nei territori del dipartimento
delle Alpi Marittime
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“Nei territori del dipartimento delle Alpi Marittime„
Visitateli,
scopriteli e
lasciatevi
incantare...
Lungo le strade che solcano il dipartimento delle Alpi Marittime, le tecniche artigianali ed agricole si tramandano grazie all'abilità di artigiani ed agricoltori che trovano in questo territorio
fonte di ispirazione. Vasai, ceramisti, artigiani del ferro, scultori o allevatori, orticultori, vivaisti,
ognuno ha conservato gesti ancestrali che costituiscono la realtà più autentica di questi luoghi. Numerosi borghi (Biot. Gourdon, Saint Martin Vésubie, Castillon...) sanno ancora evocare
splendidamente e riproporre questi antichi saperi. Visitateli, scopriteli e lasciatevi incantare…
Agricoltori e artigiani hanno saputo con ingegnosità trarre vantaggio
dalla notevole diversità e dalle ricchezze naturali che
contraddistinguono il dipartimento delle Alpi Marittime.
L'agricoltura si caratterizza per un felice connubio tra metodi tradizionali e tecniche moderne
ma rispettose dell’ambiente: un'attenta ricerca di equilibrio, dalla quale nascono prodotti tipici
di alta qualità.
Questo territorio è noto per il legame indissolubile tra clima mite e fiori: un binomio vincente,
che consente una copiosa produzione, riconosciuta ed apprezzata a livello mondiale. È alla
fine dell'Ottocento che si ebbe il vero sviluppo produttivo allorquando, con la realizzazione
della ferrovia, i fiori coltivati localmente iniziarono ad essere esportati verso Parigi.
Nell'immaginario collettivo la più comune rappresentazione della zona si configura come una
distesa del giallo delle mimose che contrastano vivacemente con il mare: proprio questo fiore,
forte ed al tempo stesso delicato, simbolo di luminosità, è diventato l’emblema della produzione della Costa Azzurra e fa parte del patrimonio naturale dei comuni dell’ovest del dipartimento. Importata dall’Australia nel 1839, la mimosa venne coltivata a partire dagli inizi del XX
secolo: oggi la produzione si estende principalmente nel massiccio del Tanneron, in terreni
ben drenati ed acidi. Tra metà ottobre e marzo, a seconda delle varietà, la fioritura
dà una nota festosa al paesaggio. Le piantagioni di mimosa si intercalano
anche a diverse specie di fronde verdi, come pure di molte altre essenze,
che le mani esperte dei fioristi compongono poi in splendidi profumati
bouquet.
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Nel XVIII secolo il territorio di Grasse sviluppò la propria produzione di piante aromatiche,
grazie al suo clima eccezionale: una condizione decisamente favorevole, che, associata all’abilità e alla costante ricerca, ha reso la filiera l’emblema del territorio, in particolare per il gelsomino e la rosa di maggio (la Centifoglia e la rosa di Damasco). La raccolta viene effettuata
a mano ed i fiori sono poi venduti alle industrie di trasformazione; nei laboratori si estraggono
le sostanze odorifere per la creazione dei profumi più famosi: Chanel, Guerlain, Patou, Dior.
Le colline della zona pedemontana del dipartimento delle Alpi Marittime sono dominate dalla
presenza antica dell'olivo, simbolo assoluto della civiltà del Mediterrraneo, che caratterizza
inconfondibilmente con le sue note argentee il paesaggio: le colture a terrazza non sono solo
una geniale soluzione tecnica per sfruttare lo spazio poco ampio e scosceso, ma partecipano
alla protezione del territorio rurale, in particolare contro gli incendi.
Raccolte a febbraio, le olive diventano olio dall'aroma fruttato, pasta d'oliva o, semplicemente
salate, si trasformano in saporito ingrediente per arricchire numerose ricette, ma sono molto
apprezzate anche al naturale. Queste tre specialità beneficiano della denominazione AOP
Olio e olive di Nizza ed ottengono costantemente riconoscimenti per l'elevato livello qualitativo. Insieme all'olio, alimento principale della dieta mediterranea, rappresentano un esempio
di riuscito equilibrio tra gusto e salute.
Altrettanto ragguardevole la coltivazione della vite, in particolare del
vigneto di Bellet, uno dei più antichi di Francia: la sua piantagione risale verosimilmente all’epoca della fondazione
di Marsiglia da parte dei focesi, popolo greco
dedito alla navigazione ed ai commerci, che fondò numerose colonie
nel Mediterraneo. Ma la vera e
grande prosperità venne con
l’inizio del XIX secolo, quando questo vigneto giunse
a coprire un'estensione di oltre 1000 ettari.
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“Nei territori del dipartimento delle Alpi Marittime„
fragole
Nel 1941 il vino di Bellet fu classificato a “Denominazione di Origine Controllata”. Sulle colline
di Bellet oggi operano una quindicina di aziende di produzione, tipicamente a conduzione
familiare.
I vini dei Baous e delle colline accordano in un gustoso sodalizio i comuni di Vence, Tourrettes sur Loup, Saint Paul, La Gaude, Saint Jeannet e Gattières, dove 11 ettari di vigne sono
lavorate da tre grandi aziende produttrici.
Nel Comune di Villars sur Var la vigna è storia, poiché l'impianto di questa preziosa coltivazione si ebbe nel periodo romano: le attuali produzioni sono comprese nell’area DOC Costa
di Provenza.
I robusti terrazzamenti collinari sono sfruttati anche per l’orticoltura: essa trova ampio sviluppo soprattutto nel sud del dipartimento, ma si estende particolarmente nelle zone pianeggianti
in prossimità delle grandi città. Un'attività che non conosce sosta: il clima favorevole infatti fa
sì che per tutto il corso dell’anno si possa ottenere la successione di più colture su uno stesso
appezzamento. Il triste inverno ha qui il colore delle mille sfumature del verde tenue e l'aroma
delicato di insalate, cavoli, finocchi, sedani. La primavera e l'estate esplodono nelle cromie
decise di pomodori, melanzane, zucchine, peperoni, fagioli... Una scelta già vastissima, arricchita dalla presenza costante di carciofi, carote, radicchio, diversi tipi di insalata e piante
aromatiche.
Risorse alimentari che non possono essere sprecate, e che la fantasia di alcuni produttori ha
trasformato in zuppe, ratatouille ed altri preparati, da conservare e gustare in qualsiasi momento.
Un piccola produzione, ma tanto preziosa da meritare larga fama
è rappresentata dalle fragole di Carros e Gattières, coltivate in
particolar modo nella zona di Carros e circondario: si tratta di frutti
piuttosto morbidi, dall’aspetto brillante, protagonisti assoluti della
festa organizzata in loro onore nel mese di maggio.
Di sapore più deciso altre due specialità, le castagne e il tartufo.
Le valli del Mercantour e del Moyen Pays sono il regno delle
castagne: da Isola, nella Valle della Tinea, che ebbe una
certa fama in tutta la Contea di Nizza per il Marron d’Isola,
alla valle de la Vésubie, dove si coltivata una varietà definita
“buona”. Nel comune di Berre des Alpes, situato nella valle
del Paillon, i castagneti producono la Vignalenc, il Giacinto
ed il Marrone di Berre, mentre in Val Roya/Bévéra questi
generosi alberi sono presenti nel bacino di Sospel (a bassa
altitune), in direzione del colle di Turini, nel comune di Moulinet (850 metri), a Fontan, a Saint Dalmas e a Granile. In totale
10 agricoltori utilizzano 600 ha di castagneti per un volume di
produzione di 76 t di frutto l’anno.
Il tartufo è uno dei rari prodotti dell’agricoltura francese in
pieno sviluppo. Nel dipartimento delle Alpi Marittime 110 proprietari sfruttano 180 ettari, con una complessiva produzione
di 500 kg.
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A quote più elevate il paesaggio delle Alpi Marittime è popolato da decine di migliaia di ovini, capre
e mucche allevati in maniera estensiva per produrre non solo carni sane e di particolare tenerezza,
ma anche golosi formaggi.
Forse non a tutti è noto che, come le coltivazioni
a terrazza, anche le mucche e le pecore aiutano
a proteggere le nostre foreste e gli spazi naturali
dagli incendi. La pastorizia svolge quindi un ruolo
fondamentale nella gestione del territorio e nella
cura dell'ambiente, del quale garantisce l’equilibrio
ecologico.
In estate le greggi transumano verso degli alpeggi,
dove trascorrono gran parte della stagione, nutrendosi esclusivamente di erba di montagna. Se
l’attività principale legata all’allevamento ovino è la
produzione di agnelli da macello, il latte di pecora, di capra e di mucca si declinano nella molteplicità dei formaggi, caratterizzati da paste dalla
diversa ma sempre stuzzicante consistenza: dal
fresco allo semistagionato, all'aromatizzato, alla
“tome” (specialità di formaggio a pasta molle) o
alla “brousse” (cagliata provenzale di formaggio di
capra o di pecora), ogni tipologia è apprezzata e
ricercata ed accontenta anche il consumatore più
esigente.
Nel Mercantour, le tome, tra cui quelle della marca Tome de la Vésubie, vengono tuttora fabbricate secondo un metodo contadino tradizionale:
questo formaggio nasce dal puro latte crudo che,
dopo una prima lavorazione, riceve l'ultimo sapiente tocco nelle cantine delle aziende o in alpeggio.
Lavanda, rosmarino, timo, acacia, castagneti, abeti
e gran parte della flora tipica del paesaggio sono
oggi utilizzati per ottenere il miele: gli abbinamenti a
tutti questi fiori donano colori e sapori inaspettati e
il dolcissimo e sano prodotto riesce a raggiungere
una produzione di alta qualità, sorprendendo sempre il palato. Gli apicoltori sono quindi spesso impegnati nel far transumare gli alveari, a seconda delle
stagioni, verso nuove specie, alla ricerca di nuove
delizie per i golosi!
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“Nei territori del dipartimento delle Alpi Marittime„
L'identità del Dipartimento delle Alpes-Marittime trova un simbolo specifico anche nei Métiers
d’Art, ossia nella ricca attività artigianale, che qui significa non solo delizie alimentari, ma anche artigianato d'arte: una realtà meno nota e che merita di essere scoperta nelle sue radici
più profonde. Dagli oggetti in vetro, ceramica, smalto, grès, porcellana, legno, alla produzioni di sapone, candele ed alla profumeria, questi prodotti, spesso di alto valore estetico,
si ispirano alle tradizioni e alle culture locali. Realizzazioni frutto di eredità lontane, di un tempo
nel quale un singolo oggetto riassumeva in sé una serie di conoscenze pratiche, trasmesse di
generazione in generazione.
Ancora oggi occuparsi di artigianato artistico significa possedere un insieme di saperi complessi: un lungo iter di apprendimento, fondato sulla perfetta conoscenza dei processi di lavorazione della materia grezza, che trova suo pieno compimento nel risultato finale, pezzi unici
o piccole serie a carattere altamente artistico.
Non ci si limita tuttavia alla semplice imitazione del passato: infatti essi testimoniano una perfetta alleanza tra saperi antichi e nuove tecnologie.
Nel settore alimentare, i prodotti artigianali detti de Bouche (ovvero dell'arte gastronomica)
partecipano ugualmente della tradizione, basandosi su ricette, manualità e tecniche culinarie
specifiche, utilizzate da secoli per la trasformazione della materia prima. In esse si riflettono
le caratteristiche proprie delle regioni di origine ed è ancora una volta il clima (il grado di umidità, il vento, il soleggiamento) a porsi come fattore determinante per la diversità e l'originalità
della produzione. La terra e l'acqua di questo territorio (ingredienti alla base di innumerevoli
produzioni) non possono essere reperiti altrove e conseguentemente solo in questo luogo si
ritrovano certe peculiarità, la vera essenza dei più semplici sapori vegetali e di quelli più strutturati dei prodotti animali.
Tra le specialità locali si ricordano: la torta di bietola, la “socca” (farinata), la “pissaladière”
(una focaccia con cipolle e acciuga), la torta di zucca, gli gnocchi, il “pan-bagnat”, la poutine,
le “ganses” (frittelle), lo stufato, le trippe ed i ripieni alla nizzarda, la “pichade” (pizza alla salsa
di pomodoro e acciughe), la focaccia, la panissa, la porchetta, la “tapenade” (pasta di olive),
la frutta candita, i dolci al cioccolato, le marmellate e i liquori.
I Metier de Bouche e Metier d’Art, seppur così diversi tra loro, trovano un punto di armonia
nella varietà della produzione: una unione tra sapore e bellezza che testimonia al meglio la
moltitudine delle piccole realtà locali, ancora tenacemente legate alle tradizioni.
I singoli prodotti si pongono quindi come preziosi e golosi rappresentanti di una valle, di un borgo o di una città o di un suo quartiere ed anche dell'intera provincia di Nizza o della Provenza.
L’entroterra del ponente di Liguria:
alla scoperta di sapori e saperi
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“L'entroterra del ponente di Liguria: alla scoperta di sapori e saperi„
perfetto
esempio di realtà
multiforme e
inaspettata.
Un arco tra Oriente ed Occidente, tra il cuore dell'Italia e l'Europa: l'immagine più nota della
Liguria. Arco sospeso tra il trascorrere armonicamente irregolare della costa e cime possenti,
che racchiudono uno scenario ininterrotto di piccole valli. Luoghi meno noti rispetto al versante marino, ma nei quali si esprime al meglio la ricchezza naturalistica, storica, culturale e
gastronomica della regione. Il territorio di Imperia e Savona è perfetto esempio di questa realtà
multiforme ed inaspettata.
Savona è mare e Appennino, Imperia è mare e Alpi Marittime. La salita dal mare alla montagna, dalle palme alla neve, così rapidamente da stupire, rende questo territorio una grande
antologia della bellezza. La montagna è fatta per custodire segreti e i segreti bisogna andarli
a scoprire: dai grandi oliveti ai boschi da funghi, dalla piana ad ortaggi e fiori alle piste da sci,
dalle case rosa sul mare ai borghi severi di pietra.
Terre di cultura antica ma non superata, di tradizioni che ritornano
ogni giorno in sapori e mestieri rinnovati ma non perduti.
L'olio di oliva è l'ingrediente fondamentale della gastronomia del ponente ligure, presente in
ogni ricetta, dalla più semplice alla più elaborata, dal salato al dolce. Alimento base della Dieta
Mediterranea, regime alimentare ormai dichiarato dalla scienza esempio di perfetta nutrizione,
questo prezioso prodotto ha qualità salutari tali da essere indicato come primo condimento
dello svezzamento. Una risorsa inestimabile, il dono più nobile dei forti ulivi.
Forse il segreto della forma un po’ pendula degli ulivi taggiaschi dipende dal peso che
sorreggono. Perché gli uliveti sono i sostegni su cui si poggia l’entroterra di Ponente.
Dipende dalla produzione di olive taggiasche anche la forma stessa del territorio
delle valli imperiesi: esse, perpendicolari al mare, risalgono verso le quote superiori,
con i muretti a secco che rubano terra alle montagne
e i paesi di cresta, ancora immuni dallo slittamento
verso la costa proprio grazie all'economia dell'olio.
Più segrete, ma più potenti, sono le ragioni del gusto. Un’oliva dal sapore fruttato, ottima da fare in
salamoia, ma soprattutto con un basso contenuto
di acidità, segreto della dolcezza e della leggerezza inimitabile dell’olio extravergine di oliva
Taggiasca DOP.
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Aroma delicato contraddistingue l’olio extravergine di oliva Arnasca: si ottiene dalla prima
spremitura di olive monovarietali della cultivar Arnasca, altrimenti detta Pignola per il retrogusto
leggermente amarognolo che richiama il pinolo, supportato da un'intensità di fruttato. Questa
varietà, unica nel bacino del Mediterraneo, fu coltivata nella zona di Arnasco, in bassa Valle
Arroscia, dal 1600 e qui ha trovato un habitat ideale, diventando la principale risorsa economica della popolazione locale. Gli olivicoltori, per favorirne lo sviluppo e frenarne l'abbandono,
nel 1984 hanno dato vita ad una cooperativa, struttura ideale per consentire la molitura delle
olive, il supporto nello sviluppo e nel miglioramento colturale e per la commercializzazione
della produzione.
Nell’entroterra ponentino vitigni e ulivi spesso si dividono gli stessi terreni e sono oggetto delle
attente cure dei contadini; oggi predomina l’olivo, ma si continua a produrre vino.
Vini
Con l’introduzione della DOC Riviera Ligure di Ponente la viticoltura delle province di Imperia e Savona ha infatti conosciuto una fase
importante di rilancio. Il vino del Ponente incarna d’altra parte l’anima
complessa dei liguri: fiero delle proprie origini ma anche propenso al
commercio, perché molti vitigni sono testimonianze di scambi e affari.
Chiaro esempio l’Ormeasco: di color rosso rubino, coltivato in valle
Arroscia è in realtà il dolcetto piemontese trapiantato in queste zone sin
dal Medioevo. Anche il Rossese, dal sentore di rosa e fragola, sembra
avere origine da antichi scambi con il confine provenzale. Tra i bianchi,
la complessità del Pigato, il cui vitigno è composto da quattro specie
diverse, simboleggia un fitto dialogo che ha fatto incrociare le uve del
Mediterraneo: la tradizione attribuisce al “pigau” un’origine greca, attestata dalla presenza del “grecanico” nella sua genealogia. Per il più
tipico e diffuso dei DOC del Ponente, il Vermentino, leggero e ricco di
gusto, la vicenda pare invertirsi. Perché si ipotizza che sia stata proprio
la Liguria a diffonderne la produzione in Italia e in Spagna, dopo avere
adattato sui suoi monti i vitigni corposi provenienti dal Medio Oriente.
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“L'entroterra del ponente di Liguria: alla scoperta di sapori e saperi„
Se i vini sono anche testimonianze di storia, oltre che messaggeri di colori e profumi della terra, non si deve trascurare di parlare del dolce Moscatello, che dal Tardo Medioevo fino all’Ottocento fu la produzione di punta del Ponente di “tanta bontà che è reputato niente inferiore
delle Malvasie Candiotte, né dei vini Cipriotti, né dei Grechi di Napoli” (dagli Annali di Agostino
Giustiniani, compilati negli anni trenta del Cinquecento). Oggi qualche vitigno, dai grappoli dorati e con la classica macchia all’estremità, si trova ancora nel comprensorio di Taggia.
Culture e tradizioni legati alla produzione di vino ricorrono anche attraverso l’IGT delle “Colline
Savonesi”. Il Lumassina (il suo nome deriva dal vocabolo dialettale “lumasse”, ovvero lumache, cibo con il quale viene solitamente accompagnato): si produce dal vitigno omonimo in
un'area abbastanza circoscritta della provincia di Savona, tra l'entroterra di Noli e quello di
Finale Ligure.
Il Granaccia I.G.T. o Grenaccia ha invece origine iberica e fu portato nella zona nel secolo
XVIII da alcune famiglie locali che avevano avviato rapporti commerciali nel settore della carta
con la Spagna (in particolare con la città di Granada da cui deriverebbe il nome Granaccia).
L’entroterra di Imperia e Savona è generoso anche nell'offrire numerosi altri prodotti, utilizzati
in modo magistrale nella semplice ma sorprendentemente ricca gastronomia locale.
Tra di essi, l'aglio di Vessalico, che viene confezionato in caratteristiche trecce: questo eccezionale ortaggio, presidio Slow Food, è infatti venduto solo in lunghe “reste” composte da
20-25 teste, annodate a coppie usando le foglie della pianta. Un procedimento tramandato
da mano a mano, che consente di conservare a lungo profumi e sapori, perché le teste continuano a trarre nutrimento dalle piante a cui restano legate. Sapore intenso e leggermente
piccante ma con aroma delicato, viene prodotto su pochi ettari di terreno in Valle Arroscia.
I campi di fagioli di Badalucco, Pigna e Conio, visti dal basso risalendo le valli, sembrano,
con i loro alti filari di canne percorsi dai riccioli delle piante rampicanti, delle architetture gotiche rurali. Uniche per il sapore delicato e la morbidezza carnosa della pasta, queste piccole,
bianche gemme vegetali dalla forma ovoidale (anche se a Conio hanno aspetto reniforme)
sono anch’esse diventate un presidio Slow Food. La ricetta più tradizionale li prevede come
accompagnamento alla capra, memoria di una economia rurale di autosussistenza, che trovava nei fagioli una preziosa fonte proteica.
Il carciofo di Perinaldo, altro presidio Slow Food”, si può considerare una testimonianza degli storici legami tra i territori di confine. Leggenda vuole che le prime piantine di questo carciofo senza
barbe e senza spine siano state donate al piccolo Comune della
Val Crosia da Napoleone nel 1796, in occasione della campagna
d’Italia. Certa è comunque l’origine provenzale. A differenza del più
diffuso e altrettanto pregiato carciofo spinoso presente nella fascia
costiera ponentina che ha un ciclo produttivo invernale, si raccoglie
tra maggio e giugno, ma il prodotto messo sott’olio -utilizzando la rinomata produzione locale di olio extravergine- si conserva per tutto
l’anno. La varietà spinosa del carciofo si trova anche nell’entroterra
di Albenga e per il suo colore, verde scuro nelle foglie esterne, con
sfumature laterali violacee, viene chiamato Violetto. Il fusto si presenta eretto e termina con un capolino, costituito da un ricettacolo
carnoso e da foglie interne eccezionalmente tenere, croccanti e dolci. Di buon valore alimentare, si presta a numerosissime preparazioni (come le gustose “torte“verdi” salate) ed è particolarmente adatto
ad essere consumato crudo, intinto in olio extra vergine d’oliva.
il carciofo di Perinaldo
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Alle spalle di Albenga, nel comune di Villanova, si coltiva invece
l’asparago Violetto, apprezzato per il gusto delicato. La coltivazione di questo ortaggio, unica varietà del bacino del Mediterraneo,
richiede terreni sabbiosi e clima mite. Ricco di vitamine, sali minerali
e sostanze antiossidanti, ha, secondo la medicina popolare, numerose proprietà fitoterapiche e diuretiche, nonché influenze positive
sulla vista e sul funzionamento degli apparati digerente e nervoso.
Sempre in questa zona troviamo la zucca (o zucchina) Trombetta:
il suo nome deriva dalla forma allungata, lievemente ricurva e un po’
ingrossata ad un’estremità, che ricorda una tromba. Fu introdotta in
Liguria in tempi molto remoti ad opera dei marinai che portavano a
casa ciò che di nuovo e diverso scoprivano nel corso dei loro lunghi
viaggi. In cucina viene molto utilizzata come ingrediente di saporite
ricette.
In una ristrettissima zona, appena sopra la costa savonese, trova la
sua dimora il Chinotto di Savona, presidio Slow Food dal 2004.
È infatti tra Varazze e Pietra Ligure, la parte d’Italia dove maggiormente si coltiva a livello produttivo questo frutto, importato
probabilmente dalla Cina da un navigatore di
Savona intorno al 1500. Il Citrus Aurantium
(nome scientifico di questa varietà amara),
è uno dei più rari e preziosi agrumi che esistano in natura. Un tempo veniva candito,
ma con il passar dei secoli si è sviluppata una
vera e propria "industria” del chinotto, tuttora
in crescita.
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“L'entroterra del ponente di Liguria: alla scoperta di sapori e saperi„
Goloso dono del bosco, il fungo porcino cresce spontaneo con sfumature di gusto organolettiche diverse da valle a valle e rappresenta da sempre
un'importantissima risorsa alimentare. La qualità che si trova nei boschi di
Bardineto è tra le migliori d’Europa. La raccolta e la lavorazione di questi
funghi risalgono al Medioevo: già allora erano un prodotto molto apprezzato,
tanto da figurare negli elenchi dei regali che i signori Del Carretto richiedevano
in occasione delle feste natalizie. A partire dall'ottocento costituì di fatto una
componente di rilievo nell'economia agricola dei paesi dell'entroterra ligure.
Se il fungo veniva definito “re dei boschi”, la castagna Gabbiana, di forma tondeggiante, dal
guscio fine, con polpa bianco grigiastro, morbida, burritosa e fine, era la regina. La coltivazione del castagno si diffuse a partire dal Medioevo: trattandosi di frutti digeribili (e, secondo
la tradizione popolare, anche antianemici, energetici, tonici ed antisettici), ma soprattutto nutrienti, divennero alimento essenziale per la civiltà contadina delle nostre valli.
Sopravvive nell'entroterra savonese una tecnica tradizionale un tempo diffusa in tutto l'arco
appenninico ligure: l'essiccatura delle castagne nei “tecci”, piccole costruzioni in pietra di un
solo locale con il tetto di scandole. La castagna essiccata nei tecci di Calizzano e Murialdo
è Presidio Slow Food.
Tra le attività della montagna, oltre ai prodotti della terra, da sempre la pastorizia ha avuto un
ruolo fondamentale.
È risaputo che pastori e confini non vanno d’accordo.
Perché la pastorizia ha bisogno di spazi di movimento per ripetere i remoti riti della transumanza
e dell’alpeggio. Non a caso l’area brigasca - che aveva nel comune di La Brigue la sua “capitale”
e per secoli fu il centro di una economia basata sulla pecora autoctona dal tipico profilo montonino - si estendeva sui territori confinanti della Provenza, del Piemonte e della Liguria. Nel XX
secolo questo sistema di produzione e scambio è entrato in crisi profonda (specie sul versante
ligure), ma la caparbietà di alcuni pastori ha permesso di mettere in salvo la tradizione, anche se
i greggi restano pochi e le produzioni di nicchia.
Un ruolo importante è stato svolto con l’adozione del presidio Slow Food Toma di pecora
brigasca, che comprende i tre formaggi tipici prodotti con latte ovino secondo
metodi antichi: la Sora, la Toma (che può prevedere anche l’aggiunta
di latte di capra) e il Brus. Quest’ultimo, detto anche Brùsso,
è una ricotta fermentata di consistenza cremosa e di sapore più o meno piccante e rappresenta il formaggio più
tipico delle montagne
imperiesi. Costituì a
lungo un ingrediente
base dell’alimentazione, spalmato sul
pane o usato per
condire le patate.
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Non mancano prodotti a base di latte vaccino o misto (formaggetta del ponente, formaggetta di malga, toma di Mendatica): produzioni minori ma indubbiamente tipiche, perché
utilizzano il latte locale seguendo la tradizione casearia della zona. Questi formaggi sono parte
integrante della “Cucina Bianca”, costituita da farinacei, latticini, ortaggi, tipica della zona alpina ligure.
Assaporare i numerosi prodotti da forno è un piacere privo di colpa, dato che la cucina del
territorio, priva di cotture elaborate e basata sull'olio di oliva, sa far convivere salute e gusto e
riesce a stupire per i suoi sapori, rustici ma non poveri.
Nella panificazione è la semplicità che genera mistero: pare impossibile capire come pochissimi ingredienti si trasformino in specialità inconfondibili. Un ottimo esempio il casereccio pane
di Triora (luogo noto per i suoi misteri), dalla caratteristica forma a tondo, croccante fuori e
morbido dentro, che si riconosce per la crusca sul fondo.
A Murialdo, Osiglia e Calizzano si può gustare il Fazzino (detto anche Lisone o Lisotto): una
morbida foccaccina di patate con una leggera cavità all'interno per raccogliere i condimenti
tipici. Il suo gusto particolare dipende dall'aggiunta nell'impasto della cipolla tagliata a spicchi,
precedentemente ammorbidita in acqua e sale. Ma gli ingredienti segreti sono anche la lavorazione manuale, la lievitazione naturale e la cottura nel forno a legna o nella stufa a legna,
come vuole la tradizione.
La Michetta di Dolceacqua è un’eccezione, sia perché ha il burro nell’impasto sia perché deve
la sua notorietà ad una leggenda allusiva, che la vuole creata per festeggiare la liberazione (in epoca medioevale) delle
donne del borgo dall’odioso “ius prime noctis”.
dolci
Tra i tanti dolci dell’entroterra di Imperia si possono citare
quelli i più rinomati e rappresentativi. La Stroscia di
Pietrabruna prende il nome dal dialettale “strosciare”, ovvero rompere, e deve all’uso dell’olio di oliva la
sua inconfondibile friabilità, che la rende una sorta
di pastafrolla leggera, dal gusto semplice e delicato.
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“L'entroterra del ponente di Liguria: alla scoperta di sapori e saperi„
Non senza motivo l’ultimo tratto del Ponente ligure si chiama “Riviera dei Fiori”. Oltre che patria
storica della floricoltura, questa parte del territorio è anche sede naturale di alcune specie che
hanno trovato nelle sue valli le condizioni per manifestarsi al massimo della loro bellezza.
La mimosa, simbolo della festa della donna, ben prima dell'otto marzo, nel pieno inverno,
annuncia la Riviera per chi viene da nord. La ginestra appena dopo, a marzo, completa, con
la sua esuberante esplosione, ciò che la mimosa aveva fatto presagire.
Il ranuncolo, da fiorellino di campo e di fossi, è diventato, sotto le mani di ibridatori geniali,
grande come una peonia, ricco come una rosa. Anche i fiori di pesco hanno beneficiato di
sapienti selezioni per esprimere al meglio la gioia del proprio colore.
La lavanda, coltivazione storica dell’estremo ponente, non può competere: la Provenza ha
vinto su tutti i fronti, con oli essenziali che fanno presagire flaconcini preziosi. Ma anche qui la
terra tornerà all'antico profumo della spiga violetta e delle altre piante aromatiche autoctone:
alcuni giovani hanno rimesso in funzione gli alambicchi e, riprendendo tradizioni di famiglia,
lavorano gli oli essenziali e l'olio di oliva per creare prodotti naturali per la cosmesi.
La grande era degli artigiani ha lasciato pochi eredi nelle valli del ponente ligure. Pochi ma
buoni, si potrebbe dire. Il grande artigianato qui è stato quello della pietra, che ha prodotto i
capolavori dei villaggi di montagna, lasciando alcune migliaia di chilometri di muretti a secco,
vero fattore costruttivo del paesaggio ponentino. Ma espressione di eccellenza fu la lavorazione della pietra ornamentale testimoniata dai decori dei portali e da bassorilievi.
L’ardesia, che si estrae da secoli in Valle Argentina, ha utilizzi molteplici.
Già conosciuta in epoca romana, raggiunse l’apogeo tra Medioevo e Rinascimento, quando divenne elemento centrale dell’arredo urbano nei paesi della Valle Argentina e della Valle Arroscia. Con questa pietra si producono i tavoli da biliardo esportati in tempi più recenti negli USA, ma anche
le coperture dei tetti, le scale, le mensole, i caminetti e i balconi di tante
case dell’entroterra imperiese. Il segreto dell’ardesia locale consiste nella
facilità di lavorazione, associata alla classica resistenza e impermeabilità.
L’artigianato del legno si può riassumere in alcune categorie di oggetti: la
lavorazione del castagno e del vimine per ceste, dell’ulivo per suppellettili
da cucina e per oggettistica, dell’erica (erica arborea) per pipe. L’arte dei
cestai era piuttosto diffusa nelle parti montane delle valli Argentina e Arroscia e si conserva attraverso la passione di alcuni anziani. La lavorazione
del legno di olivo viene praticata a livello hobbistico, pur con produzioni di
riguardo tali da essere presenti in vari negozi e nelle fiere. La lavorazione
dell’erica è ancora ben rappresentata da almeno un artigiano di Badalucco che ha acquisito buona notorietà nel settore.
foto Franco Bartocci
Dal Col di Tenda all’Alta Langa,
attraverso le terre del Mongioie.
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“
“Dal Col di Tenda all’Alta Langa, attraverso le terre del Mongioie„
La ricchezza
di certi luoghi va
ricercata nella
terra stessa.
”
La ricchezza di certi luoghi va ricercata nella terra stessa. Questo vale, soprattutto, per
le aree che meglio hanno saputo rispettare i loro equilibri ambientali, facendo leva sulle risorse
disponibili, sulla capacità degli abitanti di adattare attività e progetti all’esistente, sul legame
forte tra territorio e residenti. É il caso della fascia pedemontana che avvolge il cuneese, dal
cebano alle valli, dove chi ama la natura può apprezzare la vastità degli spazi e la profondità
dei silenzi e affrontare percorsi straordinari a piedi, a cavallo o in mountain bike.
In tale contesto, da sempre, l’uomo porta avanti i suoi progetti di vita, in nome di un’economia
che fa conto su risorse uniche e resta quindi strettamente legata al territorio, senza mancare
di mentalità imprenditoriale.
I frutti della terra, le produzioni alimentari di nicchia, gli oggetti
tipici o le realizzazioni delle botteghe artigiane diventano così
occasione di viaggio e di visita per chi cerca un’Italia minuta
ed affascinante, semplice e diversa da ogni altro luogo.
Non meno rigogliosa l’Alta Langa: una terra che sussurra la voglia di donare i suoi frutti, che
nutre e cresce il tartufo, tesoro nascosto anche al cercatore più esperto; un rincorrersi di
colline armoniose a vallette e rocche selvagge, su cui si adagiano boschi lussureggianti e geometrie di noccioleti e vigneti.
Uno scenario suggestivo arricchito dall’opera dell’uomo che, dai tempi passati, ha saputo
impreziosirlo con l’edificazione di borghi, dimore rurali, torri e castelli, utilizzando ciò di cui
disponeva in loco, la terra, la pietra, il legno: combinandoli tra loro e inserendoli nell’ambiente
con l’arcaico rispetto della gente di Langa verso la propria terra, si è realizzato un modello di
sviluppo conciliabile con la natura.
foto: Beppe Malò
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L’area pedemontana e montana considerata è terra di sapori antichi, che meritano di essere
conosciuti sia per la loro qualità ed eccellenza sia per il loro relazionarsi con le tradizioni locali
e l’operosità di valenti imprenditori.
Parlano di una terra che sa catturare l’attenzione del visitatore più curioso non solo prendendolo per la gola, ma anche guidandolo alla scoperta globale del luogo in cui sono nati:
testimoni di una storia secolare di semplicità, di ingegno, di rispetto per gli equilibri naturali,
di gusto e fantasia. Sapori esaltati da uno scenario di bellezze ambientali e paesaggistiche,
che offre inoltre molte occasioni di approfondire la cultura locale, incrementando con forza il
processo di incoming, di attrazione turistica, di affascinanti suggestioni.
Prodotti semplici, rustici, adatti a tutte le tavole.
Altro prodotto di grande diffusione e versatilità, la patata,
ingrediente di numerose ricette tipiche. Della sua storia si sa
tutto, compreso il giorno in cui l’avvocato Vincenzo Virginio
la portò per la prima volta a Cuneo, il 9 novembre 1803. Non
fu facile, inizialmente, farla accettare dalla società dell’epoca,
ma poi il successo del tubero è andato crescendo, tanto da
sfamare, insieme alla polenta, le genti povere delle valli, prive
di altre risorse alimentari. Oggi si può contare su di una scelta amplissima tra varietà a polpa gialla e bianca, provenienti
dai piedi della Bisalta, dalla zona di Entracque o dalla Valle
Belbo. Inoltre gli agricoltori si sono organizzati in un consorzio per la tutela e la valorizzazione del prodotto.
patate
É il caso dei fagioli, che hanno ottenuto l’Igp: su una base comune, sancita dal
disciplinare, innestano varietà diverse tra loro e capaci di differenziarsi a
seconda dei luoghi in cui hanno superato il loro ciclo vegetativo, siano
essi l’alta valle Tanaro, con il bianco di Bagnasco oppure la fascia intorno
a Cuneo con le varietà Billò, Spagna Bianco, Bingo o altre ancora.
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“Dal Col di Tenda all’Alta Langa, attraverso le terre del Mongioie„
Le risorse territoriali comprendono altri prodotti, come la castagna, entrata a far
parte della storia cuneese con oltre 50 ecotipi e cultivars, capaci di diversificarsi
per forma e dimensioni a seconda della zona di origine. Nel Monregalese e nel
Cebano le castagne locali a frutto piccolo, dolce e di facile pelatura (Gabbiana, Frattona, Siria, Ciapastra, Rossastra, Spinalunga) sono tradizionalmente
essiccate per produrre castagne secche e farina; altrove vengono raccolte la
Salvaschina, il Garrone o il pregiatissimo Marrone e si guarda con fiducia ad
un futuro garantito dall’Igp già ottenuta.
Meno diffuso il cece, proveniente dal lontano oriente.
Oggi, in Alta Val Tanaro, il Cece di Nucetto è protagonista di
una simpatica sagra, appuntamento da non perdere.
I funghi rappresentano un’altra importante attrattiva gastronomica, in tutte le valli, con particolare evidenza nella
zona del cebano dove, da più di mezzo secolo, una Mostra
specifica rende nota al mondo la città di Ceva, sede di una
iniziativa che non coagula soltanto l’interesse dei buongustai, ma anche quello di studiosi e ricercatori.
frutti di bosco
Più umili e meno noti sono la Rapa bianca di Caprauna, presidio Slow
Food, e la Zucca di Piozzo, piccolo comune di circa 1.000 abitanti che,
da quasi vent’anni, dedica, la prima domenica di ottobre, una festa a
questo prodotto dell’orto.
Tra la produzione di frutta, si ricordano le susine Dalmassin o Ramassin, di origine autoctona, diffuse sia nella fascia pedemontana intorno al
capoluogo di provincia sia nel monregalese o la Fragola Cuneo, particolarmente diffusa nella zona di Peveragno o sulle colline braidesi.
Classificata dalla botanica come ortaggio, fu utilizzata nei secoli quale
alimento particolarmente ricco di elementi nutritivi: sfruttata oggi anche
in erboristeria, regala profumi e fragranze da maggio a settembre.
Da non dimenticare anche la Mela Rossa Cuneo nelle varietà Red Delicious, Gala, Fuji oppure Braeburn spesso destinate alle tavole degli emiri.
Ultimi ma preziosi i piccoli frutti, discendenti diretti di quelli di
bosco, ora coltivati nelle vallate.
Lampone, ribes e mirtillo gigante oltre alle indubbie qualità
gustative presentano elevati contenuti di preziosi principi alimentari, quali vitamine, sali minerali e
antiossidanti.
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formaggi
Guardando oltre i prodotti della terra, tra gli alimenti che
richiedono un processo di lavorazione non si possono
certo trascurare i formaggi, guida straordinaria ai numerosi luoghi in cui sono nati, simbolo di un legame forte
con la tradizione, scrigni di sapori inconsueti dalle mille
sfumature.
Pensiamo al Raschera DOP, tipico di Frabosa (Soprana e Sottana), Garessio, Ormea e Roburent, che, nelle
forme più fresche ha un carattere fine e delicato, in quelle stagionate intenso, persistente e sapido, mentre in
quello di alpeggio svela sentori di malga e di erbe alpine.
E si continua con la Toma o la Sola dell’Alta Valle Tanaro. E cosa dire del Testun che deve il suo
nome (“testardo”) proprio alla sua particolare durezza, del Murazzano, del Bra e del nostrale?
Su e giù per le Alpi del Mare, il turista non ha che il problema della scelta.
foto Walter Leonardi (Archivio GAL Mongioie)
salumi
Se non si ama il formaggio, resta sempre l’alternativa del prosciutto o il salame, nelle varianti
cotto e crudo, prevalentemente a pasta grossa. Ai palati più ricercati si adattano il Lardo di
Cuneo oppure la Pancetta. Una citazione particolare merita la Bala d’asu, salume artigianale a produzione limitata il cui nome deriva dalla forma che assume l’impasto di carne di asino.
In dispensa, per le occasioni straordinarie e gli imprevisti, possono risolvere ogni problema realizzazioni tipiche e tradizionali quali i
prodotti sottovetro: i peperoni di Cuneo in agrodolce conservati
sott’olio con acciughe, erbe aromatiche ed olive; gli antipasti piemontesi preparati secondo la ricette classiche; le salse piccanti, le
conserve di vario tipo, i tomini sott’olio o le acciughe al verde.
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“Dal Col di Tenda all’Alta Langa, attraverso le terre del Mongioie„
Per chi non è ancora sazio, ecco il dolce, un’altra squisitezza che
apre le porte del paradiso del gusto: le famose Paste di Meliga di Pamparato, piccolo borgo medievale di 300 anime,
nel monregalese, sul quale domina un pregevole castello (ora
sede del Municipio). Nati da una ricetta che si perde nel tempo
sono biscotti tradizionali prodotti da artigiani con materie prime
semplici (farina di mais e di frumento, burro), fiore all’occhiello
del settore dolciario, insieme a tante altre specialità da
forno oppure confezionate con le nocciole ed il cioccolato.
artigianato
I turisti li consumano con entusiasmo o li acquistano come goloso souvenir, magari insieme ad un oggetto artigianale scoperto in loco, dove la filiera legno ha
raggiunto livelli di eccellenza. E non si tratta solo di mobili, manufatti e serramenti,
ma anche di statue, sculture e oggettistica varia.
Di rilievo anche il settore stampa e legatoria: se un tempo i “tipografi” avevano a che fare con
caratteri mobili e incisioni, oggi gran parte del lavoro viene effettuato grazie all’utilizzo di strumenti informatici e di avanzati programmi di fotocomposizione. Tuttavia esistono ancora stamperie artistiche che operano con tecniche tradizionali, realizzando articoli di ottima qualità.
Merita una sosta e anche un acquisto la bella produzione di ceramiche, legata alle “botteghe
d’arte” del distretto monregalese, che comprende, oltre a Mondovì, i comuni limitrofi e contigui
di Villanova Mondovì, Vicoforte e Chiusa Pesio.
Da ricordare, infine, le lavorazioni del ferro e del vetro, visto che, anche in questo caso, oltre
a produzioni più classiche (portoni in ferro battuto oppure vetrate), gli abili artigiani arrivano a
creare vere e proprie opere d’arte.
Salire in Alta Langa significa percorrere strade che serpeggiano dolcemente sui versanti
delle colline fino a raggiungerne le sommità: da lì sguardo e cuore si aprono su lussureggianti
boschi, vigneti tipici, estesi noccioleti e caratteristici terrazzamenti coi loro preziosi frutti, cui si
aggiunge un tesoro - il tartufo.
Un territorio affascinante, a tratti di fiabesca integrità, punteggiato di piloni votivi e di minuscoli
borghi che dominano vallette selvagge scavate da torrenti, percorse da sentieri ombrosi ideali
per rilassanti passeggiate.
L’attaccamento dell’uomo di Langa a questa terra è antico e indissolubile: il paesaggio stesso
fa parte della cultura e della vita quotidiana, l’abitante ha con esso un legame forte, discendente da un’economia semplice ma ingegnosa e diventato imprescindibile grazie al rispetto
per la natura e per i suoi frutti.
Qui, la vita si fa maestra e l’uomo di Langa proprio dalla vita ha derivato l’arte del suo artigianato.
pietra
Partiamo dalle pietre: in Langa le pietre sono dappertutto.
La Langa è fatta o di terra – gialla, bruna, grigia o, addirittura, quasi bianca – o di
pietra. E dove domina la pietra non si semina; la si toglie con il piccone e rompe
con la mazza. Questo materiale – definito, con la concretezza tipica di queste
terre, semplicemente Pietra di Langa – ha caratteristiche fisiche diverse da
ogni altra formazione marmorea o calcarea del territorio. Da secoli viene utilizzata dai poveri e dai signori, per costruire stalle o castelli, fontane o altari.
Sempre di pietra, le ruote dei mulini, che grazie all’ingegno e all’operosità dell’uomo,
servono a produrre rinomate farine, ingredienti base di moltissime ricette e prelibatezze
di queste terre, provenienti dalla trasformazione dei cereali autoctoni tradizionali di
quest’area. Per non “bruciarle”, le grandi pietre circolari (alcune arrivano a pesare
più di 15 quintali), devono essere martellate con regolarità per ottenere il
giusto grado di ruvidità al centro e, progressivamente, la giusta
levigatura verso l’esterno a seconda del tipo di cereale da
macinare.
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“Dal Col di Tenda all’Alta Langa, attraverso le terre del Mongioie„
la "tonda gentile"
Si ottengono prodotti di alta qualità, dalla farina candida
e delicata di grano, alla tradizionale farina di mais, del
colore dell’oro, preziosa come la squisita polenta che ne
deriva. è d’obbligo utilizzare le farine derivanti dalle quattro varietà tradizionali: pignolet, marano, quarantino ma
soprattutto dal mais ottofile, meglio conosciuto come la
“meliga del re”. Si racconta che questo fosse l’ingrediente
segreto della polenta che la Bela Rosin faceva per Vittorio
Emanuele II in occasione dei loro incontri.
Altro prodotto di eccellenza di questo territorio è lei, la “regina”, la “tonda gentile”, la Nocciola
Piemonte IGP, particolarmente apprezzata per i suoi eccellenti parametri qualitativi quali forma
sferoidale del seme, gusto ed aroma intatti anche dopo la tostatura, facilità di pelatura, buone
proprietà di conservazione, e non ultimo la dolcezza. Caratteristiche che, dopo uno scientifico
confronto con altre varietà, le hanno valso l’appellativo di “nocciola più buona del mondo” e la
rendono ambasciatrice d’eccellenza senza rivali del territorio. Oggi la produzione è quasi totalmente assorbita dalla pasticceria, ove l’utilizzo della nocciola esalta le specialità tipiche legate al
territorio: dai gelati artigianali alla crema di nocciole, dal torrone ai tradizionali brut e bon (dolcetti
irregolari composti di una miscela di nocciole, mandorle, zucchero, albume e vaniglia), senza
dimenticare il prodotto più rinomato, la famosa torta di nocciole, nella quale al gusto non si deve
percepire la farina. La Tonda Gentile trova però la sua massima esaltazione nell’incontro con
il cioccolato e nella cioccolateria di alta qualità: dai gianduiotti alla barra fondente con frutto
intero tostato. Sebbene più sperimentali, non vanno infine dimenticate anche le salse salate di
foto Mauro Rosso
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nocciole che diversi chef delle Langhe abbinano a carni, formaggi e tajarin.
Il foraggio degli estesi pascoli dell’Alta Langa costituisce l’alimentazione principale di ovini, caprini e bovini. I bovini di razza autoctona piemontese, un tempo utilizzati per la produzione
di latte, di carne e per il lavoro, sono oggi allevati soprattutto per la produzione della carne, di
elevata qualità, povera di grasso e particolarmente tenera, idonea per la preparazione di gustosi
piatti tipici.
Da non dimenticare l’agnello di razza autoctona Pecora
delle Langhe, la cui carne è altrettanto povera di grasso
e dal sapore particolarmente delicato e gustoso. Oltre alla
carne, non vanno trascurati i numerosi salumi, da quello di
suino a quello di cinghiale, anche aromatizzati al Barolo
o al Tartufo; ottima la Salsiccia al Formentino, tipica di
Cossano Belbo, a base di carne di maiale, sottile e più
magra delle normali salsicce, fresca e priva di conservanti,
aromatizzata con il Formentino, vino bianco locale.
Il latte bovino, come pure quello delle pecore e delle capre,
dà vita ai non meno importanti prodotti lattiero-caseari,
espressione di una radicata tradizione contadina per l’ovvia antica funzione di sostentamento e oggi produzione
di assoluto rilievo riconosciuta e apprezzata: un’incredibile
varietà di nomi e sapori, tra cui la Töma (o Robiola) di
Langa, la Tuma (o Robiola) di Bossolasco e il Murazzano D.O.P., (richiamo all’omonimo Comune che ne è il
centro maggiore di produzione) formaggio di latte ovino (a
volte integrato con latte vaccino) proveniente principalmente dalla razza autoctona Pecora delle Langhe. Già solo nel
pronunciarne i nomi si avvertono i sapori e i profumi caratteristici. Mangiati per secoli dalla povera gente degni, per
bontà, della tavola di un re.
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“Dal Col di Tenda all’Alta Langa, attraverso le terre del Mongioie„
Squisiti in purezza, questi formaggi diventano ancor più deliziosi
se assaporati con il miele, alimento semplice, ma ricco di virtù
benefiche: sia esso di acacia, di melata o di castagno.
Altro prezioso frutto della terra, il tartufo. Che sia nero oppure
bianco (“Tuber Magnatum Pico”), non è solo emblema dell’enogastronomia del territorio, ma anche importante “indicatore biologico”.
La sua presenza è infatti indice significativo del buono stato di
salute del territorio essendo, il nostro “Tuber”, altamente sensibile
ai mutamenti ambientali.
Esiste, in questi luoghi, un altro importante prodotto che nasce e
cresce sotto terra. Forse meno “nobile” del tartufo, ma non per
questo meno importante. Ci riferiamo alla patata, qui usata e
declinata in ogni modo e maniera: cotta, lessata, bollita, fritta,
schiacciata; per insalate, primi piatti (come non pensare ai favolosi gnocchi) e per i dolci. Qui, la patata, cibo povero, è una delle
colonne portanti della cucina: i terreni collinari e montani sabbiosi
e soffici dell’area di produzione in Alta Valle Belbo, in particolare
nella zona di Mombarcaro, non avendo possibilità di irrigazione
forniscono il massimo di consistenza organolettica attribuendole
un sapore inimitabile e non riproponibile in altre aree; ciò anche
grazie al Consorzio di valorizzazione e tutela in cui i produttori
si sono autoregolamentati con un sistema di produzione che riprende le antiche metodologie naturali di coltivazione.
Se la tavola, come abbiamo visto, offre una gran musica, con i vini l’opera si fa sinfonia. Perché
i sentori, i profumi, gli umori, i colori, i riflessi dei vini costituiscono forse la più grande emozione
che questa terra ha da offrire.
Pensiamo all’Alta Langa DOCG, spumante secco prodotto con il metodo classico dalle uve
Pinot Nero e Chardonnay. Ottimo come aperitivo si abbina facilmente con piatti a base di pesce
e carni bianche ma anche con antipasti e primi leggeri. Chi invece ama i sapori dolci potrà assaporare l’Asti DOCG, moscato o spumante, ottimo con la pasticceria fresca e secca. E che dire
del Dolcetto dei Terrazzamenti, che deriva il suo nome dagli antichi muretti a secco in blocchi
di arenaria, che hanno scolpito gli scoscesi pendii delle valli ed hanno strappato al bosco strette
lingue di terra da coltivare.
Alta Langa dunque come terra
dura da coltivare, ma generosa. Alta Langa come terra della
pietra, di artigianato di produzione e trasformazione, di produzioni agricole tipiche di grande importanza, valore e qualità.
Terra di Langa che stupirà per
bellezza e per attrattive chi la
vorrà percorrere a passo lento
per assaporarne e goderne tutti gli angoli.
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nei territori del dipartimento delle Alpi Marittime