Il direttore responsabile
Enrico De Girolamo
L
a provincia vibonese custodisce un inestimabile patrimonio storico,
testimoniato da un’identità millenaria che risale ai primi insediamenti greci, che fecero dell’antica Hipponium, l’attuale Vibo Valentia, un
centro nevralgico della loro colonizzazione nel sud della Penisola.
Ma quello ellenico rappresenta soltanto il primo livello di una stratificazione
culturale che nel corso dei secoli ha ricoperto l’intero territorio, oggi disseminato di tracce e reperti archeologici di ogni tipo.
Ecco perché nel secondo numero di Lìmen, rivista che ha tra i suoi obiettivi
anche l’ambizione di offrire all’esterno della provincia una vetrina di questo
territorio, abbiamo deciso di puntare i riflettori su uno dei più importanti
“luoghi” vibonesi, la Certosa di Serra San Bruno. Nell’articolo dello storico
Tonino Ceravolo il lettore potrà cogliere la straordinaria importanza di questo
insediamento monastico che vanta circa 10 secoli di storia. Mille anni durante
i quali la Certosa ha rappresentato il centro di una fittissima rete di rapporti
che univa la Calabria all’Europa, ispirando con il suo profondo misticismo alcune delle maggiori figure storiche ed artistiche delle varie epoche che si sono
succedute. Dall’entroterra boscoso alle spiagge assolate il tratto è breve, ma
la storia molto più antica. Qui - dove tra Pizzo e Tropea, per le caratteristiche
della costa, si realizzava in pieno il concetto greco di “viaggio”, come spiega
Maria Teresa Iannelli nel suo articolo - le vestigia del passato sono custodite
dal mare dell’antico porto romano di Valentia, a meno di dieci metri di profondità. Lo stesso mare sul quale scommette oggi il Porto di Vibo Marina per
il suo atteso rilancio economico e commerciale. Un progetto che ogni giorno
assume sempre maggiore concretezza e che vede l’Ente camerale in prima
fila nel promuovere la rinascita dello scalo marittimo. Non manca in questo
numero il resoconto dell’attività propria della Camera di Commercio, dalla
pubblicazione del primo Bilancio sociale, all’approvazione del documento di
previsione e programmazione dell’attività camerale nel 2007, dal quale emergono le priorità strategiche dell’Ente. E ancora: il progetto promosso dall’Amministrazione provinciale di Vibo Valentia, in collaborazione con la Camera
di Commercio, per la creazione nella città capoluogo della sede meridionale
dell’Icif, la prestigiosa scuola di cucina italiana per chef stranieri, fondata da
Jhon Arena; l’analisi dei Sistemi turistici integrati, quale inevitabile evoluzione di un settore cruciale per le sorti di questo territorio; l’assegnazione a
tre imprese vibonesi del Premio Ospitalità Italiana 2006, a rimarcare come la
qualità sia di casa da queste parti.
Su un piano squisitamente storiografico si attesta, invece, il contributo di Giacinto Namia, che con grande competenza ricostruisce il profilo e le vicende di
un eroe risorgimentale, Michele Morelli. È storia anche il passato di un antico
laboratorio artigianale vibonese, la Fonderia Scalamandrè, che per circa due
secoli ha trasformato tonnellate di bronzo in bellissime campane che ancora
svettano su molte chiese e basiliche italiane. Restando in tema di artigianato
artistico, altrettanta rilevanza meritano le suggestive e dettagliate immagini
della mostra cosentina “Argenti di Calabria”, che vede in esposizione anche
bellissimi pezzi di origine vibonese. Arte pura, infine, è quella di Albino Lorenzo, il grande pittore di Tropea, capace di trasmettere come pochi il legame
viscerale dell’uomo con la propria terra.
gennaio / febbraio
2007
3
Il direttore editoriale
Michele Lico
Presidente Camera di Commercio
di Vibo Valentia
PRESIDENTE
Michele Lico
CONSIGLIO CAMERALE
GIUNTA CAMERALE
per il settore AGRICOLTURA
Filoreto Fondacaro
Ercole Massara
Domenico Petrolo
Paolo Pileggi
Michele Vartuli
Michele Lico - Presidente
Francesco Gioghà - Vice Presidente
Giuseppe Caffo
Sergio Consolo
Bruno Valeriano La Fortuna
Ercole Massara
Antonello Meddis
Paolo Pileggi
Giuseppe Rito
per il settore ARTIGIANATO
Rosario Carbone
Francesco Gioghà
Paolo Pecora
REVISORI DEI CONTI
per il settore COMMERCIO
Sergio Consolo
Mario Malfarà Sacchini
Rita Tassone
Antonino Tavella
Michele Montagnese - Presidente
Massimo Corso
Francesco Schiumerini
per il settore COOPERATIVE
Antonello Meddis
SEGRETARIO GENERALE F.F.
Dr. Antonio Gallo Cantafio
per i settori CREDITO,
ASSICURAZIONI E SERVIZI ALLE IMPRESE
Giuseppe Macrì
Antonino Nicocia
per il settore INDUSTRIA
Giuseppe Caffo
Antonio Gentile
Michele Lico
per il settore TURISMO
Giuseppe Rito
per i settori TRASPORTI E SPEDIZIONI
Bruno Ruscio
per le ORGANIZZAZIONI SINDACALI DEI LAVORATORI
Bruno Valeriano La Fortuna
per le ASSOCIAZIONI DEI CONSUMATORI
Luciano Prestia
4
gennaio / febbraio
2007
Q
uando si pensa alle funzioni proprie della Camera di Commercio oggi, è necessario andare oltre la settorialità che potrebbe
evocare la sua denominazione per considerarne invece il ruolo di soggetto funzionale e attivo nei più complessivi processi
programmatori di sviluppo territoriale.
La rappresentatività degli interessi economici generali del territorio e l’implementazione del mercato di cui si fa carico, vanno, infatti, inquadrati in
una più ampia ottica di partenariato istituzionale in cui l’Ente camerale ha
legittimazione a esplicitare istanze e necessità del sistema economico e produttivo che risultano, comunque, influenti e si intersecano con ogni azione
preordinata ad amplificare parametri di crescita e competitività.
Fondamentale, nelle relazioni istituzionali, è considerare le reciproche competenze senza apriorismi ad escludendum; occorre, invece, individuare convergenze che abbiano a presupposto una dialettica costante e propositiva e
come obiettivo ultimo il benessere della collettività amministrata. Su questi
principi abbiamo inteso costruire l’azione della Camera di Commercio di
Vibo Valentia e in una visione ampia di economia e produttività comprensiva di tutte le espressioni identitarie e tipiche del territorio, di tutte le risorse
di cui dispone, con una programmazione di valorizzazione e fruizione capace di innescare meccanismi moltiplicatori di quella redditività che ciascuna
porta insita. È questa la chiave di lettura della pianificazione di interventi
che abbiamo tracciato per l’anno 2007 e che proponiamo anche attraverso Lìmen per comunicare e partecipare il nostro essere e un modus agendi ispirato ai principi della sostenibilità, relazionalità, attrattività e fruibilità. A questi
criteri, all’unisono con quelli di efficienza, efficacia ed economicità propri
di una pubblica amministrazione, viene conformata l’erogazione dei servizi
all’utenza, a questi le strategie operative per sostenere e promuovere imprese e territorio nelle fasi evolutive che interessano mercato e società. Con
tali premesse non può destare meraviglia che una Camera di Commercio, e
nello specifico quella di Vibo Valentia, segni il proprio percorso istituzionale
di valorizzazione del sistema economico ed imprenditoriale locale puntando
non solo su azioni a beneficio chiaramente diretto e immediato per i settori
di competenza, quanto rivendicando ruoli e coinvolgimenti anche in ambiti che, solo apparentemente, potrebbero non sembrare di sua pertinenza. E
così arte, cultura, archeologia, patrimonio storico e architettonico, ambiente,
gastronomia investono l’interesse della Camera di Commercio nella loro dimensione di identità del territorio e beni fruibili, e come tali potenzialità di
incrementi economici ed occupazionali per il territorio di riferimento.
È necessario però intenderli in una logica di rete poiché nessuno di questi
aspetti può essere considerato a sé stante nelle progettualità di sviluppo. Devono poter essere, invece, complessivamente interfacciati perché quanto ciascuno esprime in termini di stato e prospettive, necessariamente si riverbera
sulle condizioni degli altri e il tutto, più complessivamente, sull’economia
locale e sulle sue possibilità di inserirsi nei circuiti di quella globale. Questa
ci sembra la strada giusta da percorrere, e Lìmen, coerente sintesi, è, per noi,
uno degli strumenti per farlo.
gennaio / febbraio
2007
5
SOMMARIO
DIRETTORE EDITORIALE
Michele Lico
Presidente CCIAA
DIRETTORE RESPONSABILE
Enrico De Girolamo
COMITATO SCIENTIFICO
Tonino Ceravolo
8
Certosa, i luoghi dello spirito
36
Turismo, la rivoluzione
dei sistemi integrati
14
Obiettivi e Strategie
anno 2007
38
Cooperazione, rapporto
sul trend vibonese
18
Avanti tutta verso
il nuovo Porto
40
Rintocchi d’arte
e tradizione
21
Greci e Romani
approdavano qui
46
Chef
Made in Vibo
24
Ecco Lìmen
50
Una rete provinciale
per gli sportelli unici
26
Camera Comunica Camera
54
Michele Morelli
un eroe vibonese
30
Quando la qualità
fa la differenza
60
Frammenti di storia secolare
negli argenti di Vibo Valentia
32
A Vibo Valentia le donne
più intraprendenti
66
Albino Lorenzo
viaggio nella memoria
storico
Francesco De Grano
dirigente Regione Calabria
Giuseppe Fiorillo
arciprete Duomo di San Leoluca
Silvestro Greco
biologo
Maria Teresa Iannelli
direttrice Museo V. Capialbi
Andrea Lanza
economista
Giampiero Monteleone
notaio
Giacinto Namia
storico
Vito Teti
antropologo
REDAZIONE
Maurizio Caruso Frezza
Rosanna De Lorenzo
Raffaella Gigliotti
Ernesto Matera
Anselmo Pungitore
PROGETTO GRAFICO
E IMPAGINAZIONE
Francesco Romano
STAMPA
Romano Arti Grafiche
Tropea (VV)
FOTO
© Archivio Romano Arti Grafiche
© Studio Krom
© Archivio C.C.I.A.A.
Direzione e redazione
Camera di Commercio
di Vibo Valentia
tel 0963.44011 - fax 0963.44090
[email protected]
Registrazione Tribunale
n° 3 del 2006
In copertina:
La Certosa di Serra San Bruno
6
gennaio / febbraio
2007
CERTOSA
i luoghi
dello spirito
di Tonino Ceravolo
F
Sin dalle origini,
alla fine dell’XI secolo,
il complesso monastico
fondato da San Bruno
ha rappresentato il centro
di una rete di rapporti
che univa la Calabria
all’Europa.
Ancora oggi,
migliaia di pellegrini
si recano annualmente
in questo luogo
ricco di spiritualità
e tensione religiosa.
in dalle sue origini, negli
anni terminali dell’XI secolo, la Certosa di Serra San
Bruno è stata “centro” e
nucleo di una rete di rapporti che
uniscono la Calabria all’Europa e
l’Europa alla Calabria. Si pensi all’itinerario del suo fondatore, Bruno
di Colonia: dalla Germania - dove
era nato a Colonia intorno al 1030 in Francia, prima magister e scholasticus della famosa scuola cattedrale di
Reims, successivamente iniziatore
dell’insediamento monastico della
Chartreuse sulle Alpi del Delfinato,
nei pressi dell’attuale Grenoble. Pochi anni dopo in Italia: a Roma, consigliere di Papa Urbano II nella curia papale; quindi al seguito del medesimo pontefice nei suoi
spostamenti da Roma verso l’Italia meridionale; infine
di nuovo e definitivamente eremita a Santa Maria della
Torre, vicino l’attuale Serra San Bruno, in un luogo solitario – come recitano le coeve carte di donazione – posto
«tra Arena e Stilo».
Si provi, adesso, a unire, come su un tracciato stradale,
i punti di questo itinerario da Nord verso Sud: Germania, Francia e Italia; le nobili Colonia e Reims, le sperdute Santa Maria de Casalibus sulle Alpi francesi e Santa
Maria della Torre nelle Serre calabresi. Si provi, inoltre,
a comporre, contemporaneamente e per un momento,
una mappa parziale della storia religiosa dell’Europa medievale nei
decenni delle riforme monastiche:
cluniacensi, certosini, cistercensi,
vallombrosani, premostratensi, un
“bianco mantello” di ordini, esperienze collettive e individuali, chiese, templi, comunità monastiche e
nella mappa per ogni nuovo desertum solitudinis un punto, un piccolo
segno per ricordarlo. Nomi di paesi
e città molto noti agli occhi di chi
si accosta all’Occidente medievale:
Cluny, La Chaise-Dieu, Molesme,
Grandmont, la Sauve-Majeure in
Francia; Camaldoli, Fonte Avellana,
Vallombrosa e la stessa Serra in Italia; Hirsau in Germania.
Accanto ai luoghi, le persone: Roberto di Arbrissel a Fontevrault, Stefano
di Muret a Grandmont, San Romualdo a Camaldoli, San Pier Damiani a
Fonte Avellana, Giovanni Gualberto a Vallombrosa, Bruno di Colonia
alla Chartreuse e in Calabria.
Bruno di Colonia appare immediatamente come un personaggio centrale del suo tempo e gli eremi che
ha iniziato in Francia e in Calabria si
pongono, parallelamente, nel cuore della grande storia
monastica d’Europa. Il discorso ci condurrebbe lontano,
ma è il caso di compiere uno spostamento temporale in
avanti di alcuni secoli, quando, agli inizi del Cinquecento, dopo oltre tre secoli di intermezzo cistercense, la
Certosa di Calabria viene “recuperata” dall’Ordine certosino, sono ritrovate le reliquie di Bruno e hanno inizio
i lavori per la costruzione delle fabbriche del monastero
certosino sullo stesso luogo, a circa un chilometro dall’originaria fondazione di Santa Maria della Torre, dove,
successivamente alla morte del santo, era stata edificata
la Certosa di S. Stefano del Bosco. È un momento importante per la storia culturale e artistica del territorio.
È un momento fondamentale per ritrovare altre tracce
della centralità di un territorio solo
in apparenza periferico. Nel corso di
alcuni decenni, parallelamente con
lo strutturarsi delle architetture del
monastero, il “cantiere” certosino si
arricchisce di non poche opere d’arte, per le quali i monaci affidano la
committenza a importanti artisti italiani ed europei.
Si pensi alle vicende del grande ciborio della chiesa conventuale certosina, che legheranno per sempre
il nome del grande Cosimo Fanzago
all’isolato mondo delle Serre cala-
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2007
9
bresi. Un artista, come scrive Silvana Savarese, che «[...]
esercitò una rilevante e durevole influenza, nel Seicento
ed oltre, in tutta l’Italia meridionale. Tra il 1619 e il ‘20
si recò personalmente a Barletta per lavorare alla decorazione dell’abside della Cattedrale; nel 1626 e nuovamente dopo il 1628, soggiornò a Montecassino per la ristrutturazione del coro e l’ammodernamento dell’altare
maggiore e delle cappelle della chiesa dell’abbazia. Tra
il ‘26 e il 28 visse a Pescocostanzo per i lavori al convento benedettino di S. Scolastica e, successivamente, intorno al 1630 per l’altare maggiore della chiesa di Gesù e
Maria». Fondamentali furono i tre decenni (1623-1656)
che lo videro impegnato a compiere i lavori di completamento della Certosa di San Martino in Napoli, per la
quale l’artista bergamasco creò alcuni capolavori (come
il mirabile San Brunone), pervenendo – secondo il giudizio di M. Mormone - ad «un momento di grande felicità inventiva e di radicale rinnovamento del linguaggio
scultoreo».
Di Napoli Fanzago inventò il «volto» barocco, rimanendo legato alla città fino alla morte, sopraggiunta il
13 febbraio del 1678. L’incarico per la realizzazione del
grande Ciborio della Certosa di S. Stefano del Bosco
venne affidato a Cosimo Fanzago nel 1631, durante il
priorato di Dom Ambrogio Gasco e nell’esecuzione l’artista bergamasco si avvalse dell’aiuto dei fonditori S.
Scioppi e Raffaele Matiniti o Materico detto il Fiammingo, nonché dell’opera dello scultore toscano Innocenzo
A pag. 8, l’ingresso della Certosa di Serra San Bruno.
A pag. 9, la statua di San Bruno nel laghetto della Certosa.
Sopra, i ruderi dell’antica Certosa (foto Angelo Rizzo).
A destra, un monaco contempla l’interno innevato della Certosa.
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Mangani, giunto a Serra proprio su invito dello stesso
Fanzago. Capolavoro del barocco meridionale, il ciborio
di Cosimo Fanzago è uno degli episodi artistici eminenti che collegano la storia culturale della Certosa ad altri
fondamentali momenti e ad altre rilevanti figure delle
vicende artistiche italiane ed europee.
Ma altri fili è possibile annodare, altri episodi occorre
richiamare brevemente per dire dei legami e dei rapporti che connettono la storia di questo territorio con altre
storie riconosciute, invece, come centrali e “maggiori”. La relazione di una visita apostolica, compiuta nel
1629 dal vescovo di Venosa mons. Andrea Perbenedetti nella giurisdizione della Certosa, introduce a questi
ulteriori episodi quando racconta come, sopra la porta
della sagrestia, si potesse vedere una Coena Domini «a
quondam Michäele Angelo Bonarota depicta, quae Roma fuit
traslata». La notizia risulta al momento inverificabile su
altre fonti, ma, anche a non considerare l’attendibilità
del Perbenedetti – peraltro confermata dalle altre annotazioni relative alla sua visita - è comunque significativa nel quadro delle vicende che stiamo ricostruendo. In
tale quadro, non si può certamente trascurare l’apporto
che altri artisti di risonanza europea diedero al patrimonio culturale della Certosa. Ancora due esempi: lo
scultore brandemburghese David Müller, il quale, su
incarico del priore certosino Ludovico Suspechs, realizzò nel 1661 due statue marmoree raffiguranti la Vergine
con il Bambino e San Bruno, nonché due pregevolissimi bassorilievi con una scena leggendaria della vita di
San Bruno (l’apparizione del santo in sogno a Ruggero il
Normanno durante l’assedio di Capua) e con la natività;
Bernardino Poccetti, attivo nelle Certose di Firenze, Calci e Pontignano, che dipinse certamente il Martirio di S.
Stefano (oggi nel coro della Chiesa Matrice di Serra) e del
quale alcuni documenti archivistici attestano i rapporti
con il monastero calabrese.
La profonda attrazione che questa città monastica della
preghiera ha esercitato è rilevabile pure da altre circostanze, alcune delle quali non sono da considerare alla
stregua di semplici curiosità storiche, ma come segni del
profondo interesse per la testimonianza spirituale che
i monaci incarnano quotidianamente. Il 24 agosto 1923
giunse a visitare la Certosa, come riporta una Cronaca
coeva, il principe ereditario Umberto II di Savoia, in
compagnia del Contrammiraglio Bonaldi, del marchese
della Rocchetta e di altri “tre signori” di cui la Cronaca
in parola tace il nome. Il Principe partecipò alla Messa
conventuale, visitò il monastero e alla fine ripartì. Nel
marzo del 1953 entrarono nel monastero il Presidente
del Consiglio Alcide De Gasperi e sua moglie donna
Francesca - fatto eccezionale, perché la clausura papale
proibisce l’ingresso delle donne - presenti in Calabria
per una visita di Stato in seguito ad una disastrosa alluvione. Questa visita era stata preceduta, due anni prima
e a motivo della stessa alluvione, da quella del Presidente della Repubblica Luigi Einaudi e della moglie donna
Ida. Il 5 ottobre 1984, durante un importante viaggio in
Calabria e in occasione del nono centenario di fondazione dell’Ordine certosino, si trattenne per un’intera giornata prima a Serra e poi in Certosa Sua Santità Giovanni
Paolo II.
Molto significativi sono i due discorsi - ai monaci della
Certosa e ai fedeli riuniti a Santa Maria del Bosco - che
il Pontefice tenne in quell’occasione, non mancando di
ricordare il particolare carisma dei monaci di San Bruno e l’efficacia spirituale della loro presenza, che pongono la Certosa come il “cuore di questa Regione”. «Il
mio augurio è che da questo luogo - disse il Papa nel
discorso rivolto alla comunità monastica - parta un mes-
saggio verso il mondo e raggiunga specialmente i giovani, aprendo dinanzi ai loro occhi la prospettiva della
vocazione contemplativa come dono di Dio [...]. Voi da
questo monastero siete chiamati ad essere lampade che
illuminano la via su cui camminano tanti fratelli e sorelle sparsi nel mondo; sappiate sempre aiutare chi ha
bisogno della vostra preghiera e della vostra serenità».
Sette anni dopo, nell’anniversario dell’arrivo di San
Bruno in Calabria e della primitiva edificazione della
fondazione calabrese, il Papa si rivolse nuovamente ai
monaci della Certosa con una lettera indirizzata al priore dell’epoca Dom Gabriele Maria Lorenzi. «In questa
ricorrenza - scrisse, tra l’altro, Giovanni Paolo II in quella circostanza - mi è gradito unirmi alla Comunità di
Serra San Bruno ed a tutte le Chiese della Calabria per
rendere grazie al Signore del dono fatto a codesta terra
e, in particolare, della viva e fedele testimonianza che
l’Ordine certosino continua ad offrire ai fedeli [...]. Auspico che codesta celebrazione giubilare possa servire
anche a far conoscere meglio la spiritualità certosina, la
quale esige che, anche quando si è presi dalle urgenti
attività pastorali ed organizzative, l’ideale contemplativo rimanga sempre in cima alle aspirazioni di chi vuole
raggiungere la perfezione cristiana. Esorto, pertanto, i
monaci di Serra San Bruno a farsi costantemente interpreti presso Dio delle peculiari necessità della Chiesa
nello spirito di vera comunione». Altre presenze ancora
si potrebbero ricordare, ma basteranno, per tutti gli altri,
ancora i nomi della regina del Belgio Paola Ruffo di Calabria, dell’attuale Ministro degli Esteri Massimo D’Alema e del patriarca di Costantinopoli Sua Santità Bartolomeo I. Ci si potrebbe, allora, chiedere cosa abbia di così
particolare la vita dei monaci, tanto da attrarre, insieme
con numerosissimi uomini e donne di ogni provenienza
sociale, alcune tra le personalità maggiormente eminenti della propria epoca. La risposta da dare è semplice e
complicata nel medesimo tempo. Solitudine, preghiera
e silenzio, lode incessante a Dio, dialogo con l’Unico necessario, sono il “segreto” di questa vita. I tempi e gli
spazi del monastero, la suddivisione della giornata del
monaco, i ritmi e le scansioni dell’esistenza claustrale,
ogni cosa è finalizzata all’incontro con il Signore.
In estate e in inverno, in primavera e in autunno, la
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gennaio / febbraio
2007
giornata dei certosini comincia quando quella di quasi
tutti gli altri uomini finisce, intorno a mezzanotte per il
Mattutino della Madonna e la preghiera personale nella cella. Successivamente, è il momento del Mattutino e
delle Lodi nella chiesa conventuale, che possono durare
– a seconda della lunghezza dell’Ufficio – sino alle due
e mezza o anche sino alle tre e mezza della notte. Al
termine, comincia un periodo di riposo a cui fa seguito
il risveglio, con l’Ora liturgica di “prima” e un nuovo
spazio di preghiera personale. Terza, sesta, nona, vespri
e compieta sono le altre Ore del giorno che “segnano” la
giornata del monaco. Tra l’una e l’altra, lo studio o il lavoro manuale, il pasto della mattina verso mezzogiorno
e il pasto della sera al termine dei vespri. Tranne i momenti dedicati alle celebrazioni liturgiche nella chiesa
(Mattutino e Lodi, Messa conventuale e vespri), la giornata trascorre in solitudine nella cella (chiamata anche,
con linguaggio spiritualmente più suggestivo, eremo),
perché la specificità della vocazione certosina è quella
di sperimentare, insieme, tanto la dimensione della vita
eremitica quanto la dimensione della vita comunitaria
(nella durata temporale più ridotta rispetto all’altra). I
certosini, come è stato detto, sono infatti una “comunità
di solitari”, che, nella separazione dalla vita del mondo,
testimonia quotidianamente la misteriosa fecondità della preghiera, nella quale è abbracciata l’umanità intera.
Il laghetto all’interno del complesso monastico di Serra San Bruno.
A destra, la sala della chiesa conventuale
con il reliquiario di San Bruno (foto Angelo Rizzo).
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2007
13
di Raffaella Gigliotti
N
uova sede istituzionale e innovazione
dell’Ente; studi economici e programmazione territoriale; valorizzazione e promozione delle
tipicità della provincia di Vibo
Valentia; pianificazione dei
sistemi di sviluppo territoriale; sostegno allo sviluppo delle imprese; legalità: questi, in
sintesi, i programmi e le priorità strategiche della Camera
di Commercio di Vibo Valentia
per il 2007, ampiamente articolati
- poiché consoni ad una Pubblica Amministrazione trasparente
- nella Relazione Previsionale e
Programmatica approvata all’unanimità dal Consiglio Camerale nella
seduta del 31 ottobre 2006.
Obiettivi ambiziosi quelli in programma per il 2007, soprattutto se
proporzionati alle risorse umane di
cui l’Ente dispone al suo interno –
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solo 19 unità lavorative – e alle quali gli organi camerali
intendono dedicare particolare attenzione in termini di
nuovo assetto organizzativo e professionalizzazione a
360 gradi.
Obiettivi tra i quali svetta in particolare l’avvio delle
procedure per dotarsi di una nuova sede istituzionale;
una sede più dignitosa, più funzionale, più prestigiosa.
Più dignitosa, in rispetto ad utenti e personale; più
funzionale ai servizi erogati ed erogandi, non senza la
previsione di spazi maggiormente fruibili per cittadini
e imprese; più prestigiosa, per richiamare, anche formalmente e all’esterno dei propri confini territoriali, la
rilevanza del ruolo e delle funzioni che l’Ente svolge ed
intende consolidare sul territorio e per il territorio a servizio e vantaggio del sistema produttivo locale.
Location d’eccezione, quella individuata quale nuova
sede della Camera di Commercio di Vibo Valentia – il
prestigioso edificio del Valentianum – patrimonio dell’Amministrazione Comunale della città capoluogo di
provincia.
Una nuova sede camerale, dunque, in tempi ragionevolmente brevi, ma anche un bene storico della città che
si rivitalizza, divenendo fulcro dell’economia vibonese,
in una coesistenza tra interesse pubblico ed utilizzo razionale, attuando una precisa prerogativa istituzionale
dell’Ente camerale, che è quella di poter esercitare ruolo
e funzioni anche per conservare e proteggere i valori
e la memoria storica della città, attualizzandoli e rendendoli fruibili, così come richiede la coscienza civica
dell’intera comunità.
La nuova sede camerale è il principale dei programmi
afferenti all’obiettivo dell’innovazione della Camera di
Commercio di Vibo Valentia per il 2007, a cui si aggiunge
una miriade di iniziative tese al miglioramento dell’efficienza e dell’orientamento ai clienti. Dal potenziamento
e sviluppo di nuove funzionalità nella piattaforma dei
Servizi e della comunicazione on line del Sistema Camerale e nella piattaforma locale di Customer Relationship
Management (CRM), al miglioramento della comunicazione esterna dell’Ente, dalla creazione alla diffusione
di strumenti di giustizia alternativa.
Peso notevole nella programmazione delle attività camerali 2007 è dato dagli studi economici. È in essi che risiede l’obiettivo dell’Ente di realizzare approfondimenti
su tematiche strategiche mirate allo sviluppo dell’economia locale.
Conoscere il territorio per promuoverlo, indagare sulle
esigenze reali delle imprese per meglio soddisfare i loro
fabbisogni, analizzare l’andamento del tessuto imprenditoriale locale per tastarne periodicamente il polso: a
tutto questo sono finalizzate le ricerche e gli
studi programmati dalla Camera di Commercio per il 2007.
In continuità con l’annualità precedente, l’Osservatorio Economico Provinciale, che fotografa l’economia della provincia con uno scatto sulle
caratteristiche strutturali ed un
focus sull’andamento congiunturale delle imprese vibonesi,
a cui si aggiunge uno speciale
approfondimento sulle imprese femminili.
Ed ancora studi, con l’Osservatorio Turistico Provinciale,
per il quale, anche per il 2007, è
prevista una proficua collaborazione con istituti di ricerca e
prestigiose università, al fine di
analizzare le variabili ed i conseguenti mutamenti inerenti al
settore del turismo. Programmati,
altresì, uno studio sul sistema di
trasporto provinciale, per individuare le esigenze di mobilità di mer-
gennaio / febbraio
2007
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ci e passeggeri del sistema produttivo locale, ma anche una analisi del
trend cooperativo regionale ed
una attività di monitoraggio e
di studio finalizzata a supportare il processo decisionale della Regione Calabria in relazione alla definizione delle priorità
strategiche del POR 2007-2013.
Continua, inoltre, l’attenzione
rivolta al Porto di Vibo Marina,
con una pubblicazione che, corredata da fotografie e traduzione
in lingua inglese, riguarderà lo
studio prodotto dalla Camera nel
2002, aggiornato con quanto avvenuto e realizzato nel corso degli ultimi tre anni e con quanto prevedibile
per il futuro, e che rappresenterà un
utile strumento di marketing territoriale.
Tra le pubblicazioni prosegue la programmazione di Lìmen, rivista di economia, arte e cultura, allo scopo di promuovere l’immagine di un Ente attivo e propositivo, aperto ai processi
evolutivi del mercato in cui è contestualizzato il comparto economico che rappresenta e tutela.
Per raggiungere l’obiettivo di incrementare il contributo allo sviluppo economico locale da parte dei settori
correlati con le produzioni tipiche e la valorizzazione
dei beni culturali e paesaggistici del territorio, la Camera di Commercio di Vibo Valentia intende puntare con
maggiore incisività sul settore turistico, anche sfruttando le sinergie possibili con le produzioni tipiche locali,
l’artigianato, le produzioni artistiche, prevedendo una
serie di iniziative e manifestazioni con ricaduta di promozione e valorizzazione del territorio a beneficio dell’economia locale.
La Camera, dunque, prosegue le sue azioni in direzione delle certificazioni di prodotto e della qualità delle
imprese, in particolare, nel settore turistico e agro-alimentare.
Sul fronte della valorizzazione del patrimonio culturale
16
gennaio / febbraio
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Sopra, uno scorcio dell’interno del Valentianum, che
ospiterà la nuova sede della Camera di Commercio.
del territorio è prevista la realizzazione di un Catalogo
degli Artisti Calabresi dell’800-900.
Il catalogo mira a mettere in risalto la valenza del patrimonio artistico, al fine di creare attrattività verso un settore idoneo ad innescare meccanismi economici legati al
turismo culturale, nuova frontiera di sviluppo.
È il Porto di Vibo Marina al centro di una serie di iniziative che la Camera di Commercio ha programmato
con attinenza alla pianificazione dei sistemi di sviluppo
territoriali.
Tale priorità intende focalizzare le energie della Camera sulla programmazione e realizzazione di un piano di
sviluppo territoriale finalizzato a fare diventare il porto
di Vibo Marina un riferimento importante per le attivi-
tà economiche della provincia, sviluppando le aree industriali circostanti e la logistica dei trasporti connessa
(intermodalità).
L’obiettivo principale è quello di far diventare il porto
di Vibo Marina elemento cardine sul quale costruire una
linea strategica di sviluppo non solo della provincia vibonese ma dell’intera Regione, perché si possa configurare la “risorsa porto”, procedendo alla realizzazione di
un progetto di riqualificazione dell’area portuale e del
sistema economico dell’area circostante.
A sostegno dello sviluppo delle imprese la Camera di
Commercio di Vibo Valentia per il 2007 intende continuare a favorire la realizzazione di azioni legate all’accesso al credito - anche in considerazione dell’attuazione
di Basilea II, ad attuare iniziative per l’internazionalizzazione - soprattutto mediante l’attivazione di desk di
rappresentanza presso sedi estere, e continuare con le
proprie attività a favore dell’alternanza scuola-lavoro.
La Camera si propone altresì di favorire lo sviluppo delle imprese vibonesi sostenendole in questo particolare
momento nella gestione dell’emergenza alluvionale,
procedendo con il completamento di tutti gli adempimenti già avviati nell’anno 2006 e previsti dall’ordinanza del Commissario Delegato.
Fare della legalità una leva competitiva per il territorio
è altro importante obiettivo strategico che la Camera di
Commercio di Vibo Valentia si è data per il 2007.
L’Ente, infatti, intende svolgere con sempre più vigore il
proprio ruolo di soggetto propulsore di iniziative volte
a riaffermare i principi di giustizia, eticità e legalità nel
territorio, in stretta collaborazione con le altre Istituzioni e con le associazioni locali.
In tale direzione il progetto per la creazione di un codice etico per le imprese, da presentare e diffondere tra
gli operatori economici, la predisposizione di un codice
etico di regolamentazione e di disciplina delle Associazioni di Categoria e dei Consiglieri, che prevede norme
di comportamento chiare e trasparenti, iniziative formative sulla Responsabilità Sociale (CSR), per diffondere
la cultura dell’eticità dell’economia, nonché azioni di
sostegno e rafforzamento di strumenti di tutela alle imprese vittime di atti criminosi, in particolare attraverso le Associazioni che già operano sul territorio, quali
l’Antiracket e l’Antiusura.
Un’azione a tutto campo, di grande respiro, quella programmata per il 2007 da una Camera di Commercio
consapevole di essere protagonista dello sviluppo del
territorio quando riesce nell’intento di far divenire protagonisti i soggetti economici che deve sostenere.
E il documento di programmazione delle attività per
il 2007, che delinea esigenze, strategie ed idee progettuali, che gli organi camerali hanno consegnato all’organizzazione interna dell’Ente, scaturisce da una piena
condivisione con le Organizzazione di Categoria e da
un confermato impegno collegiale in azioni a sostegno
dell’economia della provincia.
Iniziative promozionali, ma anche obiettivi di sistema:
attrattività territoriale, verifica dei posizionamenti settoriali, competitività.
È nel principio della coesione, per instaurare un clima di
credibilità e fiducia, è nell’ottica della concertazione, per
delineare strategie e perseguire progettualità
condivise, che nasce il programma della Camera di Commercio di Vibo Valentia per
il 2007, a significazione della necessità
da parte delle Istituzioni e del mondo
del lavoro di fare sistema.
“La crescita economica” – affermava Benjamin Friedman, economista di Harvard – “è un processo
al quale non possiamo rinunciare, perché lo sviluppo non
produce solo futile benessere
materiale, ma anche profondo
valore politico e morale”.
Dallo sviluppo economico,
dunque, ad una società più
aperta, tollerante e democratica.
Un circolo virtuoso, quello generato da sviluppo ed etica in
intrinseca
complementarietà,
che la Camera di Commercio di
Vibo Valentia, con i suoi programmi per il 2007, intende considerare
ambizioso traguardo.
gennaio / febbraio
2007
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di Maurizio Caruso Frezza
Avanti tutta
verso il nuovo
PORTO
Capitaneria e Camera di Commercio
hanno impresso una forte accelerazione
al piano di rilancio e valorizzazione
dello scalo marittimo di Vibo Marina.
N
on si è perso nel vento e tra le acque blu profonde il roco richiamo del vecchio e potente
rimorchiatore Strenuus.
Il porto ha cominciato a risvegliarsi dal lungo torpore durato anni.
La tabella di marcia - imposta inizialmente in tandem
da Capitaneria di Porto di Vibo Marina e Camera di
Commercio e poi in gruppo con Comune, Provincia, Regione, Consorzio Industriale e con referenti come Genio
Opere Marittime, Anas, Rete Ferroviaria Italiana (Rfi),
Asl e Dogane - ha impresso in questi ultimi mesi una
notevole accelerazione al processo di concertazione istituzionale volto a definire un piano operativo immediato
per il rilancio del porto di Vibo Marina. 17 ottobre, 23
novembre, 12, 14 e 19 dicembre 2006 ed, ancora, 4, 8,
10, 13 e 16 gennaio 2007 sono le date che hanno scandito il nuovo percorso di una programmazione dal basso concreta ed efficace che ha portato a concordare il 1°
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gennaio / febbraio
2007
febbraio scorso, nella conferenza di servizi clou, l’avvio
ufficiale dei lavori per l’aggiornamento del piano regolatore portuale. E questa volta il processo si è portato in
dote non più vaghe teorie o impegni ipotetici, ma idee
chiare e una selezione ragionata e precisa di cosa si deve
e si può fare.
Le tappe per arrivare a questo risultato hanno esaltato
l’elemento concertativo, con i diversi attori istituzionali
impegnati a promuovere ed ospitare i vari incontri programmatici che si sono succeduti, passando per Capitaneria di Porto e Camera di Commercio, Comune e Provincia, Consorzio Industriale e imprese che operano e
vivono nel porto, ascoltate direttamente per registrarne
bisogni e aspettative. Ogni soggetto coinvolto ha contribuito ad arricchire il confronto, che è stato continuo,
spontaneo ma non programmato. E questo è stato positivo, perché ognuno ha apportato il suo contributo e il
suo punto di vista. E perché ognuno si è sentito parteci-
pe e protagonista di un lavoro di gruppo, non dichiarato ma comunque condiviso e reale.
Un approccio che testimonia un segno positivo di maturità istituzionale per un territorio che sconta ancora oggi
numerosi ritardi.
Ribadiamo: lo sviluppo salpa da qui. Dal porto di Vibo
Marina. Oggi ne siamo ancora più convinti. Anche con
un po’ di timore: perché fallire vorrebbe dire rinunciare
irrimediabilmente ad un porto competitivo ed a ciò che
il suo rilancio può significare per il territorio. Perché, avvertiamo, ancora nulla è raggiunto. Ma è anche vero che
nulla è più fermo. Assolutamente fermo, come era quattro anni fa quando del porto nessuno si preoccupava.
Oggi, invece, il vento sembra decisamente cambiato e
lo si intuisce anche dall’entusiasmo che coinvolge gli
attori istituzionali impegnati in questo ambizioso progetto. Un clima d’ottimismo consolidato dal fatto che
finalmente si è cominciato a mettere giù qualche punto
fermo.
• Primo: il porto deve essere messo prima di ogni cosa
in sicurezza. Questo vuol dire innanzitutto che la risacca, cioè il mare mosso che entra fino alla banchina Fiume
quando il vento tira da nord-ovest, deve essere bloccata
fuori. Questo lo si può fare, senza girarci troppo intorno,
in un solo modo: prolungando il molo di sopraflutto,
cioè il molo del faro verde. È un’opera impegnativa ma
non proibitiva, né tecnicamente né finanziariamente.
La si può realizzare gradualmente: prima la parte sommersa e poi quella in superficie. Velocizzando e suddividendo la spesa in un periodo più lungo senza per questo rinunciare a breve alla soluzione fondamentale che
consentirebbe di recuperare a funzione economica tutto
il quadrante sud del porto. Riuscire a fare questo consentirebbe di aggiungere 800 posti barca ai 400 esistenti. Assicurare il funzionamento 365 giorni su 365 delle
banchine commerciali. Aggiungere un accosto all’attuale molo del faro rosso. In sintesi: più che raddoppiare la
vita del porto. Delle imprese. Del business. Della città
del fronte porto.
• Secondo: il porto è polifunzionale. Ormai anche i più
riluttanti nel credere alla necessità di rilancio dello scalo
marittimo hanno preso atto che da Vibo Marina partono
navi per tutto il mondo con prodotti di alta tecnologia
metalmeccanica e petrolchimica; che di cemento ne può
arrivare di più e, con i dovuti accorgimenti, partire anche; e che, in generale, il trasporto marittimo tradizionale può trovare dei vantaggi specifici a Vibo Marina oltre
che a Gioia Tauro. Porto commerciale ma anche turistico, è questa la polifunzionalità da perseguire.
• Terzo: si può lavorare per attrarre due tipologie nuove di traffico: le navi roll on - roll off per il trasporto
di veicoli merci e auto sulla direttrice Nord-Sud (fattibile perché il mercato potenziale c’è, per Civitavecchia,
Livorno o La Spezia lo si vedrà poi ma, nel frattempo,
l’importante è che si possa prendere in considerazione
anche questa opportunità); le navi da crociera, piccole
sì (400-1000 passeggeri) ma comunque sempre navi da
crociera e, quindi, importante volano turistico. Queste
navi possono già oggi tecnicamente approdare come è
successo a settembre con la Paloma I (vedi foto) che ha
portato un migliaio di cicloturisti olandesi in escursione
da Tropea a Vibo.
• Quarto: il porto non è soltanto specchio di acqua ma
è anche, e soprattutto, retroterra, collegato ed organizzato per assicurare un adeguato accesso ai quattro settori peculiari dell’economia portuale vibonese: cantieristica nautica e navale, commerciale, turistico, pesca e
maricoltura. Da qui l’esigenza di aree di stoccaggio, di
accessi dedicati terra-mare e mare-terra, di accessibilità
porto-città e viceversa. Anche su queste problematiche
si è lavorato per trovare le soluzioni “giuste”, quelle in
grado di non stravolgere gli assetti attuali (e quindi più
economiche) e di consentire la coesistenza “pacifica” tra
esigenze funzionali differenziate.
• Quinto: lo sviluppo del porto passa anche dalla necessità di dover affrontare, unitamente alle esigenze di
messa in sicurezza e di delocalizzazione delle attività
industriali presenti nelle aree coinvolte dall’evento alluIn alto a sinistra, la banchina “Bengasi” del Porto di Vibo Marina.
Sopra, la nave da crociera “Paloma I”.
gennaio / febbraio
2007
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La strategia
g della Capitaneria
p
di Porto
di Maria Teresa Iannelli
20
Un porto dalle grandi potenzialità che può vivere di
vita autonoma a condizione, però, che si proceda a
una riorganizzazione razionale degli spazi e delle attività che in esso si svolgono. La Capitaneria di Porto
ha deciso di affrontare subito questo problema. Lo ha
fatto prima verificando spessore e problematiche degli operatori e poi radunando intorno al tavolo della
conferenza di servizi i vari e diversi soggetti pubblici e
privati con i quali disegnare una nuova strategia di sviluppo per lo scalo marittimo di Vibo Valentia Marina.
Primo risultato di questa strategia è aver portato tutti a
convincersi che per il rilancio del porto è fondamentale
risolvere il problema della risacca che rende inutilizzabile le banchine interne e crea serie difficoltà nella
gestione permanente del naviglio in stazionamento.
Allungare il molo di sopraflutto è l’intervento-soluzione necessario e oggi non più differibile. Una volta
realizzata questa opera, infatti, sarà possibile ampliare
le possibilità offerte: dalla pesca alle attività mercantili, dalla valorizzazione del settore nautico-turistico all’utilizzo del porto per le attività istituzionali.
Altra priorità individuata dalla Capitaneria di Porto e
condivisa dai partner di questa intensa collaborazione,
è costituita dal miglioramento della viabilità per l’accesso allo scalo marittimo, intervento da considerarsi
essenziale per lo sviluppo commerciale. Altrettanto
importante, infine, viene considerato il potenziamento
dei servizi alle banchine: incremento ed ampliamento
dei trasporti commerciali attuali, collegamenti veloci
ro-ro e traffico crocieristico sono i punti sui quali attivarsi sin da subito. «La realizzazione di questi programmi - ha sottolineato recentemente il Comandante
della Capitaneria, Domenico Napoli (al centro nella
foto, durante la conferenza dei servizi) - consentirebbe
di creare le condizioni utili allo sviluppo economico e
commerciale del porto di Vibo e, giocoforza, dell’indotto legato alla sua attività».
gennaio / febbraio
2007
vionale del 3 luglio 2006, i nodi dei depositi petroliferi e
delle aree dismesse ed urbane irregolari. Una situazione
che impone la ricerca di soluzioni per il recupero del
“valore economico e sociale della città”. Il problema qui
è serio ma i nuovi ragionamenti avviati per lo sviluppo del porto potrebbero introdurre elementi nuovi in
grado di favorire la rimodulazione delle problematiche
ambientali, urbanistiche ed economico-sociali del retroporto urbanizzato. Su tutti questi punti la discussione è
andata avanti. Il confronto pure e alla fine è stata assicurata la convergenza delle diverse parti.
Oggi alla Camera di Commercio il rilancio del porto
è un obiettivo messo nitidamente a fuoco (non a caso
rientra nelle linee stategiche prioritarie del programma
di attività 2007), e così pure alla Provincia (porto inserito tra le infrastrutture di trasporto prioritarie), e al Consorzio Nucleo Industriale (la crescita dello scalo marittimo esprimerebbe conseguenze estremamente positive
anche per l’area industriale di Portosalvo), al Comune
(il Piano Strutturale Comunale contempla tra le priorità l’integrazione della città con il porto), alla Rfi (porto
uguale nuova prospettiva per linee ferroviarie e stazioni
dismesse), alla Regione (impiego efficiente e redditivo
delle risorse regionali), a Vibo Sviluppo (il porto per la
crescita del settore turistico).
Ma è soprattutto alla Capitaneria di Porto che è più alta
la mobilitazione su questo ambizioso progetto di riqualificazione e rilancio dello scalo marittimo (vedi riquadro a fianco).
E così all’entusiasmo generale di “prima scoperta” che
avevamo rilevato nel mese di febbraio 2006 (con i richiami fondamentali della Camera di Commercio e della
Consulta economica portuale di Santa Venere), oggi si è
aggiunto anche l’entusiasmo di quanti si rendono conto
che la rinascita del porto è possibile.
È vero, sono passati tre anni e mezzo da quando in
questa provincia si è ricominciato, nel luglio del 2003,
a parlare diffusamente ed ampiamente dello scalo di
Vibo Marina. Non aver mollato, continuando a visualizzare gli effetti benefici che il rilancio del porto avrebbe sull’intera economia provinciale, comincia a dare i
primi frutti, nella certezza che la vocazione ultramillenaria del porto di Vibo Marina, se assecondata, non ci
tradirà.
GRECI
e ROMANI
approdavano qui
La costa vibonese custodisce sui propri fondali i resti di attracchi antichissimi. Il porto
di Valentia costituiva l’unica possibilità di riparo lungo la costa tirrenica a sud di Napoli.
È
suggestivo pensare che il mare della costa tirrenica vibonese che oggi tanto attira il turista,
abbia svolto, in passato, un ruolo ben diverso
ed importantissimo nella vita degli indigeni e
degli stessi Greci, che per suo tramite, intorno al VII sec
a. C., sbarcarono in questi luoghi, spinti dall’oracolo
divino.
L’itinerario marittimo da Pizzo a Tropea, è quello che
più si avvicina allo spirito ed alla mentalità Greca del
viaggio, che veniva effettuato non per divertimento,
ma per intima necessità.
Ed eccoli i primi greci che ormeggiano le loro navicelle
agli innumerevoli approdi presenti lungo questa costa; approdi che presto adattano alle esigenze dei loro
traffici e delle comunicazioni; e che successivamente i
Romani attrezzeranno di moli e solide strutture anche
monumentali.
Certamente non sognava il Lenormant, quando nel suo
viaggio, al vecchio ed abbandonato Castello di Bivona, vide sotto l’acqua gli avanzi del porto di Valentia:
considerevoli resti dei moli esterni e dei grossi piloni
quadrati di costruzione romana, disposti a distanze regolari. La tradizione tramanda che l’arcata di mezzo,
più larga delle altre, era costruita in marmo e portava
scolpita la statua di Nettuno.
Nonostante il trascorrere del tempo, ai giorni nostri,
archeologi e geologi, hanno ritrovato proprio a Trainiti
quelli che sembrano essere i ruderi del porto, visitato
dal Lenormant alla fine del secolo scorso.
Ma vedere i moli antichi del porto di Valentia è consentito anche al bagnante intraprendente e al sub non
troppo esperto, dato che i manufatti sono a pochi metri
dalla riva e a solo 4-8 metri di profondita’.
Si tratta di un porto molto ampio, compreso tra il promontorio di S. Nicola, allora proteso più avanti nel
mare, e Trainati; in quest’ ultima località ed alla Punta
Buccarelli, sono stati rinvenuti due antemurali: quello maggiore, partendo dalla foce del Trainiti si spinge nel mare per circa 350 metri e si presenta come una
sovrapposizione di ciottoli e grandi massi squadrati,
che nel tratto iniziale, più vicino a terra, mostra due
bracci distanti tra loro circa 10 metri; strutture queste
che confluiscono in un unico elemento la cui larghezza
varia da un minimo di 40 ad un massimo di 70 metri
L’antemurale minore è ubicato in corrispondenza di
Punta Buccarelli, ha direzione nord-est ed è anch’esso
costituito da massi e ciottoli di dimensioni diverse; è in
pessimo stato di conservazione poiché rimane solo il
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2007
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fondale e le sue parti mostrano un’estrema dispersione
di materiali. Le fonti classiche tramandano che Agatocle, intorno al III secolo a. C. aveva risistemato il porto di Hipponion, che poi, al tempo della guerre civili,
(I secolo a. C.), fu base di Cesare e Ottaviano, contro
Pompeo. Secondo notizie fornite dagli scrittori locali e i
dati d’archivio, di recente oggetto di studio da parte di
Antonio Montesanti, il porto di hipponion-Valentia era
ancora attivo nel Medioevo e nel Rinascimento; in seguito venne distrutto per ordine dei Pontefici romani,
per evitare che diventasse ricovero dei “barbari”.
Verso l’interno il porto è limitato da un vecchio sistema
di dune, sul quale, in età romana erano state costruite
alcune ville, di cui una è stata in parte indagata al Castello di Bivona; qui sono visibili alcune strutture e un
molo connesso al porto di Valentia; i manufatti rinvenuti, rappresentano la sistemazione, in età romana, di
un’insenatura naturale già usata, come approdo, in età
greca. In effetti il ruolo del porto è fondamentale sia
per l’età greca che per quella romana, così come, per
tutto il territorio in esame, esso diventa veicolo per il
commercio e determina il fiorire di vasti complessi insediativi che specializzano e differenziano la loro produttività anche in funzione dell’esportazione a breve e
forse anche a più ampio raggio. Val la pena di ricordare
che il porto di Valentia costituisce l’unica possibilità di
approdo lungo la costa tirrenica a sud di Napoli, quaA pag. 21, le vestigia sommerse del porto antico di Valentia.
In alto, la costa di Pizzo Calabro.
A destra, un tratto della costa vibonese in prossimità di Capo Vaticano.
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gennaio / febbraio
2007
si tappa obbligata per le comunicazioni con la Sicilia.
D’altra parte, non si deve dimenticare che la città di
Valentia, cui si aggiunge il nome italicizzato di Vibona,
ubicata com’è lungo le maggiori direttrici viarie, coagula e smista i prodotti locali anche per via terrestre e
diventa il polo di riferimento economico e politico per
tutto il territorio. A questo proposito grande impulso
avrà il municipium ed il suo territorio, dalla costruzione
della via Annia Popilia che assicurava il collegamento
tra Roma e la Sicilia passando per il Bruzio.
Negli itineraria romani, la città di Valentia è indicata
come statio, cioè stazione di posta, dove ci si fermava
a fare riposare cavalli e viaggiatori; essa viene definita con vari nomi e con qualche divergenza di distanze.
La conferma archeologica che la via Popilia passava per
Vibo Valentia è costituita dal miliario romano rinvenuto
nel 1952, in modo fortuito, a S. Onofrio, nelle vicinanze
dell’attuale centro, ora esposto al Museo Archeologico
“Vito Capialbi” di Vibo Valentia.
Secondo la ricostruzione topografica che fa G. Givigliano, la via si snoda dal fiume Angitola, attraverso l’attuale Piana degli Scrisi in comune di Maierato, e penetra
nella città di Valentia tramite la porta nord, quindi la
attraversa, secondo un percorso al momento non precisabile, e giunge fino al limite Sud-Ovest, dove si dirige
verso l’attuale Gioia Tauro. Sempre in età romana e già
a partire dal II sec. a. C., epoca di fondazione della colonia romana di Valentia che come abbiamo visto prima,
nell’89 a.C. diventa municipium, su questa costa si diffonde il tipico insediamento in villa; si tratta di complessi rurali che molto spesso sorgono su speroni rocciosi
costieri, protesi sul mare, ma talvolta, sono ubicati all’interno o sulla mezza costa, o anch’essi, su vasti pianori, tanto diffusi in questo territorio, da costituirne la
principale caratteristica ed attrazione. In età imperiale,
le ville, grazie alla presenza del mare e alla notevole bellezza naturale della zona, evolvono anche in senso residenziale, connettendo insieme, esigenze economiche
e paesaggistiche. La costruzione di questi insediamenti
era senz’altro finalizzata allo sfruttamento di un entroterra fertilissimo, di un’ottima posizione panoramica e
di un’attività di esportazione collegata con il vicino porto di Valentia.
Nell’antichità, l’attuale golfo lamentino, denominato
anche hipponiate, era particolarmente rinomato anche
per la quantità e l’alta qualità del tonno che vi si pescava, come testimoniano gli scrittori antichi Atheneo ed
Aeliano.
Lo studio e la ricerca archeologica su questo tratto di
costa, hanno individuato due “tonnare” romane, di cui
una alla Rocchetta di Briatico meno conservata, l’altra,
in località S. Irene, molto monumentale e quasi intatta
per la maggior parte.
A Sant’Irene, in età romana, la pesca e la lavorazione
del tonno si svolgeva secondo le modalità riferite dallo
scrittore antico Columella, che, in un capitolo della sua
opera, il De re rustica, descrive la pesca e la costruzione
degli stabilimenti per la lavorazione del pesce. Dal promontorio di S. Irene, dove ora sono i resti di una torre
quattrocentesca, il tonno veniva avvistato; e, mediante
le barche ed un sapiente sistema di reti, opportunamente posizionate, il pesce che non era ucciso, veniva fatto
entrare in un sistema di vasche, costruite sullo scoglio
a mare e comunicanti, forse con un sistema di ponteggi
di legno, con quelle costruite sulla spiaggia; qui, il pesce
veniva conservato sotto sale; infine, in salsa (garum), o
in pezzi salati, veniva stivato in contenitori di argilla
(anfore), e trasportato e commerciato in varie località,
attraverso imbarcazioni che dai porticcioli delle tonnare, arrivavano e venivano smistate nel vicino porto di
Hipponion- Valentia.
Del resto, la tradizione delle tonnare è rimasta viva
su costa dove, fin dal ‘600, sono sorte diverse tonnare (fabbriche per la pesca e la lavorazione del tonno),
documentate da atti d’ archivio (Bivona, Pizzo tonnara
grande e piccola o “ delli Gurni, Briatico tonnara “delli
Bracci” o “della Rocchetta”, S.Venere) delle quali, alcune sono state demolite; per fortuna, quella di Bivona è
ben conservata e visitabile. Tuttora a Pizzo e Maierato sono attive due moderne fabbriche di produzione
del tonno qui vengono lavorate le uova di tonno con
la stessa procedura usata in antico; il prodotto, molto
ricercato sul mercato, è chiamato con espressione dialettale “vatarico” che è chiaramente mediato dal greco
taryxos, termine usato per indicare la salsa prodotta
con le interiora delle sgombro.
Ecco
di Rosanna De Lorenzo
LÌMEN
Il presidente dell’Ordine dei giornalisti della Calabria Giusppe Soluri e il docente universitario Mario Caligiuri
hanno tenuto a battesimo la nostra rivista con interessanti interventi sulla comunicazione
D
ebutto ufficiale per Lìmen – Economia Arte
Cultura, rivista bimestrale della Camera di
Commercio di Vibo Valentia, sabato 16 dicembre scorso presso la Sala Riunioni dell’Ente camerale, con gli autorevoli interventi di Giuseppe
Soluri - presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Calabria - e di Mario Caligiuri, esperto in comunicazione,
docente all’Università La Sapienza di Roma e all’Unical
di Cosenza. «Lìmen è una rivista con anima che ha in
sé e riesce a trasmettere positive sensazioni Una Rivista
che, contrariamente a tante altre, non si sfoglia frettolosamente ma si ha il piacere di leggere e conservare», questo
il giudizio di Giuseppe Soluri. E da Mario Caligiuri la
consacrazione del messaggio sintetizzato nella testata:
«Pertinente la scelta del nome Lìmen che tanto nell’accezione latina “soglia” quanto dal greco “porto”, induce a
pensare a continui dinamismi».
«Per noi è un progetto entusuiasmante», sostiene Michele Lico, presidente dell’Ente Camerale, consapevole
di come sia stata accolta e condivisa la sua idea di una
rivista istituzionale «autorevole e ricca nei contenuti, dinamica e accattivante nella grafica, che potesse diventare
effettivamente strumento per comunicare l’Ente e valido
contributo per determinare condizioni di competitività,
sviluppo e benessere del territorio vibonese in una logica
di partecipazione e condivisione».
«A questi criteri sono stati improntati testi, aspetti grafici
Sopra, un momento della presentazione di Lìmen, da destra Giuseppe Soluri, Mario Caligiuri, Michele Lico, Enrico De Girolamo e Franco Sammarco.
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2007
e cromatici - precisa il direttore responsabile Enrico De
Giorolamo - per veicolare appunto all’esterno, in modo
interessante, l’attività e gli obiettivi programmatici dell’Ente, stimolando un ampio confronto sui temi cruciali
dello sviluppo locale».
Questo si è inteso fare con gli argomenti proposti nel primo numero: il Porto di Vibo Marina, il nuovo logo della
Camera di Commercio, l’anagrafe imprese, i prodotti tipici, il Comitato Imprenditoria Femminile, il nuovo POR,
i progetti di sviluppo, le eccellenze, la storia, la cultura,
l’ambiente, l’arte di Enotrio; lo si è voluto fare anche parlando dell’alluvione del 3 luglio scorso, per rappresentare quel che è stato e come si sta operando per superare
l’emergenza, e con le pagine riservate all’Amministrazione Provinciale e alla Vibo Sviluppo S.p.A., ringraziate
dal presidente Lico per il loro importante contributo.
GIUSEPPE SOLURI, presidente dell’Ordine dei Giornalisti
della Calabria
«Lìmen è nel suo genere una rivista assolutamente originale, nel senso che raramente le istituzioni si dotano
di strumenti di informazione e comunicazione così moderni ed accattivanti. Per la funzione che mi è propria, di
rappresentare la categoria dei giornalisti calabresi, non
posso, dunque, che esprimere soddisfazione tanto più
ricordando che l’informazione e la comunicazione pubblica non solo rispondono all’esigenza dell’Ente di definire una precisa immagine di credibilità e affidabilità
dando conto ai cittadini/utenti di progettualità e offerte
di servizi ma costituiscono per lo stesso Ente un preciso dovere, anche di trasparenza nei confronti della col-
lettività che ha il diritto di conoscere atti e situazioni di
cui essa stessa è destinataria e rispetto a ai quali deve
adeguare il proprio comportamento. E in un contesto di
pluralismo istituzionale l’informazione e la comunicazione pubblica diventano modalità di partecipazione e
condivisione, che poi risultano essere anche la mission
che il presidente Lico ha dichiarato propria della rivista
camerale e con la quale, la Camera di Commercio di Vibo
Valentia associa, dunque, e in modo pregevole, il diritto/
dovere di informare al compito istituzionale di promuovere il territorio. E lo fa con un prodotto editoriale dai
contenuti interessanti e piacevoli. Lìmen è una di quelle
riviste che contrariamente a tante altre non si sfoglia frettolosamente ma si ha il piacere di leggere e conservare.
Un raro esempio, soprattutto in Calabria, di prodotto
istituzionale ben costruito in ragione degli obiettivi prefissati. Si può con certezza definire una rivista con anima,
che ha in sé e trasmette positive sensazioni».
MARIO CALIGIURI, esperto in Comunicazione
«Lìmen rappresenta uno strumento importante per il
territorio vibonese ed è un segno di cambiamento reale,
perché ha giusti contenuti. Pertinente la scelta del nome
che tanto dal latino “soglia” quanto nel greco “porto” induce a pensare a dinamismi che hanno punti di partenza
e anche di arrivo. Di questo bisogna dare atto e merito
alla Camera di Commercio di Vibo Valentia, al suo presidente Michele Lico che, nel realizzare il progetto, facendo
leva su risorse interne, è stato concreto e lungimirante.
La comunicazione deve accompagnare ogni progettualità, tanto più quella delle istituzioni pubbliche che hanno
il dovere di rendere noti programmi e azioni. E Lìmen va
in questa direzione. Anzi va oltre proiettando l’immagine di un territorio vivo e attivo, per come effettivamente
è. E la percezione di un territorio, della sua immagine, è
sicuramente elemento non secondario nei processi di sviluppo economico. Certo l’immagine da sola non basta,
non serve se non rappresenta coerenza di contenuti e di
risorse, che qui, in questo territorio esistono; la strategia
è ampliare i punti di forza rispetto a quelli già esistenti.
Turismo, cultura, beni culturali, arte, tradizioni, gastronomia, ambiente, in altre parole il “buon vivere” che ci
appartiene: è questo quello che dobbiamo valorizzare e
comunicare. Per la provincia di Vibo Valentia costituiscono preziose risorse, così come risorsa è il Porto di Vibo
Marina che il presidente Lico ha giustamente definito
struttura strategica da potenziare e rilanciare. In tutto
questo l’informazione e la comunicazione sono determinanti, devono diventare strategia. Una potenzialità spesso e generalmente sottodimensionata; un problema complessivo, non esclusivamente della Calabria che è solo il
vagone di un treno che va a rilento.
La rivista della Camera di Commercio di Vibo Valentia,
può rappresentare, quindi, un punto d’incontro e utile
strumento di tutte realtà positive e propositive del territorio. In quanto, poi, alle politiche di sviluppo, il concetto chiave è: pensare locale e agire globale. I nostri
prodotti, le nostre risorse devono inserirsi e integrarsi in
sistemi a carattere complessivo facendo rete a più livelli.
È ora di ribaltare la tendenza dei media di indugiare su
di noi solo per questioni non sempre esaltanti, che tra
l’altro sono comuni ad altre realtà, e mostrare, invece,
quanto di positivo, propositivo e costruttivo abbiamo e
riusciamo ad esprimere. Stabiliamo una cosa: questo si
può fare e si deve fare. E, mi pare, che il presidente Lico,
questo percorso, non solo lo abbia chiaramente in mente,
ma lo abbia già intrapreso in modo preciso».
FRANCO SAMMARCO, Sindaco di Vibo Valentia
«Do il benvenuto a Lìmen in un territorio orgoglioso di
essere rappresentato da una rivista di tale caratura. Colori luminosi e bellissime foto che sono rappresentazione
dei nostri luoghi, della nostra identità; testi interessanti
e ben calibrati, impaginazione gradevole, tutti elementi
esemplificativi delle capacità e delle raffinatezze che il
nostro territorio sa esprimere. Economia, arte e cultura
sono sapientemente considerate in un sistema di rete, un
modalità che dobbiamo percorrere con capacità, sagacia
e impegno. Condivido l’importanza di fare rete, come
propone la Camera di Commercio anche con questa rivista, perchè è l’unica strada percorribile oggi per azioni
credibili ed efficaci volte a valorizzare le risorse esistenti individuando priorità e strumenti finanziari. Con il
presidente Lico abbiamo già avanzato proposte comuni e condivise, per esempio per dare identità al porto di
Vibo Marina, rilanciando servizi commerciali e turistici
di qualità. Per tutto questo il mio plauso a Lìmen e l’augurio di poter continuare a comunicare, come ha fatto
in questo numero, un territorio che è realisticamente
operoso, positivo e propositivo».
gennaio / febbraio
2007
25
Camera
di Raffaella Gigliotti
COMUNICA
Camera
Pubblicato il primo bilancio sociale relativo al biennio 2004/2005
S
i chiamano “stakeholder” - portatori di interessi - i destinatari del Bilancio Sociale che, per la
prima volta, la Camera di Commercio di Vibo
Valentia ha realizzato, con riferimento al biennio 2004/2005, quale risposta concreta al dovere etico
di rendere conto a tutti i suoi interlocutori del proprio
operato.
Ogni decisione maturata, ogni impegno assunto, ogni
iniziativa intrapresa dalla Camera di Commercio si
sviluppa nelle relazioni intessute dall’Ente con i suoi
stakeholder (imprese, istituzioni, associazioni di categoria, risorse umane interne, fornitori, destinatari di
servizi).
Il Bilancio Sociale è uno strumento di rendicontazione
delle attività svolte, moderno, puntuale, trasparente.
Missione, strategie perseguite, valori etici di riferimento: comunicati.
Valore, competenze, prodotto dell’azione amministrativa – elementi fondamentali per la vita dell’Ente: esternati.
Il documento è snello e sintetico, ma esaustivo delle
scelte compiute nell’arco temporale di riferimento.
Usa un linguaggio comunicativo estremamente efficace, di impatto per la scelta dei supporti figurativi che
catturano l’attenzione visiva, e fruibile non solo al ristretto pubblico degli addetti ai lavori, per la leggerezza
e semplicità dei contenuti testuali.
Un Bilancio Sociale che mette in evidenza gli obiettivi
raggiunti dalla Camera di Commercio di Vibo Valentia
nel corso del biennio 2004/2005.
Obiettivi meritevoli di comunicazione, quali il miglioramento della qualità dei servizi amministrativi, l’incremento dei livelli di efficienza e tempestività nella loro
erogazione, il potenziamento del ruolo dell’Ente nei diversi avvenimenti che regolano il mercato e stimolano la
crescita del tessuto imprenditoriale della provincia.
Il piano strategico della Camera di Commercio di Vibo
Valentia, le cui linee fondamentali sono declinate nei
documenti programmatici annuali e pluriennali, prevede interventi finalizzati alla crescita del sistema socioeconomico ed al miglioramento dei livelli di efficacia ed
efficienza dell’organizzazione interna.
Il rinnovo degli organi direttivi, avvenuto nel corso del
2005, ha dato nuovo impulso al processo di programmazione dell’Ente, individuando un piano d’azione
coerente con i mutamenti intervenuti nel contesto di riferimento.
Le strategie individuate possono essere così sintetizzate:
• migliorare la qualità dei servizi amministrativi, semplificando e velocizzando l’erogazione degli stessi;
• potenziare il ruolo di ente regolatore del mercato, mediante la diffusione dei procedimenti di giustizia alternativa, il miglioramento della trasparenza del mercato
e la tutela del consumatore;
• consolidare la competitività del territorio e del sistema
produttivo, promuovendo azioni di marketing territoriale e valorizzando, in particolare, i settori del turismo,
dell’artigianato e dell’agroalimentare;
• supportare la penetrazione delle imprese locali sui
mercati esteri, mettendo a disposizione strutture in grado di garantire assistenza e informazione;
• favorire l’orientamento al lavoro, sviluppando il rac-
cordo tra il mondo della formazione ed il tessuto imprenditoriale;
• promuovere la diffusione della cultura d’impresa,
supportando le nuove iniziative imprenditoriali;
• incrementare il livello degli investimenti delle Pmi,
facilitandone l’accesso al credito;
• promuovere l’innovazione ed il trasferimento tecnologico, attraverso il monitoraggio dei fabbisogni tecnologici delle imprese e l’offerta di servizi informativi;
• migliorare l’efficienza dell’organizzazione camerale,
mediante l’adeguamento e la modernizzazione della
struttura e la valorizzazione del personale;
• rafforzare la centralità dell’utenza, attraverso la costruzione di relazioni di fiducia ed il miglioramento delle attività di comunicazione da parte dell’Ente.
In linea con l’evoluzione economica e istituzionale dell’ultimo decennio, la Camera di Commercio di Vibo Valentia ha aggiornato costantemente i propri servizi e la
propria struttura operativa per meglio rispondere alle
istanze del proprio territorio.
In particolar modo, l’Ente camerale si è fatto interprete delle necessità del tessuto imprenditoriale della provincia, fondando la propria gestione su un sistema ben
definito di valori, che sono stati recepiti anche nello Statuto:
• l’efficienza, l’efficacia e l’economicità dell’azione amministrativa, che spingono al miglioramento costante
delle prestazioni da parte dell’Ente;
• la trasparenza, in relazione alle procedure amministrative ed alla comunicazione, sia interna che esterna;
• l’imparzialità, garantendo le medesime condizioni di
gennaio / febbraio
2007
27
accesso ai servizi alle imprese ed agli utenti in generale;
• la libera iniziativa economica, la libera concorrenza,
l’autoregolamentazione del mercato, la tutela e la dignità del lavoro, al fine di garantire un’economia aperta che
assicuri pari opportunità per lo sviluppo della persona
nell’impresa e nel lavoro.
A tali valori si affiancano alcuni principi derivanti da
prassi e comportamenti consolidati negli anni, con i
quali la Camera di Commercio risponde alle specifiche
aspettative del sistema economico. In particolare, tali
principi riguardano:
• la “centralità” dell’utenza, per adeguare i servizi erogati alle effettive esigenze delle imprese e degli altri soggetti che si rivolgono agli uffici camerali;
28
gennaio / febbraio
2007
• l’orientamento all’innovazione, volto all’adeguamento costante dei modelli di gestione dell’organizzazione,
di erogazione dei servizi e della dotazione tecnologica;
• la capacità di operare in rete, che ispira la realizzazione di iniziative concertate e volte a promuovere l’interscambio di competenze e risorse.
Ma il Bilancio Sociale non è solo un documento di descrizione dei programmi, delle strategie e dei valori
espressi dall’Ente.
Esso si traduce anche in uno strumento di analisi, poiché
offre un resoconto completo dei progetti, delle attività
realizzate, delle risorse allocate e delle ricadute sociali
prodotte sul territorio e verso gli stakeholder.
Il documento è stato realizzato applicando le migliori
tecniche, i principi di redazione e le prassi professionali
più evolute. È articolato in tre parti, seguendo le raccomandazioni delle metodologie prevalenti in letteratura.
La prima parte è dedicata all’identità della Camera e
descrive la missione, i valori, le strategie, la struttura
organizzativa e fornisce un quadro del contesto socioeconomico della provincia.
Nella seconda parte (relazione sociale) vengono individuate le principali categorie di stakeholder e illustrate le
attività, i servizi e i progetti realizzati dall’Ente in termini di efficacia e di ricaduta sociale.
La terza e ultima parte riguarda il Rendiconto Economico, che descrive la ricchezza prodotta e le modalità di
distribuzione agli interlocutori sociali.
Dal Bilancio Sociale la Camera di Commercio di Vibo
Valentia vuol fare emergere “cosa si fa”, “come si fa” e,
soprattutto “per chi si fa”.
Come l’impresa risponde ai propri soci, così la Pubblica
Amministrazione risponde alla società, che si traduce
nel proprio “azionista” di riferimento.
In tal senso si esplicita l’analogia tra impresa privata ed
ente pubblico sotto il profilo della responsabilità sociale
e si chiarisce perché anche il soggetto pubblico presenti
il Bilancio Sociale.
La Camera di Commercio di Vibo Valentia ha dimostrato una peculiare lungimiranza nell’adottare questa
politica di comunicazione ed è stata tra le poche Pubbliche Amministrazioni in Calabria a confrontarsi con
l’opinione pubblica.
Non va tralasciato, inoltre, che l’intero lavoro è stato prodotto da un Gruppo di funzionari interni alla struttura,
con l’assistenza tecnica di Retecamere; un lavoro, che
ha reso possibile candidare la Camera di Commercio di
Vibo Valentia all’ambìto premio “Oscar di Bilancio” per
la categoria Organizzazioni Centrali e Territoriali delle
Amministrazioni Pubbliche, ricevendo il plauso della
Giuria.
Scrive Gherarda Guastalla Lucchini (Segretario Generale del premio) nell’inviare alla Camera di Commercio
di Vibo Valentia l’attestato di partecipazione: «Desidero esprimere il nostro vivo apprezzamento per il livello
qualitativo del Bilancio da voi presentato. Partecipare
all’Oscar di Bilancio è di per sé indice di qualità della
comunicazione e nelle relazioni con gli influenti».
Con il Bilancio Sociale, dunque, la Camera di Commercio di Vibo Valentia “si racconta”, ma soprattutto, “si
confronta”.
La realizzazione del Bilancio Sociale vuol essere, infatti,
anche una verifica della gestione e dell’organizzazione
dell’Ente, affinché possa rendersi sempre più capace di
corrispondere alle aspettative del sistema imprenditoriale locale, del quale è il punto di riferimento istituzionale.
Così è stato pensato per dare slancio allo scambio dialettico ed alle valutazioni sull’operato dell’Ente, per meglio addivenire alla definizione di obiettivi di miglioramento sempre più condivisibili.
gennaio / febbraio
2007
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Quando la
QUALITÀ
fa la differenza
di Rosanna De Lorenzo
Tre imprese vibonesi impegnate nel settore turistico e della ristorazione si sono aggiudicate
il Premio Ospitalità Italiana 2006. Il prestigioso riconoscimento è andato all’hotel Porto Pirgos
di Parghelia, al pub Tato’s di Vibo Marina e al ristorante San Pietro di San Calogero.
“P
remio Nazionale Ospitalità Italiana”,
quando l’ospitalità premia e la qualità fa la differenza. In questo slogan si
può riassumere l’iniziativa promossa
dall’ISNART (Istituto Nazionale di Ricerche Turistiche),
in partenariato con le Camere di Commercio, coinvolte e impegnate nella fase propedeutica e preselettiva
di attribuzione del “Marchio di Qualità” alle strutture
turistiche che si sono contraddistinte per l’adozione di
elevati standard di qualità nell’erogazione dei servizi.
Il Premio Ospitalità Italiana edizione 2006, celebrato a
Bari lo scorso novembre, ha visto protagoniste, tra le
dieci strutture decretate vincitrici da un’apposita Commissione Nazionale di esperti, tre imprese turistiche vibonesi, certificate così al top per la qualità dei servizi
offerti e per il gradimento dei clienti.
Il primo posto nella categoria “Hotel 5 stelle” è stato riconosciuto all’Hotel Porto Pirgos di Parghelia, premiati
poi Tato’s di Vibo Marina e San Pietro di San Calogero
per la categoria ristorante-pizzeria.
Un primato esaltante per il nostro sistema turistico che
in termini di accoglienza dà prova di professionalità e
affidabilità, adeguandosi a sempre più elevati standard
di qualità. La nostra provincia, poi, registra un alto tasso
30
gennaio / febbraio
2007
di strutture a cinque stelle, rafforzando questa tendenza. Il criterio della qualità nell’offerta dei servizi e dei
prodotti turistici è indubbiamente un fattore di competitività, irrinunciabile quale garanzia per l’utente ed
elemento di attrattività per un territorio capace di modulare la propria offerta ad una domanda sempre più
puntuale ed esigente. Nell’ambito del progetto che la
Camera di Commercio di Vibo Valentia ha condiviso e
sostenuto, l’attribuzione del Premio Nazionale “Ospitalità Italiana 2006” alle tre strutture della nostra provincia, non può che essere motivo di soddisfazione anche
per l’ente camerale che fa della qualità fulcro della sua
politica istituzionale. Al contempo, assume la duplice
valenza di premialità per le strutture di eccellenza e di
incentivo per una sana concorrenzialità nel sistema turistico locale verso quei parametri di eccellenza che si
auspicano sempre più diffusi e omogenei, presupposti e
moltiplicatori di sviluppo reale.
A Bari, al Galà organizzato per la consegna dei premi
erano presenti autorità istituzionali, rappresentanti
del mondo economico, della moda e dello spettacolo,
Sopra, la premiazione di Caterina Messina, direttrice dell’Hotel Porto
Pirgos, sul palco con il presidente della Camera di Commercio Michele Lico a la soubrette Valeria Marini, madrina della manifestazione.
tra questi ultimi Pippo Franco, Valeria Marini, Barbara
Chiappini e Maurizio Mattioli. Alla serata di premiazione è intervenuto il presidente della Camera di Commercio di Vibo Valentia Michele Lico che ha voluto, anche
in questa occasione, testimoniare la costante vicinanza
e partecipazione dell’Ente camerale al comparto imprenditoriale vibonese. Michele Lico, poi, insieme a Valeria Marini ha consegnato il primo premio di categoria
all’Hotel Porto Pirgos alla direttrice Caterina Messina.
Il “Premio Ospitalità Italiana” è un’attestazione di alta
qualità. Alla rosa delle strutture turistiche vincitrici si
arriva attraverso un percorso di preventive verifiche basate su rigorosi criteri selettivi. Dal primo luglio al 31
agosto i clienti delle strutture italiane certificate con il
“Marchio di qualità” hanno votato, appunto, la qualità del servizio ricevuto dalla struttura ospitante, assegnando un punteggio da 1 a 10, a seconda del livello di
soddisfazione complessivamente raggiunto al termine
della permanenza. Per la votazione previsti SMS, internet o l’apposito numero verde. L’Isnart ha poi contabilizzato le preferenze ricevute da ciascuna struttura, selezionando quelle con maggior numero di voti e
quindi con punteggio più alto. Questo ha portato per
ciascuna categoria – Alberghi: da 5 a 2 stelle; Ristoranti:
gourmet, tipico regionale, internazionale, classico italiano, pizzeria, Agriturismo di qualità - alla selezione delle tre strutture più votate e quindi all’assegnazione del
Premio Nazionale Ospitalità Italiana. La scelta della Camera di Commercio di Vibo Valentia di aderire al progetto dell’Isnart promuovendo il Marchio di Qualità nel
settore Turistico muove da un obiettivo ben preciso che
è quello di assicurare al territorio competitività attraverso l’emersione delle sue eccellenze, in un settore poi in
cui l’accoglienza assume
valenza poliedrica ed il
gradimento è fattore indubbio di successo e di affezione. Il Marchio di qualità suggella il rigore nella
valutazione e nella scelta
degli operatori economici
e delle strutture ricettive
con caratteristiche confor-
mi ai criteri della professionalità e dell’affidabilità, con
la duplice funzione di conferire credibilità e visibilità a
quanti concepiscono professionalmente l’attività turistica e al contempo diventa garanzia per l’utente all’atto
della selezione di luoghi e strutture per un periodo di
vacanza all’insegna della soddisfazione delle proprie
aspettative. Già da diversi anni il sistema camerale si
è attivato per moltiplicare le iniziative dei Marchi di
Qualità con il coinvolgimento trasversale delle imprese dei vari comparti produttivi, dall’agroalimentare, al
commercio, all’attività ricettiva e turistica in generale.
Il Marchio di Qualità nel settore turistico, stante la specifica vocazione del nostro territorio, morfologicamente
comprensivo di mare, monti e colline (le Serre Calabre
con annesso Parco), oasi naturalistiche (Lago Angitola),
altopiani (Monte Poro) con le tipicità ad ogni zona connesse, diventa elemento fortemente indicativo di elevati
standard competitivi che tutela il turista proiettando un
territorio contemporaneo e quindi capace di modulare
la propria offerta ad una domanda sempre più puntuale
ed esigente in termini di servizi turistici. Il Marchio di
qualità così inteso vuol essere anche stimolo e incentivo
per una sana concorrenzialità nel sistema turistico locale per uno spirito autopropulsivo verso criteri di alta
qualità sempre più diffusi e omogenei su tutto il territorio provinciale. La Camera di Commercio con il Marchio di qualità delle imprese alberghiere, dei ristoranti,
degli agriturismi e dei Bed & Breakfast della provincia
di Vibo Valentia lancia questa sfida nell’ambito di una
politica di filiera e di un’offerta turistica integrata.
Ciò perchè la nostra terra possa essere vissuta per come
e per quanto è capace di esprimere e perchè le bellezze
naturali e paesaggistiche, storiche ed artistiche possano
lasciare segno indelebile
nella memoria del visitatore tanto quanto servizi
turistici impeccabili e conformati alla più gradita
ospitalità.
Un momento della premiazione
per il settore della ristorazione:
primo a sinistra, l’imprenditore
Salvatore Caliò di Tato’s.
A Vibo Valentia le donne più
INTRAPRENDENTI
di Raffaella Gigliotti
Pubblicato dalla Camera di Commercio il primo rapporto sull’imprenditoria femminile.
La provincia di Vibo Valentia si attesta al primo posto nella graduatoria nazionale.
D
ictum Factum.
Era stata preannunciata nelle pagine del
primo numero di Lìmen dal Presidente della Camera di Commercio di Vibo Valentia,
Michele Lico, la realizzazione del Primo Rapporto sulle
Imprese Femminili nella provincia. E con lo stesso amplificatore mediatico si è voluto dare notizia della sua
pubblicazione, comunicandone tempestivamente i risultati.
Risultati che non potevano essere più esaltanti di quelli che emergono da questo agile monitoraggio delle
imprese femminili vibonesi, prodotto dalla Camera di
Commercio di Vibo Valentia, con l’assistenza tecnica di
Retecamere e la collaborazione del Comitato Imprenditorialità Femminile.
Sì, perché, dalle statistiche snocciolate da questo primo
rapporto in rosa risulta, a chiare cifre, che la provincia
32
gennaio / febbraio
2007
di Vibo Valentia è leader dell’imprenditoria femminile
in Italia.
A Vibo Valentia la voglia d’impresa a conduzione femminile si fa strada, tanto da conquistare, con un tasso
pari al 4,3%, il primo posto nella graduatoria nazionale
in termini di crescita tra il 2005 ed il 2006.
La rilevazione al 30 giugno 2006, l’ultima in ordine temporale, ha infatti visto Vibo Valentia registrare il più
elevato tasso di crescita a livello nazionale rispetto allo
stesso periodo dell’anno precedente.
Tale risultato appare tanto più positivo se si considera
che il trend di crescita delle imprese femminili della
provincia nei due anni precedenti è stato uno dei più
deboli di tutte le province della Calabria.
Questo dato di Vibo Valentia al 30 giugno 2006 risulta
supportato solo parzialmente dall’andamento regionale: la crescita piuttosto contenuta della Calabria (+0,3%)
risente infatti di tre situazioni di eccellenza e di due di
attenzione. Vibo Valentia è infatti seguita al secondo
e terzo posto nella graduatoria provinciale, in base al
tasso di crescita delle imprese femminili, da Crotone e
Catanzaro; Reggio Calabria occupa una posizione centrale e Cosenza è all’ultimo posto con una performance
addirittura negativa.
In tutti i 7 semestri oggetto della rilevazione le imprese
femminili di Vibo Valentia sono aumentate in termini
assoluti passando dalle 2.840 del 30 giugno 2003 alle
3.127 del 30 giugno 2006 (+10,1%).
Dal punto di vista della forma giuridica le imprenditrici vibonesi preferiscono le ditte individuali (85,34% nel
2005). L’altra quota consistente delle imprese femminili
è quella delle società di persone (11,32%), che è la più
elevata nel confronto con le altre province calabresi. A
Vibo Valentia, invece, la percentuale più bassa (2,71%)
delle imprese in forma di società di capitale.
Sotto il profilo del settore di attività economica, la maggiore numerosità di cariche femminili si registra nel
settore commercio, che rappresenta il 39,91% del totale
provinciale. Forte incidenza delle imprenditrici si manifesta anche in agricoltura (21,72%). Seguono, il settore manifatturiero (9,51%), alberghi e ristoranti (8,95%),
servizi (7,36%).
Oltre che nella città capoluogo di provincia, in cui si registra la presenza di 726 unità, pari al 23,97% del totale,
i Comuni in cui si concentrano le imprese al femminile
Imprese femminili nelle province della Calabria:
tassi di crescita giugno 2003-giugno 2006
var. %
2003-04
var. %
2004-05
var. %
2005-06
CATANZARO
4,1%
3,1%
3,7%
COSENZA
3,3%
4,5%
-4,1%
CROTONE
5,1%
2,1%
4,1%
REGGIO DI CALABRIA
5,0%
3,0%
1,5%
VIBO VALENTIA
3,4%
2,1%
4,3%
TOTALE
4,1%
3,4%
0,3%
sono Tropea con 185 imprese (6,11%), Pizzo con 172 imprese (5,68%), Nicotera con 154 imprese (5,08%), Ricadi
con 124 imprese (4,09%) e Serra San Bruno con 112 imprese (3,70%).
Il presente Rapporto si è proposto, dunque, di presentare
un quadro aggiornato dell’imprenditorialità femminile
della provincia di Vibo Valentia al fine di monitorare e
mappare la componente imprenditoriale femminile locale attraverso la quantificazione delle imprese ad essa
appartenenti, l’analisi delle loro caratteristiche e dei
trend in atto, e fornire un contributo conoscitivo funzionale alla progettazione ed alla realizzazione di politiche
e di linee di attività, a supporto della competitività delle
imprese femminili vibonesi.
È una prima lettura di dati a cui dovranno seguire azioni specifiche - di sensibilizzazione e di informazione, di
formazione e di affiancamento - mirate al rafforzamento
ed alla valorizzazione delle skills manageriali già esistenti, da una parte, e alla riduzione delle criticità che
ancora inficiano le performance aziendali delle imprese
femminili, dall’altra.
gennaio / febbraio
2007
33
Imprese femminili attive per provincia
Classifica per variazione percentuale
giugno 2006/giugno 2005
gennaio / febbraio
2007
VIBO VALENTIA
CROTONE
CATANZARO
SASSARI
MILANO
PRATO
NUORO
ROMA
BERGAMO
CASERTA
LECCE
NAPOLI
REGGIO EMILIA
TERAMO
VARESE
SALERNO
VERONA
LA SPEZIA
BENEVENTO
COMO
FROSINONE
PISA
MANTOVA
RAGUSA
ORISTANO
CAGLIARI
LATINA
NOVARA
PARMA
CATANIA
BRESCIA
ASCOLI PICENO
TARANTO
MESSINA
ALESSANDRIA
TORINO
MODENA
CALTANISSETTA
RIMINI
LUCCA
PERUGIA
BARI
PISTOIA
PESCARA
VICENZA
REGGIO CALABRIA
PALERMO
SIRACUSA
VENEZIA
BELLUNO
VERCELLI
LECCO
30/06/2006
30/06/2005
Variazione %
06-05
3.127
3.621
7.044
10.646
68.463
6.278
6.617
57.916
16.782
21.013
15.443
58.822
9.020
8.463
13.449
25.569
18.609
4.881
10.714
8.502
12.888
8.501
7.876
7.284
3.262
15.620
13.019
6.369
8.069
21.157
22.029
9.682
11.487
11.663
11.699
46.923
13.389
5.974
7.418
8.759
16.234
30.762
6.510
7.971
15.324
12.011
19.600
7.851
16.081
3.506
3.747
4.846
2.998
3.479
6.795
10.299
66.302
6.090
6.425
56.241
16.313
20.476
15.059
57.368
8.807
8.269
13.142
24.989
18.188
4.771
10.474
8.324
12.619
8.324
7.713
7.134
3.195
15.300
12.753
6.240
7.916
20.761
21.619
9.504
11.276
11.455
11.497
46.121
13.164
5.874
7.296
8.616
15.977
30.278
6.408
7.849
15.090
11.835
19.331
7.746
15.867
3.460
3.699
4.784
4,3
4,1
3,7
3,4
3,3
3,1
3,0
3,0
2,9
2,6
2,5
2,5
2,4
2,3
2,3
2,3
2,3
2,3
2,3
2,1
2,1
2,1
2,1
2,1
2,1
2,1
2,1
2,1
1,9
1,9
1,9
1,9
1,9
1,8
1,8
1,7
1,7
1,7
1,7
1,7
1,6
1,6
1,6
1,6
1,6
1,5
1,4
1,4
1,3
1,3
1,3
1,3
PROVINCE
PESARO E URBINO
SONDRIO
VITERBO
LODI
ANCONA
GENOVA
TRENTO
PIACENZA
CREMONA
PAVIA
FOGGIA
CHIETI
BOLOGNA
L’AQUILA
PADOVA
MASSA CARRARA
AREZZO
AVELLINO
TREVISO
UDINE
ROVIGO
FIRENZE
RIETI
SIENA
ENNA
MACERATA
FORLI’ - CESENA
TRAPANI
GROSSETO
BRINDISI
PORDENONE
GORIZIA
ASTI
BOLZANO - BOZEN
SAVONA
CUNEO
LIVORNO
AOSTA
MATERA
AGRIGENTO
IMPERIA
BIELLA
TRIESTE
ISERNIA
RAVENNA
TERNI
CAMPOBASSO
FERRARA
POTENZA
VERBANO CUSIO OSSOLA
COSENZA
TOTALE
30/06/2006
30/06/2005
Variazione %
06-05
8.759
4.160
10.089
2.972
10.277
16.950
9.134
6.256
5.505
9.885
18.552
13.203
17.919
7.844
19.434
4.694
8.123
13.809
17.608
12.265
6.253
19.591
3.630
6.436
3.820
8.892
8.435
11.732
8.103
7.915
6.338
2.600
6.417
11.412
7.963
17.775
7.783
3.372
5.414
10.967
6.766
4.016
3.901
2.588
7.737
5.218
8.044
7.482
11.203
2.967
13.836
1.228.534
8.652
4.115
9.980
2.940
10.172
16.777
9.043
6.194
5.451
9.790
18.392
13.097
17.777
7.783
19.292
4.665
8.075
13.732
17.516
12.201
6.221
19.505
3.617
6.414
3.810
8.869
8.414
11.706
8.086
7.899
6.328
2.596
6.411
11.402
7.963
17.785
7.791
3.381
5.430
11.008
6.796
4.034
3.919
2.601
7.790
5.258
8.107
7.545
11.329
3.016
14.427
1.210.612
1,24
1,1
1,1
1,1
1,0
1,0
1,0
1,0
1,0
1,0
0,9
0,8
0,8
0,8
0,7
0,6
0,6
0,6
0,5
0,5
0,5
0,4
0,4
0,3
0,3
0,3
0,2
0,2
0,2
0,2
0,2
0,2
0,1
0,1
0,0
-0,1
-0,1
-0,3
-0,3
-0,4
-0,4
-0,4
-0,5
-0,5
-0,7
-0,8
-0,8
-0,8
-1,1
-1,6
-4,1
1,5
Imprese femminili attive per provincia
Classifica per variazione percentuale
giugno 2006/giugno 2005
34
PROVINCE
gennaio / febbraio
2007
35
TURISMO
di Anselmo Pungitore
la rivoluzione
dei sistemi integrati
Il quadro normativo nazionale impone la valorizzazione ed il rilancio del settore attraverso
un’offerta locale che integri beni culturali, ambientali ed enogastronomia per la creazione
di un “marchio” univoco che la contraddistingua nel panorama nazionale ed internazionale.
A
prescindere dal tipo di soluzione normativa
che la Regione Calabria deciderà di adottare, i Sistemi Turistici Locali rappresentano,
per come già normati dalla legge nazionale
di riordino del comparto turistico, l’idea centrale per
rendere il turismo in tutte le sue sfumature, motore
di sviluppo e prima industria per fatturato e numero
di occupati del Sistema Italia. Ma non solo, intorno al
concetto stesso di STL, si è costruita infatti la volontà
36
gennaio / febbraio
2007
di aggregare in maniera strutturata ed organizzata le risorse che, presenti in forma slegata nell’area, non hanno
ancora provocato quel cambiamento, che è possibile definire strategico, per la creazione del “valore aggiunto”
dell’offerta turistica. Nasce con questi presupposti, prima di tutto nella volontà del legislatore nazionale, una
vera rivoluzione normativa tesa a colmare una pressante necessità di organizzare un settore cardine della nostra economia. L’ideazione dei Sistemi Turistici Locali
vede protagonisti “contesti turistici omogenei o integrati,
comprendenti ambiti territoriali appartenenti anche a regioni
diverse, caratterizzati dall’offerta integrata di beni culturali,
ambientali e di attrazioni turistiche, compresi i prodotti tipici
dell’agricoltura e dell’artigianato locale, o dalla presenza diffusa di imprese turistiche singole o associate” e rappresenta
la chiave di volta per le realtà locali di divenire centri
propulsivi di idee e progetti integrati di un territorio,
promuovendo e valorizzando le specificità dell’offerta
turistica. In questo contesto diviene evidente il ruolo,
che in un territorio ricco di risorse non solo naturali,
come quello vibonese, deve giocare la creazione di una
catena del valore, ovvero di una rete delle risorse, fortemente coesa ed interdipendente.
Al disegno strategico regionale e talvolta ultraregionale
si sostituiscono dunque le volontà e gli obiettivi delle
politiche di sviluppo territoriali e la connessa possibilità di dotare un’area di una chiara identità, di un “marchio” che la possa collocare con successo nel panorama
dei differenti e molteplici turismi.
Ideare un marchio e perseguire le azioni tese al suo irrobustimento non è compito facile, ma rimane una delle poche vie per il rafforzamento di un’offerta turistica
che ormai si trova a competere con aree altamente concorrenziali sul fronte dei costi e dei servizi dislocate in
ogni area del mondo. Trasporti, filiera agroalimentare,
tradizioni arte e cultura, artigianato sono solo alcuni degli ingredienti che compongono il mix delle risorse da
mettere in rete al pari della qualificazione delle strutture ricettive, della cultura dell’accoglienza, della qualità
dell’ospitalità, della conservazione e del risanamento
dei fattori ambientali, dell’effettiva fruizione dei beni
archeologici ed artistici. Pubblico e privato in questo
panorama si intersecano e si fondono producendo eccellenze, gli interessi diffusi e generali condivisi trovano
riposte e divengono fattore di sviluppo endogeno.
Così come le risorse economiche investite dagli operatori e attratte dall’area dispiegano un effetto moltiplicatore delle provvidenze nazionali e comunitarie destinate
allo sviluppo locale, creando una espansione economica
A sinistra, uno scorcio di Capo Vaticano, una delle località
più suggestive della costa vibonese.
autopropulsiva. Una crescita territoriale capace di innescare fenomeni virtuosi di cogenerazione di iniziative
che possono rendere, a loro volta, complessivamente
più attrattivo ed appetibile il territorio. È sufficiente
qualche valutazione di carattere generale per supportare quanto appena espresso. Finanza di progetto (project
financing) e riqualificazione urbana costituiscono un
esempio tangibile delle possibilità che vengono date ai
soggetti pubblici e privati di costruire, nell’ambito di un
sistema integrato, opportunità di crescita diffusa e duratura. Migliorare il rating dell’area diviene precondizione prioritaria ed essenziale per potenziare l’attrattività
del territorio. Un miglioramento congiunto di numerose variabili che potremo riassumere sinteticamente con
l’incremento dell’indice della qualità della vita.
Lavorare alacremente ed in maniera determinata sul
riposizionamento complessivo dell’indice della qualità
della vita è la scommessa che il futuro o futuri STL dell’area vibonese dovranno saper cogliere. Ed è su questi
temi che si gioca la partita più importante per la nostra
area, migliore qualità della vita significa bloccare la fuga
dei cervelli, instaurare un clima favorevole per l’insediamento di nuove attività economiche e restituire fiducia
a quelle che già vi operano, produrre collaborazioni positive che adottino regole certe ed una carta di “valori”
condivisi generata attorno al concetto stesso di appartenenza. Un master plan, una prova di concertazione che
assume particolare significato alla luce della prossima
programmazione comunitaria che mette a confronto due
modi di progettare e programmare lo sviluppo, quello
tradizionale, inefficace ed oramai obsoleto ed uno innovativo, permeato di saperi differenti e complementari,
di interazione tra filiere turistiche integrate, di nuovi e
più forti sistemi di relazioni che possono portare anche
alla costituzione, se necessaria, di un’agenzia di sviluppo turistico intesa come officina di idee, di prodotti e di
servizi. In definitiva, l’efficacia ed il successo dei Sistemi
Turistici Locali oscilla fortemente tra la possibilità di essere anello debole della catena del valore che cede alla
prova della programmazione collegiale o, come è certamente auspicabile, anello forte capace di creare il senso
di appartenenza e di identità di un territorio e di un “sistema cha fa sistema” coinvolgendo le migliori risorse.
gennaio / febbraio
2007
37
di Antonello Meddis
COOPERAZIONE
rapporto sul trend vibonese
Confcooperative ha promosso due pubblicazioni che fotografano criticità ed eccellenze del settore
locale al fine di calibrare gli interventi ottimali per lo sviluppo e la crescita di questo comparto.
C
onoscere il settore per calibrare gli interventi:
è questa la filosofia alla base dell’azione che
ha condotto alla realizzazione di due pubblicazioni che fotografano il trend del settore della cooperazione in provincia di Vibo Valentia, in
riferimento al periodo 2002-2004 e all’implementazione
relativa all’anno 2005. Questi due rapporti già realizzati
e un terzo di prossima edizione, costituiscono un buon
motivo di orgoglio per la Confcooperative di Vibo Valentia e per i partner (Camera di Commercio, Midia Scrl
ed Elabora Calabria) che hanno voluto sostenere e contribuire a questa ricerca. I risultati prodotti rappresentano il frutto del lavoro comune portato avanti nel corso
di questi anni e stanno a dimostrare come la collaborazione consenta di ottenere proficue sinergie, ancora da
esprimere con pienezza nel nostro territorio.
La costruzione del trend cooperativo è scaturita dall’osservazione delle unità operative nel settore che hanno
depositato il bilancio di esercizio in tutti gli anni della
serie storica analizzata (specificamente 2001-2004). Il
fine è quello di valutare lo “stato di salute” e le potenzialità di sviluppo della realtà imprenditoriale “cadetta”.
La raccolta e la successiva elaborazione dei dati inerenti
le diverse società cooperative operanti nella provincia
di Vibo Valentia ha consentito di esaminare il trend evo-
38
gennaio / febbraio
2007
lutivo del campione osservato, di individuarne i tratti
distintivi cogliendone le trasformazioni e le tendenze in
atto, nonché di osservare lo “stato di salute” di ciascuna
iniziativa imprenditoriale, caratterizzata dall’appartenere ad un territorio in cui le fasi di sviluppo seguono
alterne vicende. Il lavoro si struttura in quattro momenti fondamentali.
Un primo momento è costituito da una rassegna degli
elementi di carattere generale sulle società cooperative,
anche in considerazione delle notevoli modifiche intervenute in materia con la riforma del diritto societario
(elemento particolarmente accentuato nella prima edizione) e propone, inoltre, approfondimenti delle principali variazioni intercorse tra le due edizioni (istituzione
da parte del Ministero delle Attività Produttive dell’Albo delle Cooperative).
Il secondo momento è caratterizzato da un’analisi meramente quantitativa delle imprese cooperative (operanti
nella provincia di Vibo Valentia) mirata all’osservazione, tra l’altro, della distribuzione per categoria. Nella
seconda edizione, inoltre, è stato dato maggiore spazio
all’analisi del profilo quantitativo della compagine societaria e della forza lavoro occupata. L’indagine prosegue con l’analisi, quantitativa e qualitativa, dei dati
di bilancio. Nella terza parte sono stati esaminati i fat-
tori quantitativi (trend assoluto, distribuzione provinciale, soci, addetti) del settore. Nell’ambito delle attività, a fronte di un deficit di elementi relativi ad alcuni
degli aspetti quantitativi che si intendevano indagare
- compagine sociale e forza lavoro occupata - l’analisi
è suffragata da una verifica empirica sul campo che ha
permesso di censire, in modo accurato e minuzioso, la
distribuzione di soci e addetti per ciascuna cooperativa.
Il quarto momento è relativo all’analisi dei dati di bilancio delle realtà oggetto di indagine, ossia all’analisi delle
voci e all’elaborazione di indicatori di settore.
L’azione è stata orientata a garantire l’uniformità della
lettura tra le due edizioni; sono stati presi in considerazione gli aggregati oggetto del primo studio e arricchiti in funzione delle esigenze rilevate nell’attività di
riesame delle attività realizzata tra le due pubblicazioni. Pertanto l’analisi della seconda edizione (analisi del
trend 2001-2004) ha esaminato in dettaglio l’entità di 16
voci di bilancio a fronte delle 8 voci relative alla prima
indagine.
In merito alla rilevazione degli indicatori di settore si
è proceduto all’accertamento della solidità patrimonia-
La tabella riepiloga le voci delle due pubblicazioni
promosse da Confcooperative
I edizione
Fatturato
Capitale sociale
Immobilizzazioni
Attivo circolante
Attivo di bilancio
Debiti
Patrimonio netto
Risultato d’esercizio
II Edizione
Immobilizzazioni
Crediti
Attivo circolante
Attivo di bilancio
Patrimonio netto
Capitale sociale
Riserve
Debiti
Passivo di bilancio
Valore della produzione
Totale costi di produzione
Reddito operativo
Gestione finanziaria
Totale valore delle rettifiche
Gestione straordinaria
Risultato di esercizio
le attraverso il calcolo dei tassi di copertura delle immobilizzazioni con mezzi propri e di terzi e il grado di
indipendenza da terzi; all’accertamento della liquidità
attraverso il calcolo dell’indice di solvibilità e infine all’accertamento della redditività attraverso il calcolo del
ROI e del ROE. Nella maggior parte delle osservazioni le performance si sono rivelate in contrapposizione
evidenziando dinamiche eterogenee in relazione agli
andamenti congiunturali dei settori di attività delle cooperative. L’analisi ha, comunque, messo in luce innumerevoli informazioni sullo stato di salute della realtà cooperativa della provincia. In particolare è stata rilevata
una variabilità all’interno del campione di riferimento
in relazione alla composizione annua. Nello specifico,
nell’ultimo anno della serie storica considerata (2004) si
assiste ad un calo del 13,21% del numero dei bilanci depositati. L’analisi di bilancio, condotta secondo un’ottica
patrimoniale, finanziaria e reddituale, ha fatto emergere
una situazione differenziata.
Nello specifico, dal punto di vista patrimoniale gli indici hanno messo in luce una rilevante copertura delle
immobilizzazioni con fonti durevoli e capitale proprio.
Dal punto di vista finanziario emerge una sostanziale
dipendenza da terzi ed un costante indice di solvibilità
in linea con il valore soglia. Dal punto di vista della redditività il trend si presenta decisamente decrescente.
I dati presentati nel lavoro costituiscono un’interessante chiave di lettura della realtà cooperativa interrelata
con il territorio e l’economia locale. Si tratta comunque
di un’analisi settoriale e territoriale che presenta i limiti insiti nella medesima sua natura: un’interpretazione
intelligibile potrebbe scaturire da un confronto con il
mondo “non cooperativo” vibonese e soprattutto con
realtà cooperative di altre province.
Un confronto del genere consentirebbe di contestualizzare e inserire gli andamenti settoriali e aggregati all’interno di un quadro macro-economico in grado di fornire
maggiori spunti di riflessione.
Questo studio sarà di certo un ottimo strumento di riferimento per lo svolgimento delle finalità istituzionali
di Confcooperative Vibo Valentia, nonché apprezzabile punto di partenza per la realizzazione di importanti
progetti di sviluppo locale che l’associazione ha in corso
di attuazione.
gennaio / febbraio
2007
39
d’arte e tradizione
testi e foto
di Francesco Gioghà
La storia dell’antica fonderia Scalamandrè che per oltre due secoli ha rappresentato la massima
espressione monteleonese nella realizzazione di campane destinate alla Calabria e all’Italia intera.
C
i sono manufatti e mestieri che, per quanto possono essere suscettibili all’evoluzione
della scienza e della ricerca che la moderna
terminologia post-industriale definisce “innovazione di processo e di prodotto”, non possono essere migliorati con nuovi cicli di lavorazione, in quanto
strettamente connessi a tecniche antiche e insostituibili.
La produzione di alcuni manufatti, infatti, non può essere minimamente pensata e sostituita con lavorazioni
automatizzate in serie tipiche della produzione industriale.
Alcuni manufatti, ancor oggi vengono fuori dalle mani
dell’uomo, dalle mani d’eccellenti artigiani, seguendo le
stesse tecniche di una volta, gelosamente tramandate di
40
gennaio / febbraio
2007
generazione in generazione.
Ancor oggi tanti lavori artigianali sono capolavori artistici, unici e irripetibili, in cui difficoltà di realizzazione,
lunghi tempi di lavorazione e preziosità del prodotto si
“fondono” per dar vita ad un’ineguagliabile opera di
gran valore, anche dal punto di vista commerciale. La
linea di confine fra Artigiano e Arte diventa sottilissima, l’impronta dell’imprenditore si trasforma nel tocco
sapiente dell’artista, cosicché dati statistici, esigenze di
mercato, quantità prodotta e tempi di lavorazione passano in secondo piano di fronte al pregio e all’irripetibilità dell’opera. Questa sintesi d’operosità, cultura, estro
creativo e conoscenza, necessita di un’ulteriore passaggio per consegnare alla storia il Mestiere e il Maestro,
cioè quello che oggi definiamo “successione e trasmissione d’impresa” tramandandola di padre in figlio, affinché l’esperienza e il sapere dell’artista-artigiano non
si disperda a causa di quelle che sono le vicessitudini
della vita.
La premessa era necessaria per onorare un importante
capitolo di storia della nostra città, sconosciuto ai più,
che per alcuni versi ha il valore di una scoperta. Il riferimento è all’antica Fonderia di Campane degli Scalamandrè di Monteleone di Calabria, in cui diverse generazioni di Monteleonesi si succedettero nella sua conduzione
con pregevole maestria e lusinghieri risultati.
In questa occasione ci cimenteremo poco nell’esaminare o illustrare tecniche e fasi di lavorazione di questa
tipicissima produzione artistico-tradizionale, sebbene
il trattato amanuense “Regole in pratica per fondere le
Campane”, un bellissimo manuale che incorpora in sé il
segreto della fusione delle campane, tramandatosi nei
secoli e ricopiato per l’ultima volta nel 1901 da Raffaele
Scalamandrè, di cui daremo traccia in seguito, farebbe
impallidire qualsiasi disciplinare di certificazione di
qualità Iso 9000 dei giorni nostri.
Purtroppo l’assenza di studi dettagliati e
approfonditi c’impedisce di collocare la peculiarità della fusione delle campane targata Scalamandrè nel più
ampio scenario della storia e della tecnologia di questo
particolare manufatto; tanto più è possibile introdurre
un tentativo di confronto con una produzione di elevata specializzazione e con una tecnica posseduta da non
più di una decina di fonderie in tutta la Penisola, o il
rapporto di questa con altre attività metallurgiche nella
cui tradizione certamente si iscrive. La ricerca è aperta
e il campo di studio è ancora tutto da scoprire. Poche e
frammentate le notizie di cui si dispone per ricostruire
la storia di questa gloriosa fonderia: un breve capitolo
(“Fonderia di Campane”) del libro di Mon. Francesco
Albanese, intitolato “Vibo Valentia e la sua storia” (1962,
Tipografia Carioti); alcune note su Raffaele Scalamandré (1887-1918) di Felice Muscaglione nel suo volume
“Eroi, 1915-1918” (Casa Editrice Europa 3); e per ultimo
uno scritto del 1908 di Federico Tarallo, dal titolo “Alcuni cenni storici sulla fonderia di Campane in Monteleone”, pubblicato in “Raccolta di Notizie e Documenti
della Città di Monteleone” di Pietro Tarallo (1926, Tipografia La Badessa). Lo stesso Mons. Albanese, nella
prefazione alla sua opera avverte: «Non lievi difficoltà
ho incontrato nelle indagini: il succedersi d’invasioni,
guerre, saccheggi e terremoti e l’incuria degli uomini
hanno contribuito a disperdere tanti documenti del
suo glorioso passato».
Fondamentale, quindi, la testimonianza degli
eredi diretti della famiglia Scalamandrè e, in
particolare, degli ingegneri Antonello e Luigi Scalamandrè, che hanno messo a disposizione il materiale da loro accuratamente
custodito. Si tratta di documenti originali, libri scritti a mano, stampi di vario
tipo, calchi in gesso, matrici inverse,
punzoni, tavole campanarie, riconoscimenti e onorificenze, che
ci hanno permesso di ricostruire
buona parte della storia della
Fonderia di Monteleone. Proprio la detenzione di alcuni
di questi reperti testimonia
una continuità familiare che
permette di affermare con quasi assoluta certezza e precisione che l’origine della Fonderia di Monteleone va
fatta risalire al 1671, tempo in cui un certo Gerardo Olita da Vignola, fonditore di campane girovago, si fermò
a Monteleone per assolvere le commesse che gli erano
pervenute dai paesi e dalle province vicine. Qui, un suo
figlio s’imparentò con la famiglia Bruno e di seguito un
Gerardo Bruno e i suoi due figli Nicola e Gennaro tennero su la fonderia fino al 1815, data in cui pervenne in potere agli Scalamandrè. Raffaele Scalamandrè mantenne
la fonderia per quasi sessanta anni passandola al figlio
Fedele Nicola che, sempre secondo il Tarallo, fu il perfezionatore dell’arte di fondere le campane, tra i migliori
delle province meridionali per il decoro a cesello e per la
perfetta sonorità che riuscì ad imprimergli.
Si stima che il numero delle sue fusioni supera le quattrocento di cui parecchie eccedenti il peso di 10, 19, 20
e 37 quintali e diffuse in tutta la regione, tra cui quelle
eseguite per Maida, per il Duomo di San Leoluca, per la
Cattedrale di Mileto, per Palmi, per Cosenza e altri siti.
Nel 1902 inviò all’Esposizione Internazionale Campionaria di Marsiglia e all’Esposizione Campionaria di
Roma una campana di 5 quintali che conseguì in entrambe le manifestazioni il “Gran Premio con Diploma
d’Onore e Medaglia d’Oro” per la specialità campane in
bronzo. Nicola Fedele Scalamandrè nella rappresentanza della Fonderia, al proprio nome aggiungeva quello
dell’unico suo figlio Raffaele, anch’esso fonditore e dedito all’arte della plastica dei modelli, che si avvicendò
nella conduzione della Fonderia dopo la morte del padre che avvenne nel principio del 1909.
Il giovane Raffaele aveva gia dato prova di una promettente e splendida riuscita nell’arte paterna, in quanto
terminati gli studi ginnasiali scelse di lavorare nella Fonderia di Monteleone che condusse fino al 1915, quando,
scoppiata la Prima Guerra Mondiale, venne chiamato
alla Fabbrica d’Armi di Terni per fondere i cannoni utilizzati nel conflitto.
L’industria dell’artiglieria pesante, infatti, approfittò
della tradizione e dell’esperienza dei fonditori campanari costringendoli a produrre cannoni, e il valore del
bronzo diede origine al cosiddetto “diritto alle campane”: gli artiglieri e le loro compagnie ebbero le miglio-
ri campane del paese conquistato e molte di queste, in
occasione di guerre furono trasformate in pezzi di artiglieria; così come, all’opposto, alla fine della guerra il
bronzo dei cannoni era rifuso per costruire campane.
Le circostanze vollero che proprio questo fatto avrebbe
condizionato la vita del giovane Raffaele Scalamandrè e
la continuità della stessa Fonderia di Monteleone.
A Terni, infatti, Scalamandrè si ammalò gravemente,
contraendo l’influenza aviaria, la cosiddetta “Spagnola” che in quegli anni seminò morte in tutta Europa con
milioni di vittime. Ritornato a casa, morì il 27 novembre
1918 all’età di appena 37 anni. Con la sua scomparsa
ebbe fine l’Antica Fonderia di Campane rinomata in
Italia e all’estero, nonostante la buona volontà e il tentativo di mantenere in vita la tradizione della fusione
di campane da parte del cugino Vincenzo Scalamandrè
che fuse alcune campane tra le quali quella del Municipio di Vibo Valentia e di Simbario. Ciò che si diceva in
premessa sull’interruzione della catena della successione d’impresa, si manifesta in tutta la sua irriverenza nel
causare la fine di un’appassionante esperienza che non
poté avere continuità probabilmente per il sol fatto che
alla morte di Raffaele Scalamandrè il suo primogenito
Fedele Nicola aveva solo 4 anni.
Di Raffaele Scalamandrè, ultimo fonditore di campane
di Monteleone, non rimangono tracce nemmeno nel cimitero di Vibo Valentia. La lapide che così recitava ”qui
giace Raffaele Scalamandrè fu Nicola che seguendo le
orme dell’avo e del padre fu valente meccanico e fonditore di lavori in bronzo e che giovine ancora per morbo
gennaio / febbraio
2007
43
stato in vita.
Del primo Raffaele Scalamandrè fonditore troneggia sul
campanile del Duomo di San Leoluca la grande campana fusa nel 1832, ricca d’incisioni, d’immagini di santi,
di frasi celebrative con i nomi dei benefattori, dei parrocchiani, delle autorità religiose e politiche del tempo;
e di converso si nota in maniera evidente lo sfregio che
l’incuria del tempo e degli uomini nonché l’improprio
uso di un battaglio esterno sta danneggiando irreparabilmente.
44
gennaio / febbraio
2007
- pag. 40, Antonello Scalamandrè vicino
alla campana del Duomo di San Leoluca, Vibo Valentia.
- pag. 41, antiche matrici per la realizzazione di fregi ornamentali
che impreziosivano le campane.
- pag. 42, antichi manuali per la realizzazione delle fusioni di bronzo.
- pag. 43, la matrice della Fonderia Scalamandrè usata
per firmare le opere realizzate.
- a sinistra, contratti e documenti relativi alle commesse
della Fonderia Scalamandrè.
- in basso, le tavole tratte dai manuali rappresentati a pag. 48.
- a destra, Raffaele Scalamandrè (1887-1918) e la medaglia d’oro di
Marsiglia, prestigiosa onoreficenza che venne assegnata sua fonderia.
L’aneddoto storico
contratto servendo la
patria in guerra perì
fra l’atroce spasimo
dei suoi cari le invocazioni di cinque tenere
creature e l’unanime
rimpianto della cittadinanza”, in ossequio al volere del figlio Nicola Fedele,
morto nel 2006, fu
divelta e i resti di
Raffaele furono
ricongiunti nella
stessa bara per
averlo in morte
più vicino di quanto non lo fosse
Federico Tarallo, nel suo volume “Scritti Vari” racconta: «Pervenuto il 1815, un
caso inatteso indusse quest’ultimo Bruno
(Gennaro) a smettere dalle assidue sue
occupazioni. Il Bruno, teneva presso di
sè da più tempo l’adolescente Raffaele
Scalamandrè, figlio di una sua congiunta, per servirsi di lui nella formazione delle sagome bisognevoli alla costruzione dei modelli, essendo Raffaele avviato
al mestiere del falegname. Or avvenne che
dovendosi fondere una campana le cui dimensioni, superiori a quante altre mai finallora
al Bruno erano state commesse, esigevano proporzioni
diverse sì nelle curve, come nelle falde e nella corona.
A ciò fare con tutta lena vi si accinse il nostro fonditore;
ma per quanta attenzione ei vi avesse posta i risultati
che ne otteneva erano ben lungi dal soddisfarlo. Ripetuto più volte un tal lavoro non ne veniva a capo, finché,
infastidito d’una simile disdetta, divisò differirlo ad altro, e così fece. Lasciato in custodia l’opificio al nipote,
si recò ad una sua tenuta di campagna per darsi svago,
e ricorrendo in quel tempo la vendemmia, vi si trattenne finché questa non fu terminata. Sbollitogli frattanto
il malumore in cui messo l’aveva la cattiva riuscita del
suo modello, ritornato in città, sua prima cura fu quella
di recarsi all’opificio per riprendere l’abbandonato lavoro; ma entratovi appena, qual fu la sua meraviglia nello
scorgere sul gran tornio ove si girano i modelli, quello da lui tanto desiderato ed invano più volte rifatto?
Il piccolo falegname, nei giorni di assenza del Bruno si
era dato ad eseguire il modello e con tanta perfezione il
condusse a termine, simmetria ed eleganza di parti, che
quello, ammirato del nobile ardire del giovinetto, dopo
averlo più volte abbracciato, gli chiese se, come pel modello gli dava l’animo di fonder la campana; ed avutane
risposta affermativa, passò ad interrogarlo, ricevendone
soddisfacente risposta. Lieto in cuor suo di aver senz’avvederselo trovato nell’adolescente Raffaele colui che a
non lunga scadenza lo avrebbe surrogato, il Bruno tenne
la sua promessa e fecegli fondere la campana, contentandosi di sorvegliarne la esecuzione, il cui esito tanto
lo appagò che da quel giorno non fuvvi opera a lui commessa ch’egli non avesse interamente al nipote affidato,
il quale, istradandosi sempreppiù in poco tempo sorpassò lo zio, siccome lo dimostrano le tante sue opere fino
a tarda età eseguite, parti delle quali, e forse le ultime,
sono a noi note, essendo Raffaele morto nel 1875 in età
d’ottantasei anni…».
Provincia di Vibo Valentia
La Provincia di Vibo Valentia,
in collaborazione con la
Camera di Commercio,
promuove l’insediamento nella città
capoluogo dell’Icif, la prestigiosa
scuola di cucina italiana per cuochi
stranieri fondata da Jhon Arena,
uno dei maggiori ristoratori
canadesi di origine calabrese.
V
ibo Valentia potrebbe presto ospitare la sede meridionale del prestigioso “Italian Culinary Institute
for Foreigners” (Icif), la Scuola di
cucina italiana per stranieri nata nel 1991 con
lo scopo di tutelare e promuovere nel mondo l’enogastronomia del Bel Paese,
formando gli chef ed i sommelier
che operano all’estero. È questo
l’ambizioso progetto a cui sta
lavorando l’Amministrazione
provinciale, in collaborazione
con la Camera di Commercio,
con l’obiettivo dichiarato di
fare della città capoluogo un
punto di riferimento internazionale nell’alta formazione
culinaria. Padre tutelare dell’iniziativa è uno dei più famosi chef internazionali di
origini calabresi, John Arena. Emigrato in Canada
nel 1939, all’età di 15 anni,
Arena gestisce oggi nove
dei migliori ristoranti di
Toronto ed ha alle spalle
una lunga carriera durante la quale ha accumulato una serie incredibile
di riconoscimenti e premi internazionali. I suoi
piatti, tutti rigorosamente
ispirati alla cucina mediterranea, hanno fatto storia nel
continente americano, fino a renderlo notissimo nel jet
set internazionale. Basti pensare che persino personaggi
del calibro di Bob Kennedy e della Regina d’Inghilterra hanno avuto modo di gustare e apprezzare la cucina
italiana proposta da Mr. Arena. Nel 1991 ha fondato, in
Piemonte, l’Italian Culinary Institute for Foreigners, di
cui oggi è presidente onorario, con l’obiettivo di formare nel nostro Paese chef e ristoratori stranieri interessati alla tradizione enogastronomica italiana. Una scelta
vincente che, in pochi anni, ha fatto dell’Icif un punto
di riferimento mondiale in questo settore di alta formazione professionale. Oggi, sedi dell’Icif sono presenti in
29 Paesi, divisi tra Europa, Asia, Oceania e Continente
americano. Nel 2004, è stata inaugurata, ultima in ordine di tempo, la sede di Shanghai, in Cina, dove è stato
realizzato il primo ed unico Centro di cucina, cultura ed
enologia delle Regioni d’Italia, sostenuto dal Governo
cinese e dall’Istituto nazionale per il Commercio Estero
(Ice). In questo prestigioso contesto si inserisce il progetto di realizzare a Vibo Valentia la seconda sede italiana dell’Icif (quella principale è in provincia di Asti).
Secondo le intenzioni della Provincia, la nuova Scuola
di formazione sarà ubicata all’interno di Palazzo Romei,
monumentale edificio acquistato dall’Ente nel 2005.
L’immobile, che rappresenta uno dei palazzi storici più
suggestivi del capoluogo vibonese, necessità però di
importanti interventi di restauro e ammodernamento.
Ecco perché, nelle intenzioni dei promotori dell’iniziativa la nascita del nuovo istituto comporterà il contestuale e completo recupero di Palazzo Romei, che sarà
così pienamente restituito alla città nel suo rinnovato
splendore architettonico. «Il valore aggiunto di questo
progetto sta proprio nel volontà di riportare agli antichi
splendori architettonici un edificio storico, per farne la
sede meridionale dell’Icif - sottolinea il presidente della Provincia Gaetano Ottavio Bruni -. Raramente, infatti, si ha la possibilità di mettere in cantiere iniziative
di questo spessore, capaci di esprimere effetti benefici
A sinistra, lezione sulla pasta italiana in un’aula dell’Icif,
nella sede centrale in Piemonte (foto Luigi Bertello).
A destra, l’entrada di Palazzo Romei a Vibo Valentia.
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Provincia di Vibo Valentia
La conferenza stampa di presentazione del progetto Icif.
Da sinistra, Michele Lico, Paolo Barbieri, Jhon Arena e Gaetano Ottavio Bruni
non soltanto sull’economia locale, ma anche sulla riqualificazione urbanistica del territorio. Senza contare
le ricadute occupazionali e quelle legate alla crescita del
comparto turistico vibonese, che chiede continuamente
saldi punti di riferimento formativi per i propri addetti». Una strategia ribadita dall’assessore provinciale ai
Lavori pubblici, Paolo Barbieri: «Da quando abbiamo
acquistato Palazzo Romei c’è sempre stata l’intenzione
di farne la sede dell’Icif. Adesso è arrivato il momento
di lavorare per concretizzare questo progetto, che intendiamo realizzare facendo inserire nella programmazione dei fondi strutturali 2007-2013 un articolato piano di
recupero e restauro dell’immobile. Ma non vogliamo
muoverci da soli, perché riteniamo che in iniziative di
questo tenore vadano coinvolte anche le forze produttive e imprenditoriali, affinché ne condividano le finalità
e contribuiscano attivamente al risultato finale». In occasione della presentazione alla stampa del progetto, Mr.
Arena ha sottolineato i motivi che hanno spinto l’Icif a
scegliere Vibo Valentia «che può vantare una posizione
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strategica e un patrimonio paesaggistico senza uguali». «Non di meno – ha continuato - il forte legame con
questa Amministrazione provinciale e con il presidente
Bruni, in particolare, ci hanno convinto a puntare sul
Vibonese». Parole di grande apprezzamento per la storia umana e professionale di Arena sono venute anche
da Michele Lico, che ha espresso la piena condivisione
del progetto da parte della Camera di Commercio: «Una
volta realizzata, attraverso questa scuola sarà possibile promuovere con maggiore incisività i prodotti tipici
della tradizione locale, utilizzando questo canale anche
per incrementare le esportazioni». Sulla stessa lunghezza d’onda il consigliere provinciale Saverio Mancini, tra
i maggiori imprenditori turistici del Vibonese, che ha
partecipato anch’egli all’incontro con i giornalisti e con
Mr Arena.
In particolare, Mancini ha sottolineato come «la formazione professionale possa diventare anche uno straordinario volano per l’export e la valorizzazione dell’enogastronomia calabrese».
Studenti dell’Icif
a fine corso
Italian Culinary Institute for Foreigners
L’Icif è un’associazione senza fini di lucro nata nel 1991 per tutelare e qualificare l’immagine della cucina e dei prodotti italiani
presso i professionisti che operano nella ristorazione all’estero. Da allora organizza Master, Corsi Brevi (generici e tematici) e
Corsi di Aggiornamento per gruppi di professionisti stranieri (chef, sommelier, ristoratori), che intendano acquisire una specializzazione italiana. In questi anni ha diplomato studenti provenienti da Australia, Bermuda, Brasile, Canada, Cina, Cipro,
Corea, Filippine, Germania, Giappone, Hong Kong, India, Israele, Libano, Messico, Perù, Russia, Stati Uniti, Singapore, Svezia,
Tailandia, Taiwan, Venezuela, oltre ovviamente dall’Italia. Nel 1997 l’Icif ha inaugurato la sua nuova prestigiosa sede all’interno del medievale Castello di Costigliole d’Asti, stato restaurato in funzione dell’Istituto e delle sue attività di formazione,
realizzando una struttura didattica in grado di permettere lo sviluppo di un programma di insegnamento a livello di Università di Cucina. Accanto alle aule attrezzate con i più sofisticati impianti per una moderna attività didattica sono state allestite
un’enoteca ed un’elaioteca. Il corpo docente è formato da professionisti altamente qualificati, docenti di istituti alberghieri,
giornalisti, tecnici ed esperti, chef e sommelier di fama internazionale. Per una maggiore conoscenza dei prodotti le lezioni
sono affiancate da visite guidate ad aree produttive di particolare interesse e ad importanti aziende agroalimentari.
Nel 2004 l’Icif ha compiuto un ulteriore passo ed ha ampliato le proprie attività all’estero, con l’apertura di due nuove sedi in
Brasile ed in Cina, dove nel 2005 sono iniziati i primi corsi. La prima nel sud del Brasile, nella Regione di Rio Grande do Sul, a
Flores da Cunha, la seconda a Shanghai, presso il campus universitario Shanghai Lingang Science and Technology School.
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Una rete provinciale
per gli sportelli
UNICI
Vibo Sviluppo S.p.A. è impegnata nella realizzazione di un network provinciale
che consenta il coordinamento degli strumenti comunali deputati
a facilitare e snellire i rapporti tra Pubblica amministrazione e imprese.
A
vviare un’impresa in Italia? Fino a ieri servivano mesi, da domani, secondo quanto
stabilito dal Consiglio dei Ministri nella riunione del 25 gennaio 2007, dovrà essere realizzabile in un solo giorno.
Fare impresa sarà, quindi, più facile dopo l’approvazione del “Pacchetto Bersani” che, focalizzando l’attenzione
su svariati settori dell’economia, ha recepito il Disegno
di legge Capezzone (Presidente della Commissione Attività produttive della Camera), attualmente all’esame
in del Parlamento. Si tratta di un lungo elenco di novità
che riguarda varie misure. Tre in particolare le misure di
“liberalizzazione” relative alla semplificazione nei rapporti tra imprese e P.A., pensate dal ministro per le Riforme e l’innovazione della Pubblica Amministrazione
Luigi Nicolais ed ora contenute nel Disegno di legge: è
previsto innanzitutto un rafforzamento dello Sportello
unico per le Attività Produttive nel quale confluiranno
tutte le pratiche degli imprenditori e delle amministrazioni pubbliche che diventa quindi lo snodo strategico
dell’operazione.
Detto Sportello Unico per le Attività Produttive è stato
previsto dal D.Lgs n. 112 del 1998, il quale, in ottemperanza alle disposizioni della Legge-delega n. 59/1997
(cosiddetta “legge Bassanini”), ha operato il conferimento, alle Regioni ed agli Enti Locali, della maggior parte
delle funzioni e dei compiti amministrativi spettanti allo
Stato. Più specificatamente il D Lgs richiamato ha conferito ai Comuni le funzioni amministrative relative alla
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realizzazione, ampliamento, cessazione, riattivazione,
localizzazione e rilocalizzazione di impianti produttivi,
ivi incluso il rilascio delle concessioni o autorizzazioni
edilizie. I Comuni devono, ai sensi del presente decreto,
esercitare tali funzioni realizzando un’unica struttura
responsabile dell’intero procedimento (Sportello Unico
per le attività produttive). Tutto ciò al fine di garantire
agli interessati l’accesso, anche in via telematica, a tutte
le informazioni concernenti le domande d’autorizzazione ed il relativo iter procedurale, ed ancora lo svolgimento degli adempimenti necessari per le procedure
autorizzatorie, nonché tutte le notizie relative alla disponibilità di aree per i nuovi insediamenti, alla fruibilità o
meno d’eventuali agevolazioni comunitarie, nazionali,
regionali e d’ambito locale.
Tale servizio di Sportello Unico è previsto nell’ambito
delle politiche di sviluppo delle attività produttive di
beni e servizi ed ha lo scopo di dare certezza agli imprenditori sui tempi e sulle modalità di realizzazione
delle strutture produttive e di concentrare su un unico
soggetto le competenze di natura amministrativa, fino
ad ora svolte da diversi Enti.
Lo Sportello Unico opererà garantendo:
• l'unicità del procedimento amministrativo in tema di
insediamenti produttivi;
• la nomina di un Responsabile della Struttura unica,
dello Sportello Unico e del procedimento unico;
• l'accessibilità e la trasparenza dell'intero procedimento, anche attraverso la creazione e la gestione di un insie-
me di archivi informatici e di servizi di informazione;
• il rispetto e, ove possibile, il miglioramento dei tempi
per la definizione e l'espletamento degli adempimenti
riguardanti la localizzazione di impianti produttivi di
beni e servizi, la loro realizzazione, ristrutturazione,
ampliamento, cessazione, riattivazione, e riconversione
dell'attività produttiva, nonché l'esecuzione di opere interne ai fabbricati adibiti all'uso d'impresa.
Lo Sportello Unico rappresenta un’importante occasione per orientare il modo di lavorare della Pubblica Amministrazione, dall’applicazione delle norme in quanto
tali ad un loro utilizzo finalizzato al raggiungimento di
risultati rilevanti per l’intera comunità, quali quello dello sviluppo economico ed occupazionale.
Il consolidamento del ruolo degli Sportelli Unici per
le Attività Produttive sul territorio nazionale ha avuto
una crescita disomogenea e con risultati differenti per
efficacia ed efficienza: uno sviluppo “a macchia di leopardo” che ha visto nascere anche casi di eccellenza sul
territorio. L’esperienza di questi anni ha evidenziato
che solo le reti Suap consentono in questo panorama variegato di “fare massa critica” nel complesso percorso di sburocratizzazione del sistema amministrativo che vincola le imprese, coinvolgendo
gli enti terzi in un cammino di emulazione virtuosa.
Per questo le reti fra Suap restano l’unica strada percorribile per garantire il consolidamento diffuso della
semplificazione a favore delle imprese.
Il livello amministrativo comunale rappresenta il primo
stadio del processo di semplificazione, ma mostra tutta
la sua fragilità appena i nodi normativi da sciogliere richiedono decisioni a livelli superiori di programmazione e di reingegnerizzazione legislativa.
Nella provincia di Vibo Valentia, sulla base del DPR n.
447/1998, come modificato dal DPR 440/2000, che ha
disciplinato il procedimento unico e la struttura competente per la sua gestione, la Prefettura di Vibo Valentia, l’Amministrazione provinciale, la Camera di Commercio, l’Assindustria e la Vibo Sviluppo SpA, nel 2003,
hanno ritenuto importante fornire ai Comuni interessati
il supporto di una struttura chiamata Sportello Unico
d’Area, con il compito
di coordinare il rapporto
tra i loro Sportelli Unici
e quelli comunali, e tutti
gli Enti autorizzatori che intervengono nel procedimento, individuando nella Vibo Sviluppo Spa l’Ente cui affidare detto ruolo di coordinamento.
L’ottimizzazione dei risultati avverrà introducendo modalità innovative nella gestione dei procedimenti, attraverso la loro completa automazione permettendo così
alle imprese di avere una interfaccia unica e semplificata verso la P.A.. Tali modalità determineranno la predisposizione del “back office” che rappresenterà un punto
fondamentale per la corretta organizzazione dello sportello unico nel rispetto dei termini indicati dal DPR n.
447/1998 per come modificato dal DPR 440/2000.
La determinazione di dette modalità è oggetto dell’attività della Vibo Sviluppo SpA che ha proceduto alla
predisposizione di un progetto, con la partnership del
Formez e di Met Sviluppo Srl in concorso con i Comuni
interessati e gli Enti autorizzatori, il quale prevede la
costituzione dello Sportello Unico d’Area con funzioni
di “servizio” nei confronti degli Sportelli Unici comunali, i quali manterranno la caratteristica, in ossequio alle
citate disposizioni di legge, del “front-office” cioè di interfaccia con le imprese e con l’utenza in generale.
Ciascuno degli Enti promotori, per quanto di propria
competenza, ha assunto impegni precisi.
L’Ufficio Territoriale del Governo, che ha tra i suoi compiti istituzionali anche quello di essere il promotore
dell’integrazione dell’attività delle diverse amministrazioni, con particolare riferimento alle Amministrazioni
periferiche dello Stato, si è impegnato a proseguire nell’attività fin qui svolta di stimolo alla collaborazione tra
gli Enti locali e le altre Amministrazioni Pubbliche coinvolte, ai fini dell’attivazione degli Sportelli Unici. Tale
ruolo è stato ulteriormente ribadito in sede di Conferenza Unificata, nell’ambito della quale si è espressamente
richiamato l’invito, formulato con Circolare del Ministero dell’Interno n. 59 del 22 maggio 1999, e rivolto alle
Prefetture stesse, ad assumere ogni iniziativa idonea a
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stimolare la collaborazione tra Enti locali ed altre amministrazioni coinvolte, ai fini dell’istituzione e dell’effettiva operatività degli Sportelli Unici. L’Amministrazione
Provinciale si è impegnata nell’attività di promozione,
di coordinamento e di sensibilizzazione presso i Comuni
della provincia per la costituzione dello Sportello Unico
d’Area attivando tutti gli strumenti ed i mezzi, anche
finanziari, previsti dalla normativa vigente. La Camera
di Commercio, Industria, Artigianato ed Agricoltura si
è impegnata a mettere a disposizione i servizi informativi di tipo normativo, economico e statistico, l’attività
di promozione e di marketing territoriale e la fruizione
della piattaforma telematica “SisterVibo” comprendente anche l’applicativo per gli Sportelli Unici.
L’Assindustria si è impegnata a fornire informazioni
consulenza ed assistenza in materia di localizzazione,
delocalizzazione e insediamento di nuove attività pro-
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duttive; promozione e sviluppo di sistemi industriali;
riposizionamento strategico del territorio; raccolta e
gestione dei dati relativi alle aree, alle filiere ed ai distretti industriali; analisi congiunturali, strutturali e di
competitività del territorio.
Vibo Sviluppo SpA, invese, si è impegnata a predisporre
il progetto di costituzione e messa in rete degli Sportelli
Unici ed a coordinare e gestire le attività dello Sportello
Unico in regime di “service” con gli Sportelli Unici singoli dei Comuni. Il progetto elaborato dalla Vibo Sviluppo prevede la costituzione di uno Sportello Unico per le
Attività Produttive in ogni Comune della provincia, a
regime collegati in rete con il coordinamento provinciale Suapa creato presso la Vibo Sviluppo SpA.
I pilastri del progetto di coordinamento provinciale
Suapa sono:
• Semplificazione amministrativa ed omogeneizzazio-
ne procedure;
• Sviluppo del sistema informativo;
• Attività Formative e di supporto ai Suap Comunali.
I principali compiti del coordinamento provinciale Suapa sono:
• Favorire l’istituzione ed il sostegno alla crescita dei
Suap comunali;
• Creazione e consolidamento di una rete tra i Suap;
• Coordinare le azioni dei Suap presenti sul territorio
provinciale:
• Ruolo forte di coordinamento dei Suap quale punto
di riferimento per assistenza ai Comuni su materie specialistiche;
• Nuova metodologia di lavoro basata sulla discussione
ed analisi delle problematiche in seno al Tavolo di coordinamento il quale predisporrà dei documenti di sintesi
che saranno diffusi a tutti i Suap comunali.
Le attività del coordinamento provinciale sono dirette
alla:
• gestione informatica delle informazioni e dei procedimenti;
• razionalizzazione e semplificazione amministrativa
dei singoli procedimenti;
• promozione delle opportunità economiche offerte dal
territorio.
Sono previste le seguenti aree di intervento:
Informatica - è stata realizzata una piattaforma informatica destinata alla gestione dello Sportello Unico, la
quale, oltre a mettere in rete i Comuni della provincia,
attraverso una facile utilizzazione risponde alle esigenze di legge in materia di informazione sugli adempimenti necessari per il rilascio delle varie autorizzazioni
amministrative e di controllo delle singole pratiche da
parte sia degli operatori che degli utenti;
Amministrativa - prevede la creazione di un centro di
coordinamento e controllo presso la Vibo Sviluppo Spa
capace di coordinare ed ottimizzare le funzioni dei diversi Enti coinvolti nell’iter autorizzatorio con il metodo
del “procedimento unico” cioè “unica domanda – unica
risposta”;
Promozione - prevede la capacità di promuovere le aree
disponibili attraverso una
politica di marketing territoriale che evidenzi le
opportunità offerte anche
dalle leggi di incentivazione a favore delle imprese.
Questo progetto diventerà operativo con la presentazione ufficiale, che avverrà presumibilmente nel mese
di febbraio, in cui verranno esposti sia il software applicativo che lo schema di articolazione dei rapporti tra
Coordinamento provinciale, Suap comunali, Enti terzi
ed Imprese. Il software, accessibile tramite rete internet,
prevede la possibilità per gli utenti di accedere a diverse
informazioni relative ai procedimenti autorizzativi, alla
modulistica, alle agevolazioni, ai referenti per i singoli
uffici della P.A. coinvolti, per aprire/modificare un’attività produttiva. Inoltre, detto software dà la possibilità
alle imprese che attivano una procedura autorizzativa
di verificare in tempo reale lo stato della propria pratica con il semplice accesso diretto dal proprio computer,
senza doversi recare ai vari uffici coinvolti dal procedimento autorizzativo. Come è facilmente intuibile il
progetto della Vibo Sviluppo sarà in progress, nel senso
che il livello di informatizzazione della P.A. in tema di
procedimento unico, avverrà per stati di avanzamento.
L’obiettivo, ambizioso e pionieristico, è quello di portare in tre anni all’informatizzazione completa del procedimento autorizzativo, escludendo la forma cartacea sostituita a favore di progetti digitali. La complessità dell’intera operazione è rappresentata dallo stato attuale
del livello di informatizzazione della P.A. sia in termini
strutturali (dotazione informatica, disponibilità di linea
ADSL …) che di risorse umane (conoscenza da parte degli operatori dei principali software applicativi) sia dalla vastità del territorio in termini di numero di Comuni
che dovranno essere coinvolti. Da questo primo step
di attività si passerà alla strutturazione sul territorio di
questi modelli operativi attraverso le convenzioni tra il
Coordinamento provinciale, i singoli Comuni e gli Enti
autorizzatori, con una operazione graduale che partirà
dal Comune capoluogo per estendersi a tutto il territorio provinciale.
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di Giacinto Namia
Michele
MORELLI
La vita di uno dei personaggi
più evocativi della storia italiana,
“primo martire del Risorgimento”.
«E
un eroe vibonese
ra Morelli di giusta statura, bruno di
volto, avea occhi e capelli nerissimi,
estrema magrezza, muscoli d’acciaio:
univa al rapido volo del pensiero i più
rapidi movimenti della persona, mostrando in ogni
atto, in ogni gesto, tutta la vivace petulanza della nobil
razza calabrese. Ignaro di scienze e lettere, il bollente
suo ingegno abbandonavasi agl’impeti d’indomita natura; ardito sino alla temerità, sprezzava i pericoli e si
compiaceva di essi; generoso, umano, leale, vivea onorato fra uguali, carissimo ai subordinati». Così scriveva
nel 1851 uno storico dei “Martiri della Libertà Italiana”
disegnando un ritratto di Michele Morelli simpatetico e
insieme ammirato. Lo storico, Giovanni La Cecilia, aveva conosciuto il Morelli e ne aveva condiviso certamente il progetto ideale e politico; il ritratto che ne dà trova
conferma, per tacere di quanto si legge in testimonianze
di amici e compagni di lotta politica, nel Foglio di sfratto
- ossia di espulsione - redatto dall’ Imperiale Regio Capitanato Circolare di Ragusa; Ragusa è la città della Dalmazia meridionale che faceva parte dell’impero austriaco,
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dove Morelli era fuggito nel luglio del 1821 in seguito al
fallimento dei moti napoletani del 1820-21.
Michele Morelli nacque a Monteleone (l’attuale Vibo
Valentia) il 12 gennaio 1792 da Giuseppe Maria Morelli,
dottore in utroque iure (cioè in diritto civile e in diritto
ecclesiastico), e da Maria Orsola Ceniti: una famiglia,
dunque, della borghesia intellettuale.
Frequentò molto probabilmente il Collegio monteleonese di Santo Spirito, retto allora dai Padri Basiliani,
l’antenato dell’attuale Liceo Classico. Era in atto allora
nella città una vivace controversia tra sostenitori della
famiglia Pignatelli alla quale era stata infeudata la città
fin dai primi del ‘500, e demanisti sostenitori dell’abolizione della feudalità. La controversia, che durava da
decenni, si concluse nel 1806 con la legge sull’eversione
della feudalità. Monteleone contava allora circa ottomila abitanti ed era un notevole centro agricolo e commerciale. Era attiva, inoltre, una discreta intellettualità che
seguiva il grande dibattito politico-culturale promosso
dall’Illuminismo e dalla Rivoluzione francese, mediato
e filtrato attraverso la fervida capitale del Regno borbo-
nico; significativa a tal proposito la presenza di aderenti
alla Massoneria e di giacobini, che nel 1799 innalzarono
nella città l’albero della libertà e tentarono di opporsi
alla marcia del cardinale Ruffo verso Napoli. Monteleone, dopo il fallimento della Rivoluzione napoletana del
1799, visse da vicino l’esperienza della lotta tra i “patrioti” giacobini e i sanfedisti del cardinale Ruffo, conclusasi con l’avvento nel Regno di Napoli dei napoleonidi Giuseppe Bonaparte (1806-1808) e Gioacchino Murat (1808-1815), quest’ultimo assai caro ai monteleonesi.
Nel 1806 la città fu eretta a capoluogo di provincia ed
ebbe come intendenti uomini di spiccata capacità politica e culturale: Francesco Saverio de Rogatis, Giuseppe
de Thomasis, il grande storico Pietro Colletta e Giacinto
Martucci.
In questo clima di particolare fervore, maturò la decisione di Michele Morelli di abbracciare la carriera militare. Si arruolò a sedici anni a Napoli come volontario nella Compagnia dei Veliti a cavallo, detti di Clary
dal nome del comandante Mario Clary; la Compagnia
faceva parte dell’esercito murattiano; altri giovani calabresi, come i fratelli Florestano e Guglielmo Pepe di
Squillace, che avrebbero avuto molta parte nei moti carbonari del 1820, avevano scelto anch’essi la carriera militare. Morelli conseguì il grado di brigadiere nel 1809
e di maresciallo di alloggio nel 1811. Prese parte con le
truppe napoletane alla campagna di Napoleone contro
la Russia nel 1812; dopo la battaglia di Konigsberg fu
nominato sottotenente per meriti di guerra; partecipò
successivamente alla battaglia di Osmiana in Polonia.
Con la battaglia di Lipsia dell’ottobre 1813, vinta dalla
coalizione antinapoleonica, il sistema napoleonico entrò
in crisi. Murat tentò disperatamente, in due successive
campagne del 1814 e del 1815, di conservare e ampliare
il Regno di Napoli prima accordandosi con gli Austriaci
e poi combattendo contro di loro.
Con la fucilazione a Pizzo il 13 ottobre 1815, il sogno
murattiano ebbe miseramente fine e con esso anche il
sogno di tanti patrioti meridionali, e non solo meridionali, che si erano illusi che Gioacchino potesse costituire un Regno d’Italia. Michele Morelli partecipò alle
campagne murattiane distinguendosi per il suo valore,
tanto che un suo compagno d’armi, Domenico Badolati, scrisse: «Nell’ultima campagna contro i Tedeschi
[Michele Morelli] ha dato pruove di sommo coraggio, e
particolarmente nell’attacco di Prato e sotto le mura di
Fiorenza, a Tolentino, a Loreto, a Reganate e da per tutto
ove combatteva Morelli era vittoria».
Sulla base del nuovo assetto dato all’Italia al Congresso
di Vienna (1814-1815), fu restaurato sul trono del Regno di Napoli, ora denominato Regno delle Due Sicilie,
il re borbone Ferdinando IV col nome di Ferdinando I.
Continuò tuttavia la permanenza di Morelli nella vita
militare, ma non ne conosciamo le motivazioni; in ogni
caso, negli anni 1816-1818, dopo la fine dell’avventura murattiana, egli approfondì i legami con le società
segrete. Abbiamo già accennato alla vivace presenza a
Monteleone della Massoneria negli ultimi anni del ‘700;
da qualche anno aveva cominciato a diffondersi in tutto
il Regno di Napoli e anche in Calabria la Carboneria, e
le due Società spesso condividevano gli adepti. Particolarmente attiva era la Massoneria nell’aristocrazia e negli alti gradi dell’esercito, mentre la Carboneria trovava
i suoi affiliati soprattutto nella borghesia e negli strati
popolari. Inoltre la prima si fondava su una più vasta e
solida base filosofica, la seconda mostrava una più specifica e pratica intenzionalità politica.
All’interno della Carboneria, poi, era possibile distinguere un’ala più radicale che mirava all’abbattimento
della tirannia politica e del trono del re-tiranno; e un ala
moderata che perseguiva il rinnovamento delle istituzioni con l’instaurazione della monarchia costituzionale. Le due anime della Carboneria furono entrambe presenti e a volte in modo conflittuale nei moti napoletani
del 1820.
Nel decennio francese erano maturate, sopratutto nel
campo militare idee e progetti di rinnovamento politico
ai quali anche Morelli non rimase insensibile. Quando
il 7 marzo del 1820 il re di Spagna Ferdinando VII fu
costretto dalle truppe rivoluzionarie guidate dai due colonnelli Riego e Quiroga a concedere la Costituzione, il
suo gesto ebbe ripercussioni pressoché immediate nel
Regno delle Due Sicilie: la difficile congiuntura economica e le idealità perseguite nelle società segrete por-
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tarono allo scoperto i fermenti rivoluzionari. In Campania i carbonari salernitani invitarono il calabrese (di
Squillace) Guglielmo Pepe a prendere l’iniziativa della
rivolta. Pepe inizialmente tergiversò, ma ruppe gli indugi quando il 1° luglio del 1820 i due sottufficiali Michele
Morelli e Giuseppe Silvati, ai quali si unì un prete carbonaro, don Luigi Minichini, insorsero e marciarono con il
loro squadrone di cavalleria. Un cronista dei moti, Biagio Gamboa, ci descrive così la figura di Morelli tra gli
altri soldati: «Tra essi distinguevasi il giovane Morelli,
calabrese di nobile spirito e di straordinario coraggio».
Ma ben presto scoppiò un dissidio tra Morelli e Minichini, che rifletteva il più vasto conflitto fra le due anime della Carboneria alle quali si è accennato, nel quale
l’elemento murattiano svolgeva un’utile funzione di
freno rispetto alle tendenze di un giacobinismo intransigente. Morelli era decisamente orientato insieme a Pepe
verso la prima prospettiva; Minichini propendeva con
altrettanta decisione per la seconda.
Quando il re Ferdinando, il 7 luglio del 1820, concesse
furbescamente la Costituzione attraverso l’escamotage
della nomina a vicario del figlio Francesco, il quale ebbe
appunto l’incarico di proclamarla ufficialmente, le forze moderate della rivoluzione potevano sentirsi sostanzialmente appagate. È significativo dell’atteggiamento
ideale e politico di Morelli quanto egli dichiarò nel corso
della cerimonia del giuramento in seguito all’ingresso
trionfale delle sue truppe ad Avellino, come riferisce lo
storico Pietro Colletta: «Nella cerimonia del giuramento
il Morelli dichiarò non essere sediziose le mosse, rimaner integri lo Stato, la famiglia regnante, gli ordini».
Morelli partecipò alla successiva campagna di Sicilia
(settembre-dicembre 1820), dove era scoppiata una rivolta a carattere accentuatamente sociale, ancora con
uno squadrone di cavalleria che faceva parte del corpo
di spedizione comandato dal generale Florestano Pepe,
fratello di Guglielmo. La rivolta fu sedata in un primo
momento dal generale con un compromesso con gli insorti; ma l’accordo non fu accolto dal governo costituzionale centrale che sostituì Pepe con Colletta. Morelli si comportò egregiamente nella campagna di Sicilia
meritandosi l’elogio del generale Pepe che scrisse in un
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suo rapporto: «Lo squadrone comandato dal tenente
Morelli ha giustificato in tutte le azioni lo spirito che lo
distingue».
Intanto, nel mese di ottobre, il decurionato di Monteleone si era espresso a favore del conferimento a Morelli
da parte del governo centrale di un riconoscimento dei
suoi meriti di combattente, e nell’adunanza parlamentare del 27 ottobre del 1820 si diede lettura di «un rapporto dell’Intendente di Catanzaro, che provoca la considerazione del Parlamento su di un atto decurionale di
Monteleone, per coniarsi tre medaglie di oro ed erigersi
una colonna di marmo in attestato di onore, che la Patria destina al benemerito Morelli»; il rapporto fu rimesso nelle mani della Commissione dei premi. Prendendo
spunto dalla richiesta del decurionato di Monteleone, il
governo insignì Morelli, al suo ritorno dalla Sicilia, della
decorazione di Cavaliere dell’ordine di San Ferdinando
con decreto reale del 10 novembre 1820.
Intanto si andava consolidando a Napoli un Parlamento
a maggioranza nettamente moderata. Ma l’evoluzione
in senso costituzionale in Europa e in Italia era avversata dall’Austria che decise di intervenire.
Il potente ministro austriaco Metternich si rifiutò di ricevere il nuovo ambasciatore napoletano che aveva giurato fedeltà alla Costituzione; fece ammassare truppe in
Lombardia e nel Veneto e convocò un congresso a Troppau (ottobre-dicembre 1820) con l’obiettivo di ottenere
il consenso delle altre potenze europee per un intervento militare a Napoli e l’abrogazione della Costituzione.
Per un’attuazione pratica delle decisioni del congresso
di Troppau fu convocato un apposito nuovo congresso
a Lubiana, al quale fu invitato a partecipare anche Ferdinando I.
Questi, ottenuta l’autorizzazione del Parlamento napoletano dopo essersi impegnato a difendere al Costituzione, si recò a Lubiana (gennaio 1821). Una volta giuntovi,
con un cambiamento di fronte e uno scandaloso spergiuro, reclamò la restaurazione dei propri diritti sovrani
e diede via libera all’intervento militare dell’Austria nel
Regno delle Due Sicilie.
Il tradinento del re portò a una forte resistenza da parte
del Parlamento napoletano in difesa dell’assetto costitu-
zionale del Regno e soprattutto determinò l’accentuarsi
della linea dura dei carbonari nei confronti della maggioranza murattiana. I parlamentari respinsero qualsiasi proposta di ripiegare su una costituzione più moderata per un estremo tentativo di mediare nella difficile
situazione, e decisero di difendere militarmente il Regno contro le truppe austriache comandate dal generale
Frimont.
Anche Morelli condivise questa volontà e azione di resistenza, e organizzò a Nola, nel febbraio del 1821, uno
squadrone detto Squadrone sacro, cercando di coinvolgere altre forze per costituire un corpo franco. La rivolta
contro il nemico ebbe luogo a Monteforte, dove Morelli
si batté valorosamente.
Ma ogni resistenza fu vana; le truppe austriache entrarono a Napoli il 24 marzo 1821. Poco dopo iniziò il
processo di restaurazione e di repressione da parte del
nuovo governo di ogni forma di libertà, e due mesi più
tardi, il 15 maggio, re Ferdinando poté fare il suo rientro a Napoli accolto trionfalmente dalla folla. Particolarmente feroce fu l’opera persecutoria del principe di
Canosa, ministro dell’Interno del Regno, nei confronti
di quanti erano stati coinvolti nel precedente regime costituzionale.
Ne seguì lo scioglimento delle varie formazioni militari
e per alcuni dei capi carbonari anche l’esilio. Morelli e
Silvati tentarono di raggiungere la Puglia e di imbarcarsi di là verso la penisola balcanica per trovarvi asilo.
Trovarono rifugio nei pressi di Ragusa, come si è già ricordato, in territorio soggetto all’Austria; ma furono arrestati ed espulsi. Tornati in Italia sotto scorta in stato di
arresto furono trasferiti prima a Foggia e poi a Napoli,
dove furono essere processati da una Corte di Giustizia
speciale con l’accusa di aver partecipato alla rivolta di
Monteforte.
Il processo durò a lungo e si concluse con la condanna a
morte dei due ufficiali: del processo sono stati recuperati
gli atti, e sono particolarmente interessanti i “constituti”,
cioè gli interrogatori dei due ufficiali per la ricostruzione dei contenuti e delle fasi dell’azione politico-militare
e per il percorso e la dinamica della fuga dall’Italia. Vi si
scorge tra le righe anche l’indole sostanzialmente mite
di Morelli e la moderazione sempre dimostrata nell’impostazione ideologica e nell’impegno politico.
La condanna a morte fu fortemente voluta dal re per
dare un esempio del modo in cui venivano trattati i
promotori della rivoluzione e per far capire che in avvenire, di fronte a situazioni simili, egli non si sarebbe
comportato diversamente. Morelli e Silvati furono condotti alla ghigliottina e decapitati (non impiccati, come
generalmente si crede) a Napoli, in piazza del Mercato
fuori Porta Capuana, il 12 settembre 1822. La notte antecedente Morelli aveva respinto con fermezza, contrariamente a Silvati, i conforti religiosi, in coerenza con
la sua fede massonica. Poco meno di un anno prima, in
data 4 dicembre 1821, aveva scritto dal carcere al padre
una lettera che giova rileggere perché ci offre un sintetico ma efficacissimo autoritratto dell’uomo, del soldato
e del patriota e insieme ce ne consegna il testamento
spirituale:
«[…] La mia causa sento che si farà ai principj dell’anno nuovo. Spero che la Clemenza di S. M. voglia esser
quella di salvarmi di una punizione severa, attesa la
mia illibata condotta che ho tenuto nelle passate vicende senza essermi profittato di niente come si rileva nelle
attuali circostanze, che senza un soccorso della famiglia,
mi saria perito dalla fame in queste prigioni. In tanto
state di buon animo, ché tutti credono lo stesso perché
io non dovessi esser punito aspramente, mentre non si
puol [sic] negare che ho contribuito la maggior parte al
buon ordine con la mia moderazione in una rivoluzione generale e replico che io sono stato di freno ai veri
tumultuosi senza che fosse accaduto alcun disordine
proporzionatamente a tutte le rivoluzioni. Infine, caro
Sig. Padre, il vostro figlio non ha che rimproverarsi, e
ora conosco quanta fermezza mi ha dato l’Ente Supremo a resistere a tante passioni che mi si presentarono
nelli 9 mesi, perché miserabile ero prima e più lo sono al
presente, e vi assicuro che l’unico sollievo che mi scema
i miei tanti dispiaceri è di esser stato così onesto, ringraziandovi sempre di tali prinicipj d’educazione che
mi avete ispirato, e chiedendovi la S. B., anche alla Sig.
ra Madre, con abbracciare a tutta la famiglia vi bacio la
mano. Il vostro aff.mo figlio Michele».
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Maurizio Carnevali è lo scultore che nel 1991 ha realizzato la statua di Michele Morelli situata nel centro storico di Vibo Valentia. Carnevali nasce a Villa San Giovanni nel 1949, compie il suo primo ciclo di studi presso il Liceo Artistico “Mattia Preti” di Reggio Calabria,
per poi frequentare l’Accademia di Belle Arti di Brera. Intrattiene rapporti significativi oltre che con i suoi diretti maestri accademici,
Cantatore e Messina, anche con Luciano Minguzzi. Durante la sua permanenza in Lombardia frequenta Renato Guttuso nella sua villastudio di Velate. Dal 1978 si occupa anche di scultura. Nel 1986 espone una mostra di dipinti “La donna di Calabria” alla Galleria S.
Karl di Vienna, riscuotendo un notevole successo di critica e di pubblico. Fonda la Stamperia del Sileno, officina calcografica che darà
alla luce numerosissime edizioni d’arte. La sua attività di scultore si esprime in tante opere monumentali sia sacre che civili, in marmo
o in bronzo. Tra le più note, oltre al monumento a Morelli a Vibo Valentia, quelli a Leonida Repaci e Francesco Antonio Cardone a Palmi, il bassorilievo sulla sepoltura di Alarico presso il Credito Cooperativo di Cosenza, il Cristo Orante di Fuscaldo, la Madonna degli
Emigrati a Toronto, il San Rocco ligneo a Sidney. Dal 1993 riprende intensamente la mai abbandonata attività pittorica (nella foto sotto,
il quadro intitolato Bocca di Rosa), realizzando i grandi cicli dedicati a Frate Francesco di Paola, Petrushka, Omaggio a Fabrizio De
Andrè (mostra inaugurata a Palazzo San Giorgio di Genova per ricordare il grande cantautore nel secondo anniversario della morte),
Labirinthos, “L’uomo che ride” (omaggio a Victor Hugo), fino alle più recenti “Storie di Castelli, Principesse e Amori”, Omaggio a Pablo
Neruda e, da ultimo, Omaggio a Ruggiero Leoncavallo.
17 Luglio 1991
La statua di Michele Morelli
presente a Vibo Valentia,
realizzata dallo scultore
Maurizio Carnevali.
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È difficile, per me, esprimere adeguatamente quanta gratificazione ho
ricevuto dall’incarico di realizzare questa opera, differente da altri per
alcune valide ragioni: la prima nasce da una riflessione sull’uomo, quello
di oggi, con la sua esistenza fatta di falso benessere ed autentica ingordigia, peculiarità queste, che se usate come diaframma per osservare la
storia, quella lontana da noi, magari poco più di cento anni fa, ci dovrà
apparire almeno strano che di quelle esperienze, di quei martiri, di quei
grandi ideali tanto poco siamo riusciti a conservare. Oggi, commemorare
Michele Morelli è un modo per affermare con forza quanto sia ancora
importante avere coraggio, rifiutare l’ingiustizia per sé e per gli altri,
lottare insieme a chi ha il diritto di non avere fame.
Per quattro mesi – tanto è durato il mio lavoro – ho avuto ben presente
questi sentimenti, spesso ho avuto la sensazione di trovarmi a confronto,
nel laboratorio, con uomini di gesso che chiedevano di divenire vitali per
compiere, ancora una volta, quel meraviglioso sforzo che si chiama solidarietà umana.
Anche la scelta di scolpire nel gesso ha una ragione che va al di là degli
aspetti tecnici. Infatti, la sofferenza che esprime una superficie tagliata
dai ferri non è paragonabile, in termini di drammaticità, alla morbidezza di un modellato ottenuto nella creta.
Il Pathos di corpi sopravvissuti alla battaglia e la volontà di portare
ancora in alto la “bandiera” si configurano nel ritmo ascensionale dei
personaggi, che a partire dalla figura posta più in basso, si fa sempre più
aperto e più deciso verso l’apice. La bandiera è in questo caso l’artificio
plastico attraverso il quale ho voluto esprimere il senso dello sforzo unanime di uomini che accomunati dallo stesso ideale riescono a costruire la
dignità della stessa specie. Alle spalle del gruppo, quasi un monito: la
nostra donna calabrese, tanto spesso madre di figli uccisi da una assurda
quanto odiosa guerra mai dichiarata; accanto, una creatura che piange
nella sua nudità disperata forse per la fame, forse per la paura.
Non ho voluto indugiare in eccessive descrizioni anatomiche e di particolari convinto che l’essenzialità formale conferisca all’opera maggiore
efficacia.
L’opera è stata realizzata direttamente in acciaio e gesso d’alabastro, fusa
in bronzo cavo a cera persa. Ha un peso di circa cinque tonnellate ed una
altezza di metri 3, 40.
Ringrazio gli Uomini che hanno reso possibile la realizzazione di tale
monumento e voglio augurarmi che la profusione del mio impegno sia
stata all’altezza della Nobiltà del Loro intento.
Maurizio Carnevali
tratto da “Michele Morelli - Primo martire del risorgimento italiano”
Edizioni Mapograf 1992
“Bocca di Rosa”
Frammenti di storia secolare
negli
di Vibo Valentia
Tra le 180 opere in mostra a Cosenza
fino al 30 aprile 2007
molte provengono dal Vibonese,
a cominciare dallo splendido Turibolo
cesellato alla fine del XV secolo,
immagine simbolo
dell’esposizione ospitata
a Palazzo Arnone.
di Francesco Piro
A
lcune erano già note al pubblico attento dei
cultori di arte sacra, altre erano state gelosamente custodite negli armadi delle sacrestie,
e per questo inedite: sono le preziose opere
in argento messe saggiamente in mostra a Palazzo Arnone di Cosenza, a testimonianza di quel patrimonio artistico, della provincia di Vibo Valentia e della Calabria
tutta, permeato di fede e di misticismo.
È la luce promanata dall’argento a guidare il percorso
di storia tracciato dalla sacralità delle opere esposte; argento finemente modellato dai maestri meridionali più
prestigiosi, tra il XV ed il XIX secolo, per dare corpo e
anima ai simboli del culto religioso calabrese.
Centottanta le opere in mostra, enigmatiche e affascinanti. Frammenti speciali di storia secolare che narrano
la stratificata identità culturale della regione.
Croci e ostensori, calici e pissidi, reliquari e busti, turiboli e ferule, cartegloria e tronetti: capolavori argentei di
cui sono custodi le diocesi della Calabria.
Ed in questo mare magnum d’arte sacra Vibo Valentia
emerge con i suoi splendidi tesori museali ed ecclesiastici. È patrimonio della provincia vibonese il logo della
mostra “Argenti di Calabria”, lo straordinario Turibolo
in argento sbalzato, inciso e cesellato alla fine del secolo
XV proveniente dalla Cattedrale di Mileto, opera di argentieri meridionali.
Il Turibolo è un contenitore di metallo a forma di coppa su piede, che contiene un piccolo braciere con carboni ardenti, su cui si dispongono i grani d’incenso. È
chiuso da un coperchio intagliato a giorno per attivare
la combustione e liberare il fumo profumato. Stile rigorosamente gotico che richiama le coeve costruzioni architettoniche, con torri, guglie e pinnacoli.
Nessun punzone è impresso nell’opera per risalire puntualmente alla provenienza, ma per analogia con altri
esemplari coevi, l’ambito elettivo sembra essere napoletano.
Dal Museo della Cattedrale di Tropea, invece, proviene
la Statua di Santa Domenica in argento sbalzato, inciso e
cesellato, con cornici e figure in bronzo dorato, opera di
Gaetano e Nicola Avellino, maestri napoletani.
L’agiografia narra che la Santa, vergine romana che può
identificarsi con la martire greca Ciriaca, in seguito la-
tinizzata in Domenica, durante le persecuzioni di Diocleziano fu decapitata ed il suo corpo trasportato dagli
angeli a Tropea, dove venne eletta protettrice e dove è
venerata come martire locale. Di particolare pregio il
diadema posto al centro della fronte della Santa, che lascia sottintendere le proprie origini patrizie. Nella mano
sinistra regge un libro, la croce e la palma, simboli del
suo martirio. In basso a sinistra è riprodotta in miniatuImmagini tratte dal catalogo della mostra “Argenti di Calabria”
Nella foto grande, il Turibolo (Cattedrale di Mileto)
Sopra, Santa Domenica (Museo della Cattedrale di Tropea)
ra la città di Tropea, mentre a destra, due piccoli devoti
lupi in bronzo dorato, alludenti a un episodio della sua
vita, quando gettata ad essi in pasto, ne uscì indenne.
A definire l’humus culturale ed artistico della Chiesa
calabrese in età aragonese contribuisce il Riccio di bacolo pastorale – Cristo Consacrante un vescovo – della
seconda metà del XV secolo, proveniente dalla Cattedrale di Tropea. Nel nodo, che riproduce una struttura
architettonica esagonale con cupoletta dorata e decorata a scaglie, si aprono nicchie e archetti all’interno delle
quali si delineano microsculture raffiguranti la vergine
con il Bambino, i Santi Pietro e Paolo, un vescovo, Bartolomeo e Giacomo.
Dal nodo si diparte il riccio sottolineato dal rincorrersi
delle foglie d’acanto, sulle cui lamine argentee si disegna l’ordinato svolgersi di girali e foglie, a cinque, quattro e tre petali. Al centro del manufatto il Cristo in trono benedicente un vescovo, probabilmente Sigismondo
Pappacoda, la cui prelatura intercorre tra gli anni 1499 e
1536. Le vicende critiche del bacolo di Tropea si sono da
sempre intrecciate con quelle del più noto esemplare di
Reggio Calabria del quale «non è certamente una fiacca
copia, ma molto più probabilmente la ripetizione di un
comune modello di bottega» (Lipinsky 1934).
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Faceva parte del corredo dello splendido busto argenteo
di San Leoluca, patrono di Monteleone, oggi Vibo Valentia, la preziosa Mitria commissionata all’argentiere
napoletano Mattia Condursi dai cittadini di Monteleone nel 1854, come ex voto a San Leoluca, patrono della
città, per averli salvati dal colera.
La Mitria, oggi custodita nel Museo d’Arte Sacra di Vibo
Valentia, è in argento sbalzato e cesellato, ed è composta
da due lamine sagomate, ornate con esuberanti motivi
vegetali e ghirlande, alcune delle quali ulteriormente
sottolineate dalla loro doratura. A completare la ricca
decorazione, l’incastonatura di gemme ornamentali di
vario colore. La Mitria, assieme alla base processionale,
scampò al furto del busto di San Leoluca, trafugato nella notte del 17 gennaio del 1975.
Altro notevole esempio dell’abilità dei maestri argentieri di scuola napoletana è l’Ostensorio raggiato con
nodo figurato - San Tommaso d’Aquino - custodito nella Chiesa di San Domenico di Soriano Calabro.
Realizzato con tecnica tipica del tardo barocco napoleIn altro, Navicella portaincenso (Cattedrale di Mileto)
A destra, Riccio di bacolo pastorale Cristo Consacrante un Vescovo
(Cattedrale di Tropea)
tano, è finemente lavorato e decorato con pietre ornamentali. La base circolare, sostenuta da quattro piedini,
è arricchita dalle due splendide statuine di angeli seduti
alla destra e alla sinistra del corpo centrale che si erge
verso il nodo. Gli angeli reggono in mano i simboli della
passione di Cristo: la colonna ed i flagelli, quello a sinistra; la Veronica, con la definizione a rilievo del volto di
Cristo incoronato dalle spine, quello a destra. Il nodo,
costituito da un globo, sul quale sono incise a graffio le
rappresentazioni del sole, della luna, delle stelle e dello
zodiaco, è sorretto da testine di cherubini, ai lati delle
quali partono due grappoli di melograni, simboli dell’Eucaristia. Sul nodo si poggia la figura di San Tommaso d’Aquino. L’Ostensorio si conclude con la teca a forma di sole e alla sua sommità spighe di grano fermate
da un nastro.
Tra le altre opere esposte, appartenenti al patrimonio di
arte sacra della provincia di Vibo Valentia, spiccano: i
busti di San Nicola e di San Fortunato di Mileto, la Croce astile di Pizzoni, le Pissidi di Serra San Bruno, le Serie
di cartegloria di Nicotera e la navicella porta incenso di
Mileto.
Attraverso questa mostra, dunque, organizzata dalla
Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico ed
Etnoantropologico della Calabria, e magistralmente
curata dal Soprintendente Salvatore Abita, si dà conto
delle molte e differenti declinazioni di quest’arte, a torto ritenuta “minore”, a tutt’oggi ancora poco studiata, e
tendente ad essere confinata nell’ambito degli interessi
specialistici. Di sicuro la mostra “Argenti di Calabria”
ha realizzato una impresa di grande valore scientifico e
culturale fino ad ora mai tentata: raccogliere in un’unica sede i manufatti più preziosi e significativi del patrimonio degli argenti della provincia di Vibo Valentia e
dell’intera regione. Una prima assoluta, un debutto brillantemente riuscito, a cui si spera seguano nuove scoperte di scintillanti tesori sui quali puntare i riflettori.
Una mostra che accende la luce negli occhi dei visitatori;
quella luce riflessa dagli argenti di una Calabria traboccante di fede.
A destra, Mitria di San Leoluca (Museo d’Arte Sacra di Vibo Valentia)
A sinistra, Ostensorio raggiato con nodo figurato San Tommaso d’Aquino (Chiesa di San Domenico di Soriano Calabro).
S
e si ha la fortuna di avere un proprio universo,
allora, quell’universo suggerisce il linguaggio
attraverso cui esprimerlo.
Per Albino Lorenzo quel linguaggio e quell’universo sono Tropea: il suo mondo e la sua genealogia. Un
mondo dove rifugiarsi e ricrearsi, navigare o perdersi.
Il fare dei contadini possenti, l’avanzare a passo pesante
delle vaste mucche, le macchie degli sbattimenti solari:
chiazze di terra e luce di «un pittore-pittore, autentico,
innocente, istintivo, uno che dice pane al pane, che rimane pur sempre l’origine e la fine della pittura» (Michele Cascella, 1976).
Albino Lorenzo nasce a Tropea il 19 gennaio del 1922.
Apprende le prime nozioni di disegno dal padre, Saverio, suo grande maestro. Fino all’età di 18 anni frequenta l’Istituto magistrale di Palmi per poi essere assunto
all’Ufficio imposte di Tropea.
“Scena agreste” - 1988
“Lavandaie” 1989
di Michele Lico
Albino
LORENZO
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Viaggio nel diario
della memoria
gennaio / febbraio
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Dal 1957 al 1960 insegna l’arte del disegno presso il Seminario vescovile e dal 1992 è docente di pittura presso
l’Accademia “Fidia” di Vibo Valentia.
Sposato con Luigia Capua, diventa padre di ben 18 figli.
È dopo i 35 anni che si dedica alla pittura in maniera
costante e compiuta.
Nelle pennellate sfocate dal mosso lirico della calura
mediterranea si accende il suo temperamento, che aderisce totalmente ai valori della civiltà che la sua pittura
racchiude.
Pennellate di luce accecante del sole e della salsedine
della sua Tropea, sanguigna e nobile, ormai tòpos turistico per eccellenza della Calabria. In quel fortino, tra
l’azzurro del mare ed il verde che lo circonda, Lorenzo
riesce a cogliere i resti di una civiltà che non c’è più,
e in un caleidoscopio di storie e di figure, cariche di
“Mercato” 1980
sentimenti e passato, vive con entusiasmo nuovo il suo
idillio con la memoria ed i suoi luoghi. E il filtro della
memoria ch’egli attiva è una animazione di sequenze,
di ombre, che di continuo ripassa, come un album di famiglia. «Dopo tanto girar di pagine, l’una uguale all’altra, nel librone del tempo, ora il battente della rilegatura
sembra spiombare sull’ultima, trattenuto dal pittore che
non rinuncia a disegnarvi le sue opere» (Maurizio Calvesi, 1991).
Sganciata dallo spessore intellettualistico la sua arte pittorica, poco incline alle mode, modesta, lontana da ogni
clamore, ma capace di trasmettere inequivocabilmente
la sua instancabile e caparbia ricerca della memoria.
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I contadini al mercato – una delle scene più ricorrenti
della sua produzione – par quasi che aprano un dialogo
tra il pittore ed il suo interlocutore. In quelle figure solo
accennate un dinamismo che sa di teatralità. In quei
tratti sfumati la vibrazione della luce rende più vivo il
contrasto delle masse.
E se il messaggio di Lorenzo nasce dal rapporto viscerale tra il pittore e la propria terra, «non geografica è la
sua pittura, ma ben più in là della Calabria approda, pur
da essa partendo e senza essa mai tradire» (Lucio Barbera). Perché la pittura di Lorenzo esprime il disagio, il
disappunto per una semplicità perduta, per dei valori
smarriti; annota, denuncia, registra, riporta alla luce la
precarietà dell’uomo, il bisogno dei ricordi, dell’amore
che nutre la vita, di quegli attimi di occhieggiamento
che si concludono in un ciclo alimentato da suggestioni, amori e patimenti, dall’attesa continua, dal vivere
quotidiano. Una pittura di forte impatto affidata tutta
al colore, all’impasto cromatico della materia, alla sfrangiatura della pennellata.
Con una tavolozza-mortaio, in cui sembra pestare l’aria
e il sole, la polvere e il fango, Lorenzo dipinge asinelli
caricati di soma e bovari ingombranti, uomini carichi di
un possente destino di vita, una natura forte, selvaggia
e agreste.
Fotogrammi ridotti all’essenziale nel viaggio tra appa-
rizione e ricordo, i giorni captati da Lorenzo: flash attimali infilzati dalla memoria. Nelle storture delle sue
forme l’”espressionismo” di Lorenzo: lo storpiarsi e
contrarsi di molte figure, che accennano all’immagine
di una umanità caricata dal peso dell’esistenza, ma pur
nervosamente reattiva; questo espressivo continuo dar
di spalle di uomini e donne, davanti ai panni stesi al
sole o ad una fontana che scorre, su una bicicletta o nel
raccogliere le olive nei campi.
Espressionismo? Forse è meglio parlare di «dinamismo
irrequieto - dice Maurizio Calvesi nel 1991 - inconcludibile ed inconcluso, nel friggere perpetuo di uno stimolo
verso il movimento senza arresti né chiusura; con ac-
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centi che mimando l’apparente goffaggine del povero
ne esaltano l’autentica antica sapienza naturale di armonizzarsi con i movimenti della natura: dai tagli delle rocce, al rattorto spiegarsi degli olivi, al flettersi di
un ramo nel vento, al tendersi del mare, o al sobbalzare
di una groppa d’asinello». I ritratti, altro genere in cui
Lorenzo esprime pienamente la sua arte: dal soggetto
all’occhio, dall’occhio al dipinto, il suo dinamismo creativo, espressione o lettura del sentimento dell’artista.
Lorenzo si schermiva dinanzi ai tanti apprezzamenti rivoltigli da artisti e critici di notoria fama. Diceva spesso:
«Io sono solo me stesso. Per me la pittura è la vita. È uno
stato d’animo». E quando gli domandavano cosa fosse per lui la pittura ribadiva: «La pittura è l’unica cosa
sentitamente viva della mia vita, un ideale tangibile,
un bisogno quasi fisico. Ho fatto del colore un castigo
quotidiano ed una pena d’amore. Esiste in Calabria un
mondo di gente con le mani ruvide, pieno di speranze, spesso tradite, deluse, eppure mai sopite; di uomini e donne che sanno cos’è l’attesa sotto il sole, vissuta
senza dire parola o bestemmia, ma con la voce pronta a
ringraziare per quel poco che è loro concesso, la fatica,
la speranza e il sole. Noi, con molto distacco riteniamo
questo mondo contadino tramontato, superato. Ecco,
questo mondo ripreso per frammenti che appartengono
all’esistente, è il mio mondo, è la mia pittura».
A sinistra e sopra, ritratti di donna.
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