Trimestrale di Valtellina e Valchiavenna T RIMESTRALE DI A LPINISMO E Trimestrale di Valtellina e Valchiavenna C ULTURA A LPINA T RIMESTRALE N°9 N °9 - ESTATE 2009 - EURO 3 I Laghi Azzurri e il Pizzo della Casa Sasso Manduino Il grande scoglio Passo dopo passo Divertenti Le valli del torrente Lesina Ape L'insetto di cui l'uomo non può fare a meno Valchiavenna I Laghi Azzurri e il Pizzo della Casa Sasso Manduino Il grande scoglio Passo dopo passo Avventure di roccia, uomini e acqua Cormor Cormor La montagna nascosta della Valmalenco La montagna nascosta della Valmalenco Fiori e farfalle Fiori e farfalle Poesie e personaggi che escono dal bozzolo Poesie e personaggi che escono dal bozzolo Rapaci e erbe Rapaci e erbe Fauna e flora delle nostre valli Fauna e flora delle nostre valli Le tre valli Le tre valli Val di Campo, Val Viola e Val Grosina in mountain bike Val di Campo, Val Viola e Val Grosina in mountain bike Cavalcorto Cavalcorto Il siluro della Valmasino Il siluro della Valmasino Valle del Livrio Valle del Livrio Trekking sopra Albosaggia Trekking sopra Albosaggia il tetto dell'Alta Valtellina VALCHIAVENNA - BASSA VALTELLINA - VALMASINO - ALPI RETICHE E OROBIE - VALMALENCO - ALTA VALTELLINA 1 LE MONTAGNE DIVERTENTI Divertenti L'insetto di cui l'uomo non può fare a meno Cima del Duca Tredici Cime C ULTURA A LPINA Ape Avventure di roccia, uomini e acqua Ricette, poesie, giochi, leggende... E Le valli del torrente Lesina Cima del Duca Inoltre A LPINISMO N°9 N °9 - ESTATE 2009 - EURO 3 POSTE ITALIANE SPA - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE 70% DCB-SONDRIO POSTE ITALIANE SPA - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE 70% DCB-SONDRIO Valchiavenna DI Inoltre Ricette, poesie, giochi, leggende... Tredici Cime il tetto dell'Alta Valtellina VALCHIAVENNA - BASSA VALTELLINA - VALMASINO - ALPI RETICHE E OROBIE - VALMALENCO - ALTA VALTELLINA 1 LE MONTAGNE DIVERTENTI Editoriale Beno "Un amico, il compagno di cordata in mille avventure, uno di noi, non può essere vero!" Mi sveglio al mattino e spero sia stato solo un brutto sogno, di quelli che si fanno quando si mangia pesante, ma se scorro l'album delle foto vedo che dal 7 maggio Fausto non c'è più, un incidente sulle montagne di Lecco se l'è portato via e con lui anche parte della nostra spensieratezza. Poche settimane fa, chiaccherando dopo l'ennesima ascensione, ci dicevamo: "In soli tre mesi abbiamo provato più emozioni di quante un uomo provi nella sua intera vita. Questa è la felicità, non abbiamo bisogno d'altro!" E Fausto se n'è andato felice, col sorriso sul volto, senza neppure il tempo di dirci addio o di rendersi conto di quel che accadeva mentre il sole lasciava il cielo alla luna. Avevamo appena finito di correggere assieme il suo bel racconto sui monti Tatry, le vette slovacche che amava tanto. Ho deciso di pubblicarlo, come avrei fatto se lui fosse ancora qui con noi. 2 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI Fausto, Mario e Andrea in vetta alla Cima di Rosso (m 3366) durante la traversata da Ardenno (m 250) a Maloja (m 1800) del 14 e 15 marzo 2009 (foto Beno). In copertina: il lago di Livigno visto dal Monte Parè (15 luglio 2007, foto Roberto Moiola). Ultima di copertina: Pulsatilla alpina in alta Val Caronno. Sullo sfondo le cime di Caronno, Scais e Brunone (21 giugno 2008, foto Fabio Pusterla). 1 Legenda Spiegazione delle schede tecniche Una breve e divertente spiegazione dei gradi di difficoltà (in “scala Beno”) che vengono assegnati agli itinerari nelle schede sintetiche, così che possiate scegliere quelli a voi più congeniali. I gradi si riferiscono al periodo in cui è stato compiuto l’itinerario, sono quindi influenzati dalle condizioni del tracciato. Non sono contemplate le difficoltà estreme, che esulano dalle finalità di questa rivista e dalle nostre stesse capacità. In DETTAGLI, invece, viene espressa la difficoltà in caso di condizioni ideali del tracciato secondo la scala alpinistica convenzionale. Le schede sintetiche sono anche corredate da indicatori grafici che vi permetteranno, a colpo d’occhio, di valutare l’itinerario. BELLEZZA PERICOLOSITÀ Quasi meglio il centro commerciale Assolutamente sicuro Carino Basta stare un po’ attenti Ne vale veramente la pena Richiesta discreta tecnica alpinistica Assolutamente fantastico Pericoloso (è necessaria una guida) FATICA ORE DI PERCORRENZA Ottimo anche per anziani non autosufficienti o addirittura sprovveduti turisti di città. Ideale per la camporella, anche per le coppiette meno esperte. Si comincia a dover stare attenti alle storte, alle cavallette carnivore e nello zaino è meglio mettere qualche provvista e qualche vestito. DISLIVELLO IN SALITA Una passeggiata! meno di 5 ore meno di 800 metri Nulla di preoccupante dalle 5 alle 10 ore dagli 800 ai 1500 metri Impegnativo dalle 10 alle 15 ore dai 1500 ai 2500 metri Un massacro oltre le 15 ore oltre i 2500 metri Le scarpe da ginnastica cominciano ad essere sconsigliate (sono d’obbligo abito da sera e mocassini). E’ meglio stare attenti a dove si mettono i piedi. Vertigini vietate! SU RADIO TSN FM 101.100/97.700 BENO E GIORDI ORE 7:45 - 8:45 - 11:15 - 12:45 - 18:45 WWW.RADIOTSN.IT Itinerario abbastanza lungo, ma senza particolari difficoltà alpinistiche. E’ richiesta una buona conoscenza dell’ambiente alpino, discreta capacità di arrampicare e muoversi su ghiacciaio o terreni friabili come la pasta sfoglia. E’ consigliabile una guida. OGNI MARTEDÌ CON Montagna divertente, itinerario molto lungo e ricco di insidie di varia specie. Sconsigliato a tutti gli appassionati di montagna non esperti e non dopati. E’ una valida alternativa al suicidio. Solo per persone con un’ottima preparazione fisicoatletica e buona esperienza alpinistica. Servono sprezzo del pericolo e, soprattutto, barbe lunghe e incolte. Le Montagne Divertenti Trimestrale sull’ambiente alpino di Valtellina e Valchiavenna Registrazione Tribunale di Sondrio n° 369 Editore Beno Direttore Responsabile Maurizio Torri Redazione Alessandra Morgillo Enrico Benedetti (Beno) Roberto Moiola Valentina Messa Responsabile della fotografia Roberto Moiola Realizzazione grafica Beno Revisore di bozze Mario Pagni Hanno collaborato a questo numero: Antonio Boscacci, Ambrogio Riva, Carlo Pelliciari, Carmen Mitta, Dario Leusciatti, Enrico Minotti, Fabio Meraldi, Fabio Pusterla, Francesco Avanti, Eliana e Nemo Canetta, Fausto Pedrolini, Franco Benetti, Franco Cirillo, Gabriella Morgillo, Gianfranco Lalli, Gianni De Stefani, Giordano Gusmeroli, Giorgio Orsucci, Giorgio Palmieri, Gioia Zenoni, Irene - Trattoria Malenca, Jacopo Merizzi, Josef Ruffoni, Luca Bono, Luca Colzani, Luca Maspes, Luciano Benedetti, Luciano Bruseghini, Manuela Vanotti, Marcello Di Clemente, Marco Fransci, Marino Amonini, Matteo Gianatti, Matteo Monti, Mario Sertori, Michele Comi, Pascal van Duin, Renzo Benedetti, Riccardo Ghislanzoni, Ricky Scotti, Roberto Ganassa, Rossano Libera, Sandro Sandonini, Silvio Gaggi, Viola Doddi . Si ringraziano inoltre Franco e Marina Monteforte, Anna Giannoni, Franco Pinchetti, Ezio Gianatti, Nicola Giana, Mario Mafezzini, Matteo Tarabini, Fabrizia Vido, Mirko Rosina, Johnny Mitraglia, Serena Piganzoli, Eva Fattarelli, TeleUnica, CAI Valtellinese, i famigliari degli operai che lavorarono al Pirola, la Tipografia Bonazzi, tutti gli edicolanti che ci aiutano nel promuovere la rivista e tutti gli sponsor che credono in noi e in questo progetto. Redazione Via S.Francesco, 33 – 23020 Montagna (SO) Abbonamenti per l’Italia annuale (4 numeri della rivista): costo €20 euro da versarsi sul c/c 3057/50 Banca Popolare di Sondrio Sede di Sondrio IT17 I056 9611 0000 0000 3057 X50 intestato a: Beno di Benedetti Enrico Via S.Francesco 33/C 23020 Montagna SO NELLA CAUSALE specificare: nome, cognome, indirizzo, “abbonamento a Le Montagne Divertenti” comunicare il versamento con email a: [email protected] oppure telefonicamente (0342 380151 - basta lasciare i dati in segreteria) Arretrati [email protected] - E 5,00 PDF scaricabili dal sito della rivista Prossimo numero 21 settembre 2009 Pubblicità e distribuzione [email protected] tel. 0342 380151 Stampa Bonazzi Grafica Via Francia, 1 23100 Sondrio Disegni Carlo Pelliciari / Dicle Cartografia Antonio Boscacci, Beno, Matteo Gianatti e Matteo Monti Per ricevere la nostra newsletter fate richiesta a: [email protected] Contatti e informazioni [email protected] www.lemontagnedivertenti.com La Voce dei Capannoni Abbiamo deciso di dare all'allegato satirico La Voce dei Capannoni una cadenza semestrale per riuscire a preparare il lavoro al meglio. La prossima uscita perciò sarà allegata al numero Autunno 2009 de Le Montagne Divertenti. Continuate a mandarci i vostri testi su [email protected]. 4 - LE LE M MONTAGNE ONTAGNE DIVERTENTI DIVERTENTI Sommario Speciali d'Estate Itinerari d’alpinismo Itinerari d’escursionismo Rubriche 71 95 6 Le Tredici Cime: il tetto dell'Alta Valle 8 Una cavalcata a oltre 3300 metri di quota 12 La Grande Guerra sulle Tredici Cime 15 La crisi del gigante bianco 45 49 Mountain bike: l'anelllo delle tre valli Sasso Manduino: il grande scoglio Itinerari di salita 19 76 Api e uomini 99 Artigiani: il restauratore 101 Flora della Valtellina: piante erbacee estive 53 Cavalcorto: siluro di Valmasino 82 87 Cormor: la montagna nascosta Trekking in valle del Livrio Il rifugio Caprari e il lago Publino 104 Poesie e Personaggi: parole e uomini di farfalle 106 Fauna della Valtellina: acrobazie ad alta quota Il mio Kima Montagne in libertà La luce dei Tatry Passo dopo passo: le valli del torrente Lesina 21 La vita sociale delle api 22 I nemici dell'ape 23 I prodotti dell'alveare 29 37 40 Valtellinesi nel mondo: 109 L'arte della fotografia: foto glaciali 58 67 Valmalenco: la due giorni del Duca La storia del lago Pirola 88 Sul tetto della valle Spluga: laghi Azzurri e Cima della Casa 1 13 Le foto dei lettori 1 18 Giochi 120 Le ricette della nonna Le Tredici Cime Beno con Fabio Meraldi (Guida Alpina, tel. 328.7654564) Sci alpinisti verso il Cevedale sullo sfondo il Gran Zebru' e il Rifugio Casati (25 aprile 2009, foto Roberto Ganassa). Tramonto sul Pizzo Tresero dal Rifugio Pizzini (01 maggio 2009, foto Roberto Ganassa ). Panoramica sulle Tredici Cime. Da sinistra: Punta Taviela, Cima di Pejo, Monte Giumella, Punta San Matteo, Cima Dosegù, Cima Linke, Punta Pedranzini e Pizzo Tresero (7 agosto 2008, foto Riccardo Scotti). Il laghetto delle Rosole con il ghiacciaio dei Forni, visti dal rifugio Branca (10 agosto 2008, foto Roberto Moiola). 6 LE MONTAGNE DIVERTENTI Escursionista procede in vista del Gran Zebrù lungo il sentiero della Val Cedec (3 luglio 2005, foto Roberto Moiola). Estate 2009 Il Monte Tresero e la Punta San Matteo durante la salita alla Cima Sobretta (12 ottobre 2003, foto Roberto Moiola). LE MONTAGNE DIVERTENTI Prime luci dell’alba sulla parete Nord della Punta San Matteo (12 agosto 2007, foto Roberto Moiola). Le Tredici Cime 7 La traversata delle Tredici Cime i j Il bacino del Ghiacciaio del Forno dal Colle Vioz (a, m 3502) al Pizzo Tresero visto dal Monte Confinale: Cima di Pejo (b, m 3549), Rocca Santa Caterina (c, m 3529), Colle Cadini (d, m 3406), Punta Cadini (e, m 3521), Colle degli Orsi (f, m 3304), Monte Giumella (g, m 3594), Punta San Matteo (h, m 3678), Cima Dosegù (i, m 3560), Punta Pedranzini (o, m 3599) e Monte Tresero (r, m 3594) [ndr. didascalia originale]. Foto anni '50 archivio CAI Valtellinese. L BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ 8 PARTENZA: Albergo dei Forni (m 2172). ITINERARIO AUTOMOBILISTICO: Da Bormio si prende la SS 300 e si raggiunge Santa Caterina Valfurva (m 1734, 12.6 km), da dove si segue la stretta strada asfaltata che, inoltrandosi nella Valle dei Forni, conduce al parcheggio sottostante l’Albergo dei Forni (m 2172). Dal 2005 il traffico privato è regolamentato (transito estivo consentito solo mattino e sera). ITINERARIO SINTETICO: Albergo dei Forni (m 2172), Rifugio Pizzini (m 2700), Rifugio Casati (m 3254), Monte Cevedale (m 3769), Monte Rosole (m 3536), Palon de la Mare (m 3685), Monte Vioz (m 3645), Punta Taviela (m 3612), Cima di Pejo (m 3549), Rocca Santa Caterina (m 3529), Punta Cadini (m 3524), Monte Giumella (m 3594), Punta San Matteo (m 3678), Cima Dosegù (m 3560), Punta Pedranzini (m 3599), Pizzo Tresero (3594), Bivacco Seveso (m 3420), Rifugio Berni (m 2541). LE MONTAGNE DIVERTENTI TEMPO DI PERCORRENZA PREVISTO: dalle 12 alle 17 ore a seconda delle condizioni. Si consiglia di spezzare la traversata in 2/3 giorni. ATTREZZATURA RICHIESTA: corda, piccozza, ramponi, imbraco, fettucce, utile 1 chiodo da ghiaccio. DIFFICOLTÀ: 5- su 6. DISLIVELLO IN SALITA: 3200 metri complessivi. DETTAGLI: passaggi su roccia fino al III+ e pendii glaciali fino a 45°. Possibili punti d'appoggio: Rifugio Pizzini (m 2700), Rifugio Casati (m 3254 - nei periodi di chiusura: Bivacco Guasti), Rifugio Branca (m 2493) nella Valle dei Forni, Bivacco Colombo al Monte Rosole (m 3435), Rifugio Mantova al Vioz (m 3535), Bivacco Meneghello al Colle degli Orsi (m 3304), Bivacco Seveso al Tresero (m 3420). Estate 2009 a traversata delle Tredici Cime è un viaggio che si snoda a cavallo delle creste spartiacque che collegano il Cevedale con il Tresero, separando Lombardia, Trentino e Alto Adige. Il tour offre una panoramica unica su uno dei maggiori complessi glaciali d’Italia: dalla Vedretta del Cevedale alla Vedretta de la Mare, dalla Vedretta Rossa al gigantesco Ghiacciaio dei Forni, di cui le Tredici Cime sono la corona. Dal punto di vista litologico il gruppo Ortles-Cevedale è complessivamente uniforme. Le rocce appartengono alle cosiddette austridi1 e presentano diversi gradi di metamorfismo. 1 - Rocce appartenenti al vecchio continente paleoafricano sovraccorse al vecchio continente paleoeuropeo. LE MONTAGNE DIVERTENTI Assieme all’Adamello, anche il gruppo Ortles–Cevedale è stato teatro della terribile Guerra Bianca, la guerra della neve e dei ghiacciai che vide un’occupazione delle alte quote senza precedenti. Una battaglia contro un nemico spesso invisibile, contro condizioni ambientali proibitive e temperature che in inverno scendevano regolarmente fino a –20°; una lotta per la sopravvivenza dove il numero maggiore di vittime non lo fecero i proiettili, ma freddo, fame e valanghe! La traversata delle Tredici Cime, lunga circa 17 km, si mantiene sempre al di sopra dei m 3300, e, pur non presentando difficoltà elevate, data la lunghezza e il tipo di terreno su cui si sviluppa, richiede un buon allenamento e dime- stichezza con l’alta montagna. E' un tragitto che non ha stagione ed è adatto sia all'alpinismo che allo scialpinismo. Sebbene la prima cordata effettuò l’intera traversata in un solo giorno (1893, poco più di venti ore), è consigliabile suddividere in 2/3 giornate la performance. I tratti più impegnativi sono la discesa della cresta SO del Vioz e la successiva risalita della cresta NE della Punta Taviela, il superamento della rocciosa Rocca Santa Caterina (IV- attrezzato con catene) e infine la discesa dal San Matteo, specialmente se c'è ghiaccio vivo. Abbiamo deciso di presentarvi la traversata nel verso Cevedale-Tresero, così da affrontare i tratti più delicati in salita. Le Tredici Cime 9 Speciali d'estate Alta Valle D all’Albergo dei Forni (m 2172), si percorre la lunga sterrata della Val Cedec che porta al Rifugio Pizzini (m 2700, ore 1:20). Già da subito la vista è sorprendente: a SE il Monte Pasquale con l’omonima vedretta che scende fino quasi al fondo valle, mentre a S dominano il Pizzo Tresero e la Cima San Giacomo. Dalla Pizzini ci si dirige a NE e, oltre la conca detritica, si serpeggia sul ripido sentiero fino allo spartiacque tra la Val Cedec e l'amplissimo altipiano della Vedretta del Cevedale, dove si trova il Rifugio Casati (m 3254, ore 1:40). Dalla Casati si guadagna quota gradualmente sul ghiacciaio (SE percorso in genere frequentatissimo e ben battuto), mentre alle spalle si delinea una visuale fantastica sul Gran Zebrù. Poco sotto la cresta E della montagna il ghiacciaio (attenzione ad eventuali crepacci) assume pendenze importanti: si piega a dx (SO) e si raggiunge il Monte Cevedale (m 3769, ore 2). Dal Monte Cevedale si scende il facile pendio nevoso che conduce al Passo di Rosole (m 3502), da cui in breve si raggiunge per facili roccette la punta settentrionale del Monte Rosole (m 3536). Mantenendosi dapprima in cresta e traversando poi sul versante orientale della montagna per "marciume misto neve" (II) si tocca la punta meridionale (m 3529) e in breve si arriva al Bivacco Colombo (m 3485), quindi per ghiacciaio si è al Col de la Mare (m 3442, ore 1:10). Si seguita verso S, salendo gli ampi pendii nevosi che precedono l'elegante cresta nevosa che porta in vetta al Palon de la Mare (m 3685, ore 0:40). Scesi per le facili rocce della cresta SE si arriva nei pressi di un torrione roccioso, che si aggira sulla dx, imboccando un canalino che sfocia nel ghiacciaio sottostante. Per la vedretta si guadagna il Passo della Vedretta Rossa (m 3405, ore 0:30). Oltre gli ampi pendii glaciali della larga cresta NNO del Vioz, si vincono le roccette sommitali della montagna (m 3645, ore 0:40). La discesa al Colle Vioz avviene per le rocce della cresta SO fino a un ripi- 10 LE MONTAGNE DIVERTENTI Scialpinista arriva al Rifugio Pizzini in Val Cedec (1 maggio 2009, foto Roberto Ganassa). Scialpinisti sulla Zufallspitze (m 3757) (25 aprile 2009, foto Roberto Ganassa). Scialpinista procede tra i seracchi nel gruppo delle 13 Cime (10 maggio 2009, foto R. Ganassa). Estate 2009 do salto, in corrispondenza del quale ci si porta sotto il filo e, con un traverso, si taglia il ripido versante roccioso che dà sul Ghiacciaio dei Forni (II). Si torna in cresta dove le difficoltà diminuiscono. Il Colle di Vioz (m 3300, ore 1) appare dopo un traverso nevoso esposto sul fianco meridionale. Eccoci al tratto più impegnativo di tutta la traversata: la risalita all'anticima della Punta Taviela, un'arrampicata su terreno misto con via non sempre chiara. Dal colle si sale la ripida cresta per tracce e roccette (I). A circa metà del pendio, inizia un’arrampicata su rocce cattive (II, un passo attrezzato di IV- su uno strapiombino) fino alla sommità dello sperone. Superata l’anticima, si prosegue facilmente per roccette sino alla Punta Taviela (m 3612, ore 1). Scesa la larga cresta NE si risale sino alla quota 3576, oltre la quale si scende alla modesta Cima di Pejo (m 3549, ore 0:20). Una cresta di misto si abbassa all’intaglio di quota m 3470 e continua rocciosa e sottile fino alla Rocca Santa Caterina (m 3529, ore 0:20). Dalla cima si perde quota verso S di qualche metro e si incontra la catena e gli scalini artificiali che agevolano la discesa dal risalto sommitale (5 m). Si perviene ad un intaglio dal quale ci si abbassa per un diedro sulla faccia O (II, 10 m). Grazie una serie di piccole cengie si traversa sul versante O per una sessantina di metri, per riguadagnare la cresta, ora più facile e pianeggiante. Toccata la quota 3501, si raggiunge il Colle Cadini (m 3409, ore 0:30). La Punta Cadini (m 3524, ore 0:20) vien vinta per la nevosa cresta NE e le facili roccette dell’edificio sommitale su cui, tra l'altro, si snoda un incredibile camminamento della Grande Guerra con caratteristica scaletta in legno. Ci si dirige ora per roccette e tratti ghiacciati verso il Colle degli Orsi (m 3304, ore 0:30), il punto più basso toccato dalla traversata. In breve si è al Bivacco Meneghello, da dove parte la cresta E della Punta San Matteo. Il filo nevoso si trasforma in un largo dosso privo di difficoltà che porta all’ampia sella alla base del pendio SE della montagna. Facili rocce portano al poco significativo Monte Giumella (m 3594, ore 0:45), quindi, tornati LE MONTAGNE DIVERTENTI Prime luci dell’alba sul Monte Tresero e la Punta Pedranzini (12 agosto 2007, foto R. Moiola). Fioritura di eriofori nei pressi del laghetto al Passo del Gavia (9 agosto 2008, foto R. Moiola). alla sella si risale il ripido pendio nevoso fino all’elegante Punta San Matteo (m 3678, ore 1). Si segue la cresta NO del San Matteo che si trasforma presto in una rampa nevosa (45°) che si adagia su un ampio pianoro. Aggirato un torrione sulla sx grazie a un canalino spesso ghiacciato (45°, esposto), si traversa fino al colletto che sta alla base della dorsale. Il percorso diviene aereo e spettacolare: dopo aver toccato la Cima Dosegù (m 3560) e la Punta Pedranzini (m 3599), porta alla bella piramide del Pizzo Tresero (m 3594, ore 1). La traversata è finita e bisogna scendere al Rifugio Berni. Ciò avviene per la cresta SO (neve e rocce). Appena possibile, ci si porta sulla Vedretta di Punta Pedranzini (sx, E) e la si percorre senza grandi difficoltà a ridosso della cresta stessa. Lasciata sulla dx la depressione nevoso-detritica alla base della cresta SO*, si raggiunge la lingua del ghiacciaio, dove inizia il sentiero ben segnalato che porta per il Vallone del Dosegù al Ponte dell’Amicizia. Attraversato il Rio Dosegù, il sentiero esce dal vallone e, passando per le praterie della Valle del Gavia, conduce in circa venti minuti di cammino al Rifugio Berni (m 2541, ore 2:30). In circa 3 ore a piedi o 20 minuti d'auto si può chiudere l'anello scendendo per la Valle del Gavia fino a Santa Caterina e risalendo ai Forni.2 2 - Ai Forni si può anche tornare più brevemente per il ghiacciaio NE (itinerario scialpinistico), oppure, valicata la depressione della cresta SO*, portandosi per la Vedretta di Tresero alla cresta Segnale (Capanna Bernasconi) e, per il sentiero segnalato n. 25, al Piano delle Marmotte quindi giù ai Forni. Le Tredici Cime 11 La Grande Guerra sulle Tredici Cime Eliana e Nemo Canetta S iamo all’Albergo dei Forni, uno dei luoghi magici delle Alpi italiane, raggiunto a piedi o a dorso di mulo già alla fine del XIX secolo dai touristes, accompagnati dalle loro signore in gonna, crinoline e parasole. La gita “avventurosa” per toccare il vicinissimo Ghiacciaio dei Forni si imponeva, ma a quei tempi ormai tutte le vette che contornano l’immenso bacino dei Forni e di Cedè erano già state conquistate. Era la belle époque negli alberghi di Santa Caterina la sera si danzava. Nonostante pesanti nubi si approssimassero all’orizzonte, specie sui Balcani, nessuno pensava che di lì a qualche anno anche quelle montagne avrebbero udito il cannone. R imontando oggi da quello stesso Albergo dei Forni verso il rifugio del CAI Milano Pizzini-Frattola, possiamo scoprire un ben più interessante itinerario se, invece di seguire la polverosa stradella in estate zeppa di escursionisti, ciclisti e fuoristrada, imbocchiamo più a monte la vecchia mulattiera. Questa, salendo a ripide svolte, tocca le Baite dei Forni e poi prosegue a mezza costa, in vista del poderoso costone indicato sulla IGM come Monte dei Forni. Qui, alla quota 2547, è indicato il toponimo La Caserma. Attorno, ruderi di baracche e, nei pressi di un blocco vicinissimo al tracciato pedestre, una vera e propria postazione di mitragliatrici. Ma guardando meglio, specie verso monte, ci si accorge che la montagna è stata completamente lavorata dall’uomo. Per la precisione dai nostri Alpini che qui stettero, dall’inverno del ’15 fino agli ultimi dell’ottobre del ’18, a presidiare l’alta Valfurva: stiamo letteralmente superando la prima linea italiana. Se salissimo verso nord lungo quel costone del Monte dei Forni, troveremmo sempre maggiori resti, compresi brani di reticolati che ancor oggi testimoniano quegli anni terribili. M a non è questo lo scopo per cui vi invitiamo a salire quassù. La caserma è uno dei belvedere migliori per osservare lo spettacolare anfiteatro che, iniziando dalla piramide del Pizzo Tresero, termina con la mole massiccia e possente del Cevedale. Da queste vette, da questi colli scende la colata dei Forni, un tempo ritenuta il maggior ghiacciaio d’Italia 12 LE MONTAGNE DIVERTENTI (oggi non sappiamo, in epoca di ritiro). Ebbene anche queste vette furono teatro di quella Grande Guerra che, dallo Stelvio fino al Piave e poi al Golfo di Trieste, vide per l’ultima volta affrontarsi italiani e austriaci. Anzi, una delle vette più importanti di questa costiera, il San Matteo, con i suoi m 3678 vide quella che fu considerata la battaglia più alta della storia. In realtà nel Caucaso si combatté durante il secondo conflitto mondiale addirittura sulle pendici dell’Elbrus, ma non c’è dubbio che durante la Grande Guerra, e comunque nelle Alpi, quello del San Matteo fu un limite mai superato. E vale la pena di aggiungere che sul Gran Zebrù, la spettacolare cima che pur non facendone parte chiude idealmente il cerchio di rocce di ghiaccio attorno all’Albergo dei Forni, vi fu lo scontro di pattuglie più elevato del primo conflitto mondiale: il sergente Nino dell’Andrino di Chiesa Valmalenco, comandante del piccolo posto sull’anticima, respinse -praticamente da solo- l’attacco austriaco che voleva sloggiare i nostri Alpini da quell’importante punto di osservazione su Solda e sulle retrovie del fronte glaciale. Uno scontro ad oltre m 3800! E cco: i punti di osservazione. Questo era essenzialmente lo scopo dell’occupazione di tutte queste cime, come del resto delle loro consorelle del massiccio dell’Ortles. La guerra sulle Retiche, dallo Stelvio fino all’Adamello meridionale, fu, salvo poche eccezioni (San Matteo o la conquista dei ghiacciai dell’Adamello), una guerra di pattuglie, di tiri di artiglieria contro le retrovie, le colonne di salmerie, le teleferiche. Ma per tirare, l’artiglieria aveva (ed ha ancor oggi) bisogno di osservatori. Oggi si possono utilizzare le infinite tecnologie offerte dal mondo moderno: elicotteri e radar, aeroplani e satelliti. Ma a quei tempi era l’uomo che, appollaiato su una cima o nascosto sul campanile di una chiesa, dirigeva il tiro dei pezzi. E’ quindi priva di fondamento la teoria che queste conquiste fossero fatte per uno stupido prestigio e quasi per una gara tra i generali degli opposti eserciti. Soprattutto in montagna, disponendo di truppe addestrate e validissime ma assai scarse di nume- ro, un’idea del genere sarebbe stata, oltre che stupida, suicida. Può essere che in qualche caso motivi, che allora venivano definiti “d’onore”, abbiano influenzato chi stendeva i piani d’attacco o di difesa ma, soprattutto osservando i documenti dell’epoca, le lettere tra i comandi, gli ordini, le relazioni, si ha l’impressione che da parte italiana (ma immaginiamo che gli austriaci la pensassero allo stesso modo) l’unico scopo fosse di sigillare l’Alta Valtellina. Una cima, un costone, un colle in più o in meno non contavano nulla in quest’ottica; salvo che offrissero buoni posti di osservazione o che col loro tiro, disturbassero gli osservatori del nemico. T uttavia l’occupazione di quella che al tempo era la cresta di confine tra Italia e Tirolo avvenne per gradi d’ambo le parti. Sia il Regio Esercito che quello Imperiale, in zona avevano truppe e mezzi assai scarsi e questi erano concentrati nell’area dello Stelvio, ove la strada costituiva per tutti un motivo di preoccupazione: era l’unica possibilità di transito (relativamente) facile dal confine svizzero sino al Tonale. In conclusione il Comando del Sottosettore Valtellina, che aveva sede a Bormio, decise in tutto e per tutto di presidiare con una sola compagnìa (benché assai robusta con oltre 300 uomini), tutta la Valfurva. In realtà solo le pattuglie percorrevano la Val Zebrù, la compagnìa era concentrata a Santa Caterina ove il villaggio con i suoi alberghi costituiva un ottimo centro logistico, distaccando presidi ai Forni e al Passo di Gavia, ove ci si appoggiava all’omonimo rifugio trasformato in un fortino, come del resto l’Albergo dei Forni. Da quest’ultimo un ulteriore presidio era spinto in avanti alla Capanna Cedeh, oggi Pizzini-Frattola. Se pensiamo alla vastità dei luoghi, pur trascurando l’importante Val Zebrù, ci rendiamo subito conto di come quei 300 Alpini avessero un compito veramente difficile e come sarebbe stato impossibile difendere la Valfurva se gli austriaci avessero attaccato in forze dal Passo del Cevedale, da loro già occupato addirittura prima della dichiarazione di guerra. In quelle condizioni per i nostri, risalire il Ghiacciaio dei Forni per andare a occupare qualche vetta, era fuori questione. Non così per gli austriaci, che da Pejo avevano un’ot- Estate 2009 Un particolare di mappa Austro-ungarica della zona Ghiacciaio dei Forni - Tredici Cime (pendici del Palon de la Mare). Si tratta di un raro reperto, risalente ai primi mesi del 1918, con indicate le posizioni austriache (in blu) e quelle presunte italiane (in rosso). Nota curiosa: tutti segnavano (noi sino agli anni '80 del XX secolo) il nemico in rosso, l'amico in blu, per cui sulle "nostre" carte noi eravamo quelli blu, gli austriaci i "rossi" (Kriegsarchiv Vienna). tima mulattiera che saliva al Rifugio Vioz, dal quale la vetta omonima era a poche decine di minuti di cammino. Il Monte Vioz sarà così uno dei primissimi punti in quota occupato dagli austriaci, ottimo osservatorio su tutta la conca dei Forni. Proprio sfruttando queste loro posizioni dominanti, di fatto acquisite prima del conflitto, gli austriaci cercarono - se non di occupare - certo di mettere in gravi difficoltà i nostri piccoli presidi. Scendendo dal Passo del Cevedale attaccarono la Capanna Cedeh, che pur fortificata era di fatto completamente isolata e con un esiguo presidio. Le relazioni ufficiali non sono molto chiare, ma parrebbe che i nostri si siano lasciati prendere un po’ dal panico ritirandosi precipitosamente. Gli austriaci ne approfittarono per distrug- LE MONTAGNE DIVERTENTI gere completamente il rifugio, senza però cercare di occupare l’area; infatti se ne ritornarono alle ben più solide posizioni del Passo del Cevedale. Il secondo attacco prese le mosse proprio dall’alto bacino dei Forni: disceso il ghiacciaio, superati i posti di guardia, grazie alla notte, gli austriaci investirono l’albergo. Ma qui gli Alpini del presidio tennero i nervi saldi e aprirono un fuoco infernale che mise in fuga l’avversario. Rimase sul terreno un sergente cortinese cui fu trovato in tasca un biglietto che inneggia alla guerra dell’Austria contro l’Italia traditrice. Da allora la situazione finì per cristallizzarsi qui come un po’ ovunque lungo il fronte alpino; solo qua e là gli scontri ebbero realmente qualche importanza. Naturalmente d’ambo le parti si iniziò quella graduale conquista delle vette che aveva più difficoltà alpinistiche e logistiche che militari. Gli austriaci, facilitati dai buoni sentieri che della valle di Pejo salivano verso le Tredici Cime e dal Rifugio del Lago Gelato, vicinissimo al Passo del Cevedale, riuscirono in pratica ad occupare tutte le Tredici Cime, escluso il nucleo Tresero-Pedranzini-Dosegù, ove furono preceduti anche per facilità d’accesso (dal sottostante Passo Gavia) dagli italiani. Italiani che, proprio allo scopo di evitare nuove sorprese, all’Albergo dei Forni costruirono ridotte e trincee, sia sulle pendici del Monte San Giacomo, che lungo la parte inferiore della cresta sud ovest del Monte Pasquale. Ancor oggi, sopra il Rifugio Branca (al tempo non esistente) si trova una complessa e La Grande Guerra e le Tredici Cime 13 Speciale ghiacciai La crisi del gigante bianco Riccardo Scotti Questo scatto proviene dal fondo fotografico dell' Heeresgeschichtliches Museum di Vienna, il vasto ed assai ben tenuto Museo Militare che, nell'antica capitale asburgica, ricorda i fasti militari dell'Impero. Immortala due soldati sciatori, in tuta bianca (per i tempi una vera novità) dopo un pattugliamento nell'area del Cevedale . pressoché intatta fortificazione, che meriterebbe di essere restaurata, sia per la facilità d’accesso, che per la completezza delle opere. Questa era la situazione alla fine del tremendo 1917: l’anno di Caporetto che, giusto osservarlo, parrebbe non aver avuto alcuna influenza sul fronte retico. Nel 1918 vi fu la battaglia del San Matteo. Questa vetta costituiva un importantissimo punto di osservazione austriaco verso il Passo Gavia, fondamentale collegamento tra Valtellina e alta Valcamonica (basti pensare che la strada fu realizzata proprio in quegli anni). Senza entrare in dettagli, basti qui osservare che l’attacco italiano fu un capolavoro di tecnica, preparazione e determinazione e si concluse con perdite assai scarse. Ma qui l’Aquila Imperiale ebbe un ultimo scatto d’impeto: si era ormai a settembre del ‘18 e nessuno pensava che il conflitto avrebbe potuto avere una conclusione diversa da quella che fu. E il comando dell’esercito imperial regio non volle abbandonare quella cima forse per quell’orgoglio cui abbiamo all’inizio accennato. I nostri non avevano fatto in tempo a fortificarsi adeguatamente, probabilmente vi fu qualche errore nel non occupare il vicino Monte Giumella da cui partì il contrattacco asburgico. Sta di fatto che, dopo un bombardamento spaventoso e mercé un attacco non meno determinato di quello eseguito del nostro esercito, la cima fu ripresa dagli austriaci. In quella battaglia sparì letteralmente inghiottito dai ghiacci quel Capitano Berni volontario di guerra che, giunto sulle nostre montagne come inesperto ufficiale, era divenuto uno dei migliori comandanti di alta montagna. Eliana e Nemo Canetta, Storia della Grande Guerra in Valtellina e Valchiavenna – Volume I – Le premesse: dal 1815 al 1915, Edizioni Libreria Militare, Sondrio 2008. E' un piacevole ed interessante scritto che spiega, con linguaggio semplice, le premesse alla Grande Guerra in Valtellina. Un volume che non può mancare a nessun appassionato di storia militare, ma neppure ai valtellinesi che vogliono conoscere meglio la loro storia. 14 LE MONTAGNE DIVERTENTI O ggi sulle Tredici Cime stanno riaffiorando i ricordi di quegli anni di ferro che ci paiono lontani e sfumati sebbene recenti avvenimenti, pensiamo ai Balcani, ce li abbiano bruscamente rammentati. Chi percorre quelle vette, chi sale ai colli che videro salire e discendere in tute bianche gli sciatori austriaci e italiani, si ricordi di loro. Certamente oggi siamo tutti affratellati nell’Europa Unita, ma non per questo è giusto dimenticare chi, in estate e in inverno, nella buona e nella cattiva sorte, fece sino in fondo il proprio dovere. Estate 2009 Il Ghiacciaio dei Forni in una immagine dell’agosto 1907 (foto archivio Corti - CAI Valtellinese) e la medesima inquadratura dell’agosto 2007 (foto Vittorio Sciaresa). Evidentissimo l’arretramento superiore ai 2 km lineari della fronte e la perdita volumetrica complessiva. I l Ghiacciaio dei Forni, il più grande ghiacciaio vallivo italiano, occupa la testata della valle omonima, tributaria del torrente Frodolfo. Costituito da tre grandi bacini di alimentazione che generano altrettante colate che confluiscono a quota 2700, dove si sviluppa la lingua valliva, si presenta come un ampio emiciclo chiuso ad est, sud e sud-ovest LE MONTAGNE DIVERTENTI da una lunga cresta sulla quale, come sentinelle messe a sorvegliare la poderosa massa di ghiaccio, si innalzano le famose “Tredici Cime”. Classificato come ghiacciaio vallivo a bacini composti, con i suoi 12.4 km² di superficie è secondo soltanto al Ghiacciaio dell’Adamello (17.8 km²), (SGL, 2001). Già descritto da Antonio Stoppani nel “Bel Paese” del 1876, grazie alla sua accessibilità, facilitata da oltre un secolo dalla presenza del Rifugio dei Forni, è uno dei ghiacciai più studiati d’Italia. L’altimetria delle vette di contorno, certamente non elevatissima in relazione all’ampiezza del ghiacciaio, e il recente netto aumento delle temperature, non controbilanciato da un parallelo incremento delle precipitazioni nevo- Ghiacciaio dei Forni 15 Speciali ghiacciai La linea di equilibrio di un ghiacciaio la lingua valliva è fase di rapida disgregazione e sono frequenti i fenomeni di collasso dovuti all’acqua di fusione che scorre fra ghiaccio e roccia (30 giugno 2006, foto Riccardo Scotti). se, ha provocato, a partire dalla seconda metà degli anni ottanta del XX secolo, una fase di crisi acuta dell’apparato. Alcune buone annate di accumulo sul plateau orientale (fra il Palon de la Mare, il Monte Vioz e la Cima di Pejo), non sono state sufficienti a contenere il disastroso arretramento della fronte (- 521.5 m dal 1987 al 2008). Ancor più eclatanti degli arretramenti frontali sono le perdite di spessore dell’intero ghiacciaio registrate negli ultimi anni. Sulla parte terminale della lingua valliva dopo il 2003 il ghiacciaio si abbassa ogni estate di 4-6 m. Ancora più preoccupanti sono i dati che provengono dal plateau orientale dove la palina ablatometrica posta a m 3340 nei pressi del passo della Vedretta Rossa gestita da G. Cola per conto del Servizio Glaciologico Lombardo, ha fatto registrare una perdita di spessore di 1.4 m nel 2006, 1.5 m nel 2007 e 1.6 m nel 2008. Considerando perdite di spessore così consistenti ad una quota che, fino a qualche anno fa, poteva essere considerata di “equilibrio”* per il ghiacciaio, nel 2008 sono state posizionate due paline ancora più in alto a m 3450 e m 3622 nei pressi del Monte Vioz. I primi risultati dell’esta- 16 LE MONTAGNE DIVERTENTI La probabile linea di equilibrio sul Ghiacciaio dei Forni al 30 agosto 2008 (foto G. Cola), nel settore occidentale del ghiacciaio (in primo piano) la ELA raggiunge una quota più bassa rispetto al bacino orientale grazie agli accumuli valanghivi della bastionata che va dal Tresero al San Matteo. La linea indicata è piuttosto indicativa poiché gli accumuli di neve residua sono molto irregolari ed anche al di sopra di tale quota sono presenti importanti zone con ghiaccio vivo a vista e conseguente bilancio negativo. Se non ci si lascia ingannare dalla prospettiva appare evidente come sia ben maggiore la porzione di ghiacciaio posta al di sotto della ELA con un conseguente bilancio negativo del ghiacciaio nel suo complesso. I l concetto di linea di equilibrio o ELA (equilibrium line altitude) di un ghiacciaio è fondamentale per comprendere il suo stato di salute: la ELA può essere considerata come la linea immaginaria che unisce tutti i punti del ghiacciaio che hanno fatto registrare un bilancio di massa stagionale di equilibrio (cioè dove non c’è accumulo di neve vecchia ma neppure si è fuso ghiaccio). Semplificando, la ELA può essere riconosciuta al termine della stagione di ablazione (fine agosto - inizio settembre), come il “confine” fra la porzione del ghiacciaio ancora coperta da neve vecchia (quella che ha superato l’estate, non le effimere nevicate estive), ed il resto del ghiacciaio costituito da “ghiaccio vivo” (generalmente posto alle quote inferiori). Se la ELA tende anno dopo anno a salire di quota il ghiacciaio avrà bilanci di massa via via più negativi (come sta accadendo negli ultimi anni) con conseguente arretramento della fronte; se invece la ELA tende ad abbassarsi aumenta la percentuale di superficie con bilancio positivo sul totale del ghiacciaio, il bilancio di massa diviene quindi progressivamente meno negativo, per passare a positivo quando la percentuale di copertura nevosa del ghiacciaio raggiunge il 60-70% (Kaser & Osmaston, 2002). Se questa situazione perdura per più anni si potrà osservare una avanzata della fronte. te scorsa ci hanno mostrato, anche in questo settore, delle perdite di spessore che ci testimoniano il gravissimo stato di crisi di questo maestoso complesso glaciale. Le buone nevicate di questa stagione di accumulo ci danno qualche speranza per una stagione 2009 migliore rispetto ai disastri glaciologici degli anni passati ma, come sempre, molto dipenderà dalle temperature estive. Estate 2009 BIBLIOGRAFIA Kaser, G., & Osmaston, H., (2002): Tropical Glaciers. International Hydrological Series. UNESCO- IHP / Cambridge University Press; SGL, (2001): Catasto dei Ghiacciai lombardi, inedito; SGL, (2009): Campagna glaciologica 2008, settore Alpi Centrali italiane; a cura di Scotti, R., Toffaletti, A., Pagliardi, P., Bonardi, L., Terra Glacialis XII. SGL. 21-50. LE MONTAGNE DIVERTENTI Servizio Glaciologico Lombardo Terra glaciālis 12 Terra glacialis è una pubblicazione annuale che nasce nel 1998, oggi al dodicesimo volume, edita dal Servizio Glaciologico Lombardo. 64 pagine interamente a colori, numerose immagini storiche e recenti dei nostri ghiacciai, resoconto dei rilievi nivologici, meteorologici e glaciologici del 2007/2008 raccontati con rigore scientifico, ma sicuramente comprensibili a tutti. Ghiacciaio dei Forni 17 Speciali d'estate Api e uomini Josef Ruffoni “Con la scomparsa dell’ape, all’essere umano non rimarranno più di quattro anni di vita” affermava Albert Einstein, non senza una certa lungimiranza. 18 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI Speciale apicoltura 19 Speciali d'estate Le api e l'uomo Ispezione degli alveari (13 aprile 2008, foto Fabio Pusterla). A pag. 19: l'alveare (foto Roberto Moiola). L’ inquietante profezia del grande fisico è in realtà frutto di un lucido ragionamento e di un’attenta osservazione dei cambiamenti cui il mondo è continuamente soggetto: niente api - niente impollinazione, niente piante, né animali erbivori. E quindi, niente più uomini. Loro malgrado, le api sono anche strumento di misura per capire l’entità di questi cambiamenti che loro stesse subiscono. Facciamo un esempio. Tra il 2006 e il 2007, l’inverno è stato particolarmente mite e con scarse precipitazioni: una stagione anomala rispetto alla media delle temperature invernali. Le famiglie di api, diffuse su tutto il territorio italiano, hanno svernato perciò nell’arco di poche settimane modificando radicalmente il loro ciclo naturale. Per rendere l’idea, è un po’ come se l’orso bruno andasse in letargo per una settimana invece che per i soliti tre mesi. Se il freddo perdura normalmente, i parassiti delle api si riproducono più lentamente e non attaccano le colonie. Il caldo anomalo di quell’inverno, invece, ha permesso 20 LE MONTAGNE DIVERTENTI uno sviluppo accelerato della Varroa (acaro parassita delle api) che in breve tempo ha decimato intere famiglie di api, portando alla scomparsa, in alcuni casi, del 70/80% della colonia. I danni registrati sono stati enormi ed alcuni apicoltori hanno dovuto chiudere. Inutile dire, poi, che quando anche l’uomo ci si mette, le conseguenze possono essere anche peggiori. La Varroa Destructor, infatti, non era presente sul territorio dove vive l’ape mellifera europea. Si suppone che l’acaro sia stato in qualche modo “importato” in seguito all’introduzione dell’ape mellifera in oriente, più precisamente nelle Filippine. Qui il contatto con la locale Apis cerana, che da tempo conviveva con il parassita, ha in pochi anni scaturito un processo d’ infestazione quasi globale. Le attività umane agricolo – industriali restano certamente le insidie più grandi per la vita delle api. In questi ultimi anni, soprattutto negli Stati Uniti, è sempre più diffusa la sindrome dello spopolamento degli alveari (SSA, in inglese CCD, ovvero La vita sociale delle api L'ape regina con le sue damigelle (13 aprile 2008, foto Fabio Pusterla). Colony Collapse Disorder). Le conseguenze di questo fenomeno riportano ingenti danni economici sia nel comparto apicolo che in quello agricolo. La strage statunitense, ad esempio, ha ridotto del 80% la produzione di mandorle di cui gli USA sono sempre stati grandi produttori. Complici colpevoli di questa sindrome sono i pesticidi, soprattutto i neonicotinoidi, e l’introduzione di colture OGM. I neonicotinoidi, con cui ad esempio viene trattato su necessità il mais perchè aggressivo nei confronti degli insetti nocivi alle colture, causa danni di tipo neurale alle api che non riescono più a tornare alle proprie arnie. Per quanto riguarda gli OGM, invece, le modificazioni genetiche di cui anche le api risentono attraverso il nettare dei fiori, favoriscono la diffusione di nuovi batteri patogeni e il più delle volte letali. Impossibile, infine, trascurare il fattore inquinamento che porta le api alla perdita del proverbiale olfatto, impedendo loro di trovare i fiori dove raccogliere la propria fonte di sostentamento. Estate 2009 N umerosi studi sono stati svolti sull’affascinante mondo delle api. Uno degli ultimi ha permesso di catalogare tutta la sequenza del DNA di questo fantastico insetto. Dopo il moscerino della frutta e la zanzara anofele, l’ape è il terzo insetto di cui si conosce l’intero genoma. Se per la zanzara gli scienziati stanno cercando di capire come faccia a convivere ed essere insieme veicolo del plasmodio della malaria, l’attenzione per le api ruota attorno alla tipica coesione sociale che caratterizza la vita e l’attività di quest’insetto. Come per l’essere umano, infatti, le colonie d’api rappresentano un sistema sociale in cui il ruolo del singolo risulta indispensabile per l’intera collettività. In uno dei quattro studi che Scienze dedica all’ape, si è notato, infatti, che alcuni geni, totalmente assenti nel moscerino della frutta, sono invece compresenti nel DNA dell’uomo e delle api, così come risultano comuni i meccanismi che regolano le differenti sequenze dei geni stessi. La colonia di api è formata da tre soggetti: la regina, l’operaia e il fuco. LE MONTAGNE DIVERTENTI L a REGINA è dedita alla deposizione delle uova (fino a 3.000 al giorno) e controlla attraverso il suo feromone la coesione della famiglia. Nel corso della sua la vita (circa cinque anni) viene nutrita esclusivamente dalle sue “damigelle” con pappa reale. Si accoppia con più maschi, ma solo una volta nell’arco della sua esistenza. I l fuco nasce da un uovo non fecondo (è la regina che decide se fecondarlo o no), serve per l’accoppiamento con la regina e per immagazzinare temporaneamente il nettare che l’operaia gli rigurgita. Vive in media uno/tre mesi e muore subito dopo il volo nuziale. all’interno ed all’esterno dell’alveare, tra questi citiamoli ruolo di bottinatrice, nutrice, ventilatrice, guardiana, ceraiola. L’ape operaia si occupa, inoltre, di mantenere pulito l’alverare. Il suo lavoro è costante, quasi frenetico, e il suo istinto di coesione e d’altruismo fa in modo che la famiglia cresca sana e con abbondanti scorte per superare i difficili mesi invernali. Un’ ape operaia vive fino a sei mesi. L e operaie, invece, sono la colonna portante della famiglia, sono le più numerose e in base alla loro età svolgono diversi compiti L'ape guardia ferma l'ape bottinatrice e controlla l'effettiva appartenenza alla famiglia e il carico trasportato (foto G. Palmieri). Speciale apicoltura 21 Speciali d'estate I nemici dell'ape (testi e foto www.apicoltori.so.it) Peste americana Peste europea La Peste Americana è la malattia degli alveari più temuta dagli apicoltori. E' causata da un batterio, il “Paenibacillus larvae”. La malattia si manifesta a carico della covata, le larve muoio con un disfacimento particolare del tessuto. Le api adulte sono vettori della malattia. Quando l’infezione della peste americana è già abbastanza avanzata la covata si presenta non compatta ed irregolare. La Peste Europea è una patologia a carico della covata determinata da un insieme di batteri. Il principale responsabile del decesso delle larve è il Melissococcus (Streptococcus) pluton, batterio non sporigeno e Gram positivo piuttosto resistente (fino ad un anno). La sede di riproduzione è l'intestino delle larve dove trovano un ambiente ricco di anidride carbonica. Varroa Cretini ed invidiosi S La Varroa, autentico vampiro che ghermisce soprattutto la covata, è un acaro che indebolisce e riduce comunque anche la durata di vita delle api adulte. Un segnale di forte infestazione di Varroa destructor è la presenza di api deformi, in genere più scure per le molte punture subite e con ali ridotte a moncherini. A volte si possono scorgere varroe “ammaccate” in modo tale da far supporre che siano state afferrate dalle mandibole delle api che hanno fatto opera di spulciamento delle compagne. LE MONTAGNE DIVERTENTI ono considerati prodotto dell’alveare tutti quegli elementi necessari all’alimentazione e al sostentamento della colonia, che l’uomo in parte è riuscito a sfruttare e a elaborare. E’ affascinante pensare come all’interno di un alveare le sostanze presenti in natura vengano arricchite, modificate e infine trasformate, attraverso processi biologici, in prodotti le cui proprietà risultano di gran lunga superiori ai derivati chimici di fattura umana: pensiamo agli zuccheri artificiali, agli integratori, agli antibatterici, alle cere artificiali e ai conservanti. Le api raccolgono il miele per il sostentamento estivo e ne stoccano il surplus per superare il rigido inverno. La quantità di miele raccolta risulta talvolta superiore alla reale necessità: non è l’ingordigia a guidare l’attività delle api, bensì l’esigenza di imporsi un ragionevole margine di sicurezza. Nei paesi tropicali, infatti, dove le fioriture sono presenti tutto l’anno, nessuna colonia si preoccupa di prevedere scorte di miele per l’inverno e la raccolta risulta più equilibrata nel corso delle stagioni. A differenza dell’uomo, l’ape non chiede alla natura più di quanto abbia bisogno. Purtroppo, anche nell’apicoltura non sempre vengono osservati stili di Versante retico allevamento e comportamenti “etici”, a favore invece di un bieco profitto che basa le proprie radici nell’abuso di prodotti chimici. Il miele viene spesso “taroccato” su scala industriale, spesso mescolando mieli di diversa provenienza. Fortunatamente non è questo il caso della Valtellina, dove la maggior parte degli allevatori non produce grandi quantità e lo fa per lo più per passione, garantendo un prodotto di alta qualità. E’ consigliabile verificare sempre la provenienza di ciò che si acquista, soprattutto quando si tratta di pappa reale e unguenti, spesso importati direttamente dalla Cina. Il miele con le celle chiuse dalla cera (13 aprile 2009, foto Fabio Pusterla). Quando la covata si sviluppa richiede essenzialmente proteine e il polline è il fattore proteico per eccellenza. Le api lo utilizzano puro, mischiato a miele, pappa reale e acqua per le larve adulte. Le larve più giovani, fino a tre giorni di vita, sono alimentate solo con pappa reale, sostanza altamente proteica elaborata dalle api più giovani sovralimentate con polline. MIELE Il vandalismo è forse la peggiore patologia che può colpire l'apicoltore e i suoi allevamenti. L'invidia, la gelosia, la cattiveria e la stupidità muovono la mano di persone vigliacche che nottetempo portono danni per il gusto di far del male al prossimo, come colui che ha distrutto, con gas tossici, l'apiario con 80 alveari di Cleto Longoni. L'individuo non è riuscito ad uccidere tutti gli alveari in una notte sola (solo 74!) e non contento è tornato anche in quella successiva per completare l'opera! 22 Prodotti dell'alveare I Greci lo consideravano il “nettare degli dei”. Raccolto inizialmente in alveari selvatici utilizzando metodi rudimentali che il più delle volte portavano alla distruzione di numerose famiglie (queste pratiche sono purtroppo ancora attive in alcune paesi dell’ Asia, Estate 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI tra cui il Nepal), oggi il miele beneficia di tecniche via via più moderne e attente alle colonie di api. Gli alveari sono stati sostituiti dalle arnie e le api sempre più addomesticate. L’ ape operaia è la sola addetta al raccolto: si muove di fiore in fiore, attratta da profumi e colori che le piante emanano attraverso i propri fiori. In un corteggiamento che dura da milioni di anni la simbiosi è perfetta e il beneficio è per entrambi. Le api, infatti, hanno sviluppato un olfatto e una vista potentissimi che le guidano nella loro danza. Recuperato il nettare, nel gozzo dell’ape avvenSpeciale apicoltura 23 Speciali d'estate polline Tipi di miele POLLINE V Le più importanti fioriture sul territorio valtellinese per le quali si può riuscire a raccogliere un miele monofloreale sono: MIELE DI ERICA Sapore: forte floreale che ricorda l'anice; Proprietà: azione antireumatica, antianemico ricostituente. MIELE DI MUGO O GINEPRO Sapore: aromatico tipico delle essenze montane; Proprietà: particolarmente indicato nelle affezioni respiratorie. MIELE DI CASTAGNO Sapore: intenso con retrogusto leggermente amaro; Proprietà: favorisce la circolazione sanguigna, antispasmodico, astringente, disinfettante delle vie urinarie. Consigliato per anziani e bambini. Erica (foto G. Palmieri). MIELE DI TARASSACO E MELO Sapore: marcato, persistente, caratteristico, astringente; Proprietà: diuretico, depurativo, azione benefica sui reni. MIELE DI TIGLIO Sapore: di mentolo, balsamico, molto persistente e tipico. Proprietà: sedativo dei dolori mestruali, calmante, diuretico, digestivo. Indicato per le tisane espettoranti. Ha proprietà sudorifere. Contro l'insonnia e l'irritabilità. MIELE DI TIMO Sapore: intenso e persistente, molto aromatico; Proprietà: antisettico, calmante, febbrifugo, tonico. MIELE DI TRIFOGLIO Sapore: intenso e persistente, molto aromatico; Proprietà: antisettico, calmante, febbrifugo, tonico. Trifoglio (foto G. Palmieri). 24 LE MONTAGNE DIVERTENTI Acacia (foto G. Palmieri). La centrifuga per estrarre il miele (foto G. Palmieri). MIELE DI ACACIA Sapore: delicato, di confetto, fine, vellutato; Proprietà: corroborante, lassativo, antinfiammatorio per la gola, utile nelle patologie dell'apparato digerente, disintossicante del fegato, contro l'acidità di stomaco. Estate 2009 Tiglio (foto G. Palmieiri). Rododentro e, sopra, castagno (foto F. Benetti). , Melo (foto G. Palmieri). Tarassaco (foto Palmieri). gono i primi processi enzimatici che trasformano il saccarosio in glucosio e fruttosio. Raggiunto l’alveare, l’ape rigurgita il nettare già in fase di trasformazione e le altre colleghe ne completano il processo. Il miele viene quindi depositato nelle cellette aperte per garantire una forte disidratazione (dal 90% di acqua sino al 17-22 %) e successivamente chiuso ermeticamente con della cera. La presenza di conservanti naturali e il processo spiegato fin qui fanno in modo che il prodotto si conservi a lungo… anche nei nostri vasetti! I principali componenti del miele sono il glucosio, il fruttosio, l’acqua e il polline, oltre agli acidi, ai sali minerali e agli enzimi. Ad esclusione di pochi casi, il fruttosio è sempre lo zucchero presente in maggiori quantità. A lui si deve, infatti, il maggior potere dolcificante e anche il prolungato effetto energetico del miele (il glucosio viene bruciato molto più velocemente). Grazie alla sua caratteristica emolliente, il fruttosio risulta essere anche terapeutico per le mucose della bocca, per l’esofago e per l’intestino. Aiuta inoltre a smaltire le sostanze tossiche dal fegato ed è blandamente lassativo. Per questi motivi, il miele risulta essere un sostituto perfetto degli zuccheri più complessi, utilizzati comunemente. La cristallizzazione del miele non deve preoccupare. Alcune tipologie cristallizzano prima, altre più lentamente. Perché ritorni allo stato liquido, è sufficiente scaldarlo a bagnomaria finché si scioglie. Il miele non è più commestibile, invece, quando fermenta. È consigliabile conservarlo in un luogo fresco e asciutto, ma non in frigo. miele MIELE DI RODODENDRO Sapore: molto delicato, leggermente piccante in gola; Proprietà: ricostituente, calmante dei centri nervosi, utile per combattere l'artrite. MIELE DI MELATA D'ABETE Sapore: resinoso, di zucchero caramellato; Proprietà: antisettico polmonare e delle vie respiratorie. Fioriture d'alta quota (foto F. Benetti). Le raccolte monofloreali non sono sempre facili, a causa delle restrizioni che impongono il territorio e le stagioni. Alcuni apicoltori, ad esempio, arrivano a praticare il nomadismo, trasferendo per poche settimane i propri alveari in Brianza. Non meno pregiato è il miele così detto millefiori, derivato dalla raccolta di differenti nettari. Tra questi ritroviamo: MIELE MILLEFIORI Sapore: molto delicato, senza retrogusti particolari; Proprietà: azione disintossicante del fegato. LE MONTAGNE DIVERTENTI iene raccolto a scopo nutrizionale per alimentare le larve di fuco e operaie, misto a cera per opercolare le celle, dove le pupe si stanno trasformando in un insetto completo. Resta attaccato al corpo delle api grazie ai pelucchi sparsi sul corpo, che incredibilmente sono carichi elettricamente. Poi l’ ape mentre è in volo li spazzola e li convoglia in due piccole sacche poste sulle zampe posteriori. L’ apicoltore lo raccoglie ponendo all’ ingresso dell’ arnia una grata forata dove l’ ape passa appena appena. In questo modo le palline di polline cadono poiché non riescono a passare assieme all’ insetto. Appena il cassettino sottostante la grata è pieno, viene raccolto, disidratato e invasettato. Il polline d’api offre un’ampia gamma di nutrienti essenziali necessari per proteggere la propria salute, fra questi compaiono le vitamine del gruppo B e la vitamina C che, essendo idrosolubili, dovrebbero essere assunte con regolarità. Nel polline sono presenti le vitamine D, E, K e il betacarotene (la vitamina A). È una fonte ricchissima di minerali (fosforo e calcio nella quantità 1:1), di enzimi e coenzimi, di acidi grassi di origine vegetale e di carboidrati. Contiene anche proteine e 22 aminoacidi fra i quali quelli “essenziali” che il corpo non è in grado di produrre autonomamente. Il polline d’api contiene più nutrienti per caloria rispetto a qualsiasi altro integratore nutrizionale e per questo motivo non c’è da meravigliarsi se spesso è definito come uno degli alimenti più completi che esistano. Infatti, il corpo umano sarebbe in grado di sopravvivere nutrendosi di solo polline, con un adeguato apporto di acqua e fibre. I nutrienti contenuti nel polline d’api sono altamente digeribili e di facile assorbimento da parte dell’organismo. Se non siete allergici ai pollini, utilizzate il polline al posto degli altri integratori in commercio. Io spesso ne aggiungo un cucchiaio nello yogurt, assieme al miele è il mio unico doping! Speciale apicoltura 25 Speciali d'estate pappa reale, propoli, cera d'api PAPPA REALE un'imponente orticaria, necessitano cure mediche. In ogni caso è bene estrarre subito il pungiglione per evitare il diffondersi del veleno. V iene prodotta dalle api operaie tramite specifiche ghiandole, serve per nutrire tutte le larve nei primi giorni di vita e la regina per tutta la vita. Una delle cose più incredibili è la capacità di questo alimento di far nascere da un uovo fecondo due differenti esseri uno fertile e l’ altro no: la regina e l’ operaia. Infatti alla larva di operaia viene tolta la pappa reale ed è nutrita da miele e polline. Il suo potere nutrizionale è elevatissimo e contiene tutto ciò che l’ organismo necessita: acqua, minerali, protidi, vitamine, lipidi e zuccheri. Lo si può usare come ottimo ricostituente e per combattere alcune forme di stress e stanchezza. E’ un regolatore naturale dell'appetito, favorisce il riequilibrio del sistema endocrino, stimola l'intero organismo, soprattutto nei soggetti ipotonici, dà buoni risultati nella cura delle anemie. Grazie alla notevole presenza di vitamina B5 è un potente anti età. Nella pappa reale e contenuto l'acido 10-idrossidecenoico, che esercita una attività antibatterica e antitumorale. Il metodo di estrazione della pappa reale è difficile e richiede esperienza, tutto il lavoro viene fatto a mano ed è per questo che ha un costo elevato. Per conservarne le caratteristiche descritte va conservata in frigo e consumata fresca. L e api pungono solo nei pressi della loro casa per proteggerla. A volte capita di essere punti perché le si calpesta mentre bottinano nel prato, o perché si fa un incidente con loro mentre si è in moto o in bicicletta. Le api, inoltre, non mangiano frutta perché il loro apparato boccale non è adatto alla masticazione. Le vespe e i calabroni invece sì, ma essendo anche carnivori sono utili poiché catturano anche le larve di insetti nocivi per le Ape su tarassaco. Il tarassaco (dente di cane) si trova in abbondanza nei frutteti proprio per le coltivazioni. tecniche di lavorazione dei frutteti stessi. La sua fioritura è però, a volte, competitiva con quella del melo perché questa pianta è generosa sia in nettare che in polline (foto R. Moiola). Latte e miele, uno dei più antichi ed efficaci rimedi contro il mal di gola (foto Enrico Minotti). sempre più come cura omeopatica. La propoli contiene: resine (45-55%), cera e acidi grassi (25-35%), oli essenziali e sostanze volatili (10%), polline (5%) composti organici e minerali (5%) minerali, vitamine, enzimi. La propoli ha inoltre proprietà antibiotiche (batteriostatiche e battericide), anti-infiammatorie, antimicotiche, antiossidanti, antivirali, anestetiche, cicatrizzanti, antisettiche, immunostimolanti, vaso protettive, antitumorali. Consideratele sempre proprietà omeopatiche e non vi devono illudere che curino malattie serie: aiutano solo a migliorare e arricchire la salute del nostro organismo. PROPOLI CERA D'API P er produrre la propoli le api raccolgono resine dalle piante, per esempio sfruttando le cicatrici, le sudorazioni e le secrezioni sulle gemme. L’ aggiunta di cera e i processi enzimatici costituiscono un materiale duttile e con altissima carica antibatterica. Le api lo usano per sigillare, mummificare intrusi e per sterilizzare pereti e le celle dove la regina deposita le uova. Calcolate che all’ interno dell’ arnia vi è una temperatura costante che supera i 30° C, terreno facile per la proliferazione dei batteri, ma la carica batterica è sempre sotto controllo grazie alla propoli. L’ uomo ne ha scoperto indirettamente la sua peculiarità e quindi la sta utilizzando 26 LE MONTAGNE DIVERTENTI il veleno d'api È il “cemento” delle api; infatti tutta la struttura dell’ alveare è formata da cera. Viene secreta in scaglie da apposite ghiandole (per 1 kg di cera l’ ape consuma circa 8 kg di miele), viene plasmata attraverso le mandibole e modellata a proprio piacimento creando strutture perfette di cui l’ uomo ha preso spunto più volte per realizzare opere architettoniche e prodotti per il commercio. Nell’ alveare viene inoltre utilizzata per opercolare le celle e come additivo nella propoli. È composta da sostanze oleose e facendola scaldare diventa liquida. La cera d’ api viene riutilizzata dall'uomo come un efficace protettivo, lubrificante, nelle candele, nei cosmetici e in molti altri usi. VELENO D'API Nato per la difesa dell’alveare è inoculato dall’alpe tramite pungiglione uncinato (l’ ape muore poco dopo aver punto a differenza delle vespe che posso infierire più punture). Quasi per caso l’ uomo è riuscito a scoprire i suoi effetti benefici e purtroppo anche quelli mortali. Per quanto riguarda i primi, i più noti riguardano la cura omeopatica di artrosi, artrite reumatoide, sciatalgia, contribuendo a migliorare lo stato del paziente grazie a un'azione antinfiammatoria legata alle sostanze contenute in esso. Il trattamento avviene tramite puntura diretta o con l’utilizzo di creme e unguenti a base di veleno. Il veleno è prelevato dall’ ape con delle piccole scosse indotte da un predellino metallico all’ ingresso dell’ arnia. Prima di iniziare una terapia del genere bisogna sempre chiedere a uno specialista la prassi da seguire poiché il veleno d’ape può portare alla morte nei soggetti allergici. Infatti, a seconda della sensibilità al veleno di imenotteri si può arrivare allo shock anafilattico già nei primi minuti che si viene punti. In caso di puntura, se non si è allergici, si ha solo una piccola infiammazione che passa già nelle prime ore. Le persone invece che accusano reazioni generalizzate a tutto il corpo, come Estate 2009 Come diventare apicoltore Per chi vuole avvicinarsi al modo dell'apicoltura consiglio di frequentare uno dei numerosi corsi tenuti dall'associazione apicoltori. Vi ricordiamo che le api sono un organismo vivente che richiede tempo e dedizione, con molte soddisfazioni, ma anche con le sue delusioni. Se volete diventare apicoltori sappiate che serve un forte impegno. A.P.A.S. - Associazione produttori Apistici della Provincia di Sondrio via Torchione 26, 23010 Albosaggia - tel e fax 0342.21.33.51/ cell 328 79 17 725 Ruttico gomme DAL 1967 TI AIUTA A GUIDARE SICURO t PNEUMATICI PER AUTOVETTURA, MOTO, AUTOCARRI E AGRICOLTURA; t TAGLIANDI, MECCANICA, AMMORTIZZATORI E FRENI; t MOLLE E KIT SPORTIVI, DISTANZIALI E CERCHI IN LEGA; t RIPARAZIONE GOMME E CERCHI; t BILANCIATURA E CONVERGENZA; t ASSISTENZA SUL POSTO; t OFFICINA MOBILE; t CONVENZIONI CON LE MAGGIORI FLOTTE D’AUTONOLEGGIO. MONTAGNA IN VALTELLINA (SO) FINE TANGENZIALE DIREZIONE BORMIO TEL.0342/215328 FAX 0342/518609 E-mail: [email protected] WWW.RUTTICOGOMME.191.IT LE MONTAGNE DIVERTENTI Speciale apicoltura 27 Cormor la montagna nascosta Speciali d'estate Valentina Messa Cormor parte alta (foto Pascal van Duin Guida Alpina - tel 335.5470126). 28 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI Cormor: la montagna nascosta 29 Speciali d'estate L’ esplorazione a 360° delle gole scavate dall’acqua nel cuore della montagna ha un nome ben preciso: “golismo”. Climbing, ice-climbing, speleologia, canyoning, kayak; nelle gole tutto può essere utile per affrontare l’avventura. Nato in Valmalenco e precisamente in Val Lanterna alcuni anni fa, il golismo rappresenta una disciplina al confine con molte altre. di molte altre. Nato e praticato in Valmalenco, comincia a diffondersi anche nelle Dolomiti.” Sebbene il golismo non possa essere classificato come uno sport estremo, è consigliabile non sottovalutare mai l’ambiente in cui ci si muove, né sopravvalutare le proprie capacità. Per i meno esperti la scelta di affidarsi ad una Guida Alpina consentirà di vivere quest’esperienza in maggiore serenità e sicurezza. Gola dello Scerscen (foto Jacopo Merizzi - tel 335.5846050). Rana solitaria (archivio TeleUnica). “D iscendiamo le gole d’estate – mi spiega Jacopo Merizzi, Guida Alpina valtellinese che insieme a Luca Maspes ha dato origine a questa attività - sull’impronta del canyoning più classico, e d’inverno, quando le condizioni e le temperature lo permettono, risaliamo le cascate di ghiaccio che si formano all’interno del canyon. La montagna la viviamo 365 giorni l’anno. Capisco che risalire delle gole, spesso combinando l’uso di ramponi e canoa, possa effettivamente risultare inusuale, ma garantisce un gran divertimento.” Il termine golismo è una sua invenzione. Ha base geografica in Val Lanterna dove sono state scoperte diverse gole. Il punto di partenza resta Franscia, paesino situato a m 1525. Da qui si possono raggiungere direttamente a piedi le gole di Cormor e di Scerscen e, sempre da qui, scende la gola di Val Brutta. Da alcuni anni, durante le fredde giornate invernali, numerose piccole spedizioni si avventurano nel cuore ghiacciato della montagna, aspettando l’estate per ridiscendere con corda e muta. Cormor invernale (foto Jacopo Merizzi). Occhio di Saletta - Gola del Cormor (archivio TeleUnica). “P rotagoniste indiscusse di questa disciplina sportiva – continua Jacopo - sono sempre state le gole della Val Lanterna, ottima “palestra” dove affinare l’arte del golismo. Nel 2001 ho affrontato per la prima volta la salita della gola di Scerscen (gennaio) accompagnato da Alberto Prina, e della gola di Val Brutta (dicembre) insieme a Andrea Micheli. E’ stato impegnativo, ma il paesaggio che abbiamo incontrato ha ripagato di gran lunga i nostri sforzi: unico, dal fascino primordiale per il susseguirsi di verdi acque, ghiaccio e roccia. Successivamente, nel periodo estivo, ci siamo divertiti a ridiscenderle, non senza difficoltà, soprattutto per quanto riguarda la gola di Scerscen. Nell’agosto del 2001, Luca Maspes ha scoperto in alta Val Lanterna una terza gola scavata dal torrente sotterraneo Cormor. Senza pensarci due volte ci siamo avventurati al suo interno, discendendo il canyon alla scoperta di questo nuovo mondo. L’inverno seguente, particolarmente freddo, ci ha poi permesso, dopo alcuni tentativi, di risalirne la cascata di ghiaccio formatasi all’interno. Questo è golismo: d’inverno piccozze, ramponi e canoa (che mi ha spesso tradito, facendomi affondare nelle gelide acque sotterranee, perché poco resistente alle punte dei ramponi…) e corda e muta per l’estate. Abbiamo iniziato così, per gioco. Oggi, invece, il golismo è un’attività sportiva riconosciuta, al pari 30 LE MONTAGNE DIVERTENTI LA GOLA DEL CORMOR Alta Val Lanterna. Nel corso dei millenni, il torrente chiamato localmente Cormor, che ha origine dal ghiacciaio di Fellaria, ha scavato, inciso e modellato la verde roccia malenca (serpentinite). Seppellito successivamente da una paleo frana, il corso d’acqua ha continuato il lento lavoro di erosione dando origine ad un incredibile sistema di cunicoli e passaggi sotterranei, la maggior parte dei quali completamente al buio, che ritrovano la luce a m 1540. Una vera rarità in tutto l’Arco Alpino. Sbarrato il flusso delle sue acque dai bacini artificiali di Campo Moro e Gera, oggi il Cormor ha una portata assai ridotta e permette ai suoi visitatori di avventurarsi lungo il percorso scavato nella roccia, un tempo letto del torrente “scultore”. La discesa della gola rocciosa situata tra il primo lago artificiale di Campo Moro (m 1900) e la piana di Campo Franscia (m 1525) in alta Val Lanterna, rappresenta una sfida sportiva a metà strada tra il canyoning, l’arrampicata e la speleologia. La scoperta di questa gola è datata 22 agosto 2001, quando un gruppo formato dalle guide alpine sondriesi Luca Maspes e Jacopo Merizzi e da due esperti speleologi e arrampicatori brianzoli Massimo Sala e Marino Tonni, decide di avventurarsi all’interno di questa grotta-canyon scoperta per gioco, quasi per caso. “R Gola del Cormor - parte alta (archivio TeleUnica). Gola del Cormor - parte alta (archivio TeleUnica). “Anche dopo tante discese, sento sempre un filo d’ansia quando, immerso nelle viscere della montagna, immagino l’immenso getto d’acqua che, mulinando vorticosamente, ha nel corso dei millenni modellato queste rocce come una vera e propria scultura naturale. Nel punto più interno, anche quando l’ultimo raggio di luce cede il passo alle tenebre, prova a spegnere le pile frontali e ad ascoltare il respiro della montagna: è un’esperienza indimenticabile.” Michele Comi – Guida Alpina Gola del Cormor - parte alta (archivio TeleUnica). Estate 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI icordo bene quel giorno. – racconta Luca Rampikino Maspes – Io e Massimo avevamo deciso di esplorare la parte bassa del torrente ancora ricoperta di enormi blocchi rocciosi. Niente più che un “gioco” per ingannare il tempo e rinfrescarsi in una calda giornata d’agosto. Immaginate la sorpresa quando, iniziata la discesa, abbiamo scoperto che quel lungo tratto verticale che pensavamo completamente asciutto era, invece, rigato dalle acque di un torrente sotterraneo! Non ci abbiamo pensato due volte e lo abbiamo seguito. Armati di una sola corda e mezze mute, io, Massimo, Jacopo e Marino ci siamo avventurati lungo il percorso tracciato dal Cormor.” Una prospettiva un po’ diversa per chi la montagna è abituato a viverla “da fuori”… “P er me, che provengo dall’alpinismo e dall’arrampicata, trovarmi nel cuore della montagna, in discesa e con una tuta da sub addosso è stata una novità piuttosto forte. E’ stato emozionante. Non sapevamo esattamente cosa ci stesse aspettando: avevamo poco materiale con noi e il fatto che la grotta avesse uno sbocco dove uscire era Cormor: la montagna nascosta 31 Speciali d'estate La discesa del Cormor ancora tutto da vedere. Un viaggio nell’ignoto. L’entusiasmo di aver scoperto qualcosa di sconosciuto e decisamente raro ha subito lasciato spazio alla meraviglia. L’ambiente che si apriva man mano davanti a noi e in cui ci stavamo avventurando senza troppe certezze, offriva degli scorci a dir poco spettacolari: roccia verde dalle forme tondeggianti, modellata come dalle mani di uno scultore, marmitte dei giganti, giochi di luci e ombre nel buio della montagna, laghetti verdi sotterranei, pozze e fiordi strettissimi. E’ stata un’esperienza davvero inusuale, soprattutto se pensiamo che tutto stava succedendo a pochi minuti dall’auto, segno che l’esplorazione sulle nostre montagne è tutt’altro che terminata…” (parte superiore) Prima discesa: L. Maspes, J. Merizzi, M. Sala, M. Tonni, N. Parolini, P. Van Duin, F. Brusamarello il 22 e 28 agosto 2001 Integrazione (parte inferiore): P. Van Duin, M. Crottogini, A. Colombo il 2 settembre 2001. E non vi siete fermati lì… “C erto che no. Alla prima discesa del canyon (22 agosto 2001) ne è subito seguita una seconda, il 28 agosto, questa volta in compagnia della Guida Alpina Pascal Van Duin con un suo cliente e dell’amico Norbert Parolini, allora ventenne di Lanzada. Con un equipaggiamento più adeguato, trapano, corde statiche, spit, pile speleo e mute intere, abbiamo ripercorso l’intera discesa, attrezzando con spit e moschettoni i vari punti di calata per mettere in sicurezza chi vorrà cimentarsi in questa avventura nel cuore della montagna. Abbiamo anche dato un nome ai punti più caratteristici, alcuni per la conformazione del luogo, come la Pozza Circolare, il Fiordo, altri invece, più goliardici, riferiti al momento della discesa: il Pozzo delle Marlboro, dove Norbert aveva lasciato un pacchetto di sigarette che veniva esaminato ad ogni discesa, o L’Occhio di Saletta, un sasso con un buco centrale dove abbiamo immortalato con la macchina fotografica Massimo. In seguito Pascal ha proseguito nella chiodatura, più a valle, dopo la confluenza dei torrenti, integrando e completando la nostra discesa con un percorso che si insinua in altre gole scavate, oltre che dal Cormor, da altri corsi d’acqua. Oggi so che sono state effettuate ulteriori chiodature, ce ne sono almeno tre, per cui è bene prestare attenzione alla scelta della sosta. I meno esperti è consigliabile che si affidino all’esperienza di una Guida Alpina.” Avete chiamato questa avventura “golismo”… “P er affrontare una gola, è necessario conoscere le principali tecniche di alpinismo, arrampicata, canyoning, speleologia, ice-climbing. Questo è il “golismo”: un’attività estremamente poliedrica in cui essere eclettici alpinisti diventa un obbligo più che una volontà. Nella stagione calda discendiamo le gole districandoci nelle fredde acque dei torrenti, in attesa che il freddo geli tutto permettendoci di risalire in senso contrario. Per intenderci, mute per l’estate, piccozze e ramponi per l’inverno. Nel gennaio del 2002, insieme a Jacopo Merizzi che praticava il golismo già da qualche tempo, attrezzatura da ghiaccio al seguito, abbiamo ripercorso la gola del Cormor al contrario, risalendo un’incredibile quanto inusuale cascata di ghiaccio sotterranea. Una serie di salti con difficoltà fino al grado 3/3+, budelli incassati oscuri, brevi goulotte sottili e 32 LE MONTAGNE DIVERTENTI Cormor parte bassa (foto P. van Duin). curiosi passaggi boulder sui massi lisciati dall’acqua. Un’altra avventura severa ma estremamente divertente, almeno fino a quando il ghiaccio su cui ti muovi non ti tradisce facendoti sprofondare in un’acqua siderale. E allora, quelle piacevoli sguazzate estive con la muta stagna diventano solo un lontano ricordo.” Negli ultimi anni, la gola del Cormor è divenuta meta di numerosi appassionati di canyoning. Il “successo” è certamente dovuto anche alla rarità, in tutto l’arco alpino, di una grotta scavata nella roccia serpentinica. “I principali frequentatori della gola sono stranieri. – mi spiega Fabio Dioli, uno dei proprietari dell’albergo-ristorante Edelweiss di Franscia, principale punto di appoggio dei “golisti” – “Francesi e spagnoli, seguiti dai tedeschi. Nel 2008 abbiamo registrato un passaggio di circa cinquecento persone. Per la prima volta, si è presentato anche un gruppo di radunisti che aveva base a Morbegno.” Tanti visitatori dunque, esperti alpinisti e impavidi “esploratori” alle prime armi. Eppure, una volta rapiti dal cuore della montagna, non c’è pubblico che applaude, né show per gli ammalati di protagonismo. Si è soli con i propri compagni di avventura. Non c’è nessuno che guarda o che fa il tifo, ad eccezione di qualche rana solitaria che con aria guardinga ci ricorda che gli intrusi siamo noi. Estate 2009 Cormor parte alta (foto Jacopo Merizzi). BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ PARTENZA: Diga di Campo Moro. ITINERARIO AUTOMOBILISTICO: da Sondrio seguire la SP 13 della Valmalenco fino a Lanzada (13 km), quindi proseguire per Franscia (26 km) e su fino a Campo Moro (33 km da Sondrio). 30 metri oltre l'Albergo Campo Moro svoltare a sx e scendere lo sterrato a tornanti fino al parcheggio situato ai piedi della prima diga. ITINERARIO SINTETICO: Diga di Campo Moro Pozza Verde - Fang. TEMPO DI PERCORRENZA DISLIVELLO: 300 metri. D PREVISTO: 2/4 ore. al cartello "pericolo piene improvvise" discendere un primo tratto districandosi tra numerosi blocchi, fino a raggiungere la prima calata. Qui ha inizio l’avventura: la discesa alterna ambienti sotterranei ampi e ancora sufficientemente illuminati ad altri, completamente inghiottiti dal buio e di ridotte dimensioni. L’ultima calata riporta alla luce: un tuffo nelle fredde acque del laghetto Verde segna la fine del percorso: Si imbocca quindi un bel sentiero sulla sx idrografica che, attraversando uno splendifo bosco, sbuca (15 minuti) nei prati di Fang, 5 minuti sopra Franscia, dove non resta che andare a recuperare l'automobile. Se si volesse proseguire con la discesa della parte inferiore del Cormor calcolare altre 12 calate e difficoltà superiori al tracciato fin qui percorso. Vie di fuga: a metà percorso. Dalla Pozza Circolare, LE MONTAGNE DIVERTENTI ATTREZZATURA RICHIESTA: scarpe da ginnastica, muta in neoprene, casco, imbracatura, discensore, 1 corda da 60 m (meglio se statica), pila frontale per l’illuminazione. DIFFICOLTÀ: 4 su 6. SVILUPPO/NUMERO CALATE: 500 metri / 10. DETTAGLI: spit e fix con anello ad ogni sosta di calata e in diversi punti. La calata più alta è di 25 metri. L'acqua è piuttosto fredda. Si consiglia una Guida Alpina. Periodo consigliato: maggio-settembre. Mappe: CNS 278 – Kompass 93. seguire sulla sx orografica un tracciato poco evidente e, una volta usciti, risalire nel bosco fino a Campo Moro. Percorso scomodo. Passaggi particolari: numerosi tratti in disarrampicata e calate nel vuoto. Buio completo in più punti. Negli anni sono state eseguite diverse chiodature (attualmente visibili tre) perciò occorre prestare attenzione alla scelta della sosta corretta. Note: la presenza di invasi artificiali a monte del percorso (due bacini che raggiungono a fine estate capacità di oltre 70 milioni di metri cubi d’acqua) può modificare la portata naturale del torrente. Prima di effettuare la discesa conviene informarsi presso i guardiani della diga oppure tramite i gestori dell’Albergo-Ristorante Edelweiss di Franscia (tel. 0342. 451483 – e-mail: [email protected]). Cormor: la montagna nascosta 33 Speciali d'estate Foto 1: Gola di Val Brutta (foto P. van Duin). Foto2: Gola di Val Brutta (foto L. Maspes). Foto 3: Gola dello Scerscen (foto M. Sala). foto 4: Il masso incastrato sospeso a 50 m sopra la gola dello Scerscen (foto J. Merizzi). Dice il geologo Carmen Mitta I l Cormor prende avvio da più torrenti glaciali uscenti dalle bocche del Ghiacciaio di Fellaria, il cui bacino collettore va dal Pizzo Argento – Pizzo Zupò fino al Piz Varuna. Prima della costruzione delle dighe, questi corsi d’acqua si raccoglievano nella piana di Gera; oggi, invece, si immettono singolarmente nell’omonimo lago artificiale). Oltre la diga di Campo Moro, dunque, il Cormor subisce una drastica riduzione nella portata, in quanto le sue acque vengono incanalate e convogliate alla centrale di Campo Moro e successivamente a quella di Lanzada. Sotto il muro della diga, un passaggio tra grossi blocchi, coperti da vegetazione boschiva, segna il punto, ora asciutto, nel quale, un tempo, il Cormor continuava il suo cammino verso Franscia. Oggi, invece, scorrendo sotto una paleofrana di grosse dimensioni, il torrente scompare allo sguardo. In passato, soprattutto durante le fasi del ritiro delle lingue glaciali, si sono verificati significativi fenomeni franosi e di crollo, e questa si potrebbe essere staccata dal Sasso Moro le cui pareti verticali sono fortemente fratturate. e forme fisiche del paesaggio terrestre sono il risultato dell’azione combinata di agenti modellatori, in questo caso acqua e ghiacciai, con le caratteristiche fisico – meccaniche delle rocce, lo stato di fratturazione, l’esposizione e la pendenza dei versanti. Un ruolo rile- L 34 LE MONTAGNE DIVERTENTI vante lo giocano, poi, il clima, le forti escursioni termiche giornaliere e il gelo/disgelo. Per capire bene i processi che hanno determinato il corso del Cormor dobbiamo andare alla fine dell’ultima glaciazione. Supponiamo che inizialmente, al primo sciogliersi dei ghiacciai, un corso d’acqua, poco più che un rigagnolo, abbia cominciato a scorrere su una superficie con fratture. Tutta la Val Lanterna è interessata da almeno tre sistemi di faglie con direzione NE-SO, N-S, E-O (Pozzi, 1986): su uno di questi è impostato il Cormor (tratto Campo Moro – Franscia). Nel suo fluire, il nostro torrentello si sarà certamente infilato nelle microfratture e lì, nella stagione fredda, è gelato. L’acqua, contenuta nelle cavità delle rocce, passando allo stato solido, esercita pressioni notevoli dell’ordine di 2t/cm² circa, in grado di frantumare anche la roccia più dura. Anno dopo anno, millennio dopo millennio, la roccia ha subìto una suddivisione meccanica in blocchi di varie dimensioni, a causa dei reiterati fenomeni di gelo e disgelo. Ma nella bella stagione, tanti i cambiamenti climatici, l’acqua, in quantità sempre maggiori, infossata tra i blocchi e non visivamente percepibile, ha attivato quei processi responsabili delle spettacolari forme erosive. L’azione degli agenti geomorfologici è troppo lenta perché se ne possa avere conoscenza diretta: l’ordine di grandezza approssimativo dell’erosione fluviale è di Estate 2009 circa 0.5 mm/anno. Non è certo stabilire dove finisce la paleofrana e dove inizia la frantumazione in loco per gelo e disgelo. Ci vorrebbero rilevamenti più dettagliati. L’energia del corso d’acqua, condizionata dalla portata sempre maggiore e dalla forte pendenza, non ha permesso il depositarsi di materiale eroso, e la sua forza viva si è applicata esclusivamente nell’opera di modellamento e di erosione. Fanno parte di quest’ultimo processo i tanti esempi di marmitte dei Giganti e di caldaie, talune di notevoli dimensioni, che si incontrano lungo il percorso. Queste si generano dal moto vorticoso delle acque, coadiuvate da materiale lapideo in essa contenuto, che ha agito come la punta di un trapano. La messa in posto del Cormor coincide, quindi, con la normale evoluzione di un corso d’acqua, che lungo il suo cammino provvede a smussare le originarie asperità e discontinuità. Nulla c’entra con i fenomeni di dissoluzione di rocce carbonatiche, come quelle delle grotte dello Scerscen, per intendeci, che sono invece da ricondursi all’azione solvente di acque ricche in CO2 a danno di rocce calcaree. Se non ci fossero state le faglie e le rocce fossero state compatte, se non ci fossero stati eventi franosi con rilascio di enormi blocchi, nonostante il salto di 350 m circa, LE MONTAGNE DIVERTENTI oggi vedremmo un succedersi di cascate, intervallate da scivoli nelle zone meno ripide, come tante se ne vedono sulle Alpi. unicità della gola del Cormor sta certamente nella sua ubicazione: si trova, infatti, all’interno di una roccia non così comune, dal fantastico colore grigio-verde – azzurro, a seconda delle mineralizzazioni presenti. Le serpentiniti corrispondono a un frammento del mantello superiore che l’orogenesi ha inglobato nell’edificio alpino, a guisa di gigantesco lastrone, rendendolo soggetto agli effetti tettonici e metamorfici. In Valmalenco sono le rocce volumetricamente più importanti, occupando un’area di circa 170 km quadrati, una massa decisamente consistente; ad esse è legata l’attività estrattiva di cave e miniere. Sono composte in gran parte da rocce scistose ed antigorite, olivina, diopside, clorite e magnetite accanto alla quale ci sono parti più massicce, perché più ricche di clinopirosseni. In Italia, oltre che in Valmalenco, si trovano sull’Appennino ligure e su quello tosco-emiliano e sulle Alpi (Val d’Aosta, Val d'Ossola, zona Monviso, Val di Susa). La concomitanza di più fattori che, come in Val Lanterna, hanno determinato la formazione delle gole, non è però comune in queste zone e lascia al Cormor il suo carattere d'indiscussa unicità. L’ Cormor: la montagna nascosta 35 www.stilealpino.it Guide Alpine in vetrina Il mio Kima Riccardo Ghislanzoni Paolo Masa, Michele Comi e figli. È vero, siamo professionisti della montagna, messi assieme i nostri curricula alpinistici, possiamo dire di avere salito tutte le grandi pareti delle Alpi: dal Monte Bianco alle Dolomiti e girato per le montagne di mezzo mondo, dal Nepal al Karakorum cinese, dal Sud America alle grandi vette africane, raggiunto il Polo Nord e arrampicato nei deserti rocciosi dell’Africa e del Medio Oriente. Abbiamo tanti figli (sei in totale) con i quali passiamo tutto il nostro tempo libero, uno di noi è geologo, l’altro d’inverno fa il barista e tentiamo di far convivere la nostra professione con una vita del tutto normale. Insomma siamo delle “very normal guide” a cui piace l’idea di promuovere la propria attività professionale paragonandola ad una piccola bottega artigiana di pregio, che confeziona su misura belle salite, belle esperienze, il divertimento e lo star bene in montagna. Potremmo fare un programma vario, con scalate in tutto il mondo, mettendo a frutto l’esperienza di numerose spedizioni, invece con questo sito vogliamo promuovere l’attività sulle montagne di casa nostra, note sin dall’ ‘800 ai viaggiatori inglesi inventori dell’alpinismo, che ci fanno sudare, ma che continuano a darci piacevolmente da vivere. Il Gran Prestigio delle Alpi Il Gran Prestigio delle Alpi è un riconoscimento che Michele Comi e Paolo Masa assegnanbo ai propri clienti al completamento di 7 salite a scelta sulle montagne più prestigiose delle Alpi Centrali (gruppi montuosi: Bernina-Disgrazia-Badile). Il Prestigio è rivolto a tutti gli appassionati della montagna e a tutte le persone con buona preparazione fisica (escursionisti, mezzofondisti, ciclisti etc…) che sono attratti dal mondo della montagna. Non ci sono nelle ascensioni proposte difficoltà tecniche che non possano essere superate da una persona normalmente allenata, adeguatamente assistita dalla Guida Alpina. ELENCO DELLE SALITE CHE COSTITUISCONO IL GRAN PRESTIGIO DELLE ALPI: 1,2,3,4 a scelta tra: Pizzo Bernina (m 4050): via Normale Monte Disgrazia (m 3678): via Normale Pizzo Roseg (m 3936) via Normale Pizzo Palù (m 3906) via Normale Punta Kennedy (m 3295) cresta Est Traversata Pizzo Argent (m 3945) Pizzo Zupò (m 3996) Traversata Punta Torelli (m 3195), Pizzo Badile (m 3308) Pizzi Gemelli: via Ferro da Stiro 5 Monte Disgrazia (m 3678) per la Corda Molla 6 Pizzo Bernina (m 4050) per la cresta Biancograt 7 a scelta tra: Pizzo Palù Orientale (m 3881): via Kuffner Pizzo Badile (m 3308) per lo Spigolo Nord Direttissima Pizzo Bernina (m 4050) Il GRAN PRESTIGIO DELLE ALPI è articolato nei seguenti step: PRESTIGIO BRONZE: si consegue al termine delle prime quattro ascensioni; PRESTIGIO SILVER: si consegue al termine delle prime sei ascensioni; PRESTIGIO GOLD: Al termine delle sette ascensioni si consegue il Prestigio Gold con il quale i Prestigiosi avranno diritto all’iscrizione nella classifica d’onore e riceveranno: un diploma personalizzato, la gigantografia a colori della testata della Valmalenco, una bottiglia Magnum Prestigio di vino valtellinese della rinomata casa vinicola Triacca. (REGOLAMENTO E CONTATTI: WWW.STILEALPINO.IT) Il Trofeo Kima, la “Grande Corsa sul Sentiero Roma”, una delle skyrace più tecniche e spettacolari al mondo, quest’anno non si correrà! La decisione è stata presa dal comitato organizzatore nel mese di aprile e il Kima tornerà nel 2010 con formula biennale. Gli appassionati dovranno quindi accontentarsi del Mini Kima e della Skyrace Val Porcellizzo. Alla base della scelta sembra che ci siano i forti costi e i pochi sponsor ma forse il proliferare del numero delle manifestazioni ha portato gli atleti su altri sentieri anche per l’elevata quota di iscrizione a questa gara. Speriamo che il Kima torni l’anno prossimo agli antichi fasti delle prime edizioni, quelle che dal 1995 hanno visto fior fiore di atleti sfrecciare sul granito della Val Masino in ricordo di Pierangelo Marchetti, Kima per gli amici, scomparso l’8 luglio 1994 in seguito ad un tragico incidente durante un’operazione di soccorso. LE MONTAGNE DIVERTENTI Cormor: la montagna nascosta 37 Speciali d'estate Valmasino 31 AGOSTO 2008 S Verso il Passo del Cameraccio dopo circa 4 ore di gara (31 agosto 2008, foto S. Sandonini). Alla pagina precedente: passaggio in Val Porcellizzo (26 agosto 2007, foto R. Moiola). Atleti in Val Porcellizzo. Si transita qui dopo mediamente 6-7 ore di gara (26 agosto 2007, foto R. Moiola). Atleti in discesa verso il Rifugio Omio (26 agosto 2007, foto R. Moiola). 38 LE MONTAGNE DIVERTENTI ono 10 anni che corro e partecipare al Kima è sempre stato un sogno. Ho seguito da tifoso molte edizioni, provando ammirazione per gli atleti che vi gareggiavano. Nel 2001 ero anch'io ad un passo dalla partecipazione, ma poi ho desistito. Bisogna essere convinti per buttarsi in un’avventura del genere: la skyrace delle skyrace, 48 km abbondanti sul Sentiero Roma che collegano i rifugi della Val Masino, 3700 m di dislivello positivo per raggiungere i 7 passi, tutti sopra i m 2500, tratti attrezzati ed esposti, nevai e “labirinti” di granito. ono le 6.30 dell'ultima domenica d'agosto, sono a Filorera pronto per partire insieme ad altri 80 skyrunner per il mitico Trofeo Kima. Al via non c’è il mio amico e collega Beno. Penso al suo entusiasmo, alla ricognizione del percorso, all’allenamento, alla volontà di descrivere questa gara dopo averla vissuta in prima persona. Poi accade quello che non ti aspetteresti mai e il dolore e il lutto prevalgono. Beno mi ha passato un testimone simbolico ed eccomi qui oggi a correre anche per lui un'avventura che presto diverrà un racconto: 10 ore cariche di emozioni sul granito della Val Masino, la realizzazione di un sogno. S P ronti, via. Si sale silenziosi lungo i primi tratti di asfalto che s'alternano ai sentieri. I “tagli” dopo il Rifugio Scotti cominciano a far scaldare le gambe, la piana di Predarossa è sempre spettacolare e poi si arriva al Rifugio Ponti. E’ ora di alimentarsi un po’, da adesso comincia la vera gara. Ancora mezz’ora ed ecco la Bocchetta Roma. Peccato che ci sia così poca gente, mi ricordo negli anni d’oro le decine di appassionati che incitavano gli atleti… Metto i guantini, mi “sparo” un Enervitene e poi giù dalle catene. In breve si arriva al nevaietto ed il primo cancelletto orario è superato con più di 20 minuti di margine. La Val Cameraccio è bella tosta e la concentrazione deve essere sempre alta. Sto bene, sono a mio agio, il tempo passa, ma quasi non me ne Estate 2009 accorgo. Rimpiango solo che le nuvole e la nebbietta non mi permettano di apprezzare appieno l’ambiente in cui sono immerso. Guardo poi il risvolto positivo: con il sole che picchia la fatica sarebbe stata maggiore. Ecco il Bivacco Kima e poi dritti al Passo del Cameraccio. Si scende per catene e poi ancora un lungo nevaio, attrezzato nel tratto iniziale con una corda e poi lasciato alle doti di equilibrismo dei corridori! Prima del Passo Torrone c’è una variante che evita la placca dove nel 2005 morì in gara una ragazza. La salita si fa dura e raggiunto il passo si può tirare il fiato. Do un’occhiata all’orologio: non è che manca poi tanto alle 5 ore del cancello dell’Allievi! L’ andatura continua ad essere abbastanza sciolta: un po’ di stanchezza c’è, quello è normale, ma sono bello lucido e sempre concentrato. Ecco che si comincia a vedere il rifugio ed in breve lo raggiungo. Il secondo cancello è superato con un quarto d’ora di anticipo e mi rilasso un attimo. So che questo era uno degli ostacoli più difficili da superare, ma la gara è ancora lunga. Mi rifocillo e parto, scortato da mio zio Giuseppe che mi seguirà fino al Passo del Camerozzo. Ora si susseguono i passi dell’Averta e del Qualido e finalmente ecco l’in- sidioso Camerozzo. É tutto attrezzato con catene perchè presenta tratti molto esposti. Sembra non finire mai quando arrivo a scollinare: prossima tappa il Rifugio Gianetti. Alla fine della discesa mi aspetta il grande Ciccio. Ristoro al volo: un sorso di Coca-Cola e una bella pesca noce. Riparto sgranocchiando il frutto e poi da lontano sento ancora gli incitamenti di Ciccio che mi raggiunge e mi scorta fino alla Gianetti. Riparto sapendo che manca ancora l’asperità dell'ultimo passo. Arrivo in cima al Barbacan: ora è tutta discesa! Mi accodo a un gruppo di altri tre corridori. Mi fermo al Rifugio Omio giusto il tempo di bere un po’ di sali e un Enervitene. Si riparte, siamo in tre, il battistrada va veramente forte in discesa e io non lo mollo e l’ultimo non molla me. Sono talmente concentrato sulla discesa che presto arriviamo ai Bagni di Masino. Breve ristoro e poi si torna a calpestare l’asfalto. Da una parte sono contento perché ciò significa che mancano pochi chilometri al traguardo, dall’altra rimpiango i “boccioni” di granito su cui ho saltellato fino a poco tempo prima. A San Martino ho la gradita sorpresa di trovare Luca e Monica ad incitarmi. Ormai so che manca poco. Ringrazio la gente che fa il tifo. In questi ulti- mi tre chilometri posso rilassarmi, ho il tempo di riflettere, di pregare, di ricordare Beno e il brutto momento che sta vivendo, di ricordare il grande Daniele Chiappa che non è più con noi. Penso ad Adelfio e alla battaglia che sta combattendo (purtroppo il 23 settembre 2008 Adelfio ci ha lasciato), penso a Elena che è in trepida attesa all’arrivo così come i parenti e gli amici. In questo quarto d’ora penso, penso a tantissime cose ed è come se le precedenti 9 ore e 20’ di fatica fossero state un’eternità. S ento la voce dello speaker, l’arrivo è vicino, mi faccio i complimenti da solo, da anni sognavo di percorrere questo tratto dopo aver fatto i precedenti 48 km. Vedo il ponte, ultima curva, vedo lo striscione d’arrivo, giungono voci note alle mie orecchie. La gioia e l’emozione sfociano in un pianto liberatorio! Non ho avuto crampi, nè crisi, ho gestito bene le energie, mi sono alimentato e idratato correttamente. Il tempo finale è di 9h38’, ma questo è un dettaglio: quello che resterà per sempre dentro di me sono le belle emozioni che ho provato e condiviso con chi mi vuol bene. Questa è la mia piccola grande vittoria! Riccardo Ghislanzoni Riccardo Ghislanzoni, classe 1980, ingegnere meccanico. Sono nato a Lecco e ho la fortuna di vivere a Ballabio, un ridente paese della Valsassina ai piedi delle Grigne. Ho sempre avuto la passione per la montagna e dal 1998 ho cominciato a correre e… non mi sono ancora fermato, anzi! Partendo dalle gare sui monti del lecchese ho poi man mano incrementato le distanze, prediligendo le skyrace: dal Trofeo Scaccabarozzi al Giir di Mont, dal Trofeo 4 Luglio al Kima e via dicendo. Ogni tanto corro anche sull’asfalto, nelle mezze e nelle maratone. Da qualche tempo è poi scoppiata in me la passione per le “ultra-trail”, le corse in natura di oltre 70 km. Ho la fortuna di correre con un gruppo di amici che nutre lo stesso amore per lo sport e per la montagna: siamo i Falchi di Lecco, visitate il nostro sito www.asfalchi.it . Ho poi la fortuna di avere il Beno come collega e come amico: con “Le Montagne Divertenti” si è proprio superato! Il mio curriculum agonistico? Beh, ho all’attivo una prestigiosa vittoria al Check-Up del San Martino (Lecco) anni or sono e un secondo posto all’Arrancabirra di Courmayeur, gara mooolto “goliardica”. Il più delle volte partecipo senza grosse ambizioni di classifica anche se poi, come dice il saggio, “la gara è gara!”. LE MONTAGNE DIVERTENTI Il mio Kima 39 Speciali d'estate Montagne in libertà Giorgio Orsucci Il rapporto fra l'Uomo e la Montagna può assumere moltissime forme, che variano da persona a persona. C'è chi per tutta la vita guarda i monti solo da lontano, c'è chi ne assaggia occasionalmente le pendici, c'è chi li ama di un amore profondo e li corteggia ogni volta che può; e ancora, c'è chi vuole la cima, chi preferisce il lago e il torrente, chi frequenta la montagna di giorno, chi la preferisce illuminata dal tramonto e dall'alba, c'è chi la condivide con gli altri, chi la gusta in solitudine. Chi di questi ha trovato il modo migliore per entrare in sintonia con la Montagna, per viverla e per capirla nel modo più completo? D ifficile, anzi impossibile e senza senso, è la ricerca di una risposta valida per tutti. In questa sede posso solo umilmente farvi partecipi della risposta che ho dato io, senza avere la pretesa che sia anche la vostra. A maggio di due anni fa ho intrapreso l'organizzazione del mio primo trekking. La mia sfrenata voglia di libertà mi faceva sentire fastidiosamente costretto nella maglia delle tappe. Il desiderio di rendermi indipendente dai rifugi mi ha spinto a cercare una forma di riparo da portarmi sempre nello zaino, utilizzabile all'occorrenza e, una volta terminata la sua funzione, ripiegabile in poco spazio per esser riposta in un antro dello zaino; un riparo dalla pioggia, dal vento, da insetti e animali, il tutto in meno di tre chili. Fu così che, armato di tenda e sacco a pelo, sono andato a scoprire quello che da quel momento avrebbe costituito per me il modo più genuino di rapportarmi all'ambiente alpino. Questa pratica è una forma di campeggio libero. Per coloro che non 40 LE MONTAGNE DIVERTENTI Alta Val Sissone, sullo sfondo il Disgrazia 2009 (7 agosto 2008, foto Giorgio Orsucci,Estate www.orsu.it) LE MONTAGNE DIVERTENTI Notte di gelo al Lago Spluga (m 2160) (25 febbraio 2007, foto Beno). hanno idea di cosa significhi – e credo non siano in pochi – non è cosa facile da spiegare. Neanche è facile ripulire l'espressione “campeggio libero” da quelle idee di illegalità e volgarità che nell'immaginario collettivo vanno spesso a gravitarvi attorno. Frequentare la montagna in campeggio libero, al netto degli atteggiamenti più o meno corretti del singolo campeggiatore, significa compiere un'escursione di due o più giorni dormendo in alta montagna in una tenda montata in serata o nel tardo pomeriggio e ripiegata il mattino successivo, lasciando il resto della giornata per proseguire l'itinerario e per trovare un altro posto dove attendare. La legislazione italiana vieta il campeggio libero; tuttavia dalle 20 di sera alle 7 del mattino l'uso di una tenda in spazi aperti è definito “bivacco d'emergenza” e non campeggio e non è pertanto sanzionato. Le varie regioni hanno poi una certa autonomia legislativa sull'argomento, ma tendono generalmente ad avere una scarsa regolamentazione (fa eccezione la Valle d'Aosta, dove il campeggio libero è consentito solo al di sopra dei 2500 metri e a buona distanza dai rifugi). Per evitare di incappare in spiacevoli controversie è preferibile tenersi sempre a debita distanza da centri abitati ed evitare di campeggiare nei prati di alpeggi e proprietà private. È inoltre opportuno verificare presso i comuni se esistano, nel periodo interessato, ordinanze sindacali o altri provvedimenti che vietino l'attendamento per motivi particolari. Ricordo infine che in parchi e riserve naturali il campeggio libero è di norma vietato (in alcuni casi, come nel Parco Nazionale del Gran Paradiso, i guardiacaccia sono particolarmente solerti nello sgomberare, anche Montagne in libertà 41 Speciali d'estate Grande libertà grande zaino C Notte ventosa a -10°C all'Alpe Vazzeda Superiore. Cerchiamo di scongelarci le mani con un fuocherello di sterpaglie dentro la baita abbandonata, ma tira più vento che fuori e ci nascondiamo in tenda dentro i sacchi a pelo (3 novembre 2006, foto Beno). in piena notte, i campeggiatori abusivi). Insomma, regna una totale confusione normativa. Al di là degli aspetti giuridici della cosa, occorre forse attenersi unicamente a un codice comportamentale dettato dal buon senso; e l'ospitalità della natura, che sa sempre donarci anche sui terreni più sconnessi un prato in piano su cui piantar la tenda, va ricambiata restituendo intonso l'ambiente in cui abbiamo sostato. Una volta spiegate le regole del gioco, posso finalmente parlare dei fattori che a mio modo di vedere fanno di questa attività un'esperienza “totalizzante”, capace di avvicinare Uomo e Montagna sino a far nascere fra le due parti un intimo dialogo. In primo luogo, essere indipendenti dai rifugi, slegati da tappe rigidamente prestabilite, ci dà la libertà non da poco di accamparci nei luoghi che più appagano i nostri sensi: sulle rive di un laghetto o di un torrente, o in punto particolarmente panoramico dove poter godere, affacciandoci appena dalla veranda, della splendida corona 42 LE MONTAGNE DIVERTENTI di cime che ci circonda: cosa altrimenti impossibile. Naturalmente anche qui agisce il buon senso, che ci ricorda che un torrente può facilmente esondare, e che campeggiare in cima a un monte potrebbe dare qualche difficoltà per la scarsa reperibilità di acqua e per la perfetta esposizione a ogni vento. Non esistono, poi, silenzio e pace più profondi di quelli che si odono in una notte in tenda in alta montagna. Intorno a noi e al nostro umile riparo rimane solo la Natura. Basta sporgersi dalla tenda per sentirne la presenza, nel frusciare dell'erba o nello scintillio della volta stellata. Altre volte non serve neanche questo sforzo: è sufficiente ascoltare il ticchettio nervoso della pioggia sulla tenda, o il sibilo del vento nell'intercapedine fra i teli, prima che il sonno addormenti ogni percezione. E quando l'alba estiva riempe il cielo di luce, è inutile tentare di dormire ancora: può impressionare con quanta naturalezza chi fa campeggio libero regoli l'orologio umano del dormi-veglia sul naturale alternarsi del giorno e della notte. Insomma, durante un'esperienza come questa, ogni azione umana è declinata secondo le regole della Natura e della Montagna. Come dimenticare poi il piacere e l'orgoglio quando, dopo alcuni giorni di cammino, ci guardiamo alle spalle e realizziamo quanta strada abbiamo percorso e quante cose abbiamo già visto, tutto con le nostre sole forze; si riscopre allora la capacità dei nostri piedi di farci ancora viaggiare e di portarci per il mondo, così come accadeva per i nostri antenati prima che nuovi mezzi di trasporto entrassero nella quotidianità di tutti. I fattori che rendono il campeggio libero un'attività di fatto assai poco praticata sono fondamentalmente la poca informazione sul tema (a cui questo articolo vuole in piccolissima parte rimediare) e l'ingente sforzo fisico richiesto, dovuto a un carico minimo da 12/13 chili e a un letto non del tutto confortevole. Spero tuttavia che questo invito venga raccolto da qualcuno di voi, volenteroso di trovare, insieme a qualche amico fidato, un contatto tanto intenso con l'ambiente alpino. Estate 2009 iò che rende il campeggio libero un'esperienza fisicamente impegnativa è fondamentalmente lo zaino con la sua insostenibile pesantezza. Durante un trekking si impara a odiarlo fieramente, e ad amare di contro il gesto liberatorio di levarselo dalle spalle e di gettarlo a terra. Per limitare al massimo questo fastidio, al momento della preparazione dello zaino occorre ponderare, bilancia alla mano, il peso di ogni singolo oggetto che decidiamo di portare, senza vergognarsi di toccare picchi estremi di ridicolo fanatismo, come comparazioni di peso fra asciugamani, torcette o mantelle: una volta in cammino saremo grati con noi stessi di aver preso la pila che pesava 23 grammi in meno dell'altra! Vediamo dunque l'attrezzatura necessaria, insieme all'indicazione del peso massimo consigliato. ZAINO: capienza minima 50L, 60-65L è l'ideale. Deve essere comodo, proporzionato alla propria statura e perfettamente regolato. < 2,5 kg. TENDA: ci occorre una tenda da trekking, ovvero studiata per garantire la massima leggerezza, rapidità di montaggio e resistenza ai fenomeni atmosferici più violenti. Diffidiamo dalle tende da campeggio stabile e da quelle a telo unico. Comode le tende a teli uniti. < 3,5 kg. MATERASSINO: puntiamo sui classici materassini da ginnastica, sconsigliabili i materassini autogonfiabili, facilmente soggetti a rottura e “scivolosi” per il sacco a pelo. Consiglio di posizionarlo sotto la tenda anziché all'interno. Per il trasporto vengono classicamente agganciati in cima allo zaino, oppure in verticale lateralmente. < 0,5 kg. SACCO A PELO: deve essere caldo, leggero e poco voluminoso. Ce ne sono ottimi modelli in piuma d'oca molto leggeri. Prestare attenzione a non farli bagnare altrimenti perdono la loro capacità isolante. Per un campeggio in luglio e agosto fra i 2000 e i 2500 metri di quota deve avere una tenuta termica In discesa dalla Forcella di Fellaria con tutta l'attrezzatura necessaria per di 5/10°C (in generale, calcoliamo al massimo 10°C una settimana in tenda (agosto 2007, foto G. Orsucci). in più della temperatura esterna minima prevista per il periodo che ci interessa). < 1,5 kg. ranno a mezzogiorno i ristoranti tipici del fondovalle o i VESTIARIO: anch'esso deve essere caldo, leggero e rifugi. poco voluminoso. Per risparmiare qualche grammo e ALIMENTAZIONE: non è questo il luogo per parlare delle parecchio spazio possiamo attrezzarci con indumenti norme alimentari che vanno rispettate per affrontare tecnici in materiale sintetico. Se non volete puzzare un'escursione di più giorni in montagna; in generale, è come il bék del Meriggio dovete considerare che, bene avere con se buona quantità di integratori salini, specie per spedizioni lunghe, i capi intimi in cotone frutta disidratata, barrette energetiche e quant'altro può liso sono più facilmente lavabili e meno soggetti a darci un rapido apporto di energie e sali minerali in caso mantenere cattivi odori. Non occorre portare molti di affaticamento. In quanto al rifornimento, va ricordaricambi, poiché quasi tutti i giorni abbiamo modo di to che al massimo ogni tre giorni occorre passare da un lavare e far asciugare gli indumenti indossati il giorno centro abitato dove poter acquistare viveri; avere con sé i precedente. < 2,5 kg. pasti per quattro o più giorni comporta un peso eccessivo FORNELLETTO: è indispensabile in assenza di punti e qualche problematica di conservazione dei cibi. d'appoggio e/o d'acqua liquida (per cucinare Bottiglie: durante un'escursione o un trekking potrebbe minestre liofilizzate alla sera, per fare un tè caldo a capitare di attraversare zone poco umide dove è difficile colazione o a merenda). Io, quando possibile, ne ho fare rifornimento d'acqua; è pertanto preferibile disporre sempre fatto a meno. Al risveglio meglio un buono di una “capacità idrica” di almeno 1,5/2 litri a persona. yogurt (o una rigenerante colazione in rifugio, se Kit di pronto soccorso: fondamentale per escursioni presente nelle vicinanze). Al tramonto, poi, la cottura del cibo è resa insopportabile dal freddo della brevi e lunghe un piccolissimo assortimento di cerotti, sera, che penetra nelle ossa del povero cuoco e fa a garze, cotone e medicinali essenziali. OGGETTI VARI: non dimentichiamo questi semplici ma pugni con la fiamma del fornello: assai più rapido e soddisfacente è allora un panino, magari preparato indispensabili strumenti: bastoncini da montagna, scotch, e mangiato in tenda, avvolti dal tepore del sacco a mollette, coltellino multiuso, torcia a led, piccolo asciugapelo. A garantire una varietà gastronomica ci pense- mano, carta igienica, saponetta, spazzolino e dentifricio. LE MONTAGNE DIVERTENTI Montagne in libertà 43 Alpinismo Sasso Manduino il grande scoglio (m 2888) Mario Sertori 44 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2009 LE LE MONTAGNE MONTAGNE DIVERTENTI DIVERTENTI Sasso S ASSOManduino M ANDUINO 45 1 - Spigolo NO 2 - Couloir O 3 - Pilastro S Fiore Selvatico 4 - Parete SE Radici del Cielo 5 - Cresta SE Spallone quota 2646 Forcella di Revelaso L’inizio fu in discesa, ma non nel senso della facilità: calammo dalla Forcella di Revelaso, come i Lanzichenecchi dallo Spluga e giù, sempre di più in quel canale sconvolto dai sassi in equilibrio precario, finchè Gualtiero disse perentoriamente che quello era il punto dal quale avremmo cominciato la nostra scalata. Il Sasso Manduino dal lago di Novate Mezzola (16 maggio 2003, foto Roberto Moiola). Sasso Manduino versante SO (15 dicembre 2006, foto Mario Sertori). Alla pagina precedente: Sasso Manduino pilastro S, via Fiore Selvatico (estate 1996, foto Mario Sertori - Guida Alpina - tel. 3496784134 - email: [email protected]). I l Sasso Manduino è una splendida montagna, anche se il suo nome, così minimalista, la relega tra i luoghi un po’ dimenticati e fuori dalle rotte dell’alpinismo trendy dei nostri giorni. Non è pizzo, punta e nemmeno cima, ma sasso. E che sasso! Già Leonardo da Vinci rimase impressionato dal quadro alpestre dove il Manduino domina potente, quando da palazzo Sforza in Milano salì a Nord verso la Valchiavenna. Ne troviamo traccia significativa nel Codice Atlantico. “…Su per o lago di Como di ver Lamagnia è valle di Ciavenna dove la Mera fiume mette in esso lago. Qui si truova montagnj sterili e altissime chon grandi scogli. In queste montagnie li uccielli d’acqua dette maragonj. Qui nasscie abeti larice eppinj, dainj, stambuche, chamoze e teribili orsi. Non ci si po’montare se none a 4 piedi. Vannoci i villani a tempi delle nevi chon grande ingiengnj per far trabochare gli orsi giù per esse ripe. Queste montagnj strette metano in mezo il fiume. Sono a desstra e assinistra per isspatio di miglia 20 tutte a detto modo….” 46 LE MONTAGNE DIVERTENTI Oggi, quando nelle giornate limpide si sbuca a Colico dagli oscuri tunnel d’asfalto, l’occhio è calamitato dal grande bastione che sembra messo lì appositamente per accogliere i viandanti, con quella sua bellezza aspra e fuori dal tempo. Per fortuna! Perché se stiamo bassi con lo sguardo, con tutti quei capannoni industriali che hanno mangiato la campagna, lo spettacolo naturale non è certo gradevole. Ma la nostra montagna rimane impassibile di fronte alle umane scelleratezze. E’ un gigante di pietra che affonda radici tenaci sulle rive del Lago di Novate Mezzola e si eleva, tra boschi e dirupi, cercando spazio e altezza fra le selvatiche balze che lo circondano. Guarda l’Ovest senza trovare ostacoli di rilievo fino alle ghiacciate propaggini del Monte Rosa, mentre a Sud lo fronteggia il più bonario Monte Legnone. Il Sasso Manduino ha una gran testa di roccia, a tratti rugosa e tempestata di cristalli luminosi, una delle più belle del Masino/Bregaglia. Nelle porzioni più articolate, barbe d’erba mordono la pietra e lottano allo stremo per conquistare posizioni. E’ una guerra totale, senza esclusione di colpi, ma alla fine lei, la nuda roccia, ha la meglio sui reggimenti erbacei e di slancio conquista muri, congiunge creste con canaloni, si raddrizza e si adagia con mille contorsioni. A guardarlo bene si capisce che più che un monte è un’entità, un essere minerale di forte carattere, abituato a resistere con cocciuta saggezza alle avversità dell’esistenza. Le sue pareti e i crinali sono di grande attrazione ed hanno stimolato generazioni di alpinisti, dalla comitiva condotta dall’abile guida bergamasca Antonio Baroni di cui facevano parte Magnaghi, Allievi e Riva, che per prima mise piede sulla cima il 17 agosto del 1896, ai moderni arrampicatori che ancora trovano spazio per nuove vie. Nel mezzo si srotola la lunga pergamena con nomi e cifre, frammenti pulsanti dell’energia vitale che gli scalatori hanno dedicato a questa montagna. Tra loro Giuseppe Buzzetti, il leggendario prete chiavennasco che da solo si infilò nel dedalo di canali sulla severa e lunghissima Sud-Ovest Estate 2009 e riuscì a venirne a capo, forse anche con l’aiuto della fede, ma soprattutto con una tenacia fuori dal comune. Era l’estate del 1905 o 1906, le cronache non sono molto precise in merito, ma quello che invece è sicuro è che Buzzetti scomparve qualche anno più tardi, nell’agosto del 1934. L’ultimo suo segno di vita, un messaggio in una scatola metallica, fu rinvenuto poco a valle della sommità della Punta Torelli. Poi più nulla, il vuoto. Lo cercarono in molti, setacciando la zona palmo a palmo, purtroppo senza esito. Don Buzzetti non morì, non cadde, non se ne andò, ma semplicemente svanì da quei monti e dalla vita di tutti i giorni. Su di lui è stato pubblicato un libro molto interessante1, che tuttavia non è riuscito svelare i misteri della sua dipartita e solo in parte quelli di un’esistenza avventurosa. Un altro personaggio che ha cercato nuove strade e nuove risposte alle domande di una vita verticale irrequieta è Ivan Guerini, uno scalatore milanese che diede un forte impulso, negli anni settanta, alla nascita del Sassismo e al rinnovamento dell’alpinismo, perso allora nel vicolo cieco 1 -Guglielmo Scaramellini, Guido Scaramellini, Paolo De Pedrini, Alberto Benini, Il prete scomparso. Storia dell’alpinista don Giuseppe Buzzetti, Club Alpino Italiano sez. Chiavenna 2002. LE MONTAGNE DIVERTENTI delle artificiali. Dopo un fecondo periodo di meravigliose inedite arrampicate in Val di Mello, Ivan trovò sulle pareti del gigante della Val dei Ratti ciò che cercava: la libertà di orientare la propria bussola secondo l’istinto e le capacità del momento. In questo suo stato di grazia realizzò una serie di impressionanti nuove salite, con compagni e anche in solitudine, portando sul Sasso la modernità delle difficoltà elevate, della purezza di stile e la fantasia dei nomi. Fu indubbiamente un nuovo mattino, un momento fortemente propositivo in cui Ivan e i suoi compagni non lasciarono tracce evidenti, seguendo lo spirito dei pionieri che li avevano preceduti: queste vie sono infatti avvolte da un alone di mistero, una nebbia che nemmeno gli alpinisti che sono venuti dopo sono riusciti a far evaporare completamente. Il mio incontro con il Sasso Manduino scaturì - quasi vent’anni più tardi - dal contatto con Gualtiero Colzada, una guida alpina che vive ai piedi della montagna e che conosce ogni anfratto di questi luoghi suggestivi. Ci affascinava quella muraglia così alta e verticale, esposta e lontana. Già arrivare alla base del nostro progetto fu un’avventura, che prese avvio poco sopra le sponde del lago di Mezzola e proseguì, per ore e chilometri, fino a raggiungere l’alta Valle dei Ratti e il Rifugio Antonio Volta, un avamposto solitario straordinariamente accogliente, ai piedi del versante orientale del Sasso. L’inizio fu in discesa, ma non nel senso della facilità: calammo dalla Forcella di Revelaso, come i Lanzichenecchi dallo Spluga e giù, sempre di più in quel canale sconvolto dai sassi in equilibrio precario, finchè Gualtiero disse perentoriamente che quello era il punto dal quale avremmo cominciato la nostra scalata. Non mi permisi di contraddirlo, anche se dubbi ne avevo parecchi, essendo ancora completamente buio. Sapevo e confidavo nel fatto che il mio amico aveva in testa la mappa della bastionata e ciò gli permetteva di orientarsi anche senza luce. Nonostante la giovane età, aveva un’esperienza che nemmeno se avessi vissuto dieci vite sarei riuscito ad accumulare: questo prezioso sapere gli era stato trasmesso dai suoi predecessori, ma soprattutto dal genio del luogo che lo aveva preso sotto la sua ala. Salimmo dapprima aggrappandoci all’erba verticale come tirando dei capelli di strega, poi finalmente arrivò la luce dell’Est e con lei la roccia compatta prese il sopravvento. Fu un lungo navigare su placche, diedri e pilastri increspati di sole che Sasso Manduino 47 Alpinismo Rossano Libéra nel marzo 2009 ha salito la schiena gelata del Manduino. Partito da casa a piedi ha raggiunto la base della parete SO passando dal Vallone di Revelaso, quindi si è arrampicato fin sulla cima del Sasso seguendo un esile filo di cascate ghiacciate e canalini nevosi ci tennero in azione per parecchie ore con un’interminabile sequenza di tiri di corda, sospesi sullo scosceso Vallone di Revelaso e, più in basso, sull’orizzontale superficie del lago. Quello che ho ancora ben impresso nella memoria è il superamento di una liscia placca con pochissime possibilità di assicurazione e ancor meno punti di riposo, che impegnò entrambi a fondo per via dell’andamento diagonale e poi, verso la fine del pilastro finale, le splendide fessure che incidono il dorso di granito. La battezzammo Fiore Selvatico per ricordare il carattere deciso e poco incline alla socialità del nostro angolo di Manduino. Tornammo un anno dopo attaccando nel centro la parete Sud, la più ripida della montagna. Seguimmo un’invisibile filo di Arianna che attraverso placche, fessure e diedri atletici ci condusse dove la lavagna si spegne contro la cresta Sud-Est. Avevamo trovato Le Radici del Cielo, nome che ci permettemmo di rubare al libro dell’amico Andrea Gobetti. La via - difficile ed estetica, ma soprattutto su una roccia degna del miglior granito del Masino - è stata ripetuta da Rossano Libéra, uno dei più forti alpinisti italiani delle ultime generazioni che ne ha confermato difficoltà e bellezza. Sulla Ovest della stessa montagna Rossano ha anche passato una mini-vacanza invernale nel 2000, aprendo nel corso di 4 giorni la via Dormi e Sogna, lungo itinerario dedicato a suo padre, scomparso quell’anno. Nell’intreccio di vicende che lega i destini dell’uomo alla montagna, c’è purtroppo da ricordare anche la perdita del fratello gemello di Rossano, Corrado che, nel 2007, dopo aver 48 LE MONTAGNE DIVERTENTI La Normale al Manduino BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ PARTENZA: contrada Piazzo (m 600 ca). ITINERARIO AUTOMOBILISTICO: usciti dalle gallerie della SS38 a Colico seguire le indicazioni per Chiavenna. A Verceia, poco dopo il ponte sul torrente Ratti, girare a dx (indicazioni “Al Sert”) e prendere una strada in salita che, sempre tenendo la sx, con numerosi tornanti raggiunge la contrada Piazzo dove si parcheggia l’automezzo. ITINERARIO SINTETICO: Piazzo (m 600 ca) Càsten (m 975) - Frasnedo (1287) - Corveggia (m 1221) - Càmera (m 1792) - Alpe di Talamucca (m 2080) – Rifugio Volta (m 2212) – Sasso Manduino per il versante E (m 2888). TEMPO DI PERCORRENZA PREVISTO: 7 ore e mezzo per la salita. ATTREZZATURA RICHIESTA: 2 corde da 50 m, casco, imbraco, cordini, qualche chiodo. DIFFICOLTÀ: 4+su 6. DISLIVELLO IN SALITA: 2288 metri. DETTAGLI: passaggi su roccia fino al III+. Carte: Kompass 1:50.000 foglio n. 92 Chiavenna-Val Bregaglia. Il Sasso Manduino visto dalla Brusada (28 marzo 2005, foto Roberto Moiola). La via Normale al Sasso Manduino (1) e la cresta SE (2) viste d'inverno dallaValle dei Ratti (foto Rossano Libera). scalato brillantemente Radici del Cielo con Francesco Oregioni, ha avuto un incidente in discesa, sull’ultima corda doppia. Infine è recentissima (metà del marzo 2009) l’“escursione” solitaria di Rossano Libéra sulla schiena gelata del Manduino. Partito da casa a piedi ha raggiunto la base della parete Sud-Ovest passando dal Vallone di Revelaso, quindi si è arrampicato fin sulla cima del Sasso seguendo un esile filo di cascate ghiacciate e canalini nevosi interrotti ogni tanto da passaggi su roccia. Dopo sole 16 ore era di nuovo a casa sua. l Manduino non è solo roccia verticale e pareti da cardiopalma, il Sasso è democratico e lascia spazio a tutti. La cresta Sud-Est e lo spigolo Nord-Ovest sono delle classiche I molto attraenti, ma è sul versante Est, proprio di fronte al Rifugio Volta, che si trova la Normale, una nicchia mansueta dove il salire alla moda degli antenati è la regola: il docile percorso, tra cenge, canali e brevi gradini, porta allo spettacolare passo finale, quello che richiede l’ultimo piccolo ardimento e deposita sulla cima stretta di una montagna tanto vicina alla vista, quanto lontana da raggiungere, che offre panorami da capogiro e la contemplazione della potenza della natura2. 2 - Per conoscere nel dettaglio le vie di scalata del Manduino si può consultare, tra una ricca bibliografia, Solo granito, la guida alle arrampicate classiche e moderne nel Masino Bregaglia Disgrazia di Mario Sertori e Guido Lisignoli – Versante Sud edizioni 2007 e 2009. Estate 2009 L a via Normale al Manduino viene raggiunta per la Val dei Ratti, la prima grande valle che si incontra entrando in Val Chiavenna sul suo lato orientale. Il torrente che la percorre, il Ratti, nasce alle pendici del Pizzo Ligoncio e dopo una decina di chilometri si tuffa nel piccolo Lago di Novate Mezzola. Solitaria e selvaggia, anche se meno dirupata della vicina Val Codera, ha sul suo territorio cime di sicuro interesse come il Sasso Manduino, con i suoi satelliti, e il Pizzo Ligoncio, le prime importanti elevazioni del gruppo del Masino. Il centro principale della valle è l’affascinante borgo di Frasnedo LE MONTAGNE DIVERTENTI (m 1287), un tempo stabilmente abitato. Il punto d'appoggio è il Rifugio Volta, posto a m 2212. D a Piazzo, con una serie di tornanti si guadagna presto quota, si taglia il tracciolino (strada con binari in uso alla società idroelettrica Sondel) e si arriva infine in prossimità del piccolo abitato “estivo” di Càsten (m 975). Si lascia a dx la deviazione che scende al bacino artificiale e, proseguendo lungo il tracciato sempre molto ripido, si giunge a Frasnedo (m 1287). Dal paese si scende per un tratto, attraversando una valletta, e si perviene le baite di Corveggia (m 1221). Passando per Tabiate Sasso Manduino 49 Alpinismo Sasso Manduino per lo spigolo NO BELLEZZA FATICA PARTENZA: Mezzolpiano (m 300). ITINERARIO AUTOMOBILISTICO: da Novate Mezzola (circa 10 km dal trivio Fuentes) imboccare sulla dx, poco dopo la stazione ferroviaria, la strada per la frazione di Mezzolpiano (m 300), dove si posteggia l’auto. ITINERARIO PERICOLOSITÀ SINTETICO: Mezzolpiano (m 300) – Codera (m 825) - Mottala – In Cima al Bosco Alpe Ladrogno (m 1700) - Bivacco Casorate Sempione (m 2100) – Sasso Manduino (m 2888) per lo spigolo NO. TEMPO I 50 LE MONTAGNE DIVERTENTI RICHIESTA: corda (50 metri minimo), casco, imbraco, cordini, friend, nut, eventualmente ramponi per l’attacco. Soste attrezzate, portare qualche chiodo per rinforzarle. DIFFICOLTÀ: 5+ su 6. DISLIVELLO IN SALITA: 2588 m. DETTAGLI: Scalata molto interessante su roccia (IV+) di buona qualità (tranne nella parte iniziale). 11 tiri di corda. Accesso lungo e isolamento garantito. Carte: Kompass 1:50.000 foglio n. 92 Chiavenna-Val Bregaglia. Prima ascensione: V. Schiavio M. Gallone e O. Bignami nel 1922. 8 ore e mezzo per la salita. Il Sasso Manduino visto dalle pendici occidentali della Cima del Desenigo (17 novembre 2007, foto Beno). (m 1253) ed una fascia boscosa, ci si innalza fino a Càmera (m 1792), caratterizzata da una bella piana erbosa, dove si apre la parte orientale della testata della valle, con le vette dal Pizzo Ligoncio a N fino al Monte Spluga più a S. Il sentiero si fa più pianeggiante e raggiunge un bivio dove, imboccando la via a sx, si ricomincia a salire fino all'Alpe di Talamucca (m 2080). La salita continua ancora per alcune centinaia di metri lungo i quali si attraversano numerosi ruscelli, arrivando così infine al rifugio. nvece di salire a sx, dall'Alpe Càmera si può proseguire, con una variante più lunga, fino al centro del salto roccioso finale della valle, passando dal lato dx idrografico a quello sx, per salire lungo un valloncello, piegare a sx e raggiungere da E l'Alpe Talamucca e da qui il Rifugio Volta (m 2212, ore 5). Il rifugio non è custodito e le chiavi sono reperibili presso la fami- DI PERCORRENZA PREVISTO: ATTREZZATURA glia Oregioni di Verceia, tel. 0343/44064. Dal rifugio Volta, attraversare verso la base della parete E del Sasso Manduino. Attaccare a valle della verticale calata dalla cima, nei pressi di un’evidente cengetta che sale Il Rifugio Volta (foto Luca Colzani - www.balconisullealpi.it). in direzione dello spallone di quota 2646, punto dove dà sulla Val Revelaso. Un breve ma la cresta SE diviene ripida (ometti in ostico camino, formato da una lastra pietra). Facilmente su pendio erbo- appoggiata, deposita ad un ballatoio so e placche da dx a sx, fino ad una sotto la cuspide finale. Con gradevozona più appoggiata. Da qui deci- le arrampicata si tocca il panoramisamente in obliquo verso dx fino al cissimo punto culminante (m 2888, canale che scende dalla vetta (segni ore 2:30). DISCESA: dalla vetta con 3 doppie di passaggio). Risalire dapprima sulla sua dx, poi con percorso sinuoso da 25 metri attrezzate, poi per la via pervenire al caratteristico pertugio che di salita (ometti di pietra). Estate 2009 L 'accesso allo spigolo NO del Manduino è la Val Codera, un lungo solco prevalentemente pianeggiante che dalle propaggini occidentali della Punta Trubinasca e delle altre cime che la separano dalla Val Masino e dalla Val Bondasca si dirige verso il lago di Novate Mezzola. Il paese di Codera, un tempo abitato stabilmente, è il nucleo principale della valle. Le sue case sembrano piccole fortezze, le une addossate alle altre come per trovare il calore di un abbraccio e farsi coraggio in un ambiente così aspro. Il granito è ovunque, poche zolle di terra sono rimaste aggrappate, con tenacia, alla roccia scoscesa della grande forra. Codera sembra uscire da un buco del tempo: è un patrimonio straordinario custodito con amore nel corso degli anni, preservato da insidie di ogni genere. Qui non salgono né strade né funivie, ma il minuscolo borgo non è mai del tutto spopolato, malgrado le difficoltà di organizzare una vita quassù. La Val Ladrogno è un importante laterale della Val Codera posta sulla sx idrografica: estremamente selvatica e faticosa da raggiungere offre a chi la risale ambienti di notevole pregio naturalistico. Nella parte superiore è posizionato il Bivacco Casorate Sempione (m 2100, 12 posti letto), ottima base per le ascensioni del Manduino da O. LE MONTAGNE DIVERTENTI Lo spigolo NO del Manduino (30 luglio 2006, foto Luca Bono). D a Mezzolpiano (m 300) ha inizio la mulattiera di accesso alla valle che sale lungo il versante orografico dx (indicazioni). Lo spettacolare sentiero, in parte intagliato nella roccia e sospeso su impressionanti forre, conduce a Codera (m 825, ore 1:30). Seguire il segnavia A7 che porta al lato opposto della valle (due magnifici ponti in pietra), attraversare la forra della Val Ladrogno e risalire il ripido pendio (indicazioni per il Bivacco Casorate Sempione e per la Val Ladrogno) fino a pervenire al “tracciolino”, strada già in uso alla società elettrica. Seguire il sentiero, ben segnalato, in salita nel bosco e attraversare un prato fino a incontrare le baite di Mottala e quella di In Cima al Bosco. Costeg- Il Bivacco Casorate Sempione (30 luglio 2006, foto Luca Bono). Sasso Manduino 51 Alpinismo giare il versante sinistro orografico della Val Ladrogno, arrivare ad alcune cascate, aggirarle sulla dx e proseguire un po’ verso sx fino alla baita dell'Alpe Ladrogno (m 1700). Continuare nel ripido bosco dietro la baita fino ai pascoli superiori della valle, traversare verso dx, risalire ancora per pascoli sassosi e, con un'ultima deviazione a sx, raggiungere il bivacco posto nel centro alla valle (m 2100, ore 3:30 da Codera). Dal Bivacco Casorate Sempione per deboli tracce attraversare alcune vallette e canali, fino ai nevai sottostanti la parete NO (ore 1:30 dal bivacco). Si attacca in fondo al canale che porta alla base dello spigolo, presso il marcato intaglio che si affaccia sulla Val Revelaso. Continuare per lo spigolo fino alla vetta (m 2888, IV+, ore 2 dal canale). Discesa: in doppia sulla via (verificare gli ancoraggi). Il cupo vallone di Revelaso (foto Mario Sertori). Cavalcorto il siluro di Valmasino (m 2763) Salire sul Cavalcorto è più un avventura che un trekking classico: dimenticatevi comodi sentieri ben segnati e rifugi in quota, non troverete niente di tutto questo. E’ un luogo per gli amanti della wilderness e di quella montagna ruvida che ti lascia addosso i graffi e l’odore della vegetazione contro cui bisogna scontrarsi per trovare un passaggio. Francesco Avanti 52 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI Sasso Manduino 53 Alpinismo BELLEZZA PARTENZA: Bagni di Masino (m 1172). ITINERARIO AUTOMOBILISTICO: dalla SS 36 uscire per Val Masino e proseguire fino a Bagni di Masino (SP 9). FATICA PERICOLOSITÀ ITINERARIO SINTETICO: Bagni di Masino (m 1100) – Sassoni “Thermophili” (m 1500) – Cascata di Sione (m 1700) - Sassone al centro della valle (m 2100) - Cima Cavalcorto (m 2763). TEMPO ATTREZZATURA RICHIESTA: nessuna se affrontato in assenza di neve. DIFFICOLTÀ: 3- su 6. DISLIVELLO IN SALITA: 1592 metri. DETTAGLI: EE/alpinistica F- . Sentiero non segnato possibilità di perdersi. Passi su roccia di II+. DI PERCORRENZA PREVISTO: 5 ore per la salita. Il Cavalcorto versante SO (1 settembre 2006, foto Mario Sertori). A pag. 53: il Cavalcorto lato S. Martino (23 aprile 2009, foto R. Ganassa). E A sistono montagne famose e montagne che non lo sono affatto. I motivi di questa differenza sono un affare di noi esseri umani perché le montagne sono, di fatto, tutte uguali. Non è chiaro il perché una montagna diventi più famosa di un'altra. In passato c'erano motivazioni legate, per esempio, alla storia della prima salita, come fu per il Cervino, o al valore simbolico della montagna stessa che potrebbe essere la più alta, la più ripida, la più a N. Ci possono essere anche delle motivazioni estetiche, ma sta di fatto che, al giorno d’oggi, possiamo tranquillamente affermare che ci sono delle montagne che vanno di moda, montagne che stanno sulla bocca di tutti, o montagne selvagge che pochi conoscono: il Cavalcorto va inserita tra quest’ultime. Chi va in montagna sceglie le proprie salite anche in funzione di questa “notorietà” e per questo motivo il Cavalcorto è sempre rimasto nell’ombra, oscurato dalla fama dei suoi illustri vicini, dal Badile al Disgrazia, dal Cengalo alla Cima di Castello. Ben visibile appena si arriva a Cataeggio in Val Masino, il Cavalcorto è quella grossa montagna che chiude l’orizzonte sulla sx accanto alla Valle del Ferro e la cui cima è, sul lato sx, preceduta da un enorme missilone di granito… Da un punto di vista orografico è assimilabile ad un balcone di 2700 metri posto in mezzo al cerchio che formano le montagne del Masino ben più alte, dunque una montagna di grandissimo valore poiché, grazie a questa sua posizione, consente, dalla cima, di godere di un panorama a 360 gradi sull’intera Val Masino. rrivati a San Martino, si prosegue lungo la SP 9 alla volta dei bagni di Masino e si parcheggia a quota 1172 metri. Da qui occorre prestare attenzione ai cartelli che indicano il sentiero per la Capanna Gianetti. Superato l’albergo dei Bagni di Masino si entra in una pineta e, alla fine di questa, oltre una recinzione con delle case sulla sx, si lascia la sterrata e si attraversa un prato. Giunti in prossimità di un grosso sasso ormai nelle vicinanze del bosco inizia il sentiero vero e proprio per il Rifugio Gianetti, ottimamente segnato e molto frequentato. Si segue fedelmente il tracciato segnalato all’interno di uno splendido bosco di abeti prima e di magnifici faggi poi, fino ad una radura con delle baite da cui è visibile il famoso Pizzo 54 LE MONTAGNE DIVERTENTI LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2009 Badile (m 1400 ca). Il sentiero continua passando fra due enormi blocchi di granito noti come le Thermophili. Si continua a salire e, superata un’altra radura con baite, il sentiero inizia a rimontare il lato dx della valle (sx orografico), con ampie svolte tra la vegetazione. Si arriva in prossimità del Torrente di Sione (m 1705, vecchi paletti metallici ed una catena, ore 1:20) . Lasciato il sentiero per la Gianetti, si sale a dx (E) costeggiando la placca di granito della cascata (fare molta attenzione se bagnato). La traccia, ripida e assai discontinua, è praticamente inghiottita da sadici arbusti: sono vivamente consigliati i pantaloni lunghi! Arrivati sotto una fascia rocciosa, ci si inerpica tra i cespugli. Questo è il tratto più impegnativo della salita, sia per la pendenza elevata, che per la facilità di perdersi: dovremo riscoprire i nostri istinti da animale selvatico. Usciti dal mare di cespugli, si attraversa una zona di pascolo e rocce affioranti ancora un po’ ripida, seguendo gli ometti o le tracce di animale si arriva nel grosso piano di Sione (m 2100 ca). La pendenza diminuisce e incontriamo una splendida zona pianeggiante di pascolo disseminato di blocchi di granito; ci dirigiamo verso uno di questi, posto sulla mezzeria della valle e particolarmente grosso. Da qui è possibile, oltre che tirare il fiato dopo la difficile salita tra la vegetazione, ammirare la parte alta della Valle di Sione e, in alto alla nostra dx (S), la cresta del Cavalcorto con l’inconfondibile missilone dell’anticima. Cavalcorto 55 Alpinismo Valmalenco Dal massone ci si dirige verso dx (S). Attraversato il prato disseminato di blocchi, un sentierino abbastanza visibile sale su una rampa in diagonale e si sposta nella parte dx della valle (sx orografica). Siamo così in linea con la cima del Cavalcorto, da qui è ben visibile il famoso missilone dell’anticima. Si continua a salire seguendo sporadiche tracce ed ometti fin sotto una fascia rocciosa con una cascata, si obliqua verso N (sx), poi si devia verso dx e ci si porta al di sopra del salto roccioso in prossimità dell'intaglio della cresta che si affaccia sopra San Martino e l’intera Val Masino. Ormai si vede bene il missilone e la Cima del Cavalcorto verso cui puntiamo senza via obbligata tra grossi massi e placche facili di granito (prestare comunque attenzione). Arrivati sul filo della cresta che divide la Val del Porcellizzo da quella del Ferro, di cui il Cavalcorto è l’ultima cima verso S, ci dirigiamo verso dx. Una facile e divertente arrampicata tra blocchi di granito, mai esposta, Il siluro sotto la cima del Cavalcorto (3 agosto 2008, foto R. Ganassa). con passaggi di II grado superiore, ci porta sulla vertiginosa e panoramica Cima del Cavalcorto (m 2763, ore 3:30). La vetta è totalmente rocciosa e abbastanza esposta verso S. La vista spazia su tutto il gruppo del Masino, dal Badile al Disgrazia, in lontananza, oltre il solco della Val Masino, le cime orobiche completano il panorama. La discesa va affrontata con la medesima concentrazione della salita perché è molto semplice perdere la traccia e potersi trovare in serie difficoltà. Si può riscendere al sassone nel prato attraverso la stessa strada di salita oppure, come ho fatto io, scendere sull’altro versante della valle. In tal caso bisogna prestare molta attenzione perché le tracce e gli ometti sono assai rari e ci sono parecchi salti di roccia. Il vuoto oltre la Cima del Cavalcorto (3 agosto 2008, foto R. Ganassa). Verso la vetta del Cavalcorto dalla via Normale. Sotto: San Martino dalla vetta del Cavalcorto (3 agosto 2008, foto R. Ganassa). 56 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI Cavalcorto 57 Escursionismo L'anello della Cima del Duca Una due giorni con partenza e arrivo a Chiesa Valmalenco in cui seguiremo le fatiche dei portatori che negli anni '20 condussero a spalla i materiali per i lavori di captazione delle acque del Lago Pirola. Quindi, dopo aver riposato nella bucolica piana del Ventina, punteremo al Lagazzuolo per il Buchél del Can, con la possibilità per gli alpinisti d'ascendere la maestosa Cima del Duca, vetta dalle rocce rosso fuoco tanto bella quanto scarsamente frequentata. Beno 58 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI L'Alpe e il Rifugio Ventina sovrastati, a sx, dall'imponente Cima del Duca (8 ottobre 2005, L'anello della Cima del Duca foto Luciano Bruseghini). 59 Escursionismo Valmalenco Il Lago Pirola e, sullo sfondo da sx, il Torrione Porro (m 2357), la Punta Baroni (m 3203), il Monte Sissone (m 3331), la Cima di Rosso (m 3366) e la Cima di Vazzeda (m 3302) (18 settembre 2002, foto R. Moiola). Giorno 1 BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ - PARTENZA: Chiesa V.co, parcheggio di Vassallini. ITINERARIO AUTOMOBILISTICO: da Sondrio Rifugio Ventina, m 1965). TEMPO DI PERCORRENZA PREVISTO: prendere la SP 13 della Valmalenco per Lanzada. Alla rotonda (km 13) che smista le auto fra Lanzada e Chiesa imboccare la II: dopo 100 metri sulla sx c'è il parcheggio di Vassalini. 6 ore e mezzo; ITINERARIO SINTETICO: Chiesa Valmalenco (parcheggio di Vassalini, m 956) - ponte del Curlo Giuel (m 1097) - Sabbionaccio - Chiareggio (m 1612) - Alpe Pirola - Lago Pirola (m 2284) Alpe Pirola (m 2096) - Alpe Ventina (Rifugio Porro o DIFFICOLTÀ: 2- su 6. DISLIVELLO IN SALITA: 1300 metri. DETTAGLI: E, escursione lunga ma su comodi ATTREZZATURA RICHIESTA: da escursionismo in alta montagna + corda, piccozza, ramponi, fettucce per l'ascensione alla Cima del Duca. sentieri segnalati. Giorno 2 BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ PARTENZA: Alpe Ventina (m 1965). ITINERARIO SINTETICO: Alpe Ventina (m 1965)- [Bocch. di Lagazzuolo (m 2750 ca) - Cima del Duca (m 2968) - Bocch. di Lagazzuolo] - Buchèl del Can - Lagusc - Lagazzuolo - Sabbionaccio - Primolo (m 1284) - Chiesa Valmalenco (parcheggio dei Vassallini, m 956). TEMPO DI PERCORRENZA PREVISTO: 6 ore (calcolare 5 ore e mezzo in più con l'ascensione alla Cima del Duca). DIFFICOLTÀ: 2+ su 6, 4 su 6 con l'ascensione alla Cima del Duca. DISLIVELLO IN SALITA: 1300 ca. DETTAGLI: EE la parte escursionistica. Passaggi su terreni sconnessi e pietraie di grosso calibro molto accidentate. PD l'ascensione alla Cima del Duca: tratti probabili su neve e ghiaccio per raggiungere la Bocchetta di Lagazzuolo, passi su roccia fino al III nel percorrimento dello spigolo N (via Normale) alla Cima del Duca. solo per la vetta 60 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI L'anello della Cima del Duca 61 Escursionismo Valmalenco Con un carico di 50 kg di cemento quanti di noi riuscirebbero a percorrere la prima tappa di questa escursione? Certamente pochi, ma meno di cent'anni fa i malenchi furon capaci di portare a spalla 800 quintali di cemento dal ponte del Curlo fino al Lago Pirola. GIORNO 1 bbandonata l’auto al parcheggio di Vassalini, quello di fronte alla piscina, attraverso il ponte sul Mallero e seguo la strada principale fino al ponte del Curlo1. A dx dell’Hotel Genzianella (cartelli segnaletici del Sentiero Rusca2) prendo la vecchia strada selciata che sale a O e, dopo pochi tornanti si interrompe conficcandosi nei detriti delle cave gettati dal Castelàsc. Il sentiero piega a sx e mi porta a un poggio panoramico con 2 pali della corrente. Dovrei prendere la rotabile per San Giuseppe che è poco più in alto di me (O, dx), ma tutti i tentativi di raggiungerla direttamente finiscono nei capannoni della Nuova Serpentino d'Italia. Con faccia di tola, comunque, entro nella proprietà privata stando a ridosso della recinzione che corre sulle rocce e guadagno la strada a pochi metri dall'ingresso dello stabilimento3. Dovunque siate passati, comunque, dovrete seguire la strada per San Giuseppe fin’oltre i capannoni del serpentino. Sulla sx dell’asfaltata (S), al margine inferiore del Giuèl4, si diparte la A 1 - Poco più a monte del ponte si può notare la presa dell’acqua che capta le acque del Mallero e le convoglia, tramite condotte forzate, alla centrale di Arquino. 2 - Toponimo recentemente attribuito all’antica via carovaniera che conduceva da Sondrio al Passo del Muretto (m 2562) e quindi ridiscendeva fino a Maloja (m 1815). Il tracciato è stato da poco riqualificato dalla Comunità Montana di Sondrio e si presta, nella sua versione integrale, per una gita di 3-4 giorni. 3 - L'alternativa legale è quella di scendere dal poggio panoramico fino ai Costi e da qui continuare verso S fino a incrociare e seguire via Bernina in direzione San Giuseppe. 4 - In letteratura viene italianizzato come “Giovello”, è il ripido costolone ricoperto di detriti dove dal 1300 al 1987 – quando anche la compagnia di Olicvo Gianfranco cessò l’attività- è stato estratto il serpentino tramite numerosi cunicoli ipogei tutt’ora osservabili. 62 LE MONTAGNE DIVERTENTI La prima parte dell'escursione si svolge tra i caotici agglomerati cementizi di Chiesa, ma in soli 30' ci si può lasciare tutto alle spalle e iniziare la vera avventura (2 maggio 2009, foto Beno). Chiareggio e, sulla dx, la possente Cima di Vazzeda (19 giugno 2005, foto R. Moiola). del guardiano, sono al Lago Pirola (m 2284, ore 0:30), oggi di colore blu cobalto. Il lago ha una forma insolitamente allungata da E a O che ne testimonia la probabile origine tettonica: si trova infatti lungo la linea di contatto tra le serpentine, che verso S formano la Valle Ventina, e le formazioni della falda della Margna che caratterizzano il paesaggio geologico verso N. A E posso vedere la depressione tra il Monte Senevedo e la Punta Rosalba: il Buchèl del Can, il valico che conduce in Valle Orsera. Sulla dx appare imponente la Cima del Duca (m 2968), mentre, portandomi sulle bastionate rocciose che cingono il lago a N, quindi per sentiero sulla sponda opposta all'argine, posso apprezzare uno scorcio suggestivo sui Gemelli di Chiareggio (Cima di Vazzeda, Cima di Rosso). R Il Giuèl è attraversato da un sentiero di recente ripavimentazione . Il tracciato di salita è qui visto da Albareda (2 maggio 2009, foto Beno). La Porro si trova all'Alpe Ventina a m 1965 (8 ottobre 2005, foto L. Bruseghini). pista di servizio delle cave d’ardesia (m 1150 ca, ore 0:30). Al primo tornante ha inizio il sentiero selciato che attraversa il Giuèl, l’antico sito estrattivo della Valmalenco. E’ impressionante il contrasto fra quest’area e la grande cava sulla sponda opposta della valle. Nel Giuèl centinaia di anni di attività umana hanno creato solo una piccola zona di detriti, mentre con ruspe e dinamite in poche decine d’anni si è sbancata la montagna di fronte a noi. Passo accanto al “Sas di Crus” e ad alcuni tunnel ben visibili. Da questi buchi, che s’insinuano per centinaia di metri nei meandri della Terra, ghivi primaverili. Ignorata la deviazione per La Zocca, proseguo dritto sul bel sentiero fino al ponte sul Mallero. Giunto sull'altra sponda, prendo la sterrata che sale (O) in località Sabbionaccio, quindi, senza più possibilità di perdermi, vado per la pista di sci di fondo fino a Chiareggio (m 1612, ore 2:30), dove appoggio a terra per qualche istante il gerlo col cemento e ammiro la maestosa testata della valle. Attraverso il Mallero e mi riporto sulla dx idrografica, dove c’è subito un bivio. Io vado a sx: il tragitto più breve per il Lago Pirola sale il versante settentrionale del Monte Senevedo. Per ripida pecceta sono all’Alpe fuoriesce aria a temperatura costante (8-10°C) che d’estate par fredda e d’inverno calda. Mette malinconia sapere che, fra pochi anni, anche i cunicoli superstiti, testimonianza di secolare paziente estrazione e lavorazione artigianale del serpentino, crolleranno e svaniranno tutti5. La via prende quota fino ad intercettare il sentiero Primolo-San Giuseppe, che prosegue senza grossi dislivelli attraversando varie vallecole sedi di impressionanti depositi valan5 - Ora l’attività estrattiva è divenuta da artigianale a industriale con molti meno addetti ai lavori, specie locali. I siti sono grandi cave a cielo aperto che segnano profondamente e rumorosamente il paesaggio malenco. Estate 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI Zocche (m 1775), dove si trova anche il bivio per l’Alpe Pirolina (E). Lo ignoro e salgo deciso verso SO. Passo al di sotto di alcune rocce, affronto un tratto con corde fisse (nessun problema irrisolto dell’alpinismo: servono solo per prevenire scivoloni sui sassi bagnati), e, oltre il bosco di larici, esco all’Alpe Pirola dove, a monte delle baite da tempo in disuso, c’è una bella cascata (m 2096, ore 1:30). Mi siedo nuovamente: attorno a me il rumore dell’acqua e strani giochi d'ombra sulle Tre Mogge. Centocinquanta metri di dislivello verso S e, oltrepassata la vecchia casa acconta Bruno Galli-Valerio (27 agosto 1904): “Risalendo attraverso pascoli, raggiungiamo una cresta: sotto di noi, a picco appaiono le acque azzurro cupo del lago Pirola. Il vento le increspa e si sente il rumore dell'acqua che batte contro le roccie. Sulla nostra sinistra, le gande salgono ai passi del Ceresone e del Can, al di là del quale si vede una piccola vedretta. Davanti a noi sta imponente, il Disgrazia. A destra, la vedretta del Vazzeda, la Cima di Rosso e il Monte del Forno. Un bel quadro, incorniciato da una splendida cornice. [...] Le ombre della sera cominciano a stendersi sul lago e diffondono un'infinita malinconia. Giunti all'estremità del lago, verso Val Ventina, ci portiamo di nuovo all'alpe Pirola e alle sei e mezzo, a Chiareggio troviamo la minestra fumante sulla tavola.” T ornato all'Alpe Pirola seguo il sentiero che, traversando prima a O poi a S, aggira il Torrione Porro (m 2357) e, intercetta a poca distanza dalla Porro la mulattiera che sale da Chiareggio, sbuco sulla piana dell'Alpe Ventina (m 1965, ore 1:20 dal Lago Pirola). E' proprio quassù, al Rifugio Gerli-Porro (gestore Floriano Lenatti - tel. 0342-451404) o al Rifugio Alpe Ventina (gestore Diego Lenatti, tel. 0342-451072), che vi consiglio di pernottare per spezzare l'anello. L'anello della Cima del Duca 63 Escursionismo La seconda giornata, iniziata senza il carico di cemento, offre continui e suggestivi cambi di paesaggio: pietraie lunari, alberi secolari, pascoli, laghi azzurri e fitti boschi. La tappa è piuttosto lunga ma di grande soddisfazione. GIORNO 2 ra i due rifugi, sull'orografica dx della valle, parte un sentiero (E) con indicazioni per il Lago Pirola. Cammino ripidamente tra pietre e pini mughi per raggiungere la grossa ganda rossiccia a O della Cima del Duca. Il paesaggio è lunare, qua e là alberi secolari arsi dai fumini s'alternano a pietre ferrose e licheni giallastri. Dopo un tratto dolce (ore 0:30, da qui inizierebbe la salita per la Cima del Duca: vedi box a pag. 66) la via bollata vince un dislivello verso NE e supera lo spartiacque tra la Valle del Ventina e la conca del Lago Pirola (sella nota come Passo Ceresone). Poco sopra il Lago Pirola il sentiero segnalato si biforca (m 2350 ca): ne seguo il ramo dx che per una scomodissima pietraia (ESE) guadagna il Buchèl del Can (m 2548 ore 1:20). Dal valico arrivo in picchiata per fondo di pietre e ghiaia al misterioso Lagusc1 (m 2227, ore 0:40). Abbassandomi a N per una traccia fra gande non sempre chiara, raggiungo il bellissimo Lagazzuolo (m 1992, ore 0:30). Pochi metri a valle del lago, all'Alpe Lagazzuolo, è stata recentemente ristrutturata una baita per adibirla a rifugio. Dall'alpe seguo i bolli che attraversano il bosco di abeti rossi e in men che non si dica sono nel fondovalle. L'attraversamento del Mallero avviene su una briglia che mi riporta sulla sterrata già percorsa all'andata (Sabbionaccio, m 1323, ore 1:30). Faccio tutto a ritroso fino al bivio per il Giuèl, che ignoro mantenedomi sul sentiero principale (leggera salita) che mi porta sopra le cave di ardesia, quindi alla pineta di Primolo. Una bella viottola attraversa il parco, Valmalenco Cima del Duca (m 2968) Bocch. Di Lagazzuolo (m 2700 ca) finestra T 1 - Racconti popolari vogliono che questo minuscolo e profondo laghetto sia una trappola per molte capre che vi annegano. 64 LE MONTAGNE DIVERTENTI La Cima del Duca e il tracciato per la Bocchetta di Lagazzuolo visti dalla pietraia sopra l'Alpe Ventina (25 giugno 2008, foto Beno). Gli splendidi colori del Lagusc (19 agosto 2008, foto Gianfranco Lalli). quindi scendo al paese fino al Santuario della Madonna delle Grazie di Primolo (m 1275, ore 1). Leggenda narra che questo edificio fu eretto dove la giovane Mina, figlia di un contadino locale, si sedette ad aspettare il ritorno del suo amato Guglielmo, figlio del conte di Tarasp, andato oltr'alpe a trovare il padre. Già molte settimane eran trascorse e il presagio che Guglielmo non volesse più far ritorno la assillava. Un giorno sopeso tra l'inverno e i primi caldi di primavera, fu trovata nel solito luogo dov'ella era solita attenderlo, morta di freddo ma sorridente. La neve attorno al suo corpo s'era sciolta ed eran sbocciate primule e viole. ercorso tutto il paese passo il ponticello sul Ruinùn (curva a sx). Poca strada e si diparte sulla sx il bel sentiero per Chiesa (Contrada Faldrini). Lungo la discesa vedo chiaramente il parcheggio dove ho lasciato l'auto. Raggiunto il paese ho l'orizzonte sbarrato dai parallelepipedi di cemento, ma, prendendo strade e sentierini a casaccio, torno su Via Bernina, quindi, facilmente, raggiungo Vassalini (m 956, ore 0:50). P Nomi di Valmalenco Giochi e riflessi nella pozza a quota 2373 sopra il Lago Pirola (13 settembre 2008, foto R. Moiola). Il Lagazzuolo e l'Alpe Lagazzuolo, sullo sfondo i pascoli sopra San Giuseppe (19 agosto 2008, foto G. Lalli). Il Buchel del Can versante E (19 agosto 2008, foto G. Lalli). Il nuovo rifugio all'Alpe Lagazzuolo (19 agosto 2008, foto G. Lalli). Pizzo Scalino e Valmalenco erano prima due creature che si amavano e si sposarono e da loro nacque una bella fanciulla, Chiesa. Poi nacque un figlio, Caspoggio. Poi nacque un fanciullo, Lanzada. Chiesa sposò il Mallero e nacque Primolo, un bel ragazzo. Primolo volle metter su casa per conto suo. Fratello di Primolo fu Chiareggio che volle andare a vivere all’ombra dei nonni soprannominati Disgrazia e Ventina. Da questo ceppo nacquero altre creature, i cui nomi recano i paesi della Valmalenco. Quando Dio vide tanta perfezione di sentimenti e tanti affetti, pensò di rendere eterne le creature privilegiate e le trasformò in luoghi, paesi, monti, valli e poggi come a suggellare una fraternità, che il tempo non doveva distruggere. Questa leggenda di Valmalenco, dice come l’altezza e la poesia di amorosi vincoli umani possono restare intatti anche attraverso trasformazioni e trascendenze. da Ermanno Sagliani "Pizzo Scalino, un simbolo malenco" Estate 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI L'anello della Cima del Duca 65 Escursionismo Ascensione alla Cima del Duca (m 2968) La storia del lago Pirola da un manoscritto di Giacomo Schenatti La via Normale alla Cima del Duca vista dal ghiacciao (25 giugno 2008, foto Beno). "Poderosa montagna offerente alcune belle arrampicate e un buon panorama. Discretamente visitata merita di esserlo ancora di più, perchè accessibile comodamente in mezza giornata dal Rifugio Porro" 1. S e ci si ferma per uno spuntino sui prati dell’Alpe Lagazzuolo, pochi metri prima del lago, saranno le alte torri del Corno di Braccia e della Punta Rosalba a monopolizzare l’attenzione, ma se si decide di cambiare prospettiva, ad esempio dall’Alpe di Fora o da Entova, una terza vetta, dall’eleganza incredibile e selvaggia, sarà la calamita degli sguardi. E’ la più alta dell’anfiteatro, il suo colore è rosso vivo e la sua cresta settentrionale è dentellata e affilata come i migliori coltelli da cucina, la Cima del Duca (m 2968). Il suo nome è altisonante, ma in realtà2 deriva dal soprannome che era stato dato per scherzo dagli 1 - Aldo Bonacossa, Guida dei Monti d'Italia Masino - Bregaglia - Disgrazia, CAI-TCI, Milano 1936. , CAI-TCI, Milano 1936 2 - Un'altra versione vuole che il nome derivi dalla stesura dei toponimi da parte dei topografi toscani che mapparono la Valmalenco a metà '800. Uno di essi, che doveva essere un duca, dedicò alle sue figlie Rosalba, Cassandra e Rachele tre vette della Valle del Ventina, e la quarta gli fu intitolata. 66 LE MONTAGNE DIVERTENTI amici a uno dei primi salitori: "Duca del Lago Palù". Non è banale da scalare: la via solita è per la cresta settentrionale e va affrontata con la dovuta attenzione. ITINERARIO el punto in cui il sentiero che dalla Porro sale al Pirola piega a N, continuo invece dritto (ENE) verso il vallone detritico che scende a N della Cima del Duca. Guadagno faticosamente quota per sassi mobili e scomodi fino ad arrivare, al termine della lunga rampa, al piccolo Ghiacciaio della Cima del Duca, residuato dell'apparato glaciale che riempiva la conca a NO della montagna. Attraverso la conca mirando il canale franoso che scende dall’incisione nota come Bocchetta di Lagazzuolo (m 2750 ca, ore 2:15). Per chi non la conoscesse è l’ultimo intaglio verso S della tormentata sella punta Rosalba – Cima del Duca, quello da cui la dorsale della montagna inizia inesorabilmente a salire verso il cielo. Il colatoio da salire è ripido e infame, ma arrivar qui dalla Valle Orsera pare addirittura peggio. Alla bocchetta si inizia ad arrampicare (SO). Dapprima mi appoggio sul versante E, quindi di roccia in roccia scelgo il tracciato più conveniente, a sx o a dx dello spartiacque, senza mai allontanarmi troppo dal filo (c'è qualche ometto segnaletico d'aiuto). N Il ghiacciaio della Cima del Duca e il Lago Pirola visti da un intaglio della cresta N (25 giugno 2008, foto Beno). Nel tratto centrale c’è un’impennata ostica che supero con una diagonale da dx verso sx. Esco su un testone, scendo di qualche metro, poi c’è un tratto abbastanza sottile ed esposto nuovamente in salita. Infine il filo si adagia e si allarga. Un ripiano di rocce rosso fuoco, paesaggio surreale. Cammino affascinato fino a un grosso masso, anch’esso rosso ma pitturato di bianco dallo sterco degli artisti rapaci: è il cocuzzolo della Cima del Duca (m 2968, ore 1:30). Paesaggio incantevole! Il ritorno è per la stessa via fino a 100 metri di dislivello sotto il ghiacciaio: da qui si può approfittare di una finestra (dx, N) della dorsale che scende al Passo Ceresone e, tagliando per scomode gande verso N, ricongiungersi all'itinerario che dal Pirola sale al Buchèl del Can (m 2548, ore 2:30). Estate 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI La storia del lago Pirola 67 Storia Valmalenco Nel lontano 1977 Giacomo Schenatti1 scrisse alcune pagine sul Lago Pirola ed in particolare sui lavori che, a partire dagli anni '10, la Società Elettrica Lombarda fece per poterne utilizzare le acque al fine di produrre energia elettrica2. Con l'aiuto di Silvio Gaggi e degli stessi familiari degli operai che lavorarono lassù, ho potuto corredare questo testo con immagini, racconti e vicende personali la cui memoria si sarebbe altrimenti persa al soffio del tempo. Gli utensili probabilmente utilizzati per scavare il sifone del lago Pirola. Disegni Silvio Gaggi. 27 aprile 1977 Giacomo Schenatti (1903-1989) svolse varie attività lavorative, ma fu celebre in particolare come Guida Alpina. Si sposò con Maria Lenatti da cui ebbe sei figli: Pietro (1929-1946, rimasto sotto una valanga al Lago Pirola mentre inseguiva un animale selvatico), Giacomina, Costanza, Luciano (Guida Alpina), Antonio (olimpionico di sci) e Carlo. Di noi nipoti, ci racconta Giorgio Schenatti, nessuno ha proseguito l'attività di Guida Alpina. Foto archivio Giorgio Schenatti. Tranquillo Schena di Costi (minatore/giovellaio, 1878-1956) fu uno dei due coraggiosissimi operai che forarono gli ultimi metri del sifone del Lago Pirola. Si sposò con Clara Dell'Andrino (di Bertin) da cui ebbe 6 figli. Nella foto lo vediamo col figlio Arturo sulla dx (giovellaio), la nuora e cinque dei sei nipoti (in alto da sx: Bruno, Pio, Rodolfo; in basso da sx: Anna, Celestina). Io e Pio, racconta Bruno, abbiamo svolto attività di giovellai fino alla chiamata alla leva, per poi dedicarci a scavi ed edilizia. Mio fratello Rodolfo è autotrasportatore. I miei figli Ivan ed Ugo stanno proseguendo la mia stessa professione. Foto archivio Bruno Schena. 68 LE MONTAGNE DIVERTENTI "L' origine di questo lago risale ad epoche remote e si individua nella spaccatura della montagna di serpentino3 e gneiss. Con l’avvento dell’energia elettrica ed il sorgere di alcune centrali idrolettriche, in Valmalenco si puntò anche allo sfuttamento delle risorse idriche nei mesi freddi. Così la società Lombarda per la distribuzione dell’energia elettrica4, proprietaria delle centrali, nell’anno 1914 mandò un ingegnere tedesco al Lago Pirola col compito di fare rilievi e misurazioni per preventivare i lavori di perforazione fino al fondo del lago e il successivo svuotamento. Nel contratto che la società fece con il Comune di Chiesa, questi si riservò il diritto ad avere 100 kW dalla centrale di Arquino, in cui sarebbero confluite le acque del lago. Nel 1917 iniziò la prima fase dei lavori, cioè la perforazione in galleria per svuotare il lago. Il sifone era 40 metri di quota più in basso verso l’Alpe Pirola. A Chiareggio, appena al di là del ponte che attraversa il Mallero, fu costruita la polveriera. Gli operai erano tutti valligiani5 e si lavorava da maggio ad ottobre. L’ing. Mina fece il progetto ed il responsabile dei lavori era Giovanni Bagnaschi che dava anche la paga agli operai. Per prima cosa fu costruita una casa, poi ceduta al custode, proprio sopra l’imbocco della galleria. Adoperarono pietre e malta di cemento e un locale fu foderato in tavole di legno fatte a Chiareggio. Vicino alla casa fu fatta una baracca per il deposito dei materiali (esistono ancora le mura). Venne poi la neve e sospesero i lavori per riprenderli poi l’anno successivo nello stesso periodo. La perforazione fu effettuata coi soli ferri da mina (stampi) e mazze, perciò grazie alle braccia e al1 - Giacomo Schenatti (1903-1989), figlio di Michele, Guida Alpina e custode del Lago Pirola, è dai più ricordato per la prima salita alla parete N del Disgrazia (1934 , in compagnia del suo cliente Antonio Lucchetti Albertini). 2 - Il manoscritto originale è stato fornito da Pietro Schenatti (Pireto). 3 -Il Lago Pirola è alimentato dallo scioglimento delle nevi della grande conca delimitata dalla Cima di Senevedo, Buchèl del Can, Punta Rosalba, fino ad arrivare al Torrione Porro. 4 - Nel 1917 la centrale del Mallero di Arquino passa dalla Società Idroelettrica Italiana alla Società Lombarda (che prima comprava l’elettricità dalla Società Idroelettrica Italiana). Dopo il 1924 alla centrale confluisce anche l’acqua del Lago Pirola (della capacità di 1893000 mc). Nel 1963 tutto passa all’ENEL. 5 - Vi lavorarono principalmente i nostri paesani (Chiesa V.co) e una squadra di operai di Spriana con il capo Guglielmo Scilironi. Estate 2009 la fatica dei nostri minatori. Nella baracca c’era la forgia per aggiustare e temstampi. Il fabbro era Felice Sem, detto el Sturnèl prare gli stampi , mentre un altro fabbro, Enrico Dell’Agosto, detto el Castelàsc, faceva il carbone con legna di malòss6 in località Castaiola, di fronte al Pian del Lupo. La galleria, che risultò lunga 259 metri, fu portata a termine nel 1918. Furono Tranquillo Schena di Costi e Ettore Pedrotti7 di Pedrotti a forare gli ultimi metri e mettere a repentaglio le loro vite, ma riuscirono a salvarsi: prima che l’acqua uscisse con molta pressione chiusero la porta di sicurezza appositamente costruita per guadagnare di corsa l’uscita della galleria. Dell'Agosto Enrico (+1944) detto "el Castelàsc" fu abilissimo fabbro. La sua famiglia proveniva dalla località Castelasc, dove ora si trovano i capannoni della Nuova Serpentino d'Italia. Si sposò con Lenatti Enrica da cui ebbe 6 figlie e 2 figli. Il maggiore, Agostino, abile fabbro, morì giovane. Il minore, Quirino, anch'egli fabbro, si trasferì in Valle d'Aosta dove continuò la professione e la tramandò anche a suo figlio Mario (foto archivio Dell'Agosto informazioni Camilla Schenatti). Il Lago Pirola impiegò un mese e mezzo a svuotarsi e l’acqua portò a valle una buona quantità di trote (circa 5 quintali). Gli abitanti di Chiareggio le raccolsero e ne fecero buon uso8. A metà novembre il lago era vuoto, quindi si lavorò fino a dicembre per installare le saracinesche a 60 metri dall’imbocco della galleria. Le pioggie eccezionali del 1919 fecero ancora riempire il Pirola al livello naturale. Per i lavori fin qui eseguiti occorsero fra i 700 e gli 800 quintali di cemento che fu portato sul luogo tutto a spalla (50 kg per carico agli uomini e 25 kg a donne e ragazzi). C’è ancora qualche anziano che si ricorda delle immani fatiche occorse: i portatori partivano dal ponte del Curlo, dove il camion scaricava, e, presa la carovaniera, raggiungevano San Giuseppe, Carotte, poi attraversavano il Mallero portandosi all’Alpe Senevedo, da cui a Foppacce, Alpe Zocca e alla baracca del deposito materiali; in quest’ultimo tratto realizzarono un sentiero che ora è in parte scomparso. 6 - Ontano nano o selvatico. Era scelto per fare il carbone di legna, oltre che per la sua facile reperibilità, anche perchè consentiva di raggiungere una temperatura di 1280°C ca. 7 - Ettore Pedrotti ("Lituri") sposò Clementina Bagiolo di Nardét. 8 - A quei tempi i malenchi non avevano ancora imparato ad apprezzae il pesce e il pescato. Come raccontava lo stesso Giacomo Schenatti, il pesce veniva portato in Svizzera attraverso il Passo del Muretto e rivenduto. LE MONTAGNE DIVERTENTI Felice Sem detto "el Sturnel" di Costi. Fu fabbro ed aveva una fucina presso il ponte del Curlo e in coproprietà con Alfonso Sem di Maseta la fucina del Sas dietro all'Albergo Amilcar. Si sposò con Carolina Schena da cui ebbe i figli Emma, Assunta, Felicita, Sigifredo e Mario. Si racconta che la polizia svizzera una sera fermò Felice Sem assieme all'amico Severo Sem. Alla richiesta d'identificarsi i due risposero: "Sem Felice e Sem Severo". I poliziotti non capirono che quelli erano i loro veri nomi e, indispettiti, li arrestarono pensando che la loro risposta fosse la celia di due italiani ubriachi. Foto arch. S. Gaggi. La storia del lago Pirola 69 Storia Escursionismo Mountain bike: Per essere sicuri di accaparrarsi il carico alcuni portatori andavano addirittura incontro al camion verso Sondrio, allungando così un tragitto già faticosissimo. Un carico di 25 kg era pagato 25 centesimi di lira. l'anello delle tre valli Dario Leusciatti Anche i ferri per le armature e le saracinasche furono portati sul luogo a spalla. Nel 1918 venne installato il telefono nella casa del custode che si collegava con Lanzada (Cà del Giacum) e Chiareggio. Negli anni successivi la Società Idroelettrica Italiana pensò di aumentare la riserva di acqua di questo lago progettando uno sbarramento artificiale sul versante di Chiareggio. La diga artificiale venne iniziata nel 1927, ma già nel 1925 era stata realizzata la teleferica che partiva dal Pian del Lupo9. La linea elettrica per farla funzionare con un motore elettrico di 18 CV partiva dalla centralina nella contrada Albertazzi a Caspoggio10. La potenza elettrica (25 kW) era interamente assorbita dal motore. La teleferica portò al Pirola la sabbia fatta al Pian del Lupo, il cemento ed altri materiali. Il cemento seguì un itinerario diverso dalle altre fasi dei lavori: venne portato al Giovello coi camion, qui fino a San Giuseppe coi muli e fino al Pian del Lupo coi carri trainati, per un quantitativo di circa 3000 quintali. I conducenti, tutt’ora in vita [ndr. s’intende al 27 aprile 1977], erano stati Pietro Scaramella del Curlo - detto Cica11-, Attilio Lenatti12 e Vittorio Dell'Agosto - detto Ciö13 - entrambi di Primolo. Questo sbarramento è un muro rettilineo di pietrame con malta di cemento lungo 120 metri, alto 12 e largo 10. Per spostare i grossi sassi si adoperarono pescanti e carri che ruotavano sui binari. All’interno della diga c’è un buon intonaco per l’isolamento fatto fra il 1933 e il 1934. Nel 1935 il Genio Civile fece abbassare il livello della diga (tre grandi finestroni al centro dell’argine) 3 metri sotto il livello massimo, questo per diminuire la forza di pressione dell’acqua ed evitare pericoli (l’onda dell’alluvione del 1927 partì dalla Val Sissone). Il Lago Pirola raggiunse grazie alla diga a gravità massiccia (2898 metri cubi) una capacità di 1893000 metri cubi d’acqua, derivanti da un bacino imbrifero sotteso di 1.2 km2." Antonio Gianoli (detto "el Sass" a Chiesa e "el Togn" a Lanzada) al lavoro nella fucina di Sem Felice (foto archivio Silvio Gaggi). Il Castelasc a inizio '900 e nel 2009 (foto sotto). Il nome deriva dalla presenza di un antico posto di vedetta. Il nucleo è stato rimpiazzato dai capannoni della Nuova Serpentino d'Italia (foto archivio Silvio Gaggi/ Beno). 9 - Il luogo di partenza della teleferica è stato distrutto dalla grande valanga del 1975. 10 - La centralina, costruita sotto la guida dell'ing. Albonico, era di Negrini, il proprietario dell'Albergo della Stazione di Sondrio. 11 - Pietro Scaramella detto Cica, filgio del Cicùn, fu attivo ed esperto carrettiere col mulo per il trasporto del legname nelle tratte Chiareggio Chiesa - Sondrio. Si sposò con Cesira Pedrotti di Ratena. 12 - Lenatti Attilio si sposò con Michelina Giordani di Lanzada (di Magnàna) da cui ebbe i figli Luigi, Primo, Serafino, Maria Elena col gemello Attilio. 13 - Sappiamo che Vittorio Dell'Agosto si sposò con Maria Dell'Agosto da cui ebbe i figli Ettore, Caterina e Anna. 70 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2009 Il Rifugio Saoseo l'Alpe Lungacqua e il possente Corno di CampoDIVERTENTI (1 settembre 2007, foto Beno). LE MONTAGNE Mountai M OUNTAI bike BIKE 71 Val di Campo - Val Viola - Val Grosina Il lago Saoseo (settembre 2008, foto Giorgio Orsucci). BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ - PARTENZA: Sfazù (1600 ca). ITINERARIO AUTOMOBILISTICO: da Tirano si supera il confine italo-svizzero e si sale verso il Passo del Bernina. Passato Poschiavo, dopo 9 km, in località Sfazù lasciare l'auto nell'ampio parcheggio all'imbocco della Val di Campo. ITINERARIO SINTETICO: Sfazù (m 1600) - Rifugio Saoseo (m 1987) - Passo Confine (m 2528) - Rifugio Viola (m 2314) - Paluetta (m 1938) - Alpe Verva (m 2123) - Passo Verva (m 2301) - Eita (m 1650) Grosio - Tirano. LE MONTAGNE DIVERTENTI TEMPO DI PERCORRENZA PREVISTO: 6/7 ore.. ATTREZZATURA RICHIESTA: meglio disporre di tutti i ricambi del caso, come camere d'aria, smagliacatena, pompetta, ecc... DIFFICOLTÀ: 3 su 6 per il percorrimento in MTB. DISLIVELLO IN SALITA: 1400 metri. DETTAGLI: l'escursione si presta ad essere effettuata da giugno a settembre. Eventualmente anche in ottobre, se le condizioni climatiche fossero particolarmente miti. E' consigliata a ciclisti in buone condizioni fisiche. Mountai bike 73 Mountain bike Bimbi al Lago Saoseo (25 luglio 2008, foto Roberto Moiola). Q uesto anello unisce tre fra le più belle valli delle nostre zone, due in territorio valtellinese e una in territorio svizzero, per certi versi simili tra loro ma ognuna con la propria tipicità di paesaggio naturale e umano. Il percorso è vario e quasi sempre pedalabile, gran parte su sentieri, mulattiere e strade chiuse al traffico, insomma un vero paradiso per i biker! Il giro completo da Tirano a Tirano prevederebbe un dislivello totale positivo di 2700 metri e una faticosa salita di 21 km da Tirano a Sfazù sulla strada del Passo Bernina, per cui consigliamo, se non siete in formissima, di partire dalla località di Sfazù e terminare il giro in bici a Tirano (itinerario non eccessivamente impegnativo: 63 km di lunghezza e 1500 metri di dislivello in salita). Per recuperare l'automobile a Sfazù, quindi, o vi organizzate con 2 mezzi, oppure al ritorno si può fare una piacevole gita (fino al passo) col trenino rosso del Bernina, fresco di nomina a patrimonio mondiale dell'Unesco. 74 LE MONTAGNE DIVERTENTI Il tempo previsto per il giro in bici è di 6/7 ore, comprese le pause per nutrirsi, riposare e ammirare il paesaggio. L asciata l'auto nell'ampio parcheggio di Sfazù, a m 1600 sulla strada del Bernina, attraversiamo la strada e cominciamo la salita in Val di Campo, su carrozzabile sterrata chiusa al traffico comune (ottimo il fondo). Dopo 4.5 km tra boschi, pascoli e bellissimi alpeggi, arriviamo in località Lungacqua, dove troviamo il Rifugio Saoseo (m 1987), splendidamente adagiato in riva al torrente. A questo punto ci sono 2 possibili varianti, che si ricongiungono dopo circa un quarto d'ora. La prima è ciclabile e passa dal Rifugio Alpe Campo, noi invece abbiamo optato per quella più faticosa, prendendo il sentiero sulla dx dopo il rifugio che, anche se ci costringe a portar la bici in spalla per almeno 10 minuti, consente con una piccola deviazione a piedi di arrivare in riva al Lago Saoseo coi suoi incredibili colori caraibici! In pochi minuti arriviamo poi al Lago Viola, che si trova a circa un'ora dalla partenza. Seguiamo ora le indicazioni sulla sx per Pian de la Genzana-Passo Val Viola, le quali ci dirigono su sentiero largo e ciclabile che sale in mezzo a splendide praterie (ci sono alcuni tratti ripidi in cui si deve spingere il mezzo) verso il Passo Confine (m 2528, 11 km, 2 ore da Sfazù). Questo tratto è particolarmente suggestivo, perchè alle nostre spalle abbiamo il Piz Varuna (m 3453) e la Vedretta del Palù, mentre davanti a noi possiamo ammirare l'imponenza del Corno di Dosdè (m 3232). Dal passo già si vede il Rifugio Viola, coi caratteristici laghetti, e, in lontananza il lago Val Viola (omonimo dello svizzero già visitato), che raggiungiamo in 10 minuti di esaltante discesa su mulattiera. Proseguendo la discesa della Val Viola bormina, ci troviamo a dx il bivio che conduce alla pianeggiante Alpe Dosdè: da qui il panorama sulla Cima Viola e i suoi ghiacciai è stupendo! Poco più avanti la strada diventa asfaltata, e, un centinaio di metri dopo il parcheggio, pieghiamo a dx. Estate 2009 Una strada sterrata con alcuni tornanti scende nel fondovalle fino a una chiusa dove si interrompe e prosegue un bellissimo sentiero ciclabile segnalato. Al termine del sentiero, a dx, seguiamo un breve tratto di stradina asfaltata, e quindi la carrozzabile sterrata che scende fino al torrente Viola. Lo attraversiamo con un ponte nei pressi delle baite Paluetta (m 1938, 21 km da Sfazù) Comincia ora la salita verso il passo di Verva, durissima nei primi tornanti. Poi la valle si apre e dolci pendenze si alternano a strappi più impegnativi. L'Alpe Verva a m 2123 vale una "sosta ristoratrice" in vista dell'ultimo tratto in salita della giornata, che ci conduce al passo (m 2301, 26 km dalla partenza). I primi 5 km di discesa in Val Grosina mettono a dura prova le braccia dei biker, a causa del fondo stradale molto ripido e sconnesso. Impagabile la panoramica dall'alto dello splendido villaggio di Eita, da dove comincia la discesa verso Grosio su strada asfaltata. Un ultimo sguardo al campanile e alla caratteristica cascata di Eita e poi, tra pascoli perfettamente curati e baite stupende, scendiamo la Val Grosina, vero esempio di armonia tra bellezza della natura e sapiente lavoro dell'uomo. Da Grosio (17 km di discesa da Eita) altri 15 km di sentiero Valtellina e strade secondarie ci conducono a Tirano. Il caratteristico Rifugio Viola (m 2314, un tempo caserma della Guardia di Finanza) sorge fra numerosi laghetti, ospitati dai morbidi pascoli all'ombra del temibile Corno di Dosdé (8 settembre 2007, foto Matteo Gianatti). In discesa dal Passo di Verva a Eita (13 ottobre 2008, foto Dario Leusciatti). Il santuario della Madonna di Tirano (foto F. Benetti). LE MONTAGNE DIVERTENTI Il paesino di Eita in Val Grosina (10 agosto 2008, foto Mosè Moiola). Mountai bike 75 Escursionismo Passo dopo passo Diario di Viaggio di Antonio Boscacci Bassa Valtellina Le valli del torrente Lesina (19 novembre 1998) Hanno cambiato l’ora legale e quindi si dovrebbe dormire un’ora in più. Mi alzo come faccio da mesi alla stessa ora e parto da Sondrio che sono quasi le 7. Attraverso una città ancora addormentata, con una pioggerellina sottile sottile che mi costringe ad aprire quasi subito l’ombrello. Le montagne intorno, in un cielo che si sta lentamente schiarendo, appaiono avvolte da dense cortine di nuvole. Mentre mi dirigo verso i Trippi, camminando lungo la pista ciclabile al bordo della strada, osservo, ancora distesa sui prati, una spessa coltre di nebbia. L’umidità del mattino che si sta aprendo al giorno sembra per un momento sollevarsi e svanire. Attraverso la statale 38 ai Trippi e imboc- co la strada per Piateda, osservato, mentre attraverso il ponte sull’Adda, da un grosso corvo nero appollaiato su un grande albero. Leggo gli avvisi di una pesa pubblica e, poco dopo, mi infilo a sinistra lungo una strada sterrata che mi porterà a Piateda. Chiedo conferma ad un contadino mattiniero, intento a spargere letame sull’argine di un fosso e lui annuisce. La pioggia cessa e posso infilare l’ombrello dentro lo zaino. Ma è una tregua di brevissima durata perché, fatti duecento metri, la pioggia riprende più vigorosa di prima. E’ una pioggia fastidiosa e, quando passo davanti al centro sportivo e al municipio di Piateda, mi accorgo di avere le scarpe già per metà bagnate. Il ramo di Mezzana del Torrente Lesina nei pressi del Ponte delle Guardie (18 agosto 2008, foto R. Scotti). BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ - 76 PARTENZA: Delebio Loc. Torrazza (m 250 ca). ITINERARIO AUTOMOBILISTICO: usciti dalle gallerie della SS 38 a Colico proseguire per Sondrio. Entrati in Delebio e superata la prima rotonda di Santa Domenica, dopo la leggera curva verso sx della SS 38 prendere via Verdi in corrispondenza della chiesa parrocchiale di San Carpoforo. Percorrere via Verdi verso lo sbocco della Val Lesina fino al parcheggio nei pressi del lavatoio di Torrazza. ITINERARIO SINTETICO: Delebio Località Torrazza (m 250 ca) – Campo Beto (m 450 ca.) – Piazzo Manghino (m 532) – Canargo di Sotto (m 820) – Canargo di Sopra (m 920) - Osiccio di Sopra (m 922) – Capanna Vittoria (m 985) – Corte della Galida (m 1413) – Alpe Capello (m 1521) – Bivacco Luserna (m 1815) – casera di Luserna (m 1552) – Bivacco Alpe Dosso (m 1513) – Casera LE MONTAGNE DIVERTENTI di Stavello (m 1551) – casera di Mezzana (m 1430) – Ponte delle Guardie (m 889) – Revolido (m 883) – Piazzo (m 466) – Andalo Valtellino (m 232) – Delebio Località Torrazza (m 250 ca). TEMPO DI PERCORRENZA PREVISTO: Circa 7 ore per l’intero itinerario, possibilità di pernottamento presso i Bivacchi Luserna, Dosso e Stavello oppure presso il Rifugio Legnone (variante n°1). ATTREZZATURA RICHIESTA: da escursionismo. DIFFICOLTÀ: 2 su 6. DISLIVELLO IN SALITA: 1650 metri circa. DETTAGLI: E. Carte: CM Morbegno (Consorzio Turistico Porte di Valtellina) 1:25.000 Val Lesina. Estate 2009 S ono le nove. E’ una giornata molto fredda, quando partiamo da Sondrio alla volta di Delebio. Siamo stati un po’ indecisi sul da farsi, perché la meta scelta, nelle Orobie e in questa stagione sembrava non essere una trovata felicissima. Poi però, visto il cielo azzurro e senza una nuvola, ci siamo detti che forse il sole ci avrebbe dato lo stesso una mano. Attraversiamo il paese di Delebio e lasciamo l’auto in un piccolo parcheggio accanto al ponte di Torrazza (Torazza sulle carte). Costeggiamo la piccola centrale idroelettrica e un cartello, assolutamente insolito, ci LE MONTAGNE DIVERTENTI colpisce: “E’ vietato lasciare segatura sulla strada”. E’ la prima volta nella nostra vita che vediamo un cartello così fatto. Poco dopo, un altro cartello ci ricorda che la strada che stiamo per imboccare è stata costruita in quel modo per essere utilizzata nel trasporto a valle, a strascico, del legname. Questo mi fa tornare alla mente una scritta che stava sulla antichissima chiesetta di S. Martino di Serravalle, distrutta dalla frana della Val Pola nel 1987 e che diceva che era assolutamente vietato trascinare legname lungo la mulattiera. Accanto alla centrale, imbocchiamo una stradicciola che risale il fianco della montagna in modo tanto ripido da costringerci, nonostante il freddo, a toglierci la giacca. E’ una stradicciola selciata e in qualche punto i sassi sono stati ricoperti da calcestruzzo. E’ concava verso il centro, per facilitare il trasporto a valle del legname (una volta lo si tirava a valle a mano o con l’aiuto di qualche animale, ora lo si fa scendere attaccato al gancio di trattori e fuoristrada). La strada passa poco sopra la località Campo Beto (m 450), dove si trova una piccola cappella, costruita nel 1983 dagli ex alpini di Delebio e dedi- Val Lesina 77 Escursionismo La Capanna Vittoria (3 maggio 2005, foto S. Losa). Il Pizzo Stavello (sx), il M. Pim Pum, il Pizzo Alto, la Cima del Cortese e l’alpeggio di Luserna all’alba dal maggengo di Piazza Calda (25 luglio 2007, foto R. Scotti). Cavallo al pascolo all’Alpe Legnone, sullo sfondo gli alpeggi della Val Lesina (10 settembre 2006, foto Guido Fumagalli). 78 LE MONTAGNE DIVERTENTI Passo dopo passo Diario di Viaggio di Antonio Boscacci cata ai caduti in guerra. Oltrepassata la condotta forzata che porta l’acqua alla centrale di Delebio, si arriva a Piazzo Minghino, dove c’è il piccolo bacino artificiale (32000 mc), dove si raccolgono le acque del torrente Lesina per alimentare la centrale di Delebio. Le opere per lo sfruttamento idroelettrico delle acque della Valle Lesina, sono state realizzate nel 1946 dalla ditta Carcano. Continuiamo a salire e incontriamo un bivio. Mentre stiamo consultando la carta per vedere dove andare, veniamo raggiunti da tre signore, che gentilmente ci spiegano la situazione e, insieme a loro, prendiamo la strada di sinistra, che porta a Canargo1. Camminando dietro a loro, che non smettono un attimo di chiacchierare, veniamo informati, in ogni dettaglio, su faccende complesse di mariti, amiche, parenti, auto e mille altre cose ancora. Ogni tanto ci guardiamo intorno e osserviamo l’altro versante della Valle Lesina che, secondo i nostri calcoli, dovremmo discendere al ritorno. Immersi nelle chiacchiere e nei pettegolezzi (che per altro non ci disturbano nemmeno troppo), arriviamo senza accorgercene alle baite di Canargo di Sotto (m 820) e, dopo un tratto ripido e rettilineo di mulattiera, lungo il quale incrociamo un trattore che scende carico di legna, arriviamo a Canargo di Sopra (m 920). Qui lasciamo le nostre accompagnatrici, che se ne vanno verso sinistra seguendo un sentiero pianeggiante che permette di attraversare la Valle Lesina; superiamo le baite di Canargo di Sopra e ci dirigiamo, in piano, verso Osiccio di Sopra (m 922) (c’è una grande scritta intagliata nel legno ad avvertirci che siamo arrivati in questa località). Durante questo tragitto il sole ci raggiunge e la temperatura si alza di qualche grado. La strada prosegue sulla sinistra e passa davanti alla vecchia Capanna Vittoria (m 985), costruita dalla Federazione Alpinistica Italiana e inaugurata il 15 ottobre 1922. Poi passiamo per Piazza Calda e ci inoltriamo sul fianco della valle2. Ci sono alcuni operai che stanno riassettando la strada e costruendo qualche muricciolo. Nonostante il sole fa freddo e gli operai (che pure sono ben coperti e portano i guanti) ci dicono che non si può più lavorare in queste condizioni e che questo è il loro ultimo giorno lassù. Poco prima di raggiungere la baita di Corte della Galida (m 1413), che meglio sarebbe chiamare Alpe Panzone (il termine Galida è riferito ai pascoli soprastanti), ci fermiamo per il pranzo. Sono solo le 11:30 ma, se proseguiamo anche solo di qualche decina di metri, entriamo nell’ombra e non ne usciamo più. Il sole non è caldissimo, ma immaginiamo che all’ombra sia ancora più freddo. Comunque, appoggiati al muretto della strada, non si sta male e, se non fosse per una piccola nuvola che ogni tanto ci toglie il sole, si starebbe anche meglio. Non c’è un nuvolino in nessuna altra parte del cielo. L’unica, piccolissima, si trova davanti al sole ed è lì certamente per indispettirci. Chiacchierando della nuvola e del tragitto che ci aspetta, consumiamo il nostro lauto pranzo (che si conclude in 20 minuti). Il sole se n’è già andato dalla baita della vicina Alpe Panzone e quando ci mettiamo in cammino un freddo pungentissimo, che scende dalla Valle della Galida, ci costringe a infilarci la giacca, i guanti e la cuffia. Dall’alpeggio parte un sentiero che porta all’Alpe Legnone e al rifugio omonimo (posto su un ampio dosso arrotondato, con una vista eccezionale sul Piano di Spagna e l’imbocco della Valtellina e della Valchiavenna). 1 - A questo punto optando per la strada a destra si raggiungono i panoramici maggenghi di Osiccio di Sotto e Osiccio di Sopra, dai quali è possibile ricongiungersi con l’itinerario precedente in località La Piana oppure direttamente a Osiccio di Sopra. Revisione e aggiornamenti sullo stato dei sentieri a cura di Riccardo Scotti. 2 - Nei pressi della fontana che si incontra in località “La Piana” di Piazza Calda è possibile prendere il sentiero che si stacca sulla destra e raggiungere così l’Alpe Legnone ed il rifugio omonimo, recentemente ristrutturato. Da qui per sentiero pianeggiante passando dal pascolo di Galida seguendo il percorso del Sentiero Andrea Paniga ci si ricongiunge con l’itinerario descritto all’Alpe Cappello. Estate 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI Bassa Valtellina Il bàrec nei pressi della casera di Stavello (26 novembre 2006, foto M. Fransci). La casera di Stavello e il Monte Desenigo sullo sfondo (14 luglio 2004, foto R. Scotti). Il Ponte delle Guardie recentemente ristrutturato (14 novembre 2006 R. Scotti). Val Lesina 79 Passo dopo passo Escursionismo rumore scappando sulle foglie secche. Sentiamo spesso il fischio dei camosci e anche, ogni tanto, il caratteristico suono cupo e rauco emesso dai caprioli. Appena sopra il sentiero pianeggiante che percorriamo ci sono i resti di un piccolo canale per convogliare l’acqua all’alpeggio del Dosso (m 1513). Fin qui, abbiamo impiegato ore 2.15 dall’Alpe Panzone. Anche questo alpeggio è appena stato ristrutturato e una parte è stata saggiamente adibita a rifugio, aperto e confortevole. Potremmo scendere di qui, ma preferiamo ritornare sui nostri passi e seguire le indicazioni per l’Alpe Stavello. Il sentiero segue la morfologia del pendio e presenta numerosi piccoli saliscendi. Raggiunto un ultimo dosso alberato, scendiamo nella conca dell’Alpe Stavello e arriviamo in piano all’alpeggio (25 minuti dall’Alpe Dosso). Più volte sistemata nel corso della sua storia, anche questa costruzione offre una parte sempre aperta e utile come ricovero temporaneo4. Da qui potremmo scendere direttamente a valle (c’è un bellissimo scorcio di panorama verso l’inizio della dorsale che separa la Valtellina dalla Valchiavenna), ma preferiamo seguire le indicazioni per l’Alpe Mezzana. Lasciato sulla destra il sentiero che porta al Pizzo Stavello, prendiamo il sentiero pianeggiante che si inoltra nel bosco poco a monte del maestoso larice che custodisce la casera, poi, quando questo si divide, prendiamo la traccia più bassa. Il sentiero, che si fa via via sempre meno bello, compie una lunghissima diagonale e ci porta, dopo un piccolo poggio, alla casera di Mezzana (m 1430)5. La costruzione attuale dell’alpeggio risale al 1900. Sulla facciata principale c’è un affresco del 1901 che ritrae la Madonna, San Lorenzo e Sant' Antonio. Qui praticamente termina la grande traversata, da ovest verso est, delle valli del torrente Lesina. Abbiamo impiegato 35 minuti dall’ Alpe Stavello e quasi 4 ore dall’Alpe Panzone; sono infatti quasi le quattro del pomeriggio. I giorni in Novembre sono molto corti e lo sono ancor più qui, chiusi tra gli stretti fianchi della Valle Mezzana. Scendiamo velocemente lungo il sentiero il fianco sinistro della valle, attraversiamo il torrente Lesina (sul Ponte delle Guardie) e percorriamo il tratto pianeggiante e aereo che taglia il fianco roccioso della montagna in direzione delle baite del maggengo di Revolido (m 883). Mi torna alla mente il curioso episodio raccontato dal Galli-Valerio, sull’orso della valle Lesina, che proprio qui lungo questo sentiero, così racconta la storia, venne incornato da un toro. Anche allora, quando il toro e l’orso si incontrarono, stava calando la sera. Speriamo di non incontrare né l’orso, né il toro. E infatti non incontriamo nessuno, nemmeno a Revolido. Le ombre scendono veloci lungo i boschi di abeti, ma vediamo ancora molto bene dall’altra parte della valle 4 - Dopo le recenti ristrutturazioni ad opera del consorzio dei proprietari dell’alpeggio, la baita può essere considerata un vero e proprio bivacco dotato di 3-4 posti letto. 5 - Attualmente, a parte l’accesso un po’ nascosto, questo tratto del sentiero è stato recentemente ripulito ed è uno dei tratti meglio mantenuti dell’intero itinerario. La Val Lesina vista dal Rifugio Legnone (30 settembre 2005, foto M. Fransci). Il torrentello accanto all’Alpe Panzone è ghiacciato, così cerchiamo un passaggio qualche metro più in alto. Dopo un tratto pianeggiante, il sentiero sale ed entra tra gli alberi e, per aggirare un costolone roccioso, risale di nuovo. Arriviamo così all’Alpe Capello (m 1521), o meglio Cappello visto che il suo nome dialettale è Capèl, ben riparata e con il tetto in lamiera rifatto da non molto tempo (ma alcuni sassi cadendo lo hanno colpito e uno di questi, più violento degli altri, lo ha bucato). Entriamo così nel vasto anfiteatro dell’Alpe Cappello e, dopo aver superato alcuni rigagnoli ghiacciati, incontriamo lo stallone dell’alpeggio. Il luogo per costruire questa lunga stalla è stato scelto con cura, ma questa è comunque una zona di valanghe e quindi la costruzione in muratura è stata protetta con un grande muro a forma di V rovesciata. Attraversato in piano l’alpeggio di Cappello, il sentiero sale a zigzag per 200 metri e poi entra pianeggiante nella successiva conca dell’Alpe Luserna, passando intorno a quota 1800 sui fianchi del Pizzo di Val Torta. Senza prendere la deviazione che scende sulla sinistra, raggiungiamo il bivacco dell’Alpe Luserna, chiamato più comunemente el Castèl (m 1815). Si tratta di due costruzioni, una delle quali sempre aperta, molto carina e 80 LE MONTAGNE DIVERTENTI accogliente. Fa molto freddo e sui vetri del bivacco si vedono dei bellissimi ricami dovuti agli aghi di ghiaccio. E’ una specie di tendina naturale, che desta la nostra ammirazione (soprattutto quella di Luisa che ha una vera passione per i ricami e che ne ha fatti molti per le tende della nostra casupola). Il tempo di bere un po’ di tè caldo e di accorgerci dei ruderi delle costruzioni che stavano poco sotto il bivacco, e scendiamo, seguendo i segni colorati, verso la casera di Luserna3. Dopo aver superato un torrentello che ha sparso le sue acque ghiacciate per un vasto tratto, passiamo davanti ai ruderi dello stallone di Luserna e alla casera di Luserna (m 1552) che si trova lì accanto, protetta da una roccia. Scavalchiamo ancora alcuni ruscelli ghiacciati (che in alto formano delle estese cascate di ghiaccio), poi risaliamo il pendio della montagna e ci infiliamo tra gli alberi. Il sentiero corre pianeggiante su un pendio molto ripido. Anche qui, come in altre parti, abbiamo la possibilità di vedere numerosi piccoli gruppi di camosci, alla ricerca di cibo, che fanno un gran 3 - Dal Bivacco Luserna è stato recentemente tracciato e segnalato un comodo sentiero che attraversa l’anfiteatro dell’Alpe Luserna qualche decina di metri più in alto del tracciato classico saltando così la Casera di Luserna ma permettendo un piccolo risparmio in termini di dislivello. Diario di Viaggio di Antonio Boscacci Estate 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI Bassa Valtellina Tratto dell’ Öga di Andalo che dal paese raggiunge i maggenghi della Scaletta e del Revolido (21 giugno 2008, foto R. Scotti). Lesina il percorso fatto in salita: distinguiamo chiaramente i maggenghi di Canargo e Osiccio, posti proprio di fronte a noi. Dopo un breve tratto pianeggiante, appena lasciate le baite di Revolido, imbocchiamo una delle più curiose “mulattiere” che ci siano in provincia di Sondrio. Si tratta di un ripido tracciato, lastricato in pietra come quello percorso al mattino, ma più stretto e più ripido. Una specie di lunga pista da bob, che meriterebbe una tutela speciale come monumento, al pari di altre più note e conosciute opere d’arte. Il fondo è ricoperto da un alto strato di foglie, dentro le quali camminiamo strisciando i piedi per non cadere. Scendiamo così, nel buio che nel frattempo ci ha raggiunti, per oltre 500 m di dislivello, fino al termine di questa spettacolare mulattiera. Un ultimo tratto di strada “normale” e finalmente, arriviamo tra le case di Andalo (bello lo scorcio della chiesa illuminata). Costeggiamo infine la montagna e, attraversata la contrada di Torrazza e il torrente Lesina, ritroviamo la nostra auto. Sono le 17.45. Val Lesina 81 Escursionismo Versante orobico Trekking in valle del Livrio Luciano Bruseghini 82 LE MONTAGNE DIVERTENTI Campo Tartano (8 luglio 2008, foto P. Spini). Estate 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI Trekking nella Valle del Livrio 83 Escursionismo Versante orobico "Nel 1877, il consiglio del CAI Valtellinese prese alcune importanti decisioni, tra le quali quella di costruire un piccolo rifugio al Publino onde favorire la salita alla sua montagna simbolo: il Corno Stella"1. I La valle del Livrio da S a N (3 luglio 2005, foto Beno). Alla pagina precedente: il lago della Casera (19 agosto 2007, foto Marino Amonini). l trekking al Lago del Publino, una volta lago naturale ora invaso artificiale, permette di conoscere un angolo di Orobie non troppo frequentato ma assai gradevole, in cui gli insediamenti umani sono molto limitati. Salire quindi il panoramico Corno Stella significa ricordare il fasto e la frequentazione che queste montagne avevano un tempo, ora eclissate da altre mete più blasonate. B BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ PARTENZA: Nembro (Fraz. di Albosaggia, m 1070). ITINERARIO AUTOMOBILISTICO: Dalla tangenziale TEMPO DI PERCORRENZA PREVISTO: 6 ore + 2 di Sondrio prendere l'uscita per Albosaggia. Oltre il ponte sull'Adda prendere a sx per il centro del paese (4 Km) e seguire poi le indicazioni per San Salvatore fino a Nembro (6 Km). ATTREZZATURA RICHIESTA: scarponcini, torcia. DIFFICOLTÀ: 2 su 6. DISLIVELLO IN SALITA: 1100 metri al Lago del ITINERARIO SINTETICO: Nembro (m 1070) - San Salvatore (m 1310) - Valle del Livrio - Lago del Publino (m 2130) - Corno Stella (m 2621) - Lago della Casera (m 1920) - Nembro. Publino. 1500 metri al Corno Stella. DETTAGLI: EE. Bibliografia consigliata: Antonio Boscacci, Il Rifugio Caprari nel Parco delle Orobie Valtellinesi, CAI Sez. Valtellinese, Sondrio 2000. ore se si sale anche al Corno Stella. - 84 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2009 isogna lasciare l’automobile a Nembro (m 1070), frazione di Albosaggia, perché la strada che prosegue fino a San Salvatore e che poi si inoltra nella valle del Livrio è percorribile solamente con il permesso rilasciato dal comune ai proprietari di case negli alpeggi superiori2. Il primo tratto di cammino è abbastanza noioso, in quanto si svolge su strada con fondo in cemento, con tratti anche molto ripidi, fino agli ampi pascoli di San Salvatore (m 1310, ore 0:45). E' da qui che ha inizio il nostro trekking all’interno del Parco delle Orobie Valtellinesi. Seguendo sempre la strada, ora diventata sterrata, si prende il bivio a dx in direzione dell’antica chiesa, dedicata ovviamente a San Salvatore, una delle più antiche della Valtellina: da documenti purtroppo perduti sembra che risalga addirittura al 537 d.C. Nei pressi dell’edificio sacro si trova il Rifugio Saffratti, utilizzabile anche come punto di appoggio 1 - Giuseppe Miotti, Guido Combi, Gianluca Maspes, Dal Corno Stella al K2 e oltre - 125 anni di alpinismo valtellinese, CAI Sez. Valtellinese, 1996 2 - Una valida alternativa è quella di partire da Cantone (m 990), poco sotto Nembro e seguire la stradicciola pianeggiante che si diparte sulla dx e diviene quasi subito sentiero. Dopo essere passati in una zona di frane, si superando anche le belle baite di Zapello e ci ricongiunge alla strada che scende da San Salvatore. poco prima dell'attraversamento del Livrio. LE MONTAGNE DIVERTENTI La chiesa di San Salvatore (settembre 1998, foto Marino Amonini). per l’inizio del trekking. Seguendo i bollini contrassegnati dal numero 219 ci si addentra in leggera discesa nella Valle del Livrio, sempre procedendo lungo la carrareccia. Anche se non si cammina ancora su sentiero, il trekking è molto piacevole, in quanto si svolge all’interno di un profumatissimo bosco di abeti e il passaggio delle auto è assai limitato per non dire quasi nullo. Superati i piccoli agglomerati di La Teggia e La Crocetta (m 1250, ore 0:20) si raggiunge il ponte del Forno (m 1315, ore 0:20) sul torrente Livrio. Questo luogo deve il nome alle antiche fornaci per la cottura del minerale di ferro estratto nella vicina Val Venina, portato qui a dorso di mulo attraverso il Passo dello Scoltador. Sembra strano che si facesse tanta fatica a trasportare il minerale fino a questa località, ma ciò era dovuto al fatto che ormai gli alberi nei pressi delle miniere erano stati quasi tutti abbattuti per alimentare i primi forni. Passati sulla sx idrografica del torrente si inizia a salire, transitando per i prati della Costa (m 1425, ore 0:25), fino a raggiungere i pascoli della Piana (m 1464, ore 0:25). Finito il lungo fondovalle la via supera un breve strappo nel bosco (sx idrografica), per ridiscendere al torrente. Si passa vicino a un grosso masso che decreta la fine della strada. Sono ancora pascoli fino ad una baita isolata che anticipa la salita all'anfiteatro che Trekking nella Valle del Livrio 85 Escursionismo Versante orobico "Nell'assemblea dei soci Il rifugio Caprari e il lago del Publino del 1875 il presidente del CAI Torelli propose anche l'interessante idea di far eseguire una veduta panoramica ripresa dal Corno Stella, montagna simbolo dell'alpinismo nostrano. L'assemblea approvò all'unaminità lo stanziamento di L. 1000 per portare a compimento il lavoro". chiude la valle. Si avanza ripidamente nel bosco, poi su detriti alluvionali tra ontani e tantissime piante di lamponi. Ricordo di averne trovati moltissimi e di enormi dimensioni, perché non sono in molti coloro che si prendono la briga di percorrere tutta questa strada per dei piccoli frutti! Riattraversato il torrente e seguendo sempre il sentiero che si sviluppa tra i grossi massi, ecco un bivio. Prendendo a sx si giunge al Lago del Publino (m 2130, ore 1:30). Costeggiando la base del muro del bacino si raggiunge il Rifugio Caprari (m 2118), sempre aperto, che può essere utilizzato anche per dividere l’escursione in due giorni. più allenati da qui possono puntare al Corno Stella (m 2621), l’enorme montagna che sovrasta il lago a ponente. Per raggiungere questa cima bisogna ritornare sui propri passi fino al bivio incontrato in precedenza e proseguire in direzione O seguendo i segnavia della GVO (Gran Via delle Orobie) fin nei pressi di un laghetto. Superato il piccolo ruscello che vi esce, si abbandona il tracciato del GVO e si sale sulla sx. Le tracce ora si fanno poco evidenti, ma la meta è ben visibile là in alto. Con un percorso su erba e sfasciumi in direzione SO si raggiunge il piccolo pianoro ai piedi della cima. Seguendo il sentierino sulla dx, lungo un ripido pendio erboso, si arriva alla vetta del Corno Stella (m 2620 ore 1:30). Il panorama che si para davanti è grandioso: verso N in lontananza I 86 LE MONTAGNE DIVERTENTI Il Lago del Publino (foto M. Amonini). I La lunghissima cresta che dal Pizzo Pidocchio porta al Corno Stella, in fondo a destra. Con i suoi m 2621 è la vetta più alta della catena. La dorsale fa da spartiacque tra la Valle del Livrio e la Val Cervia (3 luglio 2005, foto Beno). le Retiche, con le cime innevate che fanno da spartiacque con la Svizzera, mentre in basso risale la Val Cervia da Cedrasco, verso S la Val Brembana e verso E le maggiori vette delle Orobie con in primo piano il Pizzo del Diavolo di Tenda. La via di discesa può avvenire lungo l’itinerario di salita oppure utilizzando il canale di gronda che raccoglie le acque del versante dx idrografico della valle. Questa seconda opzione è molto interessante, però chi desidera percorrerla deve munirsi di una torcia elettrica perché ci sono da attraversare dei brevi tunnel, costruiti per il deflusso dell’acqua. Alcuni sono dritti e quindi lo sbocco illuminato concede un lieve chiarore; invece uno compie una curva a gomito ed è quindi completamente buio. Non vi dico i brividi che ho provato la prima volta che l’ho percorso senza nessun tipo di illuminazione! Dal Rifugio Caprari si segue inizialmente, in direzione E, il sentiero del GVO che porta al Passo dello Scoltador. Dopo poche centinaia di metri lo si abbandona per prendere il tracciato che si diparte sulla sx (segnavia 220) e che si abbassa tra pascoli e boschi radi fino alla Baita dello Scoltador (m 2048, ore 0:30). Scendendo in diagonale sulla dx si raggiunge facilmente la copertura del canale di gronda. Ora il percorso è quasi completamente pianeggiante e si svolge a mezza costa in direzione N fino al ruscello che scende dal Lago della Casera (m 1850, ore 1:15 dal Lago del Publino). Per vedere questo bello specchio d’acqua verde smeraldo bisogna risalire il breve pendio in direzione SE, fino all’ampia conca (Lago della Casera, m 1920, ore 0:15) ai piedi del Pizzo Meriggio. Ritornati sulle proprie tracce, al canale di gronda si imbocca il sentiero sulla sx che si abbassa nel bosco fino a giungere a San Salvatore (m 1310, ore 1). Seguendo la strada cementata percorsa in mattinata si ritorna a Nembro. Estate 2009 In vetta al Corno Stella (foto M. Amonini). LE MONTAGNE DIVERTENTI l lago artificiale del Publino si trova in testa alla Valle del Livrio. Con una capienza di 5 milioni di metri cubi d'acqua, fu realizzato tra il 1949 ed il 1953 in loco di due laghetti naturali preesistenti. Le sue acque vengono dapprima convogliate tramite una ripida condotta forzata nella sottostante centrale, quindi un lungo canale buca la montagna e le getta nel Lago di Venina, da cui scendono alla centrale di Zapello in Val d'Ambria e arrivano , infine, all'invaso del Gaggio sopra Piateda. Il Rifugio Caprari, inaugurato nel 1991, si trova nei pressi del Lago del Publino, è stato dedicato ad Amerino Caprari, uno tra i maggiori esponenti della SOND.EL., società elettrica della Falk che gestisce, fra le altre, la diga al Lago del Publino. Scomparso in un incidente nel 1987 durante la perlustrazione del bacino del Gaggio a Piateda, destinatario ultimo delle acque del Publino. Erano i giorni immediatamente precedenti alla tragica alluvione dell’87. Tito di Blasi così descrive quella tragedia nel suo racconto “L’onda del fiume”: “Il mattino di sabato 25 luglio, si presenta con un cielo terso e pulito e, le montagne intorno, verdi di boschi e di prati; sulle cime non c'è più neve, disciolta completamente dall'ultima pioggia e dalla calura. Dopo il nubifragio e la grandinata, sulle ferite della Valtellina splende di nuovo un sole caldo e ben augurante. I giornali riportano a grandi titoli, accanto ad immagini di grande bellezza paesaggistica, rovine ricoperte di fango e notizie di disgrazie. Tra queste una vola di contrada in contrada e fa presto il giro della valle: un grave incidente al Gaggio, sopra Piateda, ha coinvolto, purtroppo mortalmente, il Direttore della Sondel (ex Falck) Amerino Caprari e il suo autista, Remo Ramponi, durante un sopraluogo alle strutture della centrale di Venina. Amerino, amico di molti, stimato e apprezzato sul lavoro, benvoluto da quanti lo conobbero, insieme all'ingegner Zorzoli e al tecnico Zecca, deve ispezionare gli impianti dopo i giorni di maltempo. Quante volte aveva fatto in jeep quella strada, in condizioni anche peggiori? Questa volta il destino è crudele; un sasso sulla strada, il fango, forse un franamento, trascina la jeep giù per il dirupo, schiacciando sotto il suo peso Caprari e Ramponi, mentre Zorzoli e Zecca, sbalzati fuori, se la cavano con ferite e contusioni. Impressione, commozione, rabbia. Ancora vittime, ancora due famiglie nel dolore ed ancora tanta costernazione. Quanta parte ha avuto la montagna in questa tragedia? Quanta il destino! Il dovere, la vita di altri impongono un controllo agli impianti e alle strutture. In circostanze come questa non si può trascurare nulla; l'acqua, nella diga, ha raggiunto livelli preoccupanti e la montagna si sfalda dappertutto. La gente, giù in valle, è preoccupata, aspetta una risposta per essere tranquillizzata.” Trekking nella Valle del Livrio 87 V Escursionismo Giorgio Orsucci I vigneti della Sassella (25 novembre 2008, foto Jacopo Merizzi). Ometto sulla vetta della Cima della Casa (7 luglio 2007, foto Roberto Moiola). 88 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI Laghi Azzurri e Cima della Casa 89 Escursionismo Valchiavenna D lago Azzurro del Suretta a tempi immemorabili la Valle Spluga rappresenta un corridoio viario e commerciale di grande importanza per i movimenti transalpini. Il Passo dello Spluga, con buona probabilità noto e frequentato già qualche migliaio di anni fa, fu sicuramente utilizzato dai Romani e da loro dotato di un apparato stradale. Ma saltiamo in età moderna, perché è nell'Ottocento che il passo vive i suoi anni migliori, e più precisamente a partire dal 1821, quando viene completata l'ardita carrozzabile dello Spluga su progetto di Carlo Donegani (la stessa mente geniale che di lì a poco avrebbe realizzato pure la strada dello Stelvio). I decenni che seguono questa data sono i più floridi nella storia dello Spluga: basti come dimostrazione il fatto che il passo era tenuto aperto durante tutti (o quasi) i mesi dell'anno. A seguito dell'apertura del traforo del San Bernardino, del 1967, molto è cambiato. I traffici lungo la strada dello Spluga si sono notevolmente ridimensionati, e il passo rimane oggi ostruito dalla neve da novembre a maggio, nonostante il progresso dei mezzi spalaneve negli ultimi duecento anni. Cima della conca dei Casa Laghi Azzurri dogana Panoramica sul gruppo del Suretta (7 luglio 2007, foto Roberto Moiola). M BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ - 90 PARTENZA: Montespluga (m 1908). ITINERARIO AUTOMOBILISTICO: da Sondrio percorrere la SS 38 della Valtellina fino a Delebio (30 km). Dopo il ponte, alla rotonda, svoltare a destra sulla SP 4, quindi raggiungere Nuova Olonio sulla SS 402 (39 km). Qui imboccare la SS 36 e seguirla lungo l'intera Valchiavenna e per buona parte della Valle Spluga fino a Montespluga; parcheggiare all'ingresso dell'abitato. ITINERARIO SINTETICO: Montespluga (m 1908) – Laghi Azzurri (m 2429) – Pizzo della Casa LE MONTAGNE DIVERTENTI (m 2522) – Laghi Azzurri (m 2429) – Bergsee (m 2311) – Passo dello Spluga (m 2123) – Montespluga (m 1908). TEMPO DI PERCORRENZA PREVISTO: 4 ore per l’intero giro. ATTREZZATURA RICHIESTA:DIFFICOLTÀ: 2 su 6. DISLIVELLO IN SALITA: 600 metri circa. DETTAGLI: E. Estate 2009 ontespluga, un grappolo di case – in totale una trentina – all'ombra del passo, è nata e cresciuta in stretta dipendenza dalla strada dello Spluga. Così, quando la vitalità dello Spluga si è drasticamente ridotta, tutto si è fermato pure in questo paese. Chi vi sosta vi può respirare la stessa atmosfera di duecento anni fa, può immaginarsi il via vai di gente lungo la strada, le corriere che arrivano e che partono, i viaggiatori che entrano e che escono dalla Ca' della Montagna. Queste le immagini che la pittore- Fioritura di rododendri sopra al Lago di Montespluga (7 luglio 2007, foto R. Moiola). sca contrada d'alta quota può ancora evocare in chi si avventura fin qua da Chiavenna, o Suretta (quarta tappa del Trekking della Valle Spluga); ancora più intensamente ai viaggiatori che vi giungono qui sosta chi percorre la Via Spluga, lungo ciò che resta da Splugen, per i quali Montespluga costituisce il primo del tracciato storico della strada dello Spluga. Ma dal nucleo di umanità dopo chilometri di sterile paesaggio Lago di Montespluga, in generale, partono a raggiera numerose vie escursionistiche, da percorrere una ad montano. Al giorno d'oggi, altre strade fanno di Montespluga una. Fra le varie possibilità offerte dal luogo abbiamo un importante nodo viario: i tracciati sentieristici. Qui selezionato un percorso ad anello, senza difficoltà e di indugiano per un attimo gli escursionisti che, scesi dal impegno fisico modesto, con partenza e ritorno proprio Bivacco Cecchini, devono affrontare la salita al Bivacco a Montespluga. LE MONTAGNE DIVERTENTI Laghi Azzurri e Cima della Casa 91 Escursionismo Valchiavenna P osteggiata l'auto nell'ampio spiazzo sterrato all'ingresso di Montespluga, imbocchiamo il sentierino (segnavia C15) che serpeggia verso O, tenendosi inizialmente poco più in alto della statale e allontanandosene poco a poco. Gustiamoci subito la bellezza di questi pascoli, punteggiati dalle accese fioriture del rododendro e frequentati da qualche mandria di mucche: via via che procediamo, addentrandoci in un corto vallone, il paesaggio si fa infatti più austero. Qui il piede incede scomodamente in una rete sempre più fitta di massi, e la traccia diventa a tratti insicura (non ci resta che seguire i segnavia rosso-bianco-rossi del CAI, peraltro molto frequenti). Il percorso, ora diretto decisamente verso N, si fa gradatamente più ripido, quindi si infila in un breve canalone, ostruito dalla neve fino a stagione inoltrata, con cui conquistiamo, non senza qualche sbuffo di fatica, la sommità della vallecola (m 2429, ore 1:40). Ci troviamo all'estremità orientale di un'ampia conca naturale, interamente rivestita di sassi e placche rocciose. Ma “conca” non è certo il termine più appropriato a designare un luogo così variamente ondulato: ciò che abbiamo di fronte sembra esser stato tormentato dai colpi incessanti di un enorme pestello; drammaticamente distante la geometria perfetta del catino del Lago d'Emet. L 'irregolarità orografica di questo balcone montuoso si riflette curiosamente nel nome delle pozze d'acqua che esso ospita (visibili se proseguiamo ancora un minuto). Il mondo si divide equamente fra chi ne fa riferimento con il nome di Lago Azzurro, considerando il lago più grande come un'unica realtà lacustre insieme alle pozze “satellite” che lo circondano, e chi invece adopera il plurale Laghi Azzurri, concedendo a ogni bacino una sua dignità autonoma. Poco importano tali finezze toponomastiche: noi, più per abitudine che per presa di posizione, li definiremo Laghi Azzurri. La vista sulle cime circostanti è in gran parte bloccata dalle gibbosità del terreno; solo le vette più alte fanno 92 LE MONTAGNE DIVERTENTI Svizzera), ma l'originalità sembra scarseggiare: è traduzione tedesca di “Lago Azzurro”! Di forma questa volta quasi perfettamente circolare, è contenuto a N da un esile braccio di terra, al di là del quale fa bella mostra di sé il Teurihorn, un (quasi) 3000 di incredibile fascino. In basso, si snodano sinuosamente i tornanti della parte svizzera della strada dello Spluga. Da qui comincia la nostra discesa, alquanto precipitosa, verso il passo; una serie infinita di corti tornanti, che disegnano una buffa linea spezzata sul fianco della montagna, tentano con buon risultato di limitare la pendenza del tracciato; sarà comunque un gran sollievo per le nostre ginocchia raggiungere i pianori erbosi di vicini al Passo dello Spluga (m 2113, ore 0:20). iamo ora alle fasi conclusive della nostra escursione. Dopo un ultimo sguardo verso la Svizzera, torniamo in territorio italiano; ci troviamo qui a camminare su un sentiero perfettamente lastricato, che serpeggia elegantemente fra i massi di un corpo franoso: è un tratto dell'originario tracciato sei e settecentesco della strada dello Spluga; più avanti, le due fasi costruttive sono ben distinguibili: dove il selciato si divide in due, è seicentesco quello che scende sulla dx con pendenza maggiore, mentre è di rifacimento settecentesco il tracciato che prosegue con pendenza più moderata. Questi brevi frammenti di storia saranno in grado di suggestionare i nostri sensi in modo del tutto speciale se avremo la pazienza di vederli illuminati della calda luce del tramonto. Poco oltre, la via Spluga attraversa la statale e si porta ad O del Liro, descrivendo un'ampia curva attraverso i verdi pascoli di Montespluga; infine si perde fra le case del piccolo abitato (Montespluga, m 1908, ore 0:35). Prima di abbandonare questo posto, regaliamoci una passeggiata per Montespluga, senza dimenticare di gettare un'occhiata all'interno dell'Albergo Vittoria (alloggiato nel palazzo della Ca' della Montagna) e dell'Albergo Posta: gli arredi ottocenteschi perfettamente conservati danno agli ambienti un fascino d'altri tempi da custodire gelosamente. S I Laghi Azzurri, al confine tra Italia e Svizzera (7 luglio 2007, foto R. Moiola). A fianco: le nebbie sulla strada che da Montespluga sale al passo (luglio 2005, foto Beno). capolino laggiù in fondo al pianoro riflesse nel blu profondo degli specchi d'acqua. Se però vogliamo ammirarle anche nella loro interezza è sufficiente salire al Pizzo della Casa, l'elevazione terminale del corpo montuoso che abbiamo alle nostre spalle, in direzione SO. Su tracce quasi inesistenti, percorriamo in moderata pendenza l'ampia dorsale, che ad ogni passo sembra regalarci panorami sempre più estesi; al termine, proprio sul ciglio del baratro, un modesto cippo in pietra (Pizzo della Casa, m 2522, ore 0:25) ci indica la “cima”: quella che da Monstespluga ci appariva tale, qui sembra piuttosto il lembo terminale di un esteso altipiano. Cima o non cima il panorama resta ed è di grande effetto: davanti a noi, dopo il turchese del Lago di Montespluga e il verde degli Andossi, si estende l'intera Valle Spluga coronata dalle sue splendide cime; sulla dx, l'ariosa Val Loga, e al suo imbocco, proprio sotto il nostro naso, le case di Montespluga, con il parcheggio in cui sonnecchia la nostra macchina; dietro di noi, infine, il gruppo del Suretta e l'ambiente aspro e accidentato dei Laghi Azzurri. Proseguiamo ora il nostro percorso. Tornati ai Laghi Azzurri (m 2429, Estate 2009 ore 0:20), li aggiriamo sulla sx, ammirandone l'irregolare bellezza e l'artisticità dei massi che spuntano in più punti dalla superficie, e andiamo a intercettare il sentiero con segnavia C14, che prosegue in salita verso E LE MONTAGNE DIVERTENTI compiendo una bellissima traversata al Bivacco Suretta; seguendolo invece in direzione opposta scendiamo, sempre su terreno sassoso, a un altro laghetto, il Bergsee (m 2311, ore 0:30). Altro lago, altro stato (siamo ora in Laghi Azzurri e Cima della Casa 93 LE CONDIZIONI ECONOMICHE E CONTRATTUALI SONO DETTAGLIATE NEI “FOGLI INFORMATIVI” DISPONIBILI PRESSO TUTTI I NOSTRI OPERATORI DI SPORTELLO. MESSAGGIO PUBBLICITARIO CON FINALITA’ PROMOZIONALE. Escursionismo E’ un mattino di novembre del 2005; le luci filtrano dalle finestre riverberando il colore del paesaggio e mi svegliano presto. Sono in un luogo sconosciuto, incuriosito dal nuovo mondo che mi circonda. Vado alla finestra, la apro, mi affaccio. L’aria gelida mi investe, il cielo è limpidissimo e le severe vette del Lomnicky e del Kežmarský Štít (due maestose montagne dei Tatry) dominano un inatteso paesaggio montuoso inondato dalle vigorose luci del mattino. Sono in un ambiente inaspettato: una piccola Valtellina a 1300 km dalla mia e questa visione mi riempie di aspettative e di coraggio per intraprendere una nuova avventura. VALTELLINESI NEL MONDO La fronte crepacciata del grande ghiacciaio Kronebreen (foto A. Gusmeroli). Fausto Pedrolini Dalla natura l’energia, dalla tua banca il finanziamento. Ihla v Dračom visto da Dračie Sedlo (10 febbraio 2008, foto F. Pedrolini). S Investire nella tutela dell’ambiente conviene, e da oggi ancora di più. Creval Energia Pulita è il finanziamento, a tassi e condizioni particolarmente vantaggiosi, destinato a privati e imprese che acquistano un impianto fotovoltaico, installano pannelli solari o investono in progetti finalizzati alla salvaguardia ambientale. CrevalEnergiaPulita Diamo valore alla natura. 94 LE MONTAGNE DIVERTENTI CREDITO VALTELLINESE, CREDITO ARTIGIANO, CREDITO SICILIANO, BANCA DELL’ARTIGIANATO E DELL’INDUSTRIA, CREDITO PIEMONTESE, BANCAPERTA. Estate 2009 www.creval.it ono arrivato a Nová Lesná ieri sera e ci ho trovato solo buio pesto e nebbia fitta e sensazioni da film di vampiri. Non si distingueva niente, la vista si interrompeva smorzata dalla foschia a breve distanza dal nastro d’asfalto che mi ha condotto fin qui nel lungo viaggio da Bratislava. E’ la prima volta che mi allontano dall’Italia per lavoro: sono stato reclutato per avviare una piccola realtà industriale nei pressi di Poprad, la cittadina slovacca ai piedi degli Alti Tatra. Sono in Slovacchia per una breve ricognizione, ma nei prossimi anni, questa potrebbe essere la mia casa e ciò mi riempie di curiosità e di preoccupazioni. In primavera (2007), come previsto, mi stabilisco in un villaggio fuori Poprad, a due passi dall’azienda e a tre dalle montagne. Il lavoro, almeno nei primi mesi, mi assorbe parecchio tempo ed energie e i problemi LE MONTAGNE DIVERTENTI quotidiani mi trovano impegnato in quella che è una sfida per me del tutto nuova. Gli slovacchi sono un popolo affabile, simpatico e cordiale, hanno culture e tradizioni lontane e dei modi di porsi da noi, purtroppo, spesso dimenticati. Qui ho trovato una civiltà non ancora avvelenata dal consumismo, un ambiente in cui l’amicizia e l’ospitalità sono qualità di tutti, una civiltà dell’essere, non dell’avere o peggio dell’apparire, un mondo a misura d’uomo dove tutti sono amici e si sente il bisogno di darsi aiuto l’un l’altro per il semplice fatto che questo ci fa stare bene. In sostanza, ho vissuto in un luogo sano, pieno di buoni valori che raccomanderei a chiunque di visitare, non solo per le attrattive paesaggistiche, ma in un’ottica di integrazione con la gente del posto. La luce dei Tatry 95 Rubriche Ľadový štít (2627) Pyšný štít (2621) Bradavica (2476) Ždiarska Vidla dalle pendici SE dell'Havran (13 agosto 2008, foto F. Pedrolini). Questi sono i momenti più cari che ho vissuto in questi luoghi: due anni sono lunghi e io mi sono dato piuttosto da fare per darne una discreta idea con poche parole. BELIANSKA KOPA, MAGGIO 2006 Un tramonto indimenticabile sui Belianske Tatry: sono in compagnia di due camosci che mi considerano un loro amico, visto che passeggiano indisturbati dalla mia presenza. Ho la neve al ginocchio e ovviamente calzoncini corti e scarpe da ginnastica. Sono andato un po’ a spasso dopo il lavoro, è finalmente la mia prima escursione sui Tatry. A m 1600 c’è già neve dappertutto, a 1700 c'è da disperarsi, ma voglio raggiungere una collinetta più in alto. Ci arrivo nel momento più bello della giornata, il tramonto, facendomi strada fra camosci troppo domestici. Scopro, nella valle adiacente i Belianske Tatry, una magnifica cresta montuosa di roccia calcarea: il bianco della roccia e della neve sono combinati coi colori della vegetazione e inondati dai raggi del sole calante tra le nuvolette del fondovalle: che spettacolo! G li Alti Tatra o Tatry per i locali, sono una cresta montuosa di poche decine di km di estensione al confine fra Slovacchia e Polonia, appartengono al gruppo dei Carpazi e ne ospitano le cime più elevate: la vetta più alta, il Gerlachovský Štít tocca i m 2655 e altre 25 cime passano i m 2500. Sono montagne dalle caratteristiche alpine, molto simili alle nostre per conformazione rocciosa, flora e fauna. La zona è sotto la tutela di parchi nazionali, ed essendo di grande interesse turistico, è particolarmente protetta: è severamente vietato raccogliere fiori e funghi, pescare, spaventare orsi e lupi e persino allontanarsi dai sentieri. RYSY, LUGLIO 2006 E’ metà luglio, sono arrivato stamattina alle 7 dall’Italia dopo tredici ore di guida e una passeggiata con pennichella sulle Alpi Carniche per rompere la monotonia del viaggio. Dopo un nuovo pisolino e un pomeriggio al lavoro sono libero di andarmene in montagna: alle 18 comincio a camminare, arrivo in cima alle 20:30 ma il sole, purtroppo, è già giù. Ho mancato il tramonto di pochi minuti andando a farmi respingere dalle pareti più impegnative del vicino e per ora inviolato Český Štít. E' stata una giornata calda e quassù il clima è davvero piacevole. Non vedo gente da più di un’ora e non ne rivedrò per altre due, la pace di questo luogo è immensa. In altri periodi dell’anno e in altri orari, questo monte, il più alto della Polonia (ho infatti sconfinato di qualche metro), è parecchio frequentato, ma ora c’è silenzio. Ho addirittura portato il frontalino con le pile cariche: non ho fretta, contemplo il mio nuovo mondo da una prospettiva diversa e mi lascio affogare dalle tenebre che con calma divorano tutto. GERLACH, FINE AGOSTO 2006 Un tramonto su un paesaggio ostile di rocce nude. Sono a due ore dalla civiltà e a un’ora dall’oscurità totale, non ho nemmeno un frontalino. Che prenda notte è scontato, ma mi attende anche una simpatica sorpresa sulla via del ritorno: un orso che per fortuna non ha voglia di litigare! Nonostante l’aria frizzante esito a separarmi 96 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2009 dal grandioso panorama: è stato un inizio di pomeriggio nuvoloso e freddo e l’ho passato a raccogliere funghi dalle parti di Vyšne Hagy dove è vietatissimo. Verso le 15:30 il cielo si è schiarito e il mio zainetto era ormai pieno. Il Gerlachovský Štit era lì a pochi passi: ci sono salito senza esitare; non conoscevo vie ma ho improvvisato. Alle 18:30, non senza difficoltà, sono in vetta e mi godo un tramonto da favola. L'aria gelata e l’ora tarda mi sconsigliano di dilungarmi, ma è faticoso staccarsi da qualcosa di così bello. KRIVÁŇ, FEBBRAIO 2007 E' il giorno più brutto di un inverno clemente, c’è un vento freddo insopportabile che porta la neve dappertutto, dal niente vedo finalmente affiorare una croce di legno: non è l’aldilà, sono finalmente in vetta. Partito con gli sci da Štrbské Pleso tre ore fa, era fresco, ma il cielo non lasciava presagire l’apocalisse; dopo un’ora era nuvoloso, dopo due si è alzato il vento, ora sto brancolando in una bufera che sembra voglia spazzarmi via. So solo che la cima è ancora un po’ oltre, medito più volte di tornare sui miei passi, ma non sono tipo da arrendersi facilmente e a furia di ultimi sforzi, stringendo i denti invece di sbatterli per il freddo, arrivo in vetta. E' un momento bellissimo, memorabile, anche se il clima è quello del girone dei lussuriosi all’inferno. Se non altro, adesso so dove sono e so che non posso più andare avanti nemmeno se lo volessi… OSTRÝ ŠTÍT, LUGLIO 2007 Finalmente, dopo troppe energie fisiche e nervose sprecate, giungo in cima a questo minaccioso sperone di roccia non senza qualche timore per il ritorno. E’ la vetta più acuminata che abbia mai scalato, ogni volta che in seguito l’ho osservata mi sono sentito un po’ orgoglioso e un po’ stupido: sto compiendo una traversata di discreto impegno date le mie ridotte capacità di scalatore, dallo Javorový Štít alla Široká Veža. L'Ostrý Štít (letteralmente: il pizzo appuntito) è proprio lì in mezzo e non potevo certo ignorarlo: ho impiegato due ore per guadagnare gli ultimi 100 m di quota esplorando tutti i versanti della montagna di cui ormai conosco ogni sasso; sono soddisfatto dell’impresa, ma ho qualche timore a scendere: non vorrei aver osato troppo stavolta, fortuna che ho con me un po’ di corda inadatta a stendere la biancheria con la quale farmi sicura nei momenti brutti. LE MONTAGNE DIVERTENTI Vista dallo Zadný Gerlach (10 agosto 2008, foto F. Pedrolini). Muráň da Nové Sedlo (1 ottobre 2006, foto F. Pedrolini). Vista dal Lavínový štit (10 agosto 2008, foto F. Pedrolini). La luce dei Tatry 97 Rubriche Artigiani: il restauratore MALÁ BAŠTA, OTTOBRE 2007 E' una delle poche notti serene di un autunno terribile, sono giunto ora sulla cima, proprio nel momento in cui la luna piena si sta alzando dalla Vysoká. E’ la luna più bella che si possa vedere in una vita e per una volta ho la certezza di trovarmi al posto giusto nel momento giusto. La Vysoká, quella che a mio parere è la cima più appariscente dei Tatry, è imbiancata dalle prime nevi autunnali e offre uno sfondo perfetto a quella immensa palla luminosa che, sorgendo, mi appare in tutta la sua radiosità in un cielo limpidissimo lavato da due mesi di pioggia. Maurizio Torri Lomnický e Kežmarský štit da T. Matliare. In primo piano gli alberi devastati POPRAD, AGOSTO 2008 dall'uragano del novembre 2004 (4 febbraio 2007, foto F. Pedrolini). Pochi mesi dopo la fine della degenza lavorativa, decido di tornare in Slovacchia per le ferie di agosto per salutare le molte persone care e dare un degno addio JAHŇACÍ ŠTIT, AGOSTO 2008 alle “mie” montagne. Sono stato così stupido da lasciarmi E' il momento che meglio definisce l’addio ai luoghi che iscrivere a una maratona ciclistica attorno ai Tatry. Ieri ho ho tanto amato. Un tramonto pieno di colori e sentimenti guidato quindici ore per arrivare qui in tempo, oggi ho a due passi dalla Belianska Kopa dove l’avventura è cominpedalato 230 km e, sinceramente, non ce la faccio più, ciata: è l’ultima settimana che trascorro in questa terra, anche perché in Slovacchia, e per quel che ne so io anche decido di tornare ad ammirare il tramonto più bello, quello in Polonia, c’è sempre vento e non ci sono strade piane: che più mi è rimasto nel cuore. Stavolta, al posto dei camosi sale o si scende, e dopo sette ore che pedali, anche una sci, mi sono portato due amiche. Vedo la Belianska Kopa discesa ti comincia a sembrare un po’ in salita. Così mi è appena lì sotto e poco oltre, a riempire lo sfondo, come parso anche l’ultimo pendio che porta verso il traguardo, in quella prima avventura di quasi una vita fa, i Belianske mi rincuora solo il pensiero che fra un minuto mi potrò Tatry tinteggiati con i colori del tramonto. L’erba di colosdraiare nel prato a scolarmi un’ottima birra slovacca. Devo re verde smeraldo ha preso il posto della neve e l’effetto ammettere che, essendone uscito vivo, ne è valsa la pena: cromatico ne guadagna; il mio cuore è gonfio di emozioni tutti i luoghi a me cari sono avvolti dall’anello d’asfalto che per quel che è stato e per il tempo che dovrò trascorrere ho appena percorso e ogni punto di osservazione mi ha lontano da un posto così bello. portato alla mente piacevoli ricordi. L’era del consumismo più sfrenato ci ha abituato a bruciare tutto e subito. L’oggetto vecchio, malconcio o anche solo un po’ acciaccato deve esser gettato e sostituito con un uno nuovo. Così, molti mobili e suppellettili dei nostri avi sono finiti nelle discariche. Le case dei nostri nonni sono però ricche di mobili ed utensili che meriterebbero di ritrovare “un posto al sole”; il problema è come rimetterli a nuovo? Gli artigiani in grado di dare un colpo di spugna ad anni di incuria sono davvero pochi, ma tranquilli: ci sono ancora. In questo articolo ve ne faremo conoscere uno che ha saputo fare della propria passione un vero e proprio lavoro. Fausto Pedrolini Fausto Pedrolini, classe 1974, ingegnere meccanico. Risiedo a Chiesa in Valmalenco, ma purtroppo mi sono spesso dovuto allontanare dalla mia amata valle: prima per studio, poi per lavoro. Attualmente sono occupato in un’azienda dell’alta Brianza dove trascorro tutta la settimana lavorativa e dove ovviamente conto le ore che mi separano dal venerdì sera, quando sarò finalmente libero di fuggirmene a casa. Mi è sempre piaciuto stare in movimento, ho sempre amato le bellezze naturali, l’attività all’aria aperta e soprattutto l’avventura. E’ da pochi anni che mi sto dedicando a scalare quelle montagne che prima erano solo un bello sfondo ad altre attività: ho conosciuto Beno nel 2005 che mi ha risvegliato da un periodo di “divanismo” e da allora di stupidate ne abbiamo fatte a grappoli. Ora, assieme anche alla compagnia di sherpa malenchi (Mario e Andrea) e, a Dio piacendo, di Gioia, facciamo almeno un’escursione la settimana senza badare troppo all’ora di partenza né a quella del ritorno, nè alle condizioni atmosferiche né, tanto meno, ai sentieri o ai rigorosi precetti del buonsenso. Oltre ad aver brillantemente superato i problemi irrisolti dell'alpinismo valtellinese (Monte Canale per il prato SE, Sasso Alto senza seggiovia, Monte Roggione ...), il mio curriculum alpinistico vanta anche la dedica di Andrea Gobetti sulla mia copia de L'uomo che scala: "A Fausto il fusto bello e robusto", che ha inorgoglito non poco mia mamma! 98 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI L’ultimo degli artigiani 99 Rubriche Nel centro storico di Morbegno, proprio vicino al palazzo comunale, vi è una bottega dove il tempo sembra essersi fermato. Tra vernici, chiodi, scalpelli, carta vetrata, e un po’ di polvere, Aldo Broggi ci ha fatto conoscere il fantastico mondo del restauro: «Con tanta pazienza, la giusta manualità anche un oggetto vecchio può tornare bello come un tempo. Ovviamente bisogna avere tanta passione. Per me il restauro è molte cose insieme: una forma di gioco, un hobby, quasi una malattia. Sarà che mi piacciono i lavori manuali, sarà che avevo un nonno falegname e uno tappezziere, ma non cambierei questo lavoro con nessun altro». Come è nata questa tua professione? «Mi sono diplomato al liceo scientifico di Morbegno e ho frequentato per due anni la facoltà di giurisprudenza, ma mi sentivo un pesce fuor d'acqua. Quando ho saputo della scuola di restauro, ho mollato tutto e dopo un anno trascorso a lavorare a Morbegno mi sono trasferito a Firenze. Qui ho iniziato la mia avventura e nel 1991 mi sono diplomato in restauratore di legni antichi presso l'Istituto Palazzo Spinelli. Prima di aprire la mia "bottega" ho fatto esperienza presso diverse ditte fiorentine specializzate in doratura, intaglio, intarsio ed ebanisteria. Il motivo? Sin troppo semplice: la scuola ti indirizza, ti da una base e una preparazione che va poi affinata. In un lavoro così manuale, l' esperienza della "bottega" è fondamentale». Quali sono gli aspetti positivi e negativi del tuo lavoro? «Mi piace il riuscire a viverlo ogni 100 LE MONTAGNE DIVERTENTI Aldo Broggi e il suo studio (28 aprile 2009, foto R. Moiola). giorno come un vero e proprio gioco; è entusiasmante e affascinante anche se a volte, come tutti i lavori, stressante. Mi piace l'idea che ogni pezzo che restauro abbia una storia sempre diversa. Non amo, invece, la burocrazia che bisogna seguire nelle collaborazioni con le Soprintendenze per il Patrimonio Storico e Artistico. Ciò ti porta a passare molto tempo davanti al computer per relazioni e ricerche. Una cosa che proprio non tollero è vedere quanta nostra storia e arte venga trascurata o abbandonata per disinteresse e ignoranza». «Chiunque; dal collezionista al semplice privato che vuole salvare il pezzo prezioso ereditato dalla propria famiglia. Mi contattano anche antiquari, musei, la curia o enti di varia natura». E per gli interventi? «A volte ti capita di riparare una semplice sedia, a volte opere antiche e importanti. In questo momento sto restaurando un grande altare scolpito, dipinto e dorato risalente alla seconda metà del XVII secolo. In genere lavoro su tutto quello che è legno: mobili, cornici dorate, statue policrome, oggettistica, porte e portoni, ecc.». Sono molti i restauratori in provincia e come vedi il futuro di questo mestiere? Prima hai detto che «Siamo in pochi e sempre meno, per te questo lavoro è ma ci siamo. I ragazzi interessati sono pure un hobby. Cosa una rarità forse perché in bottega ci si sporca o perché ci vuole trop- intendevi? po tempo a imparare il mestiere. Al giorno d’oggi nessuno ha più tempo e pazienza come una volta e, come se non bastasse, le varie norme ti portano ad avere meno dipendenti possibili: ciò vuol dire niente apprendisti e di conseguenza niente trasmissione delle tecniche che conosci». Chi è il tuo cliente tipo? «Semplice: la mia passione per il legno ha fatto si che un mio hobby riguardasse ancora questo materiale. Così nel tempo libero mi diletto a creare, assemblare e scolpire. Creo opere usando il materiale che avanzo durante i restauri e cerco di rappresentare l'uomo e le sue attività. Le definisco opere riciclate perché uso legno altrimenti destinato alla stufa». Estate 2009 Flora estiva di Valtellina parte I Franco Cirillo Riprendiamo la conoscenza della flora della Valtellina con riferimento al periodo estivo e alle piante erbacee. La presenza di rilievi imponenti che racchiudono la valle, l’andamento prevalente est-ovest creano situazioni climatiche diverse a secondo dell’altitudine e dell’esposizione. LE MONTAGNE DIVERTENTI Giglio rosso in Val Fontana (7 luglio 2008, foto Beno). Flora estiva di Valtellina 101 Rubriche Flora N Occhi della Madonna. el mese di giugno assistiamo nel fondovalle a fioriture di carattere propriamente estivo, mentre in alta quota è inizio primavera (l'estate alpina dura pochissimo, sostanzialmente da metà luglio a metà agosto). Innumerevoli sono le specie che mostrano fiori appariscenti e che attirano l'attenzione: ve ne daremo una prima trattazione parziale e non rigorosa, apparentemente disordinata, che sarà la premessa per approfondimenti futuri. Prenderemo in considerazione le specie più comuni, imparando a differenziare i fiori in base alla specie (pensiamo alle famiglie: genziane, gerani, garofani, orchidee) o ad altre caratteristiche (bulbose, perenni, medicinali, ecc.). Non ti scordar di me. Salvia dei prati. Fumaria. Tutte le foto di questa pagina: Franco Cirillo. Partiamo dal fondovalle in una giornata di giugno, per prender via via quota. ei pochi campi di valle, sopravvissuti all'industrializzazione selvaggia, osserviamo fiori comuni, forse banali, che però visti da vicino ci stupiscono per la loro perfezione e bellezza. Le veroniche, di cui Veronica comune (v. chamaedrys L.) forma sovente macchie azzurre di fioritura da aprile a luglio. Chiamate popolarmente anche “Occhi della Madonna” per il colore celeste dei fiori, due per volta su ogni rametto. Vegetano soprattutto nei prati, ai margini dei boschi e in zone molto azotate. Anche il Myosotis arvensis (L.) Hill, più noto come “Non ti scordar di me”, della famiglia delle borraginacee, ha fiori azzurri che mutano nel rosa e crea macchie di colori nei prati da aprile a settembre. Il nome popolare N Ranuncolo montano e, in basso, alisso delle rocce. 102 LE MONTAGNE DIVERTENTI Peonia spontanea e, in basso, geranio selvatico. Estate 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI del Myosotis deriva da una leggenda: nella Germania medievale, un cavaliere e la sua dama stavano passeggiando lungo la riva di un fiume. Il cavaliere si chinò per raccogliere un mazzetto di fiori da offrire alla sua bella, ma, vinto dal peso dell'armatura, cadde nel fiume. Mentre era in procinto di annegare, gettò i fiori alla sua amata, gridando: “Non ti scordar di me!”. Da quell'episodio, M. arvensis divenne noto in Germania come “vergess mich nicht = non-ti-scordar-di-me” e definitivamente associato all'idea dell'amore vero. Nel Medioevo veniva portato sulla persona per assicurarsi la fedeltà dell'amata. La tradizione passò anche in Francia, dove la pianta venne chiamata “ne m’oubliez-pas”, e anche “aimez-moi = amatemi”. Da qui si è poi trasferita agli altri paesi europei, compresa l'Italia. Nei prati incontriamo anche la fumaria (Fumaria officinalis L.), che è una papaveracea, il cui nome deriverebbe dall’odore di fumo o di fuliggine che l’erba sfregata emana. È una pianta medicinale usata in erboristeria come regolatrice del flusso biliare. E poi le labiate di cui la salvia dei prati (Salvia pratensis L.) è la più diffusa: fiorisce per tutta l’estate fino ai primi freddi. Presenta stranissimi fiori ad elmo di colore blu intenso; gli stami si comportano come piccole leve. Quando un insetto, in cerca di nettare, penetra nel fiore, aziona una specie di pedale, che gli ribalta sul dorso il braccio dello stame che porta l'antera: il polline si rovescia allora sul dorso dell'insetto. Questo meccanismo si può facilmente verificare introducendo nel fiore un filo d'erba. La Salvia dei prati, nota anche come salvia comune, è parente della salvia officinale (S. officinalis L.), quella che si usa in gastronomia ed erboristeria, di cui ha le stesse proprietà, però meno marcate: antisettiche, antimicotiche, antinfiammatorie, ipoglicemiche, toniche e digestive. Grande poi è la varietà di ranuncolacee a fiori gialli tra cui segnaliamo il diffusissimo ranuncolo montano (Ranuncolus montanus Willd.), che predilige i prati concimati e fiorisce da giugno ad agosto; alle volte è così numeroso da mostrare gialle pennellate sui prati verdi. Spostiamoci leggermente più alto nelle praterie più soleggiate e vicine al lago in Bassa Valle: se siamo fortunati potremo incontrare la peonia spontanea (Paeonia officinalis L.) i cui fiori rosso intenso sembrano carta velina accartocciata e poi distesa. È specie rara e protetta ed è capostipite delle peonie coltivate che adornano i nostri giardini. Nello stesso ambiente potremo anche incontrare il giglio rosso o di San Giovanni (Lilium bulbiferum L.): è uno dei fiori più vistosi che sono di colore arancione intenso, minutamente punteggiati di nero: è anch’esso rigorosamente protetto. Sui muri in pietra a secco esposti a sud incontriamo l’Alyssum saxatile L., o alisso delle rocce, di un giallo solare, che appartiene alle crucifere, cioè piante i cui fiori hanno quattro petali disposti a croce: la pianta è anche coltivata. Talvolta non si comprende se ci si trova di fronte ad un esemplare spontaneo o sfuggito alla coltivazione. Con l’inoltrarsi della stagione ai bordi dei prati fioriscono varie specie di gerani che non hanno niente a che vedere con quelli coltivati che provengono dal Sud Africa. Citiamo uno per tutti il geranio selvatico (Geranium sylvaticum L.) che predilige gli ambienti ricchi di humus, come prati concimati, vicinanza di stalle, radure di boschi. Può assumere dimensioni rilevanti a forma di cespuglio. Lo troviamo dal piano fino a oltre m 2000. Ma il fiore più anomalo per un ambiente montano come la Valtellina è il fico d’india selvatico (Opuntia vulgaris Mill.) comune intorno a Sondrio, ove si è naturalizzato, proveniente dal Sud America, sulle rocce intrusive di origine vulcanica che sostengono le balze delle vigne. Percorrendo la statale di fondovalle fermatevi sotto il campanile della Sassella e guardate in alto a nord. Sicuramente vedrete i prorompenti fiori gialli dell’opunzia. Il sole bruciante di queste balze ci porta alla mente ambienti di Sicilia; non è un caso che in queste zone prosperano vigne che per l’appunto producono un vino forte di tipo siciliano come lo Sfurzat. Flora estiva di Valtellina 103 Rubriche POESIE & PERSONAGGI Inspira luce, espira nebbia Inspira quiete, espira rumore … Leggera come un pensiero impalpabile prende il volo senza tremore, né desìo messaggera inconsapevole della divina perfezione. Solo colore, solo armonia ed estrema finezza in questo silenzioso battito d’ali … Danza farfalla, verso i fiori più belli, verso l’insostenibile pace de sensi di un’anima senza condanna … Potrebbe essere accaduto il 23 agosto 1878 durante una delle gite in compagnia di due celebri alpinisti lombardi... Gabriella Morgillo “Eccola, è andata dietro quei cespugli: proseguite, io vi raggiungo” Antonio Baroni annuisce e sorride, conosce quegli occhi pieni di stupore e curiosità, si tratta sicuramente di una specie rara e il suo compagno d’escursione non si lascerà scappare tale occasione. Antonio Curò infatti riappare poco dopo, sul volto da cinquantenne il sorriso di un bambino, tra le dita una busta dal contenuto prezioso... Si sa con certezza, invece, che Antonio Curò (1828-1906), amico della leggendaria Guida Alpina Antonio Baroni (1833-1912), aveva due grandi passioni: la montagna e le farfalle. Fondatore della Sezione del CAI di Bergamo, nonché primo presidente effettivo, è stato un importante pioniere ed esploratore delle vette orobiche. Costruì tre rifugi alpini: la Cà Brunona (posta lungo la risalita verso il Pizzo Redorta), il Rifugio Curò al Barbellino (attualmente Rifugio Antonio Curò, a lui dedicato e posto lungo le risalite verso il Pizzo del Diavolo della Malgina, le Cime di Caronella, il Monte Torena, il Pizzo Strinato) e il Rifugio Laghi Gemelli, posto lungo le risalite per il Pizzo del Becco, il Pizzo Farno, il Monte Corte e il Pizzo dell'Orto. Appassionato studioso di Lepidotteri, in tutta la sua vita collezionò 12000 farfalle provenienti da tutto il mondo e ascrivibili a 4827 specie diverse. Scrisse un’opera ancora oggi di grande valore naturalistico: Saggio di un catalogo dei lepidotteri d'Italia, pubblicato tra il 1875 e il 1889. Un elegante Macaone (Papilio machaon), della famiglia delle Papilionidae, visita i profumati fiori di un Clerodendrum (23 agosto 2008, foto Alessandra Morgillo). 104 LE MONTAGNE DIVERTENTI Alessandra Morgillo Estate 2009 Primavera LE MONTAGNE DIVERTENTI Flora estiva di Valtellina 105 Rubriche Fauna 1) e 3) Aquila reale in Val Minor e a Prato Valentino (7 dicembre 2008). Le sue dimensioni (può raggiungere i 2 m di apertura alare) e l’aspetto elegante giustificano il titolo di regina dei rapaci. Più probabile incontrarla ad alta quota, mentre è alla ricerca di marmotte, le sue prede preferite (foto Franco Benetti e Alessandra Morgillo). 2) Poiana ad Andalo Valtellino. Rapace tra i più facili da osservare, anche in Bassa Valle. Caccia in territori aperti e si nutre soprattutto di piccoli mammiferi, ma vi sono state segnalazioni di poiane dedite alla caccia di piccioni anche nei centri urbani (30 dicembre 2008, foto Alessandra Morgillo). 4) Gheppio. Questo piccolo falco è molto comune e lo si può vedere cacciare sui prati, anche ad alta quota, mentre pratica lo “spirito santo”: orientato contro vento, battendo le ali e allargando la coda, riesce a rimanere sospeso a mezz’aria, e, una volta individuati topi o grossi insetti, scende gradualmente fino al tuffo finale per la loro cattura (foto Franco Benetti). Acrobazie ad alta quota Alessandra Morgillo N elle calde giornate estive, volgendo lo sguardo verso l’alto, talvolta si vedono sagome scure che disegnano cerchi concentrici sempre più in alto nel cielo. Il nostro occhio fatica a distinguerne con chiarezza le fattezze, mentre il colore, in contrasto col chiarore del cielo, ci appare nero e le dimensioni risultano falsate dalla stima approssimativa della distanza. l contrario, a loro non sfugge alcun dettaglio e scrutano minuziosamente tutto ciò che accade all’ombra delle loro ali. I rapaci sono uccelli altamente specializzati, il loro nome deriva dal verbo latino rapio cioè catturare, ghermire, poiché sono dotati di peculiari caratteristiche che ne fanno “macchine da preda” eccezionali. A 106 LE MONTAGNE DIVERTENTI OCCHIO DI FALCO Nessun essere vivente può eguagliare gli uccelli rapaci quanto a buona vista, neppure l’uomo. Nel regno animale gli uccelli sono quelli che hanno la vista più sviluppata. Possiedono occhi molto grandi e possono distinguere bene forme e colori. La conformazione dell’occhio consente una capacità di messa a fuoco rapidissima e un’acutezza visiva fuori dal comune rispetto ai mammiferi. La parte visibile dell’occhio, ovvero la cornea esposta, è piccola rispetto all’enorme globo oculare, che in un’aquila può essere grande quanto quella dell’uomo e rimane quasi immobile nell’orbita; al problema della fissità del loro sguardo viene ovviato con la possibilità di ruotare notevolmente il capo attorno al collo. Nella maggior parte dei casi gli occhi sono posti ai lati della testa. In questo modo l’animale ha una visione molto ampia e può tenere sotto controllo più direzioni contemporaneamente per avvertire in tempo la presenza di un predatore o di altri pericoli. Gli uccelli predatori, invece, possiedono occhi vicini che guardano in avanti. In questo modo la visione è binoculare, cioè si somma l’azione visiva dei due occhi, e ciò permette una migliore valutazione delle distanze degli oggetti o la profondità di campo. Se proviamo a chiuEstate 2009 derci un occhio con una mano e cerchiamo di toccare un oggetto posto sullo spigolo di un tavolo sbagliamo facilmente la distanza e tastiamo a vuoto. Per i rapaci è indispensabile individuare correttamente la posizione della preda per piombarle addosso con precisione e afferrarla con i forti artigli. Valutare bene le distanze è, quindi, prioritario per questi animali, anche se ciò comporta la riduzione del loro campo visivo e possono guardare solo in una direzione. La vista dei rapaci diurni è anche detta telescopica (dal greco: tele = distanza e scopèo = guardare), cioè possono vedere bene da lontano, grazie alla maggiore convessità dei loro occhi. Tale visione corrisponde circa a quattro volte quella dell’uomo e possono individuare un topolino dall’altezza di 200 m, cosa che noi non potremmo fare senza l’ausilio di un binocolo. GALLEGGIARE NELL'ARIA P er avere successo nella predazione non basta una vista eccezionale. I rapaci diurni sono degli abilissimi volatori. La loro tecnica consiste nello sfruttare nel modo più efficiente possibile le correnti termiche dell’aria, consumando minime quantità di energia. LE MONTAGNE DIVERTENTI Quando il sole riscalda la superficie terrestre si innescano correnti ascensionali, ovvero l’aria a contatto con la superficie, aumentando la sua temperatura, diviene leggera e inizia a salire a spirale verso l’alto. I rapaci allora entrano ad ali spiegate in queste correnti e si lasciano trasportare in alto, compiendo ampi cerchi nel cielo. Da lassù si lasciano scivolare in volo planato verso un’altra corrente veleggiando, con le loro larghe ali, senza compiere troppo sforzo da una termica all’altra. Una volta individuata la preda dall’alto, che a seconda della specie cacciatrice può essere un roditore, un rettile o un altro uccello, i rapaci sfoderano le loro tecniche predatorie che possono mostrare raffinate varianti. I falchi pellegrini (Falco peregrinus), per esempio, sono degli agili manovratori che si possono paragonare in un certo senso agli aerei da caccia: possiedono ali lunghe e strette, che, ripiegate in posizione aerodinamica, consentono loro di effettuare picchiate da record: possono raggiungere i 300 km orari e riprendere quota o sterzare con strabiliante facilità. Lo stile di caccia di questi uccelli è infallibile e unico nel suo genere, per questo motivo vengono impiegati dai falconieri in alcuni aeroporti, addestrati a mettere in fuga gli altri uccelli, loro possibili prede, per evitare gli impatti con gli aerei in fase di decollo e atterraggio. I gheppi (Falco tinnunculus), invece, sono soliti realizzare un tipo di volo detto a “spirito santo”. Si tratta di una tecnica che consente ai piccoli falchi di rimanere fermi sospesi in aria grazie a un sofisticato meccanismo di battito d’ali che disegna un 8 in senso orizzontale. In questo modo, immobili nel cielo, possono osservare più facilmente la preda da catturare. Le poiane (Buteo buteo) sono in grado, addirittura, di stare sospese a mezz’aria senza battere le ali, o quasi, semplicemente bilanciandosi contro vento ad ali aperte. Quest’altra tecnica speciale si chiama volo stazionario. Riescono a volare, invece, con estrema agilità tra gli alberi gli sparvieri (Accipiter nisus), esperti di voli di inseguimento radenti al suolo e gli astori (Accipiter gentilis), che praticano fulminei agguati, entrambi non sempre facili da osservare poiché vivono nel fitto dei boschi. Da ammirare il volo resistente del nibbio bruno (Milvus migrans) e del più raro falco pecchiaiolo (Pernis apivorus), che affrontano ogni anno per due volte una migrazione di migliaia di chilometri per raggiungere l’Africa dove trascorrono l’inverno. Infine le aquile (Aquila chrysaetos), il cui nome deriva da acumen, termine latino che si riferisce all’acutezza della loro vista, ma forse anche all’acume mentale, sono capaci di coordinare un’azione di caccia in squadra, infatti, mentre una spinge la preda in una direzione, l’altra è pronta a tenderle una trappola nella direzione opposta. Uno spettacolo di forza e precisione in assoluta armonia con l’eleganza di un volo maestoso. È una fortuna poter osservare nei nostri territori una tale varietà di animali che occupano il vertice della catena alimentare e che con la loro presenza ci fanno riflettere sul valore della protezione e della conservazione del paesaggio. Acrobazie ad alta quota 107 L’ARTE DELLA FOTOGRAFIA A caccia di ghiacciai Diffuso fino ai primi del 1800 sulle montagne dell’Europa meridionale e centrale, questo maestoso avvoltoio dall’apertura alare di quasi 3 m, ha finito con l’estinguersi in buona parte dei suoi territori. Sulla catena alpina l’estinzione è datata inizio del ventesimo secolo. Il motivo principale della sua scomparsa fu lo sterminio sconsiderato da parte dei cacciatori di trofei a cui veniva pagato profumatamente ogni esemplare abbattuto perché considerato nemico dei pastori. Il vecchio nome “avvoltoio degli agnelli” è testimone della cattiva fama di cui godeva il gipeto. Si pensava che prelevasse gli agnelli dal gregge, ma probabilmente si tratta solo di leggende: un gipeto adulto, infatti, riesce a sollevare al massimo un peso di 2 kg e si nutre quasi esclusivamente di ossa di animali già morti. Come per gli altri avvoltoi, questa specializzazione, se da un lato gli attribuisce un ruolo fondamentale nell’ecosistema, ovvero eliminare le carogne e la possibile diffusione di malattie, dall’altro lo rende particolarmente vulnerabile: l’abbandono dell’allevamento di bovini e ovini avvenuta negli ultimi 100 anni in gran parte dell’Europa, infatti, ha portato come conseguenza la sua rarefazione. Oggi, grazie a un progetto di reintroduzione che ha visto coinvolta anche l’Italia, la specie sta ricreando una piccola, ma stabile popolazione che sulle Alpi svizzere, italiane e austriache conta circa 150 individui. La prima nidificazione italiana di questo uccello reintrodotto è avvenuta nel 1998 nei pressi di Bormio e da allora i gipeti stanno riconquistando i loro antichi territori e sono diventati il simbolo della protezione delle regioni di montagna. 108 LE MONTAGNE DIVERTENTI Falco pecchiaiolo: trascorre l’inverno in Africa, ma raggiunge l’Europa per nidificare. Il suo cibo preferito sono insetti come vespe, bombi e calabroni. È raro da vedere ed è presente solo in Bassa Valle (foto Alessandra Morgillo). Sopra: Gipeto (Gypaetus barbatus) al Parco dello Stelvio (foto Franco Benetti). Estate 2009 Enorme seracco illuminato dalle luci dell'alba (13 agosto 2005, foto Roberto Moiola). Roberto Moiola LE MONTAGNE DIVERTENTI L'arte della fotografia 109 L’ARTE Rubriche DELLA FOTOGRAFIA L a fotografia non è solo un ritratto di bellezza, luci e colori, ma anche un mezzo di studio e testimonianza dei cambiamenti in atto. E' sul valore scientifico delle immagini che ci soffermeremo in questo numero. N egli ultimi decenni è diventato coscienza comune il fatto che i ghiacciai della Terra sono a rischio di estinzione. Il ritiro dei ghiacciai è ben osservabile non solo nelle regioni estreme e fredde, ma anche nei piccoli apparati, soprattutto delle Alpi: saranno loro i protagonisti di questa rubrica. Non è questa la sede per parlare delle cause di questo cambiamento climatico in atto, vogliamo piuttosto impegnarci a testimoniare con la fotografia, anche per i più scettici, che il problema è reale e persino più grave dei moniti allarmisti. Anche i più esigui ghiacciai sono talvolta così grandi ai nostri occhi da indurci a pensare che sia difficile, se non impossibile, una loro scomparsa. Eppure l’apparenza inganna, come testimoniano le prove fotografiche. Certo, ci vorrebbero alcuni anni per documentare l'effettiva riduzione del fronte di un ghiacciaio, possiamo però valutare la velocità di scioglimento durante una singola stagione, cogliendo i dettagli del paesaggio in bilico tra lo stato solido e quello liquido. Quest’estate andremo quindi a caccia di ghiacciai, una sfida sul campo che vedrà premiato lo scat- Particolare di crepacci del Ghiacciaio dell’Aletsch, Canton Vallese (13 settembre 2006, foto R. Moiola). Sotto: la grotta di ghiaccio formatasi nell’estate 2007 in Val Cantone di Dosdè, Alta Valtellina (foto R. Moiola). 110 LE MONTAGNE DIVERTENTI to più bello e originale mandato a [email protected] . Ricordiamo anche ai più arditi che il ghiacciaio non è sempre un luogo calmo e immobile come può apparire: l’energia che vi si cela all’interno facendone un luogo misterioso può renderlo allo stesso tempo ostile e pericoloso. Può essere sufficiente riprenderlo da distanza per catturarne dei dettagli, o dal fronte per documentarne il disgelo. E cco alcuni consigli per questo tipo di soggetto: - trattandosi principalmente di soggetti con pochi colori possiamo realizzare i nostri scatti sia in giornate di sole che in situazioni di tempo coperto; - per mantenere tale il bianco della neve potrebbe essere possibile dover aumentare l’esposizione. L’esposimetro infatti, attratto da una forte luminosità, tenderà a scurire (sottoesporre) l’immagine. Cerchiamo di controbilanciare (+1 o +2 EV); - usiamo la massima qualità delle immagini perché sarà indispensabile registrare tutti i dettagli delle superfici ghiacciate; - non avventuriamoci in imprese ardite, piuttosto cominciamo da luoghi come i sentieri glaciologici, adatti a molti, (al Fellaria o al Ventina in Valmalenco ne troviamo due ottimi esempi). Formazione di un laghetto epiglaciale al Ghiacciaio di Fellaria Orientale, Valmalenco (24 agosto 2005, foto R. Moiola). Estate 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI L'arte della fotografia 111 L’ARTE Rubriche DELLA FOTOGRAFIA LE FOTO DEI LETTORI Le foto d'epoca Due sezioni dedicate ai nostri lettori: una che premia il fotografo più bravo, l’altra che mostra la fantasia di chi ha portato “Le Montagne Divertenti” a spasso per il mondo e i personaggi che con simpatia seguono il nostro progetto. Per ogni numero de “Le Montagne Divertenti” sceglieremo e premieremo la foto migliore fra quelle che ci avrete inviato a [email protected] e la pubblicheremo con una recensione dettagliata e la scheda di presentazione del fotografo. Lo scatto vincitore fra quelli giunti negli ultimi 3 mesi è quello di Matteo Tarabini realizzato nei meandri ghiacciati del Morteratsch. Alpinisti fra le imponenti seraccate del Ghiacciaio del Morteratsch (1875 circa, anonimo - tratto dalla collezione Fineschi). U na concreta testimonianza del ritiro dei ghiacciai è offerta dalle foto d'epoca. Gli scatti in bianco e nero di fine '800 e inizio '900 testimoniano che, agli albori dell'alpinismo, lo sviluppo glaciale nelle nostre regioni era notevole. Queste foto affascinano non solo per i soggetti immortalati, ma anche per la superba qualità delle stesse. L'inquadratura e la modalità di ripresa all'epoca costituivano solo l'impronta del negativo, ma il positivo, lo stadio ultimo dell'atto fotografico, veniva alla luce dopo un complesso e importantissimo lavoro in camera oscura, oggi oramai dimenticato per l'avvento del diacolor prima e del digitale poi. Lo sviluppo dell'immagine era un processo artigianale tanto creativo quanto la ripresa stessa e si basava su svariate tecniche: dal carbone al platino, dall'albumina al bromuro d'argento. Il confine tra fotografia e pittura era assai esile e proprio nell'ultima fase il fotografo esplicitava la propria personalità interpretando il negativo. Tra le pubblicazioni in materia, segnaliamo il volume di recente pubblicazione “La montagna rivelata", da cui sono tratte le immagini di questa pagina. “La montagna rivelata" raccoglie oltre 100 fotografie che abbracciano un periodo compreso tra il 1800 e il 1960. Le opere, realizzate da vari fotografi-alpinisti, sono tratte dalla collezione Fineschi e scelte tra le più suggestive per soggetti (illustrano la conquista delle cime europee, asiatiche, indiane e africane), tecniche e completezza della documentazione. 112 LE MONTAGNE DIVERTENTI Giochi di forme e colori nella grotta della lingua del ghiacciaio del Morteratsch. RECENSIONE DI SYSA Dall'Olio Chiara , La Montagna rivelata. Fotografie di grandi viaggiatori tra '800 e '900, Skira, Milano 2009. Estate 2009 La meravigliosa massa di ghiaccio di questa foto ci contagia con la sua imponenza, una forza che spesso si cela all’interno di un ghiacciaio e che Matteo ha saputo cogliere. Le sue forme, quasi perfette come in una scultura ad arte, ci catapultano nel fotogramma invitandoci con la mente a trovare una via di uscita, che poi incontriamo in quella luce laggiù in basso che filtra dall’esterno. Uno scatto equilibrato nei colori, che via via si spengono verso di noi, come a lasciarci solo immaginare il buio che sta alle nostre spalle, senza farcelo vedere. Rimangono allora i misteri della natura, come conoscere tutte le forze in gioco nello scacchiere dei cambiamenti climatici che mettono a dura prova il futuro dei ghiacciai temperati. LE MONTAGNE DIVERTENTI IL FOTOGRAFO Mi chiamo Matteo Tarabini di Rasura (SO), 31 anni, appassionato di foto e giri in montagna. Dopo due stagioni in cui ho inanellato ascensioni di tutto rispetto nelle condizioni meteo più proibitive (2006 e 2007), ora mi dedico ad avventure più "tranquille", lontane da precipizi e bufere . Sono felice che questo mio scatto sia stato premiato e spero di avere ancora occasione di farne nuovi altri da inviarvi per i prossimi numeri. Le foto dei lettori 113 ASSO C SP Rubriche RI A OI NOST I OR Xxxxxxxxxxxxxxxx LETT 1 4 5 6 7 1) Le Montagne Divertenti in Islanda per il tour scialpinistico 2009 (4 aprile 2009 , foto Filippo Valaperta). 2) Al Time Square Garden a New York (23 febbraio 2009, foto R. Moiola). 3) Simone e Davide si rilassano con LMD al tempietto di San Fedelino (25 marzo 2009, foto Concolino Fabrizia). 4) Gita nei boschi di Olmo nella Valle dei Giusti con vista su Chiavenna completamente avvolta dalla nebbia (1 gennaio 2009, foto Bosisio Maddalena). 5) Le Montagne Divertenti al nuovo Rifugio Lagazzuolo in Valmalenco (febbraio 2009, foto Felice Battaglia). 6) Ornella e Angelo Cerasa a Londra (24 febbraio 2009). 2 114 LE MONTAGNE DIVERTENTI 3 Estate 2009 7) Anche la Statua della Libertà non ha voluto perdersi l'ultimo numero de Le Montagne Divertenti (foto e montaggio R. Moiola). LE MONTAGNE DIVERTENTI Le L Efoto FOTOdei DEI lettori LETTORI 115 I OR LETT 1 RI A OI NOST ASSO C SP Rubriche 2 4 3 6 5 1) e 2) Cristina Bonacina (9°), Barbara Flematti, Silvia Ciaponi e Michele Rigamonti (27°) a New York dopo aver partecipato il 3 febbraio 2009 alla 32a run up sull'Empire State Building. Il valtellinese Marco De Gasperi in questa edizione ha staccato un eccellente 2° posto alle spalle del tedesco Thomas Dold. 4) Mario Gianola sull'Etna (22 febbraio 2009). 3) I ragazzi della Sportiva Lanzada col presidente Fabiano Nana in Piazza Duomo in occasione della Stramilano 2009 (5 aprile 2009, foto Manuele Presazzi). 6) Spedizione mista malenco-svedese al Monte Toubkal (m 4170), la cima più alta dell'Atlante in Marocco (17 febbraio 2009, foto Luciano Bruseghini). Le Montagne Divertenti 116 LE MONTAGNE DIVERTENTI LE MONTAGNE DIVERTENTI 116 EstateSezione 2009 5) Elisa Brambilla fotografa i figli al Rifugio Brasca in Val Codera (12 aprile 2009). Le L Efoto FOTOdei DEI lettori LETTORI 117 Rubriche Vincitori e Giochi ch'el sucéss? vinti šch'éi dupéra da fa? ma 'n gh'el? La soluzione era: catena da legare le mucche, martello per martellare la ranza e ferro per martellare la ranza, asse per metterci su il panetto del burro 1) Perregrini Gina di Talamona (00.00.02) 2) Proh Davide di Mossini (00.00.03) 3) Manuele Presazzi di Caspoggio (00.00.05) 4) Spini Daniele e Mariana Elisabetta di Sacco (00.00.07) 5) Ferrari Giovanni di Morbegno (00.00.11) 6) Salvetti Guglielmo (00.00.29) 7) Maurizio Valesini (00.00.57) 8) Elisa Borzi (00.01.15) 9) Stefano Rezzoli (00.01.26) 10) Grossi Samule (00.01.48) e, a seguire (primi 19) Stefano Losa - coadiuvato dai nonni Francesco Mazza e Fistolera Dora, Elefantzeus, Renato Della Vedova, Fanchetti Marco, Michele Giordani, Michele Romeri, Alan, Mirco Pedroli, Parolo Antonietta, e molti molti altri. La foto in oggetto, tratta dall'Archivio Corti, presentava una didascalia errata che aveva tratto in inganno pure me. In molti hanno indovinato la soluzione, cioè la foto era stata scattata dal DOSSO DEL SOLE, situato circa sopra l'abitato di Piateda (SO), e non da Carnale come indicato nell'archivio. I vincitori sono perciò Davide Proh e Grossi Samuele. HAI SEMPRE ASCOLTATO I RACCONTI DEL NONNO? ALCUNI FATTI HANNO SCONVOLTO I NOSTRI PAESI ED IL PAESAGGIO STESSO. DIMMI A CHE AVVENIMENTO/LUOGO SI RIFERISCE QUESTA IMMAGINE TRATTA DALL'ARCHIVIO DEL VALTELLINESE. CAI I 2 PIÙ VELOCI DALLE ORE 00:00 DEL 25 GIUGNO 2009 VINCERANNO L’ESCLUSIVA MAGLIETTA DE “LE MONTAGNE DIVERTENTI”, FINO AL 5° CLASSIFICATO RICEVERANNO UNA COPIA DI TERRA GLACIALIS. MANDA LE TUE RISPOSTE A: [email protected] OGGETTO DELLA MAIL: “CH'EL SUCÉSS?” RICORDATI DI SPECIFICARE INDIRIZZO E LA TUA TAGLIA IL TUO (S, M, L, XL). ma 'n gh'el? SE SEI UN ATTENTO OSSERVATORE, INDOVINA DA DOVE È STATA SCATTATA (FOTO ARCHIVIO NINO GIANOLA). I 2 PIÙ VELOCI DALLE ORE 00:00 DEL 25 GIUGNO 2009 VINCERANNO L’ESCLUSIVA MAGLIETTA DE “LE MONTAGNE DIVERTENTI”, FINO AL 5° CLASSIFICATO RICEVERANNO UNA COPIA DI TERRA GLACIALIS. QUESTA FOTOGRAFIA MANDA LE TUE RISPOSTE A [email protected] OGGETTO DELLA MAIL: RICORDATI “MA 'N GH'EL”. DI SPECIFICARE IL TUO INDIRIZZO E LA TUA TAGLIA (S, M, L, XL). ATTENZIONE: LE RISPOSTE DATE IN ANTICIPO VERRANNO RITENUTE NULLE. 118 LE MONTAGNE DIVERTENTI Estate 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI Giochi 119 Rubriche LE RICETTE DELLA NONNA Sciroppo di lamponi o more Irene (Trattoria Malenca) INGREDIENTI: more o lamponi e zucchero. Mettete i frutti in una bacinella di vetro e copriteli completamente con del vino rosso. Corpite il tutto con un panno e lasciate riposate per 24 ore. Passate frutti e vino al setaccio. Utilizzate quindi una tela tipo garza per spremere i frutti, recuperando così la polpa privata dei semini. Mettete il tutto in una pentola capiente ed aggiungete 800 grammi di zucchero per ogni litro di succo ottenuto. Portate ad ebollizione per tre volte (ogni volta che il liquido fa la schiuma e s'alza di livello spegnete il fuoco e lasciate raffreddare). Avrete così pronto un buonissimo sciroppo, ottimo se diluito in acqua o versato sul gelato alla panna! 120 LE MONTAGNE DIVERTENTI Lamponi (foto Enrico Minotti, www.fotografiaemontagna.it). Estate 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI Ricette 121 "In montagna si sale per le vie della fatica. Per i sentieri di pietra o speroni di ghiaccio. Ma solo per l’ultima via, quella che a sera regala l’azzurro ancora intenso del cielo oltre la vetta, puoi sentire un’antica litania nel silenzio immoto del tempo… E’ un richiamo di pastori nella valle che già imbruna. E’ il giorno che muore." 122 LE MONTAGNE DIVERTENTI Guido Serenthà Estate 2009 LE MONTAGNE DIVERTENTI Ricette 123