Si ntoni a Tal ento Ri sul tati Il Coaching i nt er vent isumi sur aper r i svegl i ar eedel evar e l ’ eccel l enzai nazi enda Cos’é il Coaching Le cose non cambiano: siamo noi a cambiare Il termine “coach”, in inglese, significa anche carro, carrozza o vettura: infatti l’espressione “to travel coach” significa “viaggiare in vettura” su una tratta ferroviaria o su una linea aerea. livello di pensiero nel quale non possono vedere la soluzione. Il coach è proprio quell’agente esterno che fornisce lo stimolo per assumere un diverso punto di vista. Il Coach è dunque un “mezzo” che affianca colui che in gergo si chiama “coachee”, ossia chi richiede un supporto per esaminare le condizioni che desidera modificare (luogo di partenza), per definire gli obiettivi (luogo desiderato) ed elaborare un piano d’azione sulla base di questi elementi. Ecco cosa dice Michele Tampieri, responsabile marketing di un’azienda che lavora nell’ambito del turismo, alla fine di un intervento di coaching: Henry David Thoreau L’esperienza di coaching ha sicuramente superato ogni mia aspettativa. Il coaching si differenzia dalla classica lezione didattica (che spesso rimane aleatoria e non verticale alla propria esigenza lavorativa) per la peculiarità di poter discutere delle proprie problematiche lavorative quotidiane e trovarne da solo risposte che senza “l’assistenza” del coach non avrei mai “sbloccato”. A chiunque lo consiglio vivamente ! Il coaching è un modello formativo che consente di integrare ragione e creatività, pensiero ed emozioni, in modo da produrre un elevato livello d’apprendimento “in aula” e significativi risultati di cambiamento “fuori dall’aula”. Il paradosso del coaching Come si è detto, il coaching può essere utilizzato come strumento per trovare e realizzare soluzioni. Come sarà mostrato più ampiamente nella sezione dedicata al ‘come’ si fa coaching, il compito del coach consiste soprattutto nell’aiutare il coachee a trovare le proprie soluzioni: egli non porta idee preconfezionate. L’apparente paradosso è proprio il seguente: più il coach è bravo e più aiuta la persona a trovare le proprie soluzioni. Più è bravo e più lascia che le risposte vengano dal cliente. Più è bravo e più il cliente fa da sé. Qualcuno allora può chiedersi: “A cosa serve un coach se tanto le risposte le devo trovare da me?” La risposta non è affatto banale: diceva Einstein che non è possibile risolvere un problema utilizzando lo stesso livello di pensiero che l’ha creato. Quando una persona o un’azienda chiedono un aiuto, non è vero che non abbiano gli strumenti per affrontare situazioni difficili e complesse. Il problema sta nel fatto che esse si trovano ad un Andrea Magnani Il Coaching Il fatto che egli non porti delle soluzioni preconfezionate non significa che non sia competente nella materia: infatti è importante che un coach che lavora nell’ambito del marketing conosca i principi teorici e la pratica del marketing. Lo stesso vale per la leadership, per la vendita ecc. Il punto è che il coach usa le proprie conoscenze per guidare il cliente ad un’ analisi specifica della propria situazione, in modo da evidenziare le soluzioni adatte a lui, tra le tante concettualmente possibili. Questa flessibilità di approccio è ciò che eleva l’attività del coaching rispetto alla classica formazione standard. 2 BE TRAINING E-BOOKS 001 Cos’é il Coaching Cos’è il business coaching lità. Tuttavia, la capacità di avere uno standard ben preciso è ciò che rende il business replicabile all’infinito, misurabile, controllabile. Nella maggior parte delle aziende lavorano persone, che, ottenendo risultati migliori degli altri, sono un modello di riferimento. Sarebbe desiderabile poter trasferire queste abilità, ma spesso si pensa che esse siano innate oppure che si possano acquisire solo con anni di esperienza. Per dare un vero impulso ad un’azienda dobbiamo superare questa superstizione. Non è l’esperienza in sé che forma e rende migliori né, tanto meno, il passare del tempo in sé, ma “è ciò che fai con ciò che ti accade”. E se è vero che alcune persone sembrano “dotate di natura”, questo non significa che non si debba concedere agli altri la possibilità di apprendere. Se un uomo ha impiegato tutta una vita per scoprire come far funzionare una lampadina, non ha senso che suo nipote cominci da capo con la ricerca! Non sto dicendo che la pratica non serve a nulla, sto affermando che la pratica può essere educata, piuttosto che lasciata completamente allo sbaraglio. In campo musicale, la tecnica dei virtuosi del violino è il risultato di secoli di ricerca dei maestri. Sarebbe assurdo lasciare scoprire all’allievo come mettere le dita e come usare l’archetto per ottenere certi effetti. Con il possesso già acquisito di quelle nozioni la sua applicazione darà i migliori frutti. La tecnica del coaching può essere utilizzata per estrapolare una “procedura dell’eccellenza” in modo da poterla rendere riproducibile. Questa tecnica ha due importanti contesti di applicazione: Il Coaching Aziendale e Manageriale consiste nell’aiutare l’organizzazione a conseguire il miglior risultato possibile in un contesto specifico, ad affrontare situazioni di cambiamento e di transizione. Può essere realizzato coinvolgendo un singolo manager oppure tutto un gruppo operativo. Molte aziende stanno ricorrendo al Coaching per sostituire o integrare la formazione in quanto, essendo più focalizzato, contestualizzato e rivolto a target specifici, risulta più efficace dei tradizionali metodi di formazione e di consulenza. Le funzioni del coaching in azienda Il Coach aiuta a trovare soluzioni a problemi specifici: il motivo per cui si viene consultati solitamente è per aiutare la persona o l’organizzazione a migliorare e a consolidare dei risultati. Come sarà esemplificato nella sezione successiva, quando spiegheremo come funziona il coaching, il coach interviene attraverso un’analisi strutturata dalla quale emerge l’insieme di risorse e di strategie che servono a produrre un risultato desiderato. Questa applicazione è strutturalmente flessibile e adattabile a più settori specifici dell’azienda: dallo sviluppo commerciale, agli acquisti, all’organizzazione della produzione, alla comunicazione interna, alla selezione e gestione del personale, ai livelli più elevati di management e di leadership. Rendere riproducibile l’eccellenza: Una delle caratteristiche delle grandi catene mondiali come McDonalds per l’alimentazione, Zara per l’abbigliamento o Starbucks …., è data dal fatto che, indipendentemente dall’angolo di mondo in cui ti trovi, puoi riconoscere il loro modo di lavorare. Sappiamo che questo è spesso percepito dall’imprenditore italiano come una forma di impersona- Andrea Magnani Il Coaching 1) nel passaggio generazionale. Un momento critico di molte aziende si verifica quando, per motivi diversi, si perde una persona che fino a quel momento ha ricoperto un ruolo chiave e ha reso i risultati dell’azienda dipendenti dalla propria abilità... A volte si tratta dell’imprendito- 3 BE TRAINING E-BOOKS 001 Cos’é il Coaching re stesso, il quale rimane così prigioniero della propria abilità da non riuscire a trovare il modo di delegare parte del lavoro. saperne di vendere! A partire da condizioni simili, ci si può aspettare che un corso sulle tecniche di vendita non porti i risultati voluti, ma che sia, anzi, controproducente; si sa infatti che forzando qualcuno a fare qualcosa si induce in lui una reazione oppositiva. Chiesi al responsabile dell’azienda durante la pausa: “Non avete già fatto corsi di questo tipo in passato?” La sua risposta fu affermativa, ma mi comunicò anche che non si era notato alcun incremento delle vendite. Gli spiegai che il problema era dovuto al fatto che si era data la risposta formativa sbagliata per quell’obiettivo, dato che il loro era un problema di “mentalità”. Lavorammo sulla mentalità nella seconda parte del corso e il 70% di loro aumentò le performance di vendita come per magia. 2) nel livellare verso l’alto la performance di un gruppo. In un gruppo di venditori, ad esempio, se si prende in esame l’abilità dei migliori e la si insegna agli altri attraverso una procedura condivisa, si ottengono diversi vantaggi. Il primo di questi è ovviamente un livellamento dei risultati verso l’alto. Il secondo è la possibilità di misurare i risultati e di approntare modifiche efficaci grazie all’adozione della stessa procedura. Il terzo è, in molti casi, una prevedibile diminuzione del turn over. In molte realtà che ho conosciuto, in cui gli agenti di vendita erano pagati a provvigione, molti smettevano dopo pochi mesi se non riuscivano ad ottenere risultati accettabili. Questo accadeva perché non veniva fornita loro una formazione scientifica alla vendita, ma solo un corso teorico oppure basato sull’intuito dei capi area. Creare un piano formativo su misura: spesso le aziende investono in formazione perché si rendono conto che ai propri uomini l’apprendimento di tecniche specifiche può dare enormi vantaggi. Si può pensare alle tecniche di “Gestione del tempo”, alle già citate tecniche di vendita, alle tecniche di motivazione e di teambuilding ecc. Ora, si pensi a quello che succede in un corso tradizionalmente concepito: i partecipanti, i quali generalmente non hanno deciso in prima persona di essere lì, si trovano ad ascoltare principi e tecniche generali che poi, con buona volontà, devono adattare alla propria realtà. Per qualcuno questo approccio costituisce una fonte preziosa di crescita professionale, ma per molti non risulta sufficientemente motivante, anche perché spesso vengono a mancare le risposte alle loro difficoltà quotidiane. Si pensi allora ad un approccio formativo come quello che noi proponiamo: la formazione è preceduta da uno studio di come essa va applicata alla vita quotidiana delle persone che lavorano. In un caso abbiamo studiato, nella modalità di Evidenziare la vera esigenza formativa: attraverso il coaching si può fare un’analisi mirata dello stato attuale in funzione degli obiettivi che si vogliono conseguire. Quello che spesso succede all’interno delle realtà aziendali è che la formazione è scelta più in base a esigenze apparenti che per dare una risposta ai veri bisogni. Per fare un esempio, mi venne richiesto un corso di vendita da un’azienda che produce cosmetici. I destinatari erano i clienti dell’azienda stessa, proprietari di centri benessere, ai quali era richiesto di vendere più prodotti alle persone che si recavano a fare trattamenti. A metà del primo giorno, mi resi conto che il corso che mi era stato commissionato era completamente fuori asse rispetto agli obiettivi. Era vero che non erano bravi a vendere, ma ciò che mancava loro non era la tecnica, quanto la mentalità: non si consideravano dei venditori, si consideravano degli artigiani. Non volevano Andrea Magnani Il Coaching 4 BE TRAINING E-BOOKS 001 Cos’é il Coaching coaching di gruppo, la gestione del tempo per un gruppo assicurativo, sperimentando come integrare il concetto di pianificazione con le interferenze tipiche di quel lavoro d’agenzia . Il corso che ne è uscito è stato percepito con grande motivazione proprio perché dava tangibili e immediati risultati, risposte concrete a problemi concreti. Una nota sugli ambiti d’intervento del Coach Generalmente, quando si sente parlare di coaching, si sottolinea che esso si distingue da altre forme psicologiche di intervento perché : è focalizzato sugli obiettivi e non sui problemi, non contempla un intervento riguardante le emozioni o i costrutti psicologici. Nella pratica, invece, qualsiasi coach esperto, che abbia una preparazione psicologica, sa che tali distinzioni non corrispondono a ciò che avviene in realtà. Consideriamo ad esempio il fatto che il coaching dovrebbe essere focalizzato sulle soluzioni e non sui problemi. Questo, nella pratica, è semplicemente assurdo in quanto spesso il modo più rapido per andare verso una soluzione è capire bene lo stato in cui ci si trova. Ci possono essere molti modi diversi per aumentare l’efficienza commerciale di un gruppo di venditori. Non è forse vero che la soluzione più efficace è quella che rimuove ciò che trattiene il gruppo e cioè la mancanza di tecnica, di motivazione, di adesione al gruppo, i sensi di colpa legati alla vendita, la mancanza di fiducia nel prodotto? Come si fa a impostare una valida soluzione se non si fa anche un’analisi dei problemi? Nella realtà, infatti, analisi del problema e ricerca delle soluzioni sono le due facce della stessa medaglia. Cosa dire dell’altra distinzione, che vede il coaching come un rapporto non di tipo psicologico? Davvero si pensa che sia possibile scindere l‘essere umano in una componente tecnica e una psicologica? Prendiamo come esempio un coaching sul ruolo di leader. Nell’analisi iniziale emerge che la persona ha difficoltà a farsi percepire come leader. Il coach lo aiuta a evidenziare una serie di carenze e la seduta si conclude con un accordo a sviluppare alcuni nuovi atteggiamenti. Il leader comincerà cioè a delegare alcuni compiti concordati, migliorerà la gestione del tempo delle Il coaching interno: ci si può chiedere come mai serva per tutto questo il coach esterno. Tutte queste risposte non potrebbero venire meglio da persone che lavorano in quel contesto aziendale e che possono vantare anni di esperienza? Chi appartiene ad una data realtà non possiede ciò che il coach ha per sua natura: il punto di vista esterno. Al contrario, chi è inserito in un sistema e ha acquisito certe abitudini ha molta difficoltà a vedere ciò che dall’esterno può risultare immediatamente evidente. E’ ovvio che il coach può esercitare la potenza di questa sua posizione solo in congiunzione con il sapere dell’esperto dell’azienda, il quale possiede le informazioni specifiche e approfondite su quel contesto. Nonostante sosteniamo l’importanza di servirsi di un coach esterno, affermiamo comunque che le abilità del coach, il suo atteggiamento mentale e il modo di stimolare le risposte nell’interlocutore, possono essere assai preziose se utilizzate anche da persone che ricoprono ruoli di responsabilità nell’azienda stessa. Ecco perché ad alcune aziende interessate ad uno sviluppo completo abbiamo fornito una formazione per addestrare i propri dirigenti a fare coaching. Sono molteplici le situazioni nelle quali una competenza di questo tipo può giovare all’azienda, in particolare quando è necessario far emergere soluzioni dal proprio gruppo di lavoro, sviluppare nuove competenze o correggere certi atteggiamenti, tirare fuori le energie di fronte ad una crisi, motivare un collaboratore e comunicargli in modo efficace qualcosa, ecc. Andrea Magnani Il Coaching 5 BE TRAINING E-BOOKS 001 Cos’é il Coaching riunioni, si impegnerà a sottolineare quotidianamente una cosa fatta bene da ciascuno del suo gruppo. Al secondo appuntamento, il coachee si presenterà con un netto miglioramento anche se potrà rimanere una sensazione di fondo non positiva e poco chiara. Si darà appuntamento per il terzo incontro attendendo ulteriori miglioramenti. Al terzo incontro, effettivamente, si potranno riscontrare progressi, ma non così forti come ci si aspettava. Potrà emergere anche che la persona ha fatto chiarezza in sé, su quella sensazione, ed ha scoperto che non si sente leader, non si sente all’altezza di esserlo. Come si può notare, il tema focale si sposta così su una dinamica emozionale. Cosa dovrebbe fare allora il coach a questo punto? Lasciar perdere oppure dire che il problema non è di sua competenza? Sarebbe un peccato, proprio perché è evidente che il massimo senso di alleanza con le persone si stabilisce nella relazione di coaching proprio quando emergono le dinamiche emotive. E’ proprio cavalcando questa alleanza che si possono ottenere i massimi risultati. La nostra opinione è che, in realtà, ciò che serve è una persona dotata di preparazione estesa e capace di affrontare le dinamiche umane a 360°. Per quanto il mondo aziendale pretenda di mostrarsi attraverso una facciata di calcolo freddo e impersonale, la riscoperta delle emozioni produce un beneficio misurabile. A sostegno di questo possiamo portare l’esempio di un importante intervento che vide protagonista American Express a metà degli anni ottanta. Daniele Goleman, il pioniere dell’intelligenza emotiva, introdusse il suo seminario di consapevolezza emotiva nella formazione tipica dell’azienda. Questo non solo creò un fattore unificante del linguaggio aziendale e un’apertura culturale. Portò anche ad un aumento medio del fatturato del 14 %. Questo ci stupisce meno se consideriamo che, al di là del fatto che i conti devono tornare, l’idea Andrea Magnani Il Coaching imprenditoriale nasce da un sogno, da un desiderio, da un’emozione. Perciò accade che quando un’azienda riporta in superficie l’importanza delle emozioni, essa conosce uno sviluppo notevole non solo in termini di bontà di clima ma anche in termini di profitto e di efficienza. ‘Intelligenza Emotiva’ è il termine che si usa per descrivere il livello di attenzione per le emozioni e la capacità di gestirle. Il coaching può essere utilizzato per elevare l’Intelligenza Emotiva dell’organizzazione. 6 BE TRAINING E-BOOKS 001 Come si fa Coaching La relazione Questa sezione del libro si svilupperà in tre parti che rappresentano i tre aspetti fondamentali dell’azione di coaching. Nella pratica questi tre aspetti avvengono congiuntamente avvolgendosi l’uno nell’altro; la separazione è fatta a scopo didattico. Il primo elemento su cui ci focalizzeremo è la relazione che si stabilisce tra coach e cliente (coachee). Il secondo è la logica, che è il filo rosso che unisce ogni azione concreta; essa è la comprensione del divenire, il progetto che sta nella mente, il senso del dispiegarsi dell’azione, il perché si utilizza una certa tecnica e non un’altra. Il terzo è la tecnica ossia ciò che concretamente si utilizza per dare una risposta ad un passaggio che la logica suggerisce di realizzare. Se la tecnica senza logica è un po’ come un’auto in movimento senza un conducente, una tecnica senza la giusta relazione è come un motore senza benzina. Questo materiale, formulato sulla base della mia personale esperienza professionale negli ultimi tredici anni, rappresenta un modo di vedere il coaching e non pretende di rappresentare il coaching. Non ho inventato nulla e se un merito c’è, è quello di aver integrato il sapere proveniente da diverse discipline in un approccio multifattoriale; dobbiamo ricordare che noi semplicemente ci appoggiamo sulle spalle dei giganti che ci hanno preceduto. A loro un sentito ringraziamento. Andrea Magnani Il Coaching In ogni rapporto tra due o più persone sono sempre presenti due dimensioni che si intrecciano e si influenzano reciprocamente: una dimensione più oggettiva e razionale legata al motivo per cui le persone si incontrano e lavorano insieme ed una dimensione relazionale dominata dagli affetti e dalle emozioni che connotano le relazioni tra le persone e che possono facilitare od ostacolare l’incontro dei diversi modi di essere, lo scambio di informazioni e la sinergia d’azione. Spesso il tema della relazione non viene approfondito nella formazione del coach. Uno dei motivi per cui questo avviene è che la relazione risulta l’ambito più difficile da misurare, da descrivere. Gli aspetti di relazione sono infatti legati a sfumature del comportamento non verbale; le persone dicono di qualcuno che è freddo, caloroso, distaccato, amichevole ..., ma hanno difficoltà ad individuare i micro-elementi dai quali traggono questa sensazione: un’espressione degli occhi, un irrigidimento della schiena, una tensione del respiro. perché è importante stabilire una buona relazione Stabilire la giusta relazione è fondamentale per ottenere impegno e collaborazione da parte del proprio coachee, non solo durante l’incontro, ma anche in tutte le cose da fare tra un incontro e l’altro. Creare una buona relazione permette anche di ricevere le informazioni con sincerità da parte sua. Senza le corrette informazioni si rischia di lavorare attorno a un focus errato perciò è importante che il coachee si senta supportato, rispettato, accettato incondizionatamente dal coach. 7 BE TRAINING E-BOOKS 001 Come si fa il Coaching Come si stabilisce una buona relazione un’analisi sul campo verificai invece che i due avevano lo stesso problema che denunciavano nei dipendenti, ma non erano disposti ad ammetterlo. Se i due proprietari non fossero cambiati essi stessi, siccome lavoravano a fianco dei loro parrucchieri, per quanto efficace potesse essere l’intervento sui dipendenti, esso sarebbe durato poco non avendo nei loro leader dei buoni esempi. Dato che i manager erano impegnati nella stessa attività dei dipendenti, in entrambi i casi il coaching aveva come primo obiettivo di agire a livello manageriale in modo da ottenere, come effetto a cascata, la disponibilità al cambiamento dei collaboratori. Al tempo stesso, non potevo farlo direttamente: in un caso come questo il cliente opporrebbe una resistenza se si cercasse di indurre un cambiamento in lui. Col primo titolare, persona piuttosto orgogliosa, assolutamente priva di autoironia, mi comportai nel seguente modo: mi schierai dalla sua parte dicendo: “Ho studiato i tuoi dipendenti ed effettivamente non fanno nulla di ciò che dovrebbero fare. Non dicono nemmeno al cliente che ha i capelli sciupati. Non spiegano il prodotto che usano…”. In questo modo elencai i pochi semplici passaggi che servono a proporre un servizio. Poi aggiunsi: “Io credo che ci sia solo un modo per inchiodarli alla loro responsabilità: ho notato che ogni tanto ti fai affiancare su alcuni clienti per mostrare dei tagli nuovi; bene, vorrei che organizzassimo una lezione in cui, oltre a mostrargli il taglio, mostrassi loro come fai a vendere il prodotto”. Proprio per via del suo orgoglio non poteva dirmi di no. Scoprii che l’altro, più flessibile, era appassionato di scherma e gareggiava a livello amatoriale pur avendo avuto in passato le potenzialità per passare al professionismo. Utilizzai la sua naturale propensione alla sfida provocandolo: “Tu dici che loro hanno questo problema. Ma tu sei capace di La relazione è una danza durante la quale due compagni si parlano e si scambiano idee, informazioni, suggestioni. Al fine di questo scambio è importante che non ci si pesti i piedi e che, d’altro canto, non ci si allontani troppo l’uno dall’altro perdendo il contatto. In una relazione, come appunto nella danza, non è importante ciò che fai, non c’è una sequenza corretta in assoluto; ma il passo giusto è quello che è sintonizzato con ciò che fa l’altro. Per esemplificare come ci si possa sintonizzare col cliente in base a come lui si pone, utilizzerò una schematizzazione tratta da Steve de Shazer. Questo autore non intende classificare le persone in tipologie rigide. Propone piuttosto un modo per inquadrare i loro atteggiamenti nei confronti dell’intervento di coaching. Distinguiamo tre macro categorie: Clienti Acquirenti: sono pronti a collaborare per il cambiamento. Tra questi ci sono alcuni clienti che vogliono collaborare e che possono farlo. Ce ne sono altri che vogliono ma non riescono a farlo per mancanza di risorse. In ogni caso, con questa tipologia di clienti si può impostare una relazione morbida e complementare. Loro accettano infatti il tuo ruolo di coach, come esperto in grado di aiutarli. Clienti Lamentosi: non ritengono di dover cambiare perciò, di base, non accettano un intervento su di loro: si lamentano di qualcun altro e questo può comunque costituire una valida motivazione per il cambiamento. Come esempio riporto quanto accadde in occasione di un coaching rivolto a due titolari di saloni di parrucchiere: entrambi si lamentavano del fatto che i propri dipendenti non vendevano abbastanza. Nella loro ottica, il problema non era loro, ma dei dipendenti! Durante Andrea Magnani Il Coaching 8 BE TRAINING E-BOOKS 001 Come si fa il Coaching dare loro il buon esempio?”. Questo lo fece sorridere, poi prese di petto la sfida dimostrandomi che lo sapeva fare. previsti un minimo di incontri e ho pensato che sarebbe più proficuo, se lei è d’accordo, che sia lei a insegnarmi qualcosa dalla sua esperienza… in modo che io possa trasferirla ai più giovani.” In questo modo ribaltai la situazione, consegnandogli proprio quel ruolo di supremazia per cui stava facendo tutta quella sceneggiata. Poi lo lasciai dicendogli che volevo che ci pensasse su. In questo modo, non rispettando i tempi dell’incontro, risposi col suo linguaggio, come a dire: “Se tu accorci l’incontro ritardando, io lo accorcio anticipando la fine”. La settimana successiva era sempre un po’ scettico ma puntuale. Cominciammo a lavorare sulle sue conoscenze e, attraverso domande strutturate, lo aiutai a prendere coscienza di risposte efficaci che a volte già utilizzava, ma senza sistematicità, coi clienti difficili. Non ammise mai ovviamente che l’aumento di fatturato che ebbe nei mesi successivi fosse legato ai nostri incontri..., ma a noi coach, il bene del cliente deve interessare più del nostro ego. Clienti Visitatori: sono quelli in azienda ai quali è stato imposto di essere seguiti da un coach. Non avvertono nemmeno il problema, se non quello di essere stati inviati lì; magari considerano l’affiancamento come un giudizio implicito sul loro operato: “Mi fanno seguire… chissà cos’ho fatto di male!”.. Sono quelli che oppongono massima resistenza al cambiamento se gli si chiede di cambiare direttamente. Anzi, tendenzialmente più cerchi di spingere, più loro frenano o addirittura reagiscono in senso contrario perché in questo modo cercano di vincere la loro battaglia. La relazione che si imposta deve tener conto di questo gioco di potere sotteso. Da una parte è importante avere un atteggiamento comprensivo per la mancanza di coinvolgimento, mentre si cerca di trovare un motivo di interesse per la collaborazione. Mi trovai in un’agenzia per la vendita di prodotti finanziari e venni affiancato ai diversi agenti di vendita senza che fosse fatta una valida introduzione all’attività di coaching. Trovai tre degli agenti disponibili ad apprendere. Il quarto, il veterano dell’agenzia, invece manifestava con sorriso sardonico il suo totale senso di superiorità, affermando nel contempo: “Certo, c’è sempre da imparare”. Dedicai il primo incontro, illuso dalle sue parole, a trovare uno spiraglio di motivazione, ma le sue risposte di sufficienza mi fecero capire che stavo deragliando. Mi presentai la settimana successiva per il nostro incontro. Lo aspettai pazientemente mentre lui, passando nel corridoio, mi lanciava delle occhiate di sberleffo: “Arrivo subito! Mi scusi, solo un attimo”. Aspettai 20 minuti. Quando arrivò gli dissi: “Sa, ho riflettuto molto sul nostro primo incontro. Io credo che lei non abbia bisogno di me. Da quello che ho capito sono Andrea Magnani Il Coaching Come si può intuire da questi esempi, è sempre opportuno capire l’atteggiamento gradito dall’interlocutore. Se preferisce un atteggiamento di autorità, di alleanza fraterna, direttivo, provocativo, distaccato o più affettivo. Il segreto consiste nella flessibilità che permette di sintonizzarsi con lui. 9 BE TRAINING E-BOOKS 001 Sc he Le Resistenze da Il coach, nella sua attività di diagnosi iniziale, deve essere capace di individuare con chiarezza le aspettative e, utilizzando soprattutto le interviste individuali al “top” e al “middle management”, deve cominciare a vendere alla gerarchia l’intervento, valorizzando i vantaggi futuri del progetto, anticipando le possibili resistenze e costruendo con i capi i presupposti per il successo. Realisticamente, però, è impossibile prevedere all’interno della complessità del sistema-azienda, quali potranno essere le reazioni dei partecipanti. Perciò è più saggio avere la sensibilità di riconoscere il prima possibile le resistenze, in modo da poter intervenire immediatamente, se dovessero emergere. Oppure un capo può mettere in atto nei confronti del suo collaboratore formule come: Il mio collaboratore non ha tempo Accade che il coachee venga coinvolto dal suo capo in impegni di lavoro improvvisi e non programmati proprio quando ha l’appuntamento con il suo coach o quando c’è un incontro formativo, per cui è necessario riprogrammare l’incontro o rinunciare alla formazione. L’ironia benevola Il capo del coachee lancia al suo collaboratore frequenti frecciate ironiche di contenuto involontariamente svalutativo, quali “mica starai diventando più bravo di me “ oppure “non fare il primo della classe con me”. Questi atteggiamenti possono indicare una preoccupazione. I segnali possono essere mascherati dietro atteggiamenti e affermazioni come le seguenti: Non ho tempo un po’ come dire: “ho cose più importanti da fare”. Quello che a volte accade è una variante più sottile di questo: il coachee si rende continuamente reperibile al telefono e a chi bussa alla porta. Non è detto che si tratti di una resistenza; potrebbe anche significare che la persona non sa dare priorità. Una delle cose più buffe che accadono in campo lavorativo è che quello che nasce come un vantaggio (il telefono ti consente di essere raggiunto) diventa un obbligo (devo rispondere): il ‘posso’ diventa un ‘devo’. Andrea Magnani Il Coaching Oltre a queste formule un po’ coperte ci possono essere degli atteggiamenti evidentemente polemici come: Cosa ci guadagno? e Perchè non formate prima i nostri capi? 10 BE TRAINING E-BOOKS 001 Come si fa il Coaching La logica La chiarezza prima di tutto La comprensione del funzionamento del sistema e dell’obiettivo è fondamentale per capire cosa fare. Questo è ciò che chiamo logica. Da una parte è fondamentale capire l’obiettivo della persona e dell’azienda, dall’altra lo stato attuale nel quale la persona o l’azienda si trovano. Una volta evidenziati i due estremi, si studia la strategia per connetterli. Perché il coaching possa portare effetti importanti in tempi rapidi, è necessaria chiarezza. Chiarezza nell’individuazione sia dell’obiettivo sia dello stato attuale. Supponiamo che un manager di un’azienda abbia come compito quello di imparare l’inglese commerciale e si presenti all’incontro dicendo che non riesce ad applicarsi. Facendogli qualche domanda capiamo che, alla fine di una giornata di lavoro, vorrebbe andare in palestra, distrarsi, insomma qualsiasi cosa fuorché mettersi sui libri. A quel punto, potremmo concludere che si tratti di un problema di motivazione. Se impostassimo l’intervento su questo livello di conoscenze, potremmo fare un buco nell’acqua. Infatti, cominceremmo a stimolare l’interessato evidenziando i vantaggi che avrebbe, a livello professionale e personale, dal conoscere meglio l’inglese: una promozione, nuovi contatti con l’estero; sarebbe anche più a proprio agio andando in vacanza, cosa che ha una particolare importanza dato il recente divorzio dalla moglie. Dopo un’ora dedicata a questo, potremmo però scoprire che tale motivazione ce l’aveva già. Infatti, non avevamo precisato sufficientemente su cosa avremmo dovuto lavorare. Ad esempio, avremmo dovuto chiedere: “Ti manca la motivazione a conoscere l’inglese o a impiegare il tuo tempo a studiarlo?”. Avremmo così scoperto che ciò che gli manca è la motivazione sul processo di acquisizione, non sul risultato finale; avremmo quindi impostato l’intervento per trovare un diverso metodo di apprendimento. STATO ATTUALE Andrea Magnani Il Coaching STRATEGIA OBIETTIVI 11 BE TRAINING E-BOOKS 001 Come si fa il Coaching Il metodo sperimentale liquido colorato nell’acqua di superficie che entra in profondità. Poi misurano come il liquido esce e dopo quanto tempo. Allo stesso modo, per comprendere gli elementi che ci servono per il cambiamento, dobbiamo stimolare il cliente e misurare il suo adattamento. Per anni gli interventi psicologici sono stati guidati da teorie forti: il professionista imponeva interpretazioni alle quali i propri clienti si dovevano adattare, comunque. E se un intervento non aveva successo, non era colpa dell’approccio ma della resistenza del paziente o della sua personalità. In altre parole si adottava il motto di Hegel: “Se i fatti non coincidono con la teoria, tanto peggio per i fatti”. Il coach non può basarsi nel suo lavoro su una teoria forte. Al contrario, come uno scienziato, si deve far guidare fluidamente dai fatti. In questo modo, sono i fatti, le soluzioni, che costruiscono la teoria. Come ho detto, è la comprensione stessa che ci guida verso la soluzione definita. Come si vedrà, questo capitolo offre gli schemi generali all’interno dei quali inserire le informazioni raccolte nel processo d’analisi che il coach esegue all’inizio dell’intervento. Non si deve credere però che tutto ciò ci venga presentato su un piatto d’argento. La realtà umana, individuale o aziendale, non è come una macchina, la quale può essere aperta e osservata nelle sue componenti. Aprendo un cervello, il lettore perdoni la macabra immagine, non troveremo nulla che possa chiamarsi ‘motivazione’, ‘bisogno’, ‘valore’, ‘convinzione’, ‘emozione’ ecc. Siamo costretti a fare ipotesi e a verificarle nella pratica. A volte possiamo cogliere le informazioni ascoltando le risposte alle nostre domande (formulate a partire da quelle ipotesi). Solitamente è importante cogliere nella risposta anche la componente non verbale in quanto, a volte, gli esseri umani dicono qualcosa con la parola e il suo contrario col corpo. A volte è essenziale osservare la persona o il sistema nella sua quotidianità per capire quali aspettative, quali bisogni, quali regole manifeste e non manifeste regolano veramente la sua esistenza. A volte dobbiamo ricorrere a esperimenti mentali (“Se non avessi questo problema, quali difficoltà saresti costretto ad affrontare, che ora invece eviti”) e in questo dobbiamo ottenere il massimo coinvolgimento immaginativo dell’interlocutore. Altre volte dobbiamo sottoporre il cliente a dei test pratici, portandolo a fare delle cose diverse dal solito e sarà il modo in cui reagisce che ci dirà come è strutturata la sua mente nel momento presente e cosa veramente desidera per il suo futuro. La mente non è osservabile direttamente. Gli speleologhi per misurare la presenza o la grandezza di un lago sotterraneo introducono un Andrea Magnani Il Coaching 1. Definire l’obiettivo Immagina di essere seduto in un taxi. Cosa risponderebbe il taxista se chiedessi: “Per favore mi porta via di qui? Non voglio andare in stazione”. Solitamente il coaching comincia con la definizione dell’obiettivo. Spesso infatti le persone non raggiungono i propri obiettivi semplicemente perché li hanno posti in modo scorretto. Come nell’esempio del taxista, sanno ciò che non vogliono ma non ciò che vogliono. Altre volte desiderano tante cose tutte insieme, senza una priorità e questo, per dirla in gergo informatico, sovraccarica il sistema bloccandolo. Cosa risponderebbe infatti il taxista se gli chiedessi: “Vorrei andare in via Piangipane, in via Bixio, in piazza dell’Unità, in via Mazzini, in via dei Bersaglieri, in viale Roma e in…” Probabilmente il paziente taxista ti chiederebbe di cominciare da qualche parte…e così fa il coach. 12 BE TRAINING E-BOOKS 001 Come si fa il Coaching Cosa direbbe poi se gli chiedessi: “Vorrei però che non ci fosse traffico”?. Resterebbe, come minimo, alquanto stupito. Eppure, spesso, le persone definiscono obiettivi includendo elementi sui quali non possono avere il controllo, o perché dipendono dalla decisione di altre persone o perché dipendono da fattori contestuali imprevedibili. E’ fondamentale invece definire ciò che il cliente vuole nei termini di ciò che lui può fare. Ancora peggio: a volte le persone hanno obiettivi vaghi del tipo “Voglio migliorare il rapporto con il mio collega”. E’ un po’ come chiedere al paziente taxista: “Mi porti da qualche parte verso est”. In questo caso dobbiamo rendere l’obiettivo misurabile in modo da poter essere certi di averlo centrato in una precisa cornice spazio-temporale. Solo così possiamo aprire la strada al successo e alla possibilità di rendercene conto. ti, sui suoi modi di reagire, di pensare di sentire. Registreremo con assoluta attenzione anche il sistema nel suo complesso. Cosa vuoi? Congruenza con sé - identità - valori - regole Come farai a sapere di averlo ottenuto? Congruenza col Sistema Azienda - identità - valori - regole -evidenza descritta attraverso eccezioni reali -attraverso eccezioni ipotetiche Congruenza dell’obiettivo Può sembrare un aspetto perfino ovvio ma ci tengo a sottolineare che l’obiettivo del coachee deve essere in armonia sia con la persona che lo formula sia con l’azienda alla quale egli appartiene. Una delle maggiori cause di resistenza è proprio dovuta alla mancanza di congruenza. Da una parte la persona può infatti definire obiettivi in contrasto col proprio senso di sé, magari perché si innamora di un modello ideale tanto desiderato quanto estraneo al contesto in cui opera. Dall’altra può accadere che il cambiamento desiderato non sia in armonia col sistema complesso al quale la persona appartiene. Ecco perché è fondamentale concordare gli obiettivi del coaching a partire dai livelli ‘più alti’ della gerarchia aziendale in modo che tutti possano lavorare in sinergia. Per questo motivo, nella conoscenza dello stato attuale focalizzeremo la nostra attenzione non solo sul ‘funzionamento’ della persona o del reparto dell’azienda, sui suoi comportamen- Andrea Magnani Il Coaching - sotto il controllo - in positivo - misurabile - chunk piccolo Figura 1: definizione dell’obiettivo 13 BE TRAINING E-BOOKS 001 Come si fa il Coaching 2. Lo stato attuale poteva permettersi l’ozio, appannaggio esclusivo dei nobili. A questo poi si sommano le percezioni individuali che vedono nel venditore un manipolatore o, nella migliore delle ipotesi, “qualcuno che rompe”. Ecco perché accade che molti professionisti molto bravi tecnicamente non ottengono i risultati economici che meritano. Spezzettammo l’obiettivo in frammenti comportamentali ed emozionali da lei facilmente gestibili. Risultato: se prima dell’incontro su 10 clienti potenziali solo 4 rimanevano da lei, ora aumentarono a 5: il 25% in più. A questo punto le proposi di portare ancora più in alto la percentuale e poi di dedicarci al marketing. Senza un’analisi dello stato attuale come sarebbe stato possibile capire dove intervenire? Così come il taxista ha bisogno di istruzioni precise sulla meta da raggiungere, al tempo stesso egli deve sapere se ha parcheggiato l’auto con la punta contro un muretto e quali manovre deve compiere per uscire di lì. A volte la comprensione di come si manifesta lo stato attuale, di cosa accade, del come funziona, ti illumina immediatamente sul modo in cui intervenire. Una commercialista mi chiese di aiutarla ad aumentare il suo fatturato; le chiesi di quantificare l’aumento e di definire entro quando. Questo è un obiettivo al quale si può arrivare in tanti modi. Le proposi allora: “Oggi ti farò alcune domande e decideremo insieme cosa fare. Poi starà a te farlo. Concordiamo il prossimo appuntamento fra due settimane per verificare ed eventualmente correggere il tiro. Tieni presente che solo se esegui alla lettera i compiti che ci diamo potremo avere un dato scientifico su cui lavorare”. Lei accettò. Arrivai un po’ prima all’appuntamento mentre era impegnata con un cliente. Aveva un tono dimesso, quasi implorante: “Ti posso far pagare 900 euro, va bene? Se è troppo dimmelo”. Sembrava gli dicesse” ho paura che te ne vada”. Capii che prima di ogni altra cosa era necessario aggiustare questo aspetto: sarebbe stato completamente inutile cominciare con un marketing strutturato per portare più contatti quando, con quel modo di fare, avrebbe fatto scappare i clienti che arrivavano da lei spontaneamente. Le spiegai la mia impressione e lei la condivise: manifestava la propria vergogna nel chiedere i soldi, atteggiamento che trovo frequentemente in molti professionisti. La nostra cultura in generale vede il denaro come qualcosa di “sporco, demoniaco, disonesto” e la vendita come qualcosa di svilente: si pensi che il termine ‘negoziare’ deriva dal latino ‘nec ozium’, riferendosi a chi non Andrea Magnani Il Coaching Conoscere il sistema-azienda L’interesse del coach è di cogliere quegli elementi di contesto che gli consentono di capire le situazioni professionali dei suoi coachee, di imparare le parole principali della loro “lingua professionale”, di cogliere gli elementi base della cultura nella quale operano e, quindi, di ridurre le barriere culturali. Il suo obiettivo è essere percepito ed accettato come “uno di casa”, un partner professionale con cui condividere problemi e sfide. L’obiettivo è anche di acquisire una conoscenza approfondita delle principali caratteristiche del “sistema azienda” in modo da facilitare la progettazione e l’attuazione del coaching, contestualizzandolo al massimo livello possibile nella specifica realtà nella quale è attuato. L’analisi può quindi riguardare la dimensione strategica (strategie, obiettivi e piani di periodo), la dimensione tecnico - organizzativa (struttura, sistemi operativi, tecnologie di riferimento, valutazione del personale), la dimensione sociale (clima, cultura, valori, comportamenti, sistema premiante, sistema di comunicazione interno). Al tempo stesso il coach può aver bisogno di acquisire una conoscenza adeguata dell’ambien- 14 BE TRAINING E-BOOKS 001 Come si fa il Coaching 3. Andare dallo stato attuale 3. a quello desiderato te esterno con il quale interagisce l’azienda, per poter comprendere meglio i problemi operativi che incontrano i suoi coachee nella gestione del loro lavoro. Gli elementi di riferimento sono: il mercato (livello di competizione, tipologia dei clienti, posizionamento dell’azienda, modalità di contatto con i clienti), la comunicazione esterna (livello di visibilità, tipologia dei rapporti dei coachee con l’esterno, complessità di questi rapporti, gli interlocutori esterni). Una volta definito dove si vuole andare, ci si può chiedere: “Cosa dobbiamo fare per realizzare questo obiettivo a partire da dove ci troviamo ora?”. E poi: “Di quali risorse abbiamo bisogno per farlo?”. A volte la strada per arrivare all’obiettivo appare lunga e tortuosa perciò conviene spezzettarla in tappe intermedie. La pianificazione è uno stimolo alla concretezza che consente di individuare le risorse e gli eventuali ostacoli da superare. Se il piano è ben strutturato, la riuscita degli obiettivi minori fa pregustare il raggiungimento di obiettivi più complessi suscitando entusiasmo ed impegno. AZIENDA STATO ATTUALE Cosa accade ora? Figura 3): la strategia spezzettare il percorso - Come funziona? - Come fa la persona a produrre quel risultato? - In che modo si mani - festa il problema? Figura 2) comprensione dello stato attuale Figura 4): la strategia: spezzettamento dell’obiettivo Come si vede, è la struttura stessa dello spazio di soluzione che determina quali percorsi seguire e quali passi effettuare. A questo punto, bisogna andare nel concreto e definire le risorse necessarie. Un conto è infatti dire che per parlare in pubblico devo avere uno stato d’animo facilitante ed un conto è trovare dentro di me quello stato. Un conto è dire che devo aumentare le mie capacità negoziali e un conto è capire quali sono i comportamenti da mettere in atto e quando. Andrea Magnani Il Coaching 15 BE TRAINING E-BOOKS 001 Come si fa il Coaching Trovare le risorse Un altro modo per individuare le risposte specifiche che cerchiamo è quello di usare l’immaginazione, la creatività, la proiezione mentale. Rimando alla sezione successiva in cui tratterò la tecnica delle domande. Una volta identificati i sotto-obiettivi da effettuare, possiamo chiederci: “Di quali risorse abbiamo bisogno per realizzarli?” Le risorse sono determinati comportamenti o sequenze di comportamenti, reazioni emotive, pensieri che il cliente deve mettere in atto, oppure atteggiamenti mentali. A volte le risorse sono già disponibili nella persona e dobbiamo semplicemente indicare di usarle maggiormente. Altre volte potrebbero essere disponibili ma la persona le usa in altri contesti e non in quello appropriato. Un coachee ingegnere, in previsione di creare uno studio allargato sotto la propria direzione, cercava di elaborare sistemi per aumentare il numero di clienti. Notò che la maggior parte dei suoi contatti provenivano direttamente dai propri clienti, i quali riferivano spontantaneamente ad altri della sua correttezza e della sua capacità professionale esprimendo la fiducia che avevano in lui. Gli chiesi: “Quali sono i clienti che ti inviano più gente?” Analizzò le informazioni che aveva archiviato e scoprì che nel 90% dei casi arrivavano su suggerimento di quei clienti coi quali, per qualche motivo, aveva stabilito una relazione che andava al di là del compito professionale. Dovette semplicemente creare un sistema per rendere replicabile ed inevitabile questa attenzione alla relazione. Spesso la soluzione è già nella nostra esperienza e il compito del coach è di aiutare il coachee a prendere coscienza di questo fatto stimolandolo a guardare la propria esperienza con occhi nuovi. A volte le risorse sono abilità che la persona non possiede. In questo caso, l’attenzione si focalizza su come permettere alla persona di apprendere le informazioni, di acquisire le abilità e di effettuare le esperienze di cui ha bisogno. I passaggi che mancano possono essere individuati anche guardando a dei modelli di riferimento: persone che hanno raggiunto i risultati che stiamo cercando. Andrea Magnani Il Coaching I motivi che bloccano il sistema nello stato attuale Nel momento in cui esaminiamo i vari passaggi per avvicinarci all’obiettivo, dobbiamo tenere in considerazione che spesso la prima azione da compiere deve essere rivolta contro ciò che ci trattiene nello stato attuale. Se immaginiamo il coachee su una barca ferma al porto, desideroso di partire per arrivare all’isola-meta, dobbiamo figurarci che, in alcuni casi, pur essendo stata identificata la rotta giusta, egli non riuscirà a partire a causa degli ormeggi che lo trattengono. Riprendendo il discorso delle tipologie di clienti, si potrebbe pensare che i clienti acquirenti siano quelli facili. In realtà anche i coachee disponibili al cambiamento possono avere degli aspetti che li trattengono nella posizione in cui si trovano e solo la comprensione di questi aspetti ci permette di non stupirci di eventuali resistenze e di programmare un intervento adeguato. Vediamo quali sono questi freni: 16 BE TRAINING E-BOOKS 001 Come si fa il Coaching STATO ATTUALE Attaccamento ai vantaggi Tentate soluzioni - sicurezza - sentirsi significativo - emozioni - contatti umani - interessi materiali [...] Cosa fai o hai già fatto per risolvere il problema? Il problema denunciato è parte di una Generalizzazione Inerzia Principio di inerzia: Il primo e il più banale dei fattori riguarda quella che possiamo chiamare inerzia (o omeostasi) ossia la tendenza a mantenere uno stato acquisito. A volte si manifesta come un vero e proprio disagio generico nei confronti del nuovo, di ciò che non si conosce; non si tratta di una paura rivolta a qualcosa di specifico. quella resistenza. L’errore consistette nell’aver introdotto la nuova macchina come “una novità che avrebbe sconvolto il loro modo di lavorare”. Il problema non si manifestò invece quando inserirono il computer presentandolo come “identico” alla macchina da scrivere: stessi tasti, stessa funzione, stesso carattere che compariva sullo schermo anziché sul foglio. La strategia di metodo riguarda la lentezza con cui prescrivere e guidare il processo di cambiamento. Si chiede al cliente di muoversi per piccoli passi; significativi ma piccoli. In modo che, ad un certo punto, il cliente possa girarsi indietro e vedere con sorpresa quanto tratto di mare ha già navigato senza rendersene conto. Come nel detto orientale lo aiutiamo a “solcare il mare all’insaputa del cielo”. Cosa si fa? quando si evidenzia una resistenza di questo tipo la soluzione consiste in una duplice strategia: una linguistica e l’altra di metodo. Da un punto di vista linguistico si eviterà di parlare di cambiamento sottolineando gli elementi di continuità. R.S.Charvet racconta che quando, a metà degli anni ottanta, alle poste canadesi sostituirono la macchina da scrivere col computer, molti dipendenti caddero in depressione. Pensiamola razionalmente: il computer era estremamente vantaggioso perché permetteva di correggere il proprio lavoro senza dover buttare il foglio ogni volta: non c’erano motivi reali che giustificassero Andrea Magnani Il Coaching 17 BE TRAINING E-BOOKS 001 Come si fa il Coaching I vantaggi …del non partire dei compiti ad un dipendente che compie molti errori, una delle tentate soluzioni del dirigente è quella di sottrargli del lavoro. C’è una logica in questo: almeno al momento riesce ad arginare il problema evitando l’errore. Il problema è che così sovraccarica se stesso di lavoro ed accade di solito che il dipendente, meno ha lavoro e più diventa lento e impreciso. Infatti, in questo modo, la persona si deresponsabilizza ed è anche probabile che anziché apprezzare l’impegno e l’operosità del proprio capo, lo giudichi negativamente come un insensibile accentratore. Quando il problema viene portato in sede di coaching le due posizioni sono ormai nette: il dirigente è convinto di aver fatto l’unica scelta possibile e che il dipendente è un inetto. Il dipendente dal canto suo tra sé e sé si lamenta che il lavoro è noioso, ripetitivo, senza un obiettivo e che ‘il capo rompe sempre’ e la situazione è complicata dalla presenza di vecchi risentimenti. Sotto questa ampia espressione includiamo tutti i vantaggi che potrebbero derivare dallo stare ormeggiati nel porto. E’ vero che desidero con tutte le mie forze arrivare sull’isola ma al tempo stesso stare qua mi consente di mettere i piedi a terra, di andare a mangiare la pizza al ristorante, di parlare con qualcuno che passeggia sul molo ecc. Cosa si fa? Si devono spostare gli stessi vantaggi nell’obiettivo. Per fare questo a volte dobbiamo modificare l’assetto dell’obiettivo in modo da includerveli, altre volte è sufficiente mostrare che troverà gli stessi vantaggi al suo approdo nell’isola. Di solito però, quando si utilizza il metodo del ‘solcare il mare all’insaputa del cielo’, la persona ha tutto il tempo di trovare un nuovo adattamento alla nuova situazione. Tentate soluzioni Cosa si fa? A ben vedere la situazione dall’esterno, la colpa non sta da nessuna parte. La responsabilità invece è di entrambi che sono entrati in un gioco ad escalation in cui la situazione può solo peggiorare finché uno dei due non interrompe la catena sbilanciandosi dall’altra parte e ridando equilibrio stabile alla barca. Come questo si realizzi nella pratica dipende da una molteplicità di fattori contingenti che non è possibile sviscerare qui. Al tempo stesso la logica sottesa è sempre la stessa: riportare l’equilibrio interrompendo la tentata soluzione e portando il proprio peso dall’altra parte. Considerando la nostra barca ferma nel porto, possiamo immaginare che ci siano due persone come equipaggio: una rappresenta il problema (o la situazione attuale dalla quale vogliamo staccarci) e l’altra, la tentata soluzione che è stata messa in atto fino ad oggi per risolverlo. La prima persona si sporge in fuori col busto e siccome la barchetta è piccola, si inclina su un lato. L’altra persona teme che la barca si possa rovesciare e cerca di risolvere l’inconveniente sporgendosi verso la prima per afferrarla. Così facendo, però, sposta il baricentro ulteriormente dalla parte verso cui si sta rovesciando. Questo sbilanciamento fa pendere ulteriormente la prima persona verso l’esterno e per afferrarla la seconda è costretta a sporgersi ancora di più dalla sua parte. Si capisce che con questa dinamica si innesca un processo circolare che anziché risolvere il problema lo acuisce. Quando il dirigente si trova a dover delegare Andrea Magnani Il Coaching La generalizzazione Sotto questo cappello includiamo qualsiasi convinzione limitante che possa ostacolare il raggiungimento dell’obiettivo. Ad esempio, è stato verificato che la performance di una persona è 18 BE TRAINING E-BOOKS 001 Come si fa il Coaching legata alla sua convinzione di autoefficacia: se una persona crede di avere una bassa capacità di agire sugli eventi, sarà basso il suo livello di impegno e di riuscita. L’insieme di convinzioni, di pregiudizi, la prospettiva che è assunta dal coachee possono essere i primi responsabili del mancato raggiungimento degli obiettivi. Da un’azienda fui incaricato di coinvolgere i dipendenti in una serie di attività tese alla condivisione dei valori aziendali e alla realizzazione di progetti di team. Uno dei dipendenti si pose immediatamente in atteggiamento oppositivo: “Qualsiasi cosa farò tanto non sarà valutata perché il mio capo è interessato solo al profitto, non capisce niente di queste cose”. In questa posizione vittimistica, non solo non era possibile far raggiungere i risultati attesi dall’azienda; la persona stessa era bloccata in un ruolo che non gli consentiva certo di essere soddisfatta del proprio lavoro. In un caso come questo, ciò che separa la persona dall’obiettivo non è la mancanza di competenze o di motivazione; ciò su cui si deve lavorare è la sua convinzione di fondo. Tali convinzioni sono così potenti da lasciare ben poco spazio per essere messe in discussione: il dipendente in questione noterà tutti gli atteggiamenti del capo che possono essere letti come disconferme; interpreterà i silenzi come mancanze di interesse verso il suo lavoro anziché come tacito consenso o come espressione di totale fiducia. Se poi il coach cercasse di convincerlo del contrario, il coachee finirebbe per credere in un complotto organizzato dal capo a suo sfavore. Si dice in gergo che le convinzioni sono ‘autoimmuni’. consiste nell’entrare nel sistema di pensiero della persona, accogliendo la sua posizione, per poi utilizzarla per aprirvi uno spiraglio. Nel caso sopra citato risposi al ragazzo: “Quindi mi sta dicendo che il modo in cui vive questa richiesta da parte della banca è l’ennesima prova del fatto che sono interessati solo al profitto… del resto sappiamo che le banche sono strutture che devono rendere, quindi quello che lei pensa non mi stupisce affatto. Però, mi sembra anche di capire che la cosa che le dà più fastidio sia la mancanza di valorizzazione del suo lavoro da parte del suo capo, per cui, qualunque cosa lei faccia, lui la ignora. Non dev’essere molto motivante questo”. Si noti che in questa parafrasi non si prende una posizione, non gli si dà ragione, ma si mostra di aver capito il suo punto di vista. La persona si sente capita e questo crea l’alleanza necessaria per aiutarla a superare l’inutile ruolo di vittima. Infatti, ora gli si può chiedere: “In una situazione così demotivante, come pensa di reagire? Mettendo completamente i remi in barca oppure cercando di trovare soddisfazione in qualche modo?”. In questo modo lo costringo a prendere atto che, comunque sia, la scelta finale tocca a lui; che si deve prendere una responsabilità per le proprie azioni; non può più essere vittima. Ne avrà un vantaggio l’azienda. Ne avrà un vantaggio il dipendente che si libererà di un ruolo poco gratificante. Al di là di questo esempio specifico, possiamo generalizzare dicendo che di fronte ad una convinzione limitante, conviene accoglierla e usarla a favore del cambiamento. Una volta che il cambiamento è prodotto, spesso le convinzioni stesse cambiano da sole. Cosa si fa? Cercare di smontare una convinzione radicata è di solito la via più lunga. Quella più strategica Andrea Magnani Il Coaching 19 BE TRAINING E-BOOKS 001 Come si fa il Coaching Resistenza del sistema Come già accennato nella parte riguardante la definizione dell’obiettivo, anche il sistema aziendale o un sottosistema dell’azienda stessa possono opporsi al cambiamento del singolo. Questo può avvenire anche se il cambiamento è dichiaratamente auspicato; infatti, tale forma di resistenza è quasi sempre inconsapevole. E’ sempre importante riflettere nel momento in cui si considera un cambiamento, su come il medesimo potrebbe essere registrato dagli altri, come potrebbe essere visto dai superiori, dai colleghi, dai dipendenti. Se nel paragrafo precedente abbiamo valutato una serie di motivi per cui una persona o un gruppo di persone può rimanere bloccato nello Stato Attuale, dobbiamo considerare che gli stessi elementi possono bloccare il sistema stesso. Così, si può allo stesso modo affermare che: il sistema tende ad avere un’inerzia; il sistema può avere dei vantaggi a mantenere lo status quo; il sistema può mettere in atto delle tentate soluzioni (comportamenti) che con le migliori intenzioni conducono a conseguenze negative; il sistema può essere esso stesso inglobato in una visione limitante che lo blocca in una posizione svantaggiosa. Ogni obiettivo è da comprendere all’interno del sistema nel quale è inserito e non è possibile pensare ad una strategia che non tenga in considerazione questi elementi. Andrea Magnani Il Coaching 20 BE TRAINING E-BOOKS 001 La Tecnica L’arte di interrogare non è facile come si pensa. E’ più arte da maestri che da discepoli; bisogna avere già imparato molte cose per saper domandare ciò che non si sa J.J. Rousseau “La nouvelle Heloise” Questa sezione del libro non ha la pretesa di sviluppare nel dettaglio la miriade di tecniche disponibili quanto di mostrare alcune di queste e far capire come, dietro ad una domanda che può apparire casuale ad un orecchio non preparato, in realtà si celi una tecnica raffinata, la quale a sua volta segue una ferrea logica. Un bravo coach deve studiare, ricercare, sperimentare, aggiornarsi e possedere molte tecniche diverse. Questa sua ricchezza dà evidenti vantaggi: offre la possibilità di costruire interventi su misura nelle diverse circostanze. Maggiore è la disponibilità di risorse e maggiori sono le possibilità di dare risposte efficaci nel minor tempo. La dote più importante su cui deve investire un coach è infatti la flessibilità di intervento. Dall’altra parte c’è un vantaggio forse meno diretto ma altrettanto importante. Si dice che chi ha nella propria cassetta degli attrezzi solo un martello, tende a vedere nel mondo solo chiodi. La disponibilità tecnica influenza anche il modo di vedere la realtà che si ha il compito di cambiare. Più è ricco il patrimonio tecnico, più sarà ricca di distinzioni la comprensione del proprio cliente e più sarà precisa quella che abbiamo chiamato ‘la logica’ dell’intervento. Le Miniere Definizione del setting Il primo elemento tecnico che prendiamo in considerazione è costituito da tutti quegli aspetti che fanno da sfondo e da contorno all’intervento stesso. Preparare il colloquio vuol dire scegliere il momento e il luogo più adatti per svolgere l’incontro. Un luogo tranquillo e senza interferenze contribuisce a dare anche un segnale d’attenzione e d’importanza al coachee, così come la quantità di tempo dedicata, solitamente fissata a mezz’ora o a un’ora. Usare bene la lingua Uno strumento privilegiato dal coach è ovviamente il linguaggio. Rispetto a una visione ingenua secondo cui il linguaggio sarebbe solo un veicolo di informazioni, il coach deve prenderlo piuttosto nella sua reale ricchezza pragmatica. Il linguaggio è uno strumento per permettere di scoprire, di vedere le cose secondo una nuova prospettiva, è uno strumento per suggestionare, motivare, convincere. Le formule linguistiche che si scelgono di usare non sono casuali e sono studiate accuratamente in base all’effetto che si desidera creare. Le parole che si usano, il loro ordine, in generale gli aspetti retorici possono creare effetti al di là del contenuto che si vuole veicolare. Facciamo alcuni esempi. Le parole che si usano hanno un valore evocativo. E’ noto ad esempio che dire a qualcuno “c’è il 60% delle possibilità di riuscire” non è la stessa cosa che dire “c’è il 40% di possibilità di fallire”. Questo effetto è dovuto al fatto che la parola ‘riuscire’ crea tutta una serie di associazioni mentali ed emozionali diverse rispetto a ‘fallire’. Se la parola di per sé può essere evocativa, il massimo del coivolgimento e della profondità d’azione è certamente portata dalle metafore. Non è un caso che la saggezza di ogni cultura Nella seguente schematizzazione chiameremo ‘miniere’ i canali attraverso cui le tecniche emergono e ‘gemme’ le tecniche stesse. Queste saranno classificate in base alla loro funzione. Andrea Magnani Il Coaching 21 BE TRAINING E-BOOKS 001 La Tecnica ha attraversato i secoli sotto forma di aneddoti, racconti, immagini. Una volta, una cliente mi descrisse così la sua posizione lavorativa, che da tempo la opprimeva: “Mi sento come in una morsa”. Le chiesi : “In che modo stai cercando di resistere a questa morsa?”. Rispose che si irrigidiva. Poi rifletté un attimo e disse che così facendo diventava più vulnerabile alla morsa e rischiava di essere spezzata… come un pezzo di legno secco. “Dovrei rendermi fluida”, esclamò come in preda ad un’illuminazione. Così cambiò completamente il proprio comportamento nei confronti delle pressioni dei colleghi. Le metafore si collegano direttamente ad un livello di comprensione più profondo, che mette in gioco le nostre risorse di creatività. Ecco perché spesso le metafore sono il veicolo migliore per l’individuazione delle soluzioni. Un’altra formula linguistica molto utilizzata è la domanda o, meglio, la domanda giusta rispetto all’obiettivo. Chiedere: “Cosa possiamo fare per risolvere questa situazione?” induce il pensiero a focalizzarsi sulle soluzioni, senza però ordinarlo direttamente. Questa perciò è una domanda costruttiva. Per contro pensiamo a che effetto creiamo con la classica domanda così frequentemente utilizzata negli ambienti lavorativi: “Di chi è la colpa?”. Come dice un amico idraulico, non è importante chi ha intasato il lavandino ma come si fa a liberarlo. alla vicinanza fisica che stabilisce col coachee, alla postura del proprio corpo in relazione a lui; sa dosare lo sguardo, l’espressione del viso, il gesticolare ecc. Nella prossima schematizzazione, fatta in base alla finalità della tecnica, troveremo alcuni esempi dell’utilizzo del corpo come il cosiddetto ‘rispecchiamento’. Homework Il coach utilizza spesso anche gli homework (giusto per non dire ‘compiti a casa’) in quanto questi consentono sia di rafforzare i risultati ottenuti durante l’incontro, sia di promuovere nuovi passaggi fondamentali, quali l’avanzamento nel percorso e l’acquisizione di informazioni e di abilità preziose. Inizialmente gli homework si danno allo scopo di interrompere eventuali circoli viziosi, dando così avvio ad un percorso di cambiamento. Usa bene il resto del corpo Il ruolo fondamentale del corpo è difficilmente trasmissibile attraverso un libro benché, paradossalmente, un libro sul coaching dovrebbe dedicarsi prevalentemente a questo aspetto. Infatti noti e consolidati studi affermano che l’efficacia della comunicazione risiede per il 93% nella comunicazione non verbale. Ciò che dici influisce solo per il 7%. G.B.Shaw disse: “Col modo giusto puoi dire qualsiasi cosa”. Un abile coach presta attenzione Andrea Magnani Il Coaching 22 BE TRAINING E-BOOKS 001 La Tecnica Per chiarire Le Gemme Esiste uno specifico insieme di domande che possono essere utili per definire con chiarezza i contenuti che il cliente esprime in modo vago: sono conosciute con il nome di ‘Meta-Modello’. A volte se si danno per scontate certe affermazioni del cliente si rischia di scoprire in un secondo tempo di aver rivolto le nostre energie nella direzione sbagliata. Una volta mi capitò di chiedere ad una persona di preparare una sala per le riunioni con un atmosfera calda. Quando entrai trovai i termosifoni a 25 gradi anziché l’accoglienza che mi aspettavo da me definita con la parola ‘calore’. Domande come: “Cosa in particolare ti disturba?”, “Quanto vuoi migliorare esattamente?”, “Cosa deve accadere esattamente, cosa devi poter vedere e sentire per poter dire che la tua segretaria si sta comportando bene?”, sono domande che aiutano a specificare i contenuti della comunicazione. Strumenti per stabilire una buona relazione Cominciamo dal non-detto. Ognuno di noi tende a stabilire un rapporto di empatia con chi ci assomiglia. La somiglianza è percepibile al di là di ciò che viene detto nel modo in cui si usa il proprio corpo. Il mirroring, o rispecchiamento, consiste nell’assomigliare nelle posture e nei ritmi del proprio corpo al modo di “essere” dell’interlocutore. Questa somiglianza crea un’immediata sensazione di familiarità e di empatia. Ognuno di noi tende anche a sentirsi bene con chi lo ascolta. L’ascolto empatico non cerca di esplorare la razionalità del discorso dell’altro, ma vuole comprendere le sue motivazioni e le intenzioni sottese. Con l’ascolto empatico si è in grado di entrare nei panni dell’altro, si entra nella sua visione della realtà per comprendere in maniera intuitiva, diretta ed immediata la totalità della persona. Naturalmente non sto sottolineando soltanto l’ importanza dell’ascoltare; è altrettanto importante che il tuo interocutore capisca che lo stai ascoltando con partecipazione. Questo si può ottenere solo se glielo mostri col tuo atteggiamento corporeo e con quello che gli dici in risposta. Per chi ascolta, se vuole capire con più precisione e se vuole entrare in sintonia con l’interlocutore e favorire la sua disponibilità al dialogo, può essere utile l’uso della parafrasi. La parafrasi è una forma di supporto verbale caratterizzata da una riformulazione sintetica del contenuto del messaggio di chi sta parlando. Una parafrasi di solito è costituita da un inizio frase con locuzioni tipo: “se ho capito bene…” Andrea Magnani Il Coaching Per identificare l’obiettivo Si può chiedere: “Se ti svegliassi domattina, e il tuo obiettivo fosse completamente raggiunto, come te ne accorgeresti? Quali sarebbero le piccole e grandi differenze rispetto ad oggi?”. Attenzione! La domanda non è: “Cosa dovresti fare per conseguire l’obiettivo?” ma “Cosa faresti se lo avessi già raggiunto?”. Infatti la prima domanda è concentrata sulla strategia e dà per scontato che non lo si è raggiunto. Del resto, il coachee si è probabilmente già posto questo interrogativo, senza arrivare ad una conclusione. Per identificare la strategia vincente. Una domanda utile per stimolare una prospettiva nuova consiste nella cosiddetta “tecnica dello scalatore” e cioè nell’identificare i passi al contrario, dalla fine verso l’inizio. Secondo la stessa logica si può chiedere: “Se tu ora ti trovassi nel futuro, nel momento in cui il tuo problema è già 23 BE TRAINING E-BOOKS 001 La Tecnica stato risolto …se ti guardi indietro, cosa vedi di aver fatto?”. Si può notare che il linguaggio è utilizzato in una forma suggestiva e grammaticalmente scorretta in quanto la situazione ipotetica introdotta dal “se” è presto dimenticata mettendo al tempo indicativo presente il guardi e il vedi. Questo crea una distorsione nella quale la fantasia diventa la realtà e la creatività diventa una risorsa già messa in atto. Senza dover scavare troppo nella fantasia, a volte le gemme migliori stanno proprio nel patrimonio storico della persona stessa. La si può guidare a prenderne atto semplicemente con domande orientate sulle sue risorse: “Ti è mai capitato di avere prestazioni più positive o eccezionali rispetto a questo stato attuale? In quei casi, cos’è che ha prodotto il cambiamento? Cosa avevi fatto?”. Per modificare la percezione della realtà Come abbiamo detto più volte, spesso la soluzione risiede nell’aiutare il cliente ad assumere una nuova prospettiva. Il modo più utilizzato e più immediato è quello della ristrutturazione. Questa tecnica consiste nell’attribuire un nuovo significato o una nuova connessione ad un certo evento. “Non sei riuscito ad ottenere quel risultato non perché non sei un bravo skipper ma perché il mare era in tempesta”. Particolarmente utile è quella che si chiama ‘ridefinizione in positivo’ che consiste nel portare a vedere come positivo qualcosa che è percepito come negativo. Se questa manovra viene fatta in modo credibile diventa uno strumento molto potente per cambiare forti reazioni emotive e comportamentali. Si pensi al cambiamento che tutti noi viviamo nel momento in cui ci rendiamo conto che un’azione che ritenevamo fatta con malizia invece era motivata da buone intenzioni. Un metodo più drammatizzante viene dal mondo del teatro e consiste nel portare il coachee ad interpretare di volta in volta i vari ruoli della situazione da lui evocata, spostandosi da una sedia all’altra. Con questa tecnica, il monodramma, il cliente potrà così dialogare con un interlocutore con cui si percepisce in conflitto, oppure dialogare con una parte di sé poco esplorata per la quale si sente combattuto. Per rinforzare il risultato Nel piano di navigazione il coach ha anche il compito di rinforzare tutti quei comportamenti che il coachee ha utilizzato in modo vincente. Questo velocizza enormemente l’apprendimento. Per poterlo fare prima deve sottolinearli: “Come hai fatto ad ottenere questo risultato?”. Questo impedisce che la persona si focalizzi su ciò che è andato storto, anzi fa emergere il positivo, la crema. Inoltre impedisce alla persona di pensare di essere stato aiutato o di aver ottenuto i risultati per caso in quanto la domanda presuppone che la responsabilità ed il merito siano suoi. A quel punto, la tecnica per rinforzare il comportamento o l’atteggiamento virtuoso è molto semplice. E’ quello che ci ha permesso di imparare così facilmente a camminare e a parlare quando eravamo infanti ma che è stato dimenticato poco dopo dal sistema scolastico: ciò che ci stimola a fare meglio è ricevere complimenti entusiastici per ciò che di buono abbiamo fatto. Andrea Magnani Il Coaching Tecniche di consapevolezza In alcuni casi è importante aiutare il cliente a prendere coscienza di qualcosa che sbaglia e che non sta considerando o a cui non attribuisce il peso dovuto. Con la parafrasi delucidante si riassume ciò che il cliente ha detto sottolineando alcuni aspetti che egli vedeva in modo non focalizzato. Siccome però essa appare appunto come una semplice parafrasi, si dà l’impressione che il punto di vista appartenga, già da prima, al cliente stesso. 24 BE TRAINING E-BOOKS 001 La Tecnica La verbalizzazione invece è una forma di supporto verbale che riformula gli stati d’animo contenuti nella comunicazione non verbale del cliente, al fine di aiutarlo a mettersi in contatto con gli aspetti emozionali del suo discorso. Tra le formule linguistiche che si possono usare per indurre consapevolezza c’è anche l’illusione di alternative con forzatura: essa induce una risposta lasciando l’impressione che sia il cliente ad averla scelta. Ad esempio ad un cliente che non si spiega come mai è soffocato dalle richieste dei colleghi e che si perde in ripetute lamentele sulla loro maleducazione, si può chiedere: “Secondo te la soluzione consisterà nell’aspettare che le persone diventino meno maleducate o nel cominciare a porre limiti alle loro richieste?”. Esiste poi la tecnica dello specchio che consiste nel fare uscire momentaneamente il protagonista dalla scena mentre un altro (magari il coach stesso) gioca il suo ruolo, mostrandogli come in uno specchio, in che modo gli altri lo vedono. E’ chiaro che tecniche come questa vanno maneggiate con estrema delicatezza. primo gruppo si allenava solo fisicamente. L’altro gruppo, com’è nella tradizione orientale, si allenava anche con l’immaginazione. I due gruppi si fronteggiarono e il secondo mostrò performance notevolmente maggiori. Altro modo per stimolare l’apprendimento è quello di assegnare compiti in cui l’abilità da apprendere è assimilata a piccole dosi e in maniera progressiva. Molti compiti a casa possono essere strutturati per aiutare le persone ad acquisire nuove abilità. Quando si tratta di abilità complesse o per le quali la persona ha delle difficoltà, si può tratteggiare una sequenza progressiva di compiti. Come esempio cito un intervento di G. Nardone su una persona che non riusciva a dire di no se non a spese di forti sensi di colpa. Questo l’aveva portata ad essere sommersa dal lavoro. Siccome era da tempo invischiata in questo problema il senso di colpa era diventato sempre più forte. Le chiese perciò di cominciare dicendo: “Vorrei ma non posso”. Dopo due settimane di training in cui riuscì bene, passò alla fase successiva: “Vorrei ma ho altro da fare”. Per poi arrivare progressivamente alla libertà di dire: “Potrei ma non ne ho voglia”, quando questo corrispondeva alle proprie sensazioni. Quello che la persona scoprì è che ciò che temeva non si verificò: le persone, come se avessero percepito il suo maggior amor proprio, anziché essere arrabbiate con lei per la sua minore disponibilità, l’apprezzarono di più e cominciarono ad essere più gentili. Per stimolare l’apprendimento di nuove abilità La Programmazione Neuro Linguistica offre un insieme di tecniche basate sul linguaggio suggestivo, sul condizionamento (ancoraggio) e sulla visualizzazione che permettono al coach di stimolare nel coachee: 1) reazioni emotive 2) comportamenti specifici che altrimenti non avvengono in un dato contesto. Le tecniche di visualizzazione hanno un notevole utilizzo in ambito sportivo: in uno stato di rilassamento lo sportivo si vede affrontare la performance provando e riprovando fino a che non è soddisfatto di sé. Prima si vede dall’esterno, poi immagina di essere in gara. Un recente studio ha messo a confronto maestri di arti marziali. Il Andrea Magnani Il Coaching 25 BE TRAINING E-BOOKS 001 Un dialogo per trovare soluzioni Il colloquio di seguito riportato, fra il coach (A) ed il signor B, è stato preceduto da una breve presentazione reciproca nella quale si è stabilita una relazione amichevole e si è deciso di darsi del ‘tu’. B: Non è facile definirli, sicuramente è importante che il cliente, quando entra in banca, percepisca un clima familiare. Questo significa che vuole essere trattato come una persona conosciuta, quindi, chiamato per nome, vuole attenzione, essere seguito nelle sue richieste. Vuole soddisfazione, quindi, avere la percezione che i suoi bisogni vengono soddisfatti bene. Oggi i clienti prestano attenzione all’aspetto economico, cioè ai costi dei servizi che la banca offre. Pur essendo una banca del territorio siamo comunque anche noi sul mercato e la competitività che dobbiamo mantenere con le altre banche è un fattore che non possiamo sottovalutare. I costi dei servizi che offriamo non possono essere più bassi di quelli applicati dai concorrenti… non è facile. A: Individua un obiettivo che ti interessa raggiungere nel contesto lavorativo in cui operi, qualcosa che vuoi migliorare o un problema che vuoi risolvere. B: Due obiettivi: conseguire il budget; raggiungere per le mie filiali una qualità elevata che sia percepita dal cliente. A: Quale ti interessa di più? Generalmente è utile concentrarsi su un obiettivo alla volta. Questo permette di rendere molto più efficienti gli incontri; infatti così si evita che il cliente salti da un obiettivo all’altro. A: Quindi se ho capito bene, questo buon clima, può costituire un elemento discriminante ed importante per la competitività e quindi può favorire l’altro obiettivo, sul quale per ora non ci concentriamo. B: Ok, obiettivo qualitativo per fare la differenza e, comunque, perché mi permette di arrivare a obiettivi numerici. La banca in cui io lavoro è piccola e quindi la qualità permette di differenziarci da banche più grandi. Come direttore di filiale devo far emergere questa qualità e mantenere la differenza, altrimenti… In questa parafrasi non faccio altro che ripetere il concetto per cui raggiungendo il primo obiettivo, quello scelto dal cliente, si arriva anche al secondo. In questo e nei prossimi interventi lo scopo è di riportare tutte le risorse del cliente sull’obiettivo scelto e non permettere che si incarti nella percezione della difficoltà. Infatti, dopo aver risposto parzialmente alla mia domanda, il cliente mischia diversi piani portandosi in uno stato negativistico. Spesso succede che, lavorando su un solo obiettivo, anche l’altro riceva comunque dei benefici indiretti; in effetti è il cliente stesso che li vede come uno dipendente dall’altro B: Sì, è giusto, di conseguenza la differenza dobbiamo giocarla sul modo con cui curiamo e trattiamo i nostri clienti. A: Definiscimi questo obiettivo in termini misurabili. Cosa puoi vedere, ascoltare, sentire per capire che c’è qualità nella tua filiale? Quali devono essere secondo te gli standard qualitativi per la filiale? Andrea Magnani Il Coaching 26 BE TRAINING E-BOOKS 001 Un dialogo per trovare soluzioni A: Come si può creare una relazione di familiarità? In questa domanda a illusione di alternative presento la prima alternativa come così estrema e irrealizzabile (realmente costruita su ogni singolo individuo) che porto l’interlocutore a scegliere la seconda; al tempo stesso rendo attraente la seconda bilanciando il realistico ‘cliente medio’ con il termine chiave ‘personalizzata’ lasciato come ultimo. B: Primo, fare sentire il cliente a casa sua e, secondo, far percepire al cliente che lui in quel momento è una persona importante e comunque diversa dal cliente che è passato prima di lui e da quello che entrerà in banca dopo di lui. E’ chiaro che una relazione di familiarità non si crea spontaneamente, va costruita un po’ alla volta e con molta attenzione. Il vero problema è che ogni persona è diversa dagli altri. Quello che va bene per uno disturba un altro. Bisogna, quindi, fare molta attenzione… non credo che sia possibile rispondere veramente in modo efficace alla diversità delle persone. B: Il cliente quando entra in banca deve sentirsi bene. Sicuramente un servizio rivolto a ciò che il cliente medio gradisce è l’unica soluzione fattibile. A: E sarebbe buona per te? B: Sì, vediamo come… A: Bene, mi hai detto che i tuoi clienti dovrebbero sentirsi chiamati per nome. Quali altre cose dovrebbero essere fatte perché lui senta un clima familiare? Analizzando la risposta di B. notiamo due cose: 1) la sua risposta è astratta: non fa riferimento ad azioni concrete ma tende a girare attorno a concetti come ‘familiare’, ‘sentirsi a casa’, ‘sentirsi importante’. Perciò teniamo a mente che una prossima azione sarà quella di portarlo su un piano pratico. Ora però c’è l’altro aspetto al quale dobbiamo dare una risposta: 2) B spiega che il problema sta nel fatto che ogni cliente è diverso: questo porta un livello troppo elevato di complessità tanto che B sembra quasi rinunciare. Perciò la prossima domanda avrà lo scopo di indirizzare l’attenzione su una semplificazione della realtà. A: Secondo te, per creare questo clima di familiarità, dobbiamo creare un servizio realmente costruito sulle caratteristiche di ogni singolo individuo o possiamo fare… come fa la pubblicità, che cuce il proprio abito su un cliente medio, rappresentativo, in modo che quasi ogni cliente possa sentire quella pubblicità come se fosse rivolta a lui, personalizzata? Con questa domanda riprendo l’ultima sua soluzione proposta e comincio a spingere nella direzione delle soluzioni. Inoltre, sottolineo col tono della voce la parola ‘fatte’ per portarlo verso la concretezza di cui sopra. B: Vedi, io conosco l’uomo e so non solo il suo nome ma anche i componenti della famiglia, la sua occupazione, anche la squadra di calcio, se preferisce il caffè oppure se gli fa schifo… A: Bene, altre cose? B: Beh sì, mettendomi a pensare… La domanda che io ti faccio è: aumentando il numero dei clienti, non riesco più a seguirli… A: Scusa, se ho capito bene, quello che mi hai Andrea Magnani Il Coaching 27 BE TRAINING E-BOOKS 001 Un dialogo per trovare soluzioni descritto è quello che fai tu come direttore. La tua domanda è basata sul fatto che aumentando i clienti non hai più da solo la possibilità di dedicare a loro tutte quelle attenzioni. naturale. Non posso chiedere a persone alle quali forse non gliene importa nulla, di fare quello che faccio io. Bisogna fare attenzione a non fingere. Il cliente intuisce quando il rapporto è costruito esclusivamente per incrementare gli interessi della banca Il cliente si sta bloccando dietro un presupposto: ossia che la personalizzazione debba essere fatta solo da lui. Se non portassi a galla questo presupposto, esso non permetterebbe di prendere in considerazione la soluzione appropriata che è ovviamente quella di coinvolgere i dipendenti della banca. Perciò la parafrasi ha lo scopo di evidenziargli questo presupposto e vedere come lui lo elabora A: Così non puoi fare tutto tu… Ed ecco infatti che B ci offre un argomento molto più convincente di quello del caffè. Questo è tipico di chi è abituato a non delegare: c’è sempre un motivo per cui non si delega! Attenzione: il suo tono è orientato alla chiusura, a dire ancora una volta che la vede difficoltosa. La prossima domanda, ricalcando la ragionevole obiezione, è costruita per orientare il cliente a dar per scontato che… un modo ci deve essere. Infatti non dice: “dovremo capire se è possibile…” ma “…come riuscire”. B: Sì ma come fai ad affidare questi compiti al personale, agli sportellisti… senza nulla togliere a loro. Sbagliare un nome o offrire il caffè ad un cliente a cui non piace può essere imbarazzante e controproducente… Come si fa? A: E’ verissimo quello che dici: è fondamentale che i dipendenti trovino un modo personale e sincero di esprimersi. Quindi dovremmo capire come riuscire a fare in modo che questi ‘servizi’ vengano eseguiti bene dai dipendenti. La reazione di B è interessante in quanto la questione del caffè è illogica: offrire il caffè sbagliato non è peggio di quello che accade quando, come ora, manca del tutto la cura del cliente. Solitamente quando le persone mostrano errori logici come questo è perché, dietro le quinte, c’è un’esperienza concreta emotivamente coinvolgente e negativa che la blocca. Perciò nella seguente domanda faccio finta di fraintendere la sua esclamazione finale allo scopo di portare a galla le resistenze B: sono d’accordo. Dobbiamo trovare un sistema per consentire a queste persone di farlo nel migliore dei modi. Ma allora tu cosa faresti? B: Esatto, da solo non ce la posso fare… Sento dal tono con cui mi risponde che il mio modo propositivo con cui l’ho riorientato verso un atteggiamento costruttivo è stato forse troppo brusco. A volte spingere troppo per la soluzione, anche se è quella desiderata dal cliente, produce un effetto contrario. Perciò rilasso il tono schierandomi dalla sua parte. Non utilizzo però la parola difficile, dico che non è ‘semplice’. A: Mi hai chiesto: come si fa a coinvolgere i dipendenti? A: Non credo che la soluzione sia semplice perché si tratta, come abbiamo detto, di trovare un B: Io lo faccio perché è il mio ruolo, mi viene Andrea Magnani Il Coaching 28 BE TRAINING E-BOOKS 001 Un dialogo per trovare soluzioni modo per trasferire questa capacità di ‘accoglienza’ a persone che fino ad oggi non sono state preparate per farlo. Se per te va bene possiamo cominciare a cercare una soluzione. ci occuperemo di quali strumenti dare loro perché lo facciano bene. Una volta creata l’alleanza, utilizzo una formula linguistica per suggerire che un modo per trasferire le sue competenze deve esistere e che deve tenere in considerazione il fatto di preparare queste persone a ricevere la delega. Ottimo segno! La citazione di Einstein ha toccato il suo orgoglio. B: D’accordo. Ma io sono un po’ folle… (ridendo) A: Dopo aver scremato definisci quali ruoli all’interno della banca possono svolgere le azioni che hai identificato. Questo è il secondo compito. B: Insomma, dimenticavo che il coach non dà soluzioni (ironizzando in maniera benevola). Allora mettiamoci al lavoro. B: Sì, d’accordo, ti seguo. Ma poi farle mettere in pratica…! A: Più che altro il lavoro lo dovrai fare tu (ricambio l’ironia benevolmente). Allora, B, se sei d’accordo ti prendi un momento di tranquillità e fai un elenco di cose che secondo te potrebbero servire per garantire un buon servizio alla clientela. Scrivi tutte le azioni che, secondo te, i dipendenti dovrebbero fare per creare il clima familiare. Usa la creatività. Fatto questo rivedi cosa hai scritto e togli solo le idee che sono assurde. A: Sono d’accordo con te, questo passaggio non verrà da solo. Dovremo creare un sistema facilitante. B: Hai in mente qualcosa? Qui violo la legge secondo la quale si devono far trovare le risposte al cliente. Ma mi accorsi che il tempo della seduta stava finendo. Volendo accelerare il processo decido di offrire una metafora piuttosto diretta. La soluzione concreta dovrà comunque trovarla lui. B: mmm Temo che possa ricadere nel pensiero limitante di prima. Perciò preciso: giustifico il suo limite di pensiero. Al tempo stesso il ‘però’ annulla l’effetto di ciò che lo precede e apre la strada alla creatività. A: Durante un viaggio in America, precisamente in California, mi è capitato di arrivare una sera con la mia famiglia in un albergo. Mentre i camerieri provvedevano alla nostra sistemazione nella stanza abbiamo scambiato qualche parola. In particolare, mi hanno chiesto che giornali solitamente mi capitava di leggere. Il giorno dopo ho trovato sul tavolo della colazione il giornale che io avevo indicato. Come puoi vedere la chiacchierata fatta la sera prima, che nella sua modalità poteva sembrare solo un modo per creare un clima di ospitalità, era anche finalizzata a individuare le mie preferenze di lettura dei giornali e, quindi, a rafforzare A: A volte forse la tua mente tornerà a dirti che queste cose non le possono fare i tuoi dipendenti. Del resto è sempre stato così no? Però Einstein disse che il progresso dipende dalla capacità di liberarci dei nostri limiti: “Tutti pensano che qualcosa sia impossibile finché un giorno, arriva un folle che non lo sa, e la inventa”. Perciò teniamo ben distinte le due cose. Come secondo compito Andrea Magnani Il Coaching 29 BE TRAINING E-BOOKS 001 Un dialogo per trovare soluzioni questo clima attraverso la conoscenza del cliente. L’anno dopo, tornai nello stesso albergo e a colazione ritrovai lo stesso giornale. E’ chiaro che in quell’albergo esisteva una modalità e degli strumenti, probabilmente un data base, di registrazione delle preferenze dei clienti che permetteva di offrire un servizio personalizzato in grado di far sentire il cliente come una persona importante. una squadra attorno ad un sogno. Inoltre chiudo la metafora dell’hotel iniziata poco prima, lasciando tutte le considerazioni che sono avvenute nel mezzo, compreso la prescrizione del compito, come questioni alle quali non si può obiettare. Questa è una tecnica presa a prestito dalle induzioni di trance ipnotica La sessione si chiude con la ricapitolazione dei tre compiti e decidendo le coordinate dell’appuntamento successivo. B: Mmm mmm! A: Ok, è chiaro che va pensata bene l’applicazione nella tua banca. Del resto mi hai detto che vale la pena investire in progettazione per realizzare questo. Perciò il terzo compito è: quali strumenti, informazioni ecc. devono essere dati agli impiegati per svolgere nel modo migliore il proprio servizio di cura del cliente? B: D’accordo. Quanto tempo mi dai? A: Il prossimo incontro è tra due settimane. Puoi anche pensare a delle esperienze di accoglienza che tu hai ricevuto e che ti hanno colpito, magari da aziende che non siano banche. Quando parlai con il ragazzo della reception, gli chiesi: Ma come fate a essere così tutti attenti, anche la cameriera… Ero sbigottito. Mi rispose gentilmente che avevano istruzioni molto chiare e anche un bambino le avrebbe potute eseguire. E poi disse: “Tutti noi facciamo parte di un sogno: rendere felice il cliente. Siamo felici di fare questo” Lo lasciai con questa ultima metafora per suggerire che c’è un modo per evitare che i dipendenti fingano. Volevo evitare che tornasse a focalizzarsi sull’obiezione della naturalezza. In questo modo preparo anche un argomento che verrà trattato nel secondo incontro: il coinvolgimento di Andrea Magnani Il Coaching 30 BE TRAINING E-BOOKS 001 Per approfondire Aristotele Etica Nicomachea S.Andreas et al., NLP the new technology of achievement Nicholas Brealey, 1996 L.Borgogni, L.Petitta Lo sviluppo delle persone nelle organizzazioni, Carocci, 2003 S.R.Charvet Words that change mind Kendal, 1995 E.Cogno Come risolvere i problemi Franco Angeli, 2003 R.Dilts Modeling with NLP Meta Publications, 1998 G.Fatali, G.Nardini, F.SpregaIl Coaching Organizzativo Franco Angeli, 2002 T.Gallwey The inner game of tennis Random House, 1997 Mc Kee /Boyatzis /D.Goleman Essere leader Rizzoli, 2003 E.H.Schein Lezioni di Consulenza Raffaello Cortina, 1987 L. Martinoff Platone è meglio del prozac Piemme, 2001 Len Sperry Executive Coaching Brunner-Routledge, 2004 M.McMaster Precision GDA, 1993 P.Watzlawick et al. Change Astrolabio, 1974 F.Nanetti Counseling interpersonale integrato AIPAC, 2006 P.Watzlawick et al. Pragmatica della comunicazione umana Astrolabio,1967 G.Nardone, P. Watzlawick L’arte del cambiamento Ponte alle grazie, 1990 G.Nardone Cavalcare la propria tigre Ponte alle grazie, 2003 Nietzsche Opere Adelfi M. Nussbaum Terapia del desideri Vita e pensiero, 2003 Daniel Goleman Intelligenza emotiva Rizzoli, 1995 Pascal Pensieri D.Goleman Lavorare con intelligenza emotiva BUR, 1995 M.Piattelli Palmarini L’arte di Persuadere Mondadori, 1995 M.Hall Mind-Lines E.T. Publications, 1997 Seneca De brevitate vitae D. Hume Trattato sulla natura umana K.Johnstone, J.Withers Strategie di successo nei servizi e nella consulenza Franco Angeli, 2002 Andrea Magnani Il Coaching J. Whitmore Coaching Sperling e Kupfer, 2003 Stever Robbins Appunti del coach manageriale e aziendale NLP Italy, 2006 S.de Shazer Investigating solutions in brief therapy W.W. Noron & Company, 1988 31 BE TRAINING E-BOOKS 001 BE TRAINING E-BOOOKS 001 Il Coaching interventi su misura per risvegliare ed elevare l’eccellenza in azienda 2007 Design BlueLemon - Antonio Moro 001 - BE TRAINING E-BOOKS estratto da “Strumenti su misura per risvegliare ed elevare l’eccellenza in banca” di A. Magnani, R.Nonni e C.Trabuio BE TRAINING Via Visdomina, 24e 48015 Cervia (Ra) Tel: 800 134 322 Fax: 0544 954953 [email protected] www.bestexpressiontraining.com