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Il Coaching
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Cos’é il Coaching
Le cose non cambiano: siamo noi a cambiare
Il termine “coach”, in inglese, significa anche
carro, carrozza o vettura: infatti l’espressione “to
travel coach” significa “viaggiare in vettura” su
una tratta ferroviaria o su una linea aerea.
livello di pensiero nel quale non possono vedere la soluzione. Il coach è proprio quell’agente
esterno che fornisce lo stimolo per assumere un
diverso punto di vista.
Il Coach è dunque un “mezzo” che affianca colui
che in gergo si chiama “coachee”, ossia chi
richiede un supporto per esaminare le condizioni
che desidera modificare (luogo di partenza), per
definire gli obiettivi (luogo desiderato) ed elaborare un piano d’azione sulla base di questi elementi.
Ecco cosa dice Michele Tampieri, responsabile
marketing di un’azienda che lavora nell’ambito
del turismo, alla fine di un intervento di coaching:
Henry David Thoreau
L’esperienza di coaching ha sicuramente
superato ogni mia aspettativa.
Il coaching si differenzia dalla classica lezione
didattica (che spesso rimane aleatoria e non
verticale alla propria esigenza lavorativa) per la
peculiarità di poter discutere delle proprie problematiche lavorative quotidiane e trovarne da
solo risposte che senza “l’assistenza” del coach
non avrei mai “sbloccato”.
A chiunque lo consiglio vivamente !
Il coaching è un modello formativo che consente di integrare ragione e creatività, pensiero ed
emozioni, in modo da produrre un elevato livello
d’apprendimento “in aula” e significativi risultati di
cambiamento “fuori dall’aula”.
Il paradosso del coaching
Come si è detto, il coaching può essere utilizzato
come strumento per trovare e realizzare soluzioni. Come sarà mostrato più ampiamente nella
sezione dedicata al ‘come’ si fa coaching, il compito del coach consiste soprattutto nell’aiutare il
coachee a trovare le proprie soluzioni: egli non
porta idee preconfezionate.
L’apparente paradosso è proprio il seguente: più
il coach è bravo e più aiuta la persona a trovare
le proprie soluzioni. Più è bravo e più lascia che
le risposte vengano dal cliente. Più è bravo e più
il cliente fa da sé. Qualcuno allora può chiedersi: “A cosa serve un coach se tanto le risposte le
devo trovare da me?”
La risposta non è affatto banale: diceva Einstein
che non è possibile risolvere un problema utilizzando lo stesso livello di pensiero che l’ha creato.
Quando una persona o un’azienda chiedono un
aiuto, non è vero che non abbiano gli strumenti
per affrontare situazioni difficili e complesse.
Il problema sta nel fatto che esse si trovano ad un
Andrea Magnani
Il Coaching
Il fatto che egli non porti delle soluzioni preconfezionate non significa che non sia competente
nella materia: infatti è importante che un coach
che lavora nell’ambito del marketing conosca i
principi teorici e la pratica del marketing. Lo stesso vale per la leadership, per la vendita ecc.
Il punto è che il coach usa le proprie conoscenze
per guidare il cliente ad un’ analisi specifica della propria situazione, in modo da evidenziare le
soluzioni adatte a lui, tra le tante concettualmente
possibili. Questa flessibilità di approccio è ciò che
eleva l’attività del coaching rispetto alla classica
formazione standard.
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Cos’é il Coaching
Cos’è il business coaching
lità. Tuttavia, la capacità di avere uno standard
ben preciso è ciò che rende il business replicabile
all’infinito, misurabile, controllabile.
Nella maggior parte delle aziende lavorano persone, che, ottenendo risultati migliori degli altri,
sono un modello di riferimento. Sarebbe desiderabile poter trasferire queste abilità, ma spesso
si pensa che esse siano innate oppure che si
possano acquisire solo con anni di esperienza.
Per dare un vero impulso ad un’azienda dobbiamo superare questa superstizione. Non è l’esperienza in sé che forma e rende migliori né, tanto
meno, il passare del tempo in sé, ma “è ciò che
fai con ciò che ti accade”. E se è vero che alcune
persone sembrano “dotate di natura”, questo non
significa che non si debba concedere agli altri la
possibilità di apprendere. Se un uomo ha impiegato tutta una vita per scoprire come far funzionare una lampadina, non ha senso che suo nipote
cominci da capo con la ricerca!
Non sto dicendo che la pratica non serve a
nulla, sto affermando che la pratica può essere
educata, piuttosto che lasciata completamente
allo sbaraglio. In campo musicale, la tecnica dei
virtuosi del violino è il risultato di secoli di ricerca
dei maestri. Sarebbe assurdo lasciare scoprire
all’allievo come mettere le dita e come usare l’archetto per ottenere certi effetti. Con il possesso
già acquisito di quelle nozioni la sua applicazione
darà i migliori frutti. La tecnica del coaching può
essere utilizzata per estrapolare una “procedura dell’eccellenza” in modo da poterla rendere
riproducibile. Questa tecnica ha due importanti
contesti di applicazione:
Il Coaching Aziendale e Manageriale consiste
nell’aiutare l’organizzazione a conseguire il
miglior risultato possibile in un contesto specifico, ad affrontare situazioni di cambiamento e di
transizione. Può essere realizzato coinvolgendo
un singolo manager oppure tutto un gruppo operativo.
Molte aziende stanno ricorrendo al Coaching per
sostituire o integrare la formazione in quanto, essendo più focalizzato, contestualizzato e rivolto a
target specifici, risulta più efficace dei tradizionali
metodi di formazione e di consulenza.
Le funzioni del coaching in azienda
Il Coach aiuta a trovare soluzioni a problemi
specifici: il motivo per cui si viene consultati
solitamente è per aiutare la persona o l’organizzazione a migliorare e a consolidare dei risultati.
Come sarà esemplificato nella sezione successiva, quando spiegheremo come funziona il
coaching, il coach interviene attraverso un’analisi
strutturata dalla quale emerge l’insieme di risorse
e di strategie che servono a produrre un risultato
desiderato. Questa applicazione è strutturalmente flessibile e adattabile a più settori specifici
dell’azienda: dallo sviluppo commerciale, agli
acquisti, all’organizzazione della produzione, alla
comunicazione interna, alla selezione e gestione
del personale, ai livelli più elevati di management
e di leadership.
Rendere riproducibile l’eccellenza: Una delle
caratteristiche delle grandi catene mondiali come
McDonalds per l’alimentazione, Zara per l’abbigliamento o Starbucks …., è data dal fatto che,
indipendentemente dall’angolo di mondo in cui ti
trovi, puoi riconoscere il loro modo di lavorare.
Sappiamo che questo è spesso percepito dall’imprenditore italiano come una forma di impersona-
Andrea Magnani
Il Coaching
1) nel passaggio generazionale. Un momento
critico di molte aziende si verifica quando, per
motivi diversi, si perde una persona che fino a
quel momento ha ricoperto un ruolo chiave e
ha reso i risultati dell’azienda dipendenti dalla
propria abilità... A volte si tratta dell’imprendito-
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Cos’é il Coaching
re stesso, il quale rimane così prigioniero della
propria abilità da non riuscire a trovare il modo di
delegare parte del lavoro.
saperne di vendere!
A partire da condizioni simili, ci si può aspettare
che un corso sulle tecniche di vendita non porti
i risultati voluti, ma che sia, anzi, controproducente; si sa infatti che forzando qualcuno a fare
qualcosa si induce in lui una reazione oppositiva.
Chiesi al responsabile dell’azienda durante la
pausa: “Non avete già fatto corsi di questo tipo
in passato?” La sua risposta fu affermativa, ma
mi comunicò anche che non si era notato alcun
incremento delle vendite.
Gli spiegai che il problema era dovuto al fatto
che si era data la risposta formativa sbagliata per
quell’obiettivo, dato che il loro era un problema
di “mentalità”. Lavorammo sulla mentalità nella
seconda parte del corso e il 70% di loro aumentò
le performance di vendita come per magia.
2) nel livellare verso l’alto la performance di un
gruppo. In un gruppo di venditori, ad esempio,
se si prende in esame l’abilità dei migliori e la si
insegna agli altri attraverso una procedura condivisa, si ottengono diversi vantaggi. Il primo di
questi è ovviamente un livellamento dei risultati
verso l’alto. Il secondo è la possibilità di misurare
i risultati e di approntare modifiche efficaci grazie
all’adozione della stessa procedura. Il terzo è, in
molti casi, una prevedibile diminuzione del turn
over. In molte realtà che ho conosciuto, in cui gli
agenti di vendita erano pagati a provvigione, molti
smettevano dopo pochi mesi se non riuscivano
ad ottenere risultati accettabili. Questo accadeva
perché non veniva fornita loro una formazione
scientifica alla vendita, ma solo un corso teorico
oppure basato sull’intuito dei capi area.
Creare un piano formativo su misura: spesso le
aziende investono in formazione perché si rendono conto che ai propri uomini l’apprendimento
di tecniche specifiche può dare enormi vantaggi.
Si può pensare alle tecniche di “Gestione del
tempo”, alle già citate tecniche di vendita, alle
tecniche di motivazione e di teambuilding ecc.
Ora, si pensi a quello che succede in un corso
tradizionalmente concepito: i partecipanti, i quali
generalmente non hanno deciso in prima persona di essere lì, si trovano ad ascoltare principi
e tecniche generali che poi, con buona volontà,
devono adattare alla propria realtà.
Per qualcuno questo approccio costituisce una
fonte preziosa di crescita professionale, ma per
molti non risulta sufficientemente motivante, anche perché spesso vengono a mancare le risposte alle loro difficoltà quotidiane.
Si pensi allora ad un approccio formativo come
quello che noi proponiamo: la formazione è preceduta da uno studio di come essa va applicata
alla vita quotidiana delle persone che lavorano.
In un caso abbiamo studiato, nella modalità di
Evidenziare la vera esigenza formativa: attraverso il coaching si può fare un’analisi mirata
dello stato attuale in funzione degli obiettivi che si
vogliono conseguire. Quello che spesso succede
all’interno delle realtà aziendali è che la formazione è scelta più in base a esigenze apparenti che
per dare una risposta ai veri bisogni. Per fare un
esempio, mi venne richiesto un corso di vendita
da un’azienda che produce cosmetici. I destinatari erano i clienti dell’azienda stessa, proprietari di
centri benessere, ai quali era richiesto di vendere
più prodotti alle persone che si recavano a fare
trattamenti. A metà del primo giorno, mi resi conto che il corso che mi era stato commissionato
era completamente fuori asse rispetto agli obiettivi. Era vero che non erano bravi a vendere, ma
ciò che mancava loro non era la tecnica, quanto
la mentalità: non si consideravano dei venditori,
si consideravano degli artigiani. Non volevano
Andrea Magnani
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Cos’é il Coaching
coaching di gruppo, la gestione del tempo per un
gruppo assicurativo, sperimentando come integrare il concetto di pianificazione con le interferenze tipiche di quel lavoro d’agenzia . Il corso
che ne è uscito è stato percepito con grande motivazione proprio perché dava tangibili e immediati risultati, risposte concrete a problemi concreti.
Una nota sugli ambiti d’intervento del Coach
Generalmente, quando si sente parlare di coaching, si sottolinea che esso si distingue da altre
forme psicologiche di intervento perché :
è focalizzato sugli obiettivi e non sui problemi,
non contempla un intervento riguardante le emozioni o i costrutti psicologici.
Nella pratica, invece, qualsiasi coach esperto,
che abbia una preparazione psicologica, sa che
tali distinzioni non corrispondono a ciò che avviene in realtà.
Consideriamo ad esempio il fatto che il coaching
dovrebbe essere focalizzato sulle soluzioni e non
sui problemi. Questo, nella pratica, è semplicemente assurdo in quanto spesso il modo più rapido per andare verso una soluzione è capire bene
lo stato in cui ci si trova. Ci possono essere molti
modi diversi per aumentare l’efficienza commerciale di un gruppo di venditori. Non è forse vero
che la soluzione più efficace è quella che rimuove
ciò che trattiene il gruppo e cioè la mancanza di
tecnica, di motivazione, di adesione al gruppo, i
sensi di colpa legati alla vendita, la mancanza di
fiducia nel prodotto? Come si fa a impostare una
valida soluzione se non si fa anche un’analisi dei
problemi? Nella realtà, infatti, analisi del problema e ricerca delle soluzioni sono le due facce
della stessa medaglia.
Cosa dire dell’altra distinzione, che vede il coaching come un rapporto non di tipo psicologico?
Davvero si pensa che sia possibile scindere
l‘essere umano in una componente tecnica e una
psicologica?
Prendiamo come esempio un coaching sul
ruolo di leader. Nell’analisi iniziale emerge che
la persona ha difficoltà a farsi percepire come
leader. Il coach lo aiuta a evidenziare una serie
di carenze e la seduta si conclude con un accordo a sviluppare alcuni nuovi atteggiamenti. Il
leader comincerà cioè a delegare alcuni compiti
concordati, migliorerà la gestione del tempo delle
Il coaching interno: ci si può chiedere come mai
serva per tutto questo il coach esterno. Tutte
queste risposte non potrebbero venire meglio da
persone che lavorano in quel contesto aziendale
e che possono vantare anni di esperienza? Chi
appartiene ad una data realtà non possiede ciò
che il coach ha per sua natura: il punto di vista
esterno. Al contrario, chi è inserito in un sistema
e ha acquisito certe abitudini ha molta difficoltà a
vedere ciò che dall’esterno può risultare immediatamente evidente. E’ ovvio che il coach può esercitare la potenza di questa sua posizione solo in
congiunzione con il sapere dell’esperto dell’azienda, il quale possiede le informazioni specifiche e
approfondite su quel contesto.
Nonostante sosteniamo l’importanza di servirsi di
un coach esterno, affermiamo comunque che le
abilità del coach, il suo atteggiamento mentale e
il modo di stimolare le risposte nell’interlocutore,
possono essere assai preziose se utilizzate anche da persone che ricoprono ruoli di responsabilità nell’azienda stessa. Ecco perché ad alcune
aziende interessate ad uno sviluppo completo
abbiamo fornito una formazione per addestrare i
propri dirigenti a fare coaching. Sono molteplici le
situazioni nelle quali una competenza di questo
tipo può giovare all’azienda, in particolare quando
è necessario far emergere soluzioni dal proprio
gruppo di lavoro, sviluppare nuove competenze o
correggere certi atteggiamenti, tirare fuori le energie di fronte ad una crisi, motivare un collaboratore e comunicargli in modo efficace qualcosa, ecc.
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Il Coaching
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Cos’é il Coaching
riunioni, si impegnerà a sottolineare quotidianamente una cosa fatta bene da ciascuno del suo
gruppo. Al secondo appuntamento, il coachee
si presenterà con un netto miglioramento anche
se potrà rimanere una sensazione di fondo non
positiva e poco chiara. Si darà appuntamento per
il terzo incontro attendendo ulteriori miglioramenti. Al terzo incontro, effettivamente, si potranno
riscontrare progressi, ma non così forti come ci si
aspettava. Potrà emergere anche che la persona
ha fatto chiarezza in sé, su quella sensazione, ed
ha scoperto che non si sente leader, non si sente
all’altezza di esserlo.
Come si può notare, il tema focale si sposta così
su una dinamica emozionale. Cosa dovrebbe fare
allora il coach a questo punto? Lasciar perdere
oppure dire che il problema non è di sua competenza? Sarebbe un peccato, proprio perché è
evidente che il massimo senso di alleanza con le
persone si stabilisce nella relazione di coaching
proprio quando emergono le dinamiche emotive. E’ proprio cavalcando questa alleanza che
si possono ottenere i massimi risultati. La nostra
opinione è che, in realtà, ciò che serve è una
persona dotata di preparazione estesa e capace
di affrontare le dinamiche umane a 360°.
Per quanto il mondo aziendale pretenda di mostrarsi attraverso una facciata di calcolo freddo e
impersonale, la riscoperta delle emozioni produce
un beneficio misurabile. A sostegno di questo
possiamo portare l’esempio di un importante intervento che vide protagonista American Express
a metà degli anni ottanta. Daniele Goleman, il
pioniere dell’intelligenza emotiva, introdusse il
suo seminario di consapevolezza emotiva nella
formazione tipica dell’azienda. Questo non solo
creò un fattore unificante del linguaggio aziendale e un’apertura culturale. Portò anche ad un
aumento medio del fatturato del 14 %.
Questo ci stupisce meno se consideriamo che,
al di là del fatto che i conti devono tornare, l’idea
Andrea Magnani
Il Coaching
imprenditoriale nasce da un sogno, da un desiderio, da un’emozione. Perciò accade che quando
un’azienda riporta in superficie l’importanza delle
emozioni, essa conosce uno sviluppo notevole
non solo in termini di bontà di clima ma anche in
termini di profitto e di efficienza.
‘Intelligenza Emotiva’ è il termine che si usa per
descrivere il livello di attenzione per le emozioni e
la capacità di gestirle. Il coaching può essere utilizzato per elevare l’Intelligenza Emotiva dell’organizzazione.
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Come si fa Coaching
La relazione
Questa sezione del libro si svilupperà in tre parti
che rappresentano i tre aspetti fondamentali
dell’azione di coaching. Nella pratica questi tre
aspetti avvengono congiuntamente avvolgendosi
l’uno nell’altro; la separazione è fatta a scopo
didattico.
Il primo elemento su cui ci focalizzeremo è la
relazione che si stabilisce tra coach e cliente
(coachee). Il secondo è la logica, che è il filo
rosso che unisce ogni azione concreta; essa è
la comprensione del divenire, il progetto che sta
nella mente, il senso del dispiegarsi dell’azione, il
perché si utilizza una certa tecnica e non un’altra.
Il terzo è la tecnica ossia ciò che concretamente
si utilizza per dare una risposta ad un passaggio
che la logica suggerisce di realizzare.
Se la tecnica senza logica è un po’ come un’auto
in movimento senza un conducente, una tecnica senza la giusta relazione è come un motore
senza benzina.
Questo materiale, formulato sulla base della mia
personale esperienza professionale negli ultimi
tredici anni, rappresenta un modo di vedere il
coaching e non pretende di rappresentare il coaching. Non ho inventato nulla e se un merito c’è,
è quello di aver integrato il sapere proveniente
da diverse discipline in un approccio multifattoriale; dobbiamo ricordare che noi semplicemente ci
appoggiamo sulle spalle dei giganti che ci hanno
preceduto. A loro un sentito ringraziamento.
Andrea Magnani
Il Coaching
In ogni rapporto tra due o più persone sono sempre presenti due dimensioni che si intrecciano e
si influenzano reciprocamente: una dimensione
più oggettiva e razionale legata al motivo per cui
le persone si incontrano e lavorano insieme ed
una dimensione relazionale dominata dagli affetti
e dalle emozioni che connotano le relazioni tra le
persone e che possono facilitare od ostacolare
l’incontro dei diversi modi di essere, lo scambio di
informazioni e la sinergia d’azione.
Spesso il tema della relazione non viene approfondito nella formazione del coach. Uno dei motivi
per cui questo avviene è che la relazione risulta
l’ambito più difficile da misurare, da descrivere.
Gli aspetti di relazione sono infatti legati a sfumature del comportamento non verbale; le persone dicono di qualcuno che è freddo, caloroso,
distaccato, amichevole ..., ma hanno difficoltà ad
individuare i micro-elementi dai quali traggono
questa sensazione: un’espressione degli occhi,
un irrigidimento della schiena, una tensione del
respiro.
perché è importante stabilire una buona relazione
Stabilire la giusta relazione è fondamentale per
ottenere impegno e collaborazione da parte del
proprio coachee, non solo durante l’incontro, ma
anche in tutte le cose da fare tra un incontro e
l’altro.
Creare una buona relazione permette anche di ricevere le informazioni con sincerità da parte sua.
Senza le corrette informazioni si rischia di lavorare attorno a un focus errato perciò è importante
che il coachee si senta supportato, rispettato,
accettato incondizionatamente dal coach.
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Come si fa il Coaching
Come si stabilisce una buona relazione
un’analisi sul campo verificai invece che i due
avevano lo stesso problema che denunciavano
nei dipendenti, ma non erano disposti ad ammetterlo. Se i due proprietari non fossero cambiati
essi stessi, siccome lavoravano a fianco dei loro
parrucchieri, per quanto efficace potesse essere
l’intervento sui dipendenti, esso sarebbe durato
poco non avendo nei loro leader dei buoni esempi.
Dato che i manager erano impegnati nella stessa
attività dei dipendenti, in entrambi i casi il coaching aveva come primo obiettivo di agire a livello
manageriale in modo da ottenere, come effetto a
cascata, la disponibilità al cambiamento dei collaboratori. Al tempo stesso, non potevo farlo direttamente: in un caso come questo il cliente opporrebbe una resistenza se si cercasse di indurre un
cambiamento in lui.
Col primo titolare, persona piuttosto orgogliosa,
assolutamente priva di autoironia, mi comportai
nel seguente modo: mi schierai dalla sua parte
dicendo: “Ho studiato i tuoi dipendenti ed effettivamente non fanno nulla di ciò che dovrebbero
fare. Non dicono nemmeno al cliente che ha i
capelli sciupati. Non spiegano il prodotto che
usano…”. In questo modo elencai i pochi semplici passaggi che servono a proporre un servizio.
Poi aggiunsi: “Io credo che ci sia solo un modo
per inchiodarli alla loro responsabilità: ho notato
che ogni tanto ti fai affiancare su alcuni clienti per
mostrare dei tagli nuovi; bene, vorrei che organizzassimo una lezione in cui, oltre a mostrargli
il taglio, mostrassi loro come fai a vendere il
prodotto”. Proprio per via del suo orgoglio non
poteva dirmi di no.
Scoprii che l’altro, più flessibile, era appassionato
di scherma e gareggiava a livello amatoriale pur
avendo avuto in passato le potenzialità per passare al professionismo. Utilizzai la sua naturale
propensione alla sfida provocandolo: “Tu dici che
loro hanno questo problema. Ma tu sei capace di
La relazione è una danza durante la quale due
compagni si parlano e si scambiano idee, informazioni, suggestioni. Al fine di questo scambio è
importante che non ci si pesti i piedi e che, d’altro
canto, non ci si allontani troppo l’uno dall’altro
perdendo il contatto.
In una relazione, come appunto nella danza, non
è importante ciò che fai, non c’è una sequenza
corretta in assoluto; ma il passo giusto è quello
che è sintonizzato con ciò che fa l’altro.
Per esemplificare come ci si possa sintonizzare
col cliente in base a come lui si pone, utilizzerò
una schematizzazione tratta da Steve de Shazer.
Questo autore non intende classificare le persone in tipologie rigide. Propone piuttosto un modo
per inquadrare i loro atteggiamenti nei confronti
dell’intervento di coaching. Distinguiamo tre macro categorie:
Clienti Acquirenti: sono pronti a collaborare per il
cambiamento. Tra questi ci sono alcuni clienti che
vogliono collaborare e che possono farlo. Ce ne
sono altri che vogliono ma non riescono a farlo
per mancanza di risorse. In ogni caso, con questa
tipologia di clienti si può impostare una relazione
morbida e complementare. Loro accettano infatti
il tuo ruolo di coach, come esperto in grado di
aiutarli.
Clienti Lamentosi: non ritengono di dover cambiare perciò, di base, non accettano un intervento su
di loro: si lamentano di qualcun altro e questo può
comunque costituire una valida motivazione per
il cambiamento. Come esempio riporto quanto
accadde in occasione di un coaching rivolto a
due titolari di saloni di parrucchiere: entrambi si
lamentavano del fatto che i propri dipendenti non
vendevano abbastanza. Nella loro ottica, il problema non era loro, ma dei dipendenti! Durante
Andrea Magnani
Il Coaching
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Come si fa il Coaching
dare loro il buon esempio?”. Questo lo fece sorridere, poi prese di petto la sfida dimostrandomi
che lo sapeva fare.
previsti un minimo di incontri e ho pensato che
sarebbe più proficuo, se lei è d’accordo, che sia
lei a insegnarmi qualcosa dalla sua esperienza…
in modo che io possa trasferirla ai più giovani.” In
questo modo ribaltai la situazione, consegnandogli proprio quel ruolo di supremazia per cui stava
facendo tutta quella sceneggiata. Poi lo lasciai
dicendogli che volevo che ci pensasse su. In
questo modo, non rispettando i tempi dell’incontro, risposi col suo linguaggio, come a dire: “Se tu
accorci l’incontro ritardando, io lo accorcio anticipando la fine”.
La settimana successiva era sempre un po’ scettico ma puntuale. Cominciammo a lavorare sulle
sue conoscenze e, attraverso domande strutturate, lo aiutai a prendere coscienza di risposte efficaci che a volte già utilizzava, ma senza
sistematicità, coi clienti difficili. Non ammise mai
ovviamente che l’aumento di fatturato che ebbe
nei mesi successivi fosse legato ai nostri incontri..., ma a noi coach, il bene del cliente deve
interessare più del nostro ego.
Clienti Visitatori: sono quelli in azienda ai quali
è stato imposto di essere seguiti da un coach.
Non avvertono nemmeno il problema, se non
quello di essere stati inviati lì; magari considerano
l’affiancamento come un giudizio implicito sul loro
operato: “Mi fanno seguire… chissà cos’ho fatto
di male!”.. Sono quelli che oppongono massima
resistenza al cambiamento se gli si chiede di
cambiare direttamente. Anzi, tendenzialmente più
cerchi di spingere, più loro frenano o addirittura
reagiscono in senso contrario perché in questo
modo cercano di vincere la loro battaglia. La relazione che si imposta deve tener conto di questo
gioco di potere sotteso. Da una parte è importante avere un atteggiamento comprensivo per la
mancanza di coinvolgimento, mentre si cerca di
trovare un motivo di interesse per la collaborazione.
Mi trovai in un’agenzia per la vendita di prodotti
finanziari e venni affiancato ai diversi agenti di
vendita senza che fosse fatta una valida introduzione all’attività di coaching. Trovai tre degli
agenti disponibili ad apprendere. Il quarto, il veterano dell’agenzia, invece manifestava con sorriso sardonico il suo totale senso di superiorità,
affermando nel contempo: “Certo, c’è sempre da
imparare”. Dedicai il primo incontro, illuso dalle
sue parole, a trovare uno spiraglio di motivazione,
ma le sue risposte di sufficienza mi fecero capire
che stavo deragliando. Mi presentai la settimana
successiva per il nostro incontro. Lo aspettai pazientemente mentre lui, passando nel corridoio,
mi lanciava delle occhiate di sberleffo: “Arrivo subito! Mi scusi, solo un attimo”. Aspettai 20 minuti.
Quando arrivò gli dissi: “Sa, ho riflettuto molto sul
nostro primo incontro. Io credo che lei non abbia bisogno di me. Da quello che ho capito sono
Andrea Magnani
Il Coaching
Come si può intuire da questi esempi, è sempre
opportuno capire l’atteggiamento gradito dall’interlocutore. Se preferisce un atteggiamento di autorità, di alleanza fraterna, direttivo, provocativo,
distaccato o più affettivo. Il segreto consiste nella
flessibilità che permette di sintonizzarsi con lui.
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BE TRAINING
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Sc
he
Le Resistenze
da
Il coach, nella sua attività di diagnosi iniziale, deve essere capace di individuare
con chiarezza le aspettative e, utilizzando
soprattutto le interviste individuali al “top” e
al “middle management”, deve cominciare
a vendere alla gerarchia l’intervento, valorizzando i vantaggi futuri del progetto, anticipando le possibili resistenze e costruendo
con i capi i presupposti per il successo.
Realisticamente, però, è impossibile prevedere all’interno della complessità del
sistema-azienda, quali potranno essere
le reazioni dei partecipanti. Perciò è più
saggio avere la sensibilità di riconoscere
il prima possibile le resistenze, in modo
da poter intervenire immediatamente, se
dovessero emergere.
Oppure un capo può mettere in atto nei
confronti del suo collaboratore formule
come:
Il mio collaboratore non ha tempo
Accade che il coachee venga coinvolto dal
suo capo in impegni di lavoro improvvisi e
non programmati proprio quando ha l’appuntamento con il suo coach o quando c’è
un incontro formativo, per cui è necessario
riprogrammare l’incontro o rinunciare alla
formazione.
L’ironia benevola
Il capo del coachee lancia al suo collaboratore frequenti frecciate ironiche di contenuto involontariamente svalutativo, quali
“mica starai diventando più bravo di me “
oppure “non fare il primo della classe con
me”. Questi atteggiamenti possono indicare
una preoccupazione.
I segnali possono essere mascherati dietro
atteggiamenti e affermazioni come le seguenti:
Non ho tempo
un po’ come dire: “ho cose più importanti
da fare”. Quello che a volte accade è una
variante più sottile di questo: il coachee si
rende continuamente reperibile al telefono
e a chi bussa alla porta. Non è detto che
si tratti di una resistenza; potrebbe anche
significare che la persona non sa dare
priorità. Una delle cose più buffe che accadono in campo lavorativo è che quello
che nasce come un vantaggio (il telefono
ti consente di essere raggiunto) diventa un
obbligo (devo rispondere): il ‘posso’ diventa
un ‘devo’.
Andrea Magnani
Il Coaching
Oltre a queste formule un po’ coperte ci
possono essere degli atteggiamenti evidentemente polemici come:
Cosa ci guadagno? e
Perchè non formate prima i nostri capi?
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Come si fa il Coaching
La logica
La chiarezza prima di tutto
La comprensione del funzionamento del sistema
e dell’obiettivo è fondamentale per capire cosa
fare. Questo è ciò che chiamo logica.
Da una parte è fondamentale capire l’obiettivo
della persona e dell’azienda, dall’altra lo stato
attuale nel quale la persona o l’azienda si trovano. Una volta evidenziati i due estremi, si studia
la strategia per connetterli.
Perché il coaching possa portare effetti importanti
in tempi rapidi, è necessaria chiarezza. Chiarezza
nell’individuazione sia dell’obiettivo sia dello stato
attuale.
Supponiamo che un manager di un’azienda
abbia come compito quello di imparare l’inglese
commerciale e si presenti all’incontro dicendo
che non riesce ad applicarsi. Facendogli qualche
domanda capiamo che, alla fine di una giornata
di lavoro, vorrebbe andare in palestra, distrarsi,
insomma qualsiasi cosa fuorché mettersi sui libri.
A quel punto, potremmo concludere che si tratti
di un problema di motivazione. Se impostassimo
l’intervento su questo livello di conoscenze, potremmo fare un buco nell’acqua. Infatti, cominceremmo a stimolare l’interessato evidenziando
i vantaggi che avrebbe, a livello professionale e
personale, dal conoscere meglio l’inglese: una
promozione, nuovi contatti con l’estero; sarebbe
anche più a proprio agio andando in vacanza,
cosa che ha una particolare importanza dato il
recente divorzio dalla moglie.
Dopo un’ora dedicata a questo, potremmo però
scoprire che tale motivazione ce l’aveva già.
Infatti, non avevamo precisato sufficientemente
su cosa avremmo dovuto lavorare. Ad esempio,
avremmo dovuto chiedere: “Ti manca la motivazione a conoscere l’inglese o a impiegare il tuo
tempo a studiarlo?”. Avremmo così scoperto che
ciò che gli manca è la motivazione sul processo
di acquisizione, non sul risultato finale; avremmo
quindi impostato l’intervento per trovare un diverso metodo di apprendimento.
STATO
ATTUALE
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Il Coaching
STRATEGIA
OBIETTIVI
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Come si fa il Coaching
Il metodo sperimentale
liquido colorato nell’acqua di superficie che entra
in profondità. Poi misurano come il liquido esce e
dopo quanto tempo. Allo stesso modo, per comprendere gli elementi che ci servono per il cambiamento, dobbiamo stimolare il cliente e misurare il suo adattamento.
Per anni gli interventi psicologici sono stati guidati
da teorie forti: il professionista imponeva interpretazioni alle quali i propri clienti si dovevano adattare, comunque. E se un intervento non aveva
successo, non era colpa dell’approccio ma della
resistenza del paziente o della sua personalità. In
altre parole si adottava il motto di Hegel: “Se i fatti
non coincidono con la teoria, tanto peggio per i
fatti”.
Il coach non può basarsi nel suo lavoro su una
teoria forte. Al contrario, come uno scienziato, si
deve far guidare fluidamente dai fatti. In questo
modo, sono i fatti, le soluzioni, che costruiscono
la teoria.
Come ho detto, è la comprensione stessa che ci
guida verso la soluzione definita. Come si vedrà,
questo capitolo offre gli schemi generali all’interno dei quali inserire le informazioni raccolte nel
processo d’analisi che il coach esegue all’inizio
dell’intervento. Non si deve credere però che tutto
ciò ci venga presentato su un piatto d’argento.
La realtà umana, individuale o aziendale, non è
come una macchina, la quale può essere aperta
e osservata nelle sue componenti. Aprendo un
cervello, il lettore perdoni la macabra immagine,
non troveremo nulla che possa chiamarsi ‘motivazione’, ‘bisogno’, ‘valore’, ‘convinzione’, ‘emozione’ ecc.
Siamo costretti a fare ipotesi e a verificarle nella
pratica. A volte possiamo cogliere le informazioni
ascoltando le risposte alle nostre domande (formulate a partire da quelle ipotesi). Solitamente è
importante cogliere nella risposta anche la componente non verbale in quanto, a volte, gli esseri
umani dicono qualcosa con la parola e il suo contrario col corpo. A volte è essenziale osservare
la persona o il sistema nella sua quotidianità per
capire quali aspettative, quali bisogni, quali regole
manifeste e non manifeste regolano veramente la
sua esistenza.
A volte dobbiamo ricorrere a esperimenti mentali
(“Se non avessi questo problema, quali difficoltà
saresti costretto ad affrontare, che ora invece
eviti”) e in questo dobbiamo ottenere il massimo
coinvolgimento immaginativo dell’interlocutore.
Altre volte dobbiamo sottoporre il cliente a dei
test pratici, portandolo a fare delle cose diverse
dal solito e sarà il modo in cui reagisce che ci dirà
come è strutturata la sua mente nel momento
presente e cosa veramente desidera per il suo
futuro.
La mente non è osservabile direttamente. Gli
speleologhi per misurare la presenza o la grandezza di un lago sotterraneo introducono un
Andrea Magnani
Il Coaching
1. Definire l’obiettivo
Immagina di essere seduto in un taxi. Cosa
risponderebbe il taxista se chiedessi: “Per favore
mi porta via di qui? Non voglio andare in stazione”.
Solitamente il coaching comincia con la definizione dell’obiettivo. Spesso infatti le persone
non raggiungono i propri obiettivi semplicemente
perché li hanno posti in modo scorretto. Come
nell’esempio del taxista, sanno ciò che non
vogliono ma non ciò che vogliono. Altre volte
desiderano tante cose tutte insieme, senza una
priorità e questo, per dirla in gergo informatico,
sovraccarica il sistema bloccandolo.
Cosa risponderebbe infatti il taxista se gli chiedessi: “Vorrei andare in via Piangipane, in via
Bixio, in piazza dell’Unità, in via Mazzini, in via
dei Bersaglieri, in viale Roma e in…”
Probabilmente il paziente taxista ti chiederebbe di
cominciare da qualche parte…e così fa il coach.
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Come si fa il Coaching
Cosa direbbe poi se gli chiedessi: “Vorrei però
che non ci fosse traffico”?. Resterebbe, come
minimo, alquanto stupito. Eppure, spesso, le
persone definiscono obiettivi includendo elementi
sui quali non possono avere il controllo, o perché
dipendono dalla decisione di altre persone o perché dipendono da fattori contestuali imprevedibili.
E’ fondamentale invece definire ciò che il cliente
vuole nei termini di ciò che lui può fare.
Ancora peggio: a volte le persone hanno obiettivi
vaghi del tipo “Voglio migliorare il rapporto con il
mio collega”. E’ un po’ come chiedere al paziente
taxista: “Mi porti da qualche parte verso est”. In
questo caso dobbiamo rendere l’obiettivo misurabile in modo da poter essere certi di averlo
centrato in una precisa cornice spazio-temporale.
Solo così possiamo aprire la strada al successo e
alla possibilità di rendercene conto.
ti, sui suoi modi di reagire, di pensare di sentire.
Registreremo con assoluta attenzione anche il
sistema nel suo complesso.
Cosa vuoi?
Congruenza
con sé
- identità
- valori
- regole
Come farai a sapere
di averlo ottenuto?
Congruenza col
Sistema Azienda
- identità
- valori
- regole
-evidenza descritta attraverso eccezioni reali
-attraverso eccezioni
ipotetiche
Congruenza dell’obiettivo
Può sembrare un aspetto perfino ovvio ma ci
tengo a sottolineare che l’obiettivo del coachee
deve essere in armonia sia con la persona che lo
formula sia con l’azienda alla quale egli appartiene. Una delle maggiori cause di resistenza è proprio dovuta alla mancanza di congruenza. Da una
parte la persona può infatti definire obiettivi in
contrasto col proprio senso di sé, magari perché
si innamora di un modello ideale tanto desiderato
quanto estraneo al contesto in cui opera.
Dall’altra può accadere che il cambiamento desiderato non sia in armonia col sistema complesso
al quale la persona appartiene. Ecco perché è
fondamentale concordare gli obiettivi del coaching a partire dai livelli ‘più alti’ della gerarchia
aziendale in modo che tutti possano lavorare in
sinergia. Per questo motivo, nella conoscenza
dello stato attuale focalizzeremo la nostra attenzione non solo sul ‘funzionamento’ della persona
o del reparto dell’azienda, sui suoi comportamen-
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Il Coaching
- sotto il controllo
- in positivo
- misurabile
- chunk piccolo
Figura 1: definizione dell’obiettivo
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Come si fa il Coaching
2. Lo stato attuale
poteva permettersi l’ozio, appannaggio esclusivo
dei nobili. A questo poi si sommano le percezioni
individuali che vedono nel venditore un manipolatore o, nella migliore delle ipotesi, “qualcuno che
rompe”. Ecco perché accade che molti professionisti molto bravi tecnicamente non ottengono i
risultati economici che meritano. Spezzettammo
l’obiettivo in frammenti comportamentali ed emozionali da lei facilmente gestibili. Risultato: se
prima dell’incontro su 10 clienti potenziali solo 4
rimanevano da lei, ora aumentarono a 5: il 25% in
più. A questo punto le proposi di portare ancora
più in alto la percentuale e poi di dedicarci al marketing. Senza un’analisi dello stato attuale come
sarebbe stato possibile capire dove intervenire?
Così come il taxista ha bisogno di istruzioni precise sulla meta da raggiungere, al tempo stesso
egli deve sapere se ha parcheggiato l’auto con
la punta contro un muretto e quali manovre deve
compiere per uscire di lì.
A volte la comprensione di come si manifesta lo
stato attuale, di cosa accade, del come funziona,
ti illumina immediatamente sul modo in cui intervenire.
Una commercialista mi chiese di aiutarla ad aumentare il suo fatturato; le chiesi di quantificare
l’aumento e di definire entro quando. Questo è un
obiettivo al quale si può arrivare in tanti modi. Le
proposi allora:
“Oggi ti farò alcune domande e decideremo
insieme cosa fare. Poi starà a te farlo. Concordiamo il prossimo appuntamento fra due settimane per verificare ed eventualmente correggere il
tiro. Tieni presente che solo se esegui alla lettera
i compiti che ci diamo potremo avere un dato
scientifico su cui lavorare”.
Lei accettò. Arrivai un po’ prima all’appuntamento
mentre era impegnata con un cliente. Aveva un
tono dimesso, quasi implorante: “Ti posso far pagare 900 euro, va bene? Se è troppo dimmelo”.
Sembrava gli dicesse” ho paura che te ne vada”.
Capii che prima di ogni altra cosa era necessario
aggiustare questo aspetto: sarebbe stato completamente inutile cominciare con un marketing
strutturato per portare più contatti quando, con
quel modo di fare, avrebbe fatto scappare i clienti
che arrivavano da lei spontaneamente.
Le spiegai la mia impressione e lei la condivise:
manifestava la propria vergogna nel chiedere i
soldi, atteggiamento che trovo frequentemente in
molti professionisti. La nostra cultura in generale
vede il denaro come qualcosa di “sporco, demoniaco, disonesto” e la vendita come qualcosa di
svilente: si pensi che il termine ‘negoziare’ deriva dal latino ‘nec ozium’, riferendosi a chi non
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Il Coaching
Conoscere il sistema-azienda
L’interesse del coach è di cogliere quegli elementi di contesto che gli consentono di capire le
situazioni professionali dei suoi coachee, di imparare le parole principali della loro “lingua professionale”, di cogliere gli elementi base della cultura
nella quale operano e, quindi, di ridurre le barriere culturali. Il suo obiettivo è essere percepito ed
accettato come “uno di casa”, un partner professionale con cui condividere problemi e sfide.
L’obiettivo è anche di acquisire una conoscenza approfondita delle principali caratteristiche
del “sistema azienda” in modo da facilitare la
progettazione e l’attuazione del coaching, contestualizzandolo al massimo livello possibile nella
specifica realtà nella quale è attuato. L’analisi può
quindi riguardare la dimensione strategica (strategie, obiettivi e piani di periodo), la dimensione
tecnico - organizzativa (struttura, sistemi operativi, tecnologie di riferimento, valutazione del
personale), la dimensione sociale (clima, cultura,
valori, comportamenti, sistema premiante, sistema di comunicazione interno).
Al tempo stesso il coach può aver bisogno di
acquisire una conoscenza adeguata dell’ambien-
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Come si fa il Coaching
3. Andare dallo stato attuale
3. a quello desiderato
te esterno con il quale interagisce l’azienda, per
poter comprendere meglio i problemi operativi
che incontrano i suoi coachee nella gestione
del loro lavoro. Gli elementi di riferimento sono:
il mercato (livello di competizione, tipologia dei
clienti, posizionamento dell’azienda, modalità di
contatto con i clienti), la comunicazione esterna
(livello di visibilità, tipologia dei rapporti dei coachee con l’esterno, complessità di questi rapporti,
gli interlocutori esterni).
Una volta definito dove si vuole andare, ci si può
chiedere: “Cosa dobbiamo fare per realizzare
questo obiettivo a partire da dove ci troviamo
ora?”. E poi: “Di quali risorse abbiamo bisogno
per farlo?”.
A volte la strada per arrivare all’obiettivo appare
lunga e tortuosa perciò conviene spezzettarla in
tappe intermedie. La pianificazione è uno stimolo
alla concretezza che consente di individuare le
risorse e gli eventuali ostacoli da superare. Se il
piano è ben strutturato, la riuscita degli obiettivi
minori fa pregustare il raggiungimento di obiettivi
più complessi suscitando entusiasmo ed impegno.
AZIENDA
STATO ATTUALE
Cosa accade ora?
Figura 3): la strategia spezzettare il percorso
- Come funziona?
- Come fa la persona a
produrre quel risultato?
- In che modo si mani
- festa il problema?
Figura 2) comprensione dello stato attuale
Figura 4): la strategia: spezzettamento dell’obiettivo
Come si vede, è la struttura stessa dello spazio
di soluzione che determina quali percorsi seguire
e quali passi effettuare. A questo punto, bisogna
andare nel concreto e definire le risorse necessarie. Un conto è infatti dire che per parlare in pubblico devo avere uno stato d’animo facilitante ed
un conto è trovare dentro di me quello stato. Un
conto è dire che devo aumentare le mie capacità
negoziali e un conto è capire quali sono i comportamenti da mettere in atto e quando.
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Il Coaching
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Trovare le risorse
Un altro modo per individuare le risposte specifiche che cerchiamo è quello di usare l’immaginazione, la creatività, la proiezione mentale.
Rimando alla sezione successiva in cui tratterò la
tecnica delle domande.
Una volta identificati i sotto-obiettivi da effettuare,
possiamo chiederci: “Di quali risorse abbiamo
bisogno per realizzarli?”
Le risorse sono determinati comportamenti o
sequenze di comportamenti, reazioni emotive,
pensieri che il cliente deve mettere in atto, oppure atteggiamenti mentali. A volte le risorse sono
già disponibili nella persona e dobbiamo semplicemente indicare di usarle maggiormente. Altre
volte potrebbero essere disponibili ma la persona
le usa in altri contesti e non in quello appropriato.
Un coachee ingegnere, in previsione di creare
uno studio allargato sotto la propria direzione,
cercava di elaborare sistemi per aumentare il
numero di clienti. Notò che la maggior parte dei
suoi contatti provenivano direttamente dai propri
clienti, i quali riferivano spontantaneamente ad
altri della sua correttezza e della sua capacità
professionale esprimendo la fiducia che avevano
in lui. Gli chiesi: “Quali sono i clienti che ti inviano
più gente?” Analizzò le informazioni che aveva
archiviato e scoprì che nel 90% dei casi arrivavano su suggerimento di quei clienti coi quali, per
qualche motivo, aveva stabilito una relazione che
andava al di là del compito professionale. Dovette
semplicemente creare un sistema per rendere
replicabile ed inevitabile questa attenzione alla
relazione. Spesso la soluzione è già nella nostra
esperienza e il compito del coach è di aiutare il
coachee a prendere coscienza di questo fatto
stimolandolo a guardare la propria esperienza
con occhi nuovi.
A volte le risorse sono abilità che la persona non
possiede. In questo caso, l’attenzione si focalizza
su come permettere alla persona di apprendere
le informazioni, di acquisire le abilità e di effettuare le esperienze di cui ha bisogno. I passaggi che
mancano possono essere individuati anche guardando a dei modelli di riferimento: persone che
hanno raggiunto i risultati che stiamo cercando.
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Il Coaching
I motivi che bloccano il sistema
nello stato attuale
Nel momento in cui esaminiamo i vari passaggi
per avvicinarci all’obiettivo, dobbiamo tenere in
considerazione che spesso la prima azione da
compiere deve essere rivolta contro ciò che ci
trattiene nello stato attuale.
Se immaginiamo il coachee su una barca ferma al porto, desideroso di partire per arrivare
all’isola-meta, dobbiamo figurarci che, in alcuni
casi, pur essendo stata identificata la rotta giusta,
egli non riuscirà a partire a causa degli ormeggi
che lo trattengono.
Riprendendo il discorso delle tipologie di clienti,
si potrebbe pensare che i clienti acquirenti siano
quelli facili. In realtà anche i coachee disponibili
al cambiamento possono avere degli aspetti che
li trattengono nella posizione in cui si trovano e
solo la comprensione di questi aspetti ci permette
di non stupirci di eventuali resistenze e di programmare un intervento adeguato. Vediamo quali
sono questi freni:
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Come si fa il Coaching
STATO
ATTUALE
Attaccamento
ai vantaggi
Tentate
soluzioni
- sicurezza
- sentirsi
significativo
- emozioni
- contatti umani
- interessi materiali
[...]
Cosa fai o hai già
fatto per risolvere il
problema?
Il problema
denunciato è
parte di una
Generalizzazione
Inerzia
Principio di inerzia: Il primo e il più banale dei
fattori riguarda quella che possiamo chiamare
inerzia (o omeostasi) ossia la tendenza a mantenere uno stato acquisito. A volte si manifesta
come un vero e proprio disagio generico nei confronti del nuovo, di ciò che non si conosce; non si
tratta di una paura rivolta a qualcosa di specifico.
quella resistenza. L’errore consistette nell’aver
introdotto la nuova macchina come “una novità
che avrebbe sconvolto il loro modo di lavorare”. Il
problema non si manifestò invece quando inserirono il computer presentandolo come “identico”
alla macchina da scrivere: stessi tasti, stessa
funzione, stesso carattere che compariva sullo
schermo anziché sul foglio.
La strategia di metodo riguarda la lentezza con
cui prescrivere e guidare il processo di cambiamento. Si chiede al cliente di muoversi per piccoli
passi; significativi ma piccoli. In modo che, ad
un certo punto, il cliente possa girarsi indietro
e vedere con sorpresa quanto tratto di mare ha
già navigato senza rendersene conto. Come nel
detto orientale lo aiutiamo a “solcare il mare all’insaputa del cielo”.
Cosa si fa? quando si evidenzia una resistenza
di questo tipo la soluzione consiste in una duplice strategia: una linguistica e l’altra di metodo.
Da un punto di vista linguistico si eviterà di parlare di cambiamento sottolineando gli elementi di
continuità.
R.S.Charvet racconta che quando, a metà degli
anni ottanta, alle poste canadesi sostituirono la
macchina da scrivere col computer, molti dipendenti caddero in depressione. Pensiamola
razionalmente: il computer era estremamente
vantaggioso perché permetteva di correggere il
proprio lavoro senza dover buttare il foglio ogni
volta: non c’erano motivi reali che giustificassero
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Il Coaching
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Come si fa il Coaching
I vantaggi …del non partire
dei compiti ad un dipendente che compie molti
errori, una delle tentate soluzioni del dirigente è
quella di sottrargli del lavoro. C’è una logica in
questo: almeno al momento riesce ad arginare il
problema evitando l’errore. Il problema è che così
sovraccarica se stesso di lavoro ed accade di
solito che il dipendente, meno ha lavoro e più diventa lento e impreciso. Infatti, in questo modo, la
persona si deresponsabilizza ed è anche probabile che anziché apprezzare l’impegno e l’operosità
del proprio capo, lo giudichi negativamente come
un insensibile accentratore. Quando il problema
viene portato in sede di coaching le due posizioni
sono ormai nette: il dirigente è convinto di aver
fatto l’unica scelta possibile e che il dipendente è
un inetto. Il dipendente dal canto suo tra sé e sé
si lamenta che il lavoro è noioso, ripetitivo, senza
un obiettivo e che ‘il capo rompe sempre’ e la
situazione è complicata dalla presenza di vecchi
risentimenti.
Sotto questa ampia espressione includiamo tutti i
vantaggi che potrebbero derivare dallo stare ormeggiati nel porto. E’ vero che desidero con tutte
le mie forze arrivare sull’isola ma al tempo stesso
stare qua mi consente di mettere i piedi a terra, di
andare a mangiare la pizza al ristorante, di parlare con qualcuno che passeggia sul molo ecc.
Cosa si fa?
Si devono spostare gli stessi vantaggi nell’obiettivo. Per fare questo a volte dobbiamo modificare
l’assetto dell’obiettivo in modo da includerveli,
altre volte è sufficiente mostrare che troverà gli
stessi vantaggi al suo approdo nell’isola. Di solito
però, quando si utilizza il metodo del ‘solcare il
mare all’insaputa del cielo’, la persona ha tutto
il tempo di trovare un nuovo adattamento alla
nuova situazione.
Tentate soluzioni
Cosa si fa?
A ben vedere la situazione dall’esterno, la colpa
non sta da nessuna parte. La responsabilità invece è di entrambi che sono entrati in un gioco ad
escalation in cui la situazione può solo peggiorare finché uno dei due non interrompe la catena
sbilanciandosi dall’altra parte e ridando equilibrio
stabile alla barca.
Come questo si realizzi nella pratica dipende da
una molteplicità di fattori contingenti che non è
possibile sviscerare qui. Al tempo stesso la logica
sottesa è sempre la stessa: riportare l’equilibrio
interrompendo la tentata soluzione e portando il
proprio peso dall’altra parte.
Considerando la nostra barca ferma nel porto,
possiamo immaginare che ci siano due persone
come equipaggio: una rappresenta il problema (o
la situazione attuale dalla quale vogliamo staccarci) e l’altra, la tentata soluzione che è stata
messa in atto fino ad oggi per risolverlo. La prima
persona si sporge in fuori col busto e siccome la
barchetta è piccola, si inclina su un lato. L’altra
persona teme che la barca si possa rovesciare
e cerca di risolvere l’inconveniente sporgendosi
verso la prima per afferrarla. Così facendo, però,
sposta il baricentro ulteriormente dalla parte verso cui si sta rovesciando. Questo sbilanciamento
fa pendere ulteriormente la prima persona verso
l’esterno e per afferrarla la seconda è costretta a
sporgersi ancora di più dalla sua parte. Si capisce
che con questa dinamica si innesca un processo circolare che anziché risolvere il problema lo
acuisce.
Quando il dirigente si trova a dover delegare
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Il Coaching
La generalizzazione
Sotto questo cappello includiamo qualsiasi convinzione limitante che possa ostacolare il raggiungimento dell’obiettivo. Ad esempio, è stato
verificato che la performance di una persona è
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legata alla sua convinzione di autoefficacia: se
una persona crede di avere una bassa capacità
di agire sugli eventi, sarà basso il suo livello di
impegno e di riuscita.
L’insieme di convinzioni, di pregiudizi, la prospettiva che è assunta dal coachee possono essere
i primi responsabili del mancato raggiungimento
degli obiettivi.
Da un’azienda fui incaricato di coinvolgere i
dipendenti in una serie di attività tese alla condivisione dei valori aziendali e alla realizzazione
di progetti di team. Uno dei dipendenti si pose
immediatamente in atteggiamento oppositivo:
“Qualsiasi cosa farò tanto non sarà valutata perché il mio capo è interessato solo al profitto, non
capisce niente di queste cose”.
In questa posizione vittimistica, non solo non
era possibile far raggiungere i risultati attesi
dall’azienda; la persona stessa era bloccata in
un ruolo che non gli consentiva certo di essere
soddisfatta del proprio lavoro. In un caso come
questo, ciò che separa la persona dall’obiettivo
non è la mancanza di competenze o di motivazione; ciò su cui si deve lavorare è la sua convinzione di fondo.
Tali convinzioni sono così potenti da lasciare ben
poco spazio per essere messe in discussione: il
dipendente in questione noterà tutti gli atteggiamenti del capo che possono essere letti come
disconferme; interpreterà i silenzi come mancanze di interesse verso il suo lavoro anziché come
tacito consenso o come espressione di totale
fiducia. Se poi il coach cercasse di convincerlo
del contrario, il coachee finirebbe per credere in
un complotto organizzato dal capo a suo sfavore.
Si dice in gergo che le convinzioni sono ‘autoimmuni’.
consiste nell’entrare nel sistema di pensiero della
persona, accogliendo la sua posizione, per poi
utilizzarla per aprirvi uno spiraglio.
Nel caso sopra citato risposi al ragazzo: “Quindi mi sta dicendo che il modo in cui vive questa
richiesta da parte della banca è l’ennesima prova
del fatto che sono interessati solo al profitto…
del resto sappiamo che le banche sono strutture
che devono rendere, quindi quello che lei pensa
non mi stupisce affatto. Però, mi sembra anche
di capire che la cosa che le dà più fastidio sia la
mancanza di valorizzazione del suo lavoro da
parte del suo capo, per cui, qualunque cosa lei
faccia, lui la ignora. Non dev’essere molto motivante questo”.
Si noti che in questa parafrasi non si prende una
posizione, non gli si dà ragione, ma si mostra di
aver capito il suo punto di vista. La persona si
sente capita e questo crea l’alleanza necessaria
per aiutarla a superare l’inutile ruolo di vittima.
Infatti, ora gli si può chiedere: “In una situazione così demotivante, come pensa di reagire?
Mettendo completamente i remi in barca oppure
cercando di trovare soddisfazione in qualche
modo?”. In questo modo lo costringo a prendere
atto che, comunque sia, la scelta finale tocca a
lui; che si deve prendere una responsabilità per
le proprie azioni; non può più essere vittima. Ne
avrà un vantaggio l’azienda. Ne avrà un vantaggio il dipendente che si libererà di un ruolo poco
gratificante.
Al di là di questo esempio specifico, possiamo
generalizzare dicendo che di fronte ad una convinzione limitante, conviene accoglierla e usarla a
favore del cambiamento. Una volta che il cambiamento è prodotto, spesso le convinzioni stesse
cambiano da sole.
Cosa si fa?
Cercare di smontare una convinzione radicata
è di solito la via più lunga. Quella più strategica
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Il Coaching
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Come si fa il Coaching
Resistenza del sistema
Come già accennato nella parte riguardante la
definizione dell’obiettivo, anche il sistema aziendale o un sottosistema dell’azienda stessa possono opporsi al cambiamento del singolo. Questo
può avvenire anche se il cambiamento è dichiaratamente auspicato; infatti, tale forma di resistenza
è quasi sempre inconsapevole. E’ sempre importante riflettere nel momento in cui si considera un
cambiamento, su come il medesimo potrebbe essere registrato dagli altri, come potrebbe essere
visto dai superiori, dai colleghi, dai dipendenti. Se
nel paragrafo precedente abbiamo valutato una
serie di motivi per cui una persona o un gruppo di
persone può rimanere bloccato nello Stato Attuale, dobbiamo considerare che gli stessi elementi
possono bloccare il sistema stesso. Così, si può
allo stesso modo affermare che:
il sistema tende ad avere un’inerzia;
il sistema può avere dei vantaggi a mantenere lo
status quo;
il sistema può mettere in atto delle tentate soluzioni (comportamenti) che con le migliori intenzioni conducono a conseguenze negative;
il sistema può essere esso stesso inglobato in
una visione limitante che lo blocca in una posizione svantaggiosa.
Ogni obiettivo è da comprendere all’interno del
sistema nel quale è inserito e non è possibile
pensare ad una strategia che non tenga in considerazione questi elementi.
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Il Coaching
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La Tecnica
L’arte di interrogare non è facile come si pensa.
E’ più arte da maestri che da discepoli;
bisogna avere già imparato molte cose per saper
domandare ciò che non si sa
J.J. Rousseau “La nouvelle Heloise”
Questa sezione del libro non ha la pretesa di
sviluppare nel dettaglio la miriade di tecniche
disponibili quanto di mostrare alcune di queste e
far capire come, dietro ad una domanda che può
apparire casuale ad un orecchio non preparato, in
realtà si celi una tecnica raffinata, la quale a sua
volta segue una ferrea logica.
Un bravo coach deve studiare, ricercare, sperimentare, aggiornarsi e possedere molte tecniche
diverse. Questa sua ricchezza dà evidenti vantaggi: offre la possibilità di costruire interventi su
misura nelle diverse circostanze. Maggiore è la
disponibilità di risorse e maggiori sono le possibilità di dare risposte efficaci nel minor tempo.
La dote più importante su cui deve investire un
coach è infatti la flessibilità di intervento.
Dall’altra parte c’è un vantaggio forse meno
diretto ma altrettanto importante. Si dice che chi
ha nella propria cassetta degli attrezzi solo un
martello, tende a vedere nel mondo solo chiodi.
La disponibilità tecnica influenza anche il modo di
vedere la realtà che si ha il compito di cambiare.
Più è ricco il patrimonio tecnico, più sarà ricca di
distinzioni la comprensione del proprio cliente e
più sarà precisa quella che abbiamo chiamato ‘la
logica’ dell’intervento.
Le Miniere
Definizione del setting
Il primo elemento tecnico che prendiamo in
considerazione è costituito da tutti quegli aspetti
che fanno da sfondo e da contorno all’intervento
stesso. Preparare il colloquio vuol dire scegliere il
momento e il luogo più adatti per svolgere l’incontro. Un luogo tranquillo e senza interferenze contribuisce a dare anche un segnale d’attenzione e
d’importanza al coachee, così come la quantità di
tempo dedicata, solitamente fissata a mezz’ora o
a un’ora.
Usare bene la lingua
Uno strumento privilegiato dal coach è ovviamente il linguaggio. Rispetto a una visione ingenua
secondo cui il linguaggio sarebbe solo un veicolo
di informazioni, il coach deve prenderlo piuttosto
nella sua reale ricchezza pragmatica. Il linguaggio è uno strumento per permettere di scoprire, di
vedere le cose secondo una nuova prospettiva, è
uno strumento per suggestionare, motivare, convincere. Le formule linguistiche che si scelgono di
usare non sono casuali e sono studiate accuratamente in base all’effetto che si desidera creare.
Le parole che si usano, il loro ordine, in generale
gli aspetti retorici possono creare effetti al di là
del contenuto che si vuole veicolare. Facciamo
alcuni esempi.
Le parole che si usano hanno un valore evocativo. E’ noto ad esempio che dire a qualcuno “c’è
il 60% delle possibilità di riuscire” non è la stessa
cosa che dire “c’è il 40% di possibilità di fallire”.
Questo effetto è dovuto al fatto che la parola ‘riuscire’ crea tutta una serie di associazioni mentali
ed emozionali diverse rispetto a ‘fallire’.
Se la parola di per sé può essere evocativa, il
massimo del coivolgimento e della profondità
d’azione è certamente portata dalle metafore.
Non è un caso che la saggezza di ogni cultura
Nella seguente schematizzazione chiameremo ‘miniere’ i canali attraverso cui le tecniche
emergono e ‘gemme’ le tecniche stesse. Queste
saranno classificate in base alla loro funzione.
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Il Coaching
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La Tecnica
ha attraversato i secoli sotto forma di aneddoti, racconti, immagini. Una volta, una cliente mi
descrisse così la sua posizione lavorativa, che
da tempo la opprimeva: “Mi sento come in una
morsa”. Le chiesi : “In che modo stai cercando di
resistere a questa morsa?”. Rispose che si irrigidiva. Poi rifletté un attimo e disse che così facendo diventava più vulnerabile alla morsa e rischiava di essere spezzata… come un pezzo di legno
secco. “Dovrei rendermi fluida”, esclamò come in
preda ad un’illuminazione. Così cambiò completamente il proprio comportamento nei confronti
delle pressioni dei colleghi. Le metafore si collegano direttamente ad un livello di comprensione
più profondo, che mette in gioco le nostre risorse
di creatività. Ecco perché spesso le metafore
sono il veicolo migliore per l’individuazione delle
soluzioni.
Un’altra formula linguistica molto utilizzata è la
domanda o, meglio, la domanda giusta rispetto
all’obiettivo. Chiedere: “Cosa possiamo fare per
risolvere questa situazione?” induce il pensiero
a focalizzarsi sulle soluzioni, senza però ordinarlo direttamente. Questa perciò è una domanda
costruttiva. Per contro pensiamo a che effetto
creiamo con la classica domanda così frequentemente utilizzata negli ambienti lavorativi: “Di chi è
la colpa?”. Come dice un amico idraulico, non è
importante chi ha intasato il lavandino ma come
si fa a liberarlo.
alla vicinanza fisica che stabilisce col coachee,
alla postura del proprio corpo in relazione a lui;
sa dosare lo sguardo, l’espressione del viso, il
gesticolare ecc. Nella prossima schematizzazione, fatta in base alla finalità della tecnica, troveremo alcuni esempi dell’utilizzo del corpo come il
cosiddetto ‘rispecchiamento’.
Homework
Il coach utilizza spesso anche gli homework (giusto per non dire ‘compiti a casa’) in quanto questi
consentono sia di rafforzare i risultati ottenuti durante l’incontro, sia di promuovere nuovi passaggi
fondamentali, quali l’avanzamento nel percorso e
l’acquisizione di informazioni e di abilità preziose.
Inizialmente gli homework si danno allo scopo di
interrompere eventuali circoli viziosi, dando così
avvio ad un percorso di cambiamento.
Usa bene il resto del corpo
Il ruolo fondamentale del corpo è difficilmente
trasmissibile attraverso un libro benché, paradossalmente, un libro sul coaching dovrebbe dedicarsi prevalentemente a questo aspetto. Infatti noti
e consolidati studi affermano che l’efficacia della
comunicazione risiede per il 93% nella comunicazione non verbale. Ciò che dici influisce solo per il
7%. G.B.Shaw disse: “Col modo giusto puoi dire
qualsiasi cosa”. Un abile coach presta attenzione
Andrea Magnani
Il Coaching
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BE TRAINING
E-BOOKS 001
La Tecnica
Per chiarire
Le Gemme
Esiste uno specifico insieme di domande che
possono essere utili per definire con chiarezza
i contenuti che il cliente esprime in modo vago:
sono conosciute con il nome di ‘Meta-Modello’. A
volte se si danno per scontate certe affermazioni
del cliente si rischia di scoprire in un secondo
tempo di aver rivolto le nostre energie nella direzione sbagliata. Una volta mi capitò di chiedere
ad una persona di preparare una sala per le
riunioni con un atmosfera calda. Quando entrai
trovai i termosifoni a 25 gradi anziché l’accoglienza che mi aspettavo da me definita con la parola
‘calore’. Domande come: “Cosa in particolare ti
disturba?”, “Quanto vuoi migliorare esattamente?”, “Cosa deve accadere esattamente, cosa
devi poter vedere e sentire per poter dire che la
tua segretaria si sta comportando bene?”, sono
domande che aiutano a specificare i contenuti
della comunicazione.
Strumenti per stabilire una
buona relazione
Cominciamo dal non-detto. Ognuno di noi tende a
stabilire un rapporto di empatia con chi ci assomiglia. La somiglianza è percepibile al di là di ciò
che viene detto nel modo in cui si usa il proprio
corpo. Il mirroring, o rispecchiamento, consiste
nell’assomigliare nelle posture e nei ritmi del proprio corpo al modo di “essere” dell’interlocutore.
Questa somiglianza crea un’immediata sensazione di familiarità e di empatia.
Ognuno di noi tende anche a sentirsi bene con
chi lo ascolta. L’ascolto empatico non cerca di
esplorare la razionalità del discorso dell’altro, ma
vuole comprendere le sue motivazioni e le intenzioni sottese. Con l’ascolto empatico si è in grado
di entrare nei panni dell’altro, si entra nella sua
visione della realtà per comprendere in maniera intuitiva, diretta ed immediata la totalità della
persona.
Naturalmente non sto sottolineando soltanto l’
importanza dell’ascoltare; è altrettanto importante
che il tuo interocutore capisca che lo stai ascoltando con partecipazione. Questo si può ottenere solo se glielo mostri col tuo atteggiamento
corporeo e con quello che gli dici in risposta. Per
chi ascolta, se vuole capire con più precisione e
se vuole entrare in sintonia con l’interlocutore e
favorire la sua disponibilità al dialogo, può essere utile l’uso della parafrasi. La parafrasi è una
forma di supporto verbale caratterizzata da una
riformulazione sintetica del contenuto del messaggio di chi sta parlando. Una parafrasi di solito
è costituita da un inizio frase con locuzioni tipo:
“se ho capito bene…”
Andrea Magnani
Il Coaching
Per identificare l’obiettivo
Si può chiedere: “Se ti svegliassi domattina, e
il tuo obiettivo fosse completamente raggiunto,
come te ne accorgeresti? Quali sarebbero le
piccole e grandi differenze rispetto ad oggi?”. Attenzione! La domanda non è: “Cosa dovresti fare
per conseguire l’obiettivo?” ma “Cosa faresti se lo
avessi già raggiunto?”. Infatti la prima domanda
è concentrata sulla strategia e dà per scontato
che non lo si è raggiunto. Del resto, il coachee si
è probabilmente già posto questo interrogativo,
senza arrivare ad una conclusione.
Per identificare la strategia vincente.
Una domanda utile per stimolare una prospettiva
nuova consiste nella cosiddetta “tecnica dello
scalatore” e cioè nell’identificare i passi al contrario, dalla fine verso l’inizio. Secondo la stessa
logica si può chiedere: “Se tu ora ti trovassi nel
futuro, nel momento in cui il tuo problema è già
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BE TRAINING
E-BOOKS 001
La Tecnica
stato risolto …se ti guardi indietro, cosa vedi di
aver fatto?”. Si può notare che il linguaggio è
utilizzato in una forma suggestiva e grammaticalmente scorretta in quanto la situazione ipotetica
introdotta dal “se” è presto dimenticata mettendo
al tempo indicativo presente il guardi e il vedi.
Questo crea una distorsione nella quale la fantasia diventa la realtà e la creatività diventa una
risorsa già messa in atto.
Senza dover scavare troppo nella fantasia, a volte le gemme migliori stanno proprio nel patrimonio storico della persona stessa. La si può guidare a prenderne atto semplicemente con domande
orientate sulle sue risorse: “Ti è mai capitato di
avere prestazioni più positive o eccezionali rispetto a questo stato attuale? In quei casi, cos’è che
ha prodotto il cambiamento? Cosa avevi fatto?”.
Per modificare la percezione della realtà
Come abbiamo detto più volte, spesso la soluzione risiede nell’aiutare il cliente ad assumere
una nuova prospettiva. Il modo più utilizzato e più
immediato è quello della ristrutturazione. Questa
tecnica consiste nell’attribuire un nuovo significato o una nuova connessione ad un certo evento.
“Non sei riuscito ad ottenere quel risultato non
perché non sei un bravo skipper ma perché il
mare era in tempesta”.
Particolarmente utile è quella che si chiama
‘ridefinizione in positivo’ che consiste nel portare
a vedere come positivo qualcosa che è percepito
come negativo. Se questa manovra viene fatta in
modo credibile diventa uno strumento molto potente per cambiare forti reazioni emotive e comportamentali. Si pensi al cambiamento che tutti
noi viviamo nel momento in cui ci rendiamo conto
che un’azione che ritenevamo fatta con malizia
invece era motivata da buone intenzioni.
Un metodo più drammatizzante viene dal mondo
del teatro e consiste nel portare il coachee ad
interpretare di volta in volta i vari ruoli della situazione da lui evocata, spostandosi da una sedia
all’altra. Con questa tecnica, il monodramma, il
cliente potrà così dialogare con un interlocutore
con cui si percepisce in conflitto, oppure dialogare con una parte di sé poco esplorata per la quale
si sente combattuto.
Per rinforzare il risultato
Nel piano di navigazione il coach ha anche il
compito di rinforzare tutti quei comportamenti
che il coachee ha utilizzato in modo vincente.
Questo velocizza enormemente l’apprendimento.
Per poterlo fare prima deve sottolinearli: “Come
hai fatto ad ottenere questo risultato?”. Questo
impedisce che la persona si focalizzi su ciò che
è andato storto, anzi fa emergere il positivo, la
crema. Inoltre impedisce alla persona di pensare
di essere stato aiutato o di aver ottenuto i risultati
per caso in quanto la domanda presuppone che
la responsabilità ed il merito siano suoi.
A quel punto, la tecnica per rinforzare il comportamento o l’atteggiamento virtuoso è molto semplice. E’ quello che ci ha permesso di imparare
così facilmente a camminare e a parlare quando
eravamo infanti ma che è stato dimenticato poco
dopo dal sistema scolastico: ciò che ci stimola a
fare meglio è ricevere complimenti entusiastici
per ciò che di buono abbiamo fatto.
Andrea Magnani
Il Coaching
Tecniche di consapevolezza
In alcuni casi è importante aiutare il cliente a
prendere coscienza di qualcosa che sbaglia e
che non sta considerando o a cui non attribuisce
il peso dovuto.
Con la parafrasi delucidante si riassume ciò che
il cliente ha detto sottolineando alcuni aspetti che
egli vedeva in modo non focalizzato. Siccome
però essa appare appunto come una semplice
parafrasi, si dà l’impressione che il punto di vista
appartenga, già da prima, al cliente stesso.
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BE TRAINING
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La Tecnica
La verbalizzazione invece è una forma di supporto verbale che riformula gli stati d’animo contenuti
nella comunicazione non verbale del cliente, al
fine di aiutarlo a mettersi in contatto con gli aspetti emozionali del suo discorso.
Tra le formule linguistiche che si possono usare
per indurre consapevolezza c’è anche l’illusione
di alternative con forzatura: essa induce una
risposta lasciando l’impressione che sia il cliente
ad averla scelta. Ad esempio ad un cliente che
non si spiega come mai è soffocato dalle richieste
dei colleghi e che si perde in ripetute lamentele sulla loro maleducazione, si può chiedere:
“Secondo te la soluzione consisterà nell’aspettare
che le persone diventino meno maleducate o nel
cominciare a porre limiti alle loro richieste?”.
Esiste poi la tecnica dello specchio che consiste
nel fare uscire momentaneamente il protagonista dalla scena mentre un altro (magari il coach
stesso) gioca il suo ruolo, mostrandogli come in
uno specchio, in che modo gli altri lo vedono. E’
chiaro che tecniche come questa vanno maneggiate con estrema delicatezza.
primo gruppo si allenava solo fisicamente. L’altro
gruppo, com’è nella tradizione orientale, si allenava anche con l’immaginazione. I due gruppi si
fronteggiarono e il secondo mostrò performance
notevolmente maggiori.
Altro modo per stimolare l’apprendimento è quello
di assegnare compiti in cui l’abilità da apprendere
è assimilata a piccole dosi e in maniera progressiva.
Molti compiti a casa possono essere strutturati
per aiutare le persone ad acquisire nuove abilità. Quando si tratta di abilità complesse o per le
quali la persona ha delle difficoltà, si può tratteggiare una sequenza progressiva di compiti.
Come esempio cito un intervento di G. Nardone
su una persona che non riusciva a dire di no se
non a spese di forti sensi di colpa. Questo l’aveva
portata ad essere sommersa dal lavoro. Siccome
era da tempo invischiata in questo problema il
senso di colpa era diventato sempre più forte. Le
chiese perciò di cominciare dicendo: “Vorrei ma
non posso”. Dopo due settimane di training in cui
riuscì bene, passò alla fase successiva: “Vorrei
ma ho altro da fare”. Per poi arrivare progressivamente alla libertà di dire: “Potrei ma non ne
ho voglia”, quando questo corrispondeva alle
proprie sensazioni. Quello che la persona scoprì
è che ciò che temeva non si verificò: le persone,
come se avessero percepito il suo maggior amor
proprio, anziché essere arrabbiate con lei per la
sua minore disponibilità, l’apprezzarono di più e
cominciarono ad essere più gentili.
Per stimolare l’apprendimento
di nuove abilità
La Programmazione Neuro Linguistica offre un
insieme di tecniche basate sul linguaggio suggestivo, sul condizionamento (ancoraggio) e sulla
visualizzazione che permettono al coach di stimolare nel coachee:
1) reazioni emotive
2) comportamenti specifici
che altrimenti non avvengono in un dato contesto.
Le tecniche di visualizzazione hanno un notevole
utilizzo in ambito sportivo: in uno stato di rilassamento lo sportivo si vede affrontare la performance provando e riprovando fino a che non è
soddisfatto di sé. Prima si vede dall’esterno, poi
immagina di essere in gara. Un recente studio
ha messo a confronto maestri di arti marziali. Il
Andrea Magnani
Il Coaching
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Un dialogo per trovare soluzioni
Il colloquio di seguito riportato, fra il coach (A) ed
il signor B, è stato preceduto da una breve presentazione reciproca nella quale si è stabilita una
relazione amichevole e si è deciso di darsi del
‘tu’.
B: Non è facile definirli, sicuramente è importante
che il cliente, quando entra in banca, percepisca
un clima familiare. Questo significa che vuole
essere trattato come una persona conosciuta,
quindi, chiamato per nome, vuole attenzione,
essere seguito nelle sue richieste. Vuole soddisfazione, quindi, avere la percezione che i
suoi bisogni vengono soddisfatti bene. Oggi i
clienti prestano attenzione all’aspetto economico,
cioè ai costi dei servizi che la banca offre. Pur essendo una banca del territorio siamo comunque
anche noi sul mercato e la competitività che dobbiamo mantenere con le altre banche è un fattore
che non possiamo sottovalutare. I costi dei servizi
che offriamo non possono essere più bassi di
quelli applicati dai concorrenti… non è facile.
A: Individua un obiettivo che ti interessa raggiungere nel contesto lavorativo in cui operi, qualcosa che vuoi migliorare o un problema che vuoi
risolvere.
B: Due obiettivi: conseguire il budget; raggiungere per le mie filiali una qualità elevata che sia
percepita dal cliente.
A: Quale ti interessa di più?
Generalmente è utile concentrarsi su un obiettivo alla volta. Questo permette di rendere molto
più efficienti gli incontri; infatti così si evita che il
cliente salti da un obiettivo all’altro.
A: Quindi se ho capito bene, questo buon clima,
può costituire un elemento discriminante ed importante per la competitività e quindi può favorire
l’altro obiettivo, sul quale per ora non ci concentriamo.
B: Ok, obiettivo qualitativo per fare la differenza
e, comunque, perché mi permette di arrivare
a obiettivi numerici. La banca in cui io lavoro è
piccola e quindi la qualità permette di differenziarci da banche più grandi. Come direttore di filiale
devo far emergere questa qualità e mantenere la
differenza, altrimenti…
In questa parafrasi non faccio altro che ripetere il
concetto per cui raggiungendo il primo obiettivo,
quello scelto dal cliente, si arriva anche al secondo. In questo e nei prossimi interventi lo scopo è
di riportare tutte le risorse del cliente sull’obiettivo
scelto e non permettere che si incarti nella percezione della difficoltà. Infatti, dopo aver risposto
parzialmente alla mia domanda, il cliente mischia
diversi piani portandosi in uno stato negativistico.
Spesso succede che, lavorando su un solo obiettivo, anche l’altro riceva comunque dei benefici
indiretti; in effetti è il cliente stesso che li vede
come uno dipendente dall’altro
B: Sì, è giusto, di conseguenza la differenza
dobbiamo giocarla sul modo con cui curiamo e
trattiamo i nostri clienti.
A: Definiscimi questo obiettivo in termini misurabili. Cosa puoi vedere, ascoltare, sentire per capire
che c’è qualità nella tua filiale? Quali devono
essere secondo te gli standard qualitativi per la
filiale?
Andrea Magnani
Il Coaching
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BE TRAINING
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Un dialogo per trovare soluzioni
A: Come si può creare una relazione di
familiarità?
In questa domanda a illusione di alternative presento la prima alternativa come così estrema e
irrealizzabile (realmente costruita su ogni singolo
individuo) che porto l’interlocutore a scegliere la
seconda; al tempo stesso rendo attraente la seconda bilanciando il realistico ‘cliente medio’ con
il termine chiave ‘personalizzata’ lasciato come
ultimo.
B: Primo, fare sentire il cliente a casa sua e,
secondo, far percepire al cliente che lui in quel
momento è una persona importante e comunque
diversa dal cliente che è passato prima di lui e da
quello che entrerà in banca dopo di lui. E’ chiaro
che una relazione di familiarità non si crea spontaneamente, va costruita un po’ alla volta e con
molta attenzione. Il vero problema è che ogni persona è diversa dagli altri. Quello che va bene per
uno disturba un altro. Bisogna, quindi, fare molta
attenzione… non credo che sia possibile rispondere veramente in modo efficace alla diversità
delle persone.
B: Il cliente quando entra in banca deve sentirsi
bene. Sicuramente un servizio rivolto a ciò che il
cliente medio gradisce è l’unica soluzione fattibile.
A: E sarebbe buona per te?
B: Sì, vediamo come…
A: Bene, mi hai detto che i tuoi clienti dovrebbero sentirsi chiamati per nome. Quali altre cose
dovrebbero essere fatte perché lui senta un clima
familiare?
Analizzando la risposta di B. notiamo due cose:
1) la sua risposta è astratta: non fa riferimento
ad azioni concrete ma tende a girare attorno a
concetti come ‘familiare’, ‘sentirsi a casa’, ‘sentirsi importante’. Perciò teniamo a mente che una
prossima azione sarà quella di portarlo su un
piano pratico. Ora però c’è l’altro aspetto al quale
dobbiamo dare una risposta:
2) B spiega che il problema sta nel fatto che ogni
cliente è diverso: questo porta un livello troppo
elevato di complessità tanto che B sembra quasi
rinunciare. Perciò la prossima domanda avrà lo
scopo di indirizzare l’attenzione su una semplificazione della realtà.
A: Secondo te, per creare questo clima di familiarità, dobbiamo creare un servizio realmente
costruito sulle caratteristiche di ogni singolo
individuo o possiamo fare… come fa la pubblicità, che cuce il proprio abito su un cliente medio,
rappresentativo, in modo che quasi ogni cliente
possa sentire quella pubblicità come se fosse
rivolta a lui, personalizzata?
Con questa domanda riprendo l’ultima sua soluzione proposta e comincio a spingere nella
direzione delle soluzioni. Inoltre, sottolineo col
tono della voce la parola ‘fatte’ per portarlo verso
la concretezza di cui sopra.
B: Vedi, io conosco l’uomo e so non solo il suo
nome ma anche i componenti della famiglia, la
sua occupazione, anche la squadra di calcio, se
preferisce il caffè oppure se gli fa schifo…
A: Bene, altre cose?
B: Beh sì, mettendomi a pensare… La domanda
che io ti faccio è: aumentando il numero dei clienti, non riesco più a seguirli…
A: Scusa, se ho capito bene, quello che mi hai
Andrea Magnani
Il Coaching
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BE TRAINING
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Un dialogo per trovare soluzioni
descritto è quello che fai tu come direttore. La
tua domanda è basata sul fatto che aumentando i
clienti non hai più da solo la possibilità di dedicare a loro tutte quelle attenzioni.
naturale. Non posso chiedere a persone alle quali
forse non gliene importa nulla, di fare quello che
faccio io. Bisogna fare attenzione a non fingere.
Il cliente intuisce quando il rapporto è costruito
esclusivamente per incrementare gli interessi
della banca
Il cliente si sta bloccando dietro un presupposto:
ossia che la personalizzazione debba essere
fatta solo da lui. Se non portassi a galla questo
presupposto, esso non permetterebbe di prendere in considerazione la soluzione appropriata che
è ovviamente quella di coinvolgere i dipendenti
della banca. Perciò la parafrasi ha lo scopo di
evidenziargli questo presupposto e vedere come
lui lo elabora
A: Così non puoi fare tutto tu…
Ed ecco infatti che B ci offre un argomento molto
più convincente di quello del caffè. Questo è
tipico di chi è abituato a non delegare: c’è sempre
un motivo per cui non si delega! Attenzione: il
suo tono è orientato alla chiusura, a dire ancora
una volta che la vede difficoltosa. La prossima
domanda, ricalcando la ragionevole obiezione, è
costruita per orientare il cliente a dar per scontato
che… un modo ci deve essere. Infatti non dice:
“dovremo capire se è possibile…” ma “…come
riuscire”.
B: Sì ma come fai ad affidare questi compiti al
personale, agli sportellisti… senza nulla togliere
a loro. Sbagliare un nome o offrire il caffè ad un
cliente a cui non piace può essere imbarazzante
e controproducente… Come si fa?
A: E’ verissimo quello che dici: è fondamentale
che i dipendenti trovino un modo personale e
sincero di esprimersi. Quindi dovremmo capire
come riuscire a fare in modo che questi ‘servizi’
vengano eseguiti bene dai dipendenti.
La reazione di B è interessante in quanto la questione del caffè è illogica: offrire il caffè sbagliato non è peggio di quello che accade quando,
come ora, manca del tutto la cura del cliente.
Solitamente quando le persone mostrano errori
logici come questo è perché, dietro le quinte,
c’è un’esperienza concreta emotivamente coinvolgente e negativa che la blocca. Perciò nella
seguente domanda faccio finta di fraintendere la
sua esclamazione finale allo scopo di portare a
galla le resistenze
B: sono d’accordo. Dobbiamo trovare un sistema per consentire a queste persone di farlo nel
migliore dei modi. Ma allora tu cosa faresti?
B: Esatto, da solo non ce la posso fare…
Sento dal tono con cui mi risponde che il mio
modo propositivo con cui l’ho riorientato verso
un atteggiamento costruttivo è stato forse troppo
brusco. A volte spingere troppo per la soluzione,
anche se è quella desiderata dal cliente, produce
un effetto contrario.
Perciò rilasso il tono schierandomi dalla sua
parte. Non utilizzo però la parola difficile, dico che
non è ‘semplice’.
A: Mi hai chiesto: come si fa a coinvolgere i dipendenti?
A: Non credo che la soluzione sia semplice perché si tratta, come abbiamo detto, di trovare un
B: Io lo faccio perché è il mio ruolo, mi viene
Andrea Magnani
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Un dialogo per trovare soluzioni
modo per trasferire questa capacità di ‘accoglienza’ a persone che fino ad oggi non sono state
preparate per farlo. Se per te va bene possiamo
cominciare a cercare una soluzione.
ci occuperemo di quali strumenti dare loro perché
lo facciano bene.
Una volta creata l’alleanza, utilizzo una formula
linguistica per suggerire che un modo per trasferire le sue competenze deve esistere e che
deve tenere in considerazione il fatto di preparare
queste persone a ricevere la delega.
Ottimo segno! La citazione di Einstein ha toccato
il suo orgoglio.
B: D’accordo. Ma io sono un po’ folle… (ridendo)
A: Dopo aver scremato definisci quali ruoli all’interno della banca possono svolgere le azioni che
hai identificato. Questo è il secondo compito.
B: Insomma, dimenticavo che il coach non dà soluzioni (ironizzando in maniera benevola). Allora
mettiamoci al lavoro.
B: Sì, d’accordo, ti seguo. Ma poi farle mettere in
pratica…!
A: Più che altro il lavoro lo dovrai fare tu (ricambio
l’ironia benevolmente). Allora, B, se sei d’accordo ti prendi un momento di tranquillità e fai un
elenco di cose che secondo te potrebbero servire per garantire un buon servizio alla clientela.
Scrivi tutte le azioni che, secondo te, i dipendenti
dovrebbero fare per creare il clima familiare. Usa
la creatività. Fatto questo rivedi cosa hai scritto e
togli solo le idee che sono assurde.
A: Sono d’accordo con te, questo passaggio non
verrà da solo. Dovremo creare un sistema facilitante.
B: Hai in mente qualcosa?
Qui violo la legge secondo la quale si devono
far trovare le risposte al cliente. Ma mi accorsi
che il tempo della seduta stava finendo. Volendo
accelerare il processo decido di offrire una metafora piuttosto diretta. La soluzione concreta dovrà
comunque trovarla lui.
B: mmm
Temo che possa ricadere nel pensiero limitante
di prima. Perciò preciso: giustifico il suo limite di
pensiero. Al tempo stesso il ‘però’ annulla l’effetto
di ciò che lo precede e apre la strada alla creatività.
A: Durante un viaggio in America, precisamente
in California, mi è capitato di arrivare una sera
con la mia famiglia in un albergo. Mentre i camerieri provvedevano alla nostra sistemazione nella
stanza abbiamo scambiato qualche parola. In
particolare, mi hanno chiesto che giornali solitamente mi capitava di leggere. Il giorno dopo ho
trovato sul tavolo della colazione il giornale che io
avevo indicato.
Come puoi vedere la chiacchierata fatta la sera
prima, che nella sua modalità poteva sembrare
solo un modo per creare un clima di ospitalità,
era anche finalizzata a individuare le mie preferenze di lettura dei giornali e, quindi, a rafforzare
A: A volte forse la tua mente tornerà a dirti che
queste cose non le possono fare i tuoi dipendenti.
Del resto è sempre stato così no? Però Einstein
disse che il progresso dipende dalla capacità di
liberarci dei nostri limiti: “Tutti pensano che qualcosa sia impossibile finché un giorno, arriva un
folle che non lo sa, e la inventa”. Perciò teniamo
ben distinte le due cose. Come secondo compito
Andrea Magnani
Il Coaching
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Un dialogo per trovare soluzioni
questo clima attraverso la conoscenza del cliente.
L’anno dopo, tornai nello stesso albergo e a colazione ritrovai lo stesso giornale.
E’ chiaro che in quell’albergo esisteva una modalità e degli strumenti, probabilmente un data
base, di registrazione delle preferenze dei clienti
che permetteva di offrire un servizio personalizzato in grado di far sentire il cliente come una
persona importante.
una squadra attorno ad un sogno.
Inoltre chiudo la metafora dell’hotel iniziata poco
prima, lasciando tutte le considerazioni che sono
avvenute nel mezzo, compreso la prescrizione
del compito, come questioni alle quali non si può
obiettare. Questa è una tecnica presa a prestito
dalle induzioni di trance ipnotica
La sessione si chiude con la ricapitolazione dei
tre compiti e decidendo le coordinate dell’appuntamento successivo.
B: Mmm mmm!
A: Ok, è chiaro che va pensata bene l’applicazione nella tua banca. Del resto mi hai detto che
vale la pena investire in progettazione per realizzare questo. Perciò il terzo compito è: quali strumenti, informazioni ecc. devono essere dati agli
impiegati per svolgere nel modo migliore il proprio
servizio di cura del cliente?
B: D’accordo. Quanto tempo mi dai?
A: Il prossimo incontro è tra due settimane. Puoi
anche pensare a delle esperienze di accoglienza
che tu hai ricevuto e che ti hanno colpito, magari
da aziende che non siano banche.
Quando parlai con il ragazzo della reception, gli
chiesi: Ma come fate a essere così tutti attenti,
anche la cameriera… Ero sbigottito. Mi rispose
gentilmente che avevano istruzioni molto chiare e
anche un bambino le avrebbe potute eseguire. E
poi disse: “Tutti noi facciamo parte di un sogno:
rendere felice il cliente. Siamo felici di fare questo”
Lo lasciai con questa ultima metafora per suggerire che c’è un modo per evitare che i dipendenti
fingano. Volevo evitare che tornasse a focalizzarsi sull’obiezione della naturalezza. In questo
modo preparo anche un argomento che verrà
trattato nel secondo incontro: il coinvolgimento di
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Il Coaching
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E-BOOKS 001
Per approfondire
Aristotele
Etica Nicomachea
S.Andreas et al., NLP the new technology of achievement
Nicholas Brealey, 1996
L.Borgogni, L.Petitta
Lo sviluppo delle persone nelle organizzazioni, Carocci, 2003
S.R.Charvet
Words that change mind
Kendal, 1995
E.Cogno
Come risolvere i problemi
Franco Angeli, 2003
R.Dilts
Modeling with NLP
Meta Publications, 1998
G.Fatali, G.Nardini, F.SpregaIl
Coaching Organizzativo
Franco Angeli, 2002
T.Gallwey
The inner game of tennis
Random House, 1997
Mc Kee /Boyatzis /D.Goleman
Essere leader
Rizzoli, 2003
E.H.Schein
Lezioni di Consulenza
Raffaello Cortina, 1987
L. Martinoff
Platone è meglio del prozac
Piemme, 2001
Len Sperry
Executive Coaching
Brunner-Routledge, 2004
M.McMaster
Precision
GDA, 1993
P.Watzlawick et al.
Change
Astrolabio, 1974
F.Nanetti
Counseling interpersonale integrato
AIPAC, 2006
P.Watzlawick et al.
Pragmatica della comunicazione
umana
Astrolabio,1967
G.Nardone, P. Watzlawick
L’arte del cambiamento
Ponte alle grazie, 1990
G.Nardone
Cavalcare la propria tigre
Ponte alle grazie, 2003
Nietzsche
Opere
Adelfi
M. Nussbaum
Terapia del desideri
Vita e pensiero, 2003
Daniel Goleman
Intelligenza emotiva
Rizzoli, 1995
Pascal
Pensieri
D.Goleman
Lavorare con intelligenza emotiva
BUR, 1995
M.Piattelli Palmarini
L’arte di Persuadere
Mondadori, 1995
M.Hall
Mind-Lines
E.T. Publications, 1997
Seneca
De brevitate vitae
D. Hume
Trattato sulla natura umana
K.Johnstone, J.Withers
Strategie di successo nei servizi e
nella
consulenza
Franco Angeli, 2002
Andrea Magnani
Il Coaching
J. Whitmore
Coaching
Sperling e Kupfer, 2003
Stever Robbins
Appunti del coach manageriale e
aziendale
NLP Italy, 2006
S.de Shazer
Investigating solutions in brief therapy
W.W. Noron & Company, 1988
31
BE TRAINING
E-BOOKS 001
BE TRAINING
E-BOOOKS
001
Il Coaching
interventi su misura per
risvegliare ed elevare
l’eccellenza in azienda
2007
Design
BlueLemon - Antonio Moro
001 - BE TRAINING E-BOOKS
estratto da
“Strumenti su misura per risvegliare ed elevare l’eccellenza in banca”
di A. Magnani, R.Nonni e C.Trabuio
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