Realizzato dalla classe IV G
Indirizzo Beni Culturali
Liceo Scientifico “ A. Roiti”
Ferrara
Nell’ambito delle scienze ambientali, il rilevamento strumentale di parametri chimico-fisici è essenziale per
conoscere lo “stato di salute” di un dato ecosistema naturale o urbano, ed ha il duplice scopo di consentire la raccolta
di dati necessari per stabilire interventi mirati di risanamento e di mantenere sotto controllo quei parametri indicatori
dai quali dipende il buon equilibrio del sistema in questione. Ogni attività umana ha, sull’ambiente, effetti di una certa
importanza (impatto ambientale) di cui è sempre più necessario tener conto per evitare danni irreparabili alla salute
dell’uomo e dello stesso ambiente. L’attenta valutazione degli effetti immediati e di lungo termine di qualsiasi attività
intrapresa dall’uomo richiede metodi di monitoraggio e reti di rilevamento che debbono essere idealmente estesi al
singolo individuo.
Questo progetto, svolto in collaborazione con il Dipartimento di Chimica dell’Università di Ferrara, si propone di
dimostrare come sia possibile dotarsi di un versatile strumento di misura di parametri ambientali (e non solo),
sfruttando tecnologie avanzate a basso costo messe a disposizione dalla cosiddetta elettronica di consumo. Computer,
telefoni cellulari, foto e videocamere digitali sono alcuni esempi di oggetti di uso quotidiano ad alto contenuto
scientifico-tecnologico che il mercato offre a prezzi relativamente contenuti in forza della loro grande diffusione. Lo
sviluppo di questi dispositivi richiede competenze tecnico-scientifiche di altissimo livello ed anche, da parte delle
aziende produttrici, investimenti e risorse finanziarie spesso ingenti, costringendo a coniugare in modo equilibrato
innovazione e competitività di mercato. Il bacino di utenza di questi prodotti è enorme e la continua immissione sul
mercato di nuovi modelli pone il difficile problema dello smaltimento di questa “spazzatura tecnologica” dovuta alla
rapida obsolescenza che, spesso, si raggiunge nell’arco di pochi mesi dall’uscita sul mercato. “I rifiuti da
apparecchiature elettriche ed elettroniche crescono ogni anno in Italia di circa 5 milioni e 500 mila pezzi, pari a
200 mila tonnellate di materiale, cui ognuno di noi contribuisce in media con 20 kg l'anno. Negli ultimi dieci anni
sono state prodotte oltre un milione di tonnellate di spazzatura tecnologica, di cui il 90% è finito in discarica (fonte:
http://www.volontariperlosviluppo.it/2005/2005_5/05_5_18.htm). Il recupero e riutilizzo anche parziale di questi
dispositivi e materiali rappresenta un esempio significativo di riciclaggio intelligente per compiere il quale è però
necessario acquisire conoscenze tecnico-scientifiche adeguate, obiettivo, quest’ ultimo, che può essere raggiunto
attraverso opportuni percorsi didattici multidisciplinari rivolti ai giovani nel corso della loro formazione.
Il progetto da noi proposto consiste nella costruzione di uno strumento per l’analisi spettroscopica in emissione ed assorbimento
il cui rivelatore è una videocamera (webcam) con sensore CMOS (Complementary Metal Oxide Semiconductor) da 640X480
pixel (SilverCrest WG2130). L’apparato monocromatore del dispositivo ha la configurazione ottica del classico spettroscopio di
Kirchhoff-Bunsen (Figura 1) in cui l’elemento disperdente è un prisma equilatero in vetro ottico flint (Schott SF2). La
radiazione da analizzare entra nel monocromatore attraverso la fenditura di ingresso e viene raccolta dalla lente convergente
(L1) posta ad una distanza dal piano su cui giace la fenditura pari alla sua lunghezza focale (f). Il fascio che emerge dalla lente
risulta così collimato, consistendo di raggi paralleli all’asse ottico, e incide sulla faccia del prisma dentro il quale avviene la
dispersione cromatica dovuta alla variazione dell’indice di rifrazione del vetro ottico al variare della lunghezza d’onda della
radiazione. All’uscita del prisma si ottiene un fascio disperso nei vari colori componenti in cui la radiazione rossa risulta meno
deviata di quella blu rispetto alla direzione di incidenza del fascio sul prisma.
Il fascio emergente dal prisma viene
raccolto dalla lente convergente (L2)
che lo focalizza sul piano focale (l)
Monocromatore a prisma (Kirchhoff-Bunsen 1860)
sul quale si formano immagini della
fenditura d’ingresso corrispondenti
alle varie lunghezze d’onda. Il piano
focale (l) risulta inclinato, rispetto al
piano perpendicolare all’asse ottico
fenditura
della lente (L2), a causa del fatto che
le radiazioni di diversa lunghezza
d’onda seguono, all’interno del
prisma
prisma, cammini di lunghezza
diversa: maggiori per la parte blu e
piano focale
minori per la parte rossa, per cui
l’immagine rossa si forma a maggiore
Figura 1
distanza dalla lente di quella blu. Nel
piano focale viene posto il rivelatore
CMOS della videocamera.
Le varie fasi del progetto possono essere schematizzate nel modo
seguente:
1) Reperimento dei materiali e costruzione del monocromatore:
fenditura, lenti, prisma, supporti, guide.
2) Adattamento del rivelatore (webcam) al monocromatore.
3) Sviluppo del software per l’acquisizione ed elaborazione di
immagini attraverso PC.
4) Utilizzo di standard per il controllo delle prestazioni
spettroscopiche.
Le lenti piano convesse per la costruzione del monocromatore
sono state ricavate dal gruppo ottico di un vecchio scanner hp, ma
si possono utilizzare anche gli obiettivi di un piccolo binocolo (10
X 25) reperibile in commercio a costi modesti. Il prisma ottico è
stato acquistato attraverso internet su un sito che vende materiale
di surplus a basso prezzo (www.surplusshed.com).
Nell’immagine a fianco è mostrato il sensore CMOS della
webcam (al centro) con alcuni dei componenti elettronici del
complesso circuito a doppia faccia su cui è montato. La scheda è
stata accuratamente rimossa dall’involucro protettivo per
consentire il montaggio sulle guide di scorrimento
Vista ravvicinata (a destra) della fenditura di ingresso del
monocromatore e del meccanismo di regolazione dell’apertura. La
lama di destra (ricavata da un taglierino) è fissa, mentre quella di
sinistra è incollata al supporto scorrevole che, insieme all’astina di
acciaio visibile in figura, è stato ricavato da un lettore CD per PC.
Lo scorrimento orizzontale della lama libera si ottiene agendo sulla
vite micrometrica di acciaio che avanzando spinge lateralmente il
blocchetto d’ottone, solidale con il supporto scorrevole, grazie
all’inclinazione data alla superficie del blocchetto su cui insiste la
parte terminale della vite.
L’immagine sotto, mostra il particolare del
sistema di montaggio della webcam e del
meccanismo di regolazione della posizione del
sensore sul piano focale del monocromatore. La
lunga vite micrometrica, visibile a sinistra, spinge
il carrello scorrevole, trattenuto dalla molla, sul
quale è stata fissata la webcam.
Nell’immagine sopra si possono vedere: la
webcam montata sul supporto scorrevole su
guide ricavato da un lettore CD per PC, le
barrette d’acciaio su cui verranno fissati i tubi
porta lenti ed il piattello girevole sul quale si
incollerà il prisma disperdente. Le barrette
d’acciaio sono state tagliate da una delle due
aste che fungono da guide del gruppo ottico di
uno scanner piano A4. Il tutto è stato montato
su una base rettangolare di PVC rigido dello
spessore di 12 mm, verniciato in nero opaco.
Sono visibili i tubi porta lenti in Delrin nero ciascuno dei quali
consiste di due segmenti: la parte corta è stata fissata alle
barrette di guida mediante colla epossidica a due componenti
ed è filettata al suo interno (diametro 18 mm, passo 1,5 mm), il
tubo più lungo monta la lente nella parte terminale e possiede
un codolo filettato, all’altro estremo, che si innesta nella
madrevite fissa. Questo particolare costruttivo permette di
eseguire facilmente la messa a fuoco durante le fasi di
aggiustamento. Sul piattello girevole è visibile il prisma
equilatero di 25 mm X 25 mm in vetro ottico SF2. Le
dimensioni d’ingombro finali sono di 23,8 cm X 17,6 cm X 5
cm.
Il software di acquisizione ed elaborazione delle immagini è stato
sviluppato presso il Dipartimento di Chimica dell’Università di
Ferrara utilizzando LabVIEW 8 con NI-Vision Development
Module della National Instruments. Il driver “NI-IMAQ for USB
cameras”, fornito gratuitamente dalla National Instruments,
permette di acquisire immagini in ambiente LabVIEW utilizzando
il driver di gestione fornito a corredo della webcam dal
costruttore. L’interfaccia grafica del programma sviluppato è
mostrata in figura 2. L’immagine acquisita in tempo reale è
visibile nel riquadro superiore sinistro ed è nel formato a colori
RGB a 24 bit (8 bit per ciascuno dei tre colori base Red, Green e
Blue). L’immagine a colori viene convertita via software nel
formato monocromatico a 8 bit a cui corrispondono 28 = 256
gradazioni di grigio e da ciascuna linea orizzontale di pixel viene
estratto il profilo d’intensità nella scala a 256 valori. Il significato
di questa operazione viene illustrato nello schema di figura 3
Figura 2
segnale da binning verticale
curva interpolante
tono di grigio (8 bit = 256 valori)
Nella parte superiore di figura 3 è schematizzata
la matrice di un ipotetico sensore da 17 X 10
pixel, ciascuno dei quali registra un elemento
dell’immagine come tono di grigio: alto, se in
quel punto l’intensità luminosa è elevata (casella
bianca); basso, se l’intensità è piccola (casella
grigia). Il grafico ottenuto diagrammando la
tonalità di grigio per ciascun pixel in funzione
del numero di identificazione dei pixel, è il
profilo di intensità. Poiché nell’esempio
riportato il sensore possiede 10 linee orizzontali
di pixel, risulta conveniente sommare i profili
d’intensità di ciascuna linea per migliorare il
rapporto tra il segnale ed il rumore di fondo.
Quest’ultima operazione viene detta binning
verticale. Il sensore della webcam utilizzata in
questo progetto consiste di 640 pixel in
orizzontale e 480 pixel in verticale, per cui il
binning viene effettuato sulle 480 linee
disponibili.
0
2
4
6
8
pixels
Figura 3
10
12
14
16
He
Figura 4
Ar
Figura 5
Ar
Figura 6
Il profilo di intensità dell’immagine acquisita
viene mostrato nel grafico situato a destra
dell’immagine.
Il programma sviluppato consente anche di
selezionare una porzione del sensore per
effettuare il binning verticale attraverso la
definizione della cosiddetta Region Of Interest
(ROI). Nell’esempio di figura 3 sono mostrate
le righe più intense osservabili nello spettro di
una lampada a scarica nell’idrogeno ed il
corrispondente
profilo
di
intensità.
All’occorrenza, la scala orizzontale in pixel
può essere convertita in valori di lunghezza
d’onda effettuando una calibrazione mediante
l’uso di lampade a scarica contenenti vari
elementi le cui righe spettrali sono note, come
nell’esempio di figura 4 che mostra lo spettro
della scarica nell’elio.
Per verificare i limiti di risposta spettrale del
dispositivo costruito si è utilizzato come
standard lo spettro dell’argon di cui la figura 5
mostra la parte nel rosso e vicino infrarosso.
L’immagine mostra chiaramente la presenza di
un gruppo di righe molto intense, alla destra
della riga rossa, che cadono oltre il limite
visibile all’occhio umano che è di circa 750
nm e permette di stabilire che il sensore può
rivelare radiazioni di lunghezza d’onda fino a
1050 nm circa. Per la parte blu (figura 6) è
possibile osservare righe fino a circa 400nm.
Questi limiti sono in accordo con la risposta
spettrale del silicio con cui viene fabbricato il
sensore della webcam.
Per mostrare le potenzialità di questo semplice strumento nelle analisi di interesse ambientale si è scelto come
esempio la determinazione spettrofotometrica del cromo esavalente con difenilcarbazide. Il metodo, descritto nel
volume: “Metodi Analitici per le Acque; APAT, IRSA-CNR, 2003”, sfrutta la sensibile reazione di ossidazione della
1,5 difenilcarbazide a 1,5 difenilcarbazone in soluzione acquosa acida. Il difenilcarbazone complessa il Cr(III) che
si forma e la soluzione risultante da incolore o debolmente gialla si colora intensamente in rosso-violetto. La misura
in assorbimento richiede una sorgente di radiazione a spettro continuo che nel nostro caso era un proiettore per
diapositive. Regolando la distanza del proiettore dallo spettrofotometro e l’apertura della fenditura, si è portato il
segnale massimo di intensità a circa metà della scala a 256 valori. Una celletta di vetro (o provetta) contenente tutti
i reagenti per l’analisi ad eccezione del Cr(VI), è stata posta davanti alla fenditura dello strumento e si è registrato il
profilo d’intensità della luce trasmessa (curva verde, figura 7). Questo profilo del cosiddetto “bianco” costituisce il
segnale di riferimento per la misura di assorbimento. Sono state preparate 5 soluzioni standard di Cr(VI) a partire
da una soluzione madre di K2Cr2O7 allo scopo di costruire una retta di taratura per l’analisi. Le concentrazioni delle
soluzioni standard sono indicate in figura 8. Le cellette contenenti le soluzioni standard sono state poste in
successione davanti alla fenditura dello strumento e si è misurato per ciascun campione il profilo d’intensità della
luce trasmessa (curva rossa, figura 7 per la soluzione da 1000mg/l di Cr(VI)).
Cr(VI)
NH
NH
NH
NH
NH
N
NH
N
O
O
1,5 difenilcarbazide (incolore)
1,5 difenilcarbazone (rosso-violetto)
L’assorbanza delle soluzioni è data, per definizione, dal
logaritmo in base 10 del rapporto tra il segnale di
intensità trasmesso dal bianco (Io) ed il segnale del
campione (Ic). Il software esegue automaticamente
questa operazione ed il grafico di assorbanza è visibile
nel riquadro inferiore destro di figura 7 (spettro di
assorbimento).
L’assorbanza risulta, entro certi limiti, direttamente
proporzionale alla concentrazione della specie
assorbente (Legge di Lambert-Beer).
A  log 10
Io
e C d
Ic
Figura 7
Spettri di assorbimento delle soluzioni standard
per l'analisi di Cr(IV) con difenilcarbazide
0.60
100 g/l
250 g/l
500 g/l
750 g/l
1000 g/l
0.55
0.50
0.45
assorbanza
con (e) costante caratteristica della specie in esame, detta
coefficiente di estinzione molare (moli-1 l cm-1), (C)
concentrazione espressa solitamente in moli/l e (d) spessore del
campione attraversato dalla luce di analisi (cm). La
determinazione della concentrazione attraverso la misura
dell’assorbanza si può fare conoscendo il valore della costante
(e) (metodo diretto) oppure, più convenientemente, attraverso il
metodo da noi scelto della curva di taratura. I valori di
assorbanza massima per ciascuna soluzione standard (figura8)
sono stati diagrammati in funzione della corrispondente
concentrazione e si usato il metodo dei minimi quadrati per
trovare la migliore retta di regressione (figura 9). Per effettuare
la determinazione su una soluzione di concentrazione incognita
è sufficiente misurare l’assorbanza del campione e calcolare la
concentrazione usando la retta di regressione trovata per gli
standard, come nell’esempio mostrato sotto:
0.40
0.35
0.30
0.25
0.20
0.15
0.10
0.05
0.00
0
100
200
300
pixel
Figura 8
400
500
600
A
g/l
Retta di calibrazione per l'analisi di Cr(IV) con difenilcarbazide
0,6
0,5
assorbanza
0,4
0,3
0,2
0,1
0,0
0
200
400
600
800
1000
concentrazione (g/l)
Figura 9
Cx = (592 ± 52) g/l
C
0,037
100
0,099
250
0,238
500
0,382
750
0,563
1000
Retta di regressione: As = a + b Cs
As = assorbanza standard
Cs = concentrazione standard
Parametri trovati:
a = -0,03968 ± 0,01688
b = 5,83621 10-4 ± 2,74837 10-5
coefficiente di correlazione lineare:
0,99669
Assorbanza campione incognito: Ax =
0,306. Concentrazione campione
incognito:
Cx 
Ax  a
b
In conclusione si è illustrata la possibilità di costruire uno strumento per l’analisi
spettroscopica a partire da materiali e dispositivi facilmente reperibili. Gli impieghi di
questo semplice strumento sono innumerevoli, ad esempio è possibile:
• identificare alcuni elementi chimici presenti in una matrice naturale complessa
sfruttando l’analisi della radiazione emessa quando il campione viene posto all’interno di
una fiamma
• monitorare la torbidità di un’acqua misurando la quantità di luce diffusa per effetto
tyndall.
• determinare quantitativamente un gran numero di elementi chimici sfruttando reazioni
colorimetriche come mostrato nell’esempio riportato.
Questo progetto dimostra anche come, attraverso la diffusione di una cultura del recupero di
materiali High-Tech unitamente allo sviluppo di adeguate conoscenze tecnico scientifiche,
si possa, in linea di principio, costituire una rete di controllo ambientale che fa riferimento
al singolo individuo.
Scarica

Natta2007 - Università degli Studi di Ferrara