EUROPEAN COMMISSION
Employment, Social Affairs and Equal Opportunities DG
Employment, Lisbon Strategy, International Affairs
European Employment Strategy, CSR, Local Development
STUDY CONTRACT: VC/2006/0618
Un modello di flexicurity per i giovani
Renata Livraghi – Università degli Studi di Parma
Isfol, Verso i principi comuni della flexicurity
Mestre, Hotel Laguna Palace, 30 maggio 2008
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Premessa: domande poste dai dirigenti dell’Unione Europea
all’Isfol, nel corso del progetto di ricerca denominato Youth
Project
http://www.isfol.it/Istituto/Attivita/Ricerche/Youth/index.scm
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La flexicurity favorisce l’integrazione dei giovani nei mercati del
lavoro e la loro partecipazione attiva alla società?
Vi è un modello di flexicurity per i giovani?
Vi sono percorsi di flexicurity diversi per i giovani, in base al
contesto e alle politiche sinora sperimentate nei diversi paesi
dell’Unione Europea?
La flexicurity è in grado di eliminare la povertà tra i giovani e
contenere la diseguaglianza?
La flexicurity facilita le progressioni professionali per tutti I
giovani?
Quali sono le condizioni per cui la flexicurity possa produrre
effetti positivi sulla qualità della vita dei giovani?
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La flexicurity è un concetto sconosciuto per la maggior
parte dei giovani italiani
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L’84% dei giovani italiani intervistati dall’Istituto Piepoli
nel febbraio 2008, su un campione di 1.000 intervistati
con un’età compresa tra i 18 anni e i 34 anni, non
conosce il significato della parola flexicurity
La minoranza dei giovani ha acquisito consapevolezza
solo “attraverso lo studio universitario”. Emergono
tuttavia forti resistenze rispetto a questo modello di
politica economica: il 67% dei giovani pensa che con la
flexicurity non si possa superare l’attuale condizione di
precariato; il 45% pensa che il modello di flexicurity non
possa funzionare in Italia
Il 56% dei giovani intervistati si dichiara invece fiducioso
sul proprio futuro lavorativo
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Fatti stilizzati. Tutti i paesi europei hanno una problematica giovanile. Essa
assume caratteristiche diverse in relazione al contesto e alle misure adottate
dalle istituzioni pubbliche e private

I giovani non sono pienamente integrati e valorizzati nei diversi paesi
europei. Le situazioni sono tuttavia diverse e variegate. I tassi di attività
sono diminuiti nella media dei 27 paesi nel periodo di tempo che va dal
2000 al 2005 (abbiamo tassi elevati in Danimarca e nei Paesi Bassi; molto
bassi in Lituania, Ungheria, Bulgaria, Italia, Lussemburgo)
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La ricerca ha stimato l’integrazione dei giovani nei diversi sistemi economici,
utilizzando indicatori quantitativi e qualitativi. L’analisi è stata condotta sui
27 paesi con approfondimenti qualitativi in 7 casi

L’integrazione dei giovani è stata misurata cercando di osservare e di
analizzare la loro partecipazione ai mercati del lavoro (tassi di attività, tassi
di occupazione, tassi di disoccupazione), la qualità della vita (achieved
functionings) e le loro effettive possibilità meglio denominate capabilities

Differenze rilevanti si sono rilevate tra i diversi paesi e tra i giovani di uno
stesso paese. Diseguaglianze notevoli sono emerse tra i giovani di sesso
diverso, con un titolo di studio differente e con una classe di età diversa.
Una problematica giovanile maggiore è riscontrabile tra le donne, per coloro
che hanno un capitale umano minore e una età inferiore ai 25 anni

Alcuni paesi sono risultati essere più efficienti e più equi di altri nel processo
di integrazione e di valorizzazione dei giovani. Essi sono: Svezia, Danimarca,
Finlandia, Paesi Bassi, Regno Unito, Irlanda, Austria, Belgio, Portogallo,
Slovenia, Lussemburgo. I paesi meno efficienti e meno equi sono, invece, i
seguenti: Italia, Polonia, Ungheria, Grecia, Slovacchia, Repubblica Ceca
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Tasso di disoccupazione giovanile e di lunga durata, in Italia, nel
2007 (valori percentuali)
Sesso
Nord-ovest
Nord-est
Centro
Mezzogiorno
Italia
totale
Maschi
3,0
2,1
3,9
8,9
4,9
Femmine
4,9
4,5
7,2
14,9
7,9
Totale
3,8
3,1
5,3
11,0
6,1
15-24 anni
Maschi
12,9
7,2
15,3
28,9
18,2
Femmine
15,2
13,0
21,4
38,3
23,3
Totale
13,9
9,6
17,9
32,3
20,3
di lunga durata
Maschi
1,0
0,6
1,6
4,6
2,2
Femmine
1,9
1,5
3,4
8,4
3,8
Totale
1,4
1,0
2,4
5,9
2,8
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Ipotesi di lavoro della ricerca
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La ricerca ha adottato il metodo del capability approach e quello del life
cycle per valutare le politiche economiche e sociali, adottate dai singoli
paesi, a favore dei giovani. Sono metodi normativi di valutazione sociale
utili per verificare se, nei diversi contesti, si investe sui giovani in maniera
efficiente ed equa
La flexicurity, nello schema teorico adottato, è un fattore che favorisce la
conversione delle capabilities dei giovani (possibilità, opportunità) in
modalità concrete di essere e di fare (achieved functionings). Non accresce
quindi le opportunità reali dei giovani anche se di fatto favorisce il processo
di integrazione nei sistemi economici per coloro che già hanno le
potenzialità per attuarlo
La flexicurity è quindi una condizione necessaria ma non sufficiente per
attuare l’integrazione e la valorizzazione dei giovani nelle diverse società
In assenza di flexicurity le possibilità dei giovani dipendono dalle strategie
attuate dalle imprese (diverse domande di flessibilità del lavoro), dal
funzionamento dei mercati del lavoro, dai talenti e dal capitale umano dei
giovani, dalla struttura sociale di appartenenza dei giovani, dai sistemi di
welfare state, dal capitale sociale del contesto. Si aggraverebbero le
problematiche ricollegabili alla delocalizzazione e alla segmentazione del
mercato del lavoro. Crescerebbero i differenziali salariali tra i lavoratori con
una professionalità elevata e quelli non qualificati
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La flexicurity è una strategia di politica economica multidimensionale
basata sulla simultaneità degli interventi che accrescono la flessibilità e
quelli che migliorano la sicurezza per non creare dei trade off tra
flessibilità e sicurezza
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La flexicurity intende coniugare le esigenze di flessibilità dei datori di lavoro
con quelle di sicurezza dei lavoratori, passando dalla sicurezza del posto di
lavoro (job protection) alla sicurezza in termini i occupabilità (employability)
e di capacità di svolgere un dato lavoro (work ability). Si propone di
garantire la sicurezza del reddito anche nei periodi di mobilità, di mantenere
e accrescere le competenze professionali nel corso del tempo
I modelli di flexicurity hanno in comune componenti fodamentali (i
cosiddetti pilastri) e coinvolgono molti attori e diverse aree di azione
L’identità del modello di flexicurity dipende quindi dal contesto (dalle
capabilities e dai diversi fattori che determinato i processi di conversione
delle capabilties negli achieved functionings). In Europa abbiamo modelli
diversi di flexicurity e percorsi diversi di realizzazione. L’efficacia dei diversi
modelli dipende soprattutto dalla pratica delle misure di life-long learning
per tutti i lavoratori, dalla diffusione del capitale sociale e dalla capacità di
delineare e perseguire le finalità dei diversi contratti sociali
L’attuazione dei principi comuni richiede la definizione di sequenze politiche
e di misure da negoziare adeguatamente con tutte le parti in causa
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Obiettivi dei modelli di flexicurity
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I modelli di flexicurity tenderebbero a portare a situazioni diverse
da quelle che stiamo sperimentando, dove la flessibilità è
generalmente utilizzata solo per minimizzare i costi di produzione
all’interno di uno schema competitivo in cui le imprese
“vincerebbero” quello che I lavoratori “perderebbero” nei termini di
aumento della precarietà e della diminuzione del salario
La flexicurity si propone di non essere un gioco a somma zero, ma
un modello di politica economica che si affida al mercato alla
ricerca di vantaggi per tutti i soggetti coinvolti e di un maggiore
benessere per la collettività. Ciò implica la capacità di condividere
un “contratto sociale” che comporta necessariamente il rispetto di
diritti e di doveri da parte di tutti
La flexicurity non è quindi una panacea né una strategia di
successo sicuro. Essa promette risultati ma richiede adeguati
investimenti per ampliare le capabilities e diminuire le
diseguaglianze strutturali
Le politiche di flexicurity non esauriscono lo spazio di tutela dei
diritti dei lavoratori in materia di condizioni di lavoro e di non
discriminazione
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I modelli di flexicurity dei giovani in Europa
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La cluster analysis ha fatto rilevare quattro modelli di flexicurity dei giovani in
Europa; emergono le differenze di contesto, della qualità della vita (acheved
functionings) e le diverse possibilità (capabilities)
I pilastri dei modelli di flexicurity sono identificabili nelle aree seguenti:
contrattazione “flessibile” che favorisca la mobilità e la crescita professionale dei
lavoratori; strategie integrate di lifelong learning; politiche attive del lavoro efficaci;
sistemi evoluti di sicurezza sociale
La cluster analysis ha classificato i 27 paesi europei in quattro gruppi rilevando
caratteristiche e sfide comuni per i percorsi di flexicurity e di integrazione dei giovani
nei sistemi economici e sociali
I quattro gruppi di paesi si distinguono per: la partecipazione attiva elevata dei
giovani al mercato del lavoro; per il capitale umano elevato dei giovani (formazione
formale) ed efficaci politiche del lavoro; per la bassa partecipazione attiva dei
giovani, per la carenza di strategie di lifelong learing e per l’inefficacia delle poltiche
attive del lavoro; per squilibri elevati nei mercati del lavoro (tassi di occupazione
giovanile elevati insieme a tassi di disoccupazione giovanile di lunga durata elevati) e
livelli bassi nella qualità della vita
La classificazione dei paesi nei quattro gruppi della cluster analysis è la seguente:
primo gruppo: Austria, Danimarca, Paesi Bassi, Svezia, Finlandia, Regno Unito,
Irlanda; secondo gruppo: Francia, Belgio, Germania, Lussemburgo, Slovenia;
terzo gruppo: Grecia, Italia, Portogallo, Spagna e Polonia; quarto gruppo:
Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Slovacchia, Cipro, Romania,
Bulgaria
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Riflessioni critiche sui quattro modelli di flexicurity dei giovani in
Europa
Primo gruppo
Le opportunità reali dei giovani (capabilities) che appartengono a
questi paesi sono generalmente buone: ci sono percentuali basse
di giovani che appartengono a famiglie con un reddito basso (con
l’eccezione dell’Irlanda e in parte anche del Regno Unito); la
qualità della formazione è in media con quella europea (OecdPisa); l’indice di sviluppo umano in questi paesi ha i valori più
elevati d’Europa; vi sono percentuali elevate di giovani, con un’età
compresa tra i 20 e i 29 anni, in possesso di scuola media
superiore
Le sfide che incontrano questi paesi sono quelle di individuare i
giovani con livelli di povertà umana elevati e quindi di progettare
poltiche attive efficaci e mirate (giovani immigrati, giovani a basso
livello di capitale umano, giovani drop out) per rafforzare le loro
capabilities (possibilità) e di insegnare loro a fare delle scelte
razionali e ad agire in maniera consapevole
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Riflessioni critiche sui quattro modelli di flexicurity dei giovani in Europa
Secondo gruppo
Le opportunità reali dei giovani (capabilities) che appartengono a questi paesi
sono generalmente buone: ci sono percentuali basse di giovani che
appartengono a famiglie con un reddito basso; la qualità della formazione è in
media al di sopra di quella europea (Oecd-Pisa, con l’eccezione del
Lussemburgo mentre non vi sono dati per la Slovenia); l’indice di sviluppo
umano in questi paesi ha i valori più elevati d’Europa; vi sono percentuali
elevate di giovani, con un’età compresa tra i 20 e i 29 anni, in possesso di
scuola media superiore

Le sfide che incontrano questi paesi sono quelle di favorire l’innvozazione e il
perseguimento della knowledge economy poiché si rilevano rilevanti mismatch
nei mercati del lavoro. Misure innovative potrebbero essere sperimentate nei
processi di formazione, di apprendimento (non formale e informale) e nella fase
di transizione scuola lavoro. I modelli di welfare state forniscono prestazioni
minori relativamente a quelle ricevute dai giovani dei contesti classificati nel
primo gruppo di paesi.
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Riflessioni critiche sui quattro modelli di flexicurity dei giovani in Europa
Terzo gruppo
Le opportunità reali dei giovani (capabilities) che appartengono a questi paesi sono
molto basse: ci sono percentuali alte di giovani che appartengono a famiglie con un
reddito basso relativamente al resto dell’Europa; la qualità della formazione è sotto
la media europea (Oecd-Pisa con l’eccezione della Polonia che si avvicina alla
media); l’indice di sviluppo umano in questi paesi ha i valori che si avvicinano a
quelli medi dei paesi industrilizzati con l’eccezione della Polonia che si scosta; vi sono
percentuali elevate di giovani, con un’età compresa tra i 20 e i 29 anni, in possesso
di scuola media superiore (con l’eccezione della Polonia che supera il 90%, la
Spagna che è sotto il 66% e il Portogallo sotto il 50%).
Le sfide che incontrano questi paesi sono quelle di integrare I giovani nei mercati del
lavoro superando l’alternativa del posto fisso e quella della disoccupazione. L’offerta
di lavoro femminile deve essere incentivata con politiche che permettano meglio di
conciliare il lavoro con la famiglia. I NeeT rates (le persone inattive che non
partecipano alla formazione o che non hanno esperienze professionalizzanti) sono
molto alti e si dovrebbero incentivare le giovani donne a partecipare attivamente nei
mercati del lavoro. Le poltiche attive del lavoro dovrebbero essere promosse (work
fare e servizi per l’impiego). La sfida principale di questi paesi è quindi quella di
accrescere le possibilità dei giovani di entrambi i sessi. I livelli di formazione e quelli
di apprendimento sono davvero alquanto bassi relativamente a quelli degli altri due
gruppi precedenti (il Portogallo si colloca a livelli ancora inferiori relativamente agli
altri paesi).
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Riflessioni critiche sui quattro modelli di flexicurity dei giovani in Europa

Quarto gruppo – Nuovi stati membri
Le opportunità reali dei giovani (capabilities) che appartengono a questi paesi sono molto basse: le
percentuali di giovani che appartengono a famiglie con un reddito basso sono le più alte
dell’Europa; la qualità della formazione è sotto la media europea (Oecd-Pisa per quei paesi che
partecipano all’indagine); l’indice di sviluppo umano in questi paesi ha valori più bassi di quelli
riscontrati in precedenza; vi sono percentuali elevate di giovani, con un’età compresa tra i 20 e i
29 anni, in possesso di scuola media superiore (con l’eccezione di Malta).
Questi paesi hanno alcune caratteristiche simili: i contratti di lavoro a tempo indeterminato e a part
time sono ancora non molto diffusi anche per la tipologia dei lavoratori studenti. I mercati del
lavoro di questi paesi sono presentati come “flessibili”. Si potrebbe dire che le imprese hanno solo
alcune domande di flessibilità trascurandone invece altre; hanno politiche del lavoro e sistemi di
welfare state inefficaci.
Le sfide che incontrano questi paesi sono quelle di: dare una protezione adeguata ai lavoratori della
knowledge economy, di rivedere la tassazione dei redditi da lavoro; di incentivare strategie di
lifelong learning inserendole negli accordi contrattuali; di progettare politiche attive del lavoro per
i giovani disoccupati di lungo periodo e per I lavoratori disabili; di accrescere l’indennità di
disoccupazione e di creare nuove opportunità di lavoro per i giovani; di favorire gli accordi e I
contratti sociali tra le diverse parti sociali
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Alcune questioni aperte
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Si richiede di costruire un indice di sviluppo umano dei giovani
complesso, per riuscire cogliere le priorità di un contesto al fine di
favorire il ruolo di convertibilità dei modelli di flexicurity
La ricerca suggerisce di fissare l’attenzione sulla qualità della formazione
formale per tutti (equità) e sui processi di apprendimento, come condizione
necessaria per sviluppare strategie efficaci di lifelong learning future
Occorre formare professionisti in grado di gestire contesti, in continuo
cambiamento, con consapevolezza e responsabilità individuale e sociale
(applied ethical resources). I modelli di flexicurity hanno l’obiettivo di far
superare i fallimenti di mercato che continuano a determinare e a
moltiplicare frequenti trade-off che richiedono competenze, sinora non
richieste, come la consapevolezza e il discernimento nelle scelte
motivazionali, negli obiettivi di medio e lungo termine e la valutazione
economica e sociale delle azioni intraprese
La gestione dei potenziali conflitti nella scelta dei processi produttivi,
organizzativi nei diversi contesti economici e sociali e nelle diverse modalità
di attuazione deve essere gestita da una governance, la cui soluzione deve
essere riconosciuta universalmente, sulla base dei valori prevalenti e
condivisi nel contesto
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