Alma Mater Studiorum – Università di Bologna FACOLTA' DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea Triennale in Fisica Scintillatori siliconici per misure di particelle alfa e raggi gamma in reazioni nucleari Relatore: Prof. Mauro Bruno Correlatori: Dott.ssa Sara Carturan Dott. Vladimir Kravchuk Candidato Matteo Tartari Sessione II Anno Accademico 2009/2010 Indice Introduzione 1. Materiali Scintillanti 1.1. Il fenomeno della luminescenza 1.2. Processi di eccitazione 1.3. Processi di diseccitazione 2. Gli Scintillatori 2.1. Scintillatori inorganici 2.2. Scintillatori organici 2.2.1. Scintillatori organici a cristalli 2.2.2. Scintillatori organici liquidi 2.2.3. Scintillatori organici plastici 2.3. Scintillatori a gas 2.4. Risposta temporale e forma del segnale emesso 2.5. Caratteristiche ottimali 2.6. Rivelazione del segnale 3. Sintesi Chimica 3.1. Chimica degli scintillatori siliconici 3.2. Preparazione 4. Misure di Resa di Luce 4.1. Apparato sperimentale 4.1.1. Sorgenti 4.1.2. Fotomoltiplicatore e alimentazione 4.1.3. Amplificatore 4.1.4. Sistema di acquisizione dati 4.2. Campioni analizzati 4.3. 4.4. Misure con sorgente α 1 3 3 5 7 9 9 10 11 11 12 12 13 14 15 18 18 22 26 28 28 28 30 30 31 32 4.3.1. Risultati delle misure con sorgente α 34 4.3.2. 4.3.3. Grafici delle misure con sorgente α Conclusioni 35 39 Misure con sorgente γ 41 4.4.1. Risultati delle misure con sorgente γ 43 4.4.2. 4.4.3. Grafici delle misure con sorgente γ Conclusioni 43 45 5. Analisi IBIL 5.1. La ionoluminescenza 5.2. Apparato sperimentale 5.3. Analisi dati 5.3.1. Spettri di emissione 5.3.2. Spettri di degrado 46 46 48 51 51 53 Conclusioni 55 Bibliografia 58 Introduzione Gli scintillatori organici hanno acquisito sempre maggiore importanza negli ultimi anni da quando si sta affermando l'esigenza, nel campo della rivelazione dei neutroni, di nuovi prodotti che riescano a sostituire gli scintillatori liquidi in commercio ma che allo stesso tempo forniscano un'alta efficienza e praticità. Visti gli sviluppi di nuovi acceleratori di ioni ricchi di neutroni sarebbe auspicabile arrivare a rivelatori che consentissero la rivelazione contemporanea di particelle cariche e neutre. Gli scintillatori liquidi in uso, pur avendo il vantaggio di poter essere utilizzati nei più disparati e complessi sistemi di rivelazione degli esperimenti di fisica nucleare, risultano tossici, infiammabili e di difficile smaltimento. In particolare, nella ricerca di nuovi materiali, grande attenzione viene posta sugli scintillatori organici a base polimerica che, oltre ad avere costi moderati, possono egualmente essere prodotti in qualsiasi volume e forma che meglio si adatti al tipo di apparato rivelatore dell'esperimento in questione. La ricerca si è quindi indirizzata verso lo sviluppo di nuovi materiali che fornissero una buona efficienza di rivelazione per le particelle cariche e la radiazione gamma e potessero anche essere utilizzati per la rivelazione di neutroni con opportuni drogaggi. Nello stesso tempo è importante garantire una buona resistenza al deterioramento causato da lunghi tempi di esposizione alle radiazioni, e mantenere quindi un alto grado di efficienza di scintillazione in particolari condizioni di irraggiamento e temperatura. La presente trattazione descrive il lavoro svolto nell'ambito della collaborazione NUCL-EX/FAZIA [1] tra i gruppi delle Università e le sezioni dell'INFN di Bologna, Firenze e Napoli e i Laboratori Nazionali di Legnaro per il progetto ORIONE dell'INFN. Scopo di questo progetto è appunto la realizzazione di scintillatori organici per la rivelazione di neutroni termici e la collaborazione è nata per permettere l'unione tra competenze nel campo della rivelazione di radiazioni ionizzanti e quelle invece dello studio e sintesi dei materiali scintillanti, sia dal punto di vista chimico che dall'analisi della luminescenza indotta da diverse sonde. La rivelazione di neutroni interessa in particolar modo la fisica nucleare con fasci stabili ed esotici (progetti SPES, SPIRAL2 ed EXCYT [2]) laddove si prevedano accoppiamenti di rivelatori di neutroni con gli apparati di nuova generazione (ad esempio FAZIA). La rivelazione di neutroni però, pur restando il fine ultimo del progetto, non ha 1 interessato in particolare il lavoro presentato in questa tesi. Il lavoro svolto e presentato in questa dissertazione, si è infatti concentrato sulla produzione e sullo studio di campioni prototipi che selezionassero le migliori combinazioni delle componenti chimiche, necessarie a fornire le caratteristiche volute di efficienza e affidabilità. La fase successiva si preoccuperà poi di ricreare i campioni più efficienti e studiare il drogaggio necessario affinché questi possano rivelare i neutroni termici attraverso i prodotti di reazione dei neutroni stessi con i nuclei atomici del materiale (drogaggi con 10 B, 155Gd o 157Gd). 2 Capitolo 1 Materiali Scintillanti Prima di descrivere dal punto di vista chimico e fisico la preparazione degli scintillatori e gli esperimenti effettuati con essi è necessario esporre il fenomeno chimico-fisico alla base del funzionamento di questi importanti strumenti per la rivelazione della radiazione: il fenomeno della luminescenza. 1.1 – Il fenomeno della luminescenza Il processo che è alla base della rivelazione delle particelle prodotte da una reazione o un decadimento da parte degli scintillatori organici è il fenomeno della luminescenza: ogni volta che in una molecola gli elettroni passano da uno stato energetico superiore ad uno inferiore, l'energia in eccesso può venire emessa in forma di radiazione elettromagnetica. Negli scintillatori di tipo organico, una particella carica incidente cede parte della propria energia alle molecole (o macromolecole) provocando sia transizioni elettroniche dallo stato fondamentale agli stati eccitati, interessando quindi separazioni energetiche di alcuni eV tipiche di orbitali molecolari, sia transizioni vibrazionali, all'interno dello stesso livello elettronico, che invece comportano separazioni di energia di pochi decimi di eV. In generale, se vi è assorbimento di una radiazione incidente da parte di una molecola, questa può successivamente andare incontro a due tipi di processo. La maggior parte delle molecole eccitate, trovandosi in uno degli stati vibrazionali di un livello energetico superiore ed essendo soggette a continue collisioni con le molecole circostanti, rilasciano parte della loro energia con processi non radiativi: l'energia emessa, sotto forma di calore, permette alle molecole circostanti di compiere vibrazioni, rotazioni e traslazioni. Se invece una molecola ha una possibilità limitata di cedere la propria energia alle molecole circostanti, completa il suo rilassamento attraverso un decadimento radiativo e l'energia in eccesso viene liberata sotto forma di fotoni: si possono quindi avere i processi di fluorescenza e fosforescenza. La distinzione tra i due processi di fosforescenza e fluorescenza è determinata dalla natura degli stati elettronici coinvolti nelle transizioni responsabili dell'emissione della 3 radiazione e sono quindi indipendenti dallo stato fisico del composto. La struttura energetica degli stati elettronici, nel caso di molecole organiche, è descritta dalla teoria degli orbitali molecolari (MO). Un orbitale molecolare ibrido si forma quando due o più atomi si uniscono con un legame covalente sovrapponendo i rispettivi orbitali atomici; se i due orbitali si avvicinano e si sovrappongono parzialmente lungo la direzione di legame si ha un orbitale σ con densità elettronica a simmetria cilindrica rispetto alla congiungente i due nuclei; quando invece gli orbitali si sovrappongono in direzione perpendicolare a quella di legame si forma un legame π in cui la densità elettronica si trova da parti opposte e simmetriche rispetto alla congiungente i due nuclei. Inoltre, gli orbitali molecolari sono il risultato della combinazione dei singoli orbitali atomici, descritti da funzioni d'onda il cui quadrato rappresenta la probabilità di trovare l'elettrone nello spazio attorno al nucleo dell'atomo. Quando queste si combinano possono farlo in fase, risultando in una densità elettronica maggiore fra i due nuclei e quindi in un sistema più stabile (Orbitale Molecolare Legante), oppure in opposizione di fase, annullando la densità elettronica fra i due nuclei e creando così un sistema destabilizzato (Orbitale Molecolare Antilegante, identificato da un asterisco). Di particolare interesse per la seguente trattazione sono gli idrocarburi aromatici, esemplificati dalla struttura ad anello del benzene (C 6H6), in cui tre dei quattro elettroni di valenza del carbonio sono negli orbitali ibridi σ; questi sono fortemente localizzati tra ogni atomo di carbonio e gli atomi vicini: altri due atomi di carbonio e un singolo atomo di idrogeno. Il quarto elettrone invece, che si trova nell'orbitale π, partecipa in maniera più debole al processo di legame ed è fortemente delocalizzato, caratteristica che rende il benzene ed i suoi derivati, come toluene e xylene, il principale responsabile del processo di scintillazione; questa struttura infatti, oltre a fornire una particolare stabilità alla molecola, presenta una sequenza di stati eccitati ad energie relativamente basse che danno luogo al fenomeno della luminescenza con emissione di radiazione in un intervallo compreso tra il vicino UV e il vicino IR. Un'altra caratteristica importante che riguarda le transizioni elettroniche è che quando un elettrone passa da uno stato fondamentale ad uno eccitato, esso può mantenere lo spin originario oppure invertirlo. Nel primo caso si ha uno stato di singoletto S x, con una vita media di 10-10 – 10-9 s; se invece il passaggio allo stato eccitato avviene con inversione dello spin si parla di stato di tripletto T x, e a questo compete un'energia inferiore al rispettivo stato di singoletto e una vita media più alta, nell'intervallo 10 -3 – 10 s. Per ogni stato di singoletto e di tripletto vi sono poi sottolivelli energetici dati dai 4 gradi di libertà vibrazionali atomici. Le possibili transizioni tra i vari stati elettronici di una molecola organica sono riassunti nel diagramma di Jablonski mostrato in Fig.1. Le frecce continue rappresentano le transizioni radiative di assorbimento (viola e blu) ed emissione (verde per la fluorescenza, rossa per la fosforescenza); le frecce tratteggiate indicano invece una transizione non radiativa. E' da notare che i tempi caratteristici dei processi di assorbimento sono dell'ordine di 10-15 s, molto minori rispetto ai processi di diseccitazione che si possono quindi considerare indipendenti dai primi. Fig. 1: diagramma di Jablonski per una molecola organica 1.2 – Processi di eccitazione Perché il meccanismo della scintillazione possa avere luogo deve per prima cosa avvenire un trasferimento di energia dalla particella incidente al materiale scintillante. Nel nostro caso il materiale scintillante è composto come vedremo meglio più avanti da un solvente e da uno o più soluti (composti binari, ternari, e così via). E' possibile considerare tutta la radiazione incidente assorbita dal solvente, poiché questo è presente con un'abbondanza relativa molto più alta rispetto agli altri componenti del composto (in genere il rapporto tra solvente e il soluto più abbondante è di circa 100:5) e trascuriamo quindi gli effetti dati dalla presenza dei vari soluti per quanto riguarda 5 l'assorbimento iniziale. Questo non è però sufficiente, come vedremo, al funzionamento dei materiali scintillanti e saranno necessari assorbimenti secondari da parte dei soluti. Una volta assorbita energia da parte delle molecole, i possibili processi di transizione elettronica che si possono presentare dipendono dalle strutture molecolari dei composti, che verranno descritte in dettaglio nel Cap. 3 e che qui verranno solo accennate: • nel caso del solvente, siamo in presenza di legami doppi C = C coniugati perciò le uniche transizioni che si avranno saranno del tipo π – π*, cioè si avrà ionizzazione di un orbitale π con passaggio di un elettrone ad un orbitale antilegante π* • nel caso dei soluti, data la presenza di gruppi carbonile > C = O ci sarà anche la possibilità di transizioni del tipo n – π*, cioè la promozione di un elettrone non legante (disaccoppiato) ad un orbitale antilegante π*. Tutti questi processi avvengono verso stati di singoletto poiché le transizioni dirette dallo stato fondamentale S0 (singoletto) a stati di tripletto sono proibite. Le eccitazioni degli elettroni π in stati di singoletto è l'origine principale dell'emissione veloce, le altre tre possibilità danno luogo ad emissioni più lente. Tuttavia la ricombinazione ionica conseguente al processo di ionizzazione degli orbitali π porta le molecole principalmente in stati eccitati di tripletto e per questo, l'emissione associata è necessariamente più lenta. La ionizzazione vera e propria porta ad un temporaneo danneggiamento della struttura molecolare, che può diventare permanente se non avviene una ricombinazione con gli ioni circostanti. Le zone danneggiate in modo permanente si trasformano in centri di impurità dove la luminescenza è fortemente inibita (quenching) e causano ingiallimento o infragilimento del materiale. Le zone a danneggiamento temporaneo sono probabilmente responsabili degli effetti di quenching osservati in seguito all'esposizione dei materiali alla radiazione. Una certa frazione P dell'energia incidente viene spesa nell'eccitazione degli elettroni π del materiale, con conseguente emissione luminosa; la restante frazione (1 – P) verrà rilasciata tramite i processi dissipativi. L'efficienza primaria di eccitazione P è un parametro importante perchè la sua grandezza influisce sull'efficienza assoluta di scintillazione. L'eccitazione dei livelli π delle molecole del solvente porta principalmente a popolare il secondo e il terzo livello di singoletto (S 1 ed S2) perchè questi hanno le probabilità più alte di transizione. Riassumendo, una frazione P dell'energia incidente è spesa per eccitare direttamente gli stati di singoletto π della molecola del solvente ad una certa energia media E, una 6 frazione della quale sarà convertita in luce di fluorescenza tramite una sequenza di processi secondari con un'efficienza complessiva Q, così l'efficienza assoluta di scintillazione sarà: S = PQ 1.3 – Processi di diseccitazione Una volta assorbita la radiazione incidente, la molecola può andare incontro a vari meccanismi di diseccitazione: Conversione interna: transizione non radiativa tra due stati elettronici con la stessa molteplicità di spin seguito da un rilassamento verso il livello vibrazionale più basso dello stato di arrivo. L'energia così dissipata viene trasferita, tramite collisioni, dalla molecole eccitate alle altre molecole del solvente. I tempi caratteristici di questi processi variano da 10-13 a 10-11 s. La conversione interna verso lo stato fondamentale è possibile ma molto meno efficiente rispetto a quelle tra i diversi stati eccitati a causa dell'elevata differenza di energia; a questo livello si entra in competizione con i processi di fluorescenza e fosforescenza. Fig. 2: Stokes shift Fluorescenza: si tratta della causa principale di emissione di luce ed è principalmente associata alla transizione S1 → S0 (vedi Fig. 1). Dal momento che avviene quasi sempre dallo stato S1 le sue caratteristiche non dipendono dalla reale energia di eccitazione. Tuttavia anche se le transizioni corrispondenti all'assorbimento e all'emissione di energia dal primo strato eccitato dovrebbero essere identiche, si ha che 7 lo spettro di assorbimento pur essendo parzialmente sovrapposto a quello di emissione, è sempre spostato verso energie maggiori (lunghezze d'onda minori) per la presenza dei livelli vibrazionali nei due stati elettronici (regola empirica di Stokes). Anche se l'intervallo di tempo in cui avviene l'emissione di un fotone è dello stesso ordine di grandezza rispetto all'assorbimento (10-15 s), le molecole eccitate rimangono nello stato S1 per un intervallo di tempo compreso tra 10 -9 s e 10-7 s a seconda del tipo di molecola interessata. Intersystem crossing: è il meccanismo di diseccitazione non radiativa che porta alla transizione energetica tra stati isoenergetici a diversa molteplicità di spin (ad esempio S1 → T1). Questo processo ha la maggiore probabilità di avvenire quando la struttura molecolare del materiale è tale che i livelli vibrazionali degli stati eccitati di singoletto e tripletto si sovrappongono, e l'interazione spin-orbita favorisce un disaccoppiamento degli spin. In questo caso allora il meccanismo di intersystem crossing diventa sufficientemente veloce (10-7 – 10-9 s) da entrare in competizione con i processi di fluorescenza e conversione interna. Fosforescenza e diseccitazione non radiativa: sono i processi che possono aver luogo a seguito di intersystem crossing, che porta gli elettroni in uno stato di tripletto. Una volta in questo stato gli elettroni vi permangono per un tempo che può essere anche relativamente molto lungo (10-6 – 100 s) prima di decadere allo stato fondamentale, a causa della transizione proibita tripletto-singoletto. La fosforescenza avviene con emissione di luce a lunghezze d'onda maggiori della fluorescenza. Il secondo processo invece domina nei materiali a temperature ordinarie ed è causato dagli urti della molecola eccitata con le molecole circostanti; questa infatti permane nello stato eccitato per molto tempo, poiché la transizione T1 → S0 è proibita, e avrà più probabilità di collidere con le molecole circostanti e andare incontro ad un rilassamento vibrazionale non radiativo. Oltre ai processi più comuni sopra citati vi sono altri meccanismi di diseccitazione meno probabili e i cui tempi caratteristici sono più lunghi (fluorescenza ritardata, transizione tripletto – tripletto) ma nella costruzione di un rivelatore si richiede che l'intervallo di tempo tra il passaggio della particella da rivelare e l'effettivo segnale generato sia il più piccolo possibile, in modo da avere la massima velocità di risposta e la massima precisione. Nel nostro caso, il segnale più veloce ed importante, è quello generato dal fenomeno della fluorescenza e tutti gli altri meccanismi di diseccitazione rappresentano fattori di ''quenching''. In particolare essi vanno a diminuire l'effettiva resa di luce e disperdono parte dell'energia totale in collisioni termiche e sono il principale fattore di inefficienza del rivelatore. 8 Capitolo 2 Gli Scintillatori Una volta illustrato il meccanismo di base con cui è possibile rivelare il passaggio di radiazione, è importante fare una classificazione delle varie tipologie di scintillatori. Gli scintillatori sono i materiali che producono un impulso di luce quando una radiazione ionizzante passa attraverso essi e interagisce con le molecole che li compongono. I diversi tipi di scintillatori sono suddivisi in 3 gruppi: • Scintillatori Inorganici; • Scintillatori Organici; • Scintillatori a Gas; dopo aver brevemente descritto le differenze principali tra questi diversi tipi di rivelatori, l'attenzione verrà spostato sugli scintillatori organici, in particolare quelli di tipo plastico e siliconico, che sono il soggetto di studio alla base di questa trattazione. 2.1 – Scintillatori inorganici La maggior parte degli scintillatori inorganici sono cristalli di metalli alcalini (in prevalenza ioduri alcalini) che contengono piccole concentrazioni di impurità e la cui luminescenza è legata alle bande di energia permesse o proibite del cristallo. Oltre alla banda di valenza e di conduzione, l'elettrone può essere eccitato in uno stato energetico chiamato eccitone, in cui l'elettrone e la corrispondente lacuna formano una coppia che si attrae reciprocamente per interazione Coulombiana. Questo stato forma una sottile banda (1 eV) che si trova tra la banda di valenza e quella di conduzione (separate da 8 MeV) e il cui livello superiore corrisponde al livello più basso della banda di conduzione. Oltre all'eccitone, si possono creare altri stati di energia tra la banda di conduzione e di valenza a causa di impurità o di imperfezioni nel cristallo (atomi attivatori). Quando un atomo attivatore che si trova nello stato fondamentale assorbe un fotone o cattura un eccitone passa ad uno stato eccitato e la successiva transizione allo stato fondamentale, se permessa, causa l'emissione di un fotone in un ordine di tempo pari a 10-8 s. Se questo fotone ha una lunghezza d'onda nel visibile contribuisce alla scintillazione. Anche se è il cristallo a ricevere quasi tutta l'energia della radiazione incidente è la transizione dell'atomo attivatore che produce la scintillazione, c'è quindi 9 trasferimento di energia dal cristallo all'impurità. 2.2 – Scintillatori organici I materiali utilizzabili come scintillatori organici appartengono alla classe dei composti aromatici, molecole planari formate da anelli benzenici. La produzione di luce negli scintillatori organici è il risultato di transizioni molecolari. Quando una radiazione ionizzante attraversa lo scintillatore rilascia energia ad una molecola, che si trova nello stato fondamentale corrispondente al minimo della sua energia potenziale, e la porta ad uno stato eccitato. Questo nuovo stato eccitato non è il punto di minima energia e la molecola successivamente si diseccita, rilasciando energia vibrazionale in forma di calore e raggiungendo lo stato vibrazionale minimo (vedi Fig. 3). Questo è ancora uno stato eccitato e in alcuni casi la molecola subirà una transizione accompagnata da emissione di un fotone di energia pari al salto energetico che ha avuto luogo; se questa transizione è permessa avverrà in un tempo dell'ordine di 10-8 s. Dal momento che l'energia emessa dal fotone è minore dell'energia assorbita che ha causato l'eccitazione, lo spettro di emissione dello scintillatore non coincide con il suo spettro di assorbimento, caratteristica fondamentale perché la scintillazione abbia luogo. Fig. 3: schema generale dei livelli energetici di una molecola organica Una delle differenze più importanti tra scintillatori inorganici e organici è il tempo di 10 risposta che per questi ultimi è minore di 10 ns mentre per quelli inorganici è di circa 1 μs. Gli scintillatori organici si suddividono a loro volta in 3 tipi: • Scintillatori Organici a Cristalli; • Scintillatori Organici Liquidi; • Scintillatori Organici Plastici; 2.2.1 – Scintillatori organici a cristalli Per quanto riguarda i cristalli organici non è necessario alcun attivatore per migliorare la luminescenza, dal momento che la presenza di impurità riduce la resa di luce. I materiali comunemente usati sono l'antracene e il trans-stilbene. Questi pur avendo un tempo di decadimento molto minore rispetto ad uno scintillatore inorganico hanno un'efficienza di conversione in luce molto minore. 2.2.2 – Scintillatori organici liquidi Gli scintillatori organici liquidi consistono in una miscela di un solvente (ad esempio toluene, xylene) con uno o più soluti, ad esempio il 1,4-bis(5-phenyloxazol-2yl)benzene (POPOP). A seconda di quanti soluti si hanno, vengono suddivisi in scintillatori binari, ternari, etc. Negli scintillatori binari, la radiazione incidente deposita quasi tutta la sua energia nel solvente ma la luminescenza è dovuta principalmente al soluto che per questo viene chiamato fluoroforo, quindi come per gli scintillatori inorganici c'è un trasferimento efficiente di energia dal solvente (fluoroforo primario, dove il termine ''fluoroforo'' indica una molecola fluorescente) al soluto (fluoroforo secondario) con la concentrazione minore (attivatore negli scintillatori inorganici, soluto in quelli organici). Se un secondo soluto viene aggiunto, questo funziona da ''wavelength shifter'' (fluoroforo terziario, in genere la sua concentrazione varia dall'1% al 10% di quello secondario), assorbendo la luce emessa per scintillazione e riemettendola ad una lunghezza d'onda diversa. Il suo ruolo consiste nell'aumentare la lunghezza di attenuazione della luce all'interno dello scintillatore organico, cioè la distanza rispetto al punto di produzione alla quale l’intensità della luce si riduce di un fattore 1/e. Senza di esso infatti l'alta concentrazione del fluoroforo secondario provocherebbe fenomeni di re-assorbimento e quindi quenching dell'emissione luminosa; il campione non sarebbe quindi più trasparente alla propria radiazione. Il fluoroforo terziario fornisce inoltre un miglior accoppiamento con le caratteristiche del 11 catodo del fotomoltiplicatore. Gli scintillatori organici liquidi sono utili in caso ci sia necessità di rivelatori che coprano volumi estesi e di qualsiasi forma per migliorare l'efficienza di conteggio. Ad esempio misure di conteggi di emettitori-β con basse attività, rivelazione di raggi cosmici o misure di spettri energetici di neutroni nel range del MeV. In certi casi il radioisotopo è dissolto nello scintillatore permettendo una geometria su tutto l'angolo solido e quindi un'alta efficienza di rivelazione. In altri casi invece viene aggiunto allo scintillatore un elemento o un composto ulteriore per migliorarne l'efficienza senza causare un significativo deterioramento della luminescenza. Ad esempio l'aggiunta di Boro o Gadolinio può aumentare l'efficienza di rivelazione dei neutroni. 2.2.3 – Scintillatori organici plastici Gli scintillatori plastici sono soluzioni solide di scintillatori organici. Hanno proprietà simili a quelli liquidi ma hanno il vantaggio che non richiedono un contenitore, possono essere creati in qualsiasi forma e grandezza, sono inerti all'acqua, l'aria e molti prodotti chimici e possono quindi essere usati a diretto contatto con il campione radioattivo. Inoltre, hanno il grande vantaggio di non essere tossici, mentre i liquidi composti (come toluene e xylene) devono essere utilizzati con grande precauzione poiché nocivi e cancerogeni. Come per quelli liquidi anche questi sono miscele di un solvente (di solito Polistirene o Poliviniltoluene) e uno o più soluti (come il POPOP), hanno una densità di circa 103 kg/m3, una resa di luce più bassa di quella dell'Antracene. Il tempo di decadimento è molto piccolo e la lunghezza d'onda corrispondente all'intensità massima dello spettro di emissione è tra 350 e 450 nm. (NE102) 2.3 – Scintillatori a gas Gli scintillatori a gas sono miscele di gas nobili la cui scintillazione è il risultato di transizioni atomiche. Dal momento che la luce emessa dai gas nobili appartiene alla regione UV, altri gas come l'azoto, sono aggiunti al gas principale col ruolo di wavelength shifters oppure si riveste il contenitore del gas con un sottile strato di materiale fluorescente. Questi hanno tempi di decadimento molto piccoli e un'uscita di luce per MeV depositati nel gas che dipende poco dalla massa e dalla carica delle particelle da rilevare; presentano però una scarsa efficienza nella rivelazione dei raggi gamma. 12 2.4 – Risposta temporale e forma del segnale emesso Ora è importante capire in maniera più specifica che tipo di risposta ci si attenda dal rivelatore; in prima approssimazione, il meccanismo di riemissione del segnale può essere descritto da un decadimento esponenziale, quindi il numero di fotoni emessi al tempo t segue la legge: N 0 − t dN t = ⋅e dt d d dove N0 è il numero totale di fotoni emessi e τd è il tempo di decadimento del particolare stato elettronico eccitato. Come descritto sopra però il processo di riemissione può avvenire attraverso diversi canali e una descrizione più accurata deve distinguere la fluorescenza come processo più veloce (processo fast, con costante di decadimento τF) e la fosforescenza o la fluorescenza ritardata come insieme dei processi lenti (processo slow, τS). In questo caso allora la legge che descrive l'intensità luminosa in funzione del tempo è data dalla combinazione lineare delle due leggi esponenziali: t t − − dN t A B = N0 ⋅e ⋅e F S dt F S e si ha che le ampiezze relative delle due componenti variano a seconda del materiale. Fig. 4: componente veloce e componente lenta del segnale Per quanto riguarda gli scintillatori plastici infine va detto che avendo ottime 13 caratteristiche di velocità, rispetto agli altri è necessario tener conto di un fattore aggiuntivo; da studi più complessi sulla risposta di luce si evince infatti che è necessario parametrizzare anche il tempo di salita grazie ad una convoluzione di una gaussiana con l'esponenziale decrescente: N t = N 0 ⋅ G , t⋅e − t d in questo caso si nota come la salita del segnale sia dominata dalla gaussiana. 2.5 – Caratteristiche ottimali In generale le caratteristiche principali di uno scintillatore ideali sono: • alta efficienza di rivelazione, cioè un'alta produzione di fotoni per una determinata quantità di energia assorbita; per uno scintillatore ideale deve essere pari al 100% ma in termini pratici questo è ridotto dagli effetti di quenching: autoassorbimento della radiazione dovuta alla presenza dei fluorofori (nelle miscele a due o più componenti), presenza di impurità nel materiale che oltre a causare un calo nella resa di luce può modificare anche le proprietà ottiche del materiale stesso (indice di rifrazione, etc... ), effetti dovuti alla temperatura (un'alta temperatura può favorire i processi di ricombinazione termica degli stati eccitati), energia rilasciata dalla particella troppo bassa (indiscriminabile dal rumore di fondo) o troppo alta per essere rilevata; • trasparenza alla radiazione emessa, per permettere la raccolta della luce a distanza senza risentire di una significativa attenuazione del segnale; • emissione del segnale con uno spettro compatibile con la sensibilità dei rivelatori di luce, i fotomoltiplicatori; • conversione lineare dell'energia cinetica della particella in luce, per permettere un rapporto di proporzionalità tra l'energia depositata e la luce raccolta; in generale gli scintillatori plastici seguono la Legge di Birks: A dE / dx dL = dx 1B dE / dx dove A è l'efficienza di produzione di luce dello scintillatore e B è una costante che dipende dal materiale e dal tipo di particella ionizzante; quindi per perdite di energia piccole lo scintillatore è lineare dL dE = A⋅ L = AE dx dx per perdite di energia molto grandi si arriva ad una saturazione: 14 dL A = indipendentemente dall'energia depositata; dx B • piccoli tempi di decadimento caratteristici dei materiali in modo da avere la massima velocità del segnale (misure di tempi di volo, trigger, etc... ); • indice di rifrazione non troppo diverso da quello del vetro (n = 1.5) per favorire l'accoppiamento tra la luce emessa con la finestra di ingresso del fotomoltiplicatore; • il materiale prodotto deve essere facilmente lavorabile in modo tale da poter assumere la forma più pratica ai fini dell'esperimento. 2.6 – Rivelazione del Segnale Una volta che il processo di scintillazione ha avuto luogo, il segnale va amplificato perché venga rilevato e trasformato in impulso elettrico e per fare ciò è necessario un fotorivelatore che può essere posto a diretto contatto con il rivelatore o accoppiato otticamente mediante una guida di luce. Il fotorivelatore usato è un fotomoltiplicatore (PMT) il cui funzionamento si basa principalmente su due processi: l'effetto fotoelettrico e l'elettromoltiplicazione. Esso è costituito generalmente da un tubo a vuoto che riceve i fotoni, tramite una finestra in vetro borosilicato, su un catodo rivestito di materiale fotosensibile (fotocatodo), che converte la luce incidente in una corrente di elettroni; l'efficienza di conversione fotoelettrica varia fortemente con la frequenza della luce incidente e con la struttura del materiale. L'energia del fotoelettrone emesso è espressa dalla relazione E = h − W done ν è la frequenza del fotone incidente e W è il lavoro necessario all'estrazione dell'elettrone, cioè il lavoro necessario perchè l'elettrone attraversi la barriera di potenziale del materiale dal quale esce. Questo parametro dipende dal materiale di cui è composto il fotocatodo. La probabilità di emissione fotoelettrica in seguito ad assorbimento di una radiazione è però molto inferiore all'unità, anche se le condizioni di lavoro ci permettono di essere oltre la soglia di estrazione mostrata sopra. Il processo è infatti caratterizzato dal parametro efficienza quantistica, rapporto tra fotoelettroni prodotti e fotoni incidenti ad una data lunghezza d'onda. Nel nostro caso il fotomoltiplicatore utilizzato ha un massimo in coincidenza con le lunghezze d'onda di 400nm come si vede nella seguente immagine. 15 Fig. 5: sensibilità del fotocatodo del fotomoltiplicatore utilizzato Questi fotoelettroni sono poi diretti verso un sistema di amplificazione attraverso il voltaggio di un elettrodo focalizzatore; qui gli elettroni sono moltiplicati per emissione secondaria, venendo accelerati da un elettrodo (dinodo) all'altro per un numero di volte che può variare da uno strumento all'altro, finché non sono raccolti dall'anodo, dal quale viene prelevato il segnale di uscita. Gli elettroni prodotti inizialmente hanno energia di pochi eV e non avrebbero infatti l'energia sufficiente a generare un impulso elettrico. Il guadagno totale è dato dal prodotto dei guadagni dei singoli dinodi (rapporto tra il numero di elettroni secondari emessi e il numero di elettroni incidenti) per ogni stadio di moltiplicazione, moltiplicato per un fattore che determina la frazione di fotoelettroni che vengono effettivamente raccolti dal primo dinodo. N G = ⋅∏ g i i =1 N è il numero di dinodi presenti nel fotomoltiplicatore. Il fattore α, che determina i fotoelettroni raccolti dal primo dinodo deve essere il più vicino possibile all'unità, mentre i singoli guadagni gi possono essere modificati aggiustando in funzione del potenziale applicato. Nel nostro caso, si hanno N = 10 dinodi quindi si ha un fattore di guadagno totale pari a circa 106. Uno schema generale sulla struttura del PMT è riportata di seguito: 16 Fig. 6: schema di un fotomoltiplicatore 17 Capitolo 3 Sintesi Chimica Come descritto nell'introduzione, questo lavoro di tesi si è svolto all'interno dell'esperimento NUCL_EX e del progetto ORIONE (ORganic scIntillators fOr Neutrons) dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare nei Laboratori di Legnaro. Il progetto consiste nella realizzazione di scintillatori organici costituiti da gomme siliconiche bi-componenti, drogate con fluorofori e con composti organici contenenti Gadolinio o Boro per la rivelazione di neutroni termici. In particolare, la realizzazione di questi scintillatori è volta al tentativo di trovare uno strumento che possa sostituire gli scintillatori liquidi, in quanto tossici, infiammabili ed altamente inquinanti oltre che difficili da smaltire, ma che allo stesso tempo sia loro almeno pari in termini di efficienza e di prestazioni. In particolare si è lavorato per valutare, oltre alla resa di luce e alla resistenza alla radiazione dei materiali prodotti, anche l'efficienza nella discriminazione di radiazione γ e radiazione α dal rumore di fondo. La scelta degli scintillatori siliconici è stata determinata anche dalla possibilità che questi offrono per la realizzazione di rivelatori dalle forme e volumi più disparati, per l'utilizzo negli esperimenti di fisica nucleare. 3.1 – Chimica degli scintillatori siliconici Gli scintillatori siliconici sono stati sintetizzati partendo da una base di dimetil- difenilpolisilossano. Viene di seguito riportata la formula strutturale dei due componenti funzionali: Fig. 7: formule strutturali del Difenilsilossano (DFS) e Dimetilsilossano (DMS) Questa composizione in scintillatori plastici e siliconici ha avuto un largo utilizzo dagli anni '90 in poi, negli esperimenti di alta energia per la loro capacità di resistere a forti 18 dosi di radiazione, al contrario di materiali a base di poliviniltoluene (PVT) che ingiallivano in seguito ad assorbimento di dosi dell'ordine del megarad; questo risultava in un catastrofico calo nell'uscita di luce dello scintillatore proprio nella regione di lunghezza d'onda della luce emessa. I polisilossani invece presentano diversi vantaggi sia dal punto di vista della produzione, che per quanto riguarda l'affidabilità. Essi infatti polimerizzano a temperatura ambiente, senza subire significative variazioni di volume e rimanendo allo stesso tempo elastici. Inoltre, aumentando la concentrazione di DFS, è possibile esaltare alcune proprietà come indice di rifrazione, luminescenza e resistenza all'aumento di temperatura. Quest'ultima caratteristica è dovuta alla presenza del legame a ponte Si– O–Si, che ha un'energia pari a 460 KJ/mol (un legame C–C come nel PVT o nel PS ha un'energia di 347 KJ/mol) La scintillazione della resina base, come già accennato in precedenza, è resa possibile grazie alla struttura energetica dell'anello benzenico dei gruppi fenile presenti all'interno della matrice. La sua emissione di luce tuttavia, oltre ad essere piuttosto debole e centrata attorno ai 270 nm, regione che male si adatta alla sensibilità dei fotorivelatori disponibili, risulta essere non trasparente alla propria emissione su distanze significative ai fini della rivelazione. Quindi il polimero base che forma la matrice di questi scintillatori, pur essendo indispensabile per fornire la struttura polimerica che li rende così resistenti alla radiazione, non è in realtà un buon emettitore di luce nella regione di lunghezza d'onda necessaria. L'aggiunta di circa 1% in peso (che può andare da 0.3% fino a 4%) di un composto aromatico, chiamato fluoroforo secondario, permette, grazie all'alta concentrazione, un processo di trasferimento di energia chiamato Förster Resonance Energy Transfer, esso si basa sull'accoppiamento dipolo-dipolo tra la molecola di un fluoroforo eccitata che deve emettere energia e una molecola accettore dell'altro fluoroforo. Ne consegue quindi un trasferimento di energia non radiativo per risonanza, che risulta più efficiente quanto più lo spettro di assorbimento del fluoroforo primario si sovrappone a quello di emissione della resina base. Il fluoroforo secondario è poi in grado di riemettere l'energia raccolta con emissione di fluorescenza generalmente nel range UV (350 – 400 nm). Il materiale con l'aggiunta del fluoroforo secondario risulta quindi caratterizzato da una luminescenza molto più marcata sebbene la distanza di attenuazione sia ancora limitata. Per incrementarla è allora necessario un terzo fluoroforo, chiamato wavelength shifter, aggiunto con una percentuale di circa 0.01% in peso (che può andare da 0.001% a 0.1%). Il drogaggio con due fluorofori permette quindi l'assorbimento fra la luce 19 emessa dalla matrice e la riemissione nell'intervallo visibile (400 – 450 nm), rivelabile da un fotomoltiplicatore. Nel presente lavoro, come fluoroforo secondario è stato utilizzato il PPO mentre come wavelength shifter il BBOT o il Lumogen Violet® (LV): • PPO: assorbe a circa 300 nm con emissione a 380 nm (picco massimo); • BBOT: assorbe nell'intervallo 340 – 400 nm (picco a 370 nm) e riemette a 400 – 450 nm (picco massimo a 430 nm); • LV: assorbe a circa 350 – 400 nm (picco a 376 nm) e riemette intorno ai 413 nm. Di seguito vengono riportati gli spettri di assorbimento ed emissione del PPO e degli wavelength shifter BBOT e Lumogen Violet, ciascuno con le proprie formule strutturali. Per LV non è possibile presentare la struttura chimica, poiché questo fluoroforo è venduto da Basf come sbiancante ottico e la sua struttura è coperta da brevetto. 20 Fig. 8: spettri di assorbimento ed emissione di BBOT, PPO ed LV 21 3.2 – Preparazione Prima di descrivere il procedimento di sintesi del materiale è necessario soffermarsi sul processo di polimerizzazione della base plastica di polisilossano, la componente sensibile alla ionizzazione; questa viene prodotta a partire da due polimeri, distinti in Resina A e B, le cui formule strutturali sono riportate di seguito: • Resina A: dimetil-difenilsilossano, rappresenta la resina base con la catena terminante in gruppi vinile ( CH=CH2 ) necessari alla polimerizzazione; la percentuale in moli del gruppo fenile (DFS) e del gruppo metile (DMS) può essere variata a seconda delle necessità, come spiegato in precedenza. Il prodotto viene infatti venduto specificando il rapporto percentuale n / (n + m). • Resina B: fenil-metilsilossano, la cui catena termina con un gruppo idruro; in questa resina la percentuale di gruppi fenili è circa il 50% (determinata dal rapporto p / q). Fig. 9: formule strutturali della Resina Base A (sinistra) e della Resina B (destra) Il processo di reticolazione avviene tramite addizione del legame Si-H al doppio legame del gruppo vinile della Resina A grazie ad un elemento catalizzatore, un composto metallo-organico contenente platino Pt(0) divinyl-tetramethylsiloxane, con una forte coordinazione con i doppi legami della parte organica (gruppi vinile), che ne impedisce l'aggregazione e la conseguente precipitazione in forma di polveri metalliche. La reazione procede in questo modo: • Il catalizzatore, coordinando le molecole sulla sua superficie, indebolisce i gruppi chimici reattivi delle molecole : i doppi legami dei gruppi vinilici CH2=CH-Si nella Resina Base A e i legami idruro Si-H della Resina B, che è l'agente reticolante. 22 Fig. 10: avvicinamento dei gruppi chimici reattivi nella fase di mescolamento (doppi legami della Resina Base A e legami idruro della Resina B) • La rottura dei doppi legami porta alla formazione di radicali carbonio molto reattivi. • La rottura del legame Si-H rilascia ioni H + che vengono attirati dal radicale del carbonio più vicino all'atomo di silicio; il carbonio radicale terminale si lega invece al silicio della catena di idrosilossano (Resina B) Fig. 11: proseguimento della reazione di polimerizzazione in seguito all'azione del catalizzatore • Le due resine reticolano formando lunghe catene unite dai nuovi legami chimici covalenti molto forti in coincidenza con le posizioni finali della catena della Resina A e delle posizioni intermedie della catena della Resina B. Il catalizzatore nel frattempo si ripresenta integro come all'inizio della reazione, dopo aver terminato la sua funzione. 23 Fig. 12: struttura della catena finale polimerizzata Ora è possibile descrivere in modo completo l'intero processo di sintesi che parte dai materiali base e arriva allo scintillatore finito. I componenti usati e le loro caratteristiche fornite sono: • resina base: Diphenylsiloxane–Dimethylsiloxane Vinyl Terminated Copolymer; sostanza liquida e viscosa. 1. viscosità 1000 cSt (1 cSt = 1 mm2/s); DFS 15-17% mol; 2. viscosità 1000-1500 cSt; DFS 22-25% mol; • agente reticolante (Si-H): (45-50% Methylhydrosiloxane)–Phenylmethylsiloxane Copolymer, Hydride Terminated; viscosità 75-110 cSt; densità 1,08 g/ml; sostanza liquida e viscosa. • catalizzatore Pt: Platinum Divinyl Tetramethylsiloxane Complex; concentrazione Pt: 2.1–2.4%; densità 1.02 g/ml; • inibitore: 1,3,5,7–Tetravinyl–1,3,5,7–Tetramethylcyclotetrasiloxane; densità 0.997 g/ml; • wavelength shifter PPO: 2,5–Diphenyloxazole; solido in polvere. wavelength shifter BBOT: 2,5–bis(5–Tert–Butyl–2–Benzoxazolyl)Thiophene. wavelength shifter LV: Lumogen® F Violet 570. La bilancia usata per le misure di peso delle resine e del PPO aveva una risoluzione di 0.0001 g mentre gli altri componenti come il catalizzatore sono stati misurati e aggiunti grazie alle micropipette da laboratorio di fondo scala adeguato (2 mL, 10 mL, 200 mL). In ogni serie veniva gradualmente variata la percentuale di agente reticolante (Si-H) e dei soluti (PPO come primario e BBOT o LV come secondari). Come contenitori si sono usati dei barattoli di polipropilene (PP), essendo questi 24 resistenti alle alte temperature necessarie alla preparazione. Le quantità percentuali delle componenti aggiuntive vengono riferite alla quantità di resina base, pari a 3 g. I primi componente ad essere aggiunti erano il PPO ed il BBOT, per ragioni di accuratezza, essendo gli unici composti solidi (prelevamento con una spatola). Dopodichè venivano aggiunti, grazie ad un dosatore, 3g di resina base e la sostanza reticolante Si-H con una pipetta. A questo punto è necessario lasciare la miscela a mescolare a caldo (temperatura 80°C) per circa 12 ore; questo è stato effettuato grazie a piastre riscaldanti e dotate di agitatori magnetici che consentono la miscelazione costante della soluzione. Dopo la fase di mescolamento iniziale, ai campioni, messi sotto forte agitazione, veniva aggiunto il catalizzatore che, essendo molto veloce nel far procedere la reazione, necessitava anche di un inibitore. Questo, coordinandosi con il catalizzatore ne rallentava l'azione permettendoci di eseguire le ultime procedure di sintesi. Dopo aver atteso per circa due minuti infatti, ogni campione veniva suddiviso in 3 contenitori più piccoli di diametro pari a circa 2 cm, più simile alla geometria del fotomoltiplicatore, e messi in una stufa a vuoto ad una temperatura di circa 70° e con una pressione di 10 mmHg, per permettere il degasaggio; questa procedura è fondamentale a causa della tendenza delle resine siliconiche ad intrappolare molta aria durante il mescolamento, che potrebbe rimanere intrappolata nei campioni dopo reticolazione, provocandone opacità e fragilità meccanica. L'alta temperatura durante il degasaggio riduce la viscosità e aiuta quindi le bolle a migrare verso la superficie del preparato. Alla fine dell'operazione di degasaggio, il liquido viscoso iniziale si era solidificato in un materiale elastico e trasparente. Per estrarre gli scintillatori dai contenitori questi dovevano essere tagliati con un cutter; l'operazione è risultata alquanto complicata a causa del pericolo costante di rovinare i rivelatori saldamente aderenti ai barattoli di polipropilene. 25 Capitolo 4 Misure di Resa di Luce Dopo aver preparato gli scintillatori nel modo descritto nel Cap. 3 si è passati allo studio della resa di luce degli scintillatori in seguito ad irradiazione da sorgenti radioattive. Il termine di paragone nell'analisi dei dati raccolti per l'intero esperimento è stato lo scintillatore commerciale NE102, ottimo scintillatore per la rivelazione di particelle cariche e quindi punto di riferimento per quanto riguarda la resa di luce. I dati principali che riguardano questo scintillatore sono riportati di seguito: • densità: 1.032 g/cm3; • indice di rifrazione: 1.58; • costante di decadimento: 2.4 ns; • lunghezza d'onda di emissione: 425 nm; • numero di fotoni emessi: 1g / 3000eV (energia depositata per ionizzazione) numero di fotoni emessi per cm: 500g / cm Lo scintillatore NE102 è costituito da: • base polimerica in poliviniltoluene (PVT), • fluoroforo primario p-terphenyl (1 – 4% in peso) wavelength shifter POPOP o 1,4-bis(5-phenyloxazol-2-yl) benzene (0.1% in peso o minore) Nella Fig. 13 sono riportate le formule chimiche dei composti sopra citati. In particolare questa prima parte dell'esperimento ha avuto come obbiettivo quello di poter scegliere gli scintillatori con la composizione migliore relativamente alle percentuali di fluoroforo e gruppi fenile presenti e come queste incidono su efficienza e • risoluzione nella rivelazione. Ogni scintillatore è stato sottoposto a radiazione α e γ. Prima dell'acquisizione di ogni spettro con le sorgenti, si proceduto alla raccolta del rumore di fondo che ogni campione rivelava in un medesimo intervallo di tempo e causato da rumore elettronico e fondo ambientale. Questo segnale si sviluppava principalmente nella zona dei canali a bassa energia. In questo modo era possibile sottrarre il rumore di fondo da ogni spettro analizzato. I campioni di scintillatore sono stati accoppiati ad un fotomoltiplicatore; questo a sua volta era collegato ad un sistema elettronico capace di leggere il segnale in entrata e produrre una risposta in tensione dipendente dal tipo di radiazione incidente e dalla sua 26 energia. Il tutto era posto all'interno di una camera di reazione. L'impulso raccolto dal fotomoltiplicatore veniva inviato ad un amplificatore che produceva un segnale di uscita di tipo gaussiano e questo veniva quindi inviato ad un sistema multicanale per l'acquisizione dello spettro. Uno schema generale della catena elettronica è riportato in Fig. 14. Fig. 13: componenti dell'NE102 Fig. 14: schema della catena elettronica 27 4.1 – Apparato Sperimentale Di seguito vengono riportate le caratteristiche di tutto l'apparato sperimentale utilizzato per questo esperimento. 4.1.1 – Sorgenti La prima sorgente utilizzata (sorgente α) era costituita da un supporto cilindrico contenente una piccola quantità di 241Am (t1/2 = 432 y), emettitore di particelle alfa di energia massima pari a 5.484 MeV e con attività pari a 3 kBq. La reazione è la seguente: 241 95 Am 237 93 Np Per questo tipo di sorgente veniva fatto un vuoto all'interno della camera di reazione pari a 0.05 mbar e lo scintillatore veniva posto a diretto contatto con il punto di emissione della sorgente, a causa del limitato range di azione delle particelle alfa. La sorgente, lo scintillatore e il PMT venivano tenuti assieme e isolati dalla luce esterna grazie ad un rivestimento fatto con una pellicola di teflon bianco. La seconda sorgente utilizzata (sorgente γ) era costituita da un sottile supporto rettangolare di vetro all'interno del quale era presente del 60Co (t1/2 = 5.27 y), emettitore di radiazione gamma in seguito al decadimento β- in stati eccitati del 60Ni: La radiazione emessa è caratterizzata da due energie di picco pari a 1.332 MeV e 1.173 MeV. Per questo tipo di sorgente era sufficiente che la sorgente fosse nelle vicinanze dello scintillatore, essendo le radiazioni molto penetranti, quindi solo lo scintillatore veniva fissato al fotomoltiplicatore grazie alla pellicola di teflon bianco. 4.1.2 – Fotomoltiplicatore e alimentazione Il fotomoltiplicatore usato era un PMT H6524 Hamamatsu. Le caratteristiche vengono riportate qui di seguito: 28 29 L'accoppiamento tra fotomoltiplicatore e scintillatore è stato effettuato senza l'ausilio di alcuna guida di luce dal momento che la forma degli scintillatori prodotti si adattava perfettamente alla superficie di raccolta del PMT, inoltre la natura siliconica del rivelatore permetteva un'ottima adesione tra le superfici. Il fotomoltiplicatore necessita di grande stabilità per quanto riguarda le differenze di potenziale tra i dinodi, in quanto una loro variazione, ad esempio a causa di variazione di corrente all'interno dello strumento, potrebbe influenzare il guadagno fotoelettrico e quindi la linearità della risposta. Per questo motivo è necessario lavorare con un alimentatore stabilizzato e un partitore di tensione (catena di resistenze). L'alimentazione del fotomoltiplicatore è stata fornita con un alimentatore Hamamatsu C3830 regolato alla tensione di -1450 V. 4.1.3 – Amplificatore La risposta del fotomoltiplicatore corrisponde alla carica totale raccolta sull'anodo ed è proporzionale alla luce emessa all'interno dello scintillatore. Il segnale emesso viene quindi inviato ad un amplificatore Fast Spectroscopy Amplifier CANBERRA 2024, il quale produce un segnale di tipo gaussiano, la cui ampiezza è pari all'integrale del segnale d'ingresso ma è confinato in un breve intervallo di tempo. Il tempo di integrazione è caratterizzato dallo shaping time, ts, dell'amplificatore, regolabile a seconda del tipo di segnale proveniente dal rivelatore. Osservando l'ampiezza dell'impulso e la dipendenza dalla risoluzione energetica del segnale al variare dello shaping time ts si è deciso di fissare questo valore a 0.25 µs per tutte le misurazioni effettuate. 4.1.4 – Sistema di acquisizione dati Il segnale uscente dall'amplificatore viene mandato ad un Analizzatore Multicanale provvisto di una scheda ADC (Analog-to-Digital Converter) che converte il segnale di tipo gaussiano in un segnale digitale e lo salva nella memoria del PC. Il valore del segnale digitale in bit è proporzionale all'ampiezza massima del segnale d'ingresso e l'insieme dei diversi segnali acquisiti durante una fase di misura danno luogo ad uno spettro monodimensionale su 8192 canali. Si ha così la distribuzione di energia degli eventi di sorgente che hanno prodotto un segnale di luce nello scintillatore. Ogni misurazione è soggetta ad eventuali instabilità della catena elettronica o nella 30 conversione ADC su tempi brevi; oltre a ciò, il rumore elettronico e le fluttuazioni poissoniane della quantità di luce prodotta e di carica raccolta possono provocare un allargamento dei picchi con una deformazione di tipo gaussiano. Per minimizzare l'errore statistico i tempi di raccolta dei dati venivano fissati pari a circa 600 s. 4.2 – Campioni analizzati I campioni scelti per le misure di resa di luce sono riportati di seguito con le relative composizioni: Serie ABBOT Nome del Campione Phenyl Si-H PPO BBOT Pt ABBOT01 15% 3,9% 0,5% 0,05% 2,1% ABBOT02 15% 3,9% 1,0% 0,10% 2,1% ABBOT03 15% 3,9% 1,5% 0,15% 2,1% ABBOT04 22% 6,0% 0,5% 0,05% 2,1% ABBOT05 22% 6,0% 1,0% 0,10% 2,1% ABBOT06 22% 6,0% 1,5% 0,15% 2,1% ABBOT07 15% 5,2% 0,5% 0,05% 2,1% ABBOT08 15% 5,2% 1,0% 0,10% 2,1% ABBOT09 15% 5,2% 1,5% 0,15% 2,1% ABBOT10 22% 8,0% 0,5% 0,05% 2,1% ABBOT11 22% 8,0% 1,0% 0,10% 2,1% ABBOT12 22% 8,0% 1,5% 0,15% 2,1% ABBOT13 15% 6,5% 0,5% 0,05% 2,1% ABBOT14 15% 6,5% 1,0% 0,10% 2,1% ABBOT15 15% 6,5% 1,5% 0,15% 2,1% ABBOT16 22% 10,0% 0,5% 0,05% 2,1% ABBOT17 22% 10,0% 1,0% 0,10% 2,1% ABBOT18 22% 10,0% 1,5% 0,15% 2,1% Tab. 1: elenco dei campioni della serie ABBOT 31 Serie Apr09 Nome del Campione Phenyl Si-H PPO LV Pt Apr09_01 15% 5,2% 1% 0,01% 2,1% Apr09_02 15% 5,2% 1% 0,02% 2,1% Apr09_03 15% 5,2% 1% 0,05% 2,1% Apr09_04 22% 8,0% 1% 0,01% 2,1% Apr09_05 22% 8,0% 1% 0,02% 2,1% Apr09_06 22% 8,0% 1% 0,05% 2,1% Tab. 2: elenco dei campioni della serie Apr09 Per quanto riguarda la serie ABBOT, i campioni 4, 13 e 14 si presentavano ancora in parte liquidi al termine del processo di sintesi e sono stati scartati in quanto difficili da maneggiare; le composizioni sono state comunque fornite per completezza. I campioni ABBOT03 ed ABBOT08 presentavano invece delle bolle di aria sulla superficie esterna ed il secondo in particolare mostrava sulla superficie il segno di una bolla d'aria esplosa durante la fase finale di solidificazione del campione. Si è scelto comunque di aggiungerli all'esperimento per osservarne i risultati. Tutti i campioni scelti sono stati sottoposti ad irradiazione da parte delle sorgenti alfa e gamma. 4.3 – Misure con sorgente α Come indicato nel Par. 4.1.1, le particelle alfa emesse dalla sorgente di 241Am hanno un'energia di circa 5 MeV e il loro percorso (range) è strettamente legato al tipo di interazione che esse hanno, durante il loro tragitto, con le molecole del rivelatore. Nel nostro caso, le particelle alfa percorrono solo pochi micrometri all'interno del materiale scintillante prima di venire completamente arrestate; tutta l'informazione relativa al loro deposito di energia (risoluzione) dipende quindi dallo strato superficiale del rivelatore, mentre il resto dello spessore (in relazione alla trasparenza e al riassorbimento) influenza solamente la trasmissione della luce prodotta fino al fotomoltiplicatore, cioè la resa di luce. Ci aspettiamo dunque che la perdita di energia e quindi l'assorbimento delle particelle stesse da parte degli scintillatori sia massimo. Abbiamo allora un fenomeno statistico, cioè il conteggio di un elevato numero di eventi teoricamente identici (poiché il tipo di particella e la sua energia sono fissati) ma influenzati da errori accidentali, quindi di diversa natura ma di egual peso. Gli spettri raccolti presentano 32 infatti un picco definito, approssimabile da una curva di tipo gaussiano. La funzione Gaussiana è espressa dalla formula 2 A y = y0 ⋅e w /2 2 x − x0 w 2 , w = 2 dove: y0 : offset; A : area totale sottesa dalla curva; x0 : posizione del centro del picco; s : deviazione standard, legata al valore della larghezza del picco a metà altezza (FWHM). In questo esperimento si cerca di valutare come varia la resa di luce e la risoluzione in energia di ogni campione relativamente alle percentuali dei fluorofori e del gruppo fenile presenti. La posizione del massimo del picco è legato alla resa di luce del campione in esame, cioè la capacità di emettere una certa quantità di luce a parità di energia depositata. La larghezza della ''campana'' di Gauss invece fornisce una stima sulla capacità risolutiva del sistema scintillatore – fotomoltiplicatore, influenzato soprattutto dal processo di deposito di energia nel rivelatore. Essa è caratterizzata dal parametro FWHM (la larghezza a metà altezza), definito come: w FWHM = 2 2 ln 2 ≈ 2,35⋅ = 2,35⋅ 2 Più questo valore è basso, più la campana di Gauss tende ad un distribuzione a delta di Dirac e migliore sarà quindi la risoluzione. L'errore che affligge questo valore è dato da: FWHM canali = FWHM canali Per poter avere un confronto migliore dei dati si ricorre all'espressione percentuale data da FWHM canali FWHM = ⋅100 x0 33 dove x0 è il canale corrispondente al valore massimo della distribuzione di Gauss. Per omogeneizzare e rendere possibile un confronto statistico tra spettri appartenenti a serie diverse di campioni si è proceduto alla normalizzazione rispetto al periodo di acquisizione dei dati. 4.3.1 – Risultati delle misure con sorgente α I valori raccolti per tutti i campioni sono riportati in Tab. 3 insieme a quelli relativi al campione commerciale di NE102, preso come riferimento. Posizione Massimo Picco (canali) FWHM NE102 2339 30% ABBOT01 326 45% 14% ABBOT02 723 29% 31% ABBOT03 871 27% 37% ABBOT05 647 32% 28% ABBOT06 1048 32% 45% ABBOT07 708 29% 30% ABBOT08 492 35% 21% ABBOT09 1047 27% 45% ABBOT10 561 33% 24% ABBOT11 768 33% 33% ABBOT12 1060 34% 45% ABBOT15 976 30% 42% ABBOT16 290 44% 23% ABBOT17 645 34% 28% ABBOT18 837 34% 36% Apr09_01 1929 26% 82% Apr09_02 1740 23% 74% Apr09_03 1257 23% 54% Apr09_04 2213 18% 95% Apr09_05 2310 22% 99% Apr09_06 2321 18% 99% Campione Resa (%) rispetto ad NE102 Tab. 3: parametri analizzati nell'esperimento con la sorgente α 34 4.3.2 – Grafici delle misure con sorgente α Di seguito viene proposto un grafico non normalizzato che mostra la distribuzione gaussiana per il campione ABBOT09 e un grafico che mostra il confronto tra le rese normalizzate rispetto al periodo di acquisizione; sono quindi mostrati i grafici di confronto tra le varie serie per quanto riguarda la dipendenza delle rese di luce dalle concentrazioni dei fluorofori e dei gruppi fenile presenti nelle molecole dei composti: 35 Fig. 15: spettro di particelle α per il campione ABBOT09 Fig. 16: confronto tra spettri di particelle α di diversi campioni normalizzati rispetto al periodo di acquisizione. 36 Fig. 17: dipendenza della posizione del picco massimo dalla concentrazione di PPO e BBOT nei campioni ABBOT. Si nota la discrepanza del dato relativo al campione ABBOT08. Fig. 18: dipendenza della posizione del picco massimo dalla concentrazione di Phenyl nei campioni ABBOT nelle tre serie con diverse percentuali di Si – H 37 Fig. 19: dipendenza della posizione del picco massimo dalla concentrazione di LV nei campioni Apr09 Fig. 20: dipendenza della posizione del picco massimo dalla concentrazione dei gruppi fenili nei campioni Apr09 38 4.3.3 – Conclusioni Dai grafici raccolti si vede come tutti i campioni esaminati, pur avendo valori di resa di luce molto diversi, mostrano il caratteristico picco gaussiano; inoltre, a parte rari casi, i campioni mostrano una distribuzione gaussiana eccezionalmente simmetrica, la quale ci rassicura sulla mancanza di disomogeneità all'interno dello scintillatore. In esperimenti precedenti effettuati per testare la ripetibilità delle misure, alcuni campioni presentavano delle distribuzioni gaussiane più asimmetriche rispetto ai risultati di esemplari con le stesse concentrazioni delle componenti; questo era causato da accidentali difetti nella procedura di preparazione del composto che risultava in una disomogeneità del prodotto finale. In particolare si nota da questi dati come la variazione delle concentrazioni dei vari componenti, anche se minima in percentuale, sia causa di cambiamenti macroscopici nelle rese di luce degli scintillatori; questo evidenzia l'alta sensibilità di questi campioni dovuta in particolar modo alle loro dimensioni ridotte. Osservando gli spettri alfa i migliori risultati relativi alla resa di luce e alla relativa risoluzione si è ottenuta con i campioni ABBOT 06, 09 e 12 e per gli esemplari 01, 04, 05 e 06 dei campioni della serie Apr09. Per la serie ABBOT si è arrivati a valori vicini alla metà rispetto alla resa dello scintillatore commerciale NE102 mentre per la serie Apr09 è rilevante notare che il rapporto delle rese di luce è vicino all'unità: 2321 ≈ 0.992 NE102 2339 e questo risultato si aggiunge all'alta risoluzione raggiunta che in entrambe le serie risultava migliore di quella trovata per l'NE102. Dai risultati ottenuti dagli spettri alfa è stato quindi possibile caratterizzare gli andamenti della resa dei campioni in funzione delle percentuali di gruppi fenile e di fluorofori presenti all'interno dei composti siliconici (da Fig. 17 a Fig. 20). Per quanto riguarda i campioni ABBOT (Fig. 17), un aumento della percentuale dei fluorofori mostra in generale un miglioramento della resa di luce dei campioni in esame sia per la serie con il 15% di gruppi fenili sia per la serie con il 22%, ad eccezione di un campione, ABBOT08, che, come anticipato nel Par. 4.2, presentava un notevole danneggiamento in superficie, sorto in fase di produzione. Questo scintillatore è rappresentato dal secondo punto sperimentale nella serie di dati raffigurati dalla linea rossa in Fig. 17, e il calo nella resa di luce, rispetto agli andamenti di tutti gli altri 39 campioni è evidente. L'altro campione rovinato, ABBOT03 (terzo dato della linea nera), non mostra una particolare discrepanza dall'andamento generale, per quanto riguarda le concentrazioni di fluorofori. In Fig. 18 invece non emerge una dipendenza chiara, inoltre le variazioni sono in molti casi minime ed entro l'errore sperimentale. I campioni Apr09 (Fig. 19) invece mostrano che all'aumentare della concentrazione di LV nella serie con 15% di gruppi fenili, l'aumento di LV porta ad un aumento della resa di luce. La ragione di questa evidenza sperimentale, unitamente al fatto che, in generale, tutti i campioni Apr09 mostrano una migliore resa di luce rispetto ai campioni ABBOT deve essere cercata nella differenza tra i due wavelength shifter utilizzati: il BBOT ed il Lumogen Violet. I due fluorofori presentano diverse caratteristiche chimico – fisiche: in primo luogo BBOT ha una resa quantica di emissione (rispetto all'antracene preso come riferimento) pari al 74% [7] mentre LV ha una resa del 94% [8]; inoltre la molecola di BBOT, la cui struttura è stata sopra riportata, comprende gruppi chimici di natura fortemente polare, quali –C=N, –C–O–C–, C–S–C, unitamente a gruppi a bassa polarità, quali gli anelli benzenici e i gruppi ter-butile laterali. In sostanza, ci sia aspetta che questa molecola possa sciogliersi sia in mezzi polari che apolari, purchè in basse concentrazioni. In effetti, si è osservato che nella resina con il 22% di gruppi fenili, che ha quindi complessivamente una minore polarità rispetto alla resina 15%, il BBOT, che si presenta come una polvere giallo chiaro, non si scioglie completamente come nella resina 15%. Questo si evidenzia, dopo la reticolazione della resina, nella presenza di piccole pagliuzze gialle depositate sulla parte inferiore del campione. La struttura chimica del Lumogen Violet è coperta da brevetto. Tuttavia, si conosce la sua appartenenza alla classe delle naphtalimidi, la cui generica formula di struttura è sotto riportata. Nonostante la presenza del gruppo imide fortemente polare (O=C-N-C=O) la molecola presenta il gruppo ingombrante e fortemente apolare del naftalene (i due anelli benzenici condensati). Si è infatti osservato che la solubilità di LV nelle matrici con 22% di gruppi fenile è ottima e nessun residuo è stato mai riscontrato, nemmeno alle più alte concentrazioni. Si ritiene quindi che la migliore solubilità del soluto secondario nelle resine a più alta concentrazioni di fenili (e quindi a minore polarità) e la maggiore resa quantica di fluorescenza siano le principali cause che portano alla migliore risposta in luce degli scintillatori Apr09 rispetto agli ABBOT. 40 Fig. 21: formula di struttura generica del naphtalimide 4.4 – Misure con sorgente γ A differenza delle particelle alfa, la radiazione gamma è molto più penetrante e il loro range di interazione arriva a coprire l'intero spessore del campione. Come già detto durante la descrizione delle sorgenti, infatti, in questo tipo di esperimento non è necessario che la sorgente sia a diretto contatto con lo scintillatore ed inoltre non è indispensabile fare il vuoto all'interno della camera di reazione. Per velocizzare il periodo di misura data la quantità di dati da prelevare si è deciso di effettuare l'esperimento in aria. Nell'interazione tra la radiazione gamma e i materiali scintillanti i principali processi di ionizzazione che possono aver luogo sono l'effetto fotoelettrico, l'effetto Compton e la produzione di coppie. Questi processi sono in competizione l'uno con l'altro e la probabilità che uno dei tre abbia luogo dipende fortemente dall'energia della radiazione incidente e dalla natura del materiale scintillante. In particolare l'effetto fotoelettrico predomina per raggi gamma di bassa energia fino a qualche centinaio di keV. La sezione d'urto per l'assorbimento fotoelettrico varia approssimativamente come Z 4.5. L'effetto Compton invece è il processo che ha la maggiore probabilità di avvenire nel range di energie che va da qualche centinaio di keV fino a 5 – 10 MeV, intervallo variabile a seconda del materiale attraversato. Questo risulta quindi il meccanismo di interazione dominante per raggi gamma con energie tipiche da sorgenti di radioisotopi (in particolare questo è vero per la sorgente di 60Co utilizzata nel presente lavoro). La resa Compton è proporzionale allo Z caratteristico del materiale. Il meccanismo di produzione di coppie invece diventa possibile solo per energie superiori a 1.022 MeV (cioè il doppio della massa a riposo di un elettrone, 511 keV) e diventa dominante nel 41 range delle alte energie a partire da 5 – 10 MeV. Va detto inoltre che gli scintillatori siliconici che utilizziamo sono caratterizzati da costituenti con basso numero atomico (C, H), dunque la dipendenza da Z 4.5 dell'effetto fotoelettrico risulta meno accentuata rispetto alla dipendenza da Z dell'effetto Compton. Per questi motivi e anche a causa delle dimensioni ridotte dello spessore degli scintillatori, gli spettri che si sono ottenuti non presentano un picco ben definito come nel caso della radiazione alfa ma mostrano la caratteristica curva Compton con una spalla (Compton Edge) proporzionale all'energia del fotone incidente; per questo motivo in questi spettri sono di particolare importanza la posizioni di end point della curva Compton, cioè il canale che si trova nel punto in cui la resa di luce va rapidamente a zero, e la stima della posizione del punto di picco oltre il quale la pendenza della curva cresce rapidamente procedendo verso il punto di end point. 42 4.4.1 – Risultati delle misure con sorgente γ I valori significativi ottenuti dagli spettri di tutti i campioni analizzati sono riportati in Tab. 4. Posizione Picco (canali) End Point (canali) ABBOT01 1100 2000 ABBOT02 1600 2750 ABBOT03 1800 3300 ABBOT05 1500 2750 ABBOT06 2250 3750 ABBOT07 1250 2200 ABBOT08 1500 2750 ABBOT09 1250 2250 ABBOT10 750 1600 ABBOT11 1000 1900 ABBOT12 2750 4250 ABBOT15 1500 2500 ABBOT16 400 800 ABBOT17 900 1700 ABBOT18 1250 2400 Apr09_01 3000 4500 Apr09_02 3750 4750 Apr09_03 2500 3700 Apr09_04 4000 5250 Apr09_05 3500 4500 Apr09_06 2750 4100 Campione Tab. 4: parametri analizzati nell'esperimento con la sorgente γ 4.4.2 – Grafici delle misure con sorgente γ Di seguito viene mostrato il grafico del campione ABBOT06 tra tutti quelli prelevati in fase di misurazione. Esso mostra la tipica forma Compton Edge e l'end point. Di seguito viene mostrato anche un grafico di confronto fra diversi spettri prelevati. 43 Fig. 22: resa di luce con sorgente γ del campione ABBOT06 Fig. 23: confronto tra resa di luce con sorgente γ di alcuni campioni della serie ABBOT 44 4.4.3 – Conclusioni Confrontando i valori ottenuti in Tab. 4 per le rese di luce con la sorgente gamma si nota che per quanto riguarda la serie ABBOT, i campioni 06, 09 e 12 che avevano mostrato la migliore resa di luce nel caso degli spettri alfa, mantengono questa proprietà anche per la radiazione gamma. Un altro termine di paragone è lo scintillatore ABBOT16 che per entrambe le radiazioni mostra la resa di luce minore rispetto a tutti gli altri campioni. Quanto detto rimane valido anche per la serie Apr09, la quale aveva mostrato le posizioni dei massimi dei picchi alfa più alte e in seguito a radiazione gamma mostra una resa di luce molto più alta rispetto ai campioni della serie ABBOT. 45 Capitolo 5 Analisi IBIL In seguito alle misure sulle rese di luce si è proceduto alla misura IBIL sui campioni selezionati. La tecnica IBIL (Ion Beam Induced Luminescence) permette di analizzare lo spettro di emissione di un materiale luminescente in seguito a bombardamento con un fascio di ioni noto, relativamente ad energia e densità di corrente, per una durata di tempo prestabilita. Grazie a questa analisi è possibile studiare le proprietà ottiche di fluorescenza dei materiali preparati come l'emissione del campione e la variazione di questa in funzione del tempo di esposizione al fascio (degrado) oltre che la distribuzione delle lunghezze d'onda della luce emessa. 5.1 – La ionoluminescenza La tecnica IBIL si basa sul processo di ionoluminescenza che è un processo di emissione per irraggiamento, equivalente alla fluorescenza, ma causato da bombardamento di parte di ioni di energia dell'ordine del MeV. Gli ioni incidenti vengono decelerati mentre entrano in contatto con lo scintillatore ionizzando ed eccitando le molecole del mezzo. L'interazione tra gli ioni incidenti e gli atomi del materiale di cui sono composti gli scintillatori causa quindi un'eccitazione delle impurità presenti e la conseguente emissione elettromagnetica nella radiazione del visibile e dell'infrarosso. Come per la fluorescenza, gli spettri risultanti corrispondono alle transizioni da parte della matrice di base degli scintillatori dal primo stato elettronico eccitato allo stato fondamentale e questo processo rimane indipendente dalla lunghezza d'onda di eccitazione da parte di fasci di ioni ad alta energia. Gli spettri di ionoluminescenza coincidono quindi con quelli di fluorescenza per uno scintillatore plastico. Tuttavia la radiazione ionizzante in uno scintillatore plastico è assorbita principalmente nella matrice polimerica, presente in concentrazione molto più alta rispetto alle sostanze additive, che normalmente non superano qualche percento in peso; l'energia di eccitazione elettronica è poi trasferita solo parzialmente alle molecole del fluoroforo ed in maniera non radiativa. Il risultato è che lo spettro registrato tramite la tecnica di 46 ionoluminescenza è essenzialmente dovuto alla fluorescenza della componente base con la presenza di componenti a bassa intensità relative ai soluti dispersi nella matrice (soluto primario e wavelength shifter). Nel caso dell'NE102, che prendiamo sempre come campione di riferimento nelle nostre misure, se il campione è sottile, la tecnica IBIL evidenzia quindi la luminescenza intrinseca del PVT di cui è composta la matrice (320 nm) Nella descrizione delle caratteristiche ottimali per uno scintillatore organico è stata posta l'attenzione su un particolare problema riguardante il quenching da riassorbimento; questo fenomeno si evidenzia con una diminuzione della resa di luce dello scintillatore a causa della sovrapposizione dello spettro di assorbimento e lo spettro di emissione della sostanza organica di cui è composto. Il grado di reassorbimento dipende dalle dimensioni dello scintillatore e dal tipo di wavelength shifter utilizzato e anche negli scintillatori di piccolo volume provoca la perdita di una frazione considerevole dei fotoni emessi e quindi del segnale rivelabile. Nell'NE102 e in generale negli scintillatori con doppio additivo luminescente, l'energia di eccitazione viene trasferita in maniera non radiativa tra la matrice e il primo additivo (3% in peso) e da questo al secondo additivo (0.1% in peso) grazie al meccanismo di energy transfer di cui si è parlato precedentemente. In questo caso la concentrazione del secondo additivo è sufficiente ad assorbire quasi completamente la fluorescenza del primo additivo ma il fenomeno del re-assorbimento ha comunque luogo pur risultando trascurabile. Il processo di rallentamento e arresto degli ioni può essere temporalmente comparabile o addirittura più lungo rispetto alla durata dei processi di de-eccitazione ed emissione; inoltre l'interazione diretta tra le molecole attivate è significativa solo per distanze corte (meno di 100 Angstrom), corrispondenti al cammino libero medio dello ione. La caratteristica principale che contraddistingue la fotoluminescenza dalla ionoluminescenza è la non selettività di azione della radiazione eccitante, che causa due conseguenze: la prima è che l'energia della particella incidente è in grado di portare la molecola in un qualsiasi stato eccitato o addirittura di ionizzarla, la seconda è che i processi di attivazione causati dal passaggio della particella sono correlati in tempo e spazio; dal momento però che la densità spaziale di attivazione dipende sostanzialmente dalla velocità della particella e dalla sua carica, anche la cinetica che riguarda tutti i processi che seguono all'eccitazione della matrice dovranno dipendere da questi parametri. Questo per dire che la resa di ionoluminescenza dipende dall'energia necessaria per eccitare una molecola e dal rapporto tra le velocità dei processi di emissione e di quenching. Come già detto nella prima parte di questa tesi, la ionizzazione porta a stati eccitati di 47 singoletto e tripletto dai quali possono derivare la fluorescenza rapida (10-9 s) e quella ritardata (10-7 s) dando luogo a due componenti nei profili di decadimento temporali nella luce di scintillazione (componente fast e slow). L'eccitazione che causa la fotoluminescenza produce principalmente emissione di fluorescenza con una sola costante di decadimento mentre in ionoluminescenza sono possibili entrambi i processi. Si verifica dunque che a causa della sovrapposizione degli stati eccitati che interferiscono l'uno con l'altro: • il quenching della componente fast aumenta con la densità di ionizzazione; • la componente fast viene sensibilmente ridotta in caso di particelle ad elevata perdita di energia (stopping power dE/dx); questo porta a tre conseguenze: • non linearità nella risposta dello scintillatore vs energia persa; • particelle pesanti con elevato stopping power producono meno luce a parità di energia depositata; • la forma dell'impulso di scintillazione, dipendente dalle componenti fast e slow, cambia a seconda del tipo di particelle, permettendone quindi la discriminazione. 5.2 – Apparato sperimentale L'esperimento si è tenuto nei Laboratori di Legnaro e il fascio di ioni è stato fornito dall'acceleratore CN, un Van Der Graaf da 7 MV che può produrre fasci continui o pulsati di ioni 1H, 2H, 3He o 4He con carica singola o doppia, oppure ioni 15N con carica doppia. L'energia massima dipende dallo stato di carica e varia da 7 MeV per gli ioni a singola carica a 14 MeV per gli ioni a carica doppia. Nel nostro caso si è utilizzato un fascio continuo di 4He+ con energia 1,8 MeV e una corrente stabile di 10 nA. La misurazione delle dimensioni del fascio è stata possibile grazie all'esposizione di un sottile strato di carta millimetrata per alcuni minuti e sono risultate inferiori ad 1x1 mm. I campioni sono stati fissati su un supporto mobile rotante azionabile da lontano, il quale allineava volta per volta i campioni con il fascio di ioni e quindi posizionati insieme al sistema ottico per la misura all'interno di una camera a vuoto di una delle linee sperimentali. Il sistema ottico consisteva in uno spettrometro a reticolo Acton SP300 sensibile alla banda elettromagnetica del visibile e del vicino (λ = 200 – 800 nm) con banda passante ∆λ = 15 nm. Una fibra ottica da vuoto quasi a contatto con i campioni raccoglieva la luce da questi 48 emessa e la convogliava nello spettrometro. Il fascio luminoso entrante nello strumento attraversa una fenditura di larghezza variabile, in modo da regolarne l'intensità, dopodichè viene deviata da un sistema di specchi verso il reticolo di diffrazione (150 griglie/mm). Una volta che la luce è stata separata nelle sue componenti cromatiche, viene diretta tramite uno specchio motorizzato verso uno dei due sensori, il CCD o il Photon Counter. Il sensore CCD (Charge Coupled Device) consiste in un circuito integrato formato da una matrice di elementi semiconduttori (photosites) in grado di accumulare una carica elettrica proporzionale all'intensità della radiazione elettromagnetica che li colpisce. Questi elementi sono accoppiati in modo che ognuno di essi, sollecitato da un impulso elettrico, possa trasferire la propria carica ad un altro elemento adiacente. Inviando al dispositivo una sequenza temporizzata d’impulsi, si ottiene in uscita un segnale elettrico grazie al quale è possibile ricostruire la matrice dei pixel che compongono l’immagine proiettata sulla superficie del CCD stesso (matrice di 1340 x 100 pixels, ognuno di 20 × 20 μm). Si ottiene quindi lo spettro completo della radiazione nell’intervallo di lunghezze d’onda di interesse (visibile + infrarosso). Per migliorare la sensibilità dello strumento, questo viene mantenuto freddo grazie all'azoto liquido. Tutti gli spettri sono stati acquisiti con tempi di esposizione di un secondo. Il photon counter è invece un dispositivo che permette di contare il numero di fotoni che lo colpiscono con una determinata energia; si ottiene quindi l’andamento dell’intensità della luce emessa dallo scintillatore, alla lunghezza d’onda selezionata, in funzione del tempo. I dati raccolti in questo modo sono utili per verificare la variazione di efficienza del rivelatore in termini di emissione luminosa, a causa dell’esposizione al fascio, e quindi il degrado subito dal materiale scintillatore. In questo tipo di misura si sono mantenuti tempi di esposizione al fascio di 300 s con ∆t = 0.5 s, scegliendo come lunghezza d'onda di riferimento 430 nm. In questa configurazione lo spettrometro viene anche detto monocromatore. L’acquisizione dei dati e la gestione dei controlli dello spettrometro (movimento reticolo e specchi) avvengono tramite un PC posizionato nella sala controllo dell’acceleratore. Ogni sensore viene gestito da un programma dedicato, con il quale si interfaccia tramite apposite schede elettroniche. L’ultima grandezza necessaria è la carica depositata dal fascio sul campione. Per misurarla ogni campione è stato rivestito con carta alluminata. Questa, a contatto con la parte metallica dei portacampioni è collegata ad un integratore di carica con cui si può effettuare la misura direttamente. Con questa tecnica si evita l'eccessivo riscaldamento del campione e si può misurare la quantità di ioni che sono effettivamente arrivati sulla 49 superficie dello scintillatore. Tra le operazioni da effettuare nel processo di misura vi sono anche la calibrazione dello spettroscopio e l’acquisizione del rumore di fondo. Il test di calibrazione sulle lunghezze d'onda lette dallo spettrometro si effettua analizzando lo spettro di una sorgente nota (lampada allo Xe): si imposta la scala dello strumento sul confronto tra i picchi osservati ed i valori dichiarati nei datasheet della sorgente luminosa. Infine, dato che non è possibile ignorare il rumore elettronico dell'apparato, è necessario fare una misurazione in assenza di radiazione incidente, per poi poter correggere ogni spettro sottraendogli uno spettro di fondo. L'apparato strumentale e lo schema dello spettrometro sono riportati di seguito. Fig. 24: apparato sperimentale Fig. 25: schema dello spettrometro 50 5.3 – Analisi dati I campioni analizzati sono scelti tra quelli che, negli esperimenti precedenti, aveva mostrato le rese di luce migliori: • Serie ABBOT: 09, 12; • Serie Apr09: dallo 01 allo 06; L'analisi IBIL, grazie all'utilizzo di ioni carichi accelerati, equivale a quella eseguita con le sorgenti alfa e gamma ma in questo caso si ha un'intensità molto maggiore e la possibilità di scegliere con grande precisione la posizione di incidenza del fascio. Infine la presenza dello spettrometro, a differenza del fotomoltiplicatore, permette uno studio più completo sulla forma dello spettro di emissione, come si vedrà nei grafici seguenti, condizione di base per un'accurata caratterizzazione dei campioni prodotti. L'uso di questi materiali scintillanti come rivelatori, per futuri esperimenti di fisica nucleare, richiede che siano ben definite e note le risposte di luminosità in funzione del tipo di radiazione incidente e della sua energia. Un'altra informazione molto importante, che caratterizza qualsiasi tipo di rivelatore e ne valuta la bontà, è il grado di danneggiamento che questo subisce nel tempo, in seguito ad esposizione prolungata a determinate dosi di radiazione. Grazie all'analisi IBIL, è infatti possibile valutare il degrado subito dai campioni prodotti, esponendoli al fascio di ioni per un tempo prolungato e osservandone in seguito l'evoluzione temporale in termini di intensità luminosa per una determinata lunghezza d'onda. 5.3.1 – Spettri di emissione Per ogni campione sono stati raccolti due spettri relativi all'emissione del campione prima e dopo aver subito il degrado a causa del esposizione prolungata al fascio di ioni. Per questo tipo di grafici si è proceduto anche alla sottrazione del rumore di fondo: ad inizio e a metà esperimento sono stati infatti acquisiti due spettri di fondo il cui valore medio è stato in seguito sottratto agli spettri sperimentali. Si è poi proceduto alla correzione secondo il valore di calibrazione dello spettrometro per tener conto della risposta dello strumento alle diverse lunghezze d'onda e infine la normalizzazione al picco di emissione. Quest'ultima correzione ci permette di confrontare le forme degli spettri ottenuti e valutare le lunghezze d'onda caratteristiche per l'emissione di luce da parte delle componenti dei diversi scintillatori. 51 Fig. 26: confronto tra spettri IBIL della serie ABBOT, Apr09 ed NE102 Fig. 27: spettri IBIL del campione Apr09_05 prima e dopo l'esposizione prolungata 52 Il grafico di Fig. 26 mostra chiaramente i picchi di emissione dei fluorofori presenti all'interno dei diversi campioni scelti. Il primo picco di ogni spettro si trova intorno a 300nm e si riferisce all'emissione della matrice polimerica, che per il campione NE102 è poliviniltoluene (PVT), mentre per i campioni prodotti è rappresentata dalla matrice siliconica descritta in precedenza. Il secondo picco è invece caratteristico del primo wavelength shifter; esso mostra le stesse caratteristiche e posizione per i campioni ABBOT12 e Apr09_05 (PPO, λem = 360 nm) mentre quello dell'NE102 si trova nella posizione corrispondente all'emissione del fluoroforo primario p-terphenyl (λem = 330 – 340 nm). Infine il terzo picco è dovuto al fluoroforo secondario, diverso per tutti e tre i campioni. Il picco del POPOP (λem = 420 nm) è infatti molto vicino a quello corrispondente al emissione del LV (λem = 410 nm) mentre l'emissione del BBOT è centrata alla lunghezza d'onda λem = 450 nm. Il confronto tra gli spettri raccolti prime e dopo l'esposizione prolungata al fascio da parte dei campioni mostra che il degrado agisce in maniera uniforme sulle varie lunghezze d'onda caratteristiche, e i picchi sembrano mantenere le posizioni originali. 5.3.2 – Spettri di degrado Il seguente grafico mostra la diminuzione esponenziale dell'intensità luminosa emessa dai campioni selezionati in funzione del tempo di esposizione, e quindi della fluenza in ioni/cm2. La lunghezza d'onda scelta, 430 nm, corrisponde all'intorno del massimo di emissione degli spettri acquisiti, dovuto ai fluorofori secondari per ogni campione (POPOP per NE102, BBOT per ABBOT12 ed LV per Apr09). Tutti gli spettri raccolti mostrano resistenze superiori (alcune solo sensibilmente) al campione di NE102. In particolare, dal confronto con tutti i campioni, si vede come gli esemplari contenenti LV degradino in generale più lentamente rispetto a quello contenente BBOT e ancora mano di quello relativo all'NE102, quindi al POPOP. 53 Figura 28: Confronto tra il degrado dei campioni della serie ABBOT e Apr09 con l'NE102 54 Conclusioni Il presente lavoro di tesi ha riguardato lo studio delle caratteristiche di materiali siliconici al fine di poterli utilizzare come rivelatori a scintillazione negli esperimenti di fisica nucleare. In particolare l'esperienza di tirocinio svolta presso i Laboratori dell'INFN di Legnaro (LNL) si può suddividere in due parti: la preparazione chimica dei materiali e l'analisi fisica delle risposte che questi fornivano in seguito all'assorbimento di diversi tipi e quantità di radiazione. Per quanto riguarda la sintesi chimica, partendo da una base polimerica fissata che garantiva una buona resistenza del materiale, si cambiavano di volta in volta le tipologie dei componenti e/o le loro percentuali in peso per trovare la composizione che, oltre a risultare in un prodotto chimicamente accettabile in termini di consistenza e trasparenza, fornisse in seguito delle risposte soddisfacenti dall'analisi fisica. Venivano quindi variate le percentuali dei gruppi fenili, la tipologia del catalizzatore e dell'inibitore, le quantità e il tipo di fluorofori secondari e terziari. Ogni serie era quindi costituita da diversi campioni molto simili gli uni agli altri ma con piccole differenze sistematiche in termini di composizione; ogni tipologia veniva poi prodotta in 3 campioni identici per poter in seguito verificare la riproducibilità dei dati raccolti. La parte più lunga di questo lavoro ha però riguardato lo studio delle serie di campioni attraverso l'irradiazione da parte di sorgenti alfa e gamma al fine di studiarne l'efficienza di scintillazione. Il confronto è stato fatto con lo scintillatore plastico commerciale NE102, noto per la sua velocità di risposta del segnale e per la sua resa di luce. Le serie le cui composizioni fornivano le risposte più soddisfacenti venivano poi sottoposte all'analisi IBIL per poterne rivelare in maniera più approfondita le caratteristiche ottiche e la resistenza a forti dosi di radiazione. Questa trattazione riguarda in particolare due serie che hanno dimostrato fornire delle risposte particolarmente interessanti durante gli esperimenti: le serie ABBOT caratterizzato dalla presenza di PPO e ABBOT e Apr09 con PPO ed LV, sulle cui composizioni precise si è ampiamente discusso nel Cap. 4. La misura con sorgenti alfa permette di osservare un picco gaussiano la cui posizione all'interno dello spettro è proporzionale alla resa di luce del campione e la cui larghezza percentuale fornisce una stima della risoluzione del rivelatore. I dati della serie Apr09 mostrano che questi hanno rese di luce che si avvicinano notevolmente (rapporto tra massimi dei picchi quasi uguale all'unità) a quelle dello scintillatore di riferimento (NE102) pur mantenendo una buona risoluzione (26 – 18%), data anche dal fatto che 55 l'esperimento veniva effettuato ad una pressione minore di 5x10 -2 mbar per cercare di ovviare al basso range caratteristico delle particelle alfa. I campioni ABBOT pur non mostrando una risposta così alta hanno permesso di individuare comunque alcuni valori che arrivavano vicino alla metà della resa di luce dell'NE102. In generale si nota anche dai grafici di confronto come la risposta in luce cresca insieme alle percentuali di fluorofori ma che per quanto riguarda la matrice, i risultati migliori si abbiano con il 15% di gruppi fenili per questo tipo di campioni, mentre per i campioni Apr09, basati su un diverso soluto secondario (Lumogen Violet anziché BBOT) la risposta migliora nelle resine con una maggiore concentrazione di gruppi fenile (22%) grazie alla ottima solubilità di questa molecola in matrici apolari. Quando nella matrice i gruppi cromofori aromatici (anelli benzenici) aumentano, ci si attende una maggiore emissione della matrice stessa (intorno ai 300 nm) in risposta all’interazione con la radiazione incidente e, di conseguenza, il comportamento delle resine al 22% deve essere migliore come resa in luce rispetto alle resine al 15% di gruppi fenili. Questo fatto è certamente verificato nei campioni Apr09, in cui non sussistono problemi di omogeneità ottica o di solubilità soluto/matrice, mentre i campioni ABBOT non possono seguire l’andamento atteso, a causa di fattori chimici che limitano il processo di trasferimento di energia e , soprattutto, la trasparenza dell’oggetto finito. Le rese di luce in seguito ad irradiazione gamma hanno in generale seguito lo stesso comportamento visto per le sorgenti alfa. Sia per la serie ABBOT che per la serie Apr09, i campioni che mostravano i picchi più alti presentavano anche le rese di luce gamma con gli ''end point'' più ampi. Questo ci garantisce, essendo la radiazione gamma molto penetrante, che la risposta degli scintillatori sia uniforme lungo tutto lo spessore dello scintillatore e non solo nella zona più superficiale dove la radiazione alfa viene fermata. Infine i campioni che hanno fornito le risposte migliori dall'analisi con le sorgenti sono stati sottoposti ad analisi IBIL dove grazie ad un fascio potente di ioni 4He+ si è potuta identificare la lunghezza d'onda in cui l'emissione risultava massima e osservare le differenze nella forma degli spettri causata dalla presenza dei diversi fluorofori. A questo è seguito l'irraggiamento per un tempo prolungato da parte del fascio per poter infine osservare il degrado subito dai campioni. Tutti i campioni analizzati hanno mostrato risposte migliori al degrado rispetto al campione di riferimento (NE102) ed inoltre i campioni con le percentuali di gruppi fenili pari al 15% si degradavano meno rispetto a quelli con il 22%. Il fine ultimo del progetto però, come è stato detto nell'introduzione, è quello di trovare scintillatori che possano rivelare particelle cariche e allo stesso tempo anche neutroni. Questi però avendo una sezione d'urto di interazione con i materiali molto bassa 56 richiedono che gli scintillatori siano drogati con elementi ad elevata sezione d'urto di cattura neutronica. Durante la fine del periodo di tempo in cui si è svolto questo lavoro di tesi ha avuto inizio quindi anche la sintesi dei primi campioni drogati con Gd o B per permettere la rivelazione dei neutroni. Il drogaggio con questi elementi fa nascere nuove complicazioni sia a livello fisico nella risposta del segnale che chimico, come ad esempio l'ingiallimento dei campioni in seguito ad arricchimento con Gd. Gli ultimi risultati però, soprattutto col boro hanno fornito delle risposte migliori che lasciano intravvedere possibili sviluppi futuri. 57 Bibliografia [1] NUCLE-EX: http://www.bo.infn.it/nucl-ex FAZIA: http://fazia2.in2p3.fr/spip/ [2] SPES: http://www.lnl.infn.it/~spes/ SPIRAL2: http://www.ganil-spiral2.eu/ EXCYT: http://www.lns.infn.it/excyt/index.html [3] Kenneth S. Krane. 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