a piedi le gole di Cormor e di Scerscen e,
sempre da qui, scende la gola di Val Brutta. Da alcuni
anni, durante le fredde giornate invernali, numerose
piccole spedizioni si avventurano nel cuore ghiacciato
della montagna, aspettando l’estate per ridiscendere
con corda e muta.
Cormor invernale (foto Jacopo Merizzi).
Occhio di Saletta - Gola del Cormor (archivio TeleUnica).
“P
rotagoniste indiscusse di questa disciplina sportiva – continua Jacopo - sono sempre state le gole
della Val Lanterna, ottima “palestra” dove affinare l’arte del
golismo. Nel 2001 ho affrontato per la prima volta la salita
della gola di Scerscen (gennaio) accompagnato da Alberto Prina, e della gola di Val Brutta (dicembre) insieme a
Andrea Micheli. E’ stato impegnativo, ma il paesaggio
che abbiamo incontrato ha ripagato di gran lunga i nostri
sforzi: unico, dal fascino primordiale per il susseguirsi di
verdi acque, ghiaccio e roccia. Successivamente, nel periodo estivo, ci siamo divertiti a ridiscenderle, non senza difficoltà, soprattutto per quanto riguarda la gola di Scerscen.
Nell’agosto del 2001, Luca Maspes ha scoperto in alta Val
Lanterna una terza gola scavata dal torrente sotterraneo
Cormor. Senza pensarci due volte ci siamo avventurati al
suo interno, discendendo il canyon alla scoperta di questo
nuovo mondo. L’inverno seguente, particolarmente freddo, ci ha poi permesso, dopo alcuni tentativi, di risalirne la
cascata di ghiaccio formatasi all’interno. Questo è golismo:
d’inverno piccozze, ramponi e canoa (che mi ha spesso
tradito, facendomi affondare nelle gelide acque sotterranee,
perché poco resistente alle punte dei ramponi…) e corda e
muta per l’estate. Abbiamo iniziato così, per gioco. Oggi,
invece, il golismo è un’attività sportiva riconosciuta, al pari
30
LE MONTAGNE DIVERTENTI
LA GOLA DEL CORMOR
Alta Val Lanterna. Nel corso dei millenni, il torrente
chiamato localmente Cormor, che ha origine dal ghiacciaio
di Fellaria, ha scavato, inciso e modellato la verde roccia
malenca (serpentinite). Seppellito successivamente da una
paleo frana, il corso d’acqua ha continuato il lento lavoro di erosione dando origine ad un incredibile sistema di
cunicoli e passaggi sotterranei, la maggior parte dei quali
completamente al buio, che ritrovano la luce a m 1540.
Una vera rarità in tutto l’Arco Alpino.
Sbarrato il flusso delle sue acque dai bacini artificiali di
Campo Moro e Gera, oggi il Cormor ha una portata assai
ridotta e permette ai suoi visitatori di avventurarsi lungo il
percorso scavato nella roccia, un tempo letto del torrente
“scultore”.
La discesa della gola rocciosa situata tra il primo lago
artificiale di Campo Moro (m 1900) e la piana di Campo
Franscia (m 1525) in alta Val Lanterna, rappresenta una
sfida sportiva a metà strada tra il canyoning, l’arrampicata
e la speleologia.
La scoperta di questa gola è datata 22 agosto 2001,
quando un gruppo formato dalle guide alpine sondriesi
Luca Maspes e Jacopo Merizzi e da due esperti speleologi
e arrampicatori brianzoli Massimo Sala e Marino Tonni,
decide di avventurarsi all’interno di questa grotta-canyon
scoperta per gioco, quasi per caso.
“R
Gola del Cormor - parte alta (archivio TeleUnica).
Gola del Cormor - parte alta (archivio TeleUnica).
“Anche dopo tante discese, sento sempre un
filo d’ansia quando, immerso nelle viscere
della montagna, immagino l’immenso getto
d’acqua che, mulinando vorticosamente,
ha nel corso dei millenni modellato queste
rocce come una vera e propria scultura
naturale. Nel punto più interno, anche
quando l’ultimo raggio di luce cede il passo
alle tenebre, prova a spegnere le pile frontali
e ad ascoltare il respiro della montagna: è
un’esperienza indimenticabile.”
Michele Comi – Guida Alpina
Gola del Cormor - parte alta (archivio TeleUnica).
Estate 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
icordo bene quel giorno. – racconta Luca Rampikino Maspes – Io e Massimo avevamo deciso di
esplorare la parte bassa del torrente ancora ricoperta di
enormi blocchi rocciosi. Niente più che un “gioco” per
ingannare il tempo e rinfrescarsi in una calda giornata
d’agosto. Immaginate la sorpresa quando, iniziata la discesa, abbiamo scoperto che quel lungo tratto verticale che
pensavamo completamente asciutto era, invece, rigato dalle
acque di un torrente sotterraneo! Non ci abbiamo pensato
due volte e lo abbiamo seguito. Armati di una sola corda
e mezze mute, io, Massimo, Jacopo e Marino ci siamo
avventurati lungo il percorso tracciato dal Cormor.”
Una prospettiva un po’ diversa per chi la montagna è
abituato a viverla “da fuori”…
“P
er me, che provengo dall’alpinismo e dall’arrampicata, trovarmi nel cuore della montagna, in discesa
e con una tuta da sub addosso è stata una novità piuttosto
forte. E’ stato emozionante. Non sapevamo esattamente
cosa ci stesse aspettando: avevamo poco materiale con noi
e il fatto che la grotta avesse uno sbocco dove uscire era
Cormor: la montagna nascosta
31
Speciali d'estate
La discesa del Cormor
ancora tutto da vedere. Un viaggio nell’ignoto. L’entusiasmo di aver scoperto qualcosa di sconosciuto e decisamente raro ha subito lasciato spazio alla meraviglia. L’ambiente
che si apriva man mano davanti a noi e in cui ci stavamo
avventurando senza troppe certezze, offriva degli scorci a
dir poco spettacolari: roccia verde dalle forme tondeggianti, modellata come dalle mani di uno scultore, marmitte
dei giganti, giochi di luci e ombre nel buio della montagna, laghetti verdi sotterranei, pozze e fiordi strettissimi. E’
stata un’esperienza davvero inusuale, soprattutto se pensiamo che tutto stava succedendo a pochi minuti dall’auto,
segno che l’esplorazione sulle nostre montagne è tutt’altro
che terminata…”
(parte superiore)
Prima discesa: L. Maspes, J. Merizzi, M. Sala, M. Tonni, N. Parolini, P. Van Duin, F. Brusamarello il 22 e 28 agosto 2001
Integrazione (parte inferiore): P. Van Duin, M. Crottogini, A. Colombo il 2 settembre 2001.
E non vi siete fermati lì…
“C
erto che no. Alla prima discesa del canyon (22
agosto 2001) ne è subito seguita una seconda, il
28 agosto, questa volta in compagnia della Guida Alpina
Pascal Van Duin con un suo cliente e dell’amico Norbert
Parolini, allora ventenne di Lanzada. Con un equipaggiamento più adeguato, trapano, corde statiche, spit, pile
speleo e mute intere, abbiamo ripercorso l’intera discesa,
attrezzando con spit e moschettoni i vari punti di calata per
mettere in sicurezza chi vorrà cimentarsi in questa avventura nel cuore della montagna. Abbiamo anche dato un
nome ai punti più caratteristici, alcuni per la conformazione del luogo, come la Pozza Circolare, il Fiordo, altri invece, più goliardici, riferiti al momento della discesa: il Pozzo
delle Marlboro, dove Norbert aveva lasciato un pacchetto
di sigarette che veniva esaminato ad ogni discesa, o L’Occhio di Saletta, un sasso con un buco centrale dove abbiamo immortalato con la macchina fotografica Massimo. In
seguito Pascal ha proseguito nella chiodatura, più a valle,
dopo la confluenza dei torrenti, integrando e completando
la nostra discesa con un percorso che si insinua in altre gole
scavate, oltre che dal Cormor, da altri corsi d’acqua.
Oggi so che sono state effettuate ulteriori chiodature,
ce ne sono almeno tre, per cui è bene prestare attenzione
alla scelta della sosta. I meno esperti è consigliabile che si
affidino all’esperienza di una Guida Alpina.”
Avete chiamato questa avventura “golismo”…
“P
er affrontare una gola, è necessario conoscere le
principali tecniche di alpinismo, arrampicata,
canyoning, speleologia, ice-climbing. Questo è il “golismo”: un’attività estremamente poliedrica in cui essere
eclettici alpinisti diventa un obbligo più che una volontà.
Nella stagione calda discendiamo le gole districandoci nelle
fredde acque dei torrenti, in attesa che il freddo geli tutto
permettendoci di risalire in senso contrario. Per intenderci, mute per l’estate, piccozze e ramponi per l’inverno. Nel
gennaio del 2002, insieme a Jacopo Merizzi che praticava
il golismo già da qualche tempo, attrezzatura da ghiaccio al
seguito, abbiamo ripercorso la gola del Cormor al contrario, risalendo un’incredibile quanto inusuale cascata di
ghiaccio sotterranea. Una serie di salti con difficoltà fino al
grado 3/3+, budelli incassati oscuri, brevi goulotte sottili e
32
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Cormor parte bassa (foto P. van Duin).
curiosi passaggi boulder sui massi lisciati dall’acqua. Un’altra avventura severa ma estremamente divertente, almeno
fino a quando il ghiaccio su cui ti muovi non ti tradisce
facendoti sprofondare in un’acqua siderale. E allora, quelle piacevoli sguazzate estive con la muta stagna diventano
solo un lontano ricordo.”
Negli ultimi anni, la gola del Cormor è divenuta meta
di numerosi appassionati di canyoning. Il “successo” è
certamente dovuto anche alla rarità, in tutto l’arco alpino, di una grotta scavata nella roccia serpentinica.
“I
principali frequentatori della gola sono stranieri. –
mi spiega Fabio Dioli, uno dei proprietari dell’albergo-ristorante Edelweiss di Franscia, principale punto
di appoggio dei “golisti” – “Francesi e spagnoli, seguiti dai
tedeschi. Nel 2008 abbiamo registrato un passaggio di circa
cinquecento persone. Per la prima volta, si è presentato
anche un gruppo di radunisti che aveva base a Morbegno.”
Tanti visitatori dunque, esperti alpinisti e impavidi
“esploratori” alle prime armi.
Eppure, una volta rapiti dal cuore della
montagna, non c’è pubblico che applaude,
né show per gli ammalati di protagonismo.
Si è soli con i propri compagni di
avventura. Non c’è nessuno che guarda o
che fa il tifo, ad eccezione di qualche rana
solitaria che con aria guardinga ci ricorda
che gli intrusi siamo noi.
Estate 2009
Cormor parte alta (foto Jacopo Merizzi).
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
PARTENZA: Diga di Campo Moro.
ITINERARIO AUTOMOBILISTICO: da Sondrio
seguire la SP 13 della Valmalenco fino a Lanzada
(13 km), quindi proseguire per Franscia (26 km)
e su fino a Campo Moro (33 km da Sondrio).
30 metri oltre l'Albergo Campo Moro svoltare
a sx e scendere lo sterrato a tornanti fino al
parcheggio situato ai piedi della prima diga.
ITINERARIO SINTETICO: Diga di Campo Moro Pozza Verde - Fang.
TEMPO DI PERCORRENZA
DISLIVELLO: 300 metri.
D
PREVISTO: 2/4 ore.
al cartello "pericolo piene improvvise" discendere un primo tratto districandosi tra numerosi
blocchi, fino a raggiungere la prima calata. Qui ha inizio
l’avventura: la discesa alterna ambienti sotterranei ampi e
ancora sufficientemente illuminati ad altri, completamente
inghiottiti dal buio e di ridotte dimensioni. L’ultima calata
riporta alla luce: un tuffo nelle fredde acque del laghetto
Verde segna la fine del percorso: Si imbocca quindi un bel
sentiero sulla sx idrografica che, attraversando uno splendifo bosco, sbuca (15 minuti) nei prati di Fang, 5 minuti
sopra Franscia, dove non resta che andare a recuperare l'automobile. Se si volesse proseguire con la discesa della parte
inferiore del Cormor calcolare altre 12 calate e difficoltà
superiori al tracciato fin qui percorso.
Vie di fuga: a metà percorso. Dalla Pozza Circolare,
LE MONTAGNE DIVERTENTI
ATTREZZATURA RICHIESTA: scarpe da ginnastica,
muta in neoprene, casco, imbracatura,
discensore, 1 corda da 60 m (meglio se statica),
pila frontale per l’illuminazione.
DIFFICOLTÀ: 4 su 6.
SVILUPPO/NUMERO CALATE: 500 metri / 10.
DETTAGLI: spit e fix con anello ad ogni sosta di
calata e in diversi punti. La calata più alta è di 25
metri. L'acqua è piuttosto fredda.
Si consiglia una Guida Alpina.
Periodo consigliato: maggio-settembre.
Mappe: CNS 278 – Kompass 93.
seguire sulla sx orografica un tracciato poco evidente e, una
volta usciti, risalire nel bosco fino a Campo Moro. Percorso scomodo.
Passaggi particolari: numerosi tratti in disarrampicata
e calate nel vuoto. Buio completo in più punti. Negli anni
sono state eseguite diverse chiodature (attualmente visibili
tre) perciò occorre prestare attenzione alla scelta della sosta
corretta.
Note: la presenza di invasi artificiali a monte del percorso
(due bacini che raggiungono a fine estate capacità di oltre
70 milioni di metri cubi d’acqua) può modificare la portata
naturale del torrente. Prima di effettuare la discesa conviene informarsi presso i guardiani della diga oppure tramite i
gestori dell’Albergo-Ristorante Edelweiss di Franscia (tel.
0342. 451483 – e-mail: [email protected]).
Cormor: la montagna nascosta
33
Speciali d'estate
Foto 1: Gola di Val Brutta (foto P. van Duin).
Foto2: Gola di Val Brutta (foto L. Maspes).
Foto 3: Gola dello Scerscen (foto M. Sala).
foto 4: Il masso incastrato sospeso a 50 m sopra la gola dello Scerscen (foto J. Merizzi).
Dice il geologo
Carmen Mitta
I
l Cormor prende avvio da più torrenti glaciali uscenti dalle bocche del Ghiacciaio di Fellaria, il cui bacino
collettore va dal Pizzo Argento – Pizzo Zupò fino al Piz
Varuna. Prima della costruzione delle dighe, questi corsi
d’acqua si raccoglievano nella piana di Gera; oggi, invece, si immettono singolarmente nell’omonimo lago artificiale). Oltre la diga di Campo Moro, dunque, il Cormor
subisce una drastica riduzione nella portata, in quanto le
sue acque vengono incanalate e convogliate alla centrale di Campo Moro e successivamente a quella di Lanzada.
Sotto il muro della diga, un passaggio tra grossi blocchi, coperti da vegetazione boschiva, segna il punto, ora
asciutto, nel quale, un tempo, il Cormor continuava il suo
cammino verso Franscia.
Oggi, invece, scorrendo sotto una paleofrana di grosse
dimensioni, il torrente scompare allo sguardo. In passato,
soprattutto durante le fasi del ritiro delle lingue glaciali, si
sono verificati significativi fenomeni franosi e di crollo, e
questa si potrebbe essere staccata dal Sasso Moro le cui
pareti verticali sono fortemente fratturate.
e forme fisiche del paesaggio terrestre sono il risultato dell’azione combinata di agenti modellatori, in questo caso acqua e ghiacciai, con le caratteristiche
fisico – meccaniche delle rocce, lo stato di fratturazione,
l’esposizione e la pendenza dei versanti. Un ruolo rile-
L
34
LE MONTAGNE DIVERTENTI
vante lo giocano, poi, il clima, le forti escursioni termiche
giornaliere e il gelo/disgelo. Per capire bene i processi che
hanno determinato il corso del Cormor dobbiamo andare
alla fine dell’ultima glaciazione.
Supponiamo che inizialmente, al primo sciogliersi dei
ghiacciai, un corso d’acqua, poco più che un rigagnolo,
abbia cominciato a scorrere su una superficie con fratture.
Tutta la Val Lanterna è interessata da almeno tre sistemi
di faglie con direzione NE-SO, N-S, E-O (Pozzi, 1986): su
uno di questi è impostato il Cormor (tratto Campo Moro – Franscia). Nel suo fluire, il nostro torrentello si sarà
certamente infilato nelle microfratture e lì, nella stagione
fredda, è gelato. L’acqua, contenuta nelle cavità delle rocce, passando allo stato solido, esercita pressioni notevoli
dell’ordine di 2t/cm² circa, in grado di frantumare anche
la roccia più dura. Anno dopo anno, millennio dopo millennio, la roccia ha subìto una suddivisione meccanica in
blocchi di varie dimensioni, a causa dei reiterati fenomeni di gelo e disgelo. Ma nella bella stagione, tanti i cambiamenti climatici, l’acqua, in quantità sempre maggiori,
infossata tra i blocchi e non visivamente percepibile, ha
attivato quei processi responsabili delle spettacolari forme erosive. L’azione degli agenti geomorfologici è troppo
lenta perché se ne possa avere conoscenza diretta: l’ordine di grandezza approssimativo dell’erosione fluviale è di
Estate 2009
circa 0.5 mm/anno.
Non è certo stabilire dove finisce la paleofrana e dove
inizia la frantumazione in loco per gelo e disgelo. Ci vorrebbero rilevamenti più dettagliati.
L’energia del corso d’acqua, condizionata dalla portata sempre maggiore e dalla forte pendenza, non ha permesso il depositarsi di materiale eroso, e la sua forza viva
si è applicata esclusivamente nell’opera di modellamento
e di erosione. Fanno parte di quest’ultimo processo i tanti esempi di marmitte dei Giganti e di caldaie, talune di
notevoli dimensioni, che si incontrano lungo il percorso.
Queste si generano dal moto vorticoso delle acque, coadiuvate da materiale lapideo in essa contenuto, che ha
agito come la punta di un trapano.
La messa in posto del Cormor coincide, quindi, con
la normale evoluzione di un corso d’acqua, che lungo il
suo cammino provvede a smussare le originarie asperità
e discontinuità. Nulla c’entra con i fenomeni di dissoluzione di rocce carbonatiche, come quelle delle grotte dello Scerscen, per intendeci, che sono invece da ricondursi
all’azione solvente di acque ricche in CO2 a danno di rocce calcaree.
Se non ci fossero state le faglie e le rocce fossero state compatte, se non ci fossero stati eventi franosi con rilascio di enormi blocchi, nonostante il salto di 350 m circa,
LE MONTAGNE DIVERTENTI
oggi vedremmo un succedersi di cascate, intervallate da
scivoli nelle zone meno ripide, come tante se ne vedono
sulle Alpi.
unicità della gola del Cormor sta certamente nella sua ubicazione: si trova, infatti, all’interno di una
roccia non così comune, dal fantastico colore grigio-verde
– azzurro, a seconda delle mineralizzazioni presenti.
Le serpentiniti corrispondono a un frammento del mantello superiore che l’orogenesi ha inglobato nell’edificio
alpino, a guisa di gigantesco lastrone, rendendolo soggetto agli effetti tettonici e metamorfici. In Valmalenco
sono le rocce volumetricamente più importanti, occupando un’area di circa 170 km quadrati, una massa decisamente consistente; ad esse è legata l’attività estrattiva
di cave e miniere. Sono composte in gran parte da rocce scistose ed antigorite, olivina, diopside, clorite e magnetite accanto alla quale ci sono parti più massicce,
perché più ricche di clinopirosseni. In Italia, oltre che in
Valmalenco, si trovano sull’Appennino ligure e su quello
tosco-emiliano e sulle Alpi (Val d’Aosta, Val d'Ossola, zona Monviso, Val di Susa). La concomitanza di più fattori
che, come in Val Lanterna, hanno determinato la formazione delle gole, non è però comune in queste zone e lascia al Cormor il suo carattere d'indiscussa unicità.
L’
Cormor: la montagna nascosta
35
www.stilealpino.it
Guide Alpine in vetrina
Il mio Kima
Riccardo Ghislanzoni
Paolo Masa, Michele Comi e figli.
È
vero, siamo professionisti della
montagna, messi assieme i nostri
curricula alpinistici, possiamo dire di
avere salito tutte le grandi pareti delle
Alpi: dal Monte Bianco alle Dolomiti
e girato per le montagne di mezzo
mondo, dal Nepal al Karakorum
cinese, dal Sud America alle grandi
vette africane, raggiunto il Polo Nord
e arrampicato nei deserti rocciosi
dell’Africa e del Medio Oriente.
Abbiamo tanti figli (sei in totale)
con i quali passiamo tutto il nostro
tempo libero, uno di noi è geologo,
l’altro d’inverno fa il barista e tentiamo di far convivere la nostra professione con una vita del tutto normale.
Insomma siamo delle “very normal
guide” a cui piace l’idea di promuovere la propria attività professionale
paragonandola ad una piccola bottega artigiana di pregio, che confeziona
su misura belle salite, belle esperienze, il divertimento e lo star bene in
montagna.
Potremmo fare un programma
vario, con scalate in tutto il mondo,
mettendo a frutto l’esperienza di
numerose spedizioni, invece con
questo sito vogliamo promuovere l’attività sulle montagne di casa
nostra, note sin dall’ ‘800 ai viaggiatori inglesi inventori dell’alpinismo, che
ci fanno sudare, ma che continuano a
darci piacevolmente da vivere.
Il Gran Prestigio delle Alpi
Il Gran Prestigio delle Alpi è un riconoscimento che Michele Comi e Paolo Masa
assegnanbo ai propri clienti al completamento di 7 salite a scelta sulle montagne più
prestigiose delle Alpi Centrali (gruppi montuosi: Bernina-Disgrazia-Badile).
Il Prestigio è rivolto a tutti gli appassionati della montagna e a tutte le persone con
buona preparazione fisica (escursionisti, mezzofondisti, ciclisti etc…) che sono attratti
dal mondo della montagna.
Non ci sono nelle ascensioni proposte difficoltà tecniche che non possano essere
superate da una persona normalmente allenata, adeguatamente assistita dalla Guida
Alpina.
ELENCO DELLE SALITE CHE COSTITUISCONO IL GRAN PRESTIGIO DELLE ALPI:
1,2,3,4 a scelta tra:
Pizzo Bernina (m 4050): via Normale
Monte Disgrazia (m 3678): via Normale
Pizzo Roseg (m 3936) via Normale
Pizzo Palù (m 3906) via Normale
Punta Kennedy (m 3295) cresta Est
Traversata Pizzo Argent (m 3945) Pizzo Zupò (m 3996)
Traversata Punta Torelli (m 3195), Pizzo Badile (m 3308)
Pizzi Gemelli: via Ferro da Stiro
5 Monte Disgrazia (m 3678) per la Corda Molla
6 Pizzo Bernina (m 4050) per la cresta Biancograt
7 a scelta tra:
Pizzo Palù Orientale (m 3881): via Kuffner
Pizzo Badile (m 3308) per lo Spigolo Nord
Direttissima Pizzo Bernina (m 4050)
Il GRAN PRESTIGIO DELLE ALPI è articolato nei seguenti step:
PRESTIGIO BRONZE: si consegue al termine delle prime quattro ascensioni;
PRESTIGIO SILVER: si consegue al termine delle prime sei ascensioni;
PRESTIGIO GOLD: Al termine delle sette ascensioni si consegue il Prestigio Gold
con il quale i Prestigiosi avranno diritto all’iscrizione nella classifica d’onore e
riceveranno:
un diploma personalizzato, la gigantografia a colori della testata della Valmalenco,
una bottiglia Magnum Prestigio di vino valtellinese della rinomata casa vinicola
Triacca. (REGOLAMENTO E CONTATTI: WWW.STILEALPINO.IT)
Il Trofeo Kima, la “Grande Corsa sul Sentiero Roma”, una delle skyrace
più tecniche e spettacolari al mondo, quest’anno non si correrà! La
decisione è stata presa dal comitato organizzatore nel mese di aprile e il
Kima tornerà nel 2010 con formula biennale. Gli appassionati dovranno
quindi accontentarsi del Mini Kima e della Skyrace Val Porcellizzo. Alla
base della scelta sembra che ci siano i forti costi e i pochi sponsor ma forse il proliferare
del numero delle manifestazioni ha portato gli atleti su altri sentieri anche per l’elevata
quota di iscrizione a questa gara.
Speriamo che il Kima torni l’anno prossimo agli antichi fasti delle prime edizioni, quelle
che dal 1995 hanno visto fior fiore di atleti sfrecciare sul granito della Val Masino in
ricordo di Pierangelo Marchetti, Kima per gli amici, scomparso l’8 luglio 1994 in seguito
ad un tragico incidente durante un’operazione di soccorso.
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Cormor: la montagna nascosta
37
Speciali d'estate
Valmasino
31 AGOSTO 2008
S
Verso il Passo del Cameraccio dopo circa 4 ore di gara (31 agosto 2008, foto S. Sandonini).
Alla pagina precedente: passaggio in Val Porcellizzo (26 agosto 2007, foto R. Moiola).
Atleti in Val Porcellizzo. Si transita qui dopo mediamente 6-7 ore di gara (26 agosto 2007,
foto R. Moiola).
Atleti in discesa verso il Rifugio Omio (26 agosto 2007, foto R. Moiola).
38
LE MONTAGNE DIVERTENTI
ono 10 anni che corro e partecipare al Kima è sempre stato
un sogno. Ho seguito da tifoso
molte edizioni, provando ammirazione per gli atleti che vi gareggiavano. Nel 2001 ero anch'io ad un
passo dalla partecipazione, ma poi
ho desistito. Bisogna essere convinti per buttarsi in un’avventura del
genere: la skyrace delle skyrace, 48
km abbondanti sul Sentiero Roma
che collegano i rifugi della Val Masino, 3700 m di dislivello positivo per
raggiungere i 7 passi, tutti sopra i
m 2500, tratti attrezzati ed esposti,
nevai e “labirinti” di granito.
ono le 6.30 dell'ultima domenica d'agosto, sono a Filorera
pronto per partire insieme ad altri
80 skyrunner per il mitico Trofeo
Kima. Al via non c’è il mio amico e
collega Beno. Penso al suo entusiasmo, alla ricognizione del percorso, all’allenamento, alla volontà di
descrivere questa gara dopo averla
vissuta in prima persona. Poi accade quello che non ti aspetteresti mai
e il dolore e il lutto prevalgono.
Beno mi ha passato un testimone simbolico ed eccomi qui oggi a
correre anche per lui un'avventura
che presto diverrà un racconto: 10
ore cariche di emozioni sul granito
della Val Masino, la realizzazione di
un sogno.
S
P
ronti, via. Si sale silenziosi lungo
i primi tratti di asfalto che s'alternano ai sentieri. I “tagli” dopo il
Rifugio Scotti cominciano a far scaldare le gambe, la piana di Predarossa
è sempre spettacolare e poi si arriva al
Rifugio Ponti. E’ ora di alimentarsi un
po’, da adesso comincia la vera gara.
Ancora mezz’ora ed ecco la Bocchetta Roma. Peccato che ci sia così poca
gente, mi ricordo negli anni d’oro le
decine di appassionati che incitavano gli atleti… Metto i guantini, mi
“sparo” un Enervitene e poi giù dalle
catene. In breve si arriva al nevaietto
ed il primo cancelletto orario è superato con più di 20 minuti di margine. La Val Cameraccio è bella tosta e
la concentrazione deve essere sempre
alta. Sto bene, sono a mio agio, il
tempo passa, ma quasi non me ne
Estate 2009
accorgo. Rimpiango solo che le nuvole e la nebbietta non mi permettano di
apprezzare appieno l’ambiente in cui
sono immerso. Guardo poi il risvolto
positivo: con il sole che picchia la fatica sarebbe stata maggiore.
Ecco il Bivacco Kima e poi dritti al
Passo del Cameraccio. Si scende per
catene e poi ancora un lungo nevaio, attrezzato nel tratto iniziale con
una corda e poi lasciato alle doti di
equilibrismo dei corridori! Prima del
Passo Torrone c’è una variante che
evita la placca dove nel 2005 morì in
gara una ragazza. La salita si fa dura e
raggiunto il passo si può tirare il fiato.
Do un’occhiata all’orologio: non è che
manca poi tanto alle 5 ore del cancello dell’Allievi!
L’ andatura continua ad essere abbastanza sciolta: un po’ di stanchezza
c’è, quello è normale, ma sono bello
lucido e sempre concentrato. Ecco che
si comincia a vedere il rifugio ed in
breve lo raggiungo. Il secondo cancello è superato con un quarto d’ora di
anticipo e mi rilasso un attimo. So
che questo era uno degli ostacoli più
difficili da superare, ma la gara è ancora lunga. Mi rifocillo e parto, scortato
da mio zio Giuseppe che mi seguirà
fino al Passo del Camerozzo.
Ora si susseguono i passi dell’Averta
e del Qualido e finalmente ecco l’in-
sidioso Camerozzo. É tutto attrezzato con catene perchè presenta tratti
molto esposti. Sembra non finire mai
quando arrivo a scollinare: prossima
tappa il Rifugio Gianetti.
Alla fine della discesa mi aspetta
il grande Ciccio. Ristoro al volo: un
sorso di Coca-Cola e una bella pesca
noce. Riparto sgranocchiando il frutto
e poi da lontano sento ancora gli incitamenti di Ciccio che mi raggiunge e
mi scorta fino alla Gianetti. Riparto
sapendo che manca ancora l’asperità
dell'ultimo passo. Arrivo in cima al
Barbacan: ora è tutta discesa! Mi accodo a un gruppo di altri tre corridori.
Mi fermo al Rifugio Omio giusto il
tempo di bere un po’ di sali e un Enervitene. Si riparte, siamo in tre, il battistrada va veramente forte in discesa e
io non lo mollo e l’ultimo non molla
me. Sono talmente concentrato sulla
discesa che presto arriviamo ai Bagni
di Masino. Breve ristoro e poi si torna
a calpestare l’asfalto. Da una parte
sono contento perché ciò significa che
mancano pochi chilometri al traguardo, dall’altra rimpiango i “boccioni”
di granito su cui ho saltellato fino a
poco tempo prima.
A San Martino ho la gradita sorpresa
di trovare Luca e Monica ad incitarmi.
Ormai so che manca poco. Ringrazio
la gente che fa il tifo. In questi ulti-
mi tre chilometri posso rilassarmi, ho
il tempo di riflettere, di pregare, di
ricordare Beno e il brutto momento
che sta vivendo, di ricordare il grande
Daniele Chiappa che non è più con
noi. Penso ad Adelfio e alla battaglia
che sta combattendo (purtroppo il 23
settembre 2008 Adelfio ci ha lasciato),
penso a Elena che è in trepida attesa all’arrivo così come i parenti e gli
amici. In questo quarto d’ora penso,
penso a tantissime cose ed è come
se le precedenti 9 ore e 20’ di fatica
fossero state un’eternità.
S
ento la voce dello speaker, l’arrivo è vicino, mi faccio i complimenti da solo, da anni sognavo di
percorrere questo tratto dopo aver
fatto i precedenti 48 km. Vedo il
ponte, ultima curva, vedo lo striscione
d’arrivo, giungono voci note alle mie
orecchie. La gioia e l’emozione sfociano in un pianto liberatorio!
Non ho avuto crampi, nè crisi,
ho gestito bene le energie, mi sono
alimentato e idratato correttamente.
Il tempo finale è di 9h38’, ma questo
è un dettaglio: quello che resterà per
sempre dentro di me sono le belle
emozioni che ho provato e condiviso
con chi mi vuol bene. Questa è la mia
piccola grande vittoria!
Riccardo Ghislanzoni
Riccardo Ghislanzoni, classe 1980, ingegnere meccanico.
Sono nato a Lecco e ho la fortuna di vivere a Ballabio, un ridente paese della
Valsassina ai piedi delle Grigne. Ho sempre avuto la passione per la montagna
e dal 1998 ho cominciato a correre e… non mi sono ancora fermato, anzi!
Partendo dalle gare sui monti del lecchese ho poi man mano incrementato
le distanze, prediligendo le skyrace: dal Trofeo Scaccabarozzi al Giir di Mont,
dal Trofeo 4 Luglio al Kima e via dicendo. Ogni tanto corro anche sull’asfalto,
nelle mezze e nelle maratone. Da qualche tempo è poi scoppiata in me la
passione per le “ultra-trail”, le corse in natura di oltre 70 km.
Ho la fortuna di correre con un gruppo di amici che nutre lo stesso amore per
lo sport e per la montagna: siamo i Falchi di Lecco, visitate il nostro sito
www.asfalchi.it .
Ho poi la fortuna di avere il Beno come collega e come amico: con “Le
Montagne Divertenti” si è proprio superato!
Il mio curriculum agonistico? Beh, ho all’attivo una prestigiosa vittoria
al Check-Up del San Martino (Lecco) anni or sono e un secondo posto
all’Arrancabirra di Courmayeur, gara mooolto “goliardica”. Il più delle volte
partecipo senza grosse ambizioni di classifica anche se poi, come dice il
saggio, “la gara è gara!”.
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Il mio Kima
39
Speciali d'estate
Montagne in libertà
Giorgio Orsucci
Il rapporto fra l'Uomo e la
Montagna può assumere
moltissime forme, che
variano da persona a
persona. C'è chi per tutta la
vita guarda i monti solo da
lontano, c'è chi ne assaggia
occasionalmente le pendici,
c'è chi li ama di un amore
profondo e li corteggia ogni
volta che può; e ancora,
c'è chi vuole la cima,
chi preferisce il lago e il
torrente, chi frequenta la
montagna di giorno, chi
la preferisce illuminata
dal tramonto e dall'alba,
c'è chi la condivide con
gli altri, chi la gusta in
solitudine. Chi di questi ha
trovato il modo migliore
per entrare in sintonia con
la Montagna, per viverla
e per capirla nel modo più
completo?
D
ifficile, anzi impossibile e senza
senso, è la ricerca di una risposta valida per tutti. In questa sede posso
solo umilmente farvi partecipi della
risposta che ho dato io, senza avere la
pretesa che sia anche la vostra.
A maggio di due anni fa ho intrapreso
l'organizzazione del mio primo trekking. La mia sfrenata voglia di libertà mi
faceva sentire fastidiosamente costretto
nella maglia delle tappe. Il desiderio di
rendermi indipendente dai rifugi mi ha
spinto a cercare una forma di riparo da
portarmi sempre nello zaino, utilizzabile
all'occorrenza e, una volta terminata la
sua funzione, ripiegabile in poco spazio
per esser riposta in un antro dello zaino;
un riparo dalla pioggia, dal vento, da
insetti e animali, il tutto in meno di
tre chili. Fu così che, armato di tenda
e sacco a pelo, sono andato a scoprire
quello che da quel momento avrebbe
costituito per me il modo più genuino
di rapportarmi all'ambiente alpino.
Questa pratica è una forma di
campeggio libero. Per coloro che non
40
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Alta Val Sissone, sullo sfondo il Disgrazia
2009
(7 agosto 2008, foto Giorgio Orsucci,Estate
www.orsu.it)
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Notte di gelo al Lago Spluga (m 2160) (25 febbraio 2007, foto Beno).
hanno idea di cosa significhi – e credo
non siano in pochi – non è cosa facile
da spiegare. Neanche è facile ripulire
l'espressione “campeggio libero” da
quelle idee di illegalità e volgarità che
nell'immaginario collettivo vanno spesso a gravitarvi attorno. Frequentare la
montagna in campeggio libero, al netto
degli atteggiamenti più o meno corretti del singolo campeggiatore, significa
compiere un'escursione di due o più
giorni dormendo in alta montagna in
una tenda montata in serata o nel tardo
pomeriggio e ripiegata il mattino successivo, lasciando il resto della giornata per
proseguire l'itinerario e per trovare un
altro posto dove attendare.
La legislazione italiana vieta il campeggio libero; tuttavia dalle 20 di sera alle 7
del mattino l'uso di una tenda in spazi
aperti è definito “bivacco d'emergenza” e non campeggio e non è pertanto
sanzionato. Le varie regioni hanno poi
una certa autonomia legislativa sull'argomento, ma tendono generalmente
ad avere una scarsa regolamentazione
(fa eccezione la Valle d'Aosta, dove il
campeggio libero è consentito solo al di
sopra dei 2500 metri e a buona distanza dai rifugi). Per evitare di incappare
in spiacevoli controversie è preferibile
tenersi sempre a debita distanza da
centri abitati ed evitare di campeggiare
nei prati di alpeggi e proprietà private.
È inoltre opportuno verificare presso i
comuni se esistano, nel periodo interessato, ordinanze sindacali o altri provvedimenti che vietino l'attendamento per
motivi particolari. Ricordo infine che
in parchi e riserve naturali il campeggio
libero è di norma vietato (in alcuni casi,
come nel Parco Nazionale del Gran
Paradiso, i guardiacaccia sono particolarmente solerti nello sgomberare, anche
Montagne in libertà
41
Speciali d'estate
Grande libertà grande zaino
C
Notte ventosa a -10°C all'Alpe Vazzeda Superiore. Cerchiamo di scongelarci le mani con un fuocherello di sterpaglie dentro la baita abbandonata,
ma tira più vento che fuori e ci nascondiamo in tenda dentro i sacchi a pelo (3 novembre 2006, foto Beno).
in piena notte, i campeggiatori abusivi).
Insomma, regna una totale confusione
normativa.
Al di là degli aspetti giuridici della
cosa, occorre forse attenersi unicamente
a un codice comportamentale dettato dal buon senso; e l'ospitalità della
natura, che sa sempre donarci anche sui
terreni più sconnessi un prato in piano
su cui piantar la tenda, va ricambiata
restituendo intonso l'ambiente in cui
abbiamo sostato.
Una volta spiegate le regole del gioco,
posso finalmente parlare dei fattori che
a mio modo di vedere fanno di questa
attività un'esperienza “totalizzante”,
capace di avvicinare Uomo e Montagna
sino a far nascere fra le due parti un
intimo dialogo.
In primo luogo, essere indipendenti
dai rifugi, slegati da tappe rigidamente prestabilite, ci dà la libertà non da
poco di accamparci nei luoghi che più
appagano i nostri sensi: sulle rive di un
laghetto o di un torrente, o in punto
particolarmente panoramico dove
poter godere, affacciandoci appena
dalla veranda, della splendida corona
42
LE MONTAGNE DIVERTENTI
di cime che ci circonda: cosa altrimenti
impossibile. Naturalmente anche qui
agisce il buon senso, che ci ricorda che
un torrente può facilmente esondare, e
che campeggiare in cima a un monte
potrebbe dare qualche difficoltà per
la scarsa reperibilità di acqua e per la
perfetta esposizione a ogni vento.
Non esistono, poi, silenzio e pace
più profondi di quelli che si odono in
una notte in tenda in alta montagna.
Intorno a noi e al nostro umile riparo
rimane solo la Natura. Basta sporgersi
dalla tenda per sentirne la presenza, nel
frusciare dell'erba o nello scintillio della
volta stellata. Altre volte non serve neanche questo sforzo: è sufficiente ascoltare
il ticchettio nervoso della pioggia sulla
tenda, o il sibilo del vento nell'intercapedine fra i teli, prima che il sonno
addormenti ogni percezione. E quando
l'alba estiva riempe il cielo di luce, è
inutile tentare di dormire ancora: può
impressionare con quanta naturalezza
chi fa campeggio libero regoli l'orologio umano del dormi-veglia sul naturale alternarsi del giorno e della notte.
Insomma, durante un'esperienza come
questa, ogni azione umana è declinata
secondo le regole della Natura e della
Montagna.
Come dimenticare poi il piacere e
l'orgoglio quando, dopo alcuni giorni
di cammino, ci guardiamo alle spalle
e realizziamo quanta strada abbiamo
percorso e quante cose abbiamo già
visto, tutto con le nostre sole forze; si
riscopre allora la capacità dei nostri piedi
di farci ancora viaggiare e di portarci
per il mondo, così come accadeva per i
nostri antenati prima che nuovi mezzi
di trasporto entrassero nella quotidianità di tutti.
I fattori che rendono il campeggio
libero un'attività di fatto assai poco
praticata sono fondamentalmente la
poca informazione sul tema (a cui
questo articolo vuole in piccolissima
parte rimediare) e l'ingente sforzo fisico
richiesto, dovuto a un carico minimo
da 12/13 chili e a un letto non del tutto
confortevole. Spero tuttavia che questo
invito venga raccolto da qualcuno di
voi, volenteroso di trovare, insieme a
qualche amico fidato, un contatto tanto
intenso con l'ambiente alpino.
Estate 2009
iò che rende il campeggio libero un'esperienza
fisicamente impegnativa è fondamentalmente
lo zaino con la sua insostenibile pesantezza. Durante un trekking si impara a odiarlo fieramente, e ad
amare di contro il gesto liberatorio di levarselo dalle
spalle e di gettarlo a terra. Per limitare al massimo
questo fastidio, al momento della preparazione dello
zaino occorre ponderare, bilancia alla mano, il peso
di ogni singolo oggetto che decidiamo di portare,
senza vergognarsi di toccare picchi estremi di ridicolo
fanatismo, come comparazioni di peso fra asciugamani, torcette o mantelle: una volta in cammino
saremo grati con noi stessi di aver preso la pila che
pesava 23 grammi in meno dell'altra!
Vediamo dunque l'attrezzatura necessaria, insieme
all'indicazione del peso massimo consigliato.
ZAINO: capienza minima 50L, 60-65L è l'ideale.
Deve essere comodo, proporzionato alla propria
statura e perfettamente regolato. < 2,5 kg.
TENDA: ci occorre una tenda da trekking, ovvero
studiata per garantire la massima leggerezza, rapidità di montaggio e resistenza ai fenomeni atmosferici
più violenti. Diffidiamo dalle tende da campeggio
stabile e da quelle a telo unico. Comode le tende a
teli uniti. < 3,5 kg.
MATERASSINO: puntiamo sui classici materassini da
ginnastica, sconsigliabili i materassini autogonfiabili, facilmente soggetti a rottura e “scivolosi” per il
sacco a pelo. Consiglio di posizionarlo sotto la tenda
anziché all'interno. Per il trasporto vengono classicamente agganciati in cima allo zaino, oppure in verticale lateralmente. < 0,5 kg.
SACCO A PELO: deve essere caldo, leggero e poco
voluminoso. Ce ne sono ottimi modelli in piuma
d'oca molto leggeri. Prestare attenzione a non farli
bagnare altrimenti perdono la loro capacità isolante.
Per un campeggio in luglio e agosto fra i 2000 e i
2500 metri di quota deve avere una tenuta termica In discesa dalla Forcella di Fellaria con tutta l'attrezzatura necessaria per
di 5/10°C (in generale, calcoliamo al massimo 10°C una settimana in tenda (agosto 2007, foto G. Orsucci).
in più della temperatura esterna minima prevista per
il periodo che ci interessa). < 1,5 kg.
ranno a mezzogiorno i ristoranti tipici del fondovalle o i
VESTIARIO: anch'esso deve essere caldo, leggero e rifugi.
poco voluminoso. Per risparmiare qualche grammo e
ALIMENTAZIONE: non è questo il luogo per parlare delle
parecchio spazio possiamo attrezzarci con indumenti norme alimentari che vanno rispettate per affrontare
tecnici in materiale sintetico. Se non volete puzzare un'escursione di più giorni in montagna; in generale, è
come il bék del Meriggio dovete considerare che, bene avere con se buona quantità di integratori salini,
specie per spedizioni lunghe, i capi intimi in cotone frutta disidratata, barrette energetiche e quant'altro può
liso sono più facilmente lavabili e meno soggetti a darci un rapido apporto di energie e sali minerali in caso
mantenere cattivi odori. Non occorre portare molti di affaticamento. In quanto al rifornimento, va ricordaricambi, poiché quasi tutti i giorni abbiamo modo di to che al massimo ogni tre giorni occorre passare da un
lavare e far asciugare gli indumenti indossati il giorno centro abitato dove poter acquistare viveri; avere con sé i
precedente. < 2,5 kg.
pasti per quattro o più giorni comporta un peso eccessivo
FORNELLETTO: è indispensabile in assenza di punti e qualche problematica di conservazione dei cibi.
d'appoggio e/o d'acqua liquida (per cucinare
Bottiglie: durante un'escursione o un trekking potrebbe
minestre liofilizzate alla sera, per fare un tè caldo a capitare di attraversare zone poco umide dove è difficile
colazione o a merenda). Io, quando possibile, ne ho fare rifornimento d'acqua; è pertanto preferibile disporre
sempre fatto a meno. Al risveglio meglio un buono di una “capacità idrica” di almeno 1,5/2 litri a persona.
yogurt (o una rigenerante colazione in rifugio, se
Kit di pronto soccorso: fondamentale per escursioni
presente nelle vicinanze). Al tramonto, poi, la cottura del cibo è resa insopportabile dal freddo della brevi e lunghe un piccolissimo assortimento di cerotti,
sera, che penetra nelle ossa del povero cuoco e fa a garze, cotone e medicinali essenziali.
OGGETTI VARI: non dimentichiamo questi semplici ma
pugni con la fiamma del fornello: assai più rapido e
soddisfacente è allora un panino, magari preparato indispensabili strumenti: bastoncini da montagna, scotch,
e mangiato in tenda, avvolti dal tepore del sacco a mollette, coltellino multiuso, torcia a led, piccolo asciugapelo. A garantire una varietà gastronomica ci pense- mano, carta igienica, saponetta, spazzolino e dentifricio.
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Montagne in libertà
43
Alpinismo
Sasso Manduino
il grande scoglio (m 2888)
Mario Sertori
44
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Estate 2009
LE
LE MONTAGNE
MONTAGNE DIVERTENTI
DIVERTENTI
Sasso
S ASSOManduino
M ANDUINO
45
1 - Spigolo NO
2 - Couloir O
3 - Pilastro S Fiore Selvatico
4 - Parete SE Radici del Cielo
5 - Cresta SE
Spallone
quota 2646
Forcella
di Revelaso
L’inizio fu in discesa,
ma non nel senso della
facilità: calammo
dalla Forcella di
Revelaso, come i
Lanzichenecchi dallo
Spluga e giù, sempre
di più in quel canale
sconvolto dai sassi in
equilibrio precario,
finchè Gualtiero disse
perentoriamente che
quello era il punto
dal quale avremmo
cominciato la nostra
scalata.
Il Sasso Manduino dal lago di Novate Mezzola (16 maggio 2003, foto Roberto Moiola).
Sasso Manduino versante SO (15 dicembre 2006, foto Mario Sertori). Alla pagina precedente: Sasso Manduino pilastro S, via Fiore Selvatico
(estate 1996, foto Mario Sertori - Guida Alpina - tel. 3496784134 - email: [email protected]).
I
l Sasso Manduino è una splendida montagna, anche se il suo
nome, così minimalista, la relega tra i luoghi un po’ dimenticati e
fuori dalle rotte dell’alpinismo trendy
dei nostri giorni. Non è pizzo, punta
e nemmeno cima, ma sasso. E che
sasso! Già Leonardo da Vinci rimase
impressionato dal quadro alpestre
dove il Manduino domina potente,
quando da palazzo Sforza in Milano
salì a Nord verso la Valchiavenna.
Ne troviamo traccia significativa nel
Codice Atlantico.
“…Su per o lago di Como di ver
Lamagnia è valle di Ciavenna dove la
Mera fiume mette in esso lago. Qui si
truova montagnj sterili e altissime chon
grandi scogli. In queste montagnie li
uccielli d’acqua dette maragonj. Qui
nasscie abeti larice eppinj, dainj, stambuche, chamoze e teribili orsi. Non ci si
po’montare se none a 4 piedi. Vannoci i
villani a tempi delle nevi chon grande
ingiengnj per far trabochare gli orsi giù
per esse ripe. Queste montagnj strette
metano in mezo il fiume. Sono a desstra
e assinistra per isspatio di miglia 20
tutte a detto modo….”
46
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Oggi, quando nelle giornate limpide si sbuca a Colico dagli oscuri
tunnel d’asfalto, l’occhio è calamitato
dal grande bastione che sembra messo
lì appositamente per accogliere i viandanti, con quella sua bellezza aspra e
fuori dal tempo. Per fortuna! Perché se
stiamo bassi con lo sguardo, con tutti
quei capannoni industriali che hanno
mangiato la campagna, lo spettacolo
naturale non è certo gradevole. Ma la
nostra montagna rimane impassibile di fronte alle umane scelleratezze.
E’ un gigante di pietra che affonda
radici tenaci sulle rive del Lago di
Novate Mezzola e si eleva, tra boschi
e dirupi, cercando spazio e altezza fra
le selvatiche balze che lo circondano.
Guarda l’Ovest senza trovare ostacoli
di rilievo fino alle ghiacciate propaggini del Monte Rosa, mentre a Sud
lo fronteggia il più bonario Monte
Legnone. Il Sasso Manduino ha una
gran testa di roccia, a tratti rugosa e
tempestata di cristalli luminosi, una
delle più belle del Masino/Bregaglia.
Nelle porzioni più articolate, barbe
d’erba mordono la pietra e lottano allo
stremo per conquistare posizioni. E’
una guerra totale, senza esclusione di
colpi, ma alla fine lei, la nuda roccia,
ha la meglio sui reggimenti erbacei e
di slancio conquista muri, congiunge
creste con canaloni, si raddrizza e si
adagia con mille contorsioni. A guardarlo bene si capisce che più che un
monte è un’entità, un essere minerale
di forte carattere, abituato a resistere
con cocciuta saggezza alle avversità
dell’esistenza.
Le sue pareti e i crinali sono di
grande attrazione ed hanno stimolato
generazioni di alpinisti, dalla comitiva
condotta dall’abile guida bergamasca Antonio Baroni di cui facevano
parte Magnaghi, Allievi e Riva, che
per prima mise piede sulla cima il 17
agosto del 1896, ai moderni arrampicatori che ancora trovano spazio
per nuove vie. Nel mezzo si srotola
la lunga pergamena con nomi e cifre,
frammenti pulsanti dell’energia vitale che gli scalatori hanno dedicato a
questa montagna.
Tra loro Giuseppe Buzzetti, il
leggendario prete chiavennasco che
da solo si infilò nel dedalo di canali
sulla severa e lunghissima Sud-Ovest
Estate 2009
e riuscì a venirne a capo, forse anche
con l’aiuto della fede, ma soprattutto
con una tenacia fuori dal comune.
Era l’estate del 1905 o 1906, le
cronache non sono molto precise in
merito, ma quello che invece è sicuro è che Buzzetti scomparve qualche
anno più tardi, nell’agosto del 1934.
L’ultimo suo segno di vita, un messaggio in una scatola metallica, fu rinvenuto poco a valle della sommità della
Punta Torelli. Poi più nulla, il vuoto.
Lo cercarono in molti, setacciando la
zona palmo a palmo, purtroppo senza
esito. Don Buzzetti non morì, non
cadde, non se ne andò, ma semplicemente svanì da quei monti e dalla
vita di tutti i giorni. Su di lui è stato
pubblicato un libro molto interessante1, che tuttavia non è riuscito svelare i
misteri della sua dipartita e solo in parte
quelli di un’esistenza avventurosa.
Un altro personaggio che ha cercato nuove strade e nuove risposte alle
domande di una vita verticale irrequieta è Ivan Guerini, uno scalatore
milanese che diede un forte impulso,
negli anni settanta, alla nascita del
Sassismo e al rinnovamento dell’alpinismo, perso allora nel vicolo cieco
1 -Guglielmo Scaramellini, Guido Scaramellini,
Paolo De Pedrini, Alberto Benini, Il prete scomparso. Storia dell’alpinista don Giuseppe Buzzetti,
Club Alpino Italiano sez. Chiavenna 2002.
LE MONTAGNE DIVERTENTI
delle artificiali. Dopo un fecondo periodo di meravigliose inedite
arrampicate in Val di Mello, Ivan
trovò sulle pareti del gigante della Val
dei Ratti ciò che cercava: la libertà di
orientare la propria bussola secondo
l’istinto e le capacità del momento. In
questo suo stato di grazia realizzò una
serie di impressionanti nuove salite,
con compagni e anche in solitudine,
portando sul Sasso la modernità delle
difficoltà elevate, della purezza di stile
e la fantasia dei nomi. Fu indubbiamente un nuovo mattino, un momento fortemente propositivo in cui Ivan
e i suoi compagni non lasciarono
tracce evidenti, seguendo lo spirito
dei pionieri che li avevano preceduti: queste vie sono infatti avvolte da
un alone di mistero, una nebbia che
nemmeno gli alpinisti che sono venuti dopo sono riusciti a far evaporare
completamente.
Il mio incontro con il Sasso Manduino scaturì - quasi vent’anni più tardi
- dal contatto con Gualtiero Colzada, una guida alpina che vive ai piedi
della montagna e che conosce ogni
anfratto di questi luoghi suggestivi.
Ci affascinava quella muraglia così
alta e verticale, esposta e lontana. Già
arrivare alla base del nostro progetto
fu un’avventura, che prese avvio poco
sopra le sponde del lago di Mezzola e
proseguì, per ore e chilometri, fino a
raggiungere l’alta Valle dei Ratti e il
Rifugio Antonio Volta, un avamposto solitario straordinariamente accogliente, ai piedi del versante orientale
del Sasso. L’inizio fu in discesa, ma
non nel senso della facilità: calammo dalla Forcella di Revelaso, come
i Lanzichenecchi dallo Spluga e giù,
sempre di più in quel canale sconvolto
dai sassi in equilibrio precario, finchè
Gualtiero disse perentoriamente che
quello era il punto dal quale avremmo cominciato la nostra scalata. Non
mi permisi di contraddirlo, anche
se dubbi ne avevo parecchi, essendo
ancora completamente buio. Sapevo e
confidavo nel fatto che il mio amico
aveva in testa la mappa della bastionata e ciò gli permetteva di orientarsi anche senza luce. Nonostante la
giovane età, aveva un’esperienza che
nemmeno se avessi vissuto dieci vite
sarei riuscito ad accumulare: questo
prezioso sapere gli era stato trasmesso
dai suoi predecessori, ma soprattutto
dal genio del luogo che lo aveva preso
sotto la sua ala. Salimmo dapprima
aggrappandoci all’erba verticale come
tirando dei capelli di strega, poi finalmente arrivò la luce dell’Est e con lei
la roccia compatta prese il sopravvento. Fu un lungo navigare su placche,
diedri e pilastri increspati di sole che
Sasso Manduino
47
Alpinismo
Rossano Libéra nel marzo
2009 ha salito la schiena
gelata del Manduino.
Partito da casa a piedi ha
raggiunto la base della
parete SO passando dal
Vallone di Revelaso, quindi
si è arrampicato fin sulla
cima del Sasso seguendo
un esile filo di cascate
ghiacciate e canalini nevosi
ci tennero in azione per parecchie ore
con un’interminabile sequenza di tiri
di corda, sospesi sullo scosceso Vallone
di Revelaso e, più in basso, sull’orizzontale superficie del lago. Quello che
ho ancora ben impresso nella memoria
è il superamento di una liscia placca
con pochissime possibilità di assicurazione e ancor meno punti di riposo,
che impegnò entrambi a fondo per via
dell’andamento diagonale e poi, verso
la fine del pilastro finale, le splendide
fessure che incidono il dorso di granito. La battezzammo Fiore Selvatico
per ricordare il carattere deciso e poco
incline alla socialità del nostro angolo
di Manduino. Tornammo un anno
dopo attaccando nel centro la parete
Sud, la più ripida della montagna.
Seguimmo un’invisibile filo di Arianna che attraverso placche, fessure e
diedri atletici ci condusse dove la lavagna si spegne contro la cresta Sud-Est.
Avevamo trovato Le Radici del Cielo,
nome che ci permettemmo di rubare
al libro dell’amico Andrea Gobetti. La
via - difficile ed estetica, ma soprattutto su una roccia degna del miglior
granito del Masino - è stata ripetuta
da Rossano Libéra, uno dei più forti
alpinisti italiani delle ultime generazioni che ne ha confermato difficoltà
e bellezza. Sulla Ovest della stessa
montagna Rossano ha anche passato
una mini-vacanza invernale nel 2000,
aprendo nel corso di 4 giorni la via
Dormi e Sogna, lungo itinerario dedicato a suo padre, scomparso quell’anno. Nell’intreccio di vicende che lega
i destini dell’uomo alla montagna,
c’è purtroppo da ricordare anche la
perdita del fratello gemello di Rossano, Corrado che, nel 2007, dopo aver
48
LE MONTAGNE DIVERTENTI
La Normale al Manduino
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
PARTENZA: contrada Piazzo (m 600 ca).
ITINERARIO AUTOMOBILISTICO: usciti dalle
gallerie della SS38 a Colico seguire le indicazioni
per Chiavenna.
A Verceia, poco dopo il ponte sul torrente Ratti,
girare a dx (indicazioni
“Al Sert”) e prendere una strada in salita che,
sempre tenendo la sx, con numerosi tornanti
raggiunge la contrada Piazzo dove si parcheggia
l’automezzo.
ITINERARIO SINTETICO: Piazzo (m 600 ca) Càsten (m 975) - Frasnedo (1287) - Corveggia
(m 1221) - Càmera (m 1792) - Alpe di Talamucca
(m 2080) –
Rifugio Volta (m 2212) – Sasso Manduino per il
versante E (m 2888).
TEMPO
DI PERCORRENZA PREVISTO:
7 ore e mezzo per la salita.
ATTREZZATURA
RICHIESTA: 2 corde da 50 m,
casco, imbraco, cordini, qualche chiodo.
DIFFICOLTÀ: 4+su 6.
DISLIVELLO IN SALITA: 2288 metri.
DETTAGLI: passaggi su roccia fino al III+.
Carte: Kompass 1:50.000 foglio n. 92
Chiavenna-Val Bregaglia.
Il Sasso Manduino visto dalla Brusada (28 marzo 2005, foto Roberto Moiola).
La via Normale al Sasso Manduino (1) e la cresta SE (2) viste d'inverno dallaValle dei Ratti
(foto Rossano Libera).
scalato brillantemente Radici del Cielo
con Francesco Oregioni, ha avuto un
incidente in discesa, sull’ultima corda
doppia. Infine è recentissima (metà
del marzo 2009) l’“escursione” solitaria di Rossano Libéra sulla schiena
gelata del Manduino. Partito da casa
a piedi ha raggiunto la base della parete Sud-Ovest passando dal Vallone di
Revelaso, quindi si è arrampicato fin
sulla cima del Sasso seguendo un esile
filo di cascate ghiacciate e canalini
nevosi interrotti ogni tanto da passaggi su roccia. Dopo sole 16 ore era di
nuovo a casa sua.
l Manduino non è solo roccia
verticale e pareti da cardiopalma,
il Sasso è democratico e lascia spazio
a tutti. La cresta Sud-Est e lo spigolo Nord-Ovest sono delle classiche
I
molto attraenti, ma è sul versante Est,
proprio di fronte al Rifugio Volta,
che si trova la Normale, una nicchia
mansueta dove il salire alla moda degli
antenati è la regola: il docile percorso, tra cenge, canali e brevi gradini,
porta allo spettacolare passo finale,
quello che richiede l’ultimo piccolo
ardimento e deposita sulla cima stretta di una montagna tanto vicina alla
vista, quanto lontana da raggiungere,
che offre panorami da capogiro e la
contemplazione della potenza della
natura2.
2 - Per conoscere nel dettaglio le vie di scalata del
Manduino si può consultare, tra una ricca bibliografia, Solo granito, la guida alle arrampicate classiche e moderne nel Masino Bregaglia Disgrazia
di Mario Sertori e Guido Lisignoli – Versante Sud
edizioni 2007 e 2009.
Estate 2009
L
a via Normale al Manduino
viene raggiunta per la Val
dei Ratti, la prima grande
valle che si incontra entrando in Val
Chiavenna sul suo lato orientale.
Il torrente che la percorre, il Ratti,
nasce alle pendici del Pizzo Ligoncio e dopo una decina di chilometri
si tuffa nel piccolo Lago di Novate
Mezzola. Solitaria e selvaggia, anche
se meno dirupata della vicina Val
Codera, ha sul suo territorio cime
di sicuro interesse come il Sasso
Manduino, con i suoi satelliti, e il
Pizzo Ligoncio, le prime importanti
elevazioni del gruppo del Masino.
Il centro principale della valle è
l’affascinante borgo di Frasnedo
LE MONTAGNE DIVERTENTI
(m 1287), un tempo stabilmente
abitato. Il punto d'appoggio è il
Rifugio Volta, posto a m 2212.
D
a Piazzo, con una serie di
tornanti si guadagna presto
quota, si taglia il tracciolino (strada
con binari in uso alla società idroelettrica Sondel) e si arriva infine in
prossimità del piccolo abitato “estivo”
di Càsten (m 975). Si lascia a dx la
deviazione che scende al bacino artificiale e, proseguendo lungo il tracciato
sempre molto ripido, si giunge a Frasnedo (m 1287). Dal paese si scende
per un tratto, attraversando una valletta, e si perviene le baite di Corveggia
(m 1221). Passando per Tabiate
Sasso Manduino
49
Alpinismo
Sasso Manduino per lo spigolo NO
BELLEZZA
FATICA
PARTENZA: Mezzolpiano (m 300).
ITINERARIO AUTOMOBILISTICO: da Novate
Mezzola (circa 10 km dal trivio Fuentes) imboccare
sulla dx, poco dopo la stazione ferroviaria, la strada
per la frazione di Mezzolpiano (m 300), dove si
posteggia l’auto.
ITINERARIO
PERICOLOSITÀ
SINTETICO: Mezzolpiano (m 300) –
Codera (m 825) - Mottala – In Cima al Bosco Alpe Ladrogno (m 1700) - Bivacco Casorate
Sempione (m 2100) – Sasso Manduino (m 2888)
per lo spigolo NO.
TEMPO
I
50
LE MONTAGNE DIVERTENTI
RICHIESTA: corda (50 metri
minimo), casco, imbraco, cordini, friend, nut,
eventualmente ramponi per l’attacco. Soste
attrezzate, portare qualche chiodo per rinforzarle.
DIFFICOLTÀ: 5+ su 6.
DISLIVELLO IN SALITA: 2588 m.
DETTAGLI: Scalata molto interessante su roccia
(IV+) di buona qualità (tranne nella parte iniziale).
11 tiri di corda. Accesso lungo e isolamento
garantito. Carte: Kompass 1:50.000 foglio n. 92
Chiavenna-Val Bregaglia. Prima ascensione: V.
Schiavio M. Gallone e O. Bignami nel 1922.
8 ore e mezzo per la salita.
Il Sasso Manduino visto dalle pendici occidentali della Cima del Desenigo (17 novembre 2007, foto Beno).
(m 1253) ed una fascia boscosa, ci
si innalza fino a Càmera (m 1792),
caratterizzata da una bella piana erbosa, dove si apre la parte orientale della
testata della valle, con le vette dal Pizzo
Ligoncio a N fino al Monte Spluga
più a S. Il sentiero si fa più pianeggiante e raggiunge un bivio dove,
imboccando la via a sx, si ricomincia
a salire fino all'Alpe di Talamucca (m
2080). La salita continua ancora per
alcune centinaia di metri lungo i quali
si attraversano numerosi ruscelli, arrivando così infine al rifugio.
nvece di salire a sx, dall'Alpe
Càmera si può proseguire, con
una variante più lunga, fino al centro
del salto roccioso finale della valle,
passando dal lato dx idrografico a
quello sx, per salire lungo un valloncello, piegare a sx e raggiungere da E
l'Alpe Talamucca e da qui il Rifugio
Volta (m 2212, ore 5).
Il rifugio non è custodito e le
chiavi sono reperibili presso la fami-
DI PERCORRENZA PREVISTO:
ATTREZZATURA
glia
Oregioni
di Verceia, tel.
0343/44064.
Dal
rifugio
Volta, attraversare verso la base
della parete E del
Sasso Manduino. Attaccare a
valle della verticale calata dalla
cima, nei pressi
di
un’evidente
cengetta che sale
Il Rifugio Volta (foto Luca Colzani - www.balconisullealpi.it).
in direzione dello
spallone di quota 2646, punto dove dà sulla Val Revelaso. Un breve ma
la cresta SE diviene ripida (ometti in ostico camino, formato da una lastra
pietra). Facilmente su pendio erbo- appoggiata, deposita ad un ballatoio
so e placche da dx a sx, fino ad una sotto la cuspide finale. Con gradevozona più appoggiata. Da qui deci- le arrampicata si tocca il panoramisamente in obliquo verso dx fino al cissimo punto culminante (m 2888,
canale che scende dalla vetta (segni ore 2:30).
DISCESA: dalla vetta con 3 doppie
di passaggio). Risalire dapprima sulla
sua dx, poi con percorso sinuoso da 25 metri attrezzate, poi per la via
pervenire al caratteristico pertugio che di salita (ometti di pietra).
Estate 2009
L
'accesso allo spigolo NO
del Manduino è la Val
Codera, un lungo solco
prevalentemente pianeggiante che
dalle propaggini occidentali della
Punta Trubinasca e delle altre cime
che la separano dalla Val Masino e
dalla Val Bondasca si dirige verso il
lago di Novate Mezzola.
Il paese di Codera, un tempo
abitato stabilmente, è il nucleo
principale della valle. Le sue case
sembrano piccole fortezze, le une
addossate alle altre come per trovare il calore di un abbraccio e farsi
coraggio in un ambiente così aspro.
Il granito è ovunque, poche zolle di
terra sono rimaste aggrappate, con
tenacia, alla roccia scoscesa della
grande forra. Codera sembra uscire
da un buco del tempo: è un patrimonio straordinario custodito con
amore nel corso degli anni, preservato da insidie di ogni genere. Qui
non salgono né strade né funivie,
ma il minuscolo borgo non è mai
del tutto spopolato, malgrado le
difficoltà di organizzare una vita
quassù.
La Val Ladrogno è un importante
laterale della Val Codera posta sulla
sx idrografica: estremamente selvatica e faticosa da raggiungere offre
a chi la risale ambienti di notevole
pregio naturalistico.
Nella parte superiore è posizionato il Bivacco Casorate Sempione
(m 2100, 12 posti letto), ottima
base per le ascensioni del Manduino da O.
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Lo spigolo NO del Manduino (30 luglio 2006, foto Luca Bono).
D
a Mezzolpiano (m 300) ha
inizio la mulattiera di accesso
alla valle che sale lungo il versante
orografico dx (indicazioni). Lo spettacolare sentiero, in parte intagliato
nella roccia e sospeso su impressionanti forre, conduce a Codera
(m 825, ore 1:30).
Seguire il segnavia A7 che porta al
lato opposto della valle (due magnifici
ponti in pietra), attraversare la forra
della Val Ladrogno e risalire il ripido
pendio (indicazioni per il Bivacco
Casorate Sempione e per la Val Ladrogno) fino a pervenire al “tracciolino”,
strada già in uso alla società elettrica.
Seguire il sentiero, ben segnalato, in
salita nel bosco e attraversare un prato
fino a incontrare le baite di Mottala e
quella di In Cima al Bosco. Costeg-
Il Bivacco Casorate Sempione (30 luglio
2006, foto Luca Bono).
Sasso Manduino
51
Alpinismo
giare il versante sinistro orografico
della Val Ladrogno, arrivare ad alcune
cascate, aggirarle sulla dx e proseguire
un po’ verso sx fino alla baita dell'Alpe
Ladrogno (m 1700). Continuare nel
ripido bosco dietro la baita fino ai
pascoli superiori della valle, traversare verso dx, risalire ancora per pascoli
sassosi e, con un'ultima deviazione a
sx, raggiungere il bivacco posto nel
centro alla valle (m 2100, ore 3:30 da
Codera).
Dal Bivacco Casorate Sempione per
deboli tracce attraversare alcune vallette e canali, fino ai nevai sottostanti la
parete NO (ore 1:30 dal bivacco).
Si attacca in fondo al canale che
porta alla base dello spigolo, presso il marcato intaglio che si affaccia
sulla Val Revelaso. Continuare per lo
spigolo fino alla vetta (m 2888, IV+,
ore 2 dal canale).
Discesa: in doppia sulla via (verificare gli ancoraggi).
Il cupo vallone di Revelaso (foto Mario Sertori).
Cavalcorto
il siluro di Valmasino (m 2763)
Salire sul Cavalcorto è più un avventura che un trekking classico:
dimenticatevi comodi sentieri ben segnati e rifugi in quota, non troverete
niente di tutto questo. E’ un luogo per gli amanti della wilderness e
di quella montagna ruvida che ti lascia addosso i graffi e l’odore della
vegetazione contro cui bisogna scontrarsi per trovare un passaggio.
Francesco Avanti
52
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Estate 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Sasso Manduino
53
Alpinismo
BELLEZZA
PARTENZA: Bagni di Masino (m 1172).
ITINERARIO AUTOMOBILISTICO: dalla SS 36 uscire
per Val Masino e proseguire fino a Bagni di Masino
(SP 9).
FATICA
PERICOLOSITÀ
ITINERARIO SINTETICO: Bagni di Masino (m 1100)
– Sassoni “Thermophili” (m 1500) – Cascata di
Sione (m 1700) - Sassone al centro della valle
(m 2100) - Cima Cavalcorto (m 2763).
TEMPO
ATTREZZATURA
RICHIESTA: nessuna se affrontato
in assenza di neve.
DIFFICOLTÀ: 3- su 6.
DISLIVELLO IN SALITA: 1592 metri.
DETTAGLI: EE/alpinistica F- . Sentiero non segnato
possibilità di perdersi. Passi su roccia di II+.
DI PERCORRENZA PREVISTO:
5 ore per la salita.
Il Cavalcorto versante SO (1 settembre 2006, foto Mario Sertori). A pag. 53: il Cavalcorto lato S. Martino (23 aprile 2009, foto R. Ganassa).
E
A
sistono montagne famose e montagne che non lo sono affatto. I motivi di questa
differenza sono un affare di noi esseri umani perché le montagne sono, di fatto, tutte
uguali. Non è chiaro il perché una montagna diventi più famosa di un'altra. In passato
c'erano motivazioni legate, per esempio, alla storia della prima salita, come fu per il
Cervino, o al valore simbolico della montagna stessa che potrebbe essere la più alta, la più
ripida, la più a N. Ci possono essere anche delle motivazioni estetiche, ma sta di fatto che, al
giorno d’oggi, possiamo tranquillamente affermare che ci sono delle montagne che vanno di
moda, montagne che stanno sulla bocca di tutti, o montagne selvagge che pochi conoscono:
il Cavalcorto va inserita tra quest’ultime.
Chi va in montagna sceglie le proprie salite anche in funzione di questa “notorietà” e per
questo motivo il Cavalcorto è sempre rimasto nell’ombra, oscurato dalla fama dei suoi
illustri vicini, dal Badile al Disgrazia, dal Cengalo alla Cima di Castello.
Ben visibile appena si arriva a Cataeggio in Val Masino, il Cavalcorto è quella grossa
montagna che chiude l’orizzonte sulla sx accanto alla Valle del Ferro e la cui cima è, sul lato
sx, preceduta da un enorme missilone di granito…
Da un punto di vista orografico è assimilabile ad un balcone di 2700 metri posto in mezzo
al cerchio che formano le montagne del Masino ben più alte, dunque una montagna di
grandissimo valore poiché, grazie a questa sua posizione, consente, dalla cima, di godere di
un panorama a 360 gradi sull’intera Val Masino.
rrivati a San Martino, si prosegue lungo la SP 9 alla volta
dei bagni di Masino e si parcheggia
a quota 1172 metri. Da qui occorre prestare attenzione ai cartelli che
indicano il sentiero per la Capanna
Gianetti.
Superato l’albergo dei Bagni di
Masino si entra in una pineta e, alla
fine di questa, oltre una recinzione
con delle case sulla sx, si lascia la sterrata e si attraversa un prato. Giunti in
prossimità di un grosso sasso ormai
nelle vicinanze del bosco inizia il
sentiero vero e proprio per il Rifugio Gianetti, ottimamente segnato e
molto frequentato.
Si segue fedelmente il tracciato
segnalato all’interno di uno splendido
bosco di abeti prima e di magnifici
faggi poi, fino ad una radura con delle
baite da cui è visibile il famoso Pizzo
54
LE MONTAGNE DIVERTENTI
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Estate 2009
Badile (m 1400 ca).
Il sentiero continua passando fra
due enormi blocchi di granito noti
come le Thermophili.
Si continua a salire e, superata
un’altra radura con baite, il sentiero
inizia a rimontare il lato dx della valle
(sx orografico), con ampie svolte tra la
vegetazione.
Si arriva in prossimità del Torrente di Sione (m 1705, vecchi paletti
metallici ed una catena, ore 1:20) .
Lasciato il sentiero per la Gianetti,
si sale a dx (E) costeggiando la placca di granito della cascata (fare molta
attenzione se bagnato).
La traccia, ripida e assai discontinua,
è praticamente inghiottita da sadici
arbusti: sono vivamente consigliati i
pantaloni lunghi!
Arrivati sotto una fascia rocciosa,
ci si inerpica tra i cespugli. Questo è
il tratto più impegnativo della salita,
sia per la pendenza elevata, che per la
facilità di perdersi: dovremo riscoprire
i nostri istinti da animale selvatico.
Usciti dal mare di cespugli, si attraversa una zona di pascolo e rocce affioranti ancora un po’ ripida, seguendo
gli ometti o le tracce di animale
si arriva nel grosso piano di Sione
(m 2100 ca).
La pendenza diminuisce e incontriamo una splendida zona pianeggiante
di pascolo disseminato di blocchi di
granito; ci dirigiamo verso uno di
questi, posto sulla mezzeria della valle
e particolarmente grosso.
Da qui è possibile, oltre che tirare il
fiato dopo la difficile salita tra la vegetazione, ammirare la parte alta della
Valle di Sione e, in alto alla nostra dx
(S), la cresta del Cavalcorto con l’inconfondibile missilone dell’anticima.
Cavalcorto
55
Alpinismo
Valmalenco
Dal massone ci si dirige verso dx
(S). Attraversato il prato disseminato
di blocchi, un sentierino abbastanza
visibile sale su una rampa in diagonale
e si sposta nella parte dx della valle (sx
orografica). Siamo così in linea con la
cima del Cavalcorto, da qui è ben visibile il famoso missilone dell’anticima.
Si continua a salire seguendo
sporadiche tracce ed ometti fin sotto
una fascia rocciosa con una cascata,
si obliqua verso N (sx), poi si devia
verso dx e ci si porta al di sopra del
salto roccioso in prossimità dell'intaglio della cresta che si affaccia sopra
San Martino e l’intera Val Masino.
Ormai si vede bene il missilone e la
Cima del Cavalcorto verso cui puntiamo senza via obbligata tra grossi massi
e placche facili di granito (prestare
comunque attenzione).
Arrivati sul filo della cresta che divide la Val del Porcellizzo da quella del
Ferro, di cui il Cavalcorto è l’ultima
cima verso S, ci dirigiamo verso dx.
Una facile e divertente arrampicata
tra blocchi di granito, mai esposta,
Il siluro sotto la cima del Cavalcorto (3 agosto 2008, foto R. Ganassa).
con passaggi di II grado superiore, ci
porta sulla vertiginosa e panoramica Cima del Cavalcorto (m 2763,
ore 3:30).
La vetta è totalmente rocciosa e
abbastanza esposta verso S. La vista
spazia su tutto il gruppo del Masino,
dal Badile al Disgrazia, in lontananza,
oltre il solco della Val Masino, le cime
orobiche completano il panorama.
La discesa va affrontata con la
medesima concentrazione della salita
perché è molto semplice perdere la
traccia e potersi trovare in serie difficoltà.
Si può riscendere al sassone nel
prato attraverso la stessa strada di salita oppure, come ho fatto io, scendere
sull’altro versante della valle. In tal
caso bisogna prestare molta attenzione
perché le tracce e gli ometti sono assai
rari e ci sono parecchi salti di roccia.
Il vuoto oltre
la Cima del
Cavalcorto (3
agosto 2008, foto
R. Ganassa).
Verso la vetta del Cavalcorto dalla via Normale. Sotto: San Martino dalla vetta del Cavalcorto (3 agosto 2008, foto R. Ganassa).
56
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Estate 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Cavalcorto
57
Escursionismo
L'anello della
Cima del Duca
Una due giorni con partenza e arrivo a Chiesa Valmalenco in cui
seguiremo le fatiche dei portatori che negli anni '20 condussero a spalla
i materiali per i lavori di captazione delle acque del Lago Pirola.
Quindi, dopo aver riposato nella bucolica piana del Ventina,
punteremo al Lagazzuolo per il Buchél del Can, con la possibilità per
gli alpinisti d'ascendere la maestosa Cima del Duca, vetta dalle rocce
rosso fuoco tanto bella quanto scarsamente frequentata.
Beno
58
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Estate 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
L'Alpe e il Rifugio Ventina sovrastati, a sx,
dall'imponente Cima del Duca (8 ottobre 2005,
L'anello della Cima del Duca
foto Luciano Bruseghini).
59
Escursionismo
Valmalenco
Il Lago Pirola e, sullo sfondo da sx, il Torrione Porro (m 2357), la Punta Baroni (m 3203), il Monte Sissone (m 3331), la Cima di Rosso (m 3366) e
la Cima di Vazzeda (m 3302) (18 settembre 2002, foto R. Moiola).
Giorno 1
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
-
PARTENZA: Chiesa V.co, parcheggio di Vassallini.
ITINERARIO AUTOMOBILISTICO: da Sondrio
Rifugio Ventina, m 1965).
TEMPO
DI PERCORRENZA PREVISTO:
prendere la SP 13 della Valmalenco per Lanzada.
Alla rotonda (km 13) che smista le auto fra Lanzada
e Chiesa imboccare la II: dopo 100 metri sulla sx c'è
il parcheggio di Vassalini.
6 ore e mezzo;
ITINERARIO SINTETICO: Chiesa Valmalenco
(parcheggio di Vassalini, m 956) - ponte del Curlo Giuel (m 1097) - Sabbionaccio - Chiareggio
(m 1612) - Alpe Pirola - Lago Pirola (m 2284) Alpe Pirola (m 2096) - Alpe Ventina (Rifugio Porro o
DIFFICOLTÀ: 2- su 6.
DISLIVELLO IN SALITA: 1300 metri.
DETTAGLI: E, escursione lunga ma su comodi
ATTREZZATURA
RICHIESTA: da escursionismo in
alta montagna + corda, piccozza, ramponi, fettucce
per l'ascensione alla Cima del Duca.
sentieri segnalati.
Giorno 2
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
PARTENZA: Alpe Ventina (m 1965).
ITINERARIO SINTETICO: Alpe Ventina (m 1965)-
[Bocch. di Lagazzuolo (m 2750 ca) - Cima del Duca
(m 2968) - Bocch. di Lagazzuolo] - Buchèl del Can
- Lagusc - Lagazzuolo - Sabbionaccio - Primolo
(m 1284) - Chiesa Valmalenco (parcheggio dei
Vassallini, m 956).
TEMPO
DI PERCORRENZA PREVISTO:
6 ore (calcolare 5 ore e mezzo in più con
l'ascensione alla Cima del Duca).
DIFFICOLTÀ: 2+ su 6, 4 su 6 con l'ascensione alla
Cima del Duca.
DISLIVELLO IN SALITA: 1300 ca.
DETTAGLI: EE la parte escursionistica. Passaggi su
terreni sconnessi e pietraie di grosso calibro molto
accidentate.
PD l'ascensione alla Cima del Duca: tratti probabili
su neve e ghiaccio per raggiungere la Bocchetta
di Lagazzuolo, passi su roccia fino al III nel
percorrimento dello spigolo N (via Normale) alla
Cima del Duca.
solo per la vetta
60
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Estate 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
L'anello della Cima del Duca
61
Escursionismo
Valmalenco
Con un carico di 50 kg
di cemento quanti di noi
riuscirebbero a percorrere
la prima tappa di questa
escursione?
Certamente pochi, ma
meno di cent'anni fa i
malenchi furon capaci
di portare a spalla 800
quintali di cemento dal
ponte del Curlo fino al Lago
Pirola.
GIORNO 1
bbandonata l’auto al parcheggio di Vassalini, quello di fronte alla piscina, attraverso il ponte sul
Mallero e seguo la strada principale
fino al ponte del Curlo1.
A dx dell’Hotel Genzianella (cartelli
segnaletici del Sentiero Rusca2) prendo la vecchia strada selciata che sale a
O e, dopo pochi tornanti si interrompe conficcandosi nei detriti delle cave
gettati dal Castelàsc. Il sentiero piega
a sx e mi porta a un poggio panoramico con 2 pali della corrente. Dovrei
prendere la rotabile per San Giuseppe
che è poco più in alto di me (O, dx),
ma tutti i tentativi di raggiungerla
direttamente finiscono nei capannoni
della Nuova Serpentino d'Italia. Con
faccia di tola, comunque, entro nella
proprietà privata stando a ridosso
della recinzione che corre sulle rocce
e guadagno la strada a pochi metri
dall'ingresso dello stabilimento3.
Dovunque siate passati, comunque, dovrete seguire la strada per San
Giuseppe fin’oltre i capannoni del
serpentino.
Sulla sx dell’asfaltata (S), al margine inferiore del Giuèl4, si diparte la
A
1 - Poco più a monte del ponte si può notare la
presa dell’acqua che capta le acque del Mallero e le
convoglia, tramite condotte forzate, alla centrale di
Arquino.
2 - Toponimo recentemente attribuito all’antica
via carovaniera che conduceva da Sondrio al Passo
del Muretto (m 2562) e quindi ridiscendeva fino a
Maloja (m 1815). Il tracciato è stato da poco riqualificato dalla Comunità Montana di Sondrio e si
presta, nella sua versione integrale, per una gita di
3-4 giorni.
3 - L'alternativa legale è quella di scendere dal poggio
panoramico fino ai Costi e da qui continuare verso
S fino a incrociare e seguire via Bernina in direzione
San Giuseppe.
4 - In letteratura viene italianizzato come “Giovello”, è il ripido costolone ricoperto di detriti dove
dal 1300 al 1987 – quando anche la compagnia di
Olicvo Gianfranco cessò l’attività- è stato estratto il
serpentino tramite numerosi cunicoli ipogei tutt’ora
osservabili.
62
LE MONTAGNE DIVERTENTI
La prima parte dell'escursione si svolge tra i caotici agglomerati cementizi di Chiesa, ma in soli
30' ci si può lasciare tutto alle spalle e iniziare la vera avventura (2 maggio 2009, foto Beno).
Chiareggio e, sulla dx, la possente Cima di Vazzeda (19 giugno 2005, foto R. Moiola).
del guardiano, sono al Lago Pirola
(m 2284, ore 0:30), oggi di colore
blu cobalto.
Il lago ha una forma insolitamente
allungata da E a O che ne testimonia
la probabile origine tettonica: si trova
infatti lungo la linea di contatto tra
le serpentine, che verso S formano la
Valle Ventina, e le formazioni della
falda della Margna che caratterizzano il paesaggio geologico verso N.
A E posso vedere la depressione tra
il Monte Senevedo e la Punta Rosalba: il Buchèl del Can, il valico che
conduce in Valle Orsera. Sulla dx
appare imponente la Cima del Duca
(m 2968), mentre, portandomi sulle
bastionate rocciose che cingono il lago
a N, quindi per sentiero sulla sponda
opposta all'argine, posso apprezzare
uno scorcio suggestivo sui Gemelli di
Chiareggio (Cima di Vazzeda, Cima
di Rosso).
R
Il Giuèl è attraversato da un sentiero di recente ripavimentazione . Il tracciato di salita è qui
visto da Albareda (2 maggio 2009, foto Beno).
La Porro si trova all'Alpe Ventina a m 1965 (8 ottobre 2005, foto L. Bruseghini).
pista di servizio delle cave d’ardesia
(m 1150 ca, ore 0:30).
Al primo tornante ha inizio il sentiero selciato che attraversa il Giuèl,
l’antico sito estrattivo della Valmalenco. E’ impressionante il contrasto
fra quest’area e la grande cava sulla
sponda opposta della valle. Nel Giuèl
centinaia di anni di attività umana
hanno creato solo una piccola zona di
detriti, mentre con ruspe e dinamite
in poche decine d’anni si è sbancata la
montagna di fronte a noi.
Passo accanto al “Sas di Crus” e ad
alcuni tunnel ben visibili. Da questi
buchi, che s’insinuano per centinaia di metri nei meandri della Terra,
ghivi primaverili. Ignorata la deviazione per La Zocca, proseguo dritto sul
bel sentiero fino al ponte sul Mallero.
Giunto sull'altra sponda, prendo la
sterrata che sale (O) in località Sabbionaccio, quindi, senza più possibilità di
perdermi, vado per la pista di sci di
fondo fino a Chiareggio (m 1612,
ore 2:30), dove appoggio a terra per
qualche istante il gerlo col cemento e
ammiro la maestosa testata della valle.
Attraverso il Mallero e mi riporto
sulla dx idrografica, dove c’è subito
un bivio. Io vado a sx: il tragitto più
breve per il Lago Pirola sale il versante settentrionale del Monte Senevedo. Per ripida pecceta sono all’Alpe
fuoriesce aria a temperatura costante
(8-10°C) che d’estate par fredda e
d’inverno calda. Mette malinconia
sapere che, fra pochi anni, anche i
cunicoli superstiti, testimonianza di
secolare paziente estrazione e lavorazione artigianale del serpentino, crolleranno e svaniranno tutti5.
La via prende quota fino ad intercettare il sentiero Primolo-San
Giuseppe, che prosegue senza grossi
dislivelli attraversando varie vallecole
sedi di impressionanti depositi valan5 - Ora l’attività estrattiva è divenuta da artigianale a industriale con molti meno addetti ai lavori,
specie locali. I siti sono grandi cave a cielo aperto
che segnano profondamente e rumorosamente il
paesaggio malenco.
Estate 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Zocche (m 1775), dove si trova anche
il bivio per l’Alpe Pirolina (E). Lo
ignoro e salgo deciso verso SO.
Passo al di sotto di alcune rocce,
affronto un tratto con corde fisse
(nessun problema irrisolto dell’alpinismo: servono solo per prevenire
scivoloni sui sassi bagnati), e, oltre il
bosco di larici, esco all’Alpe Pirola
dove, a monte delle baite da tempo in
disuso, c’è una bella cascata (m 2096,
ore 1:30).
Mi siedo nuovamente: attorno a me
il rumore dell’acqua e strani giochi
d'ombra sulle Tre Mogge.
Centocinquanta metri di dislivello
verso S e, oltrepassata la vecchia casa
acconta Bruno Galli-Valerio
(27 agosto 1904): “Risalendo
attraverso pascoli, raggiungiamo una
cresta: sotto di noi, a picco appaiono
le acque azzurro cupo del lago Pirola.
Il vento le increspa e si sente il rumore dell'acqua che batte contro le roccie.
Sulla nostra sinistra, le gande salgono
ai passi del Ceresone e del Can, al di là
del quale si vede una piccola vedretta.
Davanti a noi sta imponente, il Disgrazia. A destra, la vedretta del Vazzeda, la
Cima di Rosso e il Monte del Forno. Un
bel quadro, incorniciato da una splendida cornice. [...] Le ombre della sera
cominciano a stendersi sul lago e diffondono un'infinita malinconia. Giunti
all'estremità del lago, verso Val Ventina,
ci portiamo di nuovo all'alpe Pirola e
alle sei e mezzo, a Chiareggio troviamo
la minestra fumante sulla tavola.”
T
ornato all'Alpe Pirola seguo il
sentiero che, traversando prima
a O poi a S, aggira il Torrione Porro
(m 2357) e, intercetta a poca distanza
dalla Porro la mulattiera che sale da
Chiareggio, sbuco sulla piana dell'Alpe Ventina (m 1965, ore 1:20 dal
Lago Pirola). E' proprio quassù, al
Rifugio Gerli-Porro (gestore Floriano
Lenatti - tel. 0342-451404) o al Rifugio Alpe Ventina (gestore Diego Lenatti, tel. 0342-451072), che vi consiglio
di pernottare per spezzare l'anello.
L'anello della Cima del Duca
63
Escursionismo
La seconda giornata,
iniziata senza il carico di
cemento, offre continui
e suggestivi cambi di
paesaggio: pietraie lunari,
alberi secolari, pascoli,
laghi azzurri e fitti boschi.
La tappa è piuttosto lunga
ma di grande soddisfazione.
GIORNO 2
ra i due rifugi, sull'orografica
dx della valle, parte un sentiero
(E) con indicazioni per il Lago Pirola. Cammino ripidamente tra pietre e
pini mughi per raggiungere la grossa
ganda rossiccia a O della Cima del
Duca. Il paesaggio è lunare, qua e là
alberi secolari arsi dai fumini s'alternano a pietre ferrose e licheni giallastri. Dopo un tratto dolce (ore 0:30,
da qui inizierebbe la salita per la Cima
del Duca: vedi box a pag. 66) la via
bollata vince un dislivello verso NE e
supera lo spartiacque tra la Valle del
Ventina e la conca del Lago Pirola
(sella nota come Passo Ceresone).
Poco sopra il Lago Pirola il sentiero
segnalato si biforca (m 2350 ca): ne
seguo il ramo dx che per una scomodissima pietraia (ESE) guadagna il
Buchèl del Can (m 2548 ore 1:20).
Dal valico arrivo in picchiata per
fondo di pietre e ghiaia al misterioso
Lagusc1 (m 2227, ore 0:40).
Abbassandomi a N per una traccia
fra gande non sempre chiara, raggiungo il bellissimo Lagazzuolo (m
1992, ore 0:30). Pochi metri a valle
del lago, all'Alpe Lagazzuolo, è stata
recentemente ristrutturata una baita
per adibirla a rifugio.
Dall'alpe seguo i bolli che attraversano il bosco di abeti rossi e in men
che non si dica sono nel fondovalle.
L'attraversamento del Mallero avviene
su una briglia che mi riporta sulla sterrata già percorsa all'andata (Sabbionaccio, m 1323, ore 1:30).
Faccio tutto a ritroso fino al bivio
per il Giuèl, che ignoro mantenedomi sul sentiero principale (leggera
salita) che mi porta sopra le cave di
ardesia, quindi alla pineta di Primolo.
Una bella viottola attraversa il parco,
Valmalenco
Cima del Duca
(m 2968)
Bocch. Di Lagazzuolo
(m 2700 ca)
finestra
T
1 - Racconti popolari vogliono che questo minuscolo e profondo laghetto sia una trappola per molte
capre che vi annegano.
64
LE MONTAGNE DIVERTENTI
La Cima del Duca e il tracciato per la Bocchetta di Lagazzuolo visti dalla pietraia sopra l'Alpe
Ventina (25 giugno 2008, foto Beno).
Gli splendidi colori del Lagusc (19 agosto 2008, foto Gianfranco Lalli).
quindi scendo al paese fino al Santuario della Madonna delle Grazie di
Primolo (m 1275, ore 1).
Leggenda narra che questo edificio
fu eretto dove la giovane Mina, figlia
di un contadino locale, si sedette ad
aspettare il ritorno del suo amato
Guglielmo, figlio del conte di Tarasp, andato oltr'alpe a trovare il padre.
Già molte settimane eran trascorse e
il presagio che Guglielmo non volesse
più far ritorno la assillava. Un giorno
sopeso tra l'inverno e i primi caldi di
primavera, fu trovata nel solito luogo
dov'ella era solita attenderlo, morta di
freddo ma sorridente. La neve attorno
al suo corpo s'era sciolta ed eran sbocciate primule e viole.
ercorso tutto il paese passo il
ponticello sul Ruinùn (curva
a sx). Poca strada e si diparte sulla sx
il bel sentiero per Chiesa (Contrada Faldrini). Lungo la discesa vedo
chiaramente il parcheggio dove ho
lasciato l'auto. Raggiunto il paese ho
l'orizzonte sbarrato dai parallelepipedi di cemento, ma, prendendo strade
e sentierini a casaccio, torno su Via
Bernina, quindi, facilmente, raggiungo Vassalini (m 956, ore 0:50).
P
Nomi di Valmalenco
Giochi e riflessi nella pozza a quota 2373 sopra il Lago Pirola (13 settembre 2008, foto R. Moiola).
Il Lagazzuolo e l'Alpe Lagazzuolo, sullo sfondo i pascoli sopra San Giuseppe
(19 agosto 2008, foto G. Lalli).
Il Buchel del Can versante E (19 agosto 2008, foto G. Lalli).
Il nuovo rifugio all'Alpe Lagazzuolo (19 agosto 2008, foto G. Lalli).
Pizzo Scalino e Valmalenco erano
prima due creature che si amavano
e si sposarono e da loro nacque una
bella fanciulla, Chiesa. Poi nacque
un figlio, Caspoggio. Poi nacque un
fanciullo, Lanzada. Chiesa sposò il
Mallero e nacque Primolo, un bel
ragazzo. Primolo volle metter su casa per conto suo. Fratello di Primolo
fu Chiareggio che volle andare a vivere all’ombra dei nonni soprannominati Disgrazia e Ventina.
Da questo ceppo nacquero altre
creature, i cui nomi recano i paesi
della Valmalenco. Quando Dio vide
tanta perfezione di sentimenti e tanti affetti, pensò di rendere eterne le
creature privilegiate e le trasformò
in luoghi, paesi, monti, valli e poggi come a suggellare una fraternità,
che il tempo non doveva distruggere. Questa leggenda di Valmalenco, dice come l’altezza e la poesia
di amorosi vincoli umani possono
restare intatti anche attraverso trasformazioni e trascendenze.
da Ermanno Sagliani "Pizzo Scalino,
un simbolo malenco"
Estate 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
L'anello della Cima del Duca
65
Escursionismo
Ascensione alla Cima del Duca (m 2968)
La storia
del lago Pirola
da un manoscritto di Giacomo Schenatti
La via Normale alla Cima del Duca vista dal ghiacciao (25 giugno 2008, foto Beno).
"Poderosa montagna
offerente alcune belle
arrampicate e un buon
panorama. Discretamente
visitata merita di esserlo
ancora di più, perchè
accessibile comodamente in
mezza giornata dal Rifugio
Porro" 1.
S
e ci si ferma per uno spuntino
sui prati dell’Alpe Lagazzuolo,
pochi metri prima del lago, saranno le
alte torri del Corno di Braccia e della
Punta Rosalba a monopolizzare l’attenzione, ma se si decide di cambiare
prospettiva, ad esempio dall’Alpe di
Fora o da Entova, una terza vetta,
dall’eleganza incredibile e selvaggia,
sarà la calamita degli sguardi. E’ la
più alta dell’anfiteatro, il suo colore è
rosso vivo e la sua cresta settentrionale è dentellata e affilata come i migliori coltelli da cucina, la Cima del Duca
(m 2968). Il suo nome è altisonante,
ma in realtà2 deriva dal soprannome
che era stato dato per scherzo dagli
1 - Aldo Bonacossa, Guida dei Monti d'Italia
Masino - Bregaglia - Disgrazia, CAI-TCI, Milano 1936. , CAI-TCI, Milano 1936
2 - Un'altra versione vuole che il nome derivi
dalla stesura dei toponimi da parte dei topografi toscani che mapparono la Valmalenco a
metà '800. Uno di essi, che doveva essere un
duca, dedicò alle sue figlie Rosalba, Cassandra
e Rachele tre vette della Valle del Ventina, e la
quarta gli fu intitolata.
66
LE MONTAGNE DIVERTENTI
amici a uno dei primi salitori: "Duca
del Lago Palù".
Non è banale da scalare: la via solita è per la cresta settentrionale e va
affrontata con la dovuta attenzione.
ITINERARIO
el punto in cui il sentiero che
dalla Porro sale al Pirola piega
a N, continuo invece dritto (ENE)
verso il vallone detritico che scende
a N della Cima del Duca. Guadagno
faticosamente quota per sassi mobili
e scomodi fino ad arrivare, al termine
della lunga rampa, al piccolo Ghiacciaio della Cima del Duca, residuato
dell'apparato glaciale che riempiva la
conca a NO della montagna.
Attraverso la conca mirando il
canale franoso che scende dall’incisione nota come Bocchetta di Lagazzuolo (m 2750 ca, ore 2:15). Per chi
non la conoscesse è l’ultimo intaglio
verso S della tormentata sella punta
Rosalba – Cima del Duca, quello da
cui la dorsale della montagna inizia
inesorabilmente a salire verso il cielo.
Il colatoio da salire è ripido e infame,
ma arrivar qui dalla Valle Orsera pare
addirittura peggio.
Alla bocchetta si inizia ad arrampicare (SO). Dapprima mi appoggio sul
versante E, quindi di roccia in roccia
scelgo il tracciato più conveniente,
a sx o a dx dello spartiacque, senza
mai allontanarmi troppo dal filo (c'è
qualche ometto segnaletico d'aiuto).
N
Il ghiacciaio della Cima del Duca e il Lago
Pirola visti da un intaglio della cresta N
(25 giugno 2008, foto Beno).
Nel tratto centrale c’è un’impennata
ostica che supero con una diagonale
da dx verso sx. Esco su un testone,
scendo di qualche metro, poi c’è un
tratto abbastanza sottile ed esposto
nuovamente in salita. Infine il filo si
adagia e si allarga. Un ripiano di rocce
rosso fuoco, paesaggio surreale.
Cammino affascinato fino a un grosso masso, anch’esso rosso ma pitturato di bianco dallo sterco degli artisti
rapaci: è il cocuzzolo della Cima del
Duca (m 2968, ore 1:30). Paesaggio
incantevole!
Il ritorno è per la stessa via fino a
100 metri di dislivello sotto il ghiacciaio: da qui si può approfittare di
una finestra (dx, N) della dorsale
che scende al Passo Ceresone e,
tagliando per scomode gande verso
N, ricongiungersi all'itinerario che
dal Pirola sale al Buchèl del Can
(m 2548, ore 2:30).
Estate 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
La storia del lago Pirola
67
Storia
Valmalenco
Nel lontano 1977 Giacomo Schenatti1
scrisse alcune pagine sul Lago Pirola ed
in particolare sui lavori che, a partire
dagli anni '10, la Società Elettrica
Lombarda fece per poterne utilizzare
le acque al fine di produrre energia
elettrica2. Con l'aiuto di Silvio Gaggi
e degli stessi familiari degli operai che
lavorarono lassù, ho potuto corredare
questo testo con immagini, racconti
e vicende personali la cui memoria si
sarebbe altrimenti persa al soffio del
tempo.
Gli utensili probabilmente utilizzati per
scavare il sifone del lago Pirola.
Disegni Silvio Gaggi.
27 aprile 1977
Giacomo Schenatti (1903-1989) svolse varie attività lavorative, ma fu
celebre in particolare come Guida Alpina. Si sposò con Maria Lenatti
da cui ebbe sei figli: Pietro (1929-1946, rimasto sotto una valanga
al Lago Pirola mentre inseguiva un animale selvatico), Giacomina,
Costanza, Luciano (Guida Alpina), Antonio (olimpionico di sci)
e Carlo. Di noi nipoti, ci racconta Giorgio Schenatti, nessuno ha
proseguito l'attività di Guida Alpina.
Foto archivio Giorgio Schenatti.
Tranquillo Schena di Costi (minatore/giovellaio, 1878-1956) fu uno
dei due coraggiosissimi operai che forarono gli ultimi metri del
sifone del Lago Pirola. Si sposò con Clara Dell'Andrino (di Bertin)
da cui ebbe 6 figli. Nella foto lo vediamo col figlio Arturo sulla dx
(giovellaio), la nuora e cinque dei sei nipoti (in alto da sx: Bruno, Pio,
Rodolfo; in basso da sx: Anna, Celestina). Io e Pio, racconta Bruno,
abbiamo svolto attività di giovellai fino alla chiamata alla leva, per poi
dedicarci a scavi ed edilizia. Mio fratello Rodolfo è autotrasportatore.
I miei figli Ivan ed Ugo stanno proseguendo la mia stessa professione.
Foto archivio Bruno Schena.
68
LE MONTAGNE DIVERTENTI
"L'
origine di questo lago risale ad epoche remote
e si individua nella spaccatura della montagna
di serpentino3 e gneiss.
Con l’avvento dell’energia elettrica ed il sorgere di alcune
centrali idrolettriche, in Valmalenco si puntò anche allo sfuttamento delle risorse idriche nei mesi freddi.
Così la società Lombarda per la distribuzione dell’energia
elettrica4, proprietaria delle centrali, nell’anno 1914 mandò
un ingegnere tedesco al Lago Pirola col compito di fare rilievi
e misurazioni per preventivare i lavori di perforazione fino al
fondo del lago e il successivo svuotamento.
Nel contratto che la società fece con il Comune di Chiesa,
questi si riservò il diritto ad avere 100 kW dalla centrale di
Arquino, in cui sarebbero confluite le acque del lago.
Nel 1917 iniziò la prima fase dei lavori, cioè la perforazione
in galleria per svuotare il lago. Il sifone era 40 metri di quota
più in basso verso l’Alpe Pirola.
A Chiareggio, appena al di là del ponte che attraversa il
Mallero, fu costruita la polveriera.
Gli operai erano tutti valligiani5 e si lavorava da maggio ad
ottobre. L’ing. Mina fece il progetto ed il responsabile dei
lavori era Giovanni Bagnaschi che dava anche la paga agli
operai.
Per prima cosa fu costruita una casa, poi ceduta al custode,
proprio sopra l’imbocco della galleria. Adoperarono pietre e
malta di cemento e un locale fu foderato in tavole di legno
fatte a Chiareggio. Vicino alla casa fu fatta una baracca per
il deposito dei materiali (esistono ancora le mura). Venne poi
la neve e sospesero i lavori per riprenderli poi l’anno successivo nello stesso periodo. La perforazione fu effettuata coi soli
ferri da mina (stampi) e mazze, perciò grazie alle braccia e al1 - Giacomo Schenatti (1903-1989), figlio di Michele, Guida Alpina e custode del
Lago Pirola, è dai più ricordato per la prima salita alla parete N del Disgrazia (1934 ,
in compagnia del suo cliente Antonio Lucchetti Albertini).
2 - Il manoscritto originale è stato fornito da Pietro Schenatti (Pireto).
3 -Il Lago Pirola è alimentato dallo scioglimento delle nevi della grande conca delimitata dalla Cima di Senevedo, Buchèl del Can, Punta Rosalba, fino ad arrivare al
Torrione Porro.
4 - Nel 1917 la centrale del Mallero di Arquino passa dalla Società Idroelettrica Italiana alla Società Lombarda (che prima comprava l’elettricità dalla Società Idroelettrica
Italiana). Dopo il 1924 alla centrale confluisce anche l’acqua del Lago Pirola (della
capacità di 1893000 mc). Nel 1963 tutto passa all’ENEL.
5 - Vi lavorarono principalmente i nostri paesani (Chiesa V.co) e una squadra di
operai di Spriana con il capo Guglielmo Scilironi.
Estate 2009
la fatica dei nostri minatori.
Nella baracca c’era la forgia per aggiustare e temstampi. Il fabbro era Felice Sem, detto el Sturnèl
prare gli stampi
, mentre un altro fabbro, Enrico Dell’Agosto, detto el Castelàsc, faceva il carbone con legna di malòss6 in località Castaiola, di fronte al Pian del Lupo.
La galleria, che risultò lunga 259 metri, fu portata a termine nel 1918.
Furono Tranquillo Schena di Costi e Ettore Pedrotti7 di Pedrotti a forare gli ultimi metri e mettere a repentaglio le loro
vite, ma riuscirono a salvarsi: prima che l’acqua uscisse con
molta pressione chiusero la porta di sicurezza appositamente
costruita per guadagnare di corsa l’uscita della galleria.
Dell'Agosto Enrico (+1944) detto "el Castelàsc" fu abilissimo fabbro.
La sua famiglia proveniva dalla località Castelasc, dove ora si trovano
i capannoni della Nuova Serpentino d'Italia.
Si sposò con Lenatti Enrica da cui ebbe 6 figlie e 2 figli. Il maggiore,
Agostino, abile fabbro, morì giovane. Il minore, Quirino, anch'egli
fabbro, si trasferì in Valle d'Aosta dove continuò la professione e
la tramandò anche a suo figlio Mario (foto archivio Dell'Agosto informazioni Camilla Schenatti).
Il Lago Pirola impiegò un mese e mezzo a
svuotarsi e l’acqua portò a valle una buona
quantità di trote (circa 5 quintali). Gli
abitanti di Chiareggio le raccolsero e ne fecero
buon uso8.
A
metà novembre il lago era vuoto, quindi si lavorò fino a dicembre per installare le saracinesche a 60 metri dall’imbocco della galleria. Le pioggie eccezionali
del 1919 fecero ancora riempire il Pirola al livello naturale.
Per i lavori fin qui eseguiti occorsero fra i 700 e gli 800
quintali di cemento che fu portato sul luogo tutto a spalla
(50 kg per carico agli uomini e 25 kg a donne e ragazzi). C’è
ancora qualche anziano che si ricorda delle immani fatiche
occorse: i portatori partivano dal ponte del Curlo, dove il camion scaricava, e, presa la carovaniera, raggiungevano San
Giuseppe, Carotte, poi attraversavano il Mallero portandosi
all’Alpe Senevedo, da cui a Foppacce, Alpe Zocca e alla baracca del deposito materiali; in quest’ultimo tratto realizzarono un sentiero che ora è in parte scomparso.
6 - Ontano nano o selvatico. Era scelto per fare il carbone di legna, oltre che per
la sua facile reperibilità, anche perchè consentiva di raggiungere una temperatura di
1280°C ca.
7 - Ettore Pedrotti ("Lituri") sposò Clementina Bagiolo di Nardét.
8 - A quei tempi i malenchi non avevano ancora imparato ad apprezzae il pesce e
il pescato. Come raccontava lo stesso Giacomo Schenatti, il pesce veniva portato in
Svizzera attraverso il Passo del Muretto e rivenduto.
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Felice Sem detto "el Sturnel" di Costi. Fu fabbro ed aveva una fucina
presso il ponte del Curlo e in coproprietà con Alfonso Sem di Maseta
la fucina del Sas dietro all'Albergo Amilcar.
Si sposò con Carolina Schena da cui ebbe i figli Emma, Assunta,
Felicita, Sigifredo e Mario.
Si racconta che la polizia svizzera una sera fermò Felice Sem assieme
all'amico Severo Sem. Alla richiesta d'identificarsi i due risposero:
"Sem Felice e Sem Severo". I poliziotti non capirono che quelli erano
i loro veri nomi e, indispettiti, li arrestarono pensando che la loro
risposta fosse la celia di due italiani ubriachi. Foto arch. S. Gaggi.
La storia del lago Pirola
69
Storia
Escursionismo
Mountain bike:
Per essere sicuri di accaparrarsi il
carico alcuni portatori andavano
addirittura incontro al camion verso
Sondrio, allungando così un tragitto
già faticosissimo. Un carico di 25 kg era
pagato 25 centesimi di lira.
l'anello delle tre valli
Dario Leusciatti
Anche i ferri per le armature e le saracinasche furono portati sul luogo a spalla.
Nel 1918 venne installato il telefono nella casa del
custode che si collegava con Lanzada (Cà del Giacum) e Chiareggio.
Negli anni successivi la Società Idroelettrica Italiana
pensò di aumentare la riserva di acqua di questo lago
progettando uno sbarramento artificiale sul versante
di Chiareggio.
La diga artificiale venne iniziata nel 1927, ma già nel
1925 era stata realizzata la teleferica che partiva dal
Pian del Lupo9. La linea elettrica per farla funzionare
con un motore elettrico di 18 CV partiva dalla centralina nella contrada Albertazzi a Caspoggio10. La potenza
elettrica (25 kW) era interamente assorbita dal motore.
La teleferica portò al Pirola la sabbia fatta al Pian del
Lupo, il cemento ed altri materiali. Il cemento seguì un
itinerario diverso dalle altre fasi dei lavori: venne portato al Giovello coi camion, qui fino a San Giuseppe
coi muli e fino al Pian del Lupo coi carri trainati, per un
quantitativo di circa 3000 quintali.
I conducenti, tutt’ora in vita [ndr. s’intende al 27
aprile 1977], erano stati Pietro Scaramella del Curlo
- detto Cica11-, Attilio Lenatti12 e Vittorio Dell'Agosto - detto Ciö13 - entrambi di Primolo. Questo sbarramento è un muro rettilineo di pietrame con malta di
cemento lungo 120 metri, alto 12 e largo 10.
Per spostare i grossi sassi si adoperarono pescanti e
carri che ruotavano sui binari.
All’interno della diga c’è un buon intonaco per l’isolamento fatto fra il 1933 e il 1934.
Nel 1935 il Genio Civile fece abbassare il livello della
diga (tre grandi finestroni al centro dell’argine) 3 metri sotto il livello massimo, questo per diminuire la forza di pressione dell’acqua ed evitare pericoli (l’onda
dell’alluvione del 1927 partì dalla Val Sissone).
Il Lago Pirola raggiunse grazie alla diga a gravità
massiccia (2898 metri cubi) una capacità di 1893000
metri cubi d’acqua, derivanti da un bacino imbrifero
sotteso di 1.2 km2."
Antonio Gianoli (detto "el Sass" a Chiesa e "el Togn" a Lanzada) al lavoro
nella fucina di Sem Felice (foto archivio Silvio Gaggi).
Il Castelasc a inizio '900 e nel 2009 (foto sotto). Il nome deriva dalla presenza
di un antico posto di vedetta. Il nucleo è stato rimpiazzato dai capannoni
della Nuova Serpentino d'Italia (foto archivio Silvio Gaggi/ Beno).
9 - Il luogo di partenza della teleferica è stato distrutto dalla grande valanga
del 1975.
10 - La centralina, costruita sotto la guida dell'ing. Albonico, era di Negrini,
il proprietario dell'Albergo della Stazione di Sondrio.
11 - Pietro Scaramella detto Cica, filgio del Cicùn, fu attivo ed esperto
carrettiere col mulo per il trasporto del legname nelle tratte Chiareggio Chiesa - Sondrio. Si sposò con Cesira Pedrotti di Ratena.
12 - Lenatti Attilio si sposò con Michelina Giordani di Lanzada (di Magnàna) da cui ebbe i figli Luigi, Primo, Serafino, Maria Elena col gemello Attilio.
13 - Sappiamo che Vittorio Dell'Agosto si sposò con Maria Dell'Agosto da
cui ebbe i figli Ettore, Caterina e Anna.
70
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Estate 2009
Il Rifugio Saoseo l'Alpe Lungacqua e il possente
Corno
di CampoDIVERTENTI
(1 settembre 2007, foto Beno).
LE
MONTAGNE
Mountai
M OUNTAI bike
BIKE
71
Val di Campo - Val Viola - Val Grosina
Il lago Saoseo (settembre 2008, foto Giorgio Orsucci).
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
-
PARTENZA: Sfazù (1600 ca).
ITINERARIO AUTOMOBILISTICO: da Tirano si
supera il confine italo-svizzero e si sale verso il
Passo del Bernina. Passato Poschiavo, dopo 9 km, in
località Sfazù lasciare l'auto nell'ampio parcheggio
all'imbocco della Val di Campo.
ITINERARIO SINTETICO: Sfazù (m 1600) - Rifugio
Saoseo (m 1987) - Passo Confine (m 2528) - Rifugio
Viola (m 2314) - Paluetta (m 1938) - Alpe Verva
(m 2123) - Passo Verva (m 2301) - Eita (m 1650) Grosio - Tirano.
LE MONTAGNE DIVERTENTI
TEMPO DI PERCORRENZA PREVISTO: 6/7 ore..
ATTREZZATURA RICHIESTA: meglio disporre
di tutti i ricambi del caso, come camere d'aria,
smagliacatena, pompetta, ecc...
DIFFICOLTÀ: 3 su 6 per il percorrimento in MTB.
DISLIVELLO IN SALITA: 1400 metri.
DETTAGLI: l'escursione si presta ad essere
effettuata da giugno a settembre. Eventualmente
anche in ottobre, se le condizioni climatiche fossero
particolarmente miti. E' consigliata a ciclisti in buone
condizioni fisiche.
Mountai bike
73
Mountain bike
Bimbi al Lago Saoseo (25 luglio 2008, foto Roberto Moiola).
Q
uesto anello unisce tre fra le
più belle valli delle nostre
zone, due in territorio valtellinese e una in territorio svizzero, per
certi versi simili tra loro ma ognuna
con la propria tipicità di paesaggio naturale e umano. Il percorso
è vario e quasi sempre pedalabile,
gran parte su sentieri, mulattiere e
strade chiuse al traffico, insomma
un vero paradiso per i biker!
Il giro completo da Tirano a Tirano prevederebbe un dislivello totale
positivo di 2700 metri e una faticosa salita di 21 km da Tirano a Sfazù
sulla strada del Passo Bernina, per
cui consigliamo, se non siete in
formissima, di partire dalla località
di Sfazù e terminare il giro in bici
a Tirano (itinerario non eccessivamente impegnativo: 63 km di
lunghezza e 1500 metri di dislivello
in salita).
Per recuperare l'automobile a
Sfazù, quindi, o vi organizzate con 2
mezzi, oppure al ritorno si può fare
una piacevole gita (fino al passo)
col trenino rosso del Bernina, fresco
di nomina a patrimonio mondiale
dell'Unesco.
74
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Il tempo previsto per il giro in
bici è di 6/7 ore, comprese le pause
per nutrirsi, riposare e ammirare il
paesaggio.
L
asciata
l'auto
nell'ampio
parcheggio di Sfazù, a m 1600
sulla strada del Bernina, attraversiamo la strada e cominciamo la salita in
Val di Campo, su carrozzabile sterrata chiusa al traffico comune (ottimo
il fondo). Dopo 4.5 km tra boschi,
pascoli e bellissimi alpeggi, arriviamo
in località Lungacqua, dove troviamo
il Rifugio Saoseo (m 1987), splendidamente adagiato in riva al torrente.
A questo punto ci sono 2 possibili
varianti, che si ricongiungono dopo
circa un quarto d'ora. La prima è
ciclabile e passa dal Rifugio Alpe
Campo, noi invece abbiamo optato
per quella più faticosa, prendendo il
sentiero sulla dx dopo il rifugio che,
anche se ci costringe a portar la bici in
spalla per almeno 10 minuti, consente
con una piccola deviazione a piedi di
arrivare in riva al Lago Saoseo coi suoi
incredibili colori caraibici!
In pochi minuti arriviamo poi al
Lago Viola, che si trova a circa un'ora
dalla partenza.
Seguiamo ora le indicazioni sulla
sx per Pian de la Genzana-Passo Val
Viola, le quali ci dirigono su sentiero largo e ciclabile che sale in mezzo
a splendide praterie (ci sono alcuni
tratti ripidi in cui si deve spingere il mezzo) verso il Passo Confine
(m 2528, 11 km, 2 ore da Sfazù).
Questo tratto è particolarmente suggestivo, perchè alle nostre
spalle abbiamo il Piz Varuna (m
3453) e la Vedretta del Palù, mentre
davanti a noi possiamo ammirare
l'imponenza del Corno di Dosdè
(m 3232).
Dal passo già si vede il Rifugio
Viola, coi caratteristici laghetti, e, in
lontananza il lago Val Viola (omonimo dello svizzero già visitato), che
raggiungiamo in 10 minuti di esaltante discesa su mulattiera.
Proseguendo la discesa della Val
Viola bormina, ci troviamo a dx il
bivio che conduce alla pianeggiante
Alpe Dosdè: da qui il panorama sulla
Cima Viola e i suoi ghiacciai è stupendo! Poco più avanti la strada diventa
asfaltata, e, un centinaio di metri
dopo il parcheggio, pieghiamo a dx.
Estate 2009
Una strada sterrata con alcuni tornanti scende nel fondovalle fino a una
chiusa dove si interrompe e prosegue
un bellissimo sentiero ciclabile segnalato. Al termine del sentiero, a dx,
seguiamo un breve tratto di stradina
asfaltata, e quindi la carrozzabile sterrata che scende fino al torrente Viola.
Lo attraversiamo con un ponte nei
pressi delle baite Paluetta (m 1938,
21 km da Sfazù)
Comincia ora la salita verso il passo
di Verva, durissima nei primi tornanti. Poi la valle si apre e dolci pendenze
si alternano a strappi più impegnativi.
L'Alpe Verva a m 2123 vale una "sosta
ristoratrice" in vista dell'ultimo tratto
in salita della giornata, che ci conduce
al passo (m 2301, 26 km dalla partenza). I primi 5 km di discesa in Val
Grosina mettono a dura prova le braccia dei biker, a causa del fondo stradale
molto ripido e sconnesso. Impagabile
la panoramica dall'alto dello splendido villaggio di Eita, da dove comincia
la discesa verso Grosio su strada asfaltata. Un ultimo sguardo al campanile
e alla caratteristica cascata di Eita e
poi, tra pascoli perfettamente curati
e baite stupende, scendiamo la Val
Grosina, vero esempio di armonia tra
bellezza della natura e sapiente lavoro
dell'uomo.
Da Grosio (17 km di discesa da
Eita) altri 15 km di sentiero Valtellina e strade secondarie ci conducono a
Tirano.
Il caratteristico Rifugio Viola (m 2314, un tempo caserma della Guardia di Finanza) sorge fra
numerosi laghetti, ospitati dai morbidi pascoli all'ombra del temibile Corno di Dosdé
(8 settembre 2007, foto Matteo Gianatti).
In discesa dal Passo di Verva a Eita (13 ottobre 2008, foto Dario Leusciatti).
Il santuario della Madonna di Tirano (foto F.
Benetti).
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Il paesino di Eita in Val Grosina (10 agosto 2008, foto Mosè Moiola).
Mountai bike
75
Escursionismo
Passo dopo passo
Diario di Viaggio di Antonio Boscacci
Bassa Valtellina
Le valli del torrente Lesina
(19 novembre 1998)
Hanno cambiato l’ora legale e
quindi si dovrebbe dormire un’ora
in più. Mi alzo come faccio da mesi
alla stessa ora e parto da Sondrio che
sono quasi le 7. Attraverso una città
ancora addormentata, con una pioggerellina sottile sottile che mi costringe ad aprire quasi subito l’ombrello.
Le montagne intorno, in un cielo che
si sta lentamente schiarendo, appaiono avvolte da dense cortine di nuvole. Mentre mi dirigo verso i Trippi,
camminando lungo la pista ciclabile
al bordo della strada, osservo, ancora
distesa sui prati, una spessa coltre di
nebbia. L’umidità del mattino che si
sta aprendo al giorno sembra per un
momento sollevarsi e svanire. Attraverso la statale 38 ai Trippi e imboc-
co la strada per Piateda, osservato,
mentre attraverso il ponte sull’Adda,
da un grosso corvo nero appollaiato
su un grande albero. Leggo gli avvisi
di una pesa pubblica e, poco dopo,
mi infilo a sinistra lungo una strada
sterrata che mi porterà a Piateda.
Chiedo conferma ad un contadino
mattiniero, intento a spargere letame
sull’argine di un fosso e lui annuisce.
La pioggia cessa e posso infilare l’ombrello dentro lo zaino. Ma
è una tregua di brevissima durata
perché, fatti duecento metri, la pioggia riprende più vigorosa di prima.
E’ una pioggia fastidiosa e, quando
passo davanti al centro sportivo e al
municipio di Piateda, mi accorgo di
avere le scarpe già per metà bagnate.
Il ramo di Mezzana del Torrente Lesina nei pressi del Ponte delle Guardie (18 agosto 2008, foto R. Scotti).
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
-
76
PARTENZA: Delebio Loc. Torrazza (m 250 ca).
ITINERARIO AUTOMOBILISTICO: usciti dalle
gallerie della SS 38 a Colico proseguire per Sondrio.
Entrati in Delebio e superata la prima rotonda di
Santa Domenica, dopo la leggera curva verso sx
della SS 38 prendere via Verdi in corrispondenza
della chiesa parrocchiale di San Carpoforo.
Percorrere via Verdi verso lo sbocco della Val Lesina
fino al parcheggio nei pressi del lavatoio di Torrazza.
ITINERARIO SINTETICO: Delebio Località Torrazza
(m 250 ca) – Campo Beto (m 450 ca.) – Piazzo
Manghino (m 532) – Canargo di Sotto (m 820) –
Canargo di Sopra (m 920) - Osiccio di Sopra
(m 922) – Capanna Vittoria (m 985) – Corte della
Galida (m 1413) – Alpe Capello (m 1521) – Bivacco
Luserna (m 1815) – casera di Luserna
(m 1552) – Bivacco Alpe Dosso (m 1513) – Casera
LE MONTAGNE DIVERTENTI
di Stavello (m 1551) – casera di Mezzana (m 1430)
– Ponte delle Guardie (m 889) – Revolido (m 883)
– Piazzo (m 466) – Andalo Valtellino (m 232) –
Delebio Località Torrazza (m 250 ca).
TEMPO
DI PERCORRENZA PREVISTO:
Circa 7 ore per l’intero itinerario, possibilità di
pernottamento presso i Bivacchi Luserna,
Dosso e Stavello oppure presso il Rifugio Legnone
(variante n°1).
ATTREZZATURA RICHIESTA: da escursionismo.
DIFFICOLTÀ: 2 su 6.
DISLIVELLO IN SALITA: 1650 metri circa.
DETTAGLI: E.
Carte: CM Morbegno (Consorzio Turistico Porte
di Valtellina) 1:25.000 Val Lesina.
Estate 2009
S
ono le nove. E’ una giornata
molto fredda, quando partiamo da Sondrio alla volta di
Delebio. Siamo stati un po’ indecisi
sul da farsi, perché la meta scelta, nelle
Orobie e in questa stagione sembrava
non essere una trovata felicissima. Poi
però, visto il cielo azzurro e senza una
nuvola, ci siamo detti che forse il sole
ci avrebbe dato lo stesso una mano.
Attraversiamo il paese di Delebio e
lasciamo l’auto in un piccolo parcheggio accanto al ponte di Torrazza
(Torazza sulle carte). Costeggiamo
la piccola centrale idroelettrica e un
cartello, assolutamente insolito, ci
LE MONTAGNE DIVERTENTI
colpisce: “E’ vietato lasciare segatura
sulla strada”. E’ la prima volta nella
nostra vita che vediamo un cartello
così fatto. Poco dopo, un altro cartello ci ricorda che la strada che stiamo
per imboccare è stata costruita in quel
modo per essere utilizzata nel trasporto a valle, a strascico, del legname.
Questo mi fa tornare alla mente una
scritta che stava sulla antichissima
chiesetta di S. Martino di Serravalle, distrutta dalla frana della Val Pola
nel 1987 e che diceva che era assolutamente vietato trascinare legname
lungo la mulattiera.
Accanto alla centrale, imbocchiamo
una stradicciola che risale il fianco
della montagna in modo tanto ripido
da costringerci, nonostante il freddo,
a toglierci la giacca. E’ una stradicciola selciata e in qualche punto i sassi
sono stati ricoperti da calcestruzzo. E’
concava verso il centro, per facilitare
il trasporto a valle del legname (una
volta lo si tirava a valle a mano o con
l’aiuto di qualche animale, ora lo si fa
scendere attaccato al gancio di trattori
e fuoristrada).
La strada passa poco sopra la località
Campo Beto (m 450), dove si trova
una piccola cappella, costruita nel
1983 dagli ex alpini di Delebio e dedi-
Val Lesina
77
Escursionismo
La Capanna Vittoria (3 maggio 2005, foto S. Losa).
Il Pizzo Stavello (sx), il M. Pim Pum, il Pizzo Alto, la Cima del Cortese e l’alpeggio di
Luserna all’alba dal maggengo di Piazza Calda (25 luglio 2007, foto R. Scotti).
Cavallo al pascolo all’Alpe Legnone, sullo sfondo gli alpeggi della Val Lesina
(10 settembre 2006, foto Guido Fumagalli).
78
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Passo dopo passo
Diario di Viaggio di Antonio Boscacci
cata ai caduti in guerra.
Oltrepassata la condotta forzata che
porta l’acqua alla centrale di Delebio,
si arriva a Piazzo Minghino, dove c’è il
piccolo bacino artificiale (32000 mc),
dove si raccolgono le acque del torrente Lesina per alimentare la centrale di
Delebio.
Le opere per lo sfruttamento idroelettrico delle acque della Valle Lesina,
sono state realizzate nel 1946 dalla
ditta Carcano.
Continuiamo a salire e incontriamo
un bivio. Mentre stiamo consultando la carta per vedere dove andare,
veniamo raggiunti da tre signore, che
gentilmente ci spiegano la situazione
e, insieme a loro, prendiamo la strada di sinistra, che porta a Canargo1.
Camminando dietro a loro, che non
smettono un attimo di chiacchierare,
veniamo informati, in ogni dettaglio, su faccende complesse di mariti,
amiche, parenti, auto e mille altre cose
ancora.
Ogni tanto ci guardiamo intorno e
osserviamo l’altro versante della Valle
Lesina che, secondo i nostri calcoli,
dovremmo discendere al ritorno.
Immersi nelle chiacchiere e nei
pettegolezzi (che per altro non ci
disturbano nemmeno troppo), arriviamo senza accorgercene alle baite di
Canargo di Sotto (m 820) e, dopo un
tratto ripido e rettilineo di mulattiera,
lungo il quale incrociamo un trattore
che scende carico di legna, arriviamo a
Canargo di Sopra (m 920). Qui lasciamo le nostre accompagnatrici, che se
ne vanno verso sinistra seguendo un
sentiero pianeggiante che permette di
attraversare la Valle Lesina; superiamo le baite di Canargo di Sopra e ci
dirigiamo, in piano, verso Osiccio di
Sopra (m 922) (c’è una grande scritta
intagliata nel legno ad avvertirci che
siamo arrivati in questa località).
Durante questo tragitto il sole ci
raggiunge e la temperatura si alza di
qualche grado.
La strada prosegue sulla sinistra e
passa davanti alla vecchia Capanna
Vittoria (m 985), costruita dalla Federazione Alpinistica Italiana e inaugurata il 15 ottobre 1922.
Poi passiamo per Piazza Calda e ci
inoltriamo sul fianco della valle2. Ci
sono alcuni operai che stanno riassettando la strada e costruendo qualche muricciolo. Nonostante il sole fa
freddo e gli operai (che pure sono ben
coperti e portano i guanti) ci dicono
che non si può più lavorare in queste
condizioni e che questo è il loro ultimo giorno lassù.
Poco prima di raggiungere la baita
di Corte della Galida (m 1413), che
meglio sarebbe chiamare Alpe Panzone
(il termine Galida è riferito ai pascoli
soprastanti), ci fermiamo per il pranzo. Sono solo le 11:30 ma, se proseguiamo anche solo di qualche decina
di metri, entriamo nell’ombra e non
ne usciamo più.
Il sole non è caldissimo, ma immaginiamo che all’ombra sia ancora più
freddo. Comunque, appoggiati al
muretto della strada, non si sta male e,
se non fosse per una piccola nuvola che
ogni tanto ci toglie il sole, si starebbe
anche meglio. Non c’è un nuvolino in
nessuna altra parte del cielo. L’unica,
piccolissima, si trova davanti al sole ed
è lì certamente per indispettirci.
Chiacchierando della nuvola e del
tragitto che ci aspetta, consumiamo il
nostro lauto pranzo (che si conclude
in 20 minuti).
Il sole se n’è già andato dalla baita
della vicina Alpe Panzone e quando
ci mettiamo in cammino un freddo
pungentissimo, che scende dalla Valle
della Galida, ci costringe a infilarci la
giacca, i guanti e la cuffia.
Dall’alpeggio parte un sentiero che
porta all’Alpe Legnone e al rifugio
omonimo (posto su un ampio dosso
arrotondato, con una vista eccezionale
sul Piano di Spagna e l’imbocco della
Valtellina e della Valchiavenna).
1 - A questo punto optando per la strada a destra
si raggiungono i panoramici maggenghi di Osiccio
di Sotto e Osiccio di Sopra, dai quali è possibile
ricongiungersi con l’itinerario precedente in località
La Piana oppure direttamente a Osiccio di Sopra.
Revisione e aggiornamenti sullo stato dei sentieri a
cura di Riccardo Scotti.
2 - Nei pressi della fontana che si incontra in località
“La Piana” di Piazza Calda è possibile prendere il
sentiero che si stacca sulla destra e raggiungere così
l’Alpe Legnone ed il rifugio omonimo, recentemente ristrutturato. Da qui per sentiero pianeggiante
passando dal pascolo di Galida seguendo il percorso
del Sentiero Andrea Paniga ci si ricongiunge con
l’itinerario descritto all’Alpe Cappello.
Estate 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Bassa Valtellina
Il bàrec nei pressi della casera di Stavello (26 novembre 2006, foto M. Fransci).
La casera di Stavello e il Monte Desenigo sullo sfondo (14 luglio 2004, foto R. Scotti).
Il Ponte delle Guardie recentemente ristrutturato (14 novembre 2006 R. Scotti).
Val Lesina
79
Passo dopo passo
Escursionismo
rumore scappando sulle foglie secche.
Sentiamo spesso il fischio dei camosci e anche, ogni tanto, il caratteristico
suono cupo e rauco emesso dai caprioli.
Appena sopra il sentiero pianeggiante che percorriamo ci sono i resti di un
piccolo canale per convogliare l’acqua
all’alpeggio del Dosso (m 1513).
Fin qui, abbiamo impiegato ore 2.15
dall’Alpe Panzone.
Anche questo alpeggio è appena
stato ristrutturato e una parte è stata
saggiamente adibita a rifugio, aperto e
confortevole.
Potremmo scendere di qui, ma
preferiamo ritornare sui nostri passi e
seguire le indicazioni per l’Alpe Stavello. Il sentiero segue la morfologia del
pendio e presenta numerosi piccoli
saliscendi.
Raggiunto un ultimo dosso alberato, scendiamo nella conca dell’Alpe
Stavello e arriviamo in piano all’alpeggio (25 minuti dall’Alpe Dosso).
Più volte sistemata nel corso della
sua storia, anche questa costruzione
offre una parte sempre aperta e utile
come ricovero temporaneo4.
Da qui potremmo scendere direttamente a valle (c’è un bellissimo scorcio di panorama verso l’inizio della
dorsale che separa la Valtellina dalla
Valchiavenna), ma preferiamo seguire le indicazioni per l’Alpe Mezzana.
Lasciato sulla destra il sentiero che
porta al Pizzo Stavello, prendiamo il
sentiero pianeggiante che si inoltra
nel bosco poco a monte del maestoso larice che custodisce la casera, poi,
quando questo si divide, prendiamo la
traccia più bassa.
Il sentiero, che si fa via via sempre
meno bello, compie una lunghissima
diagonale e ci porta, dopo un piccolo poggio, alla casera di Mezzana
(m 1430)5.
La costruzione attuale dell’alpeggio
risale al 1900. Sulla facciata principale
c’è un affresco del 1901 che ritrae la
Madonna, San Lorenzo e Sant' Antonio.
Qui praticamente termina la grande
traversata, da ovest verso est, delle valli
del torrente Lesina.
Abbiamo impiegato 35 minuti dall’
Alpe Stavello e quasi 4 ore dall’Alpe
Panzone; sono infatti quasi le quattro
del pomeriggio.
I giorni in Novembre sono molto
corti e lo sono ancor più qui, chiusi tra
gli stretti fianchi della Valle Mezzana.
Scendiamo velocemente lungo il
sentiero il fianco sinistro della valle,
attraversiamo il torrente Lesina (sul
Ponte delle Guardie) e percorriamo il
tratto pianeggiante e aereo che taglia
il fianco roccioso della montagna in
direzione delle baite del maggengo di
Revolido (m 883).
Mi torna alla mente il curioso
episodio raccontato dal Galli-Valerio,
sull’orso della valle Lesina, che proprio
qui lungo questo sentiero, così racconta la storia, venne incornato da un
toro.
Anche allora, quando il toro e l’orso
si incontrarono, stava calando la sera.
Speriamo di non incontrare né l’orso, né il toro.
E infatti non incontriamo nessuno,
nemmeno a Revolido.
Le ombre scendono veloci lungo i
boschi di abeti, ma vediamo ancora
molto bene dall’altra parte della valle
4 - Dopo le recenti ristrutturazioni ad opera del
consorzio dei proprietari dell’alpeggio, la baita può
essere considerata un vero e proprio bivacco dotato
di 3-4 posti letto.
5 - Attualmente, a parte l’accesso un po’ nascosto,
questo tratto del sentiero è stato recentemente ripulito ed è uno dei tratti meglio mantenuti dell’intero
itinerario.
La Val Lesina vista dal Rifugio Legnone (30 settembre 2005, foto M. Fransci).
Il torrentello accanto all’Alpe Panzone è ghiacciato, così cerchiamo un
passaggio qualche metro più in alto.
Dopo un tratto pianeggiante, il
sentiero sale ed entra tra gli alberi e,
per aggirare un costolone roccioso,
risale di nuovo.
Arriviamo così all’Alpe Capello
(m 1521), o meglio Cappello visto
che il suo nome dialettale è Capèl, ben
riparata e con il tetto in lamiera rifatto
da non molto tempo (ma alcuni sassi
cadendo lo hanno colpito e uno di
questi, più violento degli altri, lo ha
bucato).
Entriamo così nel vasto anfiteatro
dell’Alpe Cappello e, dopo aver superato alcuni rigagnoli ghiacciati, incontriamo lo stallone dell’alpeggio. Il
luogo per costruire questa lunga stalla
è stato scelto con cura, ma questa è
comunque una zona di valanghe e
quindi la costruzione in muratura è
stata protetta con un grande muro a
forma di V rovesciata.
Attraversato in piano l’alpeggio di
Cappello, il sentiero sale a zigzag per
200 metri e poi entra pianeggiante
nella successiva conca dell’Alpe Luserna, passando intorno a quota 1800 sui
fianchi del Pizzo di Val Torta.
Senza prendere la deviazione che
scende sulla sinistra, raggiungiamo il
bivacco dell’Alpe Luserna, chiamato
più comunemente el Castèl (m 1815).
Si tratta di due costruzioni, una delle
quali sempre aperta, molto carina e
80
LE MONTAGNE DIVERTENTI
accogliente. Fa molto freddo e sui
vetri del bivacco si vedono dei bellissimi ricami dovuti agli aghi di ghiaccio.
E’ una specie di tendina naturale, che
desta la nostra ammirazione (soprattutto quella di Luisa che ha una vera
passione per i ricami e che ne ha fatti
molti per le tende della nostra casupola).
Il tempo di bere un po’ di tè caldo e
di accorgerci dei ruderi delle costruzioni che stavano poco sotto il bivacco, e
scendiamo, seguendo i segni colorati,
verso la casera di Luserna3.
Dopo aver superato un torrentello
che ha sparso le sue acque ghiacciate
per un vasto tratto, passiamo davanti
ai ruderi dello stallone di Luserna e
alla casera di Luserna (m 1552) che
si trova lì accanto, protetta da una
roccia.
Scavalchiamo ancora alcuni ruscelli
ghiacciati (che in alto formano delle
estese cascate di ghiaccio), poi risaliamo il pendio della montagna e ci
infiliamo tra gli alberi. Il sentiero corre
pianeggiante su un pendio molto ripido.
Anche qui, come in altre parti,
abbiamo la possibilità di vedere numerosi piccoli gruppi di camosci, alla
ricerca di cibo, che fanno un gran
3 - Dal Bivacco Luserna è stato recentemente tracciato e segnalato un comodo sentiero che attraversa
l’anfiteatro dell’Alpe Luserna qualche decina di
metri più in alto del tracciato classico saltando così
la Casera di Luserna ma permettendo un piccolo
risparmio in termini di dislivello.
Diario di Viaggio di Antonio Boscacci
Estate 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Bassa Valtellina
Tratto dell’ Öga di Andalo che dal paese raggiunge i maggenghi della Scaletta e del Revolido
(21 giugno 2008, foto R. Scotti).
Lesina il percorso fatto in salita: distinguiamo chiaramente i maggenghi di
Canargo e Osiccio, posti proprio di
fronte a noi.
Dopo un breve tratto pianeggiante,
appena lasciate le baite di Revolido,
imbocchiamo una delle più curiose
“mulattiere” che ci siano in provincia
di Sondrio.
Si tratta di un ripido tracciato, lastricato in pietra come quello percorso al
mattino, ma più stretto e più ripido.
Una specie di lunga pista da bob, che
meriterebbe una tutela speciale come
monumento, al pari di altre più note e
conosciute opere d’arte.
Il fondo è ricoperto da un alto strato
di foglie, dentro le quali camminiamo
strisciando i piedi per non cadere.
Scendiamo così, nel buio che nel
frattempo ci ha raggiunti, per oltre
500 m di dislivello, fino al termine di
questa spettacolare mulattiera.
Un ultimo tratto di strada “normale” e finalmente, arriviamo tra le case
di Andalo (bello lo scorcio della chiesa
illuminata).
Costeggiamo infine la montagna e,
attraversata la contrada di Torrazza e
il torrente Lesina, ritroviamo la nostra
auto. Sono le 17.45.
Val Lesina
81
Escursionismo
Versante orobico
Trekking
in valle del Livrio
Luciano Bruseghini
82
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Campo Tartano (8 luglio 2008, foto P. Spini).
Estate 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Trekking nella Valle del Livrio
83
Escursionismo
Versante orobico
"Nel 1877, il consiglio
del CAI Valtellinese
prese alcune importanti
decisioni, tra le quali
quella di costruire un
piccolo rifugio al Publino
onde favorire la salita alla
sua montagna simbolo: il
Corno Stella"1.
I
La valle del Livrio da S a N (3 luglio 2005, foto Beno). Alla pagina precedente: il lago della Casera (19 agosto 2007, foto Marino Amonini).
l trekking al Lago del Publino, una volta lago naturale ora
invaso artificiale, permette di conoscere un angolo di Orobie non troppo frequentato ma assai gradevole,
in cui gli insediamenti umani sono
molto limitati.
Salire quindi il panoramico Corno
Stella significa ricordare il fasto e la
frequentazione che queste montagne avevano un tempo, ora eclissate
da altre mete più blasonate.
B
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
PARTENZA: Nembro (Fraz. di Albosaggia, m 1070).
ITINERARIO AUTOMOBILISTICO: Dalla tangenziale
TEMPO
DI PERCORRENZA PREVISTO: 6 ore + 2
di Sondrio prendere l'uscita per Albosaggia. Oltre il
ponte sull'Adda prendere a sx per il centro del paese
(4 Km) e seguire poi le indicazioni per San Salvatore
fino a Nembro (6 Km).
ATTREZZATURA RICHIESTA: scarponcini, torcia.
DIFFICOLTÀ: 2 su 6.
DISLIVELLO IN SALITA: 1100 metri al Lago del
ITINERARIO SINTETICO: Nembro (m 1070) - San
Salvatore (m 1310) - Valle del Livrio - Lago del
Publino (m 2130) - Corno Stella (m 2621) - Lago
della Casera (m 1920) - Nembro.
Publino. 1500 metri al Corno Stella.
DETTAGLI: EE. Bibliografia consigliata: Antonio
Boscacci, Il Rifugio Caprari nel Parco delle Orobie
Valtellinesi, CAI Sez. Valtellinese, Sondrio 2000.
ore se si sale anche al Corno Stella.
-
84
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Estate 2009
isogna lasciare l’automobile a
Nembro (m 1070), frazione
di Albosaggia, perché la strada che
prosegue fino a San Salvatore e che
poi si inoltra nella valle del Livrio è
percorribile solamente con il permesso rilasciato dal comune ai proprietari
di case negli alpeggi superiori2.
Il primo tratto di cammino è abbastanza noioso, in quanto si svolge
su strada con fondo in cemento,
con tratti anche molto ripidi, fino
agli ampi pascoli di San Salvatore
(m 1310, ore 0:45).
E' da qui che ha inizio il nostro trekking all’interno del Parco delle Orobie
Valtellinesi. Seguendo sempre la strada, ora diventata sterrata, si prende
il bivio a dx in direzione dell’antica
chiesa, dedicata ovviamente a San
Salvatore, una delle più antiche della
Valtellina: da documenti purtroppo
perduti sembra che risalga addirittura al 537 d.C. Nei pressi dell’edificio
sacro si trova il Rifugio Saffratti, utilizzabile anche come punto di appoggio
1 - Giuseppe Miotti, Guido Combi, Gianluca
Maspes, Dal Corno Stella al K2 e oltre - 125 anni di
alpinismo valtellinese, CAI Sez. Valtellinese, 1996
2 - Una valida alternativa è quella di partire da
Cantone (m 990), poco sotto Nembro e seguire la
stradicciola pianeggiante che si diparte sulla dx e
diviene quasi subito sentiero. Dopo essere passati in
una zona di frane, si superando anche le belle baite
di Zapello e ci ricongiunge alla strada che scende da
San Salvatore. poco prima dell'attraversamento del
Livrio.
LE MONTAGNE DIVERTENTI
La chiesa di San Salvatore (settembre 1998, foto Marino Amonini).
per l’inizio del trekking.
Seguendo i bollini contrassegnati dal numero 219 ci si addentra in
leggera discesa nella Valle del Livrio,
sempre procedendo lungo la carrareccia. Anche se non si cammina ancora
su sentiero, il trekking è molto piacevole, in quanto si svolge all’interno di
un profumatissimo bosco di abeti e il
passaggio delle auto è assai limitato per
non dire quasi nullo. Superati i piccoli
agglomerati di La Teggia e La Crocetta (m 1250, ore 0:20) si raggiunge il
ponte del Forno (m 1315, ore 0:20)
sul torrente Livrio. Questo luogo deve
il nome alle antiche fornaci per la
cottura del minerale di ferro estratto
nella vicina Val Venina, portato qui a
dorso di mulo attraverso il Passo dello
Scoltador. Sembra strano che si facesse tanta fatica a trasportare il minerale fino a questa località, ma ciò era
dovuto al fatto che ormai gli alberi nei
pressi delle miniere erano stati quasi
tutti abbattuti per alimentare i primi
forni.
Passati sulla sx idrografica del
torrente si inizia a salire, transitando per i prati della Costa (m 1425,
ore 0:25), fino a raggiungere i pascoli
della Piana (m 1464, ore 0:25). Finito il lungo fondovalle la via supera
un breve strappo nel bosco (sx idrografica), per ridiscendere al torrente.
Si passa vicino a un grosso masso che
decreta la fine della strada. Sono ancora pascoli fino ad una baita isolata
che anticipa la salita all'anfiteatro che
Trekking nella Valle del Livrio
85
Escursionismo
Versante orobico
"Nell'assemblea dei soci
Il rifugio Caprari e il lago del Publino
del 1875 il presidente
del CAI Torelli propose
anche l'interessante idea
di far eseguire una veduta
panoramica ripresa dal
Corno Stella, montagna
simbolo dell'alpinismo
nostrano.
L'assemblea approvò
all'unaminità lo
stanziamento di L. 1000
per portare a compimento
il lavoro".
chiude la valle. Si avanza ripidamente
nel bosco, poi su detriti alluvionali tra
ontani e tantissime piante di lamponi.
Ricordo di averne trovati moltissimi
e di enormi dimensioni, perché non
sono in molti coloro che si prendono
la briga di percorrere tutta questa strada per dei piccoli frutti!
Riattraversato il torrente e seguendo
sempre il sentiero che si sviluppa tra i
grossi massi, ecco un bivio. Prendendo a sx si giunge al Lago del Publino
(m 2130, ore 1:30).
Costeggiando la base del muro del
bacino si raggiunge il Rifugio Caprari (m 2118), sempre aperto, che può
essere utilizzato anche per dividere
l’escursione in due giorni.
più allenati da qui possono
puntare al Corno Stella (m 2621),
l’enorme montagna che sovrasta il
lago a ponente. Per raggiungere questa
cima bisogna ritornare sui propri passi
fino al bivio incontrato in precedenza
e proseguire in direzione O seguendo
i segnavia della GVO (Gran Via delle
Orobie) fin nei pressi di un laghetto. Superato il piccolo ruscello che
vi esce, si abbandona il tracciato del
GVO e si sale sulla sx. Le tracce ora
si fanno poco evidenti, ma la meta è
ben visibile là in alto. Con un percorso su erba e sfasciumi in direzione SO
si raggiunge il piccolo pianoro ai piedi
della cima. Seguendo il sentierino
sulla dx, lungo un ripido pendio erboso, si arriva alla vetta del Corno Stella
(m 2620 ore 1:30).
Il panorama che si para davanti
è grandioso: verso N in lontananza
I
86
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Il Lago del Publino (foto M. Amonini).
I
La lunghissima cresta che dal Pizzo Pidocchio porta al Corno Stella, in fondo a destra. Con
i suoi m 2621 è la vetta più alta della catena. La dorsale fa da spartiacque tra la Valle del
Livrio e la Val Cervia (3 luglio 2005, foto Beno).
le Retiche, con le cime innevate che
fanno da spartiacque con la Svizzera,
mentre in basso risale la Val Cervia da
Cedrasco, verso S la Val Brembana e
verso E le maggiori vette delle Orobie
con in primo piano il Pizzo del Diavolo di Tenda.
La via di discesa può avvenire lungo
l’itinerario di salita oppure utilizzando il canale di gronda che raccoglie
le acque del versante dx idrografico
della valle. Questa seconda opzione è
molto interessante, però chi desidera
percorrerla deve munirsi di una torcia
elettrica perché ci sono da attraversare dei brevi tunnel, costruiti per
il deflusso dell’acqua. Alcuni sono
dritti e quindi lo sbocco illuminato
concede un lieve chiarore; invece uno
compie una curva a gomito ed è quindi completamente buio. Non vi dico i
brividi che ho provato la prima volta
che l’ho percorso senza nessun tipo di
illuminazione!
Dal Rifugio Caprari si segue inizialmente, in direzione E, il sentiero del
GVO che porta al Passo dello Scoltador. Dopo poche centinaia di metri lo
si abbandona per prendere il tracciato
che si diparte sulla sx (segnavia 220)
e che si abbassa tra pascoli e boschi
radi fino alla Baita dello Scoltador
(m 2048, ore 0:30). Scendendo
in diagonale sulla dx si raggiunge
facilmente la copertura del canale
di gronda. Ora il percorso è quasi
completamente pianeggiante e si svolge a mezza costa in direzione N fino
al ruscello che scende dal Lago della
Casera (m 1850, ore 1:15 dal Lago
del Publino). Per vedere questo bello
specchio d’acqua verde smeraldo bisogna risalire il breve pendio in direzione SE, fino all’ampia conca (Lago
della Casera, m 1920, ore 0:15) ai
piedi del Pizzo Meriggio. Ritornati
sulle proprie tracce, al canale di gronda si imbocca il sentiero sulla sx che
si abbassa nel bosco fino a giungere
a San Salvatore (m 1310, ore 1).
Seguendo la strada cementata percorsa in mattinata si ritorna a Nembro.
Estate 2009
In vetta al Corno Stella (foto M. Amonini).
LE MONTAGNE DIVERTENTI
l lago artificiale del Publino si trova in testa alla Valle del Livrio. Con
una capienza di 5 milioni di metri cubi d'acqua, fu realizzato tra il
1949 ed il 1953 in loco di due laghetti naturali preesistenti. Le sue
acque vengono dapprima convogliate tramite una ripida condotta forzata nella sottostante centrale, quindi un lungo canale buca la montagna
e le getta nel Lago di Venina, da cui scendono alla centrale di Zapello in
Val d'Ambria e arrivano , infine, all'invaso del Gaggio sopra Piateda.
Il Rifugio Caprari, inaugurato nel 1991, si trova nei pressi del Lago del
Publino, è stato dedicato ad Amerino Caprari, uno tra i maggiori esponenti della SOND.EL., società elettrica della Falk che gestisce, fra le altre,
la diga al Lago del Publino. Scomparso in un incidente nel 1987 durante la perlustrazione del bacino del Gaggio a Piateda, destinatario ultimo
delle acque del Publino. Erano i giorni immediatamente precedenti alla
tragica alluvione dell’87. Tito di Blasi così descrive quella tragedia nel suo
racconto “L’onda del fiume”:
“Il mattino di sabato 25 luglio, si presenta con un cielo terso e pulito
e, le montagne intorno, verdi di boschi e di prati; sulle cime non c'è più
neve, disciolta completamente dall'ultima pioggia e dalla calura. Dopo
il nubifragio e la grandinata, sulle ferite della Valtellina splende di nuovo un sole caldo e ben augurante.
I giornali riportano a grandi titoli, accanto ad immagini di grande bellezza paesaggistica, rovine ricoperte di fango e notizie di disgrazie. Tra
queste una vola di contrada in contrada e fa presto il giro della valle: un
grave incidente al Gaggio, sopra Piateda, ha coinvolto, purtroppo mortalmente, il Direttore della Sondel (ex Falck) Amerino Caprari e il suo
autista, Remo Ramponi, durante un sopraluogo alle strutture della centrale di Venina.
Amerino, amico di molti, stimato e apprezzato sul lavoro, benvoluto
da quanti lo conobbero, insieme all'ingegner Zorzoli e al tecnico Zecca,
deve ispezionare gli impianti dopo i giorni di maltempo.
Quante volte aveva fatto in jeep quella strada, in condizioni anche
peggiori? Questa volta il destino è crudele; un sasso sulla strada, il fango, forse un franamento, trascina la jeep giù per il dirupo, schiacciando sotto il suo peso Caprari e Ramponi, mentre Zorzoli e Zecca, sbalzati
fuori, se la cavano con ferite e contusioni.
Impressione, commozione, rabbia.
Ancora vittime, ancora due famiglie nel dolore ed ancora tanta costernazione. Quanta parte ha avuto la montagna in questa tragedia?
Quanta il destino!
Il dovere, la vita di altri impongono un controllo agli impianti e alle
strutture. In circostanze come questa non si può trascurare nulla; l'acqua, nella diga, ha raggiunto livelli preoccupanti e la montagna si sfalda
dappertutto. La gente, giù in valle, è preoccupata, aspetta una risposta
per essere tranquillizzata.”
Trekking nella Valle del Livrio
87
V
Escursionismo
Giorgio Orsucci
I vigneti della Sassella (25 novembre 2008, foto Jacopo Merizzi).
Ometto sulla vetta della Cima della Casa
(7 luglio 2007, foto Roberto Moiola).
88
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Estate 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Laghi Azzurri e Cima della Casa
89
Escursionismo
Valchiavenna
D
lago Azzurro
del Suretta
a tempi immemorabili la
Valle Spluga rappresenta un
corridoio viario e commerciale di
grande importanza per i movimenti transalpini. Il Passo dello Spluga, con buona probabilità noto e
frequentato già qualche migliaio di
anni fa, fu sicuramente utilizzato
dai Romani e da loro dotato di un
apparato stradale. Ma saltiamo in
età moderna, perché è nell'Ottocento che il passo vive i suoi anni
migliori, e più precisamente a partire dal 1821, quando viene completata l'ardita carrozzabile dello Spluga
su progetto di Carlo Donegani (la
stessa mente geniale che di lì a poco
avrebbe realizzato pure la strada
dello Stelvio). I decenni che seguono questa data sono i più floridi
nella storia dello Spluga: basti come
dimostrazione il fatto che il passo
era tenuto aperto durante tutti (o
quasi) i mesi dell'anno.
A seguito dell'apertura del traforo del San Bernardino, del 1967,
molto è cambiato. I traffici lungo
la strada dello Spluga si sono notevolmente ridimensionati, e il passo
rimane oggi ostruito dalla neve da
novembre a maggio, nonostante il
progresso dei mezzi spalaneve negli
ultimi duecento anni.
Cima della
conca dei Casa
Laghi Azzurri
dogana
Panoramica sul gruppo del Suretta (7 luglio 2007, foto Roberto Moiola).
M
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
-
90
PARTENZA: Montespluga (m 1908).
ITINERARIO AUTOMOBILISTICO: da Sondrio
percorrere la SS 38 della Valtellina fino a Delebio
(30 km). Dopo il ponte, alla rotonda, svoltare a
destra sulla SP 4, quindi raggiungere Nuova Olonio
sulla SS 402 (39 km). Qui imboccare la SS 36 e
seguirla lungo l'intera Valchiavenna e per buona
parte della Valle Spluga fino a Montespluga;
parcheggiare all'ingresso dell'abitato.
ITINERARIO SINTETICO: Montespluga (m 1908) –
Laghi Azzurri (m 2429) – Pizzo della Casa
LE MONTAGNE DIVERTENTI
(m 2522) – Laghi Azzurri (m 2429) – Bergsee
(m 2311) – Passo dello Spluga (m 2123) –
Montespluga (m 1908).
TEMPO
DI PERCORRENZA PREVISTO:
4 ore per l’intero giro.
ATTREZZATURA RICHIESTA:DIFFICOLTÀ: 2 su 6.
DISLIVELLO IN SALITA: 600 metri circa.
DETTAGLI: E.
Estate 2009
ontespluga, un grappolo di
case – in totale una trentina – all'ombra del passo, è nata e
cresciuta in stretta dipendenza dalla
strada dello Spluga. Così, quando
la vitalità dello Spluga si è drasticamente ridotta, tutto si è fermato
pure in questo paese. Chi vi sosta vi
può respirare la stessa atmosfera di
duecento anni fa, può immaginarsi
il via vai di gente lungo la strada, le
corriere che arrivano e che partono, i viaggiatori che entrano e che
escono dalla Ca' della Montagna.
Queste le immagini che la pittore- Fioritura di rododendri sopra al Lago di Montespluga (7 luglio 2007, foto R. Moiola).
sca contrada d'alta quota può ancora evocare in chi si avventura fin qua da Chiavenna, o Suretta (quarta tappa del Trekking della Valle Spluga);
ancora più intensamente ai viaggiatori che vi giungono qui sosta chi percorre la Via Spluga, lungo ciò che resta
da Splugen, per i quali Montespluga costituisce il primo del tracciato storico della strada dello Spluga. Ma dal
nucleo di umanità dopo chilometri di sterile paesaggio Lago di Montespluga, in generale, partono a raggiera
numerose vie escursionistiche, da percorrere una ad
montano.
Al giorno d'oggi, altre strade fanno di Montespluga una. Fra le varie possibilità offerte dal luogo abbiamo
un importante nodo viario: i tracciati sentieristici. Qui selezionato un percorso ad anello, senza difficoltà e di
indugiano per un attimo gli escursionisti che, scesi dal impegno fisico modesto, con partenza e ritorno proprio
Bivacco Cecchini, devono affrontare la salita al Bivacco a Montespluga.
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Laghi Azzurri e Cima della Casa
91
Escursionismo
Valchiavenna
P
osteggiata l'auto nell'ampio
spiazzo sterrato all'ingresso di
Montespluga, imbocchiamo il sentierino (segnavia C15) che serpeggia
verso O, tenendosi inizialmente poco
più in alto della statale e allontanandosene poco a poco.
Gustiamoci subito la bellezza di
questi pascoli, punteggiati dalle accese
fioriture del rododendro e frequentati
da qualche mandria di mucche: via
via che procediamo, addentrandoci
in un corto vallone, il paesaggio si fa
infatti più austero. Qui il piede incede scomodamente in una rete sempre
più fitta di massi, e la traccia diventa a
tratti insicura (non ci resta che seguire
i segnavia rosso-bianco-rossi del CAI,
peraltro molto frequenti). Il percorso,
ora diretto decisamente verso N, si
fa gradatamente più ripido, quindi si
infila in un breve canalone, ostruito
dalla neve fino a stagione inoltrata,
con cui conquistiamo, non senza
qualche sbuffo di fatica, la sommità
della vallecola (m 2429, ore 1:40).
Ci troviamo all'estremità orientale di
un'ampia conca naturale, interamente rivestita di sassi e placche rocciose.
Ma “conca” non è certo il termine più
appropriato a designare un luogo così
variamente ondulato: ciò che abbiamo
di fronte sembra esser stato tormentato dai colpi incessanti di un enorme
pestello; drammaticamente distante la
geometria perfetta del catino del Lago
d'Emet.
L
'irregolarità orografica di questo
balcone montuoso si riflette
curiosamente nel nome delle pozze
d'acqua che esso ospita (visibili se
proseguiamo ancora un minuto). Il
mondo si divide equamente fra chi
ne fa riferimento con il nome di Lago
Azzurro, considerando il lago più
grande come un'unica realtà lacustre
insieme alle pozze “satellite” che lo
circondano, e chi invece adopera il
plurale Laghi Azzurri, concedendo a
ogni bacino una sua dignità autonoma.
Poco importano tali finezze toponomastiche: noi, più per abitudine
che per presa di posizione, li definiremo Laghi Azzurri.
La vista sulle cime circostanti è in
gran parte bloccata dalle gibbosità del
terreno; solo le vette più alte fanno
92
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Svizzera), ma l'originalità sembra
scarseggiare: è traduzione tedesca
di “Lago Azzurro”! Di forma questa
volta quasi perfettamente circolare, è
contenuto a N da un esile braccio di
terra, al di là del quale fa bella mostra
di sé il Teurihorn, un (quasi) 3000 di
incredibile fascino. In basso, si snodano sinuosamente i tornanti della parte
svizzera della strada dello Spluga.
Da qui comincia la nostra discesa,
alquanto precipitosa, verso il passo;
una serie infinita di corti tornanti, che
disegnano una buffa linea spezzata sul
fianco della montagna, tentano con
buon risultato di limitare la pendenza del tracciato; sarà comunque un
gran sollievo per le nostre ginocchia
raggiungere i pianori erbosi di vicini al Passo dello Spluga (m 2113,
ore 0:20).
iamo ora alle fasi conclusive della
nostra escursione. Dopo un ultimo sguardo verso la Svizzera, torniamo in territorio italiano; ci troviamo
qui a camminare su un sentiero
perfettamente lastricato, che serpeggia elegantemente fra i massi di un
corpo franoso: è un tratto dell'originario tracciato sei e settecentesco della
strada dello Spluga; più avanti, le due
fasi costruttive sono ben distinguibili: dove il selciato si divide in due, è
seicentesco quello che scende sulla dx
con pendenza maggiore, mentre è di
rifacimento settecentesco il tracciato
che prosegue con pendenza più moderata. Questi brevi frammenti di storia
saranno in grado di suggestionare i
nostri sensi in modo del tutto speciale
se avremo la pazienza di vederli illuminati della calda luce del tramonto.
Poco oltre, la via Spluga attraversa la
statale e si porta ad O del Liro, descrivendo un'ampia curva attraverso i
verdi pascoli di Montespluga; infine
si perde fra le case del piccolo abitato
(Montespluga, m 1908, ore 0:35).
Prima di abbandonare questo
posto, regaliamoci una passeggiata per
Montespluga, senza dimenticare di
gettare un'occhiata all'interno dell'Albergo Vittoria (alloggiato nel palazzo
della Ca' della Montagna) e dell'Albergo Posta: gli arredi ottocenteschi
perfettamente conservati danno agli
ambienti un fascino d'altri tempi da
custodire gelosamente.
S
I Laghi Azzurri, al confine tra Italia e Svizzera (7 luglio 2007, foto R. Moiola).
A fianco: le nebbie sulla strada che da Montespluga sale al passo (luglio 2005, foto Beno).
capolino laggiù in fondo al pianoro
riflesse nel blu profondo degli specchi
d'acqua. Se però vogliamo ammirarle
anche nella loro interezza è sufficiente
salire al Pizzo della Casa, l'elevazione
terminale del corpo montuoso che
abbiamo alle nostre spalle, in direzione SO. Su tracce quasi inesistenti,
percorriamo in moderata pendenza
l'ampia dorsale, che ad ogni passo
sembra regalarci panorami sempre più
estesi; al termine, proprio sul ciglio
del baratro, un modesto cippo in
pietra (Pizzo della Casa, m 2522, ore
0:25) ci indica la “cima”: quella che
da Monstespluga ci appariva tale, qui
sembra piuttosto il lembo terminale
di un esteso altipiano. Cima o non
cima il panorama resta ed è di grande
effetto: davanti a noi, dopo il turchese del Lago di Montespluga e il verde
degli Andossi, si estende l'intera Valle
Spluga coronata dalle sue splendide
cime; sulla dx, l'ariosa Val Loga, e al
suo imbocco, proprio sotto il nostro
naso, le case di Montespluga, con il
parcheggio in cui sonnecchia la nostra
macchina; dietro di noi, infine, il
gruppo del Suretta e l'ambiente aspro
e accidentato dei Laghi Azzurri.
Proseguiamo ora il nostro percorso.
Tornati ai Laghi Azzurri (m 2429,
Estate 2009
ore 0:20), li aggiriamo sulla sx,
ammirandone l'irregolare bellezza e
l'artisticità dei massi che spuntano in
più punti dalla superficie, e andiamo
a intercettare il sentiero con segnavia
C14, che prosegue in salita verso E
LE MONTAGNE DIVERTENTI
compiendo una bellissima traversata al
Bivacco Suretta; seguendolo invece in
direzione opposta scendiamo, sempre
su terreno sassoso, a un altro laghetto, il Bergsee (m 2311, ore 0:30).
Altro lago, altro stato (siamo ora in
Laghi Azzurri e Cima della Casa
93
LE CONDIZIONI ECONOMICHE E CONTRATTUALI SONO DETTAGLIATE NEI “FOGLI INFORMATIVI” DISPONIBILI PRESSO TUTTI I NOSTRI OPERATORI DI SPORTELLO. MESSAGGIO PUBBLICITARIO CON FINALITA’ PROMOZIONALE.
Escursionismo
E’ un mattino di novembre del 2005; le luci filtrano
dalle finestre riverberando il colore del paesaggio e mi
svegliano presto. Sono in un luogo sconosciuto, incuriosito dal nuovo mondo che mi circonda. Vado alla
finestra, la apro, mi affaccio. L’aria gelida mi investe,
il cielo è limpidissimo e le severe vette del Lomnicky e
del Kežmarský Štít (due maestose montagne dei Tatry)
dominano un inatteso paesaggio montuoso inondato
dalle vigorose luci del mattino. Sono in un ambiente
inaspettato: una piccola Valtellina a 1300 km dalla mia
e questa visione mi riempie di aspettative e di coraggio
per intraprendere una nuova avventura.
VALTELLINESI
NEL MONDO
La fronte crepacciata del grande ghiacciaio
Kronebreen (foto A. Gusmeroli).
Fausto Pedrolini
Dalla natura l’energia, dalla tua banca il finanziamento.
Ihla v Dračom visto da Dračie Sedlo (10 febbraio 2008, foto F. Pedrolini).
S
Investire nella tutela dell’ambiente conviene, e da oggi ancora di più. Creval Energia Pulita è il finanziamento, a tassi e condizioni
particolarmente vantaggiosi, destinato a privati e imprese che acquistano un impianto fotovoltaico, installano pannelli solari o investono
in progetti finalizzati alla salvaguardia ambientale.
CrevalEnergiaPulita
Diamo valore alla natura.
94
LE MONTAGNE DIVERTENTI
CREDITO VALTELLINESE, CREDITO ARTIGIANO, CREDITO SICILIANO,
BANCA DELL’ARTIGIANATO E DELL’INDUSTRIA, CREDITO PIEMONTESE, BANCAPERTA.
Estate 2009
www.creval.it
ono arrivato a Nová Lesná ieri sera e ci ho trovato solo buio pesto e nebbia fitta e sensazioni da
film di vampiri. Non si distingueva niente, la
vista si interrompeva smorzata dalla foschia a breve
distanza dal nastro d’asfalto che mi ha condotto fin qui
nel lungo viaggio da Bratislava. E’ la prima volta che
mi allontano dall’Italia per lavoro: sono stato reclutato
per avviare una piccola realtà industriale nei pressi di
Poprad, la cittadina slovacca ai piedi degli Alti Tatra.
Sono in Slovacchia per una breve ricognizione, ma nei
prossimi anni, questa potrebbe essere la mia casa e ciò
mi riempie di curiosità e di preoccupazioni.
In primavera (2007), come previsto, mi stabilisco in
un villaggio fuori Poprad, a due passi dall’azienda e a
tre dalle montagne. Il lavoro, almeno nei primi mesi,
mi assorbe parecchio tempo ed energie e i problemi
LE MONTAGNE DIVERTENTI
quotidiani mi trovano impegnato in quella che è una
sfida per me del tutto nuova.
Gli slovacchi sono un popolo affabile, simpatico e
cordiale, hanno culture e tradizioni lontane e dei modi
di porsi da noi, purtroppo, spesso dimenticati. Qui ho
trovato una civiltà non ancora avvelenata dal consumismo, un ambiente in cui l’amicizia e l’ospitalità sono
qualità di tutti, una civiltà dell’essere, non dell’avere o
peggio dell’apparire, un mondo a misura d’uomo dove
tutti sono amici e si sente il bisogno di darsi aiuto l’un
l’altro per il semplice fatto che questo ci fa stare bene.
In sostanza, ho vissuto in un luogo sano, pieno di
buoni valori che raccomanderei a chiunque di visitare,
non solo per le attrattive paesaggistiche, ma in un’ottica di integrazione con la gente del posto.
La luce dei Tatry
95
Rubriche
Ľadový štít
(2627)
Pyšný štít
(2621)
Bradavica
(2476)
Ždiarska Vidla dalle pendici SE dell'Havran
(13 agosto 2008, foto F. Pedrolini).
Questi sono i momenti più cari che ho
vissuto in questi luoghi: due anni sono
lunghi e io mi sono dato piuttosto da fare
per darne una discreta idea con poche
parole.
BELIANSKA KOPA, MAGGIO 2006
Un tramonto indimenticabile sui Belianske Tatry: sono
in compagnia di due camosci che mi considerano un loro
amico, visto che passeggiano indisturbati dalla mia presenza. Ho la neve al ginocchio e ovviamente calzoncini corti
e scarpe da ginnastica. Sono andato un po’ a spasso dopo
il lavoro, è finalmente la mia prima escursione sui Tatry.
A m 1600 c’è già neve dappertutto, a 1700 c'è da disperarsi, ma voglio raggiungere una collinetta più in alto. Ci
arrivo nel momento più bello della giornata, il tramonto,
facendomi strada fra camosci troppo domestici. Scopro,
nella valle adiacente i Belianske Tatry, una magnifica cresta
montuosa di roccia calcarea: il bianco della roccia e della
neve sono combinati coi colori della vegetazione e inondati
dai raggi del sole calante tra le nuvolette del fondovalle: che
spettacolo!
G
li Alti Tatra o Tatry per i locali, sono una cresta
montuosa di poche decine di km di estensione al
confine fra Slovacchia e Polonia, appartengono al gruppo dei Carpazi e ne ospitano le cime più elevate: la vetta
più alta, il Gerlachovský Štít tocca i m 2655 e altre 25
cime passano i m 2500. Sono montagne dalle caratteristiche alpine, molto simili alle nostre per conformazione rocciosa, flora e fauna. La zona è sotto la tutela
di parchi nazionali, ed essendo di grande interesse turistico, è particolarmente protetta: è severamente vietato
raccogliere fiori e funghi, pescare, spaventare orsi e lupi
e persino allontanarsi dai sentieri.
RYSY, LUGLIO 2006
E’ metà luglio, sono arrivato stamattina alle 7 dall’Italia
dopo tredici ore di guida e una passeggiata con pennichella
sulle Alpi Carniche per rompere la monotonia del viaggio. Dopo un nuovo pisolino e un pomeriggio al lavoro
sono libero di andarmene in montagna: alle 18 comincio
a camminare, arrivo in cima alle 20:30 ma il sole, purtroppo, è già giù. Ho mancato il tramonto di pochi minuti
andando a farmi respingere dalle pareti più impegnative del
vicino e per ora inviolato Český Štít. E' stata una giornata
calda e quassù il clima è davvero piacevole. Non vedo gente
da più di un’ora e non ne rivedrò per altre due, la pace di
questo luogo è immensa. In altri periodi dell’anno e in altri
orari, questo monte, il più alto della Polonia (ho infatti
sconfinato di qualche metro), è parecchio frequentato, ma
ora c’è silenzio. Ho addirittura portato
il frontalino con le pile cariche: non
ho fretta, contemplo il mio nuovo
mondo da una prospettiva diversa e
mi lascio affogare dalle tenebre che
con calma divorano tutto.
GERLACH, FINE AGOSTO 2006
Un tramonto su un paesaggio ostile
di rocce nude. Sono a due ore dalla
civiltà e a un’ora dall’oscurità totale,
non ho nemmeno un frontalino. Che
prenda notte è scontato, ma mi attende anche una simpatica sorpresa sulla
via del ritorno: un orso che per fortuna non ha voglia di litigare! Nonostante l’aria frizzante esito a separarmi
96
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Estate 2009
dal grandioso panorama: è stato un inizio di
pomeriggio nuvoloso e freddo e l’ho passato
a raccogliere funghi dalle parti di Vyšne Hagy
dove è vietatissimo. Verso le 15:30 il cielo si è
schiarito e il mio zainetto era ormai pieno. Il
Gerlachovský Štit era lì a pochi passi: ci sono
salito senza esitare; non conoscevo vie ma ho
improvvisato. Alle 18:30, non senza difficoltà, sono in vetta e mi godo un tramonto da
favola. L'aria gelata e l’ora tarda mi sconsigliano di dilungarmi, ma è faticoso staccarsi
da qualcosa di così bello.
KRIVÁŇ, FEBBRAIO 2007
E' il giorno più brutto di un inverno
clemente, c’è un vento freddo insopportabile
che porta la neve dappertutto, dal niente vedo
finalmente affiorare una croce di legno: non è
l’aldilà, sono finalmente in vetta. Partito con
gli sci da Štrbské Pleso tre ore fa, era fresco,
ma il cielo non lasciava presagire l’apocalisse; dopo un’ora era nuvoloso, dopo due si è
alzato il vento, ora sto brancolando in una
bufera che sembra voglia spazzarmi via. So
solo che la cima è ancora un po’ oltre, medito
più volte di tornare sui miei passi, ma non
sono tipo da arrendersi facilmente e a furia
di ultimi sforzi, stringendo i denti invece di
sbatterli per il freddo, arrivo in vetta. E' un
momento bellissimo, memorabile, anche se il
clima è quello del girone dei lussuriosi all’inferno. Se non altro, adesso so dove sono e so
che non posso più andare avanti nemmeno se
lo volessi…
OSTRÝ ŠTÍT, LUGLIO 2007
Finalmente, dopo troppe energie fisiche
e nervose sprecate, giungo in cima a questo
minaccioso sperone di roccia non senza
qualche timore per il ritorno. E’ la vetta più
acuminata che abbia mai scalato, ogni volta
che in seguito l’ho osservata mi sono sentito un po’ orgoglioso e un po’ stupido: sto
compiendo una traversata di discreto impegno date le mie ridotte capacità di scalatore,
dallo Javorový Štít alla Široká Veža.
L'Ostrý Štít (letteralmente: il pizzo appuntito) è proprio lì in mezzo e non potevo certo
ignorarlo: ho impiegato due ore per guadagnare gli ultimi 100 m di quota esplorando
tutti i versanti della montagna di cui ormai
conosco ogni sasso; sono soddisfatto dell’impresa, ma ho qualche timore a scendere: non
vorrei aver osato troppo stavolta, fortuna che
ho con me un po’ di corda inadatta a stendere la biancheria con la quale farmi sicura nei
momenti brutti.
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Vista dallo Zadný Gerlach (10 agosto 2008, foto F. Pedrolini).
Muráň da Nové Sedlo (1 ottobre 2006, foto F. Pedrolini).
Vista dal Lavínový štit (10 agosto 2008, foto F. Pedrolini).
La luce dei Tatry
97
Rubriche
Artigiani:
il restauratore
MALÁ BAŠTA, OTTOBRE 2007
E' una delle poche notti serene di un autunno terribile, sono giunto ora sulla cima, proprio
nel momento in cui la luna piena si sta alzando dalla Vysoká. E’ la luna più bella che si
possa vedere in una vita e per una volta ho
la certezza di trovarmi al posto giusto nel
momento giusto. La Vysoká, quella che a mio
parere è la cima più appariscente dei Tatry, è
imbiancata dalle prime nevi autunnali e offre
uno sfondo perfetto a quella immensa palla
luminosa che, sorgendo, mi appare in tutta la
sua radiosità in un cielo limpidissimo lavato da
due mesi di pioggia.
Maurizio Torri
Lomnický e Kežmarský štit da T. Matliare. In primo piano gli alberi devastati
POPRAD, AGOSTO 2008
dall'uragano del novembre 2004 (4 febbraio 2007, foto F. Pedrolini).
Pochi mesi dopo la fine della degenza lavorativa, decido di tornare in Slovacchia per le ferie di agosto
per salutare le molte persone care e dare un degno addio
JAHŇACÍ ŠTIT, AGOSTO 2008
alle “mie” montagne. Sono stato così stupido da lasciarmi
E' il momento che meglio definisce l’addio ai luoghi che
iscrivere a una maratona ciclistica attorno ai Tatry. Ieri ho ho tanto amato. Un tramonto pieno di colori e sentimenti
guidato quindici ore per arrivare qui in tempo, oggi ho a due passi dalla Belianska Kopa dove l’avventura è cominpedalato 230 km e, sinceramente, non ce la faccio più, ciata: è l’ultima settimana che trascorro in questa terra,
anche perché in Slovacchia, e per quel che ne so io anche decido di tornare ad ammirare il tramonto più bello, quello
in Polonia, c’è sempre vento e non ci sono strade piane: che più mi è rimasto nel cuore. Stavolta, al posto dei camosi sale o si scende, e dopo sette ore che pedali, anche una sci, mi sono portato due amiche. Vedo la Belianska Kopa
discesa ti comincia a sembrare un po’ in salita. Così mi è appena lì sotto e poco oltre, a riempire lo sfondo, come
parso anche l’ultimo pendio che porta verso il traguardo, in quella prima avventura di quasi una vita fa, i Belianske
mi rincuora solo il pensiero che fra un minuto mi potrò Tatry tinteggiati con i colori del tramonto. L’erba di colosdraiare nel prato a scolarmi un’ottima birra slovacca. Devo re verde smeraldo ha preso il posto della neve e l’effetto
ammettere che, essendone uscito vivo, ne è valsa la pena: cromatico ne guadagna; il mio cuore è gonfio di emozioni
tutti i luoghi a me cari sono avvolti dall’anello d’asfalto che per quel che è stato e per il tempo che dovrò trascorrere
ho appena percorso e ogni punto di osservazione mi ha lontano da un posto così bello.
portato alla mente piacevoli ricordi.
L’era del consumismo più sfrenato ci ha abituato a
bruciare tutto e subito. L’oggetto vecchio, malconcio o
anche solo un po’ acciaccato deve esser gettato e sostituito
con un uno nuovo. Così, molti mobili e suppellettili
dei nostri avi sono finiti nelle discariche. Le case dei
nostri nonni sono però ricche di mobili ed utensili che
meriterebbero di ritrovare “un posto al sole”; il problema è
come rimetterli a nuovo? Gli artigiani in grado di dare un
colpo di spugna ad anni di incuria sono davvero pochi, ma
tranquilli: ci sono ancora. In questo articolo ve ne faremo
conoscere uno che ha saputo fare della propria passione un
vero e proprio lavoro.
Fausto Pedrolini
Fausto Pedrolini, classe 1974, ingegnere meccanico.
Risiedo a Chiesa in Valmalenco, ma purtroppo mi sono spesso dovuto
allontanare dalla mia amata valle: prima per studio, poi per lavoro.
Attualmente sono occupato in un’azienda dell’alta Brianza dove trascorro
tutta la settimana lavorativa e dove ovviamente conto le ore che mi
separano dal venerdì sera, quando sarò finalmente libero di fuggirmene
a casa. Mi è sempre piaciuto stare in movimento, ho sempre amato le
bellezze naturali, l’attività all’aria aperta e soprattutto l’avventura.
E’ da pochi anni che mi sto dedicando a scalare quelle montagne che
prima erano solo un bello sfondo ad altre attività: ho conosciuto Beno
nel 2005 che mi ha risvegliato da un periodo di “divanismo” e da
allora di stupidate ne abbiamo fatte a grappoli. Ora, assieme anche alla
compagnia di sherpa malenchi (Mario e Andrea) e, a Dio piacendo, di
Gioia, facciamo almeno un’escursione la settimana senza badare troppo
all’ora di partenza né a quella del ritorno, nè alle condizioni atmosferiche
né, tanto meno, ai sentieri o ai rigorosi precetti del buonsenso.
Oltre ad aver brillantemente superato i problemi irrisolti dell'alpinismo
valtellinese (Monte Canale per il prato SE, Sasso Alto senza seggiovia,
Monte Roggione ...), il mio curriculum alpinistico vanta anche la dedica
di Andrea Gobetti sulla mia copia de L'uomo che scala: "A Fausto il fusto
bello e robusto", che ha inorgoglito non poco mia mamma!
98
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Estate 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
L’ultimo degli artigiani
99
Rubriche
Nel centro storico di
Morbegno, proprio
vicino al palazzo
comunale, vi è una
bottega dove il tempo
sembra essersi fermato.
Tra vernici, chiodi,
scalpelli, carta vetrata,
e un po’ di polvere,
Aldo Broggi ci ha fatto
conoscere il fantastico
mondo del restauro:
«Con tanta pazienza, la giusta
manualità anche un oggetto vecchio
può tornare bello come un tempo.
Ovviamente bisogna avere tanta
passione. Per me il restauro è molte
cose insieme: una forma di gioco, un
hobby, quasi una malattia. Sarà che
mi piacciono i lavori manuali, sarà
che avevo un nonno falegname e uno
tappezziere, ma non cambierei questo
lavoro con nessun altro».
Come è nata questa tua
professione?
«Mi sono diplomato al liceo scientifico di Morbegno e ho frequentato per
due anni la facoltà di giurisprudenza,
ma mi sentivo un pesce fuor d'acqua.
Quando ho saputo della scuola di
restauro, ho mollato tutto e dopo un
anno trascorso a lavorare a Morbegno
mi sono trasferito a Firenze. Qui ho
iniziato la mia avventura e nel 1991
mi sono diplomato in restauratore di
legni antichi presso l'Istituto Palazzo Spinelli. Prima di aprire la mia
"bottega" ho fatto esperienza presso
diverse ditte fiorentine specializzate in
doratura, intaglio, intarsio ed ebanisteria. Il motivo? Sin troppo semplice:
la scuola ti indirizza, ti da una base e
una preparazione che va poi affinata.
In un lavoro così manuale, l' esperienza della "bottega" è fondamentale».
Quali sono gli aspetti
positivi e negativi del
tuo lavoro?
«Mi piace il riuscire a viverlo ogni
100
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Aldo Broggi e il suo studio (28 aprile 2009, foto R. Moiola).
giorno come un vero e proprio gioco;
è entusiasmante e affascinante anche
se a volte, come tutti i lavori, stressante. Mi piace l'idea che ogni pezzo
che restauro abbia una storia sempre
diversa. Non amo, invece, la burocrazia che bisogna seguire nelle collaborazioni con le Soprintendenze per il
Patrimonio Storico e Artistico. Ciò ti
porta a passare molto tempo davanti
al computer per relazioni e ricerche.
Una cosa che proprio non tollero
è vedere quanta nostra storia e arte
venga trascurata o abbandonata per
disinteresse e ignoranza».
«Chiunque; dal collezionista al
semplice privato che vuole salvare il
pezzo prezioso ereditato dalla propria
famiglia. Mi contattano anche antiquari, musei, la curia o enti di varia
natura».
E per gli interventi?
«A volte ti capita di riparare una
semplice sedia, a volte opere antiche
e importanti. In questo momento sto
restaurando un grande altare scolpito,
dipinto e dorato risalente alla seconda
metà del XVII secolo. In genere lavoro su tutto quello che è legno: mobili, cornici dorate, statue policrome,
oggettistica, porte e portoni, ecc.».
Sono molti i
restauratori in provincia
e come vedi il futuro di
questo mestiere?
Prima hai detto che
«Siamo in pochi e sempre meno, per te questo lavoro è
ma ci siamo. I ragazzi interessati sono pure un hobby. Cosa
una rarità forse perché in bottega
ci si sporca o perché ci vuole trop- intendevi?
po tempo a imparare il mestiere. Al
giorno d’oggi nessuno ha più tempo
e pazienza come una volta e, come se
non bastasse, le varie norme ti portano ad avere meno dipendenti possibili: ciò vuol dire niente apprendisti e di
conseguenza niente trasmissione delle
tecniche che conosci».
Chi è il tuo cliente tipo?
«Semplice: la mia passione per il
legno ha fatto si che un mio hobby
riguardasse ancora questo materiale. Così nel tempo libero mi diletto
a creare, assemblare e scolpire. Creo
opere usando il materiale che avanzo
durante i restauri e cerco di rappresentare l'uomo e le sue attività. Le
definisco opere riciclate perché uso
legno altrimenti destinato alla stufa».
Estate 2009
Flora estiva
di Valtellina
parte I
Franco Cirillo
Riprendiamo la conoscenza della flora della Valtellina con
riferimento al periodo estivo e alle piante erbacee.
La presenza di rilievi imponenti che racchiudono la valle,
l’andamento prevalente est-ovest creano situazioni climatiche
diverse a secondo dell’altitudine e dell’esposizione.
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Giglio rosso in Val Fontana (7 luglio 2008, foto Beno). Flora estiva di Valtellina
101
Rubriche
Flora
N
Occhi della Madonna.
el mese di giugno
assistiamo nel
fondovalle a fioriture di
carattere propriamente
estivo, mentre in alta quota
è inizio primavera (l'estate
alpina dura pochissimo,
sostanzialmente da metà
luglio a metà agosto).
Innumerevoli sono le
specie che mostrano fiori
appariscenti e che attirano
l'attenzione: ve ne daremo una prima trattazione
parziale e non rigorosa,
apparentemente disordinata, che sarà la premessa per
approfondimenti futuri.
Prenderemo in considerazione le specie più comuni,
imparando a differenziare
i fiori in base alla specie
(pensiamo alle famiglie:
genziane, gerani, garofani,
orchidee) o ad altre caratteristiche (bulbose, perenni,
medicinali, ecc.).
Non ti scordar di me.
Salvia dei prati.
Fumaria. Tutte le foto di questa pagina: Franco Cirillo.
Partiamo dal fondovalle in una
giornata di giugno, per prender via via
quota.
ei pochi campi di valle, sopravvissuti all'industrializzazione
selvaggia, osserviamo fiori comuni,
forse banali, che però visti da vicino
ci stupiscono per la loro perfezione e
bellezza.
Le veroniche, di cui Veronica comune (v. chamaedrys L.) forma sovente
macchie azzurre di fioritura da aprile a
luglio. Chiamate popolarmente anche
“Occhi della Madonna” per il colore
celeste dei fiori, due per volta su ogni
rametto. Vegetano soprattutto nei
prati, ai margini dei boschi e in zone
molto azotate.
Anche il Myosotis arvensis (L.) Hill,
più noto come “Non ti scordar di
me”, della famiglia delle borraginacee,
ha fiori azzurri che mutano nel rosa
e crea macchie di colori nei prati da
aprile a settembre. Il nome popolare
N
Ranuncolo montano e, in basso, alisso delle rocce.
102
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Peonia spontanea e, in basso, geranio selvatico.
Estate 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
del Myosotis deriva da una leggenda:
nella Germania medievale, un cavaliere e la sua dama stavano passeggiando
lungo la riva di un fiume. Il cavaliere
si chinò per raccogliere un mazzetto
di fiori da offrire alla sua bella, ma,
vinto dal peso dell'armatura, cadde
nel fiume. Mentre era in procinto di
annegare, gettò i fiori alla sua amata,
gridando: “Non ti scordar di me!”.
Da quell'episodio, M. arvensis divenne noto in Germania come “vergess
mich nicht = non-ti-scordar-di-me”
e definitivamente associato all'idea
dell'amore vero. Nel Medioevo veniva
portato sulla persona per assicurarsi la
fedeltà dell'amata. La tradizione passò
anche in Francia, dove la pianta venne
chiamata “ne m’oubliez-pas”, e anche
“aimez-moi = amatemi”. Da qui si è
poi trasferita agli altri paesi europei,
compresa l'Italia.
Nei prati incontriamo anche la
fumaria (Fumaria officinalis L.), che
è una papaveracea, il cui nome deriverebbe dall’odore di fumo o di fuliggine che l’erba sfregata emana. È una
pianta medicinale usata in erboristeria
come regolatrice del flusso biliare.
E poi le labiate di cui la salvia dei
prati (Salvia pratensis L.) è la più
diffusa: fiorisce per tutta l’estate fino
ai primi freddi. Presenta stranissimi
fiori ad elmo di colore blu intenso;
gli stami si comportano come piccole
leve. Quando un insetto, in cerca di
nettare, penetra nel fiore, aziona una
specie di pedale, che gli ribalta sul
dorso il braccio dello stame che porta
l'antera: il polline si rovescia allora sul
dorso dell'insetto. Questo meccanismo si può facilmente verificare introducendo nel fiore un filo d'erba.
La Salvia dei prati, nota anche come
salvia comune, è parente della salvia
officinale (S. officinalis L.), quella che
si usa in gastronomia ed erboristeria, di cui ha le stesse proprietà, però
meno marcate: antisettiche, antimicotiche, antinfiammatorie, ipoglicemiche, toniche e digestive.
Grande poi è la varietà di ranuncolacee a fiori gialli tra cui segnaliamo
il diffusissimo ranuncolo montano
(Ranuncolus montanus Willd.), che
predilige i prati concimati e fiorisce
da giugno ad agosto; alle volte è così
numeroso da mostrare gialle pennellate sui prati verdi.
Spostiamoci leggermente più alto
nelle praterie più soleggiate e vicine al
lago in Bassa Valle: se siamo fortunati
potremo incontrare la peonia spontanea (Paeonia officinalis L.) i cui fiori
rosso intenso sembrano carta velina
accartocciata e poi distesa. È specie
rara e protetta ed è capostipite delle
peonie coltivate che adornano i nostri
giardini.
Nello stesso ambiente potremo
anche incontrare il giglio rosso o di
San Giovanni (Lilium bulbiferum L.):
è uno dei fiori più vistosi che sono
di colore arancione intenso, minutamente punteggiati di nero: è anch’esso
rigorosamente protetto.
Sui muri in pietra a secco esposti a
sud incontriamo l’Alyssum saxatile L.,
o alisso delle rocce, di un giallo solare, che appartiene alle crucifere, cioè
piante i cui fiori hanno quattro petali disposti a croce: la pianta è anche
coltivata. Talvolta non si comprende
se ci si trova di fronte ad un esemplare
spontaneo o sfuggito alla coltivazione.
Con l’inoltrarsi della stagione ai
bordi dei prati fioriscono varie specie
di gerani che non hanno niente a che
vedere con quelli coltivati che provengono dal Sud Africa. Citiamo uno
per tutti il geranio selvatico (Geranium sylvaticum L.) che predilige gli
ambienti ricchi di humus, come prati
concimati, vicinanza di stalle, radure di boschi. Può assumere dimensioni rilevanti a forma di cespuglio.
Lo troviamo dal piano fino a oltre
m 2000.
Ma il fiore più anomalo per un
ambiente montano come la Valtellina è il fico d’india selvatico (Opuntia vulgaris Mill.) comune intorno
a Sondrio, ove si è naturalizzato,
proveniente dal Sud America, sulle
rocce intrusive di origine vulcanica
che sostengono le balze delle vigne.
Percorrendo la statale di fondovalle fermatevi sotto il campanile della
Sassella e guardate in alto a nord. Sicuramente vedrete i prorompenti fiori
gialli dell’opunzia. Il sole bruciante
di queste balze ci porta alla mente
ambienti di Sicilia; non è un caso che
in queste zone prosperano vigne che
per l’appunto producono un vino
forte di tipo siciliano come lo Sfurzat.
Flora estiva di Valtellina
103
Rubriche
POESIE
&
PERSONAGGI
Inspira luce, espira nebbia
Inspira quiete, espira rumore …
Leggera come un pensiero
impalpabile prende il volo
senza tremore, né desìo
messaggera inconsapevole della divina
perfezione.
Solo colore, solo armonia ed
estrema finezza
in questo silenzioso battito d’ali …
Danza farfalla,
verso i fiori più belli, verso l’insostenibile pace de sensi
di un’anima senza condanna …
Potrebbe essere accaduto il 23 agosto 1878 durante una delle gite in compagnia di due celebri alpinisti lombardi...
Gabriella Morgillo
“Eccola, è andata dietro quei cespugli: proseguite, io vi raggiungo”
Antonio Baroni annuisce e sorride, conosce quegli occhi pieni di stupore e curiosità, si tratta sicuramente di una specie rara e il suo
compagno d’escursione non si lascerà scappare tale occasione.
Antonio Curò infatti riappare poco dopo, sul volto da cinquantenne il sorriso di un bambino, tra le dita una busta dal contenuto prezioso...
Si sa con certezza, invece, che Antonio Curò (1828-1906), amico della leggendaria Guida Alpina Antonio Baroni (1833-1912), aveva due
grandi passioni: la montagna e le farfalle. Fondatore della Sezione del CAI di Bergamo, nonché primo presidente effettivo, è stato un importante pioniere ed esploratore delle vette orobiche. Costruì tre rifugi alpini: la Cà Brunona (posta lungo la risalita verso il Pizzo Redorta), il
Rifugio Curò al Barbellino (attualmente Rifugio Antonio Curò, a lui dedicato e posto lungo le risalite verso il Pizzo del Diavolo della Malgina,
le Cime di Caronella, il Monte Torena, il Pizzo Strinato) e il Rifugio Laghi Gemelli, posto lungo le risalite per il Pizzo del Becco, il Pizzo Farno, il
Monte Corte e il Pizzo dell'Orto.
Appassionato studioso di Lepidotteri, in tutta la sua vita collezionò 12000 farfalle provenienti da tutto il mondo e ascrivibili a 4827 specie diverse.
Scrisse un’opera ancora oggi di grande valore naturalistico: Saggio di un catalogo dei lepidotteri d'Italia, pubblicato tra il 1875 e il 1889.
Un elegante Macaone (Papilio machaon),
della famiglia delle Papilionidae, visita i
profumati fiori di un Clerodendrum (23
agosto 2008, foto Alessandra Morgillo).
104
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Alessandra Morgillo
Estate 2009
Primavera
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Flora estiva di Valtellina
105
Rubriche
Fauna
1) e 3) Aquila reale in Val Minor e a Prato Valentino (7 dicembre
2008). Le sue dimensioni (può raggiungere i 2 m di apertura alare)
e l’aspetto elegante giustificano il titolo di regina dei rapaci. Più
probabile incontrarla ad alta quota, mentre è alla ricerca di marmotte,
le sue prede preferite (foto Franco Benetti e Alessandra Morgillo).
2) Poiana ad Andalo Valtellino. Rapace tra i più facili da osservare,
anche in Bassa Valle. Caccia in territori aperti e si nutre soprattutto
di piccoli mammiferi, ma vi sono state segnalazioni di poiane dedite
alla caccia di piccioni anche nei centri urbani (30 dicembre 2008, foto
Alessandra Morgillo).
4) Gheppio. Questo piccolo falco è molto comune e lo si può vedere
cacciare sui prati, anche ad alta quota, mentre pratica lo “spirito
santo”: orientato contro vento, battendo le ali e allargando la coda,
riesce a rimanere sospeso a mezz’aria, e, una volta individuati topi
o grossi insetti, scende gradualmente fino al tuffo finale per la loro
cattura (foto Franco Benetti).
Acrobazie ad
alta quota
Alessandra Morgillo
N
elle calde giornate estive, volgendo
lo sguardo verso l’alto, talvolta si
vedono sagome scure che disegnano
cerchi concentrici sempre più in alto
nel cielo. Il nostro occhio fatica a
distinguerne con chiarezza le fattezze,
mentre il colore, in contrasto col
chiarore del cielo, ci appare nero e le
dimensioni risultano falsate dalla stima
approssimativa della distanza.
l contrario,
a loro non sfugge alcun dettaglio e
scrutano minuziosamente tutto ciò che
accade all’ombra delle loro ali.
I rapaci sono uccelli altamente
specializzati, il loro nome deriva dal
verbo latino rapio cioè catturare,
ghermire, poiché sono dotati di peculiari
caratteristiche che ne fanno “macchine
da preda” eccezionali.
A
106
LE MONTAGNE DIVERTENTI
OCCHIO DI FALCO
Nessun essere vivente può eguagliare gli uccelli rapaci
quanto a buona vista, neppure l’uomo. Nel regno animale gli uccelli sono quelli che hanno la vista più sviluppata.
Possiedono occhi molto grandi e possono distinguere bene
forme e colori. La conformazione dell’occhio consente
una capacità di messa a fuoco rapidissima e un’acutezza
visiva fuori dal comune rispetto ai mammiferi. La parte
visibile dell’occhio, ovvero la cornea esposta, è piccola
rispetto all’enorme globo oculare, che in un’aquila può
essere grande quanto quella dell’uomo e rimane quasi
immobile nell’orbita; al problema della fissità del loro
sguardo viene ovviato con la possibilità di ruotare notevolmente il capo attorno al collo.
Nella maggior parte dei casi gli occhi sono posti ai
lati della testa. In questo modo l’animale ha una visione
molto ampia e può tenere sotto controllo più direzioni
contemporaneamente per avvertire in tempo la presenza
di un predatore o di altri pericoli.
Gli uccelli predatori, invece, possiedono occhi vicini che guardano in avanti. In questo modo la visione è
binoculare, cioè si somma l’azione visiva dei due occhi, e
ciò permette una migliore valutazione delle distanze degli
oggetti o la profondità di campo. Se proviamo a chiuEstate 2009
derci un occhio con una mano e cerchiamo di toccare
un oggetto posto sullo spigolo di un tavolo sbagliamo
facilmente la distanza e tastiamo a vuoto. Per i rapaci è
indispensabile individuare correttamente la posizione
della preda per piombarle addosso con precisione e afferrarla con i forti artigli. Valutare bene le distanze è, quindi,
prioritario per questi animali, anche se ciò comporta la
riduzione del loro campo visivo e possono guardare solo
in una direzione.
La vista dei rapaci diurni è anche detta telescopica (dal
greco: tele = distanza e scopèo = guardare), cioè possono
vedere bene da lontano, grazie alla maggiore convessità
dei loro occhi. Tale visione corrisponde circa a quattro
volte quella dell’uomo e possono individuare un topolino
dall’altezza di 200 m, cosa che noi non potremmo fare
senza l’ausilio di un binocolo.
GALLEGGIARE NELL'ARIA
P
er avere successo nella predazione non basta una
vista eccezionale. I rapaci diurni sono degli abilissimi volatori. La loro tecnica consiste nello sfruttare nel
modo più efficiente possibile le correnti termiche dell’aria,
consumando minime quantità di energia.
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Quando il sole riscalda la superficie terrestre si innescano correnti ascensionali, ovvero l’aria a contatto con
la superficie, aumentando la sua temperatura, diviene
leggera e inizia a salire a spirale verso l’alto. I rapaci allora entrano ad ali spiegate in queste correnti e si lasciano
trasportare in alto, compiendo ampi cerchi nel cielo. Da
lassù si lasciano scivolare in volo planato verso un’altra
corrente veleggiando, con le loro larghe ali, senza compiere troppo sforzo da una termica all’altra.
Una volta individuata la preda dall’alto, che a seconda
della specie cacciatrice può essere un roditore, un rettile o
un altro uccello, i rapaci sfoderano le loro tecniche predatorie che possono mostrare raffinate varianti.
I falchi pellegrini (Falco peregrinus), per esempio, sono
degli agili manovratori che si possono paragonare in un
certo senso agli aerei da caccia: possiedono ali lunghe e
strette, che, ripiegate in posizione aerodinamica, consentono loro di effettuare picchiate da record: possono
raggiungere i 300 km orari e riprendere quota o sterzare
con strabiliante facilità.
Lo stile di caccia di questi uccelli è infallibile e unico
nel suo genere, per questo motivo vengono impiegati dai
falconieri in alcuni aeroporti, addestrati a mettere in fuga
gli altri uccelli, loro possibili prede, per evitare gli impatti
con gli aerei in fase di decollo e atterraggio.
I gheppi (Falco tinnunculus), invece, sono soliti realizzare un tipo di volo detto a “spirito santo”. Si tratta di
una tecnica che consente ai piccoli falchi di rimanere
fermi sospesi in aria grazie a un sofisticato meccanismo
di battito d’ali che disegna un 8 in senso orizzontale. In
questo modo, immobili nel cielo, possono osservare più
facilmente la preda da catturare.
Le poiane (Buteo buteo) sono in grado, addirittura,
di stare sospese a mezz’aria senza battere le ali, o quasi,
semplicemente bilanciandosi contro vento ad ali aperte.
Quest’altra tecnica speciale si chiama volo stazionario.
Riescono a volare, invece, con estrema agilità tra gli
alberi gli sparvieri (Accipiter nisus), esperti di voli di inseguimento radenti al suolo e gli astori (Accipiter gentilis),
che praticano fulminei agguati, entrambi non sempre
facili da osservare poiché vivono nel fitto dei boschi.
Da ammirare il volo resistente del nibbio bruno
(Milvus migrans) e del più raro falco pecchiaiolo (Pernis
apivorus), che affrontano ogni anno per due volte una
migrazione di migliaia di chilometri per raggiungere
l’Africa dove trascorrono l’inverno.
Infine le aquile (Aquila chrysaetos), il cui nome deriva da acumen, termine latino che si riferisce all’acutezza
della loro vista, ma forse anche all’acume mentale, sono
capaci di coordinare un’azione di caccia in squadra, infatti, mentre una spinge la preda in una direzione, l’altra è
pronta a tenderle una trappola nella direzione opposta.
Uno spettacolo di forza e precisione in assoluta armonia
con l’eleganza di un volo maestoso.
È una fortuna poter osservare nei nostri territori una
tale varietà di animali che occupano il vertice della catena alimentare e che con la loro presenza ci fanno riflettere sul valore della protezione e della conservazione del
paesaggio.
Acrobazie ad alta quota
107
L’ARTE DELLA FOTOGRAFIA
A caccia di ghiacciai
Diffuso fino ai primi del 1800 sulle montagne dell’Europa meridionale e centrale, questo maestoso avvoltoio
dall’apertura alare di quasi 3 m, ha finito con l’estinguersi in buona parte dei suoi territori. Sulla catena alpina
l’estinzione è datata inizio del ventesimo secolo.
Il motivo principale della sua scomparsa fu lo sterminio sconsiderato da parte dei cacciatori di trofei a cui veniva pagato profumatamente ogni esemplare abbattuto
perché considerato nemico dei pastori. Il vecchio nome
“avvoltoio degli agnelli” è testimone della cattiva fama di
cui godeva il gipeto. Si pensava che prelevasse gli agnelli dal gregge, ma probabilmente si tratta solo di leggende: un gipeto adulto, infatti, riesce a sollevare al massimo
un peso di 2 kg e si nutre quasi esclusivamente di ossa di
animali già morti. Come per gli altri avvoltoi, questa specializzazione, se da un lato gli attribuisce un ruolo fondamentale nell’ecosistema, ovvero eliminare le carogne e la
possibile diffusione di malattie, dall’altro lo rende particolarmente vulnerabile: l’abbandono dell’allevamento di
bovini e ovini avvenuta negli ultimi 100 anni in gran parte
dell’Europa, infatti, ha portato come conseguenza la sua
rarefazione.
Oggi, grazie a un progetto di reintroduzione che ha visto coinvolta anche l’Italia, la specie sta ricreando una
piccola, ma stabile popolazione che sulle Alpi svizzere,
italiane e austriache conta circa 150 individui. La prima
nidificazione italiana di questo uccello reintrodotto è avvenuta nel 1998 nei pressi di Bormio e da allora i gipeti
stanno riconquistando i loro antichi territori e sono diventati il simbolo della protezione delle regioni di montagna.
108
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Falco pecchiaiolo: trascorre l’inverno in Africa, ma raggiunge
l’Europa per nidificare. Il suo cibo preferito sono insetti come vespe,
bombi e calabroni. È raro da vedere ed è presente solo in Bassa Valle
(foto Alessandra Morgillo).
Sopra: Gipeto (Gypaetus barbatus) al Parco dello Stelvio (foto Franco
Benetti).
Estate 2009
Enorme seracco illuminato dalle luci dell'alba (13 agosto 2005, foto Roberto Moiola).
Roberto Moiola
LE MONTAGNE DIVERTENTI
L'arte della fotografia
109
L’ARTE
Rubriche DELLA FOTOGRAFIA
L
a fotografia non è solo un ritratto di bellezza, luci
e colori, ma anche un mezzo di studio e testimonianza dei cambiamenti in atto. E' sul valore scientifico
delle immagini che ci soffermeremo in questo numero.
N
egli ultimi decenni è diventato coscienza comune
il fatto che i ghiacciai della Terra sono a rischio di
estinzione.
Il ritiro dei ghiacciai è ben osservabile non solo nelle regioni estreme e fredde, ma anche nei piccoli apparati, soprattutto delle Alpi: saranno loro i protagonisti di questa rubrica.
Non è questa la sede per parlare delle cause di questo cambiamento climatico in atto, vogliamo piuttosto impegnarci a
testimoniare con la fotografia, anche per i più scettici, che
il problema è reale e persino più grave dei moniti allarmisti.
Anche i più esigui ghiacciai sono talvolta così grandi ai
nostri occhi da indurci a pensare che sia difficile, se non
impossibile, una loro scomparsa. Eppure l’apparenza
inganna, come testimoniano le prove fotografiche. Certo,
ci vorrebbero alcuni anni per documentare l'effettiva riduzione del fronte di un ghiacciaio, possiamo però valutare
la velocità di scioglimento durante una singola stagione,
cogliendo i dettagli del paesaggio in bilico tra lo stato solido e quello liquido.
Quest’estate andremo quindi a caccia di ghiacciai, una sfida sul campo che vedrà premiato lo scat-
Particolare di crepacci del Ghiacciaio dell’Aletsch, Canton Vallese (13 settembre 2006, foto R. Moiola).
Sotto: la grotta di ghiaccio formatasi nell’estate 2007 in Val Cantone di Dosdè, Alta Valtellina (foto R. Moiola).
110
LE MONTAGNE DIVERTENTI
to più bello e originale mandato a [email protected] .
Ricordiamo anche ai più arditi che il ghiacciaio non è
sempre un luogo calmo e immobile come può apparire:
l’energia che vi si cela all’interno facendone un luogo misterioso può renderlo allo stesso tempo ostile e pericoloso. Può
essere sufficiente riprenderlo da distanza per catturarne dei
dettagli, o dal fronte per documentarne il disgelo.
E
cco alcuni consigli per questo tipo di soggetto:
- trattandosi principalmente di soggetti con pochi colori
possiamo realizzare i nostri scatti sia in giornate di sole che
in situazioni di tempo coperto;
- per mantenere tale il bianco della neve potrebbe essere
possibile dover aumentare l’esposizione. L’esposimetro
infatti, attratto da una forte luminosità, tenderà a scurire
(sottoesporre) l’immagine. Cerchiamo di controbilanciare
(+1 o +2 EV);
- usiamo la massima qualità delle immagini perché sarà
indispensabile registrare tutti i dettagli delle superfici
ghiacciate;
- non avventuriamoci in imprese ardite, piuttosto cominciamo da luoghi come i sentieri glaciologici, adatti a molti,
(al Fellaria o al Ventina in Valmalenco ne troviamo due
ottimi esempi).
Formazione di un laghetto epiglaciale al Ghiacciaio di Fellaria Orientale, Valmalenco (24 agosto 2005, foto R. Moiola).
Estate 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
L'arte della fotografia
111
L’ARTE
Rubriche DELLA FOTOGRAFIA
LE FOTO DEI LETTORI
Le foto d'epoca
Due sezioni dedicate ai nostri lettori: una che premia il fotografo più bravo, l’altra
che mostra la fantasia di chi ha portato “Le Montagne Divertenti” a spasso per il mondo
e i personaggi che con simpatia seguono il nostro progetto.
Per ogni numero de “Le Montagne Divertenti” sceglieremo e premieremo la foto migliore
fra quelle che ci avrete inviato a [email protected] e la pubblicheremo con una recensione
dettagliata e la scheda di presentazione del fotografo.
Lo scatto vincitore fra quelli giunti negli ultimi 3 mesi è quello di Matteo Tarabini
realizzato nei meandri ghiacciati del Morteratsch.
Alpinisti fra le imponenti seraccate del Ghiacciaio del Morteratsch (1875 circa, anonimo - tratto dalla collezione Fineschi).
U
na concreta testimonianza del ritiro dei ghiacciai è
offerta dalle foto d'epoca. Gli scatti in bianco e nero di
fine '800 e inizio '900 testimoniano che, agli albori dell'alpinismo, lo sviluppo glaciale nelle nostre regioni era notevole.
Queste foto affascinano non solo per i soggetti immortalati, ma anche per la superba qualità delle stesse. L'inquadratura e la modalità di ripresa all'epoca costituivano solo
l'impronta del negativo, ma il positivo, lo stadio ultimo
dell'atto fotografico, veniva alla luce dopo un complesso
e importantissimo lavoro in camera oscura, oggi oramai
dimenticato per l'avvento del diacolor prima e del digitale
poi. Lo sviluppo dell'immagine era un processo artigianale
tanto creativo quanto la ripresa stessa e si basava su svariate
tecniche: dal carbone al platino, dall'albumina al bromuro
d'argento. Il confine tra fotografia e pittura era assai esile
e proprio nell'ultima fase il fotografo esplicitava la propria
personalità interpretando il negativo.
Tra le pubblicazioni in materia, segnaliamo il volume di
recente pubblicazione “La montagna rivelata", da cui sono
tratte le immagini di questa pagina. “La montagna rivelata"
raccoglie oltre 100 fotografie che abbracciano un periodo
compreso tra il 1800 e il 1960. Le opere, realizzate da vari
fotografi-alpinisti, sono tratte dalla collezione Fineschi e
scelte tra le più suggestive per soggetti (illustrano la conquista delle cime europee, asiatiche, indiane e africane), tecniche e completezza della documentazione.
112
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Giochi di forme e colori nella grotta della lingua del ghiacciaio del Morteratsch.
RECENSIONE DI SYSA
Dall'Olio Chiara , La Montagna rivelata. Fotografie di grandi
viaggiatori tra '800 e '900, Skira, Milano 2009.
Estate 2009
La meravigliosa massa di ghiaccio di questa foto ci contagia con la sua
imponenza, una forza che spesso si cela all’interno di un ghiacciaio e
che Matteo ha saputo cogliere.
Le sue forme, quasi perfette come in una scultura ad arte, ci catapultano nel fotogramma invitandoci con la mente a trovare una via di
uscita, che poi incontriamo in quella luce laggiù in basso che filtra
dall’esterno. Uno scatto equilibrato nei colori, che via via si spengono
verso di noi, come a lasciarci solo immaginare il buio che sta alle nostre
spalle, senza farcelo vedere. Rimangono allora i misteri della natura,
come conoscere tutte le forze in gioco nello scacchiere dei cambiamenti
climatici che mettono a dura prova il futuro dei ghiacciai temperati.
LE MONTAGNE DIVERTENTI
IL FOTOGRAFO
Mi chiamo Matteo Tarabini di
Rasura (SO), 31 anni, appassionato di foto e giri in montagna. Dopo
due stagioni in cui ho inanellato
ascensioni di tutto rispetto nelle
condizioni meteo più proibitive
(2006 e 2007), ora mi dedico ad
avventure più "tranquille", lontane da precipizi e bufere .
Sono felice che questo mio scatto sia stato premiato e spero di
avere ancora occasione di farne
nuovi altri da inviarvi per i prossimi numeri.
Le foto dei lettori
113
ASSO C
SP
Rubriche
RI
A
OI NOST
I
OR
Xxxxxxxxxxxxxxxx
LETT
1
4
5
6
7
1) Le Montagne Divertenti in Islanda per il tour scialpinistico 2009 (4 aprile 2009 , foto Filippo Valaperta).
2) Al Time Square Garden a New York (23 febbraio 2009, foto R. Moiola).
3) Simone e Davide si rilassano con LMD al tempietto di San Fedelino (25 marzo 2009, foto Concolino Fabrizia).
4) Gita nei boschi di Olmo nella Valle dei Giusti con vista su Chiavenna completamente avvolta dalla nebbia
(1 gennaio 2009, foto Bosisio Maddalena).
5) Le Montagne Divertenti al nuovo Rifugio Lagazzuolo in Valmalenco (febbraio 2009, foto Felice Battaglia).
6) Ornella e Angelo Cerasa a Londra (24 febbraio 2009).
2
114
LE MONTAGNE DIVERTENTI
3
Estate 2009
7) Anche la Statua della Libertà non ha voluto perdersi l'ultimo numero de Le Montagne Divertenti
(foto e montaggio R. Moiola).
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Le
L Efoto
FOTOdei
DEI lettori
LETTORI
115
I
OR
LETT
1
RI
A
OI NOST
ASSO C
SP
Rubriche
2
4
3
6
5
1) e 2) Cristina Bonacina (9°), Barbara Flematti, Silvia Ciaponi e Michele Rigamonti (27°) a New York dopo aver
partecipato il 3 febbraio 2009 alla 32a run up sull'Empire State Building. Il valtellinese Marco De Gasperi in questa
edizione ha staccato un eccellente 2° posto alle spalle del tedesco Thomas Dold.
4) Mario Gianola sull'Etna (22 febbraio 2009).
3) I ragazzi della Sportiva Lanzada col presidente Fabiano Nana in Piazza Duomo in occasione della Stramilano 2009
(5 aprile 2009, foto Manuele Presazzi).
6) Spedizione mista malenco-svedese al Monte Toubkal (m 4170), la cima più alta dell'Atlante in Marocco
(17 febbraio 2009, foto Luciano Bruseghini).
Le Montagne
Divertenti
116
LE MONTAGNE
DIVERTENTI
LE MONTAGNE DIVERTENTI
116
EstateSezione
2009
5) Elisa Brambilla fotografa i figli al Rifugio Brasca in Val Codera (12 aprile 2009).
Le
L Efoto
FOTOdei
DEI lettori
LETTORI
117
Rubriche
Vincitori e
Giochi
ch'el sucéss?
vinti
šch'éi dupéra da fa?
ma 'n gh'el?
La soluzione era:
catena da legare le mucche, martello per martellare la ranza
e ferro per martellare la ranza, asse per metterci su il panetto del burro
1) Perregrini Gina di Talamona (00.00.02)
2) Proh Davide di Mossini (00.00.03)
3) Manuele Presazzi di Caspoggio (00.00.05)
4) Spini Daniele e Mariana Elisabetta di Sacco (00.00.07)
5) Ferrari Giovanni di Morbegno (00.00.11)
6) Salvetti Guglielmo (00.00.29)
7) Maurizio Valesini (00.00.57)
8) Elisa Borzi (00.01.15)
9) Stefano Rezzoli (00.01.26)
10) Grossi Samule (00.01.48)
e, a seguire (primi 19) Stefano Losa - coadiuvato dai
nonni Francesco Mazza e
Fistolera Dora, Elefantzeus, Renato Della Vedova, Fanchetti Marco, Michele Giordani, Michele Romeri, Alan, Mirco
Pedroli, Parolo Antonietta, e molti molti altri.
La foto in oggetto, tratta dall'Archivio Corti, presentava
una didascalia errata che aveva tratto in inganno pure me.
In molti hanno indovinato la soluzione, cioè la foto era
stata scattata dal DOSSO DEL SOLE, situato circa sopra
l'abitato di Piateda (SO), e non da Carnale come indicato
nell'archivio.
I vincitori sono perciò Davide Proh e Grossi Samuele.
HAI
SEMPRE ASCOLTATO I RACCONTI
DEL NONNO?
ALCUNI
FATTI HANNO SCONVOLTO
I NOSTRI PAESI ED IL PAESAGGIO
STESSO.
DIMMI
A CHE AVVENIMENTO/LUOGO
SI RIFERISCE QUESTA IMMAGINE
TRATTA DALL'ARCHIVIO DEL
VALTELLINESE.
CAI
I 2 PIÙ VELOCI DALLE ORE 00:00 DEL
25 GIUGNO 2009 VINCERANNO
L’ESCLUSIVA MAGLIETTA
DE “LE MONTAGNE DIVERTENTI”,
FINO AL 5° CLASSIFICATO RICEVERANNO
UNA COPIA DI TERRA GLACIALIS.
MANDA
LE TUE RISPOSTE A:
[email protected]
OGGETTO DELLA MAIL:
“CH'EL SUCÉSS?”
RICORDATI DI SPECIFICARE
INDIRIZZO E LA TUA TAGLIA
IL TUO
(S, M, L, XL).
ma 'n gh'el?
SE
SEI UN ATTENTO OSSERVATORE,
INDOVINA DA DOVE È STATA SCATTATA
(FOTO ARCHIVIO
NINO GIANOLA).
I 2 PIÙ VELOCI DALLE ORE 00:00 DEL
25 GIUGNO 2009 VINCERANNO
L’ESCLUSIVA MAGLIETTA DE
“LE MONTAGNE DIVERTENTI”, FINO
AL 5° CLASSIFICATO RICEVERANNO UNA
COPIA DI TERRA GLACIALIS.
QUESTA FOTOGRAFIA
MANDA
LE TUE RISPOSTE A
[email protected]
OGGETTO DELLA MAIL:
RICORDATI
“MA 'N
GH'EL”.
DI SPECIFICARE IL TUO INDIRIZZO
E LA TUA TAGLIA
(S, M, L, XL).
ATTENZIONE: LE RISPOSTE DATE IN ANTICIPO VERRANNO RITENUTE NULLE.
118
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Estate 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Giochi
119
Rubriche
LE RICETTE
DELLA NONNA
Sciroppo di
lamponi o
more
Irene (Trattoria Malenca)
INGREDIENTI:
more o lamponi e zucchero.
Mettete i frutti in una bacinella di vetro e copriteli
completamente con del vino rosso. Corpite il tutto con un
panno e lasciate riposate per 24 ore.
Passate frutti e vino al setaccio.
Utilizzate quindi una tela tipo garza per spremere i frutti,
recuperando così la polpa privata dei semini.
Mettete il tutto in una pentola capiente ed aggiungete
800 grammi di zucchero per ogni litro di succo ottenuto.
Portate ad ebollizione per tre volte (ogni volta che il
liquido fa la schiuma e s'alza di livello spegnete il fuoco e
lasciate raffreddare).
Avrete così pronto un buonissimo sciroppo, ottimo se
diluito in acqua o versato sul gelato alla panna!
120
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Lamponi (foto Enrico Minotti, www.fotografiaemontagna.it).
Estate 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Ricette
121
"In montagna si sale per le vie della fatica.
Per i sentieri di pietra o speroni di ghiaccio.
Ma solo per l’ultima via,
quella che a sera regala l’azzurro ancora intenso del cielo oltre la vetta,
puoi sentire un’antica litania nel silenzio immoto del tempo…
E’ un richiamo di pastori nella valle che già imbruna.
E’ il giorno che muore."
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LE MONTAGNE DIVERTENTI
Guido Serenthà
Estate 2009
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Ricette
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n. 9 - Estate 2009 - Le montagne divertenti