Università degli Studi di Genova
DISEG – Dipartimento di Ingegneria Strutturale e Geotecnica
Materiali e Tecnologie Innovative dell’Ingegneria Civile
Ciclo di Seminari Tecnico-Didattici / Marzo-Maggio 2000
L’impiego di miscele bentonitiche
nelle opere di perforazione e di scavo dei terreni
Roberto Passalacqua
Quasi sempre nel caso di perforazioni eseguite per realizzare pali trivellati è necessario utilizzare
tubi di rivestimento a sostegno provvisionale del foro.
Anche nel caso di argille consistenti è talvolta opportuno installare un rivestimento, poiché
frequentemente tali formazioni sono fessurate o possono contenere intercalazioni formate da
livelli/livelletti di sabbie e/o limi i quali, franando nella perforazione, sono causa di accumuli
inconsistenti a fondo foro o anche di strizioni/discontinuità lungo il fusto dell’elemento strutturale
finito.
I tubi di rivestimento possono essere infissi ed estratti mediante morse vibranti o sistemi che
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applicano contemporanea rotazione e spinta (o trazione) alla colonna formata dagli stessi, con sistemi
del tipo di quelli riportati nella figura che segue.
Si può calcolare in prima approssimazione che, per estrarre un tubo di rivestimento del diametro di
800mm immerso per 30 metri in un terreno saturo avente peso dell’unità di volume γ’ = 1.3 t/m3 ed
angolo di resistenza a taglio ϕ’ = 21°, è necessario un tiro pari a circa 200t (considerando il terreno
spingente in condizione indisturbata – K0) e che tale valore può eventualmente salire a quasi 500t (in
condizione di spinta passiva – KP).
Dai pochi dati riportati in calce alla figura seguente (già relativi ad attrezzatura di portata
eccezionale), emerge chiaramente quanto, pur essendo applicate le contemporanee e continue azioni di
torsione e spinta, il rischio di non poter estrarre la colonna di tubi di rivestimento sia spesso probabile;
tale emergenza implica, oltre all’imprevisto danno economico, il fatto che il palo di fondazione così
realizzato con tubo a perdere non rispetta le specifiche di progetto.
Il rivestimento può essere completamente eliminato, salvo un breve tratto di tubo-guida in sommità
(detto anche “avampozzo”), fornendo supporto alla perforazione tramite la spinta idrostatica esercitata
da una miscela di acqua e argilla bentonitica mantenuta nel foro.
Questa argilla, come la montmorillonite che ha caratteristiche simili alla bentonite, presenta la
peculiarità di rimanere in sospensione nell’acqua formando un gel in condizioni statiche; quando è
invece agitata con un mescolatore od anche semplicemente mossa da un sistema di pompaggio assume
la consistenza di un fluido.
Tale comportamento caratteristico viene definito tixotropia.
Attraversando con la perforazione uno strato di terreno granulare, la bentonite presente nella
perforazione inizia a penetrare nello strato permeabile filtrando in esso dalle pareti dello scavo e
gradatamente, allontanandosi dal carico piezometrico ivi applicato, rallenta passando allo stato di gel:
in tal modo si viene a formare una sorta di barriera impermeabile che mantiene la colonna di fluido nel
foro che quindi può esercitare una significativa pressione idrostatica a sostegno delle pareti di
perforazione.
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Le miscele formate da acqua e sola bentonite raggiungono valori di densità di circa 1.1 t/m3, come
sinteticamente riepilogato nelle tabelle seguenti:
Si può raggiungere un peso dell’unità di volume della miscela fino a 1.6 t/ m3, aggiungendo alla
stessa un opportuno dosaggio (in funzione della densità iniziale come indicato nella tabella
precedente) di barite: questa consiste in un solfato di bario (BaSO4) presente in natura sotto forma di
piccoli cristalli, ascrivibili al sistema rombico (detto anche ortorombico) ed alla VIa classe
cristallochimica.
Quando la bentonite è utilizzata assieme ad utensili di perforazione del tipo di eliche o secchioni
(bucket), essa viene mantenuta allo stato fluido dalle continue azioni di rotazione, sollevamento ed
abbassamento degli stessi nel foro. Si deve comunque osservare in tali casi che il pistonaggio,
esercitato sul fluido presente nella perforazione durante le manovre in salita e discesa per l’estrazione
ed il reinserimento, può causare franamenti delle pareti di scavo: è quindi indispensabile che in
corrispondenza degli utensili siano previste opportune canalizzazioni di bypass.
Quando la miscela di bentonite diviene significativamente contaminata da una consistente presenza
di detriti, oppure risulta eccessivamente diluita dall’acqua di falda, è necessario sostituirla con
bentonite fresca o quantomeno ricondizionata.
A tale scopo è quindi necessario predisporre in cantiere un impianto del tipo schematizzato alla
figura seguente, che permetta di vagliare e far decantare la miscela in ritorno dalla perforazione e, se
del caso, ricondizionare il suo dosaggio con l’aggiunta di nuova bentonite; mantenendo le
caratteristiche del mix-design appropriate al sito ed alle sue condizioni al contorno.
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R
D
VD
linea di ritorno dalla perforazione
decantazione
depositi di bentonite “fresca”
VV
M
4
vibro-vaglio
mescolatori
Nel caso di fori di piccolo/medio diametro (200÷600 mm), il miglior metodo per introdurre e
mantenere la miscela di bentonite nella perforazione è la cosiddetta circolazione diretta, che consiste
nel mandare la stessa, con una pompa (normalmente a pistoni) connessa alla sommità della testa di
rotazione/spinta, attraverso la batteria delle aste cave di perforazione; la miscela, uscendo in pressione
da opportuni ugelli predisposti nella parte terminale degli utensili di perforazione (triconi, eliche),
risale lungo il foro all’esterno della colonna di aste e provvede anche, grazie al suo flusso costante, al
trasporto in superficie del materiale di risulta.
La bentonite che torna in superficie deve essere opportunamente convogliata, come già detto, prima
a vasche di sedimentazione, per separare i detriti grossolani, poi a vagli vibranti e a cicloni; viene
quindi reimmessa nel flusso continuo di circolazione dopo aver eventualmente corretto e adeguato il
dosaggio di bentonite.
Se lo smaltimento del fango di bentonite esausto non è gestito ed organizzato adeguatamente,
spesso diviene causa di contestazioni poiché, ovviamente, le autorità locali non ne ammettono lo
spargimento incontrollato nell’ambiente, nei corsi d’acqua e nelle canalizzazioni pubbliche.
A tal riguardo è oggi particolarmente interessante l’utilizzo di prodotti alternativi, quali ad esempio
i polimeri organici derivati da cellulosa e poliacrilamidi; questi infatti, oltre a non essere tossici –
infiammabili e corrosivi, sono biodegradabili e soprattutto possono essere distrutti, aggiungendo alla
miscela un ossidante (acqua ossigenata, solfato allume, acido acetico nella misura di 3÷4 lt/m3).
Alcuni problemi possono sorgere nel comportamento in esercizio dei pali gettati in opera sotto
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battente di fango di bentonite.
Il calcestruzzo viene infatti calato quando ancora il foro è riempito dalla miscela tixotropica e
l’operazione viene eseguita a mezzo di un tubo che deve raggiungere il fondo della perforazione;
quindi la malta sposta verso l’alto il fango nel corso del getto, espellendolo in sommità.
Fleming e Sliwinski hanno dimostrato nel 1977, in occasione di una campagna di indagini
sperimentali eseguita per la costruzione della centrale ENEL di Porto Tolle, che se la bentonite rimane
poco tempo in foro dopo la fine delle operazioni di perforazione e soprattutto, se viene rinnovata
immediatamente prima del getto in opera, non si evidenziano significative riduzioni di capacità
portante rispetto a quelle di pali di fondazione trivellati con altre tecniche di sostegno, come emerge
dai risultati esposti alla figura successiva.
Se nel caso dei pali di fondazione esistono tecniche di sostegno delle pareti di perforazione
alternative all’utilizzo delle miscele di bentonite, questa risulta invece essere l’unica possibile laddove
si debbano realizzare in opera dei diaframmi ed una semplice colonna d’acqua non riesca a fornire
sufficiente spinta o venga addirittura perduta troppo rapidamente per filtrazione.
Tali elementi strutturali vengono formati con getto di calcestruzzo in opera per realizzare
particolari opere di fondazione (dette anche murette o barettes), di sostegno (in sostituzione e/o
alternativa alle palancolate grazie a rigidezze flessionali decisamente maggiori) ed anche spesso per
assolvere ad entrambe le funzioni.
Altro utilizzo molto diffuso e significativo è quello di diaframmi plastici , formati inserendo nella
perforazione miscele binarie (cemento-bentonite nei casi più usuali) e destinati a realizzare barriere
continue ed impermeabili profondamente immerse nel terreno, ad esempio al contorno di discariche
controllate, per confinare siti inquinati, per intercettare e deviare flussi di falda ed altre applicazioni
specifiche.
La figura seguente schematizza una coppia di applicazioni particolari nelle quali l’utilizzo di
diaframmi strutturali e plastici è determinante nella realizzazione di tali opere di tipo geotecnico
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DIAFRAMMI STRUTTURALI DI
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DIAFRAMMI PLASTICI DI CONFINAMENTO
FONDAZIONE E SOSTEGNO
I diaframmi vengono eseguiti, dopo avere aperto lo scavo in assetto verticale e con attrezzature del
tipo di quelle meglio viste alla figura successiva, a pannelli (o elementi) modulari delle usuali
lunghezze in pianta di 1.50, 2.00, 3.50 metri.
Le dimensioni in pianta dello specifico utensile di scavo che verrà adottato in corso d’opera
definiscono implicitamente il modulo secondo il quale l’assieme dei pannelli, eseguiti in aderenza
l’uno all’altro, realizzerà l’allineamento continuo del diaframma di progetto.
Le profondità raggiungibili con tale tecnica di perforazione, come nel caso dei pali trivellati sono
teoricamente limitate solo dalle tipologie e dalle potenze installate a bordo delle macchine operatrici:
non sono infatti rari i casi di pali o diaframmi che raggiungono i 100 metri di profondità.
Gli elementi modulari, che formano nel loro assieme il diaframma continuo, vengono connessi
strutturalmente uno all’altro con opportune testate terminali sagomate a coda di rondine; queste
vengono realizzate grazie alla posa di opportuni profili a perdere installati nelle sezioni di scavo prima
del getto dei cosiddetti pannelli primari.
Laddove sia necessario che il diaframma finito abbia caratteristiche impermeabili, i profili a
perdere possono anche contenere più serie di bande longitudinali in gomma o neoprene che, quando
serrate dal contatto verticale tra pannelli successivi, assolvono alla funzione di barriere impermeabili
dette correntemente waterstop.
Molto spesso, anche nell’attraversamento di usuali stratigrafie, l’utilizzo delle miscele di fanghi di
bentonite (o similari, in alternativa) è l’unica tecnica esecutiva adottabile per il sostegno provvisionale
delle pareti di scavo dei diaframmi.
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PRODOTTA DALLA BAUER (D)
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