Atti 15 e il Concilio di Gerusalemme È stato deciso che la Torah non era per i gentili? "Anche gli Apostoli hanno ammesso che la Torah era un peso che nessuno poteva portare!". Questa dichiarazione rappresenta un sentimento comune riguardo la Torah basato sull’interpretazione di Atti 15 e il Concilio di Gerusalemme. Ma esaminiamo bene la decisione del concilio apostolico riunitosi a Gerusalemme. Qual era l’argomento trattato? Cosa ha spinto il Concilio a riunirsi? Come dovrebbe essere interpretata la decisione degli apostoli? Cosa ci dice tutto questo riguardo il posto che occupava la Torah tra i primi discepoli di Yeshua? La questione centrale del Concilio di Gerusalemme I versi iniziali di Atti 15 ci danno un quadro chiaro del problema per cui il Concilio di Gerusalemme si è riunito: Or alcuni, discesi dalla Giudea, insegnavano ai fratelli: Se voi non siete circoncisi secondo il rito di Mosè, non potete esser salvati. Ed essendo nata una non piccola dissensione e controversia fra Paolo e Barnaba, e costoro, fu deciso che Paolo, Barnaba e alcuni altri dei fratelli salissero a Gerusalemme agli apostoli ed anziani per trattar questa questione.1 Il "problema" era se i non ebrei potevano essere salvati. Detto in un altro modo, come può un gentile entrare nel patto d’Israele e condividere le benedizioni del patto? La convinzione prevalente del giudaismo ai tempi di Paolo era che gli ebrei avevano un posto nel mondo a venire perché Dio aveva fatto un patto con Israele e non con le altre nazioni: Tutto Israele ha posto nel mondo a venire.2 Questo importante assioma teologico mostra che dal punto di vista dei rabbini, un gentile poteva avere posto nel mondo a venire solo se diventava giudeo. Questo, i rabbini hanno insegnato, era possibile diventando proselita, un rito basato esclusivamente sulle loro regole ma senza alcun fondamento nella Torah. Infatti, la frase aggiunta, "secondo il rito di Mosè"3 nel verso di apertura di Atti 15, sottolinea il fatto che il disaccordo tra Paolo e Barnaba non era riguardo quello che la Torah scritta prescrive per i Gentili, ma se gli insegnamenti aggiuntivi dei Saggi erano o no vincolanti per loro. Così, quando quelli dalla Giudea insegnavano: "se voi non siete circoncisi (sottoposti al rituale di un proselita) secondo il rito (usanza) di Mosè non potete esser salvati", stavano semplicemente applicando la teologia del loro tempo. Questo è quello di cui il Concilio si stava occupando – tutto Israele ha un posto nel mondo a venire, e i Gentili, pertanto, devono sottoporsi al rituale del proselita in accordo con la teologia prevalente per poter essere sicuri della vita eterna, cioè, essere salvati? Da nessuna parte nella parola di Dio si parla di una cerimonia per i Gentili che diventano proseliti. In realtà, la Torah è piuttosto specifica che il residente non-ebreo deve essere ricevuto proprio come un non-ebreo che ha deciso di condividere la propria vita con Israele e con il suo Dio. Se Dio si aspettava che un credente gentile diventasse un ebreo attraverso un rituale di conversione, non ci sarebbe stato alcun motivo per un verso come Num.15:16: Ci sarà una stessa legge e uno stesso diritto per voi e per lo straniero che soggiorna da voi. 4 Il fatto che Dio non prescrive nel testo della Scrittura un modo per diventare proselita ci dimostra che la questione rabbinica del proselitismo era interamente cosa dell’uomo. Eppure, la Torah comanda che i maschi siano circoncisi come segno del patto fatto tra Dio e i discendenti di Abrahamo. Ma è qui che le acque diventano torbide. La circoncisione era diventata l'elemento centrale della cerimonia rabbinica per il proselita, e i Gentili venivano sottoposti alla circoncisione non per soddisfare le richieste della Torah, ma per ottemperare le decisioni rabbiniche riguardo il proselitismo. In quanto gentili, veniva loro insegnato che potevano entrare nel patto "diventando giudei" attraverso un rituale umano, e che acquistando lo status di giudei potevano essere certi della loro salvezza. Era una questione di status. Quale status garantiva a una persona la sicurezza di avere un posto nel mondo a venire – lo status etnico o quello della fede? Che cosa era essenziale per la salvezza: la status di giudaicità o lo status di essere "nel Messia"? Paolo e gli altri apostoli del Concilio di Gerusalemme hanno convenuto che lo status etnico non aveva alcun rapporto con la salvezza di una persona. Il punto cruciale era la fede, non l’etnia. La Torah è un peso che nessuno può portare? Le interpretazioni prevalenti di Atti 15, tuttavia, non si concentrano su quello che è il problema principale, cioè come i gentili sarebbero dovuti essere accolti nel corpo del Messia, ma si preoccupano se la Torah aveva o no rilevanza per la loro vita di fede. Tale enfasi, non solo trascura le parole iniziali del capitolo, ma mette anche in evidenza la teologia anti-Torah latente nella chiesa cristiana storica. Quello che Luca ci dà come descrizione storica della maniera in cui gli apostoli si sono occupati della teologia rabbinica dei loro tempi, è stato trasformato in uno dei principali testi utilizzati per screditare la Torah. Eppure non solo le parole iniziali del capitolo ci dicono qual era il vero problema. Il linguaggio stesso degli apostoli indica che essi si stavano confrontando con la teologia prevalente di quel tempo. Pietro, nel primo dei discorsi registrati nel nostro capitolo, fa uso di un linguaggio che comunica una chiave importante per l’interpretazione di questo passaggio. Avendo ricordato a chi lo ascoltava che egli era stato l’apostolo inviato per primo ai gentili e che aveva assistito alla prova che lo Spirito era sceso su di loro mentre erano ancora gentili, Pietro dice: "Perché dunque tentate adesso Iddio mettendo sul collo dei discepoli un giogo che né i padri nostri né noi abbiamo potuto portare? Anzi, noi crediamo d’essere salvati per la grazia del Signore Gesù, nello stesso modo che loro".5 Qui Pietro fa diverse importanti affermazioni che sono fondamentali per capire le sue parole. In primo luogo, si noti che mette in contrasto il "giogo che né i padri nostri né noi abbiamo potuto portare", con la salvezza per grazia. I gentili erano stati salvati e favoriti della presenza di Dio (dimostrata dallo Spirito) grazie alla loro fede, non perché erano cambiati da gentili in ebrei. Il "giogo" che i maestri Farisei volevano mettere su di loro era, per Pietro, contrario alla salvezza basata sulla grazia di Dio. Questo è un punto cruciale per la corretta interpretazione del passo. Pietro si sarebbe riferito alla Torah scritta come un giogo che "né i padri nostri né noi abbiamo potuto portare?" La risposta degli interpreti cristiani è un risonante "Sì!" Considerando la posizione che i giudei di quel tempo credevano che la loro salvezza fosse acquisita per mezzo dell’ubbidienza alla Torah, la dichiarazione di Pietro è interpretata come una sonora affermazione contro la salvezza per opere. Ma il Concilio non stava discutendo se la salvezza era o non era per opere. Nessuno, tra cui anche quelli "dalla Giudea" che insistevano sul fatto che i gentili dovevano diventare proseliti, credeva che qualcuno potesse ottenere un posto nel mondo a venire per mezzo dell’osservanza completa della Torah. L’opinione prevalente era che l’entrata nel mondo a venire era il dono di grazia di Dio per ogni Israelita. Inoltre, se Pietro descrive la Torah scritta chiamandola un "giogo che né i padri nostri né noi abbiamo potuto portare" allora sta mettendo le Scritture e il messaggio del vangelo in disaccordo tra loro. Ma sappiamo che Pietro non lo ha fatto. Il suo messaggio del vangelo dato in quella storica Shavuot (Atti 2) è il puro vangelo. Lì, nel suo messaggio, dopo aver dimostrato che Yeshua è il Messia promesso, Pietro ha concluso con "Ravvedetevi, e ciascun di voi sia battezzato nel nome di Yeshua haMashiah, per la remissione dei vostri peccati, e voi riceverete il dono dello Spirito santo. Poiché per voi è la promessa, e per i vostri figli, e per tutti quelli che son lontani, per quanti il Signore Iddio nostro ne chiamerà".6 Ma si noti bene come il messaggio completo di Pietro sia basato sul Tanak. Egli mostra con le Scritture (Salmi) che il Messia avrebbe sofferto e sarebbe risuscitato dai morti, e che da questa opera del Messia la promessa di salvezza per Israele, come anche per le nazioni (di cui il patto di Abrahamo che si trova in Genesi) sarebbe stata realizzata. Lontano dal contrapporre la Torah al messaggio di salvezza per fede, Pietro basa il suo vangelo sulla Torah. Pietro non è il solo ad affermare che la Torah insegna la salvezza per fede. Paolo c’istruisce che quando la Torah viene letta attraverso l’azione illuminante dello Spirito, inevitabilmente ci si vede Yeshua.7 E secondo Gal.3:8 egli considera che la promessa abramitica è il vangelo.8 Inoltre, il messaggio apostolico del vangelo è ovunque fondato nel Tanak, perché il Tanak era l’unica Scrittura divinamente ispirata che essi avevano e dalla quale questo messaggio di salvezza è stato tratto.9 Quindi, se Pietro non può riferirsi alla Torah scritta in quella sua frase, "un giogo che né i padri nostri né noi abbiamo potuto portare", a cosa fa riferimento? Giacomo usa un linguaggio simile: Poiché è parso bene allo Spirito Santo ed a noi di non imporvi altro peso all'infuori di queste cose, che sono necessarie10 Per Giacomo la Torah era un peso? Nella sua epistola, scritta prima del Concilio di Gerusalemme, Paolo parla della Torah come della "Torah perfetta",11 "Torah della libertà,"12 e la "Torah reale".13 Lungi dall'essere un "peso", Giacomo considerava la Torah una grande benedizione. Evidentemente sia Giacomo che Pietro avevano in mente qualcosa di diverso dalla Torah di Dio quando hanno parlato di "giogo" e di "peso" insopportabili. "Giogo" e "peso" nei detti di Yeshua Gli insegnamenti di Yeshua, senza alcun dubbio, sono diventati parte delle conoscenze degli apostoli. Come tutti i talmidim di qualsiasi maestro di spicco, gli studenti di Yeshua hanno trasmesso i suoi insegnamenti oralmente prima di metterli per iscritto. È certo che la tradizione orale dei suoi insegnamenti hanno formato la base dei Vangeli sinottici. Yeshua si riferisce alle leggi fatte dall’uomo con la metafora di un "peso": Difatti, legano dei pesi gravi e li mettono sulle spalle della gente; ma loro non li vogliono muovere neppur col dito (Mat.23:4) Inoltre, egli caratterizza i suoi insegnamenti proprio con il termine familiare di "giogo": "Prendete su voi il mio giogo ed imparate da me, perch'io son mansueto ed umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre; poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero" (Mat.11:29,30) L'uso del termine "giogo" nella letteratura rabbinica è ben attestato. I midrashim parlano del "giogo della Torah", come anche del "giogo di Dio" e del "giogo del regno dei cieli", mentre il Sifra e la Mishnah parlano anche del "giogo dei comandamenti". Per i Saggi, la metafora del "giogo" rappresentava la sottomissione alla Torah e quindi, in ultima analisi, al governo di Dio. Ma quando le regole degli uomini s’intrecciarono con la Torah scritta, tantoché agli effetti pratici le due diventano una, trascurare le tradizioni dei Saggi era visto come un abbandono della Torah. Uno dei Detti dei Padri avverte che se vengono accettate le interpretazioni della Torah contrarie all’halakah ricevuta, questo potrebbe costare a una persona il mondo a venire.14 L'implicazione è ovvia: rigettare le tradizioni era come scrollarsi di dosso il "giogo dei comandamenti" e marchiarsi come eretico. Illustrativo di come la metafora del "giogo" è stata usata per descrivere le tradizioni ricevute, è la motivazione data per l’ordine delle preghiere quando si recita lo Shema di Deuteronomio 6 prima della parte "e se ubbidirete…" di Deut.11:13ss: In modo che uno dovrebbe prima ricevere su di sé il giogo del Regno dei Cieli e poi ricevere su di sé il giogo dei comandamenti.15 Per quanto riguarda la preoccupazione dei rabbini, prima di osservare i comandamenti bisognava rendersi conto che essi erano decisioni d’autorità – secondo l’halakah accettata. Il "giogo dei comandamenti" era qualcosa che si aggiungeva al "giogo del Regno dei Cieli". Infatti, il "giogo dei comandamenti" diventava nella realtà il "giogo delle interpretazioni rabbiniche dei comandamenti ", e questo giogo era spesso un peso. Un altro esempio di "giogo" si trova nel riferimento talmudico che descrive i peccati che sono espiati a Yom Kippur: Per tutte le trasgressioni della Torah, se pentito o no, il Giorno dell’Espiazione porta espiazione, eccetto il caso di chi rigetta il giogo, perverte gli insegnamenti della Torah e rifiuta il patto nella carne.16 In questo caso, "rigettare il giogo" molto probabilmente si riferisce a una negazione dell’esistenza di Dio, ma è anche collegato al pervertimento degli insegnamenti della Torah e alla mancanza di circoncisione. Da notare come queste tre cose sono unite nel passo del Talmud: rigettare il giogo, insegnamento della Torah in modo contrario all’interpretazione prevalente, e non essere circonciso. Non è difficile immaginare che gli avversari di Paolo potevano aver pensato questo del suo insegnamento. Non richiedendo ai gentili di diventare ebrei, egli si presentava come se ignorasse le decisioni dei Saggi e il comandamento della Torah sulla circoncisione. Infatti, in Atti 21 leggiamo che c’erano ebrei credenti che erano disturbati da Paolo perché circolava la voce che egli stava insegnando di abbandonare Mosè e le sue usanze. I suoi connazionali erano così certi che egli aveva abbandonato la via di Dio che hanno tentato un linciaggio. Ma Paolo non voleva chiedere ai gentili di sottomettersi alle molte leggi rabbiniche per poter essere accolti nella comunità dei credenti. E per la sua decisione di muoversi in questa direzione è stato considerato da alcuni degno di morte. Il "giogo" della tradizione era stato gettato sul collo d’Israele per così tanto tempo che era impossibile per molti immaginare una fede autentica in Dio senza di esso. Yeshua ha segnato un punto importante quando ha chiesto ai suoi discepoli di prendere il suo giogo, non il giogo di altri. In contrasto con il giogo che i rabbini stavano mettendo sulle spalle delle persone senza alcuna intenzione di aiutarle ad alleggerire il carico, Yeshua identifica il suo giogo come "dolce" (chrestos), cioè, "facile" e il suo carico "leggero" (elaphron), cioè "non pesante". Il suo giogo era "facile" da portare perché dava alla "misericordia" e all’"amore" altrettanta importanza che alla "giustizia" e al "giudizio". Il suo peso era "leggero" perché aveva alleggerito l’insegnamento di Dio, la Torah, da diverse regole extra messe dall’uomo, e dunque era in grado di penetrare il cuore con chesed v’emet "benignità e verità". Aggiogati insieme con lui, la Torah era dolce come il miele e come la gioia nel cuore. Era sotto questo giogo facile e dolce che Yeshua voleva che anche la parte più piccola della Torah e dei profeti fosse adempiuta nelle vite dei suoi discepoli.17 Questo giogo della Torah, come Yeshua ha insegnato, non può essere il "peso e il "giogo" di cui parlavano Pietro e Giacomo. Il giogo che essi descrivono è insopportabile, e anche gli aspetti minimi di esso (le quattro cose richieste ai gentili) sono un peso. Piuttosto, il giogo che essi non vogliono mettere sulle spalle dei credenti gentili è il giogo delle regole e delle leggi fatte dall’uomo. Infatti, strato sopra strato, le aggiunte rabbiniche alla Torah l’aveva resa un peso, e a volte aveva perfino offuscato lo scopo della Torah. Era questo peso che gli apostoli non erano disposti a mettere sulle spalle dei gentili, un peso che ogni proselita avrebbe dovuto portare. Le quattro richieste Eppure non c'era modo per aggirare il fatto che i gentili avrebbero avuto la necessità di conformarsi ad alcune delle leggi umane che erano state attaccate alla Torah, da qui il decreto degli apostoli che un significativo gruppo di tradizioni doveva essere ricevuto dai credenti gentili al fine di dare loro un vero e proprio sentimento di adesione all’interno della comunità. Poiché è parso bene allo Spirito Santo e a noi di non imporvi altro peso all'infuori di queste cose, che sono necessarie; cioè: che v'asteniate dalle cose sacrificate agl'idoli, dal sangue, dalle cose soffocate, e dalla fornicazione; dalle quali cose ben farete a guardarvi. State sani (Atti 15:28,29). Perché queste quattro? C'è qualche cosa che le unisce? Le quattro richieste facevano parte delle leggi noachidi? Non è raro che gli studiosi facciano riferimento alle leggi noachidi quando discutono della decisione presa dal Concilio di Gerusalemme. Diversi autori hanno espresso la loro convinzione che le quattro cose richieste ai gentili erano una "breve lista" di leggi noachidi. Queste leggi erano considerate dai Saggi come i comandamenti fondamentali dati alle generazioni precedenti il diluvio ed esemplificate nella vita di Noè. I rabbini consideravano questi comandamenti come necessari da seguire dai gentili per essere considerati giusti ed avere posto nel mondo a venire. Secondo i rabbini, a Israele era stata data la Torah, e ai gentili le leggi noachidi. Il Talmud Babilonese elenca le sette leggi noachidi: 1) proibizione dell’idolatria, 2) proibizione della bestemmia, 3) proibizione dello spargimento di sangue, 4) proibizione dei peccati sessuali, 5) proibizione del furto, 6) divieto di mangiare carne da un animale vivo, 7) obbligo di istituire un ordinamento giuridico. Ma per ricavare questi sette comandamenti da Genesi 1-11 c’è bisogno di una lettura tra le righe. Va notato che nulla di neanche lontanamente simile a una tale formulazione si trova nell’antica Mishnah. Mai la Mishnah parla di un corpo di leggi che, se seguite, renderebbe un gentile giusto e quindi idoneo per il mondo a venire. Per di più, non è fino all'epoca del Talmud babilonese (400500 dC) che queste leggi sono state classificate sotto il nome di Noè e prescritte come requisito per i gentili giusti. Nella Mishnah, un posto nel mondo a venire è riservato solo a Israele, il che significa che l'unica speranza per i gentili era quella di diventare proseliti. Inoltre, sembra evidente che le leggi noachidi siano state formulate in un momento in cui la sinagoga stava prendendo una posizione piuttosto anti-gentile. Il vento era cambiato. Piuttosto che cercare di portare i pagani alla fede d’Israele come i Farisei sembra che facessero al tempo di Yeshua,18 le leggi noachidi sono state formulate nel momento in cui i gentili erano considerati più come una minaccia che come un campo di missione. La formulazione delle leggi noachidi erano così una seconda via per i gentili – una via che dava loro un posto nel mondo a venire senza portare nella comunità della Torah i problemi di una popolazione gentile di grandi dimensioni. Questo di per sé rende l'interpretazione delle leggi noachidi impraticabili per Atti 15. È esattamente l’opposto della conclusione del concilio di Gerusalemme, la cui decisione è stata quella che i credenti gentili dovevano essere ricevuti come membri del patto esattamente nella stessa maniera di come lo erano stati gli ebrei – per la loro fede. Anche gli ebrei non sono stati ricevuti sulla base del loro status etnico né sull’osservanza esteriore dell’halakah. Per gli apostoli era una questione di fede. Anzi, noi crediamo di esser salvati per la grazia del Signore Yeshua, nello stesso modo che loro.19 Aver dato ai gentili una diversa struttura di leggi per mezzo delle quali sarebbero stati accolti nella comunità messianica era come minare il messaggio del Vangelo apostolico. E quello che sappiamo dalle epistole di Paolo, egli non avrebbe di certo acconsentito a un messaggio che prescriveva una via per i giudei e un’altra via per i gentili. Inoltre, se il Concilio avesse prescritto le leggi noachidi per i credenti gentili, essi sarebbero stati disubbidienti alla Torah, poiché la Torah stessa afferma chiaramente che c’è una sola Torah per Israele e per i gentili che abitano in essa. Pertanto, l’idea che le quattro leggi date ai gentili in Atti 15 erano in realtà una prima formulazione di quelle che poi divennero note come leggi noachidi, semplicemente non si adatta alla situazione. Bisognerebbe presumere che una teologia formulata circa due o trecento anni dopo era la norma nel I secolo, e attribuire agli apostoli una decisione teologica che è contraria alla Torah e diametralmente opposta alla loro dichiarazione di salvezza per fede. Noi dobbiamo cercare una spiegazione migliore per le quattro richieste date ai credenti gentili. Una cosa è chiara: le quattro richieste date ai credenti gentili erano viste dagli apostoli come essenziali. Ma raggruppate come sono costituiscono un messaggio specifico ai gentili e per un problema specifico. Ovviamente gli apostoli non stavano suggerendo ai credenti gentili che tutta la moralità e l’etica si riassumeva in questi quattro punti! No, un problema più grande è descritto in queste quattro regole, un problema che gli apostoli sapevano che era una questione essenziale: il culto degli idoli nei templi pagani. Da una prospettiva ebraica, niente caratterizzava i gentili più che l’idolatria. E nulla era più aberrante. La questione era considerata attentamente con i proseliti, poiché sottomettendosi al rituale rabbinico della circoncisione, i gentili lasciavano in sostanza le loro famiglie e le loro relazioni sociali, e diventavano membri della comunità giudaica. Di conseguenza essi prendevano le distanze dalla comunità pagana e dalla sua idolatria. Per di più, nel prendere tutto il peso delle leggi rabbiniche, il proselita si separava per sempre dalla propria cultura per mezzo delle molte recinzioni poste dai rabbini. Infatti, la lista non era corta per i proseliti. Ma se ai gentili era permesso di entrare nella comunità senza esigere che diventassero proseliti, chi assicurava la comunità che essi avessero rotto definitivamente con l’idolatria? Senza i molti divieti di non toccare, non prendere, non mangiare, ecc., come si poteva essere certi che i gentili che vivevano nella cultura pagana non partecipassero più all’idolatria in cui erano stati educati? Qui è dove il Concilio di Gerusalemme ha visto la necessità per i gentili di sottomettersi alle leggi fatte dall’uomo. La comunità ebraica doveva essere rassicurata che i gentili non erano più idolatri, e che avevano voltato per sempre le spalle al loro misfatto capitale. Per rendere una tale assicurazione, gli apostoli hanno richiesto ai credenti gentili di prendere il "giogo" e il "peso" delle leggi fatte dall’uomo nel campo dell’idolatria. La Torah orale conteneva "recinzioni" per proteggerli dall’idolatria, recinzioni che non si trovano nella Scrittura. Eppure, per quanto riguarda l’idolatria, queste recinzioni erano considerate essenziali per mantenere una chiara separazione dall’idolatria che era l’essenza della cultura greca e romana. Le quattro prescrizioni sono elencate due volte in Atti 15, una che sembra essere una sorta di "bozza" preliminare, e l’altra che è l’edizione definitiva messa per iscritto per essere divulgata tra le chiese. Atti 15:20 1. astenersi dalle cose contaminate per gli idoli 2. dalla fornicazione 3. dalle cose soffocate 4. e dal sangue Atti 15:29 1. che v’asteniate dalle cose sacrificate agli idoli 2. dal sangue 3. dalle cose soffocate 4 e dalla fornicazione Ci sono alcune differenze evidenti: fornicazione e sangue hanno l’ordine cambiato nei due elenchi, e l’idolatria nel primo viene identificata con le cose "contaminate", ma nel secondo con il cibo "sacrificato" agli idoli. Ma c’è anche una differenza che può sfuggire nella traduzione. Nel primo elenco ognuno dei quattro divieti contiene l’articolo determinativo - "le cose contaminate per gli idoli, la fornicazione, le (cose) soffocate, e il sangue". Nel secondo elenco l'articolo viene sempre omesso. Dal momento che il secondo elenco non contiene gli articoli, esso è composto da solo quattro parole legate tra loro dalla congiunzione "e". Come ci si dovrebbe aspettare, la reiterazione della decisione del concilio in Atti 21:25 è conforme parola per parola a quella che era stata scritta.20 Cosa possiamo ricavare da questo confronto? In primo luogo, sembra assai probabile che il primo elenco dato in Atti 15 è più spontaneo e meno formale - una sorta di "bozza". Avere l'opportunità di "sentire" il decreto finale ci dà ulteriori indizi dell’interpretazione degli apostoli del decreto stesso. Infatti, il cambiamento da "cose contaminate per gli idoli" a "cibo sacrificato agli idoli" ci aiuta a vedere che quello che gli apostoli avevano in mente era un tempio pagano. Nella frase "le cose contaminate per gli idoli", la parola greca usata per "contaminate" si riferisce alla "contaminazione derivante dal contatto con il culto degli idoli".21 Pertanto, la successiva "cose sacrificate agli idoli" nella bozza finale, ci mostra che la partecipazione all’interno dei templi pagani era la questione che si stava prendendo in considerazione. La partecipazione dei gentili nelle feste connesse con i templi pagani era spesso più culturale che religiosa, anche se dal punto di vista ebraico era pur sempre idolatria. Che Paolo abbia dovuto ammonire i Corinzi a non partecipare alla "mensa (altare) dei demoni"22 mostra che alcuni gentili lo stavano facendo. In secondo luogo, l'uso degli articoli prima di ogni voce dell’elenco iniziale suggerisce che rappresentavano una ben nota realtà. Ciascuna delle quattro voci doveva riferirsi a cose che sia la comunità ebraica che i gentili erano a conoscenza e che potevano essere identificate da singole parole. In terzo luogo, il fatto che l'elenco finale consiste di sole quattro parole (unite dalla "e") dimostra che alla fine gli apostoli hanno formulato il decreto in maniera succinta e quindi facile da ricordare e da compiere. Che in questo hanno avuto successo può essere visto dal fatto che la reiterazione del decreto in un tempo successivo (Atti 21) corrisponde allo schema finale parola per parola. Ma cosa si può dire riguardo l’inversione dell’ordine tra la fornicazione e il sangue? La spiegazione migliore è che in origine gli apostoli hanno elencato i due più evidenti aspetti dell’idolatria: "le cose contaminate per gli idoli" e la "fornicazione" (questo è esattamente come Giovanni qualificava l’idolatria).23 Poi a questi si sono aggiunte le categorie più specifiche, "sangue" e "cose soffocate". Nello schema finale, però, i due elementi che in primo luogo identificavano l’adorazione degli idoli nei templi pagani (mangiare in onore della divinità e fornicare) sono diventati i punti per sviluppare l’intera lista con le sotto-categorie (sangue e cose soffocate) nel mezzo. Se le cose stanno così, allora i quattro elementi dati ai gentili sono un tutt'uno per il culto idolatra nei templi pagani, e come tali rivelano la richiesta dell’apostolo che i credenti gentili si separino da qualunque contatto con i templi che potrebbe essere interpretato dalla comunità ebraica come partecipazione all’idolatria. Nel chiedere ai gentili di divorziare da ogni aspetto culturale dei templi pagani, gli apostoli stavano chiedendo ai gentili di considerare l’idolatria dal punto di vista ebraico, e anche di conformarsi alle leggi aggiuntive formulate dal Sinedrio contro di essa. Sebbene l'idolatria sarebbe naturalmente considerata una cosa che non deve entrare nella vita del credente, quello che gli apostoli chiedevano era la conformità all’halakah rabbinica riguardo l’idolatria – le "recinzioni" che non si trovano nella Scrittura ma che erano necessarie in questo ambito per l’inclusione nella comunità ebraica. Gli apostoli erano disposti a dare questo "peso" ai credenti gentili per preservarli da ogni accusa di idolatria, qualcosa che non sarebbe mai stata tollerata nella più vasta comunità giudaica. Ma quando si parla di templi pagani e dei loro rituali, dobbiamo ricordare che in gran parte questi erano visti come istituzioni culturali e sociali e non solo come religiose. Per esempio, il tempio locale pagano spesso serviva come banca, e come luogo per trattare di questioni politiche. I gentili che erano nati e cresciuti nella cultura idolatra della Grecia e di Roma avevano molte cose familiari e comunitarie che li legavano ai templi. Poteva il credente gentile continuare a partecipare a questi templi e unirsi ad eventi politici, familiari, e comunitari senza in realtà partecipare all’idolatria? Potevano mangiare in quei luoghi senza devozione alla divinità a cui il pasto era dedicato? Da un punto di vista culturale c’erano senza dubbio dei credenti gentili che pensavano di poterlo fare,24 soprattutto perché i pasti erano consumati nel cortile e non nel tempio stesso. Dal momento che l’idolo abitava nel tempio, la partecipazione agli eventi nel cortile era vista come una cosa separata dall’idolatria e quindi ammissibile. Ma quanto "vicino" o "lontano" si poteva stare senza essere coinvolti nell’idolatria? Ecco una domanda che deve aver interessato la comunità ebraica quando doveva accogliere i gentili. Questa era la questione a cui si riferisce Paolo quando rende chiaro che non si può mangiare alla mensa dei demoni e alla mensa del Signore.25 Nel fare questo commento sta semplicemente applicando il decreto del Concilio di Gerusalemme. I gentili non dovevano pensare di poter sfuggire e aggirare il problema dell’idolatria e dei templi pagani. Ma come avrebbero potuto continuare a vivere nella società gentile e allo stesso tempo dimostrare alla comunità ebraica che non partecipavano più al culto degli idoli della loro cultura? Le molte attività di carattere generale e giornaliere della società romana e greca, coinvolgevano il tempio locale e questo significava che i credenti gentili dovevano prendere delle precauzioni extra per assicurare ai loro fratelli che avevano abbandonato tutti gli aspetti dell’idolatria. I quattro divieti come aspetti del tempio pagano (1) astenersi dalle carni sacrificate agli idoli Le parole "carni sacrificate agli idoli" traduce una sola parola in greco. Questa parola, (eidōlothytōn) è usata nove volte nelle Scritture Apostoliche,26 e sempre nel contesto del mangiare in un tempio pagano. Questo fatto è rafforzato dall’espressione usata nel primo elenco di Atti 15:20. Là, "le cose contaminate per gli idoli" si riferisce chiaramente alla contaminazione del cibo usato nei rituali del tempio pagano. Usando questa parola gli apostoli non stavano proibendo il cibo che si poteva acquistare al mercato, ma specificatamente il cibo di un pasto connesso con una cerimonia idolatra. Infatti, il trattato della Mishnah Avodah Zarah non proibisce l’uso delle cose appartenenti agli idolatri e nemmeno entrare in un edificio templare contenente un idolo. In generale, i Saggi proibivano rigorosamente tre cose (con molte regole per ognuna di esse): 1) aiutare gli idolatri nella loro idolatria, 2) trarre beneficio dagli idoli o da pratiche idolatriche, e 3) partecipare in qualunque maniera al culto degli idoli. Non c’è nulla che vieta direttamente di entrare in un tempio pagano o di mangiare nel suo cortile. Ma il motivo per cui si entra e il modo in cui vengono svolte le attività all’interno del complesso del tempio fanno la differenza. I credenti gentili dovevano imparare con molta attenzione quello che potevano e non potevano fare in relazione a tutte le questioni pertinenti al tempio pagano. E poiché la comunità ebraica generalmente sospettava che i gentili continuavano nella loro precedente idolatria,27 si rese necessario per gli apostoli chiarire le regole della questione e per negare ogni sospetto. Così i credenti gentili non potevano partecipare ai pasti collegati con i templi pagani dato che in un modo o nell’altro il cibo era dedicato alla divinità. Naturalmente ci potevano essere pasti e attività nel cortile del tempio che non avevano niente a che fare con l’idolo alloggiato nel suo interno. (2) (astenersi dal) sangue Questo non si riferisce al mangiare la carne con il sangue (che riguarda il divieto successivo), ma l'ingestione di sangue in sé, qualcosa non rara nei rituali idolatrici. Se le persone comuni bevevano il sangue della vittima sacrificale non vi sono prove certe, ma ci sono prove che i sacerdoti lo facevano. Da un punto di vista ebraico, partecipare a un rituale in cui il sacerdote (che rappresentava gli altri partecipanti) beveva il sangue del sacrificio, significava partecipare allo stesso atto abominevole. Naturalmente, la Torah stessa proibisce di mangiare sangue,28 e gli apostoli chiesero ai gentili di prendere le distanze da qualsiasi rituale in cui il sangue veniva ingerito e/o non correttamente utilizzato. Una cosa del genere era troppo aberrante per la comunità ebraica. (3) (astenersi dalle) cose soffocate Che gli animali sacrificati nei templi pagani erano solitamente uccisi con il taglio alla gola è ben attestato. Ma si usava anche il soffocamento. Questa uccisione disumana degli animali era contraria allo spirito della Torah. Ma, mentre la Torah vietava di mangiare sangue, non c’è niente nelle Scritture che descriva come un animale doveva esattamente essere ucciso. I Saggi, quindi, hanno sentito la necessità di prendere determinate decisioni al fine di rispettare il comandamento della Torah contro l'ingestione di sangue. Mangiare quindi la carne degli animali che erano stati soffocati era proibito perché la carne sarebbe stata satura di sangue. I credenti gentili non dovevano avere alcuna partecipazione nel crudele strangolamento degli animali, né nei rituali che includevano tali pratiche, né dovevano mangiare animali morti in questa maniera. Pertanto, la carne in vendita presso il locale tempio pagano era fuori limite per il credente gentile. Le possibilità che l’animale era stato strangolato erano troppo alte. Gli apostoli, quindi, richiesero ai gentili di sottomettersi alle più severe regole che i Saggi avevano sviluppato quando si trattava di carne e di macellazione kasher. Questo era senza dubbio un peso, dato che la carne dei templi locali poteva essere più accessibile e forse meno costosa. Ma anche al di là della questione di ingerire sangue, essendo il prodotto di rituali idolatri e pagani, questa carne non era consentita. Alcuni potrebbero sostenere che il successivo insegnamento di Paolo in 1Cor.8-10 sembra ribaltare la decisione del Concilio sulla carne sacrificata agli idoli. Qui Paolo sostiene che "l’idolo non è nulla"29 e le sue parole successive sono state prese a significare che la carne offerta ad esso è permessa a patto che nessuno si offenda per essa. Ma nel contesto più ampio, è chiaro che Paolo mantiene la decisione del Concilio sottolineando la necessità per i credenti di non partecipare ai pasti serviti nei templi pagani. …io dico che le carni che i gentili sacrificano, le sacrificano ai demoni e non a Dio; or io non voglio che abbiate comunione con i demoni.30 Il suo monito: "fuggite l’idolatria"31 è sicuramente da intendersi come un monito a non partecipare ai riti del tempio pagano. Ma il suo permesso di mangiare carne senza indagare sulla sua provenienza,32 deve essere vista come un tentativo di fermare l’incontrollato accumulo di halakah, Dal momento che le carni di cui si sta parlando nello specifico sono quelle che si acquistavano al mercato e non nel tempio pagano,33 forse la gente sosteneva che in realtà la carne del mercato proveniva dai templi pagani. Ma Paolo non è disposto a fare halakah aggiuntiva su quella stabilita dal Concilio di Gerusalemme. Dove si va a finire? Come si potrebbe essere sicuri se la carne proveniva o no dal tempio pagano? Pronunciarsi su questo porterebbe a una sola direzione: una separazione dei gentili molto simile a quella che aveva sperimentato la comunità ebraica. Egli dunque istruisce i suoi lettori a mangiare la carne senza porsi domande fino a quando la loro coscienza lo permette. Alla fine, possiamo concludere che Paolo proibisce solo la carne di sicura provenienza dal tempio pagano, ma permette quella del mercato (anche se le sue origini non sono conosciute). Egli continua in modo chiaro il divieto del Concilio contro la partecipazione ai rituali idolatri. (4) (astenersi) dalla fornicazione. La parola tradotta "fornicazione" è porneia, l’origine della nostra parola "pornografia". La parola porneia, comunque, è associata con i templi pagani dove lavoravano le prostitute del tempio. Così famosa era la prostituzione del tempio di Corinto che è stata coniata l’espressione "divertimento di Corinto" per significare la promiscuità sessuale. Il divieto è connesso con i rituali del tempio che utilizzavano le prostitute e con la partecipazione a qualsiasi servizio che avevano a che fare con loro. Alla fine, ognuno dei quattro divieti aveva a che fare con un aspetto del tempio pagano, e richiedeva ai credenti gentili di conformarsi all’halakah corrente della comunità ebraica verso le questioni di idolatria. Anche se era sia poco pratico che addirittura impossibile vietare ai credenti gentili qualsiasi contatto con il tempio locale (dato che era anche il luogo dove avvenivano certe transazioni legali), i divieti dati loro li obbligava a sottomettersi all’halakah giudaica come modo per dimostrare una completa rottura con la loro precedente vita passata nell’idolatria. Anche se essi potevano avere ancora occasione di trovarsi nei recinti del tempio pagano, dovevano dimostrare la loro esclusione da ogni culto e cerimonia idolatra. Non ci doveva essere alcun dubbio che essi avevano abbandonato le divinità dei loro padri per rivolgersi all’unico Dio d’Israele. La loro separazione dall’idolatria è sottolineata dalla frase finale del decreto: dalle quali cose farete bene a guardarvi.34 Il termine tradotto "guardarvi" è diatēreō, che si trova solo qui e in Luca 2:51 (che descrive come Maria ha serbato, cioè custodito il messaggio nel suo cuore). Ma nel Siracide 1:25 la parola è usata in riferimento all’osservanza dei comandamenti. La stessa parola può avere un senso enfatico e può segnalare l’intenzione degli apostoli che l’halakah data ai gentili doveva essere osservata nei dettagli. Infatti, le regole rabbiniche riguardo l’idolatria andavano ben oltre il semplice divieto d’inchinarsi davanti a loro. Grandi dolori erano stati sofferti per prendere le distanze da ogni aspetto di contaminazione idolatra e nello stesso tempo vivere all’interno della cultura ellenistica. Gli apostoli sapevano che se i credenti gentili erano disposti ad accettare la rigida halakah rabbinica riguardo tutte le questioni dell’idolatria e particolarmente quella dei templi pagani, la loro accettazione nella comunità della Torah sarebbe stata molto maggiore. Anche se questo potrebbe essere stato un "peso" e almeno una parte del "giogo" della Torah orale messa sopra di loro, era essenziale per la loro inclusione nella comunità della Torah dove avrebbero potuto imparare le Scritture e crescere nella fede. La loro volontà di sottomettersi a queste regole dava alla comunità ebraica la fiducia necessaria per riceverli come coloro che avevano completamente abbandonato l’idolatria e rivolti verso l’unico Dio d’Israele. Sommario Il Concilio di Gerusalemme in Atti 15 si stava occupando di un problema specifico: era necessario per i Gentili diventare proseliti e quindi assumere tutto il peso delle leggi rabbiniche per essere accettati nella comunità ebraica (= per essere salvati)? A questa domanda il Concilio ha espresso un deciso "no". Utilizzando il termine "circoncisione" come sinonimo di "rituale per diventare proselita", il Concilio ha stabilito che i gentili non avevano bisogno di essere circoncisi (cioè, diventare proseliti) per essere salvati ed accolti nella comunità della Torah. C'era, tuttavia, la necessità di assicurare alla comunità ebraica che quei gentili che avevano confessato Yeshua come Messia avevano realmente abbandonato qualsiasi forma di idolatria. Dal momento che la cultura greca e romana erano incentrate intorno al culto degli idoli con i templi pagani del luogo, era importante che la comunità ebraica fosse in grado di ricevere i credenti gentili senza alcun sospetto di reminiscenze idolatriche. Gli apostoli hanno quindi chiesto ai gentili di accettare le leggi bibliche ed extra-bibliche fatte dai Saggi riguardo l’idolatria. Queste erano: 1) non dovevano partecipare ai pasti connessi seppur lontanamente con l’idolatria, 2) non dovevano partecipare a cerimonie dove c’era un uso improprio del sangue come elemento sacrificale, 3) non dovevano partecipare a rituali o cerimonie dove gli animali venivano soffocati, e dovevano stare attenti a non mangiare carni di animali uccisi per strangolamento (cosa non insolita nel riti sacrificali pagani), e 4) dovevano prendere le distanze da qualsiasi contatto con le prostitute del tempio e con la fornicazione ad esse collegata. Anche se la Torah scritta vieta qualunque culto degli idoli, i Saggi avevano messo un buon numero di "recinzioni" per distanziare la gente da ogni contatto con l’idolatria. Queste "barriere" erano extra-bibliche, ma gli apostoli le consideravano essenziali per mostrare la rottura che i credenti gentili avevano fatto con l’idolatria. Ma dal momento che non provenivano direttamente dalla Scrittura, erano parte del "giogo" della Torah orale, il "peso" che i Saggi avevano gettato sulle Scritture. Anche se gli apostoli non erano disposti a mettere sui gentili il peso delle tradizioni (cosa che nemmeno il popolo giudaico era stato in grado di sopportare), hanno visto la necessità di chiedere ai gentili di osservare questa halakah rabbinica. Solo questo obbligo avrebbe pienamente soddisfatto la comunità giudaica che i credenti gentili avevano fatto una rottura radicale con il loro ex culto degli idoli ____________________________________ 1 Atti 15:1,2. 2 m. Sanhedrin 10:1. 3 tù œqei tù Mwãsšwj, "secondo il rito di Mosè" si trova solo qui negli Scritti Apostolici ma è in parallelo alla frase simile di Atti 6:14 ("gli usi che Mosè ci ha tramandato") e Atti 21:21 ("…ad abbandonare Mosè, dicendo loro di non circoncidere i figli, e di non conformarsi ai riti"). In Atti 26:3 troviamo la frase, "tu hai conoscenza di tutti i riti e di tutte le questioni che son fra i Giudei", e in Atti 28:17, "Fratelli, senza aver fatto nulla contro il popolo né contro i riti dei padri". Altrove, in Atti, la parola "usi" (œqoj) denota usanze e legami culturali (riti o usanze dei Romani, Atti 16:21; 25:16) come anche usanze personali (di Paolo, Atti 17:2). 4 Cfr. anche Es.12:49 e Num.15:29. 5 Atti 15:10,11. 6 Atti 2:38,39. 7 Rom.10:4 dove "termine" (τέλος) deve essere inteso come "obiettivo". Cfr. 2Cor.3:1-4:6. 8 Cfr. i testi paralleli di Gen.12:3 e anche 18:18; 22:18; 26:4; 27:29; 28:14. 9 Cfr. Rom.10:6-8 dove è citato Deut.30:12ss, e dove Paolo considera questo passaggio della Torah come "la parola della fede che noi predichiamo". Infatti, per Paolo, Gen.15:6, "Ed egli [Abrahamo] credette all'Eterno, che gli contò questo come giustizia" ha dimostrato oltre ogni dubbio che il messaggio della salvezza per grazia mediante la fede è stato il messaggio creduto da Abrahamo (cfr. Rom. 4:3). Paolo considera la promessa abramitica la stessa cosa del vangelo che predicava (Gal.3:8). 10 Atti 15:28. 11 Giac.1:25. 12 Giac.1:25; 2:12. 13 Giac.2:8. 14 Considerare Avot 3:11, "R. Eleazar il Modita disse: Colui che profana le cose sacre e disprezza le feste, e disonora i suoi simili in pubblico, e rende nullo il patto di Abrahamo nostro padre, e dà interpretazioni della Torah che non sono secondo l’halakah, anche se egli ha la Torah e buone opere, non ha parte nel mondo a venire". L’espressione "non sono secondo l’halakah" manca in alcuni manoscritti, ma sembra necessaria per completare la frase, poiché dare interpretazioni di Torah, qualcosa che ogni Saggio ha fatto, non poteva essere considerata una cosa sbagliata. Ciò che questa frase implica è che c’era un tempo dove una crescente fazione all’interno del giudaismo esprimeva un’halakah contraria alle regole del Sinedrio e che era considerata una minaccia e quindi considerata eretica. 15 m. Berachot 2:2. 16 b. Shevuot 13a. 17 Mat.5:17-21. 18 Cfr. Mat.23:15. 19 Atti 15:11. 20 Le varianti testuali di ognuno di questi versi (Atti 15:20; 15:29; 21:25) è abbastanza complicata. La maggior parte degli studiosi hanno accolto la lettura che rende 1) cose sacrificate agli idoli, 2) sangue, 3) cose soffocate, e 4) fornicazione. Il testo (P45) ne ha solo due: 1) le cose sacrificate agli idoli, e 2) le cose soffocate. Altri testi (D e vari testi occidentali) ne hanno quattro, ma lasciano fuori "le cose soffocate" e aggiungono la Regola d’oro al negativo: "Non fare agli altri…", che per primo è stata attribuita a Hillel (cfr. Didache 1:2). Anche la forma positiva si trova nella letteratura ebraica. Sembra evidente che la ragione per cui D e gli altri testi occidentali hanno questi elenchi è perché hanno voluto rimuovere qualsiasi senso di richieste rituali. Eliminando le "cose soffocate" l’astensione dal "sangue" può essere interpretata come "omicidio". Così "l'idolatria, l'omicidio, e la fornicazione" sono tutte richieste morali, e non questioni rituali. Dall’altra parte, l’elenco più breve di P45 non è facilmente spiegabile, a meno che non sia l’errore di un copista. 21 Particolarmente importante per identificare questa parola (che ricorre solo qui negli Scritti Apostolici) in riferimento al cibo mangiato nel culti idolatri, è la LXX di Mal.1:7 dove è usata la stessa parola greca per definire il cibo contaminato offerto sull’altare. 22 1Cor.10:21. 23 Apoc.2:14,20. Si noti che Apoc.2:13 si riferisce probabilmente al tempio pagano costruito a Pergamo nel 29 aC per Augusto. 24 1Cor.8:10. Paolo non si preoccupa del mangiare il cibo in sé stesso come se il cibo potesse essere contaminato da un incantesimo pagano. Ma si preoccupa di qualsiasi partecipazione rituale all’idolo, e questo è il problema che sottolinea. 25 1Cor.10:21 dove "mensa" è usata come fosse un "altare", cfr. Ezech.41:22; 44:16. 26 Atti 15:29; 21:25; 1Cor.8:1,4,7,10; 10:19; Apoc.2:14,20. 27 Da notare la prospettiva dello scrittore ebraico in 2Macc.6:4,5, "Il tempio infatti fu pieno di dissolutezze e gozzoviglie da parte dei pagani, che gavazzavano con le prostitute ed entro i sacri portici si univano a donne e vi introducevano le cose più sconvenienti. L’altare era colmo di cose detestabili, vietate dalle leggi". Questa descrizione era senza dubbio quello che i giudei molto probabilmente pensavano della maggior parte dei templi pagani. 28 Lev.3:17; 17:12. 29 1 Cor.8:1,4. 30 1Cor.10:20. 31 1Cor.10:14. 32 1Cor.10:25s. 33 1Cor.10:25. 34 Atti 15:29.