LE PLAISIR - IL PIACERE
N
I L FILM SCENA PER SCENA
el primo episodio (Le Masque) un medico soccorre un ballerino che si è
sentito male e scopre trattarsi di un vecchio truccato da giovane. Nel secondo episodio (La Maison Tellier), il più stilizzato nella fotografia dei paesaggi, il gruppo delle prostitute della Maison passa una domenica in campagna
perché la padrona del bordello deve far da madrina alla figlia del fratello. Nel terzo
episodio (Le Modèl) si rievoca sulla spiaggia il contrastato amore di un vecchio e
un’invalida quando lei fu spinta a tentare di suicidarsi.
I L LORO PARERE
Francia, 1951, 93 min
Titolo originale: Le plaisir
Produzione: Edouard Harispuru, M. Kieffer, Max Ophuls
Sceneggiatura: Jacques Natanson, Max
Ophuls, da tre racconti di Guy de Maupassant
Fotografia: Christian Matras
Colonna sonora: Edmon Audran, Joe
Hajos, Jacques Offenbach, Robert Planquette, Maurice Yvain
Con Ep. Le Masque: Gaby Morlay (moglie
di Ambroise), Claude Dauphin (il dottore),
Jean Galland (Ambroise il ballerino).
Ep. La Maison Tellier: Madeleine Renaud
(Madame Tellier), Ginette Leclerc (Balançoire), Mila Parély (Mila), Danielle Darrieux
(Rosa), Pierre Brasseur (commesso viaggiatore), Jean Gabin (Joseph Rivet).
Ep. Le Modèl: Daniel Gélin (il pittore), Jean
Servais (l’amico), Simone Simon (la modella).
Nel ’64 andai a Cannes a “La Semaine de la Critique” con Prima della rivoluzione. Il film ebbe una serie di, per me e la famiglia, una serie di storiche stroncature dalla critica italiana. Piacque molto invece ai francesi a
partire dai Cahiers du Cinéma ed ebbe qualche premio tra cui un Prix Max
Ophüls. E quindi il premio Max Ophuls era legato a questo grande regista,
mitico,, io avevo 23 anni, di cui avevo visto soltanto Lola Montès. Sapevo
che era un regista mitico. Però per qualche motivo strano c’è voluto un Oscar 1954: Nomination Miglior scenograpremio per costringermi a guardare i film di Max Ophüls per capire perché fia per film in bianco e nero.
qualcuno aveva pensato di dare questo premio a Prima della Rivoluzione.
La cosa è andata avanti abbastanza lentamente finché negli anni ’70 Claire,
mia moglie, un giorno – eravamo a Parigi – ‘ecco ti faccio un regalo meraviglioso’. Aveva scoperto che davano in un cinemino del quartier Le Plaisir. Siamo andati, io con una certa trepidazione, e Claire ripetendomi che
secondo lei io ero stato molto influenzato nel mio cinema da Max Ophüls
… E’ successo qualcosa di molte molto forte in qualche modo. Il film incomincia, sono tre episodi tratti da Maupassant, Le Masque, Maison Tellier
e Le Model. Il primo episodio passa. Io entro in uno stato di trepidazione,
dall’agitazione all’eccitazione, a una forma quasi di, oserei dire, di orgasmo
cinefiliaco, di piacere assoluto, totale. Sento che mi è venuta la febbre e
dico a Claire che non ce la faccio più. Abbiamo visto il primo episodio e i
prossimi li vedremo un’altra volta e siamo usciti. Io non la smettevo più di
parlare camminando per Parigi. Ed era vero, non era un trucco, non era
qualcosa di gonfiato, ecco. Era una sensazione fortissima, qualcosa forse
di mai provato. Comunque entrai dentro, tutto, in immersione completa nel
primo episodio de Le Plaisir e dopo di che non cela facevo a vedere il resto.
Mi era piaciuto troppo. Qualcosa, devo dire, che non mi è più successo in
questo modo. Poi il film era stato tolto… La seconda volta andammo a vedere Le Plaisir a Londra e lo stesso fenomeno avvenne col secondo episodio La Maison Tellier. Rivedo il
primo, perla prima volta il secondo. Di nuovo una specie di parossismo, di tachicardia, diciamo pure di rapimento estetico totale. E qui un pochino giocando, per ripetere la prima esperienza dico a Claire, non ce la
faccio più, andiamocene, vedremo un’altra volta il terzo episodio. Il terzo episodio, quello in fondo più drammatico e forse anche il più moderno, la storia d’amore di un pittore e della sua modella. Mi ricordo lo vedemmo
al Filmstudio qui a Roma. E così in un giro notevole di anni e in tre volte sono riuscito a vedere tutto Le Plaisir.
Voglio dire, è il caso di qualcuno, cioè me, che non sono più in controllo di quella che è la mia risposta non
solo emotiva ma quasi fisiologica. Ogni volta dopo un nuovo episodio mi veniva la febbre, non era la febbre
vera forse, se l’avessi misurata avrei avuto solo 37 e 1, però sentivo che il cuore andava veloce, in agitazione…
Io ho capito o ho creduto di capire che cosa aveva spinto la giuria del Premio Max Ophüls a darmi un premio
con quel nome. A questo punto quel nome era diventato per me una specie di feticcio…
Bernardo Bertolucci
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Secondo film francese di Max Ophüls dopo il suo rientro da Hollywood (1946-49), tratto da tre racconti di
Guy de Maupassant, narrati dallo scrittore (voce originale di Jean Servais). Il piacere è confrontato con la vecchiaia (La maschera), la purezza (La casa Tellier), il matrimonio (La modella). “La felicità? La felicità non è
allegra” è la battuta finale che ne riassume il senso. La maschera è un esercizio di regia d’alta classe, ricco di
temi e risvolti. La casa Tellier è una vetta nel cinema di Ophüls: una trasposizione di Maupassant eguagliata
soltanto dal Renoir di Une partie de campagne. Raramente una intera e complessa storia d’amore era stata
condensata così felicemente in 20 minuti come nel terzo episodio. Accolto freddamente e senza successo
quando uscì (attaccato dai benpensanti per il secondo episodio “scandaloso”), fu rivalutato negli anni ‘60.
Raffinato sino al virtuosismo, l’inconfondibile stile di Ophüls consegue “l’ideale conciliazione tra l’impressionismo francese e il barocco germanico”. Scene di Jean d’Eaubonne e Jacques Guth; costumi del russo Georges Annenkov; musiche su temi di Offenbach. La fotografia è di C. Matras nel primo e terzo episodio, di Ph.
Agostini nel secondo.
Luisa, Laura e Morando Morandini, Dizionario dei Film, 2004
Ispirato da tre racconti di Guy de Maupassant, Le Plaisir appartiene ad un genere che era ancora nuovo nel
1952. Il film antologico era stato inventato nel 1948 in Inghilterra dal produttore della Gainsborough Sydney
Box, quando raccogliendo quattro racconti di W. Somerset Maugham, realizzò “Quartet” (Passioni, di Ken
Annekin, Arthur Crabtree, Harold French, Ralph Smart). Il film ebbe un tale successo che fu seguito da “Trio”
(1950) e “Encore” (Gigolo e Gigolette, 1952).
Con Le Plaisir si inverte il peso della presentazione tra autore letterario e regista. Tanto nei tre film inglesi era
Maugham in primo piano, quanto nel film francese Maupassant resta in seconda fila…
Al suo apparire in Francia, Le Plaisir fu tacciato come una parodia tedesca di un grande scrittore nazionale.
André Bazin fu particolarmente avverso. Preferendo la competenza al genio, ribadì la sua disapprovazione per
la complessità dell’approccio stravagante di Ophüls. Apprezzamenti più sensibili vennero in seguito da Claude
Baylie, François Truffaut, e più in particolare da Jean-Luc Godard che non mai mancato di lodare Le Plaisir
come il “migliore film francese dopo la Liberazione”….
Victor F. Perkins, Film Quartely, autunno 2008
Questi tre occasioni di confrontare il piacere con
l’amore, la purezza con la morte, per
richiamare gli stessi termini
del narratore, costituiscono
uno dei film più brillanti di
Ophüls, e uno di quelli in
cui si è così vicini alla perfezione come per Lettera
da una sconosciuta e I
gioielli di Madame de….
Interpretando
liberamente
Maupassant,
Ophüls dà a ciascuna
delle tre storie un tono maggiore che riappare minore nelle altre due: melanconia nella prima, ironia e giubilo nella seconda, morbida
tristezza nella terza. Le tre sfumature insieme portano a questa gravità. Nell’universo di Ophüls l’uomo non può scappare anche se passa tutta la sua esistenza a fuggire.
Sul piano dello stile Le Plaisir rappresenta “l’ideale conciliazione dell’impressionismo francese con il barocco
tedesco” (Claude Baylie).
Jacques Lourcelles, Dictionnaire des films, 1992
… Maupassant, in Francia e per i francesi, è comunque ben altro. Di qui la ferocia sciovinista con cui Le
Plaisir, realizzato da un « viennese » (?) con i costumi di un russo (Annenkov) e le musiche di un ungherese
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(Joe Hajos), sarà accolto a Parigi. A parte la rozzezza di certi attacchi che, letti ora, possono apparire risibili
(ad esempio : “ Il fatto che Max Ophüls metta in scena Maupassant è quasi bizzarro, così contro natura come
se Freud ci spiegasse La Fontaine. Si direbbe a Freud: ci lasci in pace; vada a circolare altrove! Si ha voglia di
dire la stessa cosa a Ophüls”, Michel Braspart, Opera, 1951, lo stesso Sadoul non è poi tanto lontano da quei
sentimenti (Les Lettres Françaises, 1951). E Bazin, ammiratore peraltro di Lola Montès, qui sembra infastidito
dalla scenografia e particolarmente dalla fila di angeli sospesi al soffitto della chiesa normanna di La Maison
Tellier: “Max Ophüls ha schiacciato Maupassant sotto il lusso fallace dei dettagli, la finezza del décor, la sontuosità della fotografia, il brio dell’interpretazione… Le origini viennesi (?) del regista sono evidenti in una
certa tendenza espressionista che appesantisce l’immagine, e nei dettagli incongrui, come l’interno della chiesetta, piena di angeli e di volute, direttamente sfuggiti da qualche cappella bavarese” (L’Observateur, n. 95,
1956). Gli stessi Cahiers du Cinéma attenderanno sei anni (e la morte di Ophüls) prima che Godard possa scrivere: “Le Plaisir è il romanticismo tedesco in una porcellana di Limoges. Ed è anche l’impressionismo francese
in uno specchio di Vienna” (Cahiers du Cinéma, n. 81, 1958)…
Michele Mancini, Max Ophüls, luglio-agosto 1978
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I GIOIELLI DI MADAME DE...
Francia/Italia 1953, 101min. b/n
Titolo originale: Madame de...
Produzione: Ralph Baum
Sceneggiatura: Marcel Achar, Max
Ophuls, Annette Wademant, dal romanzo
Madame de di Louise de Vilmorin
Fotografia: Christian Matras
Colonna sonora: Oscar Straus, Georges
Van Parys
Con Danielle Darrieux (Louise, contessa
de…), Charles Boyer (generale André),
Vittorio De Sica (Fabrizio Donati), Jean
Dubucourt (Rémy il gioielliere), Lia Di Leo
(Lola).
A
I L FILM SCENA PER SCENA
vendo bisogno di denaro, Louise vende due orecchini a forma di cuore, dono
nuziale del marito, al gioielliere M.Rémy, da cui erano stati acquistati. Giacché, per riuscire nel suo intento, la donna ha dovuto simulare lo smarrimento
dei preziosi, l'alta società parigina è messa a scompiglio dalla notizia di un probabile
furto. Spaventato dalle dimensioni assunte dall'evento, il gioielliere mette al corrente
della verità il generale André de..., il marito, che, per amor di discrezione, gli ricompra i gioielli, facendone dono, subito dopo, ad una sua protetta in partenza per
Costantinopoli.
Ed è in una bottega di questa città che divengono proprietà del diplomatico italiano,
barone Fabrizio Donati, dopo che la dama, complice la sua passione per la roulette,
se ne è dovuta liberare ben presto. Di ritorno a Parigi, sede della sua missione, il
barone conosce Louise e la simpatia tra i due è immediata. E, di ballo in ballo,
l'amicizia tra i due diviene un fatto di pubblico dominio, alla cui evidenza neppure
il generale, per quanto distratto dalle sue occupazioni militari, può sottrarsi. Per
sfuggire all'umiliazione, Louise parte per un lungo soggiorno in Italia. Porta con sé
due orecchini a forma di cuore, che il diplomatico le ha donato in uno dei pochi
momenti di intimità concessi loro. Il distacco produce il solo effetto di rafforzare la
passione e al ritorno in Francia la situazione precipita.
All'ennesimo ricevimento, spinta dal desiderio di esibire i gioielli, pegno del loro
amore, Madame de...mette in scena un loro improvviso ritrovamento all'interno di
un guanto. Ma il marito sa che così non può essere ed è certo di conoscere la loro
provenienza, una certezza che, messo alle strette, il barone Donati conferma, accettando anche di rivendere gli orecchini al gioielliere, da cui André li comprerà
per la terza volta, per regalarli ad una cugina in difficoltà.
L'ormai anziano diplomatico, forse alla sua ultima avventura, desideroso di pace
e anche irritato dalla leggerezza e dalle bugie di Louise, ha deciso di porre fine
alla loro relazione. Non è questa, tuttavia, la convinzione del generale, soprattutto
allorché il gioielliere gli riferisce che la moglie ha ricomprato i due diamanti, impegnando gran parte dei propri averi. Minacciato nella sua immagine di rispettabilità borghese, sfida allora a duello, con futili pretesti di onor militare, il barone Donati.
La disperata corsa di Louise, prima all'altare della Madonna per implorare, con l'offerta dei due orecchini, il suo aiuto, poi
sul luogo dello scontro, non varrà a salvare la vita dell'amato e farà scoppiare il suo cuore malato.
I L LORO PARERE
I gioielli di Madame de… (1953), che senz’essere una grande cosa è tuttavia fortemente indicativa. Anche rapportato al suo tempo, tutto il film risulta – come dire? – anacronistico. La storia è d’altri tempi, i personaggi
sembrano usciti da una stampa della bella époque, lo stile è di una raffinatezza quasi barocca. Contribuisce all’impressione la presenza di tre illustri attori un po’ appassiti dagli anni. Danielle Darrieux, Charles Boyer e
Vittorio De Sica. Tenuto conto che siamo nel 1953. I gioelli di Madame de… può essere considerato un film
sorpassato e persino inutile. D’altra parte sta lì a confermare una linea da cui Ophüls non si è mai staccato: rievocazione di ambienti fastosi o decorativi di principio secolo, messa a fuoco di una società galante, futile e cinica non immune da amarezze e da tragedie dove comunque il tema dominante è l’amore con tutte le sue
complicazioni e le sue sfumature, completo distacco dalla realtà contemporanea, cura formale ispirata ad
un’estrema eleganza. A proposito di distacco dalla realtà, è da osservare che il regista ebbe molte e tristi esperienze. Fu perseguitato, in quanto ebreo, dal nazismo e dovette fuggire dalla Germania in Francia, invasa la
Francia dai tedeschi, fu costretto a riparare in America dove per l’intera durata della guerra non riuscì a lavorare.
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Eppure di tutto questo non esiste traccia
nell’opera. La sua tendenza costante è
quella di evitare i problemi e gli aspetti dell’oggi per rifugiarsi nella descrizione compiaciuta e affettuosa, a volte sarcastica, a
volte maliziosa, a volte profondamente
desolata e malinconica, di un mondo
lontano, romantico, ritratto non secondo
un metodo di rigore storico ma attraverso l’ottica deformante del misto
nostalgico: ricordiamo, tra le sue pellicole più note Lettera da una sconosciuta, La ronde (che ebbe qui in Italia grosse noie
con la censura), Il piacere, da tre racconti di Maupassant, e nel
1955, due anni prima di morire, Lola Montes, originale biografia della celebre
danzatrice e mantenuta, un film sfortunato che fu poi rimaneggiato dalla produzione. Forse aver
riproposto I gioielli di Madame de… isolato è stato un errore: si poteva, con le pellicole che abbiamo nominato,
formare un bel ciclo dal quale il bizzarro talento di Ophüls avrebbe avuto una completa e convincente illustrazione. Sparato fuori così bruscamente, il regista può aver dato l’idea a chi non lo conosceva di un autore in ritardo di parecchi lustri, malato di preziosa calligrafia.
Ugo Buzzolan, La Stampa, 7 agosto 1973
… L’alta società francese di mezzo secolo fa, inamidata, amabile e ipocrita, alla quale l’etichetta impone di reprimere i sentimenti e proibisce di dare il “tu” a chicchessia, s’impiglia ne I gioielli di Madame de… in un viluppo di intrighi. Stavolta il circolo chiuso è luccicante e prezioso, nasce da due orecchini a forma di cuore
che il generale de… (Charles Boyer) regala a sua moglie (Danielle Darrieux); e che si allontanano in più riprese
dallo scrigno della signora e in più riprese vi tornano. Ella li vende per pagare certi suoi debiti; suo marito li
riacquista, per offrirli a sua volta a una sua amante (Lia Di Leo), all’atto del congedo, anche questa amante li
vende, e stavolta li compera l’ambasciatore italiano Donati (Vittorio De Sica), il quale li donerà ancora a Madame de…, ch’egli ama, riamato. Il marito generale, scoperto l’adulterio costringe la moglie a sbarazzarsene;
poi li acquista una terza volta, per regalarli a una parente povera. Di nuovo, Madame de… li recupera, ma non
le porteranno fortuna: il mal di cuore la uccide, mentre suo marito e l’ambasciatore si battono in duello. Gli
orecchini che vanno e tornano sono solo un sorridente pretesto al romanzo sul triangolo d’amore, due uomini
e una donna… E’ un romanzo raccontato talvolta con mano leggera quanto è massiccia l’invenzione. I bei dialoghi di Auchard fanno schiuma, coprendo di vaporosi, delicati e piccanti nulla la compatta a abusata materia… Fantasiosamente costruito, splendidamente interpretato da tre attori di classe, esso conferma, in buona
parte, che la narrativa cinematografica francese ha trovato nell’austriaco Ophüls un dotato illustratore, quando
l’intreccio gli offra possibilità di rifarsi, con nostalgica evocazione, alle malizie dell’epoca galante della quale,
dicono, i nostri padri godettero. Se Ophüls non fa quadro, sa fare bozzetto. E spesso ingegnosamente: si pensi
alla strana soluzione del duello, che ha esito mortale, ma non è certo che muoia un duellante, almeno non
risulta. Muore, uccisa da uno sparo che rimbomba nel bosco, colei contro la quale la pistola non era puntata.
E si pensi alla disinvoltura con cui è superato il disagio dell’anagrafe: questi ardenti amori di donne e uomini
con i capelli bianchi, in equilibrio sul filo rosso teso tra due abissi paurosi, il sublime da un lato e dall’altro il
ridicolo.
Arturo Lanocita, Il Corriere della Sera, 25 novembre 1953
Pochi film sono costruiti su così tanti livelli e con un’economia di mezzi tanto sorprendente, quanto il sublime
I gioielli di Madame de… di Max Ophüls. Louise (Danielle Darrieux) si fa chiamare “Madame de….” Per
mantenere l’anonimato come si addice al suo ceto sociale: gli orecchini da impegnare che vediamo nei primi
fotogrammi, la faranno precipitare nel dramma. La macchina da presa segue gli orecchini, rivelando infine
Louise in uno specchio, circondata da tutti i suoi beni. Da quel momento in poi, Ophüls non ci permetterà più
di trascurare le basi di quel mondo opulento: il fluire dei soldi e dei debiti, i servitori onnipresenti, il rito prima
dell’apparizione pubblica. Dopo la casa e il banco di pegni, c’è la chiesa (luogo d’ipocrisia borghese) e l’Opera,
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dove tutto viene ostentato: lì incontreremo il marito di Louise, André (Charles Boyer), felice finché può controllare gli affari che stanno alla base del suo “sofisticato” matrimonio. Quando gli orecchini ritornano nelle
mani di André per la terza volta – e Louise si è pericolosamente innamorata di Donati (Vittorio De Sica) –
quella che avrebbe potuto essere solo una bella idea (gli orecchini che collegano tutti i personaggi richiamandosi
al precedente film di Ophüls (La ronde, 1950) arriva infine ad articolare tutte le distinzioni cruciali tra trama
e tema. Per Louise, che vive in uno stato di negazione delle condizioni che permettono la sua libertà, gli orecchini sono un pegno del suo amore per Donati; per André, essi rapprendano un simbolo di possesso, di quel
potere patriarcale, militare e aristocratico che esercita sul destino delle persone. I gioielli di Madame de… è,
al tempo stesso, freddo, brutale, compassionevole e commovente. Ophüls tratteggia questo mondo con precisione brechtiana, senza mai simulare la forza e il significato dei desideri individuali repressi. Anche quando i
personaggi si dibattono nelle loro metaforiche prigioni o si mettono in trappola l’un l’altro, la loro passione ci
commuove: in maniera totale, quando, come un carceriere, André chiude le finestre per Louise dicendo, come
sussurrasse un segreto: “Ti amo”.
(Adrian Martin: 1001 film da non perdere, 2004)
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LOLA MONTES
I L FILM SCENA PER SCENA
A conclusione di una rumorosa parabola, minata nel fisico e nello spirito, Lola Montès, al secolo Maria Dolores Porriz y Montès, è divenuta attrazione circense, in
uno spettacolo gestito da un avido e spregiudicato impresario. In dodici quadri viventi, tra numeri equestri ed evoluzioni di equilibrismo, è essa stessa a interpretare
gli avvenimenti di cui fu protagonista, introdotti e accompagnati dalla voce narrante
del presentatore-impresario. Il famelico pubblico viene così accompagnato attraverso i primi passi della vita della famosa danzatrice; dal rientro dalle Indie, a seguito della morte del padre, sino al primo disastroso matrimonio con un ufficiale
scozzese, uomo violento e dedito al bere, sottratto alle attenzioni della madre, che
avrebbe voluto darla in sposa a un ricco, quanto anziano, banchiere. Di qui, per le
capitali di tutto il mondo, prende il via la sua carriera di mantenuta di teste coronate,
artisti e uomini d'affari. È in affettuosa intimità con Franz Liszt. A causa sua si sfiora
una crisi diplomatica internazionale. Entra nelle grazie di Ludovico I di Baviera, divenendone la favorita. Il comportamento del sovrano, ritenuto offensivo della dignità dello Stato, è all'origine di moti di piazza. Nottetempo, Lola fugge
accompagnata da uno studente nazionalista, che le giura eterna fedeltà. Ma la
donna ha ormai smesso di sognare e accetta la proposta, rivoltale tempo addietro
dall'impresario circense. Nonostante il parere contrario del medico, Lola conclude
lo spettacolo, con un volo dall'alto, senza rete di protezione, per poi offrirsi, nel
serraglio delle belve feroci, in pasto allo sguardo ravvicinato del pubblico, per la
modica spesa di un dollaro.
Francia/Germania ovest, 1953, 110 min.
Titolo originale: LolaMontès
Produzione: Albert Caaraco
Sceneggiatura: Max Ophuls, Annette Wademant, Jacques Natanson, dal romanzo
La vie extraordinaire de Lola Montès di Cécile Saint-Laurent
Fotografia: Christian Matras
Colonna sonora: Georges Auric
Con Martine Carol (Lola Montès), Peter
Ustinov (direttore del Circo), Walbrook
Anton (Luigi re di Baviera), Oskar Werner
(lo studente), Will Quadflieg (Franz Liszt)
I L LORO PARERE
… Ophüls è stato in più occasioni definito un “maestro” nel manovrare la
macchina da presa: in realtà la sua maestria è tutta esteriore, stucchevole,
e gli scorazzamenti della camera nove volte su dieci sono ingiustificati e
fastidiosi. Ciò accade anche in Lola Montes, dove il tecnicismo fine a se
stesso di Ophüls si riscatta in alcuni punti tramite l’impiego non sempre
volgare del cinemascope con funzioni ora psicologiche ora decorative. Ma anche a questo proposito si potrà
rilevare che Ophüls non ha detto una parola nuova nell’uso del cinemascope: non basta infatti circoscrivere
con dei mascherini le scene intime per fornire degli elementi validi a un più razionale impiego del nuovo
mezzo. L’azione “presente” si svolge in uno strano e stilizzato circo americano, sulla cui pista il direttore (Peter
Ustinov, un attore i cui mezzi sembrano fatti su misura per dar vita a personaggi da circo equestre) racconta i
vari episodi della vita di Lola Montes, interprete la stessa Lola Montes. Con arditi e talvolta indovinati “flashbacks”, si passa periodicamente agli episodi narrati: gli amori di Lola, la sua giovinezza, la sua passione per
Liszt, per uno studente tedesco, per il re di Baviera. Realtà e fantasia sono mescolate senza troppa intelligenza
(è noto che Ophüls si preoccupa poco del racconto cinematografico e della sua scorrevolezza, e molto più della
composizione interna delle inquadrature). La narrazione frammentaria ha come conseguenza l’impossibilità
di dare alla protagonista un carattere definito con chiarezza. E qui una parte della colpa va girata a Martine
Carol, che è assolutamente inadeguata nel personaggio della Montes…
Cinema Nuovo, 10 aprile 1956
… Ophüls ha immaginato che Lola Montes, la quale si esibì in un circo equestre, prima di spegnersi, in America,
a quarantadue anni, rievocasse davanti al pubblico la sua esistenza, idealizzata, di amatrice, una delle famose
amatrici che fecero scandalo nell’Ottocento. I suoi rapporti con Liszt, i suoi matrimoni, i suoi adulteri; ma spe25
cialmente la relazione con il vecchio re di Baviera, l’esaltato Luigi I: come nacque, come fiorì, come condusse
alla rivolta popolare. Nei capitoli del circo equestre la pellicola avverte l’influsso del cinema tedesco, e specie
di quello di Sternberg di Capriccio spagnolo: ne ha il bizantinismo e la pesantezza ornamentali, specie nelle
cortine, nei tendaggi, nei lampadari, nelle cancellate, che dominano i primo piani. Più levità e minore fumisteria,
invece, nel capitolo, ora arguto e drammatico, alla corte di Baviera, chiuso con la fuga notturna di Lola. I colori
sono di effetto discontinuo come l’intero film: suggestivi e miti talvolta, talaltra sfacciati e volgari. Il copione
ripete la sommaria psicologia di Cecil Saint Laurent (l’autore di Caroline Cherie), al quale è dovuto il romanzaccio che Ophüls ha adoperato. La musica di Georges Auric, che arieggia quella della Ronde, è facile fragorosa
ma spesso dilettevole. Martine Carol è la Lola Montes che ci voleva, lasciva e accorata come tutte le etere…
Un film strano, stentoreo, pletorico, contiene eccellenti e mediocre pagine assieme. Non racconta la vita di
una donna, ma di un “fenomeno”, al rullo del tamburo.
Arturo Lanocita, Il Corriere della Sera, 24 marzo 1956
… Il film di Ophüls, il suo ultimo (e unico a colori) non è una biografia convenzionale; egli costruisce un’opera
stravagante e assai barocca. In parte circo, in parte dramma, ricca di flashback, facendo vorticare la sua famosa
macchina da presa intorno a una elaborata scenografia. Martine Carol, nel ruolo della protagonista, regala
un’interpretazione cupa, emotivamente vitrea, e il re meditabondo di Anton Walbrook quasi le ruba la scena.
Proprio a causa di tutte le sue limitazioni, però, la Carol si adatta perfettamente all’idea di Ophüls. Come sempre, l’interesse del regista sta nell’abisso tra l’amore ideale e la sua disincantata e incrinata realtà. La sua Lola
è solo un vuoto su cui gli uomini proiettano le loro fantasie; il suo destino finale, come attrazione di un circo
dove vende baci per un dollaro, riduce la sua professione alla sua logica più cruda. Lola Montes, classico film
maudit, fu massacrato dalla distribuzione e per lungo tempo è stato disponibile in una versione accorciata; un
recente restauro, però, ci riconsegna il canto del cigno di Ophüls nella sua completezza e intensità:
Philip Kemp, 1001 film da non perdere, 2004
… E’ un segno inquietante che Lola Montes, abbia suscitato una controversia. Che il pubblico si stupisca delle
piccole audacie di Max Ophüls (flashback che non seguono l’ordine cronologico; giochi di maschere sullo
scomodo schermo del Cinemascope) la dice lunga sulla pigrizia intellettuale degli spettatori. Vent’anni di montaggio accademico hanno un effetto negativo. Ogni cosa che viola le abitudini percettive diventano ora oggetto
di scandalo.
Raymonde Borde, Les Temps Modernes, gennaio 1956
Dal romanzo La vie extraordinaire de Lola Montès di R. de Cecil
Saint-Laurent, adattato da Jacques Natanson, Annette Wademant
e Ophüls. Maria Dolorès Porriz y Montez, contessa di Lansfeld,
rievoca in 7 momenti i suoi prestigiosi amori (Liszt, Luigi I di
Baviera ecc.) e le sue pene. È il capolavoro (e una sorta di testamento) dello squisito, geniale Max Ophüls, l’opera dove - sullo
sfondo di una sfarzosa scenografia di teatro nel teatro - sono riassunti i suoi temi al cui centro campeggia la donna-spettacolo. In
un giuoco tragico e simultaneo di presente e passato, di finzione
e vicende reali, di esibizionismi scandalistici e doloroso martirio,
dietro il sontuoso apparato decorativo c’è la realtà di un personaggio, la sua verità interiore, come in ogni autentico spettacolo
barocco. Ha una debolezza di fondo: la scelta di M. Carol. Nel
dicembre 1955 a Parigi dà scandalo, spacca la critica in due fazioni, rischia di rovinare i produttori che ne riducono di 30’ la
durata. Ripreso nel 1968 e accolto, quasi all’unanimità, come un
trionfo. In originale girato in 3 lingue (francese, inglese, tedesco).
Fotografia (Cinemascope, Eastmancolor): Christian Matras. Restaurato dalla Cinémathèque di Parigi grazie al digitale, e ridistribuito in Francia nel dicembre 2008.
Laura, Luisa e Morando Morandini, Dizionario dei film
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Ma è forse solo nel suo ultimo film, Lola Montès (1955), fortemente criticato oppure straordinariamente amato,
che O. getta la maschera e abbandona il sorriso. La storia della famosa ballerina che, dopo essere stata amante
del re di Baviera, Ludwig I di Wittelsbach, finisce in un circo americano a interpretare sé stessa, diviene metafora e analisi spietata del mondo dello spettacolo e dell’industria del falso. Il film è in primo luogo la crudele
descrizione dell’abbrutimento di una donna e del suo ‘domatore’ che, pur amandola teneramente, la offre ogni
sera in pasto al pubblico, insieme con le belve feroci; l’inquadratura finale, con la lunga coda di spettatori che
accorrono per baciare la mano della famosa femme fatale al modesto prezzo di un dollaro, diventa il più crudele
simbolo della società dello spettacolo che il cinema abbia mai prodotto. Tuttavia, forse proprio in questo completo degrado della protagonista e del domatore, meri relitti umani, affiora per la prima volta la possibilità dell’amore e della comprensione senza più alcuna simulazione. Disse di lui François Truffaut, un altro regista che
lo amò particolarmente: “Il gusto del lusso in Max Ophuls mascherava in realtà un grande pudore; ciò che cercava - un tempo, una curva - era così fragile e tuttavia così preciso che occorreva proteggerlo in un imballaggio sproporzionato come un gioiello prezioso che venga nascosto in quindici scrigni sempre più grandi,
rinserrati gli uni negli altri” (Les films de ma vie, 1975; trad. it. 1978, p. 186).
Sandro Bernardi, Enciclopedia del Cinema, 2004
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PICCOLO GLOSSARIO
N ATIONAL F ILM R EGISTRY . Il National Film Registry è un archivio di film scelti per la
loro conservazione nella Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti. E’ stato istituito
per preservare fino a 25 “film culturalmente, storicamente o esteticamente significativi” (“culturally, historically, or aesthetically significant films”) all’anno; per essere eleggibili, le pellicole devono avere almeno 10 anni, ma non devono essere
necessariamente dei lungometraggi o aver avuto un’uscita cinematografica.
Il National Film Registry vuole mostrare la diversità e la vasta gamma dell’eredità
cinematografica statunitense, e la missione primaria della fondazione è soprattutto quella di salvare i cosiddetti
“film orfani” (“orphan films”), ovvero pellicole ormai di pubblico dominio, senza quindi un proprietario interessato a pagare per la sua conservazione.
Gli archivi includono, quindi, non solo pellicole classiche di Hollywood, ma anche documentari, cinegiornali,
film muti, film sperimentali, film non più protetti da copyright, pellicole amatoriali significative, film realizzati
al di fuori del circuito commerciale mainstream e film indipendenti. Al 2008, il National Film Registry comprende nel suo archivio 500 film.
D ANIELLE D ARRIEUX . Nel 1935 sposò il regista e scenografo francese Henri Decoin
(1890 – 1969), incontrato a Hollywood. Ottenuto un contratto dalla Universal ,
recitò a fianco di Douglas Fairbanks Jr. nel film Allora la sposo io (1938).
Nel periodo dell’occupazione tedesca, durante la seconda guerra mondiale, continuò a recitare nella Francia occupata, decisione che le procurò numerose critiche da parte dei suoi compatrioti, ma che fu motivata dalla minaccia nazista di
arrestare suo fratello, se l’attrice avesse rifiutato di collaborare.
Sempre durante la guerra divorziò dal marito e si innamorò del diplomatico dominicano e noto play-boy Porfirio Rubirosa (1909 – 1969); i due si sposarono il
18 settembre 1942.
Successivamente, alcune dichiarazioni anti-naziste portarono Rubirosa alla residenza forzata in Germania. La Darrieux accettò di effettuare un viaggio promozionale a Berlino in cambio
della liberazione del marito. Ottenuto il suo rilascio, i due andarono a vivere in Svizzera fino alla fine del conflitto; si separarono nel 1947.
Successivamente, l’attrice sposò il regista George Mitsikides nel 1948, con il quale ha vissuto fino alla morte
di lui, avvenuta nel 1991.
Nel 1951 ricevette un’offerta dalla MGM per il film musicale Ricca, giovane e bella. Joseph L. Mankiewicz la
convinse a ritornare a Hollywood, dove recitò con James Mason nel film di spionaggio Operazione Cicero (1953).
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Tornata in Francia, apparve in L’uomo e il diavolo (1954) di Claude Autant-Lara, al fianco di Gérard Philipe.
L’anno successivo recitò in L’amante di Lady Chatterley (1955) di Marc Allégret, che venne censurato dalla
chiesa statunitense. Interpretò un ruolo di secondo piano nel film epico Alessandro il Grande (1956), con Richard Burton, che fu il suo ultimo film negli Stati Uniti. Lewis Gilbert la invitò in Inghilterra, con successo, a
partecipare al suo film Quell’estate meravigliosa (1961) con Kenneth More.
Nel 1963 recitò al teatro Chatelet a Parigi nella commedia romantica La Robe Mauve de Valentine. In seguito
sostituì Katharine Hepburn nel musical di Broadway Coco, basato sulla vita di Coco Chanel.
L OUISE L EVEQUE DE V ILMORIN . Louise Leveque de Vilmorin (1902-1969), nata nel castello
dei Vilmorin, celebre famiglia di botanici, si fidanzò nel 1923 con Antoine de SaintExupéry ma sposò nel 1925 uno statunitense, Henry Leigh Hunt, con cui andò ad
abitare a Las Vegas, in Nevada. Da questa unione nacquero tre figli: Jessie, Alexandra
e Éléna. Divorziato da Hunt, si risposò nel 1938 con il conte Paul Pálffy ab Erdöd
dal quale divorziò nel 1943. Questi anni sono per Louise « les plus belles de [sa] vie.
» Diviene a partire dal 1942 l’amante di Paul Esterházy de Galántha e poi di Duff
Cooper, ambasciatore della Gran Bretagna in Francia. Per ultimo, si legò ad un amore
di gioventù, André Malraux.
Louise de Vilmorin pubblicò il suo primo romanzo, Sainte-Unefois, nel 1934, su incoraggiamento di André
Malraux, a cui seguirono Fiançailles pour rire (1939), Julietta (1951) e Madame de…(1951).
G UY DE M AUPASSANT . Maupassant pubblicò nel 1881 il suo primo volume di racconti, La
Maison Tellier, che arrivò in due anni alla dodicesima edizione. I suoi racconti ed i suoi
romanzi presentano spesso una satira, ora feroce, ora bonaria, della piccola borghesia,
guardata con senso di superiorità. La stupidità, la cupidigia, la crudeltà e soprattutto la
meschinità sono nella sua opera un dato onnipresente, trasversale ad ogni ceto sociale,
e spesso l’amore fisico, a volte bestiale, è rappresentato come l’unica vera “consolazione”.Le sue novelle si contraddistinguono per lo stile breve e sintetico, e per l’ingegnosità con cui i singoli temi sono sviluppati. Eccelse nell’arte della costruzione
dell’intreccio, ma la sua narrazione non ha il carattere di indagine scientifica tipico del
Naturalismo, dal quale Maupassant prese le distanze.
Morì a 43 anni, dopo diciotto mesi di incoscienza, e venne sepolto nel cimitero di Montparnasse a Parigi.
Maupassant fu profondamente influenzato da Zola e Flaubert, nonché dalla filosofia di Schopenhauer. I suoi
racconti ed i suoi romanzi presentano spesso una satira, ora feroce, ora bonaria, della piccola borghesia, guardata
con senso di superiorità. La stupidità, la cupidigia, la crudeltà e soprattutto la meschinità sono nella sua opera
un dato onnipresente, trasversale ad ogni ceto sociale, e spesso l’amore fisico, a volte bestiale, è rappresentato
come l’unica vera “consolazione”.
Le sue novelle si contraddistinguono per lo stile breve e sintetico, e per l’ingegnosità con cui i singoli temi
sono sviluppati. Eccelse nell’arte della costruzione dell’intreccio, ma la sua narrazione non ha il carattere di
indagine scientifica tipico del Naturalismo, dal quale Maupassant prese le distanze.
J ACQUES L AURENT . Con lo pseudonimo Cécil Saint-Laurent (1919-2000) ha pubblicato
una serie di libri tra l’avventuroso e il piccante, la cui protagonista, Caroline, è divenuta famosa: Caroline chérie (1948), Un capriccio di Caroline (Un caprice de
Caroline, 1952) ecc.
Con lo pseudonimo di Albéric Varenne ha invece pubblicato vari saggi e con il proprio nome (Jacques Laurent) romanzi di maggior valore letterario: I corpi tranquilli
(Les corps tranquilles, 1948), Le sciocchezze (Les betises, 1971). Con quest’ultimo
titolo ottenne il premio Goncourt).
Ha inoltre usato gli pseudonimi: Dupont de Ména, Roland de Jarnèze, Roland de
Jarneze, Alain de Sudy, Gilles Bargy, Laurent Labattu, J.C Laurent.
Il 26 giugno 1986 succedette a Fernand Braudel nel seggio 35 dell’Académie française
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M ARTINE C AROL . Nata Marie-Louise-Jeanne Mourer, fu, tra la fine della seconda guerra
mondiale e l’avvento di Brigitte Bardot, la regina del sex appeal francese. Dopo aver
frequentato corsi di recitazione e svolto un regolare apprendistato teatrale, esordì sullo
schermo nel 1943, facendosi notare con Gli amanti di Verona (1948) di André Cayatte,
ma diventando una diva a tutti gli effetti con Caroline chérie (1951), tratto da un romanzo di Cécil Saint-Laurent: un sagace adattamento di Jean Anouilh e un seno generosamente scoperto conquistarono il pubblico. La sua bellezza sana, poco complicata,
simpatica a tutti, fu valorizzata in film in costume come Lucrezia Borgia (1953), Madame du Barry, Nanà (1955). Tuttavia la sua coquetterie d’esportazione, corrispondente
all’idea della donna francese che hanno gli stranieri, s’impose anche in parti moderne
come Adorabili creature (1952), diretto da suo marito Christian-Jaque Il carnet del maggiore Thompson (1955),
e la serie di Nathalie. Non mancano nella sua carriera le interpretazioni impegnative: Le belle della notte (1952)
di René Clair, La spiaggia (1954) di Alberto Lattuada, Vanina Vanini (1961) di Roberto Rossellini e soprattutto
Lola Montès (1955) di Max Ophüls, con cui s’è assicurata un posto nella storia del cinema come arte (in quella
del cinema come costume c’era già grazie a Caroline Chérie). Il suo ultimo film fu L’enfer est vide, uscito postumo. Venne trovata morta il 6 febbraio 1967, all’età di 45 anni, in una camera dell’Hotel de Paris di Montecarlo.
A RTHUR S CHNITZLER . Schnitzler nasce da famiglia ebraica a Vienna, dove frequenta
le scuole superiori. Successivamente si laurea in medicina. Già durante gli studi universitari emerge la sua inclinazione letteraria, ma la sua prima opera è del 1888: l’atto
unico L’avventura della sua vita. In essa compare per la prima volta il personaggio di
Anatol che darà il nome ad un ciclo di atti unici. Alla morte del padre lascia l’impiego
ospedaliero e apre uno studio medico privato. Nel 1895 viene rappresentato al Burgtheater di Vienna, Amoretto che dà subito notorietà e successo all’autore. Nel 1900
pubblica Sottotenente Gustl che provoca la sua radiazione da tenente medico dell’esercito, a seguito della impietosa rappresentazione della vita militare fatta nel romanzo.
Nel 1903. va in scena a Monaco di Baviera Girotondo, scritto tre anni prima e mai
pubblicato, provocando un notevole scandalo per il presunto cinismo con cui vengono
rappresentati i rapporti tra cinque uomini e altrettante donne che sono uniti da un filo
comune. Il testo teatrale viene pubblicato dopo pochi mesi dalla rappresentazione, riportando un successo di vendite strepitoso. Girotondo è tuttora un lavoro molto rappresentato
S IMONE S IMON . Attrice francese, di madre italiana, nata a Marsiglia il 23 aprile
1911. Bruna, minuta, caratterizzata dallo sguardo intenso e dalle labbra carnose, conobbe un immediato successo impersonando fanciulle dalla grazia
schietta e un poco acerba, ma è ricordata soprattutto per i ruoli che ne esaltarono l’insinuante e misteriosa sensualità: si pensi alle sue interpretazioni in
L’angelo del male (1938) di Jean Renoir o in Il bacio della pantera (1942)
diretto da Jacques Tourneur, un film, quest’ultimo, divenuto addirittura oggetto
di venerazione per gli appassionati del cinema horror.
A intuirne il talento fu il regista Marc Allégret che la portò al successo affiancandola a Jean-Pierre Aumont in Il lago delle vergini (1934), nel ruolo di una spigliata fanciulla alle prese con le
prime pene d’amore, e in Il sentiero della felicità (1935). A Hollywood su invito di Darryl Zanuck, la Simon apparve in due film in cui si trovò a recitare con un Tyrone Power alle prime armi. Sostenne poi il ruolo dell’orfana
Diane in Settimo cielo (1937) di Henry King, al fianco di James Stewart, ed ebbe la parte di una cantante in Josette
(1938) di Allan Dwan. Tornata in patria, fu scelta da Renoir per il personaggio di Séverine, torbida donna bambina,
che finisce strangolata da un ferroviere (Jean Gabin) in L’angelo del male, dal romanzo di É. Zola. Durante l’occupazione tedesca della Francia, fu di nuovo a Hollywood dove recitò in L’oro del demonio (1941) di William
Dieterle, e in Il bacio della pantera nel ruolo della stilista che vive nel terrore di trasformarsi, in preda alla passione,
in un sanguinario felino. Rientrata in Europa, apparve in due raffinate opere di Max Ophuls: La ronde - Il piacere
e l’amore (1950), in cui è una deliziosa servetta viennese, ne Il piacere (1952), dove è la modella che conquista
l’amore di un pittore dopo un tragico tentativo di suicidio. Recitò poi in altri film, tra cui I tre ladri (1954) di
Lionello De Felice, accanto a Totò, ma non incontrò più registi particolarmente dotati e si ritirò.
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SOMMARIO
INTRODUZIONE.............................................................................................................................................3
Un maestro da ricordare........................................................................................................................3
La nostra rassegna.................................................................................................................................4
I grandi temi di Max Ophüls.................................................................................................................4
Una vita intensa, tormentata e breve (1902-1957)................................................................................5
Filmografia............................................................................................................................................6
I FILM...............................................................................................................................................................7
lettera da una sconosciuta......................................................................................................................9
La ronde - Il piacere e l’amore.............................................................................................................13
Le plaisir - Il piacere............................................................................................................................17
I gioeielli di Madame de... ..................................................................................................................21
Lola Montes.........................................................................................................................................25
PICCOLO GLOSSARIO.................................................................................................................................29
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