luoghi L La leggenda del santo corridore Gubbio: il simulacro del vescovo Ubaldo, santo patrono, ogni maggio scende dal trono e viene issato a spalla, dai fedeli, su una macchina di legno alta 4 metri, per correre a perdifiato, lungo quattro chilometri di tornanti. Su altre due macchine lignee lo pungolano sant’Antonio e san Giorgio. E dietro ai Ceri, il cui ordine immutabile custodisce il mistero della gara, incomprensibile ai profani, tracima un fiume impazzito di gente. Se la follia di Gubbio, da secoli, è codificata da una selva di proverbi ed esplode in un reticolato onnipresente di tradizioni, ci sarà pure un motivo. In fondo, è in suo nome che viene celebrato, da secoli, il trionfo del santo “corridore”. Testo: Monica La Torre Foto: Daniele Mattioli 45 46 Il15 maggio, sei del pomeriggio. Una folla compatta, densa, impenetrabile, dominata da un movimento simbiotico e spregiudicato, si accalca con la cautela che precede i grandi eventi, lungo le strade di Gubbio. La città tutta attende trattenendo il respiro tre squadre di ceraioli, lanciate a velocità incosciente lungo le vie che da piazza Grande portano al monte Ingino. Arriveranno di lì a breve, portando sulle spalle tre ceri lignei di oltre 4 metri d’altezza, per 300 chili ciascuno. Per vedere le oscillazioni, la corsa, il trionfo pagano dei santi trascinati in questo rituale frenetico e folle, un fiume di gente a densità irreale, pigiato all’inverosimile, si snoda lungo i 4 chilometri del percorso. Le mute di ceraioli a passo di carica sono uno spettacolo che ammalia: una corrente elettrica che sembra un fiume in piena, “macchine da guerra” il cui congegno si è perfezionato e impresso a fuoco nella memoria collettiva e nel dna degli eugubini, in secoli e secoli di esperienza. è una febbre contagiosa, un richiamo primitivo, un’esperienza mistica e pagana, quella che anima, ogni maggio, questa sfida sacra e profana… La Corsa dei Ceri di Gubbio, appunto. Quella al cui cospetto, persino la spagnola San Fermin, la Feria del Toro di Pamplona, apparirebbe razionale, nella logica tauromachica. Tori scatenati, uomini che li sfidano per mostrare il proprio coraggio. A Gubbio, no. La logica non abita più qui. The legend of the holy runner Gubbio: Every year, in the month of May, the simulacrum of bishop Ubaldo, patron saint of Gubbio, comes down from its throne and is hoisted up, on a 4-metre high wooden structure, onto the shoulders of faithful followers. They run together, like the wind, along four kilometres of tight bends, with St. Anthony and St. George goading St. Ubaldo from another two wooden pedestals, and a frantic stream of people following close behind. The order of the three “Ceri” (wooden structures looking like “candles”) never changes, enshrining the mystery of a race that a layman could never understand. If the craziness of Gubbio has, for centuries, been encoded in a multitude of proverbs and explodes in an ubiquitous network of traditions, there must be a reason. After all, the triumph of the holy “runner” has been celebrated in its name for centuries. 47 Nella città dei matti, come orgogliosamente ama definirsi la patria della corsa, è arduo dividere la proverbiale vocazione alla follia degli eugubini dalle motivazioni antropologiche della festa. Ancor più arduo risalire alla sorgente del rito, interpretare una storia rimasta intatta sino ad oggi. Il percorso da fare, per risalire alle origini di un culto tanto esasperato, appare così tortuoso da aver fatto desistere più d’un osservatore, attratto e poi scoraggiato dal vigore di una dimostrazione di forza intimamente connessa alla devozione popolare. “Anche se le origini sono probabilmente pagane – ci racconta Stefania Panfili, giornalista Rai fieramente eugubina – e la Corsa dei Ceri risale alle falloforie primaverili, oggi pur con tutti si suoi aspetti profani, resta profondamente legata alla devozione e all’affetto per il Patrono, che noi chiamiamo il Vecchietto. Sono sacro e profano che si uniscono e si mescolano fino a fondersi: ci sono spintoni, pugni e canti religiosi, canzoni sboccate, imprecazioni, bestemmie e segni della croce”. La festa è presto descritta. Migliaia di persone mettono a repentaglio la propria incolumità per trasportare a velocità disumana dei ceri devozionali di 4 metri per 3 quintali di peso, lungo un tragitto che attraversa tutto il centro storico, sino al già citato monte Ingino. 4 chilometri e 300 metri, durante i quali l’ordine di partenza delle colossali macchine lignee non cambierà né alla partenza dell’Alzatella, né tantomeno all’arrivo, dentro la Basilica di Ubaldo, Santo Patrono, che attende tutto l’anno in cima al monte… La successione dei santi e dei ceri è stabilita, intoccabile. Sant’Ubaldo, San Giorgio e Sant’Antonio. Punto. Se un Cero cade, gli altri devono aspettare. In queste regole sacre, (percorso, ordine, attesa) c’è la storia di un popolo, ed il simbolo istituzionale della Regione dell’Umbria, nel cui logo compaiono appunto i tre ceri stilizzati. Negli angusti spazi dei vicoli medioevali della città fortificata, nella severa pendenza delle strade tese verso il monte, verso la Basilica, non c’è spazio per sorpassare, per avanzare, per retrocedere. Tutto è e rimane come deve essere. E come rimarrà, nei secoli dei secoli, con buona pace del progresso. Ma se le regole son queste, chiede il forestiero, dov’è lo spazio per le vittorie e per le sconfitte? Ovvio che all’occhio esterno, sfugge il senso della gara… Un senso mistico, di appartenenza invisibile agli occhi, tutto nel cuore e nell’anima degli eugubini. Lo troviamo in quella miriade di regole non scritte, di comportamenti virtuosi o dannosi, in quelle sfumature che solo l’occhio del ceraiolo e del fedele può cogliere e che separano il vincitore dal vinto. L’imperativo di ogni ceraiolo è quello di contribuire al successo della corsa e al rispetto delle regole. IL suo “credo”, fare una bella figura, evitare “pendute”, inclinazioni scomposte del cero, irregolarità nell’avanzamento. Deve temere le cadute e distacchi, avere una corsa spedita, superare le possibili difficoltà. Questa la semplice ma inamovibile “filosofia del ceraiolo”. 15th May, six o’clock in the afternoon. A densely packed, impenetrable crowd gathers along the streets of Gubbio, dominated by a daring, symbiotic motion and huddled together with a wariness that always precedes great events. The whole city is waiting with bated breath, for the three teams of “ceraioli” (men carrying the Ceri) that run at reckless speeds from the town square of Piazza Grande, along the streets and up to Mount Ingino. They arrive shortly thereafter, carrying the three wooden Ceri on their shoulders, each one over four metres high and weighing 300 kg. A tightly packed stream of people, squeezed together beyond belief, winds along the 4 km route to watch the race, the swaying Ceri and the pagan triumph that sees the saints being dragged along in this frenetic, crazy ritual. The packs of charging ceraioli are like an electrical current or an overflowing river. These machines of war, running at crazy speeds, with a technique that has been perfected and branded into the collective memory and into the DNA of the “Eugubini” (citizens of Gubbio) over centuries of experience, are a captivating sight. It is a contagious fever, a primitive calling, a mystical, pagan experience that animates this sacred and profane challenge every May. This is the race of the “Ceri di Gubbio”. Even the Spanish San Fermin “Feria del Toro” of Pamplona, where men challenge raging bulls to demonstrate their own courage, would, in the logic of bullfighting, appear rational compared to the race of the Ceri... But logic no longer exists in Gubbio. In this “city of fools”, as the race’s home town proudly calls itself, it is difficult to separate the natural crazy tendency of the citizens of Gubbio from the anthropological motivations of the celebration. It is even more difficult to trace the path back to the source of the ritual, in an attempt to understand this story of a madness that is still unchanged today. The path back to the origins of such an exasperated cult is tortuous. Many an observer and historian, at first attracted by it, were later discouraged by the vigour and the vitality of a show of power and ability so intimately linked to popular devotion. (According to Stefania Panfili, a journalist of the Rai (Radiotelevisione Italiana) and fiercely proud of her Gubbio origins, “Even if the origins are probably pagan and the Corsa dei ceri race dates back to phallus-bearing springtimes, the race today – even with all its “profane” aspects – is still deeply linked to devotion and affection for the Patron Saint, whom we call “the old man”. It is the sacred and the profane coming together, mixing with each other until they are fully blended; there are shoves and punches and religious chants, vulgar songs, swearing, blasphemy and signs of the cross”). The celebration is easy to describe. Thousands of people put their own safety at risk to carry the four-metre high wooden devotional Ceri, each weighing three tons, and run at an incredible speed across the town centre and then up the aforementioned Mount Ingino. The route is four kilometres and 300 metres long, during which the starting order of the colossal wooden structures will remain unchanged. The order is always the same from the starting point of the “Alzatella” until the finishing point, inside the Basilica of patron saint Ubaldo, waiting all year long at the top of the mountain... This sequence of the saints and the Ceri is fixed and unalterable: St. Ubaldo first, St. George next and St. Anthony at the rear. That’s the way it is. If a Cero falls, the others must wait. In these sacred rules (route, order, wait) lies the story of a people and the institutional symbol of the region of Umbria with its logo, in which the three stylized Ceri appear. There is no space to overtake, to advance or go back in the narrow mediaeval lanes of the fortified town or on the steep, sloping roads that stretch upward to the mountain and the Basilica. Everything remains the same and will stay this way throughout the centuries, with no regard for progress. But if these are the rules, a stranger might ask, then where is the space for victories and defeats? It’s obvious that the meaning of the race eludes the outsider. The meaning is mystical and involves a sense of belonging that is invisible to the eye, but that exists inside the hearts and souls of the citizens of Gubbio. It lies in the myriad of unwritten rules, in the good or bad behaviour and in those details that only the eye of the ceraiolo and the devout can perceive, separating the winner from the defeated. It is every ceraiolo’s imperative to contribute to the success of the race and to respect the rules. His only “creed” is to make a good impression and avoid “slanting” or disorderly inclinations of the Cero or any irregularities when advancing. He needs to be afraid of falls and detachments, he must keep up a brisk pace and must overcome potential difficulties. 48 Una rivalità esasperata, una gioia inspiegabile per chiunque non sia nato all’ombra dei Ceri, un entusiasmo pieno, fanno di Gubbio una città unica. Con pochi epigoni nella geografia del folklore italiano. I suoi eroi, i ceraioli, i Capitani, i Capodieci mettono anima e corpo nella loro missione. Ogni anno si infortunano, ogni anno si infiammano nell’entusiasmo della corsa, nel pieno sprezzo del pericolo. A tale proposito, specifica la Panfili che correre “non è una ricerca di martirio. Lividi e lussazioni arrivano da soli. Lo dico per esperienza personale, visto che due anni fa sono rimasta azzoppata per 10 giorni”. è il regalo della corsa: un piccolo segno che rimane impresso sul corpo, testimonianza di una condotta eroica e coraggiosa. Lividi, contusioni, fasciature. Da portare con orgoglio nei mesi successivi, specie se si è fatto il proprio dovere. Senza indecisioni, rallentamenti, sbavature… Vincitori e vinti In questo scarno regolamento, la competizione trova ampi spazi per rodere il fegato degli eugubini. Provocare scosse scomposte, rallentamenti, intoppi, è causa di vergogna e disonore per i malcapitati. Chi sbaglia, chi inciampa, chi rallenta, è perduto. Il meccanismo perfetto che regola geometricamente i cambi, le mosse, le strategie logistiche delle squadre di ceraioli che si alternano al sostegno delle colossali macchine lignee non ammette errori. Lo sventurato che dovesse incappare in una qualsiasi defaillance, sa che lo aspetta un anno di vergogna. Altro momento critico, l’arrivo, stremati, di fronte alla Basilica: a volte, il Cero di Sant’Ubaldo ha margine sufficiente per chiudere la porta dietro di sé, con sommo scorno di chi insegue. “Sulla chiusura della porta della Basilica – racconta ancora Stefania – c’è un dibattito annoso tra i ceraioli delle tre Famiglie, e all’interno delle Famiglie stesse. Alcuni vorrebbero che la porta si lasciasse aperta e che San Giorgio si fermasse ai piedi della scalinata, senza tentare l’assalto. Altri invece vorrebbero che l’ultima parte della corsa rimanesse così com’è, anche se ogni anno questa fase provoca risse (se va bene) e spesso contusi. Qualche anno fa un malcapitato ci ha addirittura lasciato 4 dita dei piedi. è vero che è l’unico momento di competizione vera e propria tra Sant’Ubaldo e San Giorgio, perché Sant’Antonio, data la sua posizione, è fuori dai giochi. Eppure, a mio parere, non è il momento più importante della corsa. Se ad esempio il Cero di San Giorgio conduce una corsa impeccabile, e Sant’Ubaldo cade durante il percorso, anche se arriva con vantaggio tale da chiudersi la porta alle spalle, gli sfottò e le prese in giro saranno per i santubaldari: non per i sangiorgiari. è un’altra di quelle sfumature che si colgono solo a Gubbio”. Il rituale 49 Il rituale della corsa inizia il giorno prima. Una veglia epica, cavalleresca… La notte che precede l’evento, il ceraiolo non dormirà. C’è una dose industriale di emozione, di responsabilità, tanta paura di sfigurare agli occhi di quella cerchia ristretta, ma influentissima, che ha l’occhio allenato per decifrare sconfitte e vittorie. Errori ed eroismi. Guai a deludere i propri sostenitori. “Si cerca di fare la corsa perfetta non per gli altri ceraioli, ma per il Cero e, ovviamente, per Sant’Ubaldo”. Tutto, tutto deve essere perfetto. Ogni intoppo, ogni possibile intralcio, prevenuto ed eliminato. A tal fine, proprio per liberare il percorso, i ceri sono preceduti da una robusta squadra di “eliminatori”, di apripista, che correndogli davanti spinge via ogni cosa o persona possa intralciare il passo dei corridori. (uomo, donna, bambino o oggetto inanimato che dir si voglia). In questo spiegamento di forza bruta, c’è poco spazio per le politiche di genere. La corsa è roba da uomini. Impossibile o quasi, per le donne, soltanto “pensare”, di poter correre: giusto in guerra, in assenza di uomini, si racconta che sia stata inserita, tra le fila, qualche ceraiola. “Al massimo – racconta Stefania – qualcuna lo porta, in qualità di braccere, in città o sugli stradoni del monte. Io l’ho fatto nel 1982: 24 anni e 42 chili di peso. Certo è che a loro, oggi, spetta essenzialmente assistere gli uomini nella veglia che precede la lunga giornata cruciale: cucinare la colazione tradizionale, incitare e dare da bere ai ceraioli durante le pause della corsa e durante la Mostra del mattino. Un tempo anche cucire casacche. Oggi non più. Le divise sono ormai tutte preconfezionate, purtroppo!”. Ceraioli si nasce. La vera nobiltà eugubina La gioia di adempiere al proprio dovere di ceraioli è immensa. Ci sono famiglie che mantengono per generazioni il diritto di portare il Cero. Diritto che, alla stregua di un titolo nobiliare, o di una investitura cavalleresca, viene difeso con orgoglio tanto dal padre quanto dal figlio. Il ceraiolo deve crescere nella consapevolezza del proprio ruolo. E per questo, i bambini si cimentano, ogni anno, nella corsa dei Ceri Piccoli. Vero e proprio training, che, negli anni della pre-adolescenza, culminerà nella corsa dei Ceri Mezzani, la vigilia propedeutica del battesimo vero e proprio. Dopo anni di preparazione anche psicologica, ovvio comprendere come attorno alla manifestazione ogni eugubino vero si giochi il proprio onore, la propria credibilità, il proprio valore. This is the simple but firm “philosophy of the ceraiolo”. The exasperated rivalry and a joy, which are inexplicable to anyone who was not born in the shadow of the Ceri, as well as the incredible enthusiasm, are all things that make Gubbio a unique city with few epigones in the geography of Italian folklore. Its heroes, the ceraioli and the “Capodieci” team captains, put body and soul into their mission. Every year there are injuries, yet every year they are ignited by the excitement of the race, in full defiance of danger. In this regard, Panfili states that running in the race “Is not a search for martyrdom. Bruises and sprains can come from anywhere. I say this from experience, because two years ago I was “crippled” for 10 days”...). A gift from the race may be a small mark that lingers on the body, like evidence of heroic, brave conduct – bruises, contusions, bandages – to be carried with pride in the months to come, especially if you have done your duty, without hesitation, delays or flaws.... Winners and losers. The regulations are meagre but the competition finds many ways of making the citizens of Gubbio “eat their hearts out”. Any provoking of jolts, delays or stumbling blocks are all sources of shame and disgrace for the unfortunate person causing them. Anyone who makes a mistake or who trips or slows down is lost. A perfect mechanism geometrically regulates the changes, movements and logistic strategies of the teams of ceraioli, who take turns in supporting the colossal wooden structures, and there is no room for error. Anyone unlucky enough to run into a mulfunction of any kind knows that a year of shame awaits them. Another critical moment is the finishing line, where the ceraioli arrive, exhausted, in front of the Basilica. Sometimes, the Cero of St. Ubaldo has enough margin to be able to close the door behind it, to the disappointment of those following. “When the Basilica door is closed”, continues Stefania, “an age-old discussion takes place, between the ceraioli of the three Families and also within the same Family. Some would like the door to be left open and for St. George to stop at the foot of the steps, without attempting to rush up them. Others want the last stage of the race to remain as it is, even though this part of the race causes fights every year (or worse) that often lead to injuries. 50 L’occhio di chi osserva Gubbio regala emozioni indecifrabili. Una meravigliosa follia, trasmessa senza pudori, ostentata con l’orgoglio di chi va alla guerra. Il frastuono, la concitazione, l’impatto terribile dei ceraioli ricordano un assalto d’altri tempi. Lo stupore, la sensazione di anacronistica incredulità che assale quanti assistano per la prima volta alla festa, sono sentimenti che si leggono a chiare lettere sui volti di ogni spettatore. è uno spettacolo forte, anche se ovviamente è un universo chiuso. In primo luogo perché gli ambienti dove si svolge sono estremamente angusti: sono pochi quindi quelli che riescono a loro rischio e pericolo ad assestarsi lungo il tragitto della corsa, dove ogni eugubino ha il suo spazio prediletto, fisso, stabilito da sempre. Lungo le vie, per quanto gremite la massa degli spettatori ha poco più di un metro, per potersi godere lo spettacolo. E quindi lo spettatore non va a Gubbio per vedere: bensì per respirare questa atmosfera unica, per osservare la tensione spasmodica delle facce severe dei ceraioli, per osservare da vicino uno dei tanti misteri italiani, che fanno ricco questo paese. Uno straniero non riuscirà mai ad entrare nel vero spirito della manifestazione. Ceraioli si nasce. Ma sarà sempre emozionante vedere questa meravigliosa macchina da “guerra santa” mettersi in moto e lanciarsi lungo le strade di una delle più belle città dell’Umbria. Dizionario Il patrono. Sant’Ubaldo Baldassini, vescovo e patrono di Gubbio, morì nel 1160. La festa, che secondo molti commentatori si è mutuata dalle cerimonie legate all’offerta di cera che le corporazioni eugubine donavano al Patrono, nasce per altri da feste pagane precristiane, legate al risveglio della primavera. La corsa. La corsa si svolge sempre il 15 maggio, vigilia della festa di Sant’Ubaldo, con qualsiasi tempo e in qualsiasi giorno della settimana. Nel 2010 per evitare sovrapposizioni sono state spostate di una settimana le elezioni comunali. Se c’è una partita di calcio in casa si posticipa. Il 15 maggio del 1917, gli eugubini al fronte hanno costruito dei piccoli Ceri e fatto la corsa a Col di Lana! I Ceri. Sono tre “macchine” di legno del peso di circa 300 chili l’una, coronate dalle statue di Sant’Ubaldo (patrono di Gubbio), San Giorgio e Sant’Antonio abate, fissate in verticale su portantine che ne permettono il trasporto a spalla. A rendere ardua l’impresa, non solo il peso, quanto l’altezza, la velocità, le asperità del percorso e i cambi al “volo” (le mute) tra i portatori in corsa. Dei portatori, o ceraioli, ognuno ha il suo cero, per scelta o per tradizioni familiari. Sant’Ubaldo raccoglie le corporazioni dei muratori e degli scalpellini, San Giorgio quella dei commercianti, Sant’Antonio i contadini, i proprietari terrieri e gli studenti. 51 I ceraioli. I tre Capodieci sono i responsabili: effettuano l’Alzata, ovvero inaugurano la corsa e vigilano sul suo andamento. Sono chiamati così anche i ceraioli che guidano il Cero durante la corsa, posizionati anteriormente, per vigilare sul cambio che si danno le varie “mute” (squadre composte da 8 persone). Importanti anche le figure dei capocinque, delle punte, dei ceppi, del braccere, compagno di corsa, che sorregge dalla spalla libera il ceraiolo in azione. Tradizionalmente, i ceraioli sono scelti tra i maschi adulti delle famiglie che abitano a Gubbio: in rare occasioni (ad esempio durante le guerre), anche le donne sono state ammesse al trasporto dei Ceri. La divisa. Il ceraiolo indossa un paio di pantaloni bianchi di tela di cotone, una camicia di colore diverso a seconda del cero di appartenenza (gialla per Sant’Ubaldo, azzurra per San Giorgio e nera per Sant’Antonio), una fascia rossa legata in vita ed un fazzoletto rosso appoggiato sulle spalle e puntato davanti. A few years ago, someone was unlucky enough to lose 4 toes. This is the only real moment of out-and-out “competition” and it is always between St. Ubaldo and St. George - St. Anthony is not involved, since he is last in line. And yet, in my opinion, this is not the most important moment of the race. If, for example, the St. George Cero has an impeccable run but St. Ubaldo falls during the race, even if St. Ubaldo finishes with a wide margin and is able to close the door, the teasing and ridicule will still be for the St. Ubaldo team and not for the St. George team. This is another one of those undertones perceived only in Gubbio” The ritual. The ritual begins the day before the race. It is an epic, knightly vigil. The night before the event, the ceraiolo will not be able to sleep. Emotions are running wild and then there’s the sense of responsibility and the fear of losing face in front of that small but very influential circle of people whose eyes are trained to decipher defeats, victories, errors and heroic feats. Heaven help anyone who disappoints his supporters. “We try to run a perfect race, not for the other ceraioli, but for the Cero and, obviously, for St. Ubaldo”. Everything has to be perfect. Every hitch and every possible obstacle must be anticipated and eliminated. To this end, a sturdy team of “eliminators” runs ahead of the Ceri, clearing their path by pushing away every object or person that might get in the way of the runners - men, women, children, inanimate objects or whatever else you might call them. In this array of brute force, there is not much space for gender policies. The race is the stuff of men. It would be almost impossible for women to even think about running in the race. It is said that only in times of war, when there were no men around, a female “ceraiola” or two were included among the ranks. “At best, Stefania tells us, a few women may carry the Cero, acting as “braccere” (person helping a ceraiolo), inside the town or on the wide mountain roads. I did it in 1982, aged 24 and weighing 42 kilos. Their role today, though, is essentially that of helping the men during the vigil that precedes the long day of excitement, cooking the traditional breakfast, providing encouragement to the ceraioli and providing them drinks during the breaks in the race and at the morning “exhibition”. At one time, this also meant sewing tunics but this is no longer necessary because, sadly, all the uniforms now come ready-made!” Ceraioli are born to be ceraioli. This is the real nobility of Gubbio. For the ceraiolo, the fulfilment of his obligations is an immense joy. Some families maintain the right to carry the Cero for generations. This right is on the same level as a noble title or a knightly ordinance and it is proudly defended by father and son. The ceraiolo needs to grow up in the awareness of his role and this is why, every year, the children try their own mini “corsa dei ceri” race. It is a real training exercise that culminates in the “corsa dei ceri” middle race, during the pre-adolescent years, and it is a true preparation for the real event. It becomes clear why, after years of practical and psychological preparation, all true citizens of Gubbio jeopardize their own honour, credibility and valour in the name of this event. The eye of the beholder. Gubbio offers mixed emotions. There is a wonderful madness that is communicated without shame and flaunted with the pride of a soldier going off to war. The din, the excitement and the incredible force of the ceraioli bring to mind the raids of times gone by. The astonishment, the incredulity and the feeling of anachronistic disbelief that invests those experiencing the Gubbio celebration for the first time can all be seen clearly on every spectator’s face. This is a tough event to watch, even though the race is, of course, a closed universe. First of all, the areas in which the race takes place are very confined and, therefore, considering the risks involved and the fact that every citizen of Gubbio has their own exclusive, permanent spot, not many people succeed in securing a place along the route. The streets are packed to capacity and most spectators have little more that a metre of space in which to enjoy the show. Thus, spectators don’t really go to Gubbio to watch, but to breathe in the unique atmosphere, to observe the spasmodic tension on the austere faces of the ceraioli and to get a closer look at one of the many Italian mysteries that enrich the country. A foreigner will never be able to deeply understand the true spirit of the event. Ceraioli are born ceraioli. Nevertheless, it is exciting to see this marvellous machine of “holy war” in motion, moving at full speed along the streets of one of the most beautiful towns in Umbria.... DICTIONARY The patron saint. Saint Ubaldo Baldassini, bishop and patron saint of Gubbio, died in 1160. The celebration, which, according to many commentators, was borrowed from the ceremonies tied to the offering of wax that the Gubbio guilds donated to the Patron Saint, also originates from the pre-Christian celebrations linked to the reawakening of springtime. The race. The race ALWAYS takes place on 15th May, the eve of the celebration of St. Ubaldo, whatever the weather and whichever day of the week it falls upon. In 2010, the municipal elections were moved so that they would not overlap with the celebration. If a football match is scheduled at home, it will be postponed. On 15th May, 1917, the citizens of Gubbio who were in the trenches, made some small Ceri and held the race at Col di Lana! The Ceri. The Ceri are three wooden “machines”, weighing about 300 kilos each, crowned by the statues of St. Ubaldo (patron saint of Gubbio), St. George and St. Anthony Abbot, fixed vertically on sedan chairs, allowing them to be carried on the shoulders. The undertaking is arduous not only because of their weight but also their height, the speed, the roughness of the roads and the quick changes (“mute”) made between the running “Cerocarriers”. Each ceraiolo, or person carrying the Cero, has his Cero either by choice or through family tradition. St. Ubaldo gathers together guilds of masons and stonemasons, St. George includes traders, and St. Anthony includes farmers, landowners and students. The ceraioli. The three “Capodieci” (team captains) are responsible for the race, performing the “Alzata” or “Raising” (meaning that they start the race) and supervising its progress. The ceraioli that guide each Cero during the race are also called “Capodieci” and are positioned at the front, monitoring the various “mute” (groups) of ceraioli (in teams of eight) as they take turns to support the “cero”. Other important figures are the “capocinque” (second team captains) and the ”punte” and “ceppi”, positioned around the group. There is also the “braccere” or running companion of the ceraiolo in action, supporting him from his free shoulder. Traditionally, the ceraioli are selected among the adult males of the families living in Gubbio: on rare occasions (for example during the war) women have also been allowed to carry the Ceri. The uniform. The ceraiolo wears a pair of white calico trousers, a shirt of a different colour, depending on which Cero team he belongs to (yellow for St. Ubaldo, blue for St. George and black for St. Anthony), a red sash tied around his waist and a red neckerchief resting on his shoulders and pointing forward. 52