Possibili sentieri di sviluppo per
superare la crisi
Fabrizio Onida
10° Giornata dell’Economia
Camera di Commercio di Perugia
4 maggio 2012
Scenari previsivi? No, grazie.
“L’economia è la scienza che studia perché le sue
previsioni non si sono avverate”
(The Economist)
“If you want to be more successful, increase your
failure rate” (Thomas Watson, founder of IBM)
“Nessun vento è favorevole a chi non sa dove
andare” (Seneca)
13/10/11
18 Oct.2011
La crisi ha provocato una perdita (permanente?) nel
livello del PIL potenziale (lavoro e produttività)
18 Oct.2011
4
13/10/11
18 Oct.2011
..but it isn’t the only problem; also inactivity
(especially in Italy)
Inactivity rates
Inactive population as a percentage of the total population (15-64 years old)
18 Oct.2011
6
“NEET”: No Employment, Education, or Training
(percentage of young people aged 15-24)
25
20
EU27
Denmark
Germany
Spain
France
Italy
United Kingdom
%
15
10
5
0
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
Fonte: EUROSTAT
7
Il cambio euro (al netto dell’inflazione relativa) non
facilita la ripresa ma non è l’unica fonte dei nostri
problemi di competitività
13/10/11
18 Oct.2011
Come uscire dalla crisi: overview
1. Più terziario nel manifatturiero
2. Scommettere su ricerca, innovazione
3. Diversificazione dei prodotti e dei mercati
4. Crescita dimensionale, interna e per aggregazione
5. Investire in formazione e motivazione del proprio
“capitale umano”
6. Più capitale proprio, meno debito bancario
7. Impresa familiare che sa diventare familiaremanageriale
1. Più terziario nel manifatturiero
Per un paese a salari medio-alti come l’Italia, conta la capacità
delle imprese di far crescere qualità intrinseca e percepita (da
cui marchi e “reputazione”) , progettazione e design,
contenuto tecnologico dei prodotti, controllo della rete
distributiva, assistenza post-vendita ai clienti, vicinanza al
mercato (vedi punto 3).
Conta cioè in modo cruciale il contenuto di servizi nei
prodotti. Ciò si applica a tutti i settori: da quelli dei
tradizionali beni finali di consumo (“made in Italy”) all’ampia
gamma dei macchinari e attrezzature e dei beni intermedi
(parti, componenti, motori ecc.) che danno il maggiore
contributo (spesso trascurato dai media) alla bilancia
commerciale italiana.
Ibridazione manifatturiero-terziario
Piccoli che crescono in reti distributive all’estero
• Sul campione di 518 società di capitali (Indagine
CNA-TeDIS, cit.), di cui il 73.3% con fatturato fino a 10
milioni di euro), più della metà delle imprese (38% le
microimprese fino a 2 milioni di fatturato) hanno
strutturato una propria rete commerciale all’estero,
traendone benefici: a) minore concentrazione del
fatturato aziendale sul primo e sui primi tre clienti; b)
maggior presenza di marchi proprietari; c) più
frequente ricorso a innovazione di prodotto; d)
maggiori impegni di ricerca e sviluppo.
2. Ricerca e innovazione: le imprese italiane private
scommettono poco sulla R&S…
… anche se non sfigurano nella classe 50-249 addetti…
…e anche se sono più impegnate in attività innovative
meno formali…
In cui di nuovo si difendono bene le PMI da 50-249
addetti
Ricerca “in house” e in collaborazione con centri esterni
reputati
• Nuovi materiali nei settori tradizionali (tessile,
calzaturiero, arredo, casalinghi, materiali da
costruzione…).
• Risparmio energetico e ambientale nella “green
economy”
(Rapporto economico provinciale 2012, par. 9)
Progetti di eccellenza come Pietrafitta (Sole24Ore,
Rapporto Umbria, 21 marzo 2012)
3. Diversificazione prodotti e mercati
• Nel commercio mondiale cresce sempre più specializzazione
per prodotti e varietà di prodotti entro gli stessi settori
merceologici.
• Inventare nuovi mercati e segmenti di mercato, ma
avvalendosi di conoscenza e analisi di mercato anzi che
andando all’arrembaggio con la valigetta…
• Frammentazione delle filiere, outsourcing internazionale.
• Piccoli e medi fornitori specializzati potenziano il proprio
business spesso seguendo da vicino il loro cliente principale
che già produce o si insedia nei vari mercati (es. automotive,
termomeccanica, materiali da costruzione, impiantistica…)
Frammentazione delle filiere
I “beni intermedi” cioè “non finali” per l’utilizzatore (materiali,
parti, componenti) pesano più della metà del commercio
mondiale, e per l’Italia rappresentano un’area vasta e molto
importante di vantaggi competitivi: es. pelli conciate, fibre
filati e tessuti, gomma e plastica, ausiliari chimici per
l’industria e l’agricoltura, principi attivi farmaceutici, prodotti
siderurgici, materiali per l’edilizia, motori, valvolame, parti e
componenti meccaniche, componenti autoveicoli, parti di
aeromobili…).
Ruolo importante della subfornitura specializzata ad alto
valore aggiunto, su cui l’Italia sfrutta molte opportunità di
specializzazione sostenibile
18
Internazionalizzazione profonda con Investimenti
Diretti all’Estero (IDE)
La competitività del prodotto finale può avvantaggiarsi dal risparmio di costi
(outsourcing e IDE “verticali”)e generare così maggiori volumi di esportazione.
Inoltre la delocalizzazione di fasi produttive a basso valore aggiunto induce
l’impresa a coltivare funzioni a più alto impiego di capitale umano qualificato.
Gli IDE “orizzontali” che penetrano e si radicano sui mercati sono poi assai più
complementi che sostituti delle esportazioni (ampia letteratura econometrica),
come testimonia il numero crescente delle nostre “multinazionali tascabili” del
nostro “quarto capitalismo”.
Piccoli e medi fornitori specializzati potenziano il proprio business spesso
seguendo da vicino il loro cliente principale che già produce o si insedia nei vari
mercati (es. automotive, termomeccanica, materiali da costruzione,
impiantistica…)
4. Crescita dimensionale: anomalia italiana nella struttura
dell’industria manifatturiera per classi dimensionali: molte
piccole, poche medio-grandi
Paese
Belgio
Danimarca
Germania
Grecia
Spagna
Francia
Irlanda
Italia
Lussemburgo
Olanda
Austria
Portogallo
Finalandia
Svezia
Regno Unito
1-9
16,6
11,9
9,5
16,0
22,7
14,2
3,7
23,9
6,5
11,6
10,6
17,5
10,2
10,9
13,4
10-49
18,6
20,2
14,9
29,5
28,4
18,7
-30,9
12,4
17,4
18,2
28,7
14,5
15,0
14,3
EU-15
14,6
19,9
Classi di addetti
50-249
<250
17,6
52,8
25,9
58,0
15,8
40,2
28,3
73,8
21,2
72,3
19,8
52,7
-3,7
19,0
73,8
21,5
40,4
21,4
50,4
-28,8
29,1
75,3
20,3
45,0
21,0
46,9
20,4
48,1
19,4
53,9
250 +
47,3
41,9
59,8
26,2
27,7
47,2
-26,3
59,6
49,6
-24,7
55,0
53,1
51,9
Totale
100%
100%
100%
100%
100%
100%
100%
100%
100%
100%
100%
100%
100%
100%
100%
46,1
100%
Fonte: “Enterprises in Europe” (1987-1997), Eurostat (2001)
“Small and Medium Enterprises Outlook”, OECD (2002)
20
Altissima diffusione delle imprese…
… e dei lavoratori indipendenti
Piccolo non basta
• “Basta con gli alibi, torniamo a rischiare”
• “Le Pmi fanno la propria parte, arrivano dappertutto nel mondo, ma non
possono compensare la mancanza di un certo numero di grandi gruppi e
soprattutto la mancanza di una organizzazione appositamente pensata per
le esigenze di crescita e di internazionalizzazione delle Pmi (…) non c’è una
sola multinazionale che ammetta di non investire nel nostro Paese perché
c’è l’art. 18 (…) oggi la maggioranza delle nostre grandi aziende non è
all’avanguardia nel proprio settore, ma si limita a fare sempre le stesse
cose, o a copiarle, e quindi sul mercato globale accumula difficoltà”
• (Giorgio Tabellini, imprenditore nell’automazione industriale, presidente di
CNA Industria: intervista su Repubblica Affari e Finanza, 23 aprile 2012)
Piccolo può avere successo, ma deve puntare alto
• “Le microimprese sono quelle che, pur avendo patito in maniera più
accentuata gli effetti della crisi del biennio 2008-2009, successivamente
hanno saputo approfittare al meglio della ripresa del commercio mondiale
e, alla fine del 2010, hanno recuperato per prime i livelli di export precrisi”.
(Centro Studi CNA e TeDIS, Le PMI e la sfida dell’internazionalizzazione,
marzo 2012)
Intesa SanPaolo, Monitor dei distretti, aprile 2012: ottimo risultato export
nel 2011 (+10,3%, pari a quello della media manifatturiera tedesca), ma
rallentamento nell’ultimo trimestre 2011 e previsto ulteriore
rallentamento nel 2012 produrranno ulteriori discrepanze tra distretti
assai eterogenei quanto a maggiore e minore successo.
Gli svantaggi della piccola dimensione
Alcuni limiti importanti delle imprese di minore dimensione:
 minor livello e tasso di crescita produttività del lavoro (Pagano-Schivardi
2001)
 minori investimenti fissi per addetto
 minor retribuzione per addetto e conseguente minor attrazione FL qualificata
 minori investimenti ICT, minor propensione ad adottare tecnologie gestionali
basate su codifiche e standard informativi (Trento-Warglien e FabianiSchivardi-Trento 2003 da dati INVIND Banca d’Italia)
 minori investimenti in R&S
 minori innovazioni di prodotto e organizzative-gestionali e minor capacità di
intraprendere forme di internazionalizzazione più attiva della pura
esportazione ( Osservatorio Capitalia sulle PMI 2005)
 minori investimenti in capitale umano (Traù 1999, Bugamelli-Pagano 2003)
 maggiori barriere all’entrata come esportatori in mercati lontani/difficili (sunk
cost of export) (Bugamelli-Infante 2003)
 maggiore instabilità come esportatori e minor numero di mercati (ICE-ISTAT)
25
70000
60000
50000
40000
30000
20000
10000
0
Valore aggiunto per
addetto
1-9
Retribuzione lorda per
dipendente
10-19
20-99
100-249
Investimenti per
addetto
250+
26
5. Capitale umano
• Investire in formazione del “capitale umano” (la “dotazione
fattoriale” più preziosa alla base dei nostri vantaggi
competitivi).
• Addestramento professionale, istruzione, incentivi monetari e
di carriera all’investimento individuale nel proprio capitale
umano (motivazione)
• Tanto più quando si attuano strategie di outsourcing
internazionale di componenti-materiali che generano
risparmio di costi sul prodotto finale.
6. Più capitale, meno debito bancario
Una buona politica (macro-micro) per le micro, piccole e medie imprese
dovrebbe incentivarle ad essere (Conti-Varetto e Guiso, in CSC 2004, vari
studi Banca d’Italia 2010):
• meno sottocapitalizzate, in termini di capitale proprio (non della
famiglia);
• meno dipendenti da debito bancario a breve, non adatto per accompagnare
l’orizzonte di redditività e rischio degli investimenti per la crescita;
• meno riluttanti ad aprire quote di proprietà ad investitori esterni (fondi e
capitali di altre imprese);
• meno diffidenti verso mercati finanziari e vincoli di trasparenza del
bilancio.
• orientate meno alla conservazione delle competenze accumulate nella storia
familiare e più alla conquista di nuove competenze nei settori a maggiore
dinamismo tecnologico
28
7. Imprese familiari più manageriali
Imprese familiari più manageriali
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