I seduttori
Racconto “etnico”
Silvano Neri “Sally”
Pag.2
Se avessimo un
centro anziani
Ipotesi di dialogo
molinellese
Elvio Mantovani
pag. 13
Paolo Angius
Ustica
27 giugno 1980 (part.2°)
I testimoni suicidati
Per non dimenticare
Claudio
(il Rosso) Vitali Pag.5
Lo scatolotto
Breve racconto
“fantasy”
Claudio
(il Rosso) Vitali
Pag.15
Il circolo ARCI Molinella si
tinge di rosa
Comunicazione istituzionale
La vecchiaia
Suggerimenti per la
terza età
Paolo Angius
pag. 17
Elisabetta Muroni
pag. 18
Programma
ARCI/AVIS
Viaggi 2014
Olindo Griggio
pag. 20
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Dal numero 8 del mese di luglio, “4 amici al bar” ha iniziato la
collaborazione con uno scrittore locale che ha recentemente pubblicato
la sua opera prima: “La pianura è piana finché non inciampi”.
E’ una raccolta di racconti brevi che definirei “etnici” per la loro
particolare ambientazione. Chiunque di voi che presti attenzione alle
piccole manie ed ai modi di fare presenti nel nostro territorio, potrà
riconoscere nello scritto, personaggi e storie assolutamente reali.
Silvano Neri, Sally, per gli amici, romagnolo trasferito a Molinella, ci
racconta come siamo e come eravamo riscoprendo con arguzia ed
ironia particolarità precipue delle terre della bassa.
Buona lettura.
I seduttori
di Silvano Neri
Il seduttore iperattivo
Questo irriverente seduttore, cinico quanto basta per sedurre
senza essere sedotto, è molto apprezzato dalle donne, in
particolar modo da quelle che non vogliono grattacapi affettivi,
praticamente è un uomo che va subito al sodo; se la donna ha
meno di quarant'anni, se la donna ha superato i cinquanta, allora
va subito al floscio. (la battuta è unisex)
Generalmente è un uomo di fascino, ossessionato da quella che
lui ama definire, la vulva lupina, perchè quando ulula affonda gli
artigli nella schiena del maschio.
Capita raramente, ma capita, che il nostro seduttore si innamori.
Quando ciò succede, il nostro stallone, abituato a galoppare nelle
grandi praterie, si ritrova a trotterellare negli spazi angusti di un
rapporto convenzionale, così fra un saltello e l'altro l'aitante
stallone si trasforma in un criceto, rassegnandosi a correre
all'interno di una ruota. La situazione degenera quando dopo
qualche tempo, il nostro criceto si rivolge alla propria amata usando vezzeggiativi e diminutivi a
dir poco urticanti. Eccone alcuni: pompelmina, ciliegina, emorroidina (anche sinonimo di ciliegina
ma non cresce sugli alberi), cetriolina, scarolina, cipollotta, pistacchiotta, puzzolotta,
ciribiricoccola, vongolina, scricciolotta, vacchina (si usa solamente in determinati casi),
pesciolotta, sputacchina (è anche il nome di un insetto) e puffacchiotta.
Quando un seduttore "navigato" raggiunge questo stadio di demenza, è chiaro che diventa un
tantino ingombrante anche per l'amata, perciò dev'essere assolutamente aiutato, e chi meglio
degli amici possono riportarlo ad una sana e libidinosa esistenza:
- Oh, ragazzi avete sentito che fine ha fatto lo stallone? - Chiede il meccanico prima di diramare
la scioccante notizia.
- E' diventato duosessuale. - Risponde il contadino.
- No!
- Allora si è fatto un tatuaggio sul pirullo. - Risponde il
Secondo anziano.
- No!
- Allora si è scopato tua moglie. - Risponde il geometra
- No, beh sì... ma quella è roba vecchia: lo stallone si è
innamorato!
- Brisa dir dal cazee. - Tutti.
- Ve lo giuro sulla capsula nuova che mi ha messo il
dentista.
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- E allora cosa ci facciamo. - Chiede Naftalino a nome di tutti.
- Bisogna che lo guariamo. - Sentenzia il meccanico.
- Sì, ma non è mica come quando ci hai la collinite che ti gonfi
la pancia e mangi il carbone e dopo ti vengono gli spifferi e vai
a vergognarti dentro al cesso. - Interviene dubbioso il
camionista.
- Portiamolo dalla mia amica cartomante. - Suggerisce il
Polpettone.
- Ma che cartomante, le ai vol dla gnoca (lui ha necessità di
copulare). - Afferma l'anziano saggio.
- Adesso telefono alla Carmen, lei è una professionista, è
anche molto intelligente, ci ha una laurea in filosofia, vedrete
che lei lo guarisce. - Sostiene il geometra.
- E se lo portiamo sulla passerella del Reno e lo leghiamo a
testa in giù per vedere se gli torna il sangue al cervello. Propone il macellaio.
- Secondo me se lo lasciamo in pace guarisce da solo, perchè
acurdev che l'amore è come il sale, poco fa bene, tanto fa male.
- Dice l'anziano saggio.
Il ronzio del motorino anticipa l'arrivo del postino che, dopo aver
appoggiato lo sgangherato mezzo di locomozione ad un albero,
raggiunge di corsa il gruppetto di esperti in futilità esistenziali:
- Ragazzi, provate a indovinare chi ho visto nella valle.- Oh, can tachegna (non cominciamo) con i quiz. - Lo ammonisce il meccanico.
- Ti propi un quèl merd... comunque, ho visto lo stallone con la sorella di Spumino il pasticciere,
che si svoltavano in mezzo all'erba tutti nudi... quella sì che è una gnocca da fuochi d'artificio.
L'inattesa notizia conforta i nostri antropologi ed in particolar modo Il meccanico che, con tono
solenne, si rivolge ai partecipanti al simposio dicendo:
- Insigni colleghi per onorare la guarigione del nostro paziente, ho deciso di sacrificare tutto il
mio corpicino in nome della conoscenza: ai vag me (ci vado io) dalla Carmen, visto che abbiamo
già preso l'appuntamento.
Il seduttore banale
Generalmente è una persona poco portata all'apprendimento (un zucòn) che si crede un genio.
Questo seduttore con la materia grigia sedimentata, si aggira per le balere, importunando le
ragazze con pretesti banali e frasi stupide del tipo:
- Scusa, ti chiami per caso Laura?
- No!
- Ma sei sicura?
- Certo che son sicura, come sono sicura che quel po' di materia grigia che avevi é evaporata e
ti ha tinto i capelli!
Rimediata la prima figuraccia, l'insignificante essere avvista una nuova preda:
- Scusa, hai da accendere?
- No non fumo.
- Scherzavo... anch'io non fumo!
- Allora sei un idiota: perchè mi hai chiesto da accendere?
- Era così, tanto per dire.
- Allora, tanto per dire, perchè non dai un pugno in un occhio al buttafuori, magari ti invita a
cena?
Dopo l'ennesimo fallimento, il povero fesso prende di mira una graziosa ragazza, esile e
apparentemente ingenua:
- Sei libera?
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- Che cazzo di domande fai? - Lo aggredisce la ragazza.
- No... perché se sei occupata vado via!
- Libera... occupata, per chi mi hai preso, per una toilette? - Risponde la ragazza indignata.
- Non ho mai pensato a una cosa del genere. - Cerca di rimediare il ragazzo.
- Io invece sì, anzi, adesso che ti guardo bene, assomigli di più a un vespasiano! - Lo raggela la
ragazza.
Il seduttore sfigato
Il seduttore sfigato, è ufficialmente riconosciuto, come
l'incubo delle commesse
ed in particolare delle bariste, che lo hanno soprannominato:
il cretino molesto.
Il cretino molesto ha l'aspetto trasandato, la fronte spaziosa
(senza motivo) ed è spesso in sovrappeso.
E' l'alba, i passeri volteggiano cinguettando sopra ai tetti
delle case ancora mute, mentre i merli zufolando (purtroppo) stanno sporcando il tettuccio della
mia auto.
La ragazza, china davanti all'ingresso del bar, lentamente alza la saracinesca nel tentativo di
non fare rumore. Dalla strada ancora deserta una brusca frenata seguita da una retromarcia
spericolata spaventa la barista: - è lui - pensa rassegnata - è arrivato il cretino molesto.
- Ciao bellissima! - Urla lo zotico mentre scende dall'auto.
La ragazza con un filo di voce: - Non fare casino cretino.
- Non ho capito, cosa hai detto?
- Ho detto: mi prendi il Carlino?
L'ingenuo ragazzone, gigioneggiando entra in edicola.
- Ciao bellissima: il Resto Del Carlino, lo Stadio, e il tuo cuore.
- Piuttosto ti regalo l'edicola!
- Io non voglio l'edicola, voglie te!
- Non rompere... se sei in tirella è meglio che ti leggi gli annunci delle
massaggiatrici.
- Non so leggere. - Risponde il simpaticone.
- Allora iscriviti all'associazione dei segaoioli analfabeti! - Lo congeda l'edicolante.
Il seduttore sfigato ritorna, con i quotidiani, dalla sventurata barista:
- Riciao bellissima.
La barista intenta nell'allestimento del bancone e in altre faccende preliminari, non si accorge
dell'arrivo del cretino.
- Riciao bellissima. - Ripete il cretinone.
- Ah sei già qui...
- Come già, lo so che morivi dalla voglia di vedermi!
- Sì, in effetti, Narduzzo il contadino mi stava impartendo l'estrema unzione con l'olio al
peperoncino.
Lo sfigato, non molla la pezza:
- Sai che sono a casa in ferie per quindici giorni?
- Allora perchè non ci stai, a casa!
- Come, non sei contenta di vedermi tutti i giorni?
- Come no! Dalla gioia ridono anche i bomboloni.
- Fammeli vedere. - Il cretino arrapato si avvicina alla ragazza.
Nello stesso istante entra un cliente che con un pugno atterra lo sfigato.
- Che bisogno c'era di colpirlo! - Esclama basita la barista.
- Non si preoccupi signorina, questo rompiscatole è mio figlio, appena si riprende lo porto a
casa. Nell'attesa, fammi un caffè bellissimo e golosissimo frutto.
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Ustica (parte 2°): I testimoni “suicidati”
di Claudio (il Rosso) Vitali
Chi lo dirà a Giovanardi ora?
Visto il gradimento ottenuto dal precedente articolo e sull’onda di
attualità rilanciata dalle recenti sentenze dalla Cassazione,
ritorniamo sull’argomento occupandoci delle altre vittime, tutte in
qualche modo collegate ai vari processi, che hanno fatto da
corollario alla grande menzogna in tutti questi anni.
Ancora una volta la Cassazione, per la seconda volta, nel giro di
pochi mesi, è tornata ad occuparsi del disastro di Ustica del 27
giugno 1980 consegnando nuovi tasselli di verità giudiziaria:
questa volta sul dato di fatto "non più suscettibile di essere messo
in discussione" dei depistaggi delle indagini ad opera di militari
dell'Aeronautica, dopo aver dato il via libera, lo scorso gennaio, ai
risarcimenti delle vittime da parte dello Stato. Una decisione rispettata anche dal governo che
alla fine di giugno, con una nota di Palazzo Chigi, aveva fatto sapere che non avrebbe fatto
ricorso contro quel verdetto "per rispetto" delle 81 vittime.
Una sentenza che sembra dare giustizia dopo 33 anni ad Aldo Davanzali, morto nel 2005 dopo
aver lottato per anni con il morbo di Parkinson ed essere stato accusato per la morte degli 81
passeggeri senza mai essere processato. Per molti mesi, dopo la tragica notte del 27 giugno
1980 quando precipitò il Dc 9 dell'Itavia, l'ipotesi principale fu quella del "cedimento strutturale".
Si disse che Davanzali faceva volare "bare volanti". In particolare, sottolinea la Suprema corte,
bisognerà verificare se la "situazione di irrecuperabile dissesto effettivamente preesistesse al
disastro aereo o se in quale misura fosse determinata o aggravata in modo decisivo proprio
dalla riconosciuta attività di depistaggio e di conseguente discredito commerciale dell'impresa" di
cui Davanzali era presidente e amministratore.
Il depistaggio delle indagini sul disastro aereo di Ustica deve considerarsi “definitivamente
accertato” e la tesi “del missile sparato da aereo ignoto” risulta
oramai consacrata anche nella giurisprudenza della Cassazione.
Occorre dunque un nuovo processo civile che valuti la responsabilità
dei ministeri della Difesa e dei Trasporti nel fallimento dell’Itavia,
proprietaria del DC9 precipitato.
Un solo movente, un filo rosso sangue e la firma inconfondibile dei
servizi segreti (Sismi & Sisde). Agli 81 morti ufficiali del disastro
aereo provocato dal lancio di due missili, occorre aggiungere altri 20
morti, assassinati in seguito, perché sapevano e troppo ed erano in
proncinto di vuotare il sacco.
Un lancio dell’agenzia Adnkronos del 23 febbraio 2013 segnala:
«Uno dei piloti era un testimone di Ustica: riaperta l'inchiesta su
aereo caduto nel '92. Si indaga per omicidio sulla morte di
Alessandro Marcucci e del collega Silvio Lorenzini, precipitati con il
loro velivolo anti-incendio sulle Alpi Apuane il 2 febbraio 1992.
Marcucci era un ex pilota dell'aeronautica militare coinvolto come
testimone nell'inchiesta per la strage del Dc9 Itavia. Clamorosa riapertura dell'inchiesta
sull'incidente aereo di Campo Cecina del 2 febbraio 1992, quando i piloti Alessandro Marcucci e
Silvio Lorenzini persero la vita cadendo con il loro velivolo anti-incendio, sulle Alpi Apuane. Il pm
di Massa, Vito Bertoni indagherà per omicidio contro ignoti. A riportare l'attenzione sul caso,
chiedendo la riapertura delle indagini, era stata l'associazione antimafia 'Rita Atria', che aveva
presentato un esposto. Alessandro Marcucci era un ex pilota dell'aeronautica militare coinvolto
come testimone nell'inchiesta per la strage di Ustica. Secondo l'associazione antimafia,
l'incidente non fu causato da una condotta di volo azzardata, come sostennero i tecnici della
commissione di inchiesta, ma probabilmente da una bomba al fosforo piazzata nel cruscotto
dell'aereo».
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La notizia d’attualità è legata a quella fornita il 31 marzo scorso dal quotidiano La Nuova
Sardegna, a firma del bravo Piero Mannironi: «Si è aperto uno spiraglio. Una piccola, ma
preziosa speranza di verità. La magistratura di Massa ripercorrerà i 26 anni di dubbi e di
tormenti dei familiari del maresciallo dell'Aeronautica militare Mario Alberto Dettori, di Pattada,
trovato impiccato a un albero il 30 marzo 1987, vicino al greto del fiume Ombrone, nel
Grossettano. Dettori aveva solo 38 anni… Ma tre settimane dopo, quando venne ritrovato il Mig
23 libico sui monti della Sila, Dettori richiamò Ciancarella. Questa volta era calmo, lucido. «Mi
disse che la storia del Mig era una puttanata (dice Ciancarella). Poi mi
diede tre spunti sui quali indagare: comandante, si guardi gli orari degli
atterraggi dei jet militari la sera del 27 giugno, i missili a guida radar e
quelli a testata inerte. Poi non lo sentii più» .Ciancarella parlò con
l’amico Marcucci che, sfruttando le sue conoscenze, cominciò anche lui
a indagare sui segreti di Ustica. Un giorno disse a Marcucci che il Mig
libico trovato sulla Sila era decollato dalla base italiana di Pratica di
Mare e di conoscere due militari che sapevano tutto ed erano disposti a
parlare con il magistrato che conduceva l’inchiesta. Dettori fu trovato
impiccato nel marzo del 1987 e Marcucci morì in uno stranissimo
incidente aereo in Toscana nel ’92».
Testimoni scomodi (In una parola eliminati con modalità dei servizi segreti). Non è fiction, ma la
nuda e cruda realtà. Oltre una ventina le morti sospette. Anche il giudice Rosario Priore nella
sua monumentale ordinanza-sentenza del 31 agosto 1999 aveva dedicato un capitolo speciale
alle “morti misteriose”. Infarti, ‘suicidi’, omicidi, attentati, rapimenti, sparizioni, ma anche incidenti
stradali e aerei.
La strage di Ustica è costellata da una serie di morti misteriose di potenziali testimoni, depositari
di rivelazioni esplosive. Sono più di una ventina le persone decedute in circostanze nebulose
che avrebbero potuto fornire elementi utili per ricostruire ciò che avvenne la sera del 27 giugno
1980 sul Mar Tirreno. Ufficiosamente l’ultima vittima potrebbe essere Antonio Scarpa, generale
dell’Aeronautica in pensione, deceduto il 2 dicembre 2010. Era stato trovato nella sua casa di
Bari vecchia, ferito alla testa. Dal 27 settembre non aveva più ripreso
conoscenza. Prim’ancora era toccato a Michele Landi, consulente
informatico della Guardia di Finanza e del Sisde, nonché di alcune
procure, trovato impiccato con le ginocchia sul divano la notte del 4 aprile
2002, nella sua casa di Montecelio di Guidonia. «Gli esami tossicologici
effettuati dalla dr.ssa Costamagna» si legge nella richiesta di archiviazione
del procedimento numero 2007/02 «evidenziavano una significativa
concentrazione di alcool nel sangue cadaverico». Ben strano per un
soggetto che decide di suicidarsi. L’allora colonnello delle Fiamme Gialle,
Umberto Rapetto, l’8 aprile 2002 aveva dichiarato a verbale: «Non riesco
assolutamente a spiegarmi i motivi di siffatto gesto. Landi ha sempre avuto un fare
particolarmente gioioso ed equilibrato e costantemente positivo. Non soffriva assolutamente di
depressione». In quei giorni in un’interrogazione parlamentare l’Ulivo chiese: «Perché il ministro
dell’Interno Scajola ritiene il suicidio l’unica ipotesi?». Il caso è stato archiviato - con richiesta
datata 18 novembre 2004 - dal procuratore capo presso la Procura della Repubblica di Tivoli,
Claudio D’Angelo, e dal sostituto, Salvatore Scalera. Landi aveva confidato agli amici di essere
a conoscenza di novità compromettenti su Ustica. Il magistrato Lorenzo Matassa, infatti, il 10
aprile 2002 aveva dichiarato agli inquirenti: «Michele Landi l’hanno suicidato i servizi segreti
come storicamente in Italia sanno fare. Mi aveva riferito di sapere molte cose su Ustica». Non
impossibile, visto che Landi aveva lavorato in passato sui sistemi di puntamento missilistici ed
era stato in contatto con la società Catrin, la stessa con cui collaborava Davide Cervia, il tecnico
di guerra elettronica, misteriosamente scomparso il 12 settembre ’90.
Scrive il giudice Rosario Priore, a pagina 4.663 della suo atto istruttorio finale: «Questa inchiesta
come s’è caratterizzata per la massa di inquinamenti così si distingue per il numero delle morti
violente attribuite per più versi ad un qualche legame con essa, escludendo deduzioni di fantasia
ed usando solo rigorosi parametri di fatto».
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Il tragico elenco si apre il 3 agosto 1980 con la morte del colonnello-pilota dell’Aeronautica
militare Pierangelo Tedoldi, 41 anni, a seguito di incidente stradale sull’Aurelia e suo figlio David.
Annota Priore: «All’ufficiale era stato assegnato il comando dell’aeroporto di Grosseto
(competente sul sito radar di Poggio Ballone, ndr) in successione al colonnello Tacchio Nicola».
Non emerge alcun collegamento diretto con Ustica, «a meno di non supporre», ribadisce Priore
«che in quell’aeroporto sussistessero ancora nell’agosto di quell’anno prove di una verità
difforme da quella ufficiale; che quel colonnello ne fosse a venuto a conoscenza; che comunque
egli non fosse persona affidabile nel senso che avrebbe potuto denunciarle all’Autorità
Giudiziaria o alla pubblica opinione».
Quando i magistrati inquirenti chiesero nell’88 l’elenco del personale in servizio la sera del 27
giugno 1980, si resero conto che erano stati omessi due nomi significativi: quelli del capitano
Maurizio Gari e del maresciallo Alberto Maria Dettori, entrambi in servizio quel giorno. Gari era il
responsabile della sala radar del 21° Cram; Dettori aveva il compito invece di identificare i
velivoli. Entrambi sono morti. Maurizio Gari, 32 anni, non affetto da cardiopatie, il 9 maggio 1981
è stato comunque stroncato da un infarto. Dettori, invece, fu trovato impiccato ad un albero 26
anni orsono. «Altra morte strana» commenta il giudice
istruttore Priore a proposito di Gari. Dalle scarne
conversazioni telefoniche rintracciate «si denota un
particolare interessamento dell’ufficiale per l’incidente del
Dc9 Itavia (argomenta Priore), Certamente la sua
testimonianza sarebbe stata di grande utilità all’inchiesta,
anche sulla base di quanto accertato attraverso
l’interpretazione dei dati radaristici e le tante scoperte sulla
sala operativa da lui comandata, in cui quella sera
prestavano servizio di certo il maresciallo guidacaccia De
Giuseppe, e con ogni probabilità il maresciallo Dettori».
Negli atti giudiziari, appunto, alla voce «decessi per i quali permangono indizi di collegamento
con il disastro del Dc 9 e la caduta del Mig» figura anche il “suicidio” per impiccagione del
maresciallo AM, Mario Alberto Dettori (39 anni). Il sottufficiale, infatti, fu trovato impiccato ad un
albero il 31 marzo ’87 alle ore 16, sul greto del fiume Ombrone, dal collega Michele Casella, nei
pressi di Grosseto. Dettori nell’80 era controllore di Difesa Aerea, assegnato al turno Delta,
presso il 21° Cram di Poggio Ballone. Così argomenta il giudice istruttore Priore: «Se ha visto
quello che mostravano gli schermi di quel Cram, che aveva visione privilegiata su tanta parte
della rotta del Dc 9 e di quanto attorno ad esso s’è consumato, se ne ha compreso la portata, al
punto tale da confessare a chi gli era più vicino che quella sera s’era sfiorata la guerra, ben si
può comprendere quanto grave fosse il peso che su di lui incombeva. E quindi che, in uno stato
di depressione, si sia impiccato. O anche, dal momento che egli stava diffondendo le sue
cognizioni, reali o immaginarie, e non fosse più possibile frenarlo, che sia stato impiccato».
Il 26 novembre ’90, la moglie Carla Pacifici, riferiva al giudice Priore che «non riusciva a
spiegarsi il suicidio, in quanto suo marito aveva una gran voglia di vivere»; così come «non
riusciva a comprendere le ragioni per cui non era stata mai eseguita l’autopsia sul cadavere».
La litania di delitti impuniti continua. Il 25 marzo 1982 viene assassinato il professor Aldo
Semerari, collaboratore dei servizi segreti militari, a conoscenza di segreti devastanti sulla
strage nel Tirreno. Poco dopo, il primo aprile, muore, in circostanze nebulose, la sua assistente,
Maria Fiorella Carrara, anch’essa depositaria del segreto dei
segreti.
Anche la morte del sindaco di Grosseto, in carica nel 1980,
Giovanni Battista Finetti, il 23 gennaio 1983, rientra nella lista
degli scomparsi sospetti. Il sindaco grossetano perde la vita in
un incidente stradale sulla statale Scansanese nel comune di
Istia d’Ombrone. Finetti aveva raccolto le confidenze di alcuni
ufficiali dell’arma azzurra, secondo cui due caccia italiani si
erano levati in volo dalla base della città toscana per inseguire e
abbattere un Mig libico.
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Il 28 agosto 1988, a Ramstein (Germania), una
settimana prima di essere interrogati dal giudice
Priore, durante un’esibizione aerea delle Frecce
Tricolori, ufficialmente a causa di “un errore di
manovra” muoiono due veterani: i colonnelli
Mario Naldini, di 41 anni (4.350 ore di volo) e Ivo
Nutarelli, di 38 anni (4.250 ore di volo). “Una
tragica fatalità” per l’allora capo di Stato
Maggiore dell’Aeronautica, Franco Pisano.
“Per quell’esercizio, il cardioide, le probabilità di collisione sono praticamente pari a zero” spiegò
subito Diego Raineri, a quel tempo comandante della pattuglia acrobatica. Perfetti gli uomini,
perfette le macchine, perfetto l’addestramento, calcolati i rischi: perché dunque è avvenuta la
tragedia che ha mietuto, 59 morti e 368 feriti? I giornali Tageszeitung e Der Spiegel hanno
ipotizzato un sabotaggio dei velivoli Aermacchi Mb 339, legato al precedente di Ustica. In effetti,
Naldini e Nutarelli erano decollati la sera del 27 giugno
’80 da Grosseto a bordo di due F 104. Il loro caccia
intercettore si alzò in volo alle 19,30 e tornò alla base alle
20,50, dieci minuti prima che il Dc 9 precipitasse. Che
abbiano notato qualcosa che non dovevano vedere? «Di
certo i due erano a conoscenza, come s’è dimostrato, di
molteplici circostanze attinenti al Dc 9 e a quei velivoli
che volavano in prossimità di esso» documenta Priore.
L’imprenditore Andrea Toscani, interrogato dal giudice
Priore ha rivelato le confessioni di Naldini. «Mario mi
disse»: “Quella notte c’erano tre aerei. Uno autorizzato,
due no. Li avevamo intercettati quando ci dissero di rientrare”.
Sette anni prima, il 2 settembre 1981 a Rivolto (Udine), durante un’esercitazione moriva il
colonnello Antonio Gallus, amico e collega degli ufficiali Naldini e Nutarelli. Si accingeva a fare
importanti rivelazioni su Ustica.
Il 20 marzo 1987, alle ore 19 viene assassinato a Roma con «dieci proiettili
calibro 38 perforanti», attesta il rapporto della Polizia scientifica, il generale
di squadra aerea Licio Giorgieri. Alle 19,40 giunge la rivendicazione
dell’omicidio: «Il generale Licio Giorgieri era stato ucciso esclusivamente
per le responsabilità da lui esercitate in seguito all’adesione italiana al
progetto delle guerre stellari». Così si esprimevano i sedicenti terroristi
dell’Unione combattenti comunisti, teleguidati dall’Intelligence angloamericana. Il movente affidato al volantino venne però demolito
pubblicamente da Giovanni Spadolini: «Giorgieri non aveva nessun
rapporto diretto con l’iniziativa di difesa strategica. Il generale Giorgieri non
apparteneva neanche al Comitato tecnico di controllo su tale impresa». Gli esperti di terrorismo
lo definirono «un attentato anomalo». In realtà, all’epoca di Ustica, il generale triestino faceva
parte dei vertici del Rai, il Registro aeronautico italiano, responsabile del quale era il generale
Saverio Rana, «morto per infarto»: il primo a parlare di missili nell’imminenza della strage.
Dell’omicidio Giorgeri si era occupato anche il giudice Santacroce (predecessore di Priore). Lo
stesso Rana, che aveva ricevuto dall’amico Giorgieri tre fotocopie di tracciati radar, subito dopo
la strage riferì al ministro Formica la presenza di un caccia vicino al Dc 9.
Il 12 agosto ’88 muore il maresciallo del Sios, Ugo Zammarelli. Mentre passeggiava con
un’amica sul lungomare di Gizzeria Marina, viene investito da una moto. Non viene effettuata
alcuna autopsia. I suoi bagagli spariscono dall’albergo. Zammarelli in forza alla base Nato di
Decimomannu, in Sardegna, non era in Calabria in vacanza, ma stava conducendo un’inchiesta
personale sul Mig libico.
8/20
Ancora una morte violenta: un altro maresciallo AM, Antonio Muzio,
viene freddato con tre colpi di pistola al ventre, il primo febbraio ’91, a
Pizzo Calabro. Nel 1980 era in servizio alla torre di controllo
dell’aeroporto di Lamezia Terme. Secondo Priore «il sottufficiale
potrebbe essere venuto a conoscenza di fatti attinenti alla vicenda del
Mig, dal capitano Inzolia e dal maresciallo Molfa». Questi due carabinieri
alla fine di giugno dell’80 cercavano un aereo militare sulla Sila.
Il 2 febbraio 1992, altra morte alquanto anomala, è quella del
maresciallo dell’Arma azzurra, Antonio Pagliara. Rimase vittima
dell’immancabile incidente stradale. Nell’80 era in servizio con funzioni
di controllore di Difesa Aerea al 32° Cram di Otranto. Anche lui era in
procinto di vuotare il sacco.
Sempre il 2 febbraio ’92, muore l’ex colonnello Sandro Marcucci, ufficialmente «a seguito di
incidente aereo in un servizio di antincendio». Marcucci, 47 anni, pilota esperto, si schianta
inspiegabilmente sulle Alpi Apuane col suo Piper. Nel 1980 era in servizio quale ufficiale pilota
presso la 46ª Aerobrigata di Pisa. Soltanto 5 giorni prima Il Tirreno aveva pubblicato una sua
intervista in cui aveva duramente attaccato il generale Zeno Tascio, comandante dell’aeroporto
di Pisa dal ’76 al ’79, proprio sul caso della strage di Ustica.
Il 12 gennaio 1993, è il turno di un personaggio parecchio scomodo. A Bruxelles viene
assassinato a coltellate l’ex generale Roberto Boemio (58 anni). Il consulente dell’Alenia presso
la NATO era un testimone chiave. Nel ’91, con buon anticipo aveva abbandonato l’Aeronautica.
Le modalità dell’omicidio coinvolgono, secondo la magistratura belga, che non ha ancora risolto
il caso, i «servizi segreti internazionali». Secondo la ricostruzione del giudice Guy Laffineur «Gli
aggressori si sono allontanati a bordo di una Ford Escort bianca, poi risultata rubata e alla quale
era stata sostituita la targa». E’ stata tale circostanza a far pensare a un’azione ben preparata. Il
delitto di Boemio rimane ancora un mistero. L’unica certezza è che l’alto ufficiale in pensione
aveva cominciato a collaborare con la magistratura inquirente proprio sulla strage di Ustica. Non
a caso, il suo nome compare tra i riscontri di innumerevoli contestazioni processuali fatte ai
generali Bartolucci, Tascio, Ferri, Melillo. Proprio da Boemio, all’epoca della strage comandante
della III Regione Aerea, dipendevano direttamente il Terzo Roc di Martinafranca in Puglia (nome
in codice ‘Imaz’: cuore del sistema Nadge, di controllo USA) con le basi radaristiche di
Jacotenente (Gargano), Marsala e Licola, coinvolte nell’allarme per la presenza di caccia non
identificati nel cielo di Ustica e di una portaerei in navigazione nel Tirreno al momento
dell’esplosione del Dc 9. Boemio s’era anche occupato di uno dei due Mig 23 fatti ritrovare da
CIA E Sismi sulla Sila proprio il 18 luglio ’80, esattamente al termine di un’esercitazione
aeronavale della NATO. Conclude il giudice Priore:
«Sicuramente altra sua testimonianza inerente gli incidenti aerei in disamina, a seguito delle
risultanze istruttorie emerse dopo le sue prime dichiarazioni, sarebbe risultata di grande utilità».
Il generale Boemio conosceva i retroscena e poteva fornire elementi di prima mano.
La tragica catena di morti sospette non si arresta. Infatti, il 2 novembre ’94 tocca a Giampaolo
Totaro, 43 anni, ex ufficiale medico dell’Aeronautica Militare, dal 1976 all’84 in servizio presso la
base delle Frecce Tricolori a Rivolto. Totaro è stato trovato impiccato accanto alla porta del
bagno della sua abitazione. Ancora coincidenze. Innanzitutto gli anni trascorsi accanto agli amici
Naldini, Nutarelli e Gallus. E poi la pubblicazione il 31 ottobre, prima del “suicidio” di varie
rivelazioni che collegano Ustica alle Frecce e a Ramstein. Registra il referto giudiziario: «Le
modalità dell’atto (la corda era attaccata a una sbarra poco più di un metro di altezza) hanno
indotto a qualche sospetto sulla realtà di un’azione suicidaria».
Altro emblematico decesso. Il maresciallo dell’Aeronautica militare, Franco Parisi, 46 anni.
Fu trovato anche lui impiccato il 21 dicembre ’95, ad un albero alla periferia di Lecce. Nell’80 era
controllore di Difesa Aerea nella sala operativa del 32° Cram di Otranto. Era di turno la mattina
del 18 luglio ’80, quando sarebbe avvenuto il fantomatico incidente del Mig. Dichiara
nell’ordinanza-sentenza il giudice Priore: «Erano emerse al tempo del suo primo esame
testimoniale, nel settembre ’95, palesi contraddizioni nelle sue dichiarazioni, così come s’erano
verificati incresciosi episodi con ogni probabilità di minacce nei suoi confronti».
9/20
Citato a comparire una seconda volta, il 10 gennaio ’96, Parisi muore qualche giorno dopo aver
ricevuto la convocazione giudiziaria. Nel novembre ’97 il Gip Vincenzo Scardia, aveva ordinato
la riapertura del caso, che era stato archiviato in tutta fretta dal pm Nicola D’Amato, come
“suicidio”. I familiari hanno sempre sollevato il sospetto che Franco Parisi “sia stato suicidato”. Il
maresciallo fu bastonato? Fatto sta che i medici legali gli riscontrarono un’ematoma all’altezza
della nuca, opportunamente fotografato dagli investigatori Digos di Lecce subito dopo il
ritrovamento del cadavere. Tra gli aspetti oscuri dell’impiccagione, la compatibilità della
lunghezza della corda trovata legata all’albero con la distanza dal suolo e la stessa altezza della
vittima. Ma anche il rilasciamento dei muscoli del collo al quale era stretta la fune, (è stato tale
allorché il corpo del Parisi è stato lasciato penzolare nel vuoto) da far trovare il cadavere con i
piedi poggiati per terra. Ci sono foto della polizia giudiziaria che lo confermano.
«Come ben si vede analogie forti con il caso Dettori (argomenta il giudice Priore)
Entrambi marescialli controllori di sala operativa in un centro radar. Entrambi in servizio dinanzi
al PPI, con funzioni delicatissime, rispettivamente la notte del 27 giugno e il mattino del 18 luglio.
Venuti a conoscenza di fatti diversi dalle ricostruzioni ufficiali, rivelano la loro conoscenza in
ambiti strettissimi, ma non al punto tale da non essere percepita da ambienti che li stringono od
osteggiano anche in maniera pesante. E così ne restano soffocati».
Il delitto Ferraro: Roma, domenica 16 luglio 1995: via della Grande Muraglia Cinese 46. Il
tenente colonnello dell’Esercito, Mario Ferraro, 46 anni, calabrese, distaccato al Sismi, esperto
in informatica, traffici di armi, terrorismo internazionale, e segreti indicibili tra cui Ustica. Non ha
alcun motivo per suicidarsi. La sua compagna Maria Antonietta nel tardo pomeriggio lo trova nel
bagno di casa. Ferraro è impiccato inspiegabilmente con la cinghia dell’accappatoio, lunga poco
più di un metro assicurata al tubo di un appendi asciugamano fissato al muro, a circa un metro e
venti dal pavimento. La sua posizione è parecchio sospetta. Il fratello di Ferraro, Salvatore
commenterà così ai giornalisti quello che ha visto: «Ho trovato
Mario seduto per terra, aveva un’espressione serena, non
quella di un uomo che ha compiuto un gesto disperato.
L’avevo sentito al telefono venerdì, tre giorni prima: era
tranquillo, non aveva manifestato alcuna apprensione». Parla
anche Maria Antonietta: «Mario negli ultimi tempi era
preoccupato, si sentiva pedinato. Quando era uscito per il
gelato, ho sentito strani rumori, ero sul terrazzo, provenivano
dall’ascensore del palazzo: lo scatto della fotocellula della
porta si ripeteva a intervalli regolari per parecchi minuti, come
se qualcuno cercasse di tenere aperta la porta dell’ascensore.
Mario non può essersi suicidato». Parlando con i giornalisti, il
procuratore capo Michele Coiro si lascia sfuggire che per lui la morte di Ferraro è un omicidio
“vero e proprio”. Si indaga prima per suicidio, poi per omicidio. Il caso viene però archiviato su
richiesta del pm Nello Rossi, dal Gip il primo ottobre 1999. Tuttavia, una delle quattro perizie
ordinate dal pubblico ministero, evidenzia un’anomalia: la cinta dell’accappatoio con la quale si
sarebbe tolto la vita Ferraro si sarebbe dovuta strappare, perché non avrebbe potuto resistere
oltre i cinquanta chili di carico. Ferraro era un uomo robusto: pesava 86 chili, quindi ben oltre
quel limite. Non è tutto. Sempre secondo la perizia meccanica le quattro viti a tassello che
reggevano l’appendiasciugamano in ottone a cui Ferraro avrebbe assicurato la cinta, a poco più
di un metro dal pavimento, sotto quel carico, avrebbero dovuto cedere, staccarsi dal muro.
Invece Ferraro viene trovato quasi seduto a terra, con il collo leggermente reclinato, La cinta era
intatta, l’ha tagliata Maria Antonietta nel disperato tentativo di salvargli la vita, e la staffa
dell’appendi asciugamano era ancora salda alla parete. Anche la perizia istologica fa riferimento
ad alcune stranezze: due ecchimosi sul collo, compatibili con un’azione di soffocamento, sono
delle strozzature, pressioni eseguite in tempi diversi; mentre quella medico-legale e quella
tossicologica parlano di suicidio. Anche Ferraro doveva essere interrogato sui fatti di Ustica.
Allora, chi uccide i testimoni scomodi? Il 26 dicembre ’95, i sedicenti “Nuclei per l’eliminazione
fisica dei militari corrotti di Ustica”, depositano a Bologna, in via Saragozza, due bottiglie molotov
sul pianerottolo del maresciallo AM, Giuseppe Caragliano, mai comparso nell’inchiesta sulla
10/20
strage di Ustica, nell’80 in servizio al centro telecomunicazioni dello Stato Maggiore dell’arma
azzurra. Un attentato annunciato da una serie di telefonate minatorie nell’abitazione del militare
e alla questura di Bologna: “Andate in via Saragozza e fate sgomberare il palazzo dell’avvocato
Leone, perché vogliamo far saltare in aria il maresciallo Caragliano”. Chi, se non gli apparati
militari, potevano collegare Caragliano a Ustica, dal momento che tale legame non era mai stato
ipotizzato neppure dagli inquirenti? E ancora: è soltanto un caso che l’attentato di Bologna arrivi
a soli 5 giorni dalla notizia del “suicidio” del maresciallo Parisi? Che le minacce cominciano
quando è nota ai soli investigatori la circostanza del ritrovamento nell’abitazione dell’ex generale
dei carabinieri, al servizio del Sismi, Demetrio Cogliandro dell’archivio su Ustica?
Conclude Priore nella sua sentenza-ordinanza: «Nei casi che restano si dovrà approfondire,
giacchè appare sufficientemente certo che coloro che sono morti erano a conoscenza di
qualcosa che non è stato mai ufficialmente rivelato e da questo peso sono rimasti schiacciati».
Missili: Il 22 maggio 1988 il sommergibile Nautile esplora il Tirreno alla ricerca del relitto del Dc9.
Alle 11,58 le telecamere inquadrano una forma particolare. Uno dei due operatori dell’Ifremer
(controllata dai servizi segreti transalpini) scandisce in francese la parola “misil”. Alle 13,53
s’intravede un’altra classica forma di missile. Le ricerche della società di Tolone vengono
sospese tre giorni dopo. L’ingegner Jean Roux, dirigente della sezione recuperi dell’Ifremer,
subisce uno stop inspiegabile dall’ingegner Massimo Blasi, capo della commissione dei periti del
Tribunale di Roma. I due missili non vengono raccolti neppure durante la seconda operazione di
recupero affidata a una società inglese. Trascorrono tre anni prima che i periti di parte abbiano
la possibilità di visionare i nastri dell’operazione Ifremer. Secondo
un primo tentativo di identificazione di tratta di un “Matra R 530 di
fabbricazione francese” e di uno “Shafir israeliano”. I dati tecnici
parlano chiaro. Quel Matra è “lungo 3,28 metri, ha un diametro di
26 centimetri con ingombro alare di 110, pesa 110 chilogrammi: è
munito di una testata a frammentazione e può colpire il bersaglio
a 3 km di distanza con la guida a raggi infrarossi e a 15 km con la
guida radar semiattiva”. L’altro missile è “lungo 2,5 metri, 16
centimetri di diametro e 52 di apertura alare, pesa 93 kg e ha una
gittata di 5 km”. Entrambi gli ordigni sono usati dai caccia dei
Paesi occidentali e mediorientali (Israele). Uno di quei missili
(ancora in fondo al mare, a 3600 metri di profondità) è stato
lanciato contro il Dc9. Le ultime scoperte dei periti di parte civile
hanno confermato senza ombra di dubbio che il Dc 9 è stato
abbattuto da un missile. La prova è costituita da 31 sferule
d’acciaio (diametro 3 millimetri) trovate in un foro vicino all’attacco
del flap con la fusoliera. La loro presenza può essere spiegata
con l’esplosione vicino alla parte anteriore dell’aereo della testa a
frammentazione di un missile.
Le 5.600 pagine di requisitoria del giudice Priore parlano di una operazione militare condotta da
Paesi alleati della quale gli italiani sono stati testimoni diretti. Nei tracciati radar si vede
addirittura un elicottero decollato dal mare, presumibilmente da una portaerei, giungere nella
zona del disastro prima che arrivassero, con deliberato ritardo, i soccorsi. A poca distanza dal
luogo di ammaraggio dell'aereo civile staziona l'unità militare italiana Vittorio Veneto che però
non presta alcun soccorso. L'ultima testimonianza è di un ufficiale di macchina scovato ed
intervistato da un giornalista che lo ha prontamente segnalato, unitamente ad altri tre testimoni
degli eventi (tre ex militari dell'Aeronautica militare) ai magistrati titolari presso la Procura della
Repubblica di Roma.
Che cosa si è voluto insabbiare con tanto accanimento?
Memorie offuscate: 2 milioni di atti e numerose perizie. Tutti assolti:
Ben 4 generali dell’Aeronautica (all’epoca il massimo vertice dell’arma azzurra) imputati con
l’accusa di «attentato contro gli organi costituzionali»; Lamberto Bartolucci, ex capo di Stato
maggiore dell’Aeronautica; Zeno Tascio, all’epoca dei fatti, responsabile del servizio
informazioni operative segrete (Sios); Corrado Melillo, ex capo del terzo reparto della Stato
11/20
Maggiore Aeronautica e poi sottocapo di Stato Maggiore della Difesa; carica che nel 1980
ricopriva l’altro generale imputato, Franco Ferri. I quattro alti ufficiali, secondo l’accusa, «hanno
omesso di riferire alle autorità politiche e giudiziarie, informazioni riguardo la possibile presenza
di altri aerei di varie nazionalità e di una portaerei di nazionalità non accertabile con sicurezza»;
hanno taciuto notizie riguardanti «l’ipotesi di un’esplosione coinvolgente il velivolo ed i risultati
dell’analisi dei tracciati radar di Fiumicino-Ciampino e l’emergenza di circostanze di fatto non
conciliabili con la caduta del Mig libico sulla Sila la mattina del 18 luglio 1980». Hanno inoltre
fornito «informazioni errate» al fine di «impedire che potessero emergere responsabilità
dell’Aeronautica Militare o di forze armate di Paesi alleati». Altri imputati erano i cosiddetti “007”:
Francesco Pugliese, poi diventato generale, già capo di Civilavia; l’ex vicecapo del Sismi Nicola
Fiorito De Falco; Umberto Alloro, Claudio Masci, l’ex responsabile controspionaggio del Sismi
Pasquale Notarnicola e Bruno Bomprezzi. E’ intervenuta la prescrizione dei reati e la
dichiarazione di non luogo a procedere per un’altra sessantina di altri ufficiali e sottufficiali
italiani. “I quattro generali accusati in base all’articolo 289 del codice penale“, tuona l’ex
senatrice Bonfietti, presidente dell’Associazione Familiari delle vittime di Ustica, “erano accusati
di aver violato il loro dovere di fedeltà allo Stato, occultando le prove di un crimine. In nome di
un’altra fedeltà ai loro occhi più grande e assoluta“. In altri termini, i militari avrebbero
sistematicamente depistato le indagini e insabbiato le prove innalzando quello che è passato
alla storia come Il muro di gomma reso ancora più inquietante dalla lunga catena di morti
sospette tra i testimoni chiave.
A quasi 33 anni dalla strage di Ustica la nuova indagine sull’abbattimento del Dc9 dell’Itavia, che
si portò via la vita di 81 passeggeri, tra cui 11 bambini, procede in silenzio. C’è una nuova
testimonianza e dopo due anni la Francia ha finalmente risposto ad una rogatoria presentata
dalla Procura della Repubblica di Roma per capire le “presenze” nei cieli e nel mare il 27 giugno
1980. Si tratta di una prima, voluminosa e parziale risposta alle domande degli inquirenti che
attendono ora il completamento della fornitura di indicazioni. Tra i quesiti posti dai magistrati,
quelli riguardanti il traffico aereo la sera della tragedia: l’esecuzione di una esercitazione e la
presenza di navi vicino alla zona in cui il velivolo precipitò. Quest’ ultima domanda assume
particolare rilevanza anche alla luce della testimonianza di un pilota dell’Ati rintracciato per caso
nelle ultime settimane, il quale ha riferito che la sera precedente il disastro sorvolò il largo di
Ustica notando alcune navi tra cui una portaerei: circostanza, come riportato oggi da
Repubblica, che potrebbe assumere un particolare rilievo.
La nuova testimonianza di un pilota: “Vidi una flottiglia di navi”. “Sorvolai i cieli di Ustica al
comando di un volo di linea Alitalia, il giorno prima e, ancora, qualche minuto prima che
accadesse la tragedia (avrebbe raccontato il testimone al procuratore aggiunto ed al PM. “Dopo
alcuni minuti dal decollo dall’aeroporto di Palermo, sotto di me notai una flottiglia di navi: una
che sembrava una portaerei e almeno altre tre o quattro imbarcazioni. Ho commentato con
l’altro comandante questa presenza e quando seppi della tragedia pensai subito a
quell’addensamento navale”. Un racconto “attendibile e circostanziato” secondo il giudice
Ferdinando Imposimato, presidente onorario aggiunto della Cassazione. “Si integra
perfettamente con quanto è stato accertato negli ultimi tempi ovvero con l’ipotesi di un missile
partito da un aereo. Bisogna verificare la nazionalità della portaerei che si trovava nelle acque
territoriali italiane. Non si può escludere che proprio dalla portarerei sia partito il Mig libico che si
è poi abbattuto in Sila”, sottolinea Imposimato, che della vicenda di Ustica si occupò tra il 1987 e
il 1992, “Attendiamo le indagini dei magistrati romani e le verifiche, spero solo che non vengano
apposti segreti di Stato. Questo bloccherebbe ancora una volta le
indagini per accertare la verità. Ustica è ancora una ferita aperta”.
La tesi del missile è ormai stata certificata da una sentenza
passata in giudicato; quella della Cassazione nel giudizio civile
che ha visto lo Stato condannato a risarcire le famiglie delle
vittime. L’inchiesta della procura di Roma è ripartita alcuni anni fa
grazie alle dichiarazioni di Francesco Cossiga il quale disse di
sapere che “c’era un aereo francese che si mise sotto il Dc 9
Itavia e lanciò un missile per sbaglio”.
12/20
Se avessimo un centro anziani
di Elvio Mantovani
Questo dialogo è impostato su due personaggi di un’epoca passata; l’epoca degli anni 50/60,
quando iniziarono a formarsi le prime associazioni culturali.
Una volta usavano nomi strani.
I personaggi di cui seguiremo la discussione, non sono più giovanissimi e quindi i desideri di
svago nel tempo sono cambiati; lei con il nome Venusta, figlia di contadini, prima lavorava in
risaia, poi casalinga da quando incontrò lui.
Lui. Ermete, ex ferroviere della “squadra
rialzo San Donato” ed ora in sudata e
meritata pensione, con la passione delle
carte: briscola e tressette.
Ermete sta in piedi davanti alla finestra ed
osserva pensoso un punto imprecisato di là
dal vetro. Oggi è una bella giornata; un caldo
pomeriggio di sole; improvvisamente decide
di uscire: inizia a vestirsi rapidamente, come
fosse un giorno di festa, canticchiando e
sorridendo.
Venusta sospende il consueto lavoro
d’asciugatura delle stoviglie e lo osserva con aria stupita e indagatrice. Non lo aveva mai visto
così euforico come quel pomeriggio.
Lei, ferma al centro della cucina, con ancora il piatto ed il “burazzo” in mano, gli chiede:
«Ermete! Dov’è che stai andando così di fretta?»
Lui: «Mah… Venusta, mi è venuta voglia di andare al bar per una partitina a carte»
Lei: «Mô Ermete… In tanti anni che siamo insieme non ti ho mai visto così “in svarzura” per
andare al bar»
Lui: «Ogni tanto mi viene voglia di fare una briscolina all’ARCI con gli amici; fare due chiacchiere
e sentire cs'ai è ed’nov.»
Lei: «Hai ragione veh! Sono tanti anni che stiamo insieme ed avrai proprio voglia di vedere facce
nuove; E poi io sono sempre qui e mi vedi giorno e notte; ti sarai pure stancato di vedermi.»
Lui: «Mô dai!… Non volevo dire questo. Tra l’altro siamo rimasti solo noi due; I figli sono per
conto loro… Se non ci pensiamo a farci compagnia, chi si ricorda di noi?»
Lei: «E’ vero. Sono proprio tanti anni e ti dirò… Quando non ci sei sento che mi manca qualche
cosa, così, mi fermo un attimo e penso: se non ci fosse Ermete, chissà come sarebbe la mia
vita.»
Lui: «Ma dai Venusta; non essere triste. Vado a fare una partitina a carte qui nel bar dell’ARCI.
Sto via solo un’oretta, poi torno qui con te.»
Lei: «Bän… Va mô là… Ti lascio andare, però mi piacerebbe che anche a Molinella ci fosse un
circolo per anziani dove ritrovarsi tutti insieme. Magari anche tra noi donne, per raccontarci le
nostre storie, oppure fare dei ricami e magari invitare anche delle giovani per insegnarle a
ricamare.»
Lui: «Hai ragione. In tutti i comuni limitrofi ci sono centri anziani dove fanno tante iniziative: corsi
per uncinetto, serate per recitazione, racconti, poesie o filastrocche e tante altre attività.»
Lei: «Qui a Molinella, di tutto ciò non si è mai parlato e hanno sempre fatto finta di non
conoscere il bisogno che hanno gli anziani di tenere in esercizio la mente e di avere interessi: di
svago, di comunicazione, per non farci pesare troppo il pensare al tempo che passa.»
Lui: «Ohu! Ma sai che mi lasci stupito? Non ho mai sentito esprimerti in questo modo. Ti dirò…
Mé a son d’acôrd con tè. L’ARCI potrebbe essere il posto giusto e naturalmente ci vorrebbero
anche dei giovani. Ma sai… il problema è che l’ARCI è giudicata comunista: c’è ancora lo stesso
pregiudizio che c’era 50 anni fa; e dire che lè a ni n’an mai magnè di cinno.»
13/20
Lei: «Di bän só… Ma andan anc a pérders tachè a stà fòla? Quand s’andrà da Brèŝa, cosa ti
faranno? Ti metteranno un certellino al collo con scritto: questo è un comunista… Questo no…
Am pèr ch’a s’aréssan da vargugnèr!»
Lui: «An so propri brisa cs ai è d’là. Non ci sono mai stato. Ohu Venusta! Lasa pérder. Ho deciso
che ora non vado più. Voglio stare qui con te in tua compagnia.»
Lei: «Oh grazie Ermete: mi rendi felice. Vuole dire che mi vuoi ancore bene, come io ne voglio a
te.»
Al di là da questa storia inventata sono
convinto che, se andassimo ad intervistare un
campione di anziani, il desiderio che
emergerebbe sarebbe avere un centro dove
potere ritrovarsi per giocare, parlare,
confrontarsi e condividere.
Credo che tutti noi, confidando nella fortuna e
nella pazienza, diventeremo anziani e forse
allora penseremo a ciò che a Molinella non si è
mai voluto fare.
Questo articolo vuole essere un monito per
fare capire a coloro che ci governano che gli
anziani sono un patrimonio culturale ed una risorsa per la comunità.
Non è civiltà quella di una società che lascia l’anziano nell’emarginazione della solitudine.
L’anziano può dare ancora tanto a questa società, a questa classe politica, quantomeno in
termini di saggezza ed esperienze. Non dimenticatelo. Non siate indifferenti.
14/20
Lo scatolotto
di Claudio (il Rosso) Vitali
«Perché io, il signor B., l’ho conosciuto quando non era ancora B., sai?»
Mi disse posando il bicchiere e guardandomi con l’aria di chi sta per rivelare un segreto.
«Ero un giovane di belle speranze», proseguì con aria assorta «e lui era già un palazzinaro
importante: Avevo appena vent’anni e lui aveva già l’età di mio padre, allora, più di quaranta…
oltre qurant’anni fa. Però quasi nessuno immaginava quanta strada avrebbe fatto: io invece sì.
Me lo presentò un mezzo parente, il marito di una quasi cugina di mia madre, ebreo solo di
cognome, in realtà era di rito scozzese antico e accettato.»
Bevve un lungo sorso e riprese a parlare, con lo sguardo perso oltre il bancone di quercia,
fissando un punto imprecisato di là dalla carta da parati beige a rilievo che tappezzava le pareti
del pub.
«All’epoca cercava qualcuno che avesse le entrature giuste presso il comune di Arzachena,
aveva un progetto pronto, milioni di metri cubi, roba grossa. Io però volevo proporgli qualcosa di
diverso, di rivoluzionario: la televisione
commerciale. Pensa che allora erano appena
cominciate le trasmissioni a colori e sembrava
chissà che cosa, e lui era in trattative con Edilio
Rusconi per Rete4 e ancora non possedeva
Mondatori, ma aveva già messo un piede dentro
Italia1.»
Si schiarì la voce e continuò con un tono più basso,
quasi suadente:
«Non mi ricordo se Canale 5 si chiamasse già così,
ma penso di sì, da pochissimo. Trasmetteva,
abusivamente, a livello nazionale: pensa che
spedivano le video-cassette Betacam col corriere, da regione a regione, e si sincronizzavano
per mandarle in onda alla stessa ora in quasi tutta Italia.»
15/20
Sospirò.
«Io avevo avuto quest’idea geniale: la televisione interattiva, con quella che adesso
chiamerebbero set-top-box ma che allora nessuno sapeva come chiamare se non
scatolotto. Avevo un amico, una specie di ingegnere tedesco. Cioè era davvero tedesco, ma non
era proprio ingegnere, non aveva manco finito le superiori, però era un genio dell’elettronica;
girava coi circuiti integrati nel borsello, era una barzelletta perfino tra i geek come lui, solo che
allora nessuno li chiamava geek, ancora. Perché vedi, l’idea era di rendere la televisione
interattiva, che poi nessuno sapeva bene cosa volesse dire, allora, ma pareva il futuro; anche se
a malapena c’erano le reti a commutazione di
pacchetto nazionali malamente interconnesse a livello
europeo e ancora le gestivano le Poste, pensa te. E
invece... invece... »
Si bloccò e rimase a fissare le bottiglie di liquore
allineate sugli scaffali polverosi.
Gli misi davanti un altro bicchiere di Jameson 20 anni,
e la lingua gli si sciolse nuovamente.
«Dieter non pensava minimamente che l’effetto potesse
essere quello, sai? Lui cercava di ottenere un metodo
per la trasmissione dati che sfruttasse le onde
convogliate, sai cosa sono? No, ma che ne puoi sapere
tu, figurati. Va bene, non entro in dettagli tecnici, quelli non li capisco neppure io, fatto sta che
invece quello che ottenne fu una sorta di effetto mesmerizzante. Altro che i messaggi subliminali
ipotizzati da qualcuno! Non esagero quando dico mesmerizzante, qualunque persona con più di
sessant’anni od oltre dieci e meno di trenta rimaneva letteralmente ipnotizzata. E si beveva
qualunque cosa. Non so perché i bambini e i thirty e i fortysomething fossero immuni, ma di fatto
lo erano, almeno in larghissima parte. Prese tutto il pacchetto, naturalmente, gli bastò la
dimostrazione che organizzammo con due Telefunken e un trasmettitore VHF a circuito chiuso,
nella sala tempo libero di un pensionato per anziani.»
Bevve tutto d’un fiato e posò il bicchiere sul piano di cristallo con un suono secco.
«Deve tutto quel che è diventato, a quella fottuta invenzione: e noi stronzi che non l’abbiamo
nemmeno brevettata, abbiamo dato retta al suo ufficio legale, firmato un accordo tipo NDA. Sai
cos’è? Ma se non sai nemmeno l’italiano, figurati un acronimo in inglese. E sai la parte migliore?
Non c’ha mai pagato nemmeno la prima fattura, quel grandissimo figlio di puttana: siamo in
causa da allora e nel frattempo io sono fallito tre volte. Dieter è emigrato in Nuova Zelanda e
alleva pecore merinos, ha pure cambiato nome e non vuole più sentir parlare di questa storia, gli
fa troppo male.»
Grugnì e si girò verso di me con gli occhi spiritati.
«Che dici? Valeva una bevuta questa
storia? Non ci posso pensare che è
morto, il vecchio puttaniere, e non voglio
nemmeno sapere che fine ha fatto lo
scatolotto di Dieter. Sono ormai vent’anni
che cambio stanza se qualcuno appena
accende la televisione.»
Si alzò, uscì dal locale e sputò per terra.
Scomparve tra i vicoli prima che potessi
anche solo provare a chiamarlo.
Riposi il taccuino e il dittafono digitale:
Pagai il conto e uscii nella sera fresca di
fine autunno con le mani sprofondate
nelle tasche del finto Burberry, guardando
le stelle oltre i lampioni spenti e una falce
di luna che si rifletteva nelle pozzanghere.
16/20
Il circolo ARCI MOLINELLA si tinge di rosa
Di Paolo Angius
Il 2013 è stato, nella storia del circolo ARCI Molinella, l’anno della “rivoluzione rosa”.
Nella primavera di quest’anno, il rinnovo del quadro direttivo, ha visto come protagoniste due
donne, elette a ricoprire i ruoli più importanti. Alla presidenza, infatti, è stata eletta Cristina
Zagni, da sempre protagonista nelle attività ricreative del circolo ed ora, chiuso il suo percorso
lavorativo, si è voluta impegnare ulteriormente assumendo un ruolo di primo piano per impegno
e responsabilità.
Nell’economia circolo Cristina si potrà avvalere delle capacità di Anna Soverini, eletta come
tesoriere.
Anche Anna è una persona che si è sempre distinta in attività di volontariato, ed ora, chiusa
anche per lei la carriera lavorativa, si è resa
disponibile nel ricoprire un ruolo così delicato
ma, per fortuna di noi tutti, a lei congeniale, visti i
trascorsi lavorativi in ambito bancario.
A loro vanno tutti i nostri auguri di buon lavoro
che, soprattutto in un periodo difficile come
quello che stiamo attraversando, non basteranno
certo senza l’ausilio di tutto il consiglio e dei
volontari nelle attività del circolo.
Con Cristina alla presidenza ed Anna alla
tesoreria, sono stati eletti consiglieri: Mantovani
Elvio (vice presidenza), Piazzi Alfio e Montosi
Paola (gestione bar), Griggio Olindo (relazioni
con enti), Benfatti Guido (attività e contatti),
Angius Paolo (direttivo provinciale), Sibilio Luigi e Moscatelli Edoardo (coordinamento gruppo
giovani).
Sono stati inoltre confermati responsabili per il gioco
della tombola i volontari: Costa Demetrio, Martinelli
Mario, coadiuvati da Bondanini Giuliano, Mazzacurati
Franco.
Martinelli e Griggio sono anche i coordinatori del
gruppo turistico e dei rapporti con “Sugar Viaggi
Bologna”, e San Nicolò.
Colgo l’occasione per ringraziare chi, in questi anni,
sotto la mia presidenza, si è prodigato affinché il circolo
riuscisse a mantenere tutti i suoi impegni, aggiungendo
alle già consolidate attività, anche la creazione del
“gruppo giovani” e la redazione della presente
pubblicazione.
Buon lavoro a tutti.
17/20
La vecchiaia
Di Elisabetta Muroni
La popolazione anziana in Italia è destinata ad aumentare nel prossimo futuro. Secondo le
previsioni ISTAT nel 2020 circa il 23% della popolazione avrà più di 65 anni ed aumenterà la
speranza di vita. Una buona parte di questi anziani soffrirà di patologie croniche e disabilità che
ne potranno compromettere l’autosufficienza come il Morbo di Parkinson, l’Alzheimer o la
demenza. Per questi motivi è necessario prepararsi alla vecchiaia in “buona salute“, in pratica
adottando stili di vita che limitino i danni dell’invecchiamento, ad esempio, seguendo diete
equilibrate, non fumando, non consumando alcool o droghe.
Le patologie legate alla vecchiaia sono diverse e spesso correlate tra loro ma in generale
possiamo dire che tutti gli apparati del corpo umano subiscono dei cambiamenti significativi.
Da sempre però la più temuta malattia dell’anziano è quella a carico del sistema cognitivo. Un
soggetto anziano ha più probabilità di essere confuso nel tempo e nello spazio, più difficoltà
mnemoniche ed attentive: può perdere la capacità di esprimere le sue necessità. In alcuni casi
più eclatanti, al decadimento cognitivo, si sommano sintomi di natura psicotica come deliri ed
allucinazioni, ansie immotivate, toni dell’umore altalenanti, depressione. L‘anziano inizia a
sentire e vedere cose che non esistono nella realtà, ha frequenti momenti di malinconia
accompagnati dal pensiero d’essere inutile ed un peso per la famiglia ed inizia ad isolarsi dal
contesto sociale.
Possiamo perciò dire che la vecchiaia è
accompagnata non da una malattia ma da una
“sindrome“, cioè da un insieme di sintomi che è
bene cogliere fin dagli esordi.
Agendo tempestivamente e con gli opportuni
approcci terapeutici è possibile rallentare
notevolmente il decadimento. Una persona
anziana non va lasciata sola perché l’isolamento
può portare all’apatia, al senso di inadeguatezza
ed al calo delle performance nelle attività
quotidiane. Un soggetto che ha problemi di disorientamento può smettere di mangiare, di curare
il suo aspetto fisico, non sa più amministrare il suo denaro, usare un telefono, guidare la
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macchina. All’inizio sono molto abili a nascondere queste lacune ed i parenti si accorgono solo a
cose fatte dei cambiamenti quando magari la persona già si perde e non riesce più a tornare a
casa. Ma quello che è più importante queste persone smettono di programmare il loro futuro
(tanto sto per morire) e non desiderano nient’altro che la fine. E’ invece fondamentale sapere
che, anche quando il quadro clinico sembra senza speranza, c’è la possibilità di aiutare anziano
e famiglia a raggiungere uno stato di benessere soddisfacente nel rispetto della dignità della
persona che si assiste.
Le emozioni dell’assistenza
I familiari che assistono una persona non autosufficiente sono spesso scoraggiati, confusi e
depressi per l’ingrato compito che devono assolvere. Sperimentano la collera quando al loro
investimento emotivo e di energie non corrisponde una buona riuscita dell’intervento e si
sentono sempre più in colpa perché provano sentimenti ambivalenti di odio/amore per il loro
congiunto. Possono provare senso di impotenza cioè non sentirsi adeguati alla situazione
soprattutto se affrontano il percorso da soli e più progredisce la malattia più si chiudono attorno
alla persona malata finendo di non aver una vita propria. Ci sono poi parenti che non accettano
l’idea della malattia e si attivano i mille modi diversi per tenere la situazione sotto controllo ed
altri invece che accettano con fatalistica rassegnazione tutto.
Cosa si può consigliare a chi inizia ad approcciarsi a questo difficile compito?
In primis rispettare la persona, la sua storia ed identità personale in quanto importanti risorse cui
attingere per un percorso terapeutico e poi avere un atteggiamento flessibile di adattamento a
ciò che capiterà, concentrandosi sempre e solo sul momento che si vive e non fantasticando su
scenari futuri. Quando poi le risorse non sono più sufficienti per gestire la persona, non bisogna
aver timore di chiedere aiuto. Una persona estranea al nucleo famigliare, proprio perché meno
coinvolto emotivamente, può avere un approccio più distaccato e più logico. Nessuno conosce il
malato meglio della sua famiglia di riferimento e un buon medico, uno psicologo, un assistente,
attingono a piene mani dalle informazioni del parente.
Fondamentale è sapere che nel caso di una riabilitazione cognitiva nell’anziano l’obiettivo non è
il ripristino delle facoltà iniziali ma il recupero più o meno in parte di qualche funzione e il
rallentamento del decadimento.
L’obiettivo è il benessere della persona partendo da quello che è diventata nel tempo e che
diventerà a seguito della malattia.
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Al termine di un anno particolarmente fattivo, il gruppo turistico 3° Millennio Molinella/S. Nicolò,
si presenta agli amici turisti con il programma delle iniziative 2014.
La situazione generale non è, purtroppo, delle migliori, ma, da parte nostra, vogliamo lanciare un
messaggio di fiducia attraverso una varietà di proposte adatte ad un Vasto pubblico.
Il nostro impegno è, come sempre, quello di fornire un buon rapporto qualità/prezzo per le nostre
gite, affinché il favore, di cui gli amici turisti ci hanno gratificato fin dal lontano 1997, si consolidi.
Nell’augurare a tutte le persone che ci sono vicine e famiglie gli auguri per le prossime festività,
Vi aspettiamo numerosi anche nel 2014 per vivere insieme tante altre esperienze di viaggio.
Olindo Griggio
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