Agostino Casaroli S A N TA S E D E d ialoghi d’inverno U n c o n v e g n o i n Va t i c a n o n e l d e c e n n a l e d e l l a m o r t e R icercare, costruire la pace e assicurare alla Chiesa le condizioni per svolgere la propria azione nella libertà e nella pace: fu questa la sua azione paziente e faticosa; per questo si spese con piena fiducia, sapendo che la pace anzitutto e soprattutto è dono di Dio, da implorare con fede e orante perseveranza». E, ancora, citando Fenelon: «Pro Cristo legatione fungimur (…). L’azione pastorale e diplomatica del card. Casaroli, che coincide in gran parte con la cosiddetta Ostpolitik della Chiesa, si muove in effetti fra questi due poli: il bene della Chiesa, “essere ambasciatore di Cristo”, e la ricerca del dialogo possibile, “per tutto riconciliare”». Con queste espressioni efficacemente sintetiche, il segretario di stato vaticano, card. Tarcisio Bertone, ha ricordato, nella sua prolusione al convegno «L’Ostpolitik di Agostino Casaroli (1963 - 1989)», l’opera e lo spirito del card. Casaroli nel decennale della morte. Il convegno (10.6.2008),1 organizzato da un folto e prestigioso comitato d’onore, presieduto dal card. Achille Silvestrini, ha menzionato l’intero arco della sua collaborazione con i cinque pontefici del secondo Novecento (da Pio XII a Giovanni Paolo II), centrandone tuttavia gli aspetti politico-diplomatici e tra essi particolarmente il disegno e lo spirito dell’Ostpolitik vaticana e lo sviluppo della costruzione dell’Europa. Nell’ambito dell’incontro è stato anche tracciato un primo bilancio storiografico sull’Ostpolitik. La sua azione diplomatica porta il segno fondamentale dell’Ostpolitik, sulla quale egli stesso ha offerto un importante racconto biografico nel volume Il martirio della pazienza,2 ma non meno ricco è l’impegno da lui dedicato a tutti i problemi della pace, allo sviluppo delle istituzioni internazionali, ai diritti dell’uomo e al disarmo, alla vita e alla condizione delle Chiese in altri continenti, o al rapporto statoChiesa in Italia: si pensi alla revisione del Concordato (1984), che egli volle fermamente. Sull’Italia, egli riteneva infatti che sul piano civile si dovessero coniugare insieme Concilio e Costituzione, il rinnovamento della società e dello stato, e che si potesse aprire una nuova stagione di collaborazione tra stato e Chiesa. L’Europa a piccoli passi Il tema dell’Europa, della sua divisione imposta a seguito della II guerra mondiale, l’Europa come «gigante smembrato» ha sempre rappresentato Il card. Agostino Casaroli (1914-1998) IL REGNO - AT T UA L I T À 12/2008 383 uno dei punti fermi della strategia di Casaroli, come ha ricordato il card. Tauran. Il suo capolavoro sarà il cosiddetto processo di Helsinki. Quando l’ambasciata ungherese in Italia trasmise alla Santa Sede l’invito a partecipare a una conferenza pan-europea – ha ricordato Tauran –, Casaroli fu subito convinto dell’opportunità di tale iniziativa e riuscì a vincere le perplessità curiali relative alle modalità di partecipazione della Santa Sede a un organismo internazionale governativo e al rischio di un implicito riconoscimento delle divisioni politiche del continente. Era dal Congresso di Vienna (1815) che la Santa Sede non partecipava pleno iure a un’assise politica internazionale multilaterale. «L’aver ottenuto da tutti gli stati l’accettazione di un codice comune di comportamento capace di garantire il rispetto dei diritti dell’uomo in genere e della libertà di coscienza e di religione in particolare ha fatto emergere la convinzione che la pace non si può ridurre all’assenza di guerra, ma riposa su una dimensione umana piena» (Tauran). In questo modo Paolo VI legò l’identità europea a un patrimonio di va- 384 lori comuni culturalmente radicati nel messaggio cristiano e capaci d’inglobare valori affermatisi storicamente sotto le bandiere laiche e addirittura anticlericali. Era la frontiera della coscienza che la Santa Sede aveva riaffermato con la sua richiesta d’inserire la libertà religiosa nell’Atto finale di Helsinki. Tema pienamente laico e moderno, tema pienamente conciliare e spirituale. I risultati colti nel 1989 avevano lì la premessa più importante. L’Ostpolitik: tra diplomazia ed ecclesiologia Il fulcro dell’attività di Casaroli rimane l’Ostpolitik. Giovanni Barberini, che con una serie di volumi di grande interesse documentario,3 ha ricostruito, accedendo direttamente e pubblicando in buona parte le carte di Casaroli, le dinamiche interne e le valutazioni del mondo vaticano in relazione all’Est europeo e alla situazione delle Chiese locali all’interno dei regimi comunisti, definisce il processo politicodiplomatico e la vicinanza pastorale che vanno sotto quell’unico termine così: «L’Ostpolitik ebbe due obiettivi tra loro coordinati: soccorrere e sostenere in qualche modo le Chiese che all’Est, in particolare in Ungheria, in Cecoslovacchia e in Iugoslavia, avevano bisogno di aiuto. Potremmo dire che l’Ostpolitik, in senso stretto, fu condotta in questi tre stati i cui governi per primi avevano fatto giungere alla Santa Sede l’interesse per contatti. Il secondo obiettivo, di ampio respiro e di visione politica più generale, entrò nel progetto di Paolo VI il quale, superati i comprensibili dubbi sui rischi dell’apertura all’Est – in ciò sostenuto anche dal parere unanime dei cardinali della Congregazione per gli affari ecclesiastici straordinari espresso nel luglio del 1963 – considerò le trattative e i contatti con i governi comunisti come un’applicazione, pur difficile e complessa, dei principi esposti successivamente nella Ecclesiam suam (ES)». Sul primo punto, i documenti emersi soprattutto dalle carte di Casaroli e negli archivi dei paesi dell’Est dopo la fine del comunismo hanno reso possibile una visione oramai piuttosto completa dell’insieme dell’azione diplomatica della Santa Sede, recupe- IL REGNO - AT T UA L I T À 12/2008 randone appieno un giudizio critico positivo. Meno scavato è il secondo aspetto, quello pastorale ed ecclesiologico. Accolta allora, frettolosamente, sul piano prevalente della giustificazione del dialogo (anche del tentativo politico-diplomatico) e oggi pressoché dimenticata sul piano del metodo, l’enciclica programmatica di Paolo VI faceva del dialogo un approccio «molteplice» e «sperimentale» delle vie della salvezza, «l’unione della verità e della carità», tagliando gli ormeggi da ogni apriorismo e immobilismo. «Qui si pone – affermava il papa – una grande questione, quella dell’aderenza della missione della Chiesa alla vita degli uomini in un dato tempo, in un dato luogo, in una data cultura, in una data situazione sociale» (ES 89; EV 2/197). Il realismo accorato col quale il papa continuava a guardare alla condizione dei cristiani e più in generale della libertà religiosa e morale, nelle società dell’ateismo di stato – «La nostra deplorazione (…) è lamento di vittime»; «L’ipotesi di un dialogo si fa assai difficile (...) per non dire impossibile»; «La Chiesa del silenzio tace, parlando solo con la sua sofferenza»; «Noi non disperiamo» (ES 105107.109; EV 2/202ss) – era inserito in una visione ecclesiologica nuova. È questo approccio che ha consentito di reggere pazientemente, di non lasciarsi stancare, di sopportare le incomprensioni esterne e interne alla Chiesa. Per le necessità del le Chiese locali Sulla stessa lunghezza il giudizio conclusivo del card. Silvestrini, stretto collaboratore del card. Casaroli e coartefice con lui, in diverse fasi, dell’azione della Santa Sede, in particolare alla Conferenza di Helsinki: «La tradizione della Santa Sede è sempre stata di non prendere iniziative di rottura sul piano diplomatico anche nelle situazioni di maggior ostilità o tensione da parte dei governi. Essa non ritirò i suoi rappresentanti dai paesi entrati a far parte dell’area socialista, anzi fece tutto il possibile perché potessero continuare a rimanerci. Ma tra il 1945 e il 1952 i governi di Ungheria, Bulgaria, Cecoslovacchia, Romania e Iugoslavia costrinsero i diplomatici pontifici a lasciare il paese. Neocatecumenali Nel tempo successivo, a partire dal 1963 con le iniziative di papa Giovanni XXIII, fu avviata la ripresa di un dialogo non appena l’altra parte vi si dimostrava disposta: incoraggiandovela, e se possibile, facilitandogliela. “Un dialogo leale, comprensivo, cortese nelle forme quanto fermo nei principi e prudente nel procedere. Cortesia, fermezza e prudenza che rispondono, tutte, a un identico imperativo di carità: verso gli uomini, ancorché già avversari e tuttora non amici; verso la verità, la giustizia, la Chiesa”. Il grado di interesse politico che i singoli governi avevano nel trattare con la Santa Sede era l’autorità di questa sulle comunità cattoliche. “Ma il dialogo non poteva significare abbandono o sconfessione di quelli che per la Chiesa avevano lottato e sofferto; anzi si dirigeva al loro servizio e faceva calcolo sulla loro prontezza a cooperare e a sacrificarsi nobilmente per una causa superiore, che era quella della Chiesa e della loro nazione. In certo senso era omaggio a chi con la propria fedeltà aveva permesso alla Chiesa di sopravvivere e di convincere altri a ritornare al dialogo con essa”.4 Lo sforzo della Santa Sede si concentrò su alcune priorità: il riconoscimento dell’autorità del papa sui cattolici del paese, il ristabilimento della gerarchia nelle diocesi, la possibilità della comunicazione vicendevole tra i vescovi e Roma, per assicurare la concreta comunione all’interno delle Chiese locali e nei rapporti con la Santa Sede. Nessun negoziato fu mai condotto sulla testa dei vescovi. Ogni negoziato faceva anzi leva sulla forza morale, sulla presenza e sulla determinazione delle Chiese locali». La lezione di Cas aroli Sul piano storiografico, Giovagnoli ha ricordato anche il ruolo avuto da importanti segretari di stato come Cicognani e Villot, che sostennero sempre con convinzione l’azione rischiosa di Casaroli. «L’interesse per l’Ostpolitik della Santa Sede e per la figura del card. Agostino Casaroli, che ne fu il principale tessitore, si colloca al crocevia di diverse prospettive storiografiche.5 È il caso, anzitutto, della storia dei pontificati contemporanei, una prospettiva storiografica verso la quale si è manifestato negli ultimi anni un crescente interesse. La vicenda dell’Ostpolitik è in questo senso emblematica: questa peculiare politica orientale della Santa Sede è stata perseguita da tre diversi papi, Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II, in sostanziale continuità, ma anche con accentuazioni notevolmente diverse». Da questo punto di vista il convegno vaticano rappresenta un’assunzione anche da parte dell’attuale Segreteria di stato e dell’attuale pontificato di quella lezione politica che ebbe con Giovanni Paolo II il suo efficace compimento. Un’assunzione-riaffermazione importante nel momento in cui non solo la storiografia ne recupera il valore a ogni livello, ma anche di fronte alla riaffermazione di un metodo che oggi può avere ancora un significato positivo di fronte alla grande questione cinese, come ha indicato implicitamente lo stesso Bertone. Gianfranco Brunelli 1 Le celebrazioni per Casaroli erano state aperte dalla messa di suffragio, il giorno 9, presieduta dal card. Angelo Sodano, decano del sacro collegio. Il giorno 10, nell’aula sinodale, presente una significativa rappresentanza del corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, e diversi cardinali e vescovi di curia, oltre a una rappresentanza della diocesi e delle autorità civili di Piacenza (città di Casaroli), ha visto il seguente svolgimento: «L’Ostpolitik di Agostino Casaroli, (1963-1989)», relazione di Tarcisio Bertone; «Agostino Casaroli, tessitore delle relazioni fra i popoli», interventi di: Jean-Louis Tauran, Jean-Bernard Raimond, Wladislaw Bartoszewski; «Ostpolitik, un bilancio storiografico» relazione di Agostino Giovagnoli; conclusioni del card. Silvestrini. Nel corso dell’incontro sono stati letti i messaggi di Benedetto XVI, del presidente Gorbaèëv, del presidente Napolitano, dell’arcivescovo di Cracovia Stanislaw Dziwisz. 2 A. CASAROLI, Il martirio della pazienza. La Santa Sede e i paesi comunisti, Einaudi, Torino 2000. 3 Si vedano in particolare: G. BARBERINI, L’Ostpolitik della Santa Sede. Un dialogo lungo e faticoso, Il Mulino, Bologna 2007; e l’ultimo, presentato al convegno: G. BARBERINI (a cura di), La politica del dialogo. Le Carte Casaroli sull’Ostpolitik vaticana, Il Mulino, Bologna 2008. 4 A. CASAROLI, «Conferenza all’ISPI di Milano», in Nella Chiesa per il Mondo, 20.1.1972, 272-273. 5 Una rassegna della storiografia sull’Ostpolitik in A. ROCCUCCI, «Il concilio Vaticano II e l’elezione di Giovanni Paolo II: Mosca di fronte a due svolte importanti dell’Ostpolitik vaticana», in A. MELLONI (a cura di), Il filo sottile. L’Ostpolitik vaticana di Agostino Casaroli, Il Mulino, Bologna 2007, 247-248. Statuti definitivi L a consegna ufficiale degli Statuti definitivi del Cammino neocatecumenale è avvenuta il 13 giugno scorso presso il Pontificio consiglio per i laici. Dopo sei anni dall’approvazione ad experimentum il 29.6.2002 (cf. Regno-doc. 15, 2002,472; Regno-att. 14,2002.452) si è giunti ora al passo definitivo. Con il coinvolgimento di cinque diversi dicasteri romani (Congregazione per la dottrina della fede, per il clero, per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, per l’educazione cattolica) viene confermata l’identità del Cammino non come movimento né come associazione, ma come «itinerario di formazione cattolica» (Decreto), come «una delle modalità di attuazione diocesana dell’iniziazione cristiana» (art. 1 § 2). Si tratta di una sostanziale conferma dei precedenti Statuti provvisori sia come numero di articoli (35) sia come titoli (natura e attuazione, neocatecumenato, educazione permanente alla fede, catecumenato battesimale, modalità di servizio alla catechesi, équipe responsabile internazionale del Cammino) sia come impianto delle note. Una maggiore cura vi è stata nella definizione dei termini a partire dalla qualifica di «itinerario» (art. 1) alla rimozione dell’identificazione della piccola comunità con il «corpo di Cristo risorto» (vecchio art. 15), dalla semplificazione di formule come «precatecumenato postbattesimale» (vecchio art. 19) all’attribuzione diretta ai catecumeni più che alla Chiesa delle fasi dell’iniziazione (art. 20). Molto sopiti anche gli accenni che il vecchio testo conteneva rispetto alle polemiche ecclesiali (cf. Regno-att. 16,2002, 523). Scompare nel decreto la rivendicazione del Pontificio consiglio come riferimento del Cammino (dato ormai per evidente) e si considera adeguata l’obbedienza alle indicazioni circa la celebrazione eucaristica date dalla Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti IL REGNO - AT T UA L I T À 12/2008 385