AA 2012-2013 SP 2013
Prof. Uberto MOTTA
Corso monografico di letteratura moderna
Le Odi e Il Giorno di Parini
(mercoledí 17-19h, MIS 3028)
Calendario
1)
2)
3)
4)
5)
6)
7)
20 febbraio
27 febbraio
6 marzo
13 marzo
GIOVEDÌ 14 marzo, 17-19h (recupero del 24 aprile) MIS 3026
20 marzo
27 marzo
3 aprile: vacanze di Pasqua
8) 10 aprile
9) 17 aprile
24 aprile: lezione sospesa – recupero: 14 marzo
10) 1 maggio
11) GIOVEDÌ 2 maggio, 17-19h (recupero del 15 maggio) MIS 3026
12) 8 maggio
15 maggio: lezione sospesa – recupero: 2 maggio
13) 22 maggio
14) 29 maggio
Bibliografia (1)
Edizione d’uso
G. Parini, Il Giorno. Le Odi, a cura di Giuseppe Nicoletti, Milano, RizzoliBUR, 2011.
Edizioni di consultazione
G. Parini, Poesie e prose, a cura di Lanfranco Caretti, Milano-Napoli,
Ricciardi, 1951.
G. Parini, Il Giorno, ed. critica a cura di D. Isella, 2 voll., Milano-Napoli,
Ricciardi, 1969.
G. Parini, Le Odi, ed. critica a cura di D. Isella, Milano-Napoli, Ricciardi,
1975.
G. Parini, Il Giorno, edizione critica di Dante Isella, commento di Marco
Tizi, Milano-Parma, Fondazione Pietro Bembo-Guanda Editore, 1996.
G. Parini, Le Odi, a cura di Nadia Ebani, Milano-Parma, Fondazione
Pietro Bembo-Guanda Editore, 2010.
Bibliografia (2)
R. Spongano, Il primo Parini, Bologna, Patron, 1963.
L. Poma, Stile e società nella formazione del Parini, Pisa, Nistri-Lischi, 1967.
D. Isella, L’officina della «Notte» e altri studi pariniani, Milano-Napoli,
Ricciardi, 1968.
R. Leporatti, Per dar luogo a la notte. Studi sull’elaborazione del «Giorno»
del Parini, Firenze, Le Lettere, 1990.
M. Tizi, La lingua del «Giorno» e altri studi, Lucca, Pacini Fazzi, 1997.
Interpretazioni e letture del «Giorno», Atti del Convegno (2-4 ottobre 1997),
a cura di G. Barbarisi e E. Esposito, Milano, Cisalpino, 1998.
L’amabil rito. Società e cultura nella Milano del Parini, Atti del Convegno (810 novembre e 14-16 dicembre 1999), 2 voll., Milano, Cisalpino, 2000.
Le buone dottrine e le buone lettere, Atti del Convegno (17-19 novembre
1999), a cura di B. Martinelli, C. Annoni e G. Langella, Milano, Vita e
Pensiero, 2001.
Rileggendo Giuseppe Parini. Storia e testi, Atti del Convegno (10-12 maggio
2010), a cura di M. Ballarini e P. Bartesaghi, Milano, Biblioteca Ambrosiana,
2011.
Milano nel Settecento
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1706, il Ducato di Milano è integrato all’Impero Asburgico
1740, sale al trono Maria Teresa d’Austria
1780, morte di Maria Teresa e successione di Giuseppe II
1790, morte di Giuseppe II; gli succede il fratello Leopoldo
II, e alla morte di questi (1792) sale al trono Francesco II
• 1796-97, campagna d’Italia di Napoleone. Costituzione
della Repubblica Cisalpina, di cui Milano è capitale
• Nel 1769 Milano ha 125mila abitanti : il 4% nobili (5160), il
5% ecclesiastici (6670), il 91% (114500) terzo stato (di cui
64800 donne, fanciulli o vecchi, e 49700 individui attivi).
La cultura milanese alla metà del Settecento
• Accademia dei Trasformati, 1743-1768,
fondata dal conte Giuseppe Maria Imbonati
► autori dialettali: Carl’Antonio Tanzi, Domenico
Balestrieri, Giancarlo Passeroni
• Accademia dei Pugni, 1761-1766, fondata da
Pietro e Alessandro Verri
► 1764, Dei delitti e delle pene
► 1764-66, «Il Caffè»
Pietro Verri, Perché mai gli uomini di lettere erano onorati nei
tempi addietro, e lo sono sì poco ai tempi nostri?
“Sorge una disputa fra due o più oscuri scrittori per sapere qual fosse la
patria d’Omero, di Plinio, del Tasso, e che so io: ciascuno vi suda degli
anni, e partorisce un grosso tomo, e lo fa stampare, e poi si lagna perché
nessuno lo legga. Ma che vuole egli, che gli uomini s’annoino a leggere
un ammasso disordinato di rottami d’erudizione per cavarne poi una
notizia la quale non contribuisce in nulla al bene di alcuno? Viene un
altro, e vi scarabocchia egloghe, sonetti, eterne inezie in rima, le quali
partono da un animo vôto d’idee, e non lasciano al lettore che il rimorso
d’avere malamente speso il suo tempo: con quale titolo pretende egli
alla stima de’ suoi contemporanei? Scrivete, o giovani di talento, giovani
animati da un sincero amore del vero e del bello, scrivete cose che
riscuotano dal letargo i vostri cittadini, e gli spingano a leggere, e a
rendersi più colti; sferzate i ridicoli pregiudizi che incatenano gli uomini,
e gli allontanano dal ben fare; comunicate agli uomini le idee chiare, utili
e ben disposte; cercate in somma di rendere migliori e nel cuore e nello
spirito i vostri contemporanei”.
D. Balestrieri, Rime milanesi: Sora l’ignoranza (ed. 1774)
De ignoranza ghe n’è propri a baloch
e par quistalla no ghe va sudor,
e l’è par quest che ’n vedem minga pocch,
che la cobbien col titol de dottor.
La tacca l’ignoranza e sciori e sbiocch,
ma in di sciori la troeuva de impostor,
c’hin marzocch, e no passen par marzocch
mediant i fed fals di adulator.
Gh’è l’ignoranza, che la se po’ dì
de so pè; gh’è poeù l’oltra de chi lassa
mal coltivaa on talent, che ’l pò fruttì.
Ma via d’on cert epitet tutt coss passa;
el mè brusor de stomegh l’è a sentì
quella, che ciammen ignoranza grassa.
Di ignoranza ce n’è proprio a
bizzeffe e non occorre sudare
per acquistarla; per questo ne
vediamo non pochi, che la
accompagnano col titolo di
dottore.
L’ignoranza contagia ricchi e
miserabili, ma fra i ricchi trova
degli impostori, i quali pur
essendo dei babbei non passano
per tali, grazie alle false
attestazioni degli adulatori.
C’è l’ignoranza che su può
definire naturale; c’è poi l’altra di
chi lascia mal coltivato un
talento, che potrebbe dare frutti.
Ma tutto è ammissibile, tranne
un certo epiteto; mi viene il
brucior di stomaco sentendo
quella che chiamano ignoranza
crassa.
Giuseppe Parini (1729-1799)
Tratti fondamentali di una personalità complessa
• l’umile origine
• l’innata vocazione pedagogica
• la fermissima fede nell’utilità sociale della
poesia e della cultura
• la concezione non formale del cristianesimo
J.B. D’Alembert, Essai sur la société
des gens de lettres et des grands
(1753)
Appunti per una biografia (I)
• 1729, nascita
• 1738, trasferimento a Milano
• 1740-52, studi presso la scuola di Sant’Alessandro
dei padri Barnabiti
• 1752, Alcune poesie di Ripano Eupilino
• 1753, ingresso nell’Accademia dei Trasformati
• 1754-62, precettore in casa dei duchi Serbelloni
• 1763-68, precettore in casa dei conti Imbonati
• 1763, Il Mattino
• 1765, Il Mezzogiorno
Appunti per una biografia (II)
• 1768, nomina a poeta del Regio Ducale Teatro
• 1769, redattore della «Gazzetta di Milano» e
professore di eloquenza e belle lettere alle Scuole
Palatine
• 1771, Ascanio in Alba
• 1774, membro della commissione per la riforma
delle scuole
• 1776, membro della Società patriottica
• 1791 sovrintendente alle Scuole pubbliche;
edizione delle Odi
• 1799, morte
Voi, che sparsi ascoltate in rozzi accenti
i pregi eccelsi della Donna mia,
non istupite, se tra questi fia
cosa ch'avanzi 'l creder delle genti;
poichè, sebbene per laudarla i' tenti
le penne alzar per ogni alpestre via,
quel che meglio però dir si devria,
riman coperto alle terrene menti.
Nè sia chi dall'esterno mio dolore,
onde in pianti mi struggo a poco a poco,
misuri la pietà dentro al suo core:
perchè, quantunque in ogni tempo e loco
far mostra i' soglia del mio grande ardore,
assai maggior, ch'i' non dispiego, è 'l foco.
Alcune poesie
di Ripano Eupilino, I
Alcune poesie di Ripano Eupilino, LXXIII
O Fortuna, Fortuna crudelaccia,
Allora sì diventerei felice.
che se' fatta per mia disperazione;
Ma perchè osservo la legge cristiana,
Fortuna non più no, ma Fortunaccia,
ognun mi scaccia, ognun mi maledice,
ha a durare un pezzo sta canzone?
e son sempre infelice.
Vogliam finirla, e volger quella faccia
Ma vivrò, sguaiataccia, al tuo dispetto;
un poco ancora alle buone persone?
e se ti grappo un dì per quel ciuffetto,
Che sì che mi daresti roba a braccia
s'io t'avessi la ciera d'un briccone?
te lo strappo di netto:
sicchè i ragazzi, a vederti sì bella,
S'io fossi, verbigrazia, una puttana
o un castrato o una cantatrice
o un bel marmocchio ovvero una ruffiana?
t'abbian a gridar dietro: — Vella, vella!
Voi me ne avete fatti tanti e tanti
di questi vostri attacci arcipoltroni,
che se tornate a rompermi i. . . . . . . .
vi tratterò da birbe e da furfanti.
Voi siete una tormaccia di pedanti,
che non volete intender le ragioni;
e perchè fate i saggi e i dottoroni
stimate gli altri goffi ed ignoranti.
Che c'è egli drento in que' vostri libracci
a non volere che sien letti mai
quando voi nol volete, ignorantacci?
Il diavol, credo, che vi salti omai
su que' vostri muffati granellacci,
e vi faccia gridare: — Ahi ahi ahi ahi! —
Alcune poesie
di Ripano Eupilino, LXXXI
G. Parini, Dialogo sopra la nobiltà (I)
Poeta. Questo è un luogo ove tutti riescono pari; e
coloro, che davansi a credere tanto giganti sopra di
noi colassù, una buona fiata che sien giunti qua,
trovansi perfettamente appaiati a noi altra canaglia:
non ècci altra differenza, se non che, chi più grasso
ci giugne, così anco più vermi se 'l mangiano. Voi
avete in oltre a sapere che quaggiù solo stassi
ricoverata la verità. Quest'aria malinconica, che qui
si respira fino a tanto che reggono i polmoni, non è
altro che verità, e le parole, ch'escono di bocca, il
sono pure.
G. Parini, Dialogo sopra la nobiltà (II)
Poeta. Onde vien egli però che, quando io era colassù tra'
viventi, a me pareva che una così gran parte di voi altri
fosse ignorante, stupida, prepotente, avara, bugiarda,
accidiosa, ingrata, vendicativa e simili altre gentilezze?
Forse che talora per qualche impensato avvenimento si è
introdotta qualche parte del nostro sangue eterogeneo
per entro a que' purissimi canali de' vostri antenati? Ed
onde viene ancora, che tra noi altra plebe io ho veduto
tante persone letterate, valorose, intraprendenti, liberali,
gentili, magnanime e dabbene? Forse che qualche parte
del vostro purissimo sangue vien talora, per qualche
impensato avvenimento, ad introddursi negli oscuri canali
di noi altra canaglia?
G. Parini, Dialogo sopra la nobiltà (III)
Poeta. Non vi sembra egli giusto che, se voi avete ereditato i loro meriti, così ancora
dobbiate ereditare i loro demeriti, a quella guisa appunto che chi adisce un'eredità
assume con essa il carico de' debiti che sono annessi a quella? e che per ciò, se
quelli furono onorati, siate onorato ancora voi, e, se quelli furono infami, siate
infamato voi pure?
Nobile. No certo, ché cotesto non mi parrebbe né convenevole né giusto.
Poeta. E perché ciò?
Nobile. Perché io non sono per verun modo tenuto a rispondere delle azioni altrui.
Poeta. Per qual ragione?
Nobile. Perché, non avendole io commesse, non ne debbo perciò portare la pena.
Poeta. Volpone! voi vorreste adunque godervi l'eredità, lasciando altrui i pesi, che le
appartengono, eh! Voi vorreste adunque lasciare a' vostri avoli la viltà del loro
primo essere, la malvagità delle azioni di molti di loro e la vergogna che ne dee
nascere, serbando per voi lo splendore della loro fortuna, il merito delle loro virtù, e
l'onore ch'eglino si sono acquistati con esse.
Nobile. Tu m'hai così confuso, ch'io non so dove io m'abbia il capo.
G. Parini, Al Padre D. Paolo Branda, 1760 (I)
Non siete voi letterato? Non siete voi cittadino? Non siete voi cristiano?
Non siete voi Religioso? […] Le scienze vi debbon pure avere insegnato
che tanto vale l’uno quanto l’altr’uomo: gli obblighi del cittadino debbono
avervi ammaestrato a non far veruna distinzione tra i vostri compatriotti,
quando questi, ciascuno per la sua via, tendono alla comune felicità: la
carità del cristiano a portare e mostrare anche nelle menome cose amore
indistintamente ed universalmente a tutti quanti i prossimi vostri: e
l’osservanza religiosa, per fine, a perfezionare in voi tutte queste virtù, che
debbono esser proprie del letterato, del cittadino e del cristiano. Ecco le
riprensioni che vi si potrebbero fare, se voi vi burlaste delle povere
femminelle milanesi contra i doveri del cittadino, e contra il precetto il
qual dice: - Merita pena colui che chiama il suo fratello pazzo o carogna
[cfr. Mt 5,22: “chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a
giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi
gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna”].
G. Parini, Al Padre D. Paolo Branda, 1760 (II)
Ma via, sia pur vero che voi abbiate biasimato solamente il linguaggio della
plebe nostra, come andate dicendo nel secondo Dialogo. Tenete però voi in
così piccolo conto questa lingua, che meriti d’esser chiamata, anche in
presenza di chi la parla, lingua d’oca, lingua sgraziata, goffa, fetente, unta,
lercia, scipita, disadatta? Questo linguaggio anzi della plebe, che voi nel
secondo Dialogo volete aver solo biasimato, questo anzi è il vero e più puro
linguaggio milanese, e quello per conseguenza che meno dovrebbe
meritarsi le vostre derisioni.
Le lingue, come voi medesimo a me potete insegnare, sono tutte
indifferenti per riguardo alla intrinseca bruttezza o beltà loro. Le voci, onde
ciascuna è composta, sono state somministrate agli uomini dalla necessità
di spiegare e comunicarsi vicendevolmente i pensieri dello animo loro; e la
Natura, a misura che negli uomini sono cresciute le idee, ha dato loro segni
da poterle esprimere al di fuori: onde nasce che ciascuna lingua è
abbastanza perfetta, qualora non manchino ad essa quelle voci che si
richieggono a potere spiegare ciascuna idea di colui che la parla.
G. Parini, Al Padre D. Paolo Branda, 1760 (III)
Noi Milanesi siamo presso le altre nazioni distinti per la semplicità e per la
schiettezza dello animo; e per quella nuda ed amorevole cordialità che è il
più soave legame della società umana. […] Questa medesima schiettezza e
semplicità, che i forestieri riconoscono come singolarmente propria della
nostra nazione, è paruto di trovar nella nostra lingua milanese a coloro de’
nostri che posti sonosi ad esaminarne la natura. E, o sia che realmente i
Milanesi non abbiano giammai appreso a favellare dall’arte, e non
abbiano vocaboli o maniere di dire proprie a deludere altrui, siccome
quelli che non ne hanno i pensieri; o sia che gli osservatori del nostro
dialetto abbian creduto di vedere in esso ciò ch’eglino stessi desideravano;
certa cosa è che la nostra lingua è sembrata loro spezialmente inchinata
ad esprimer le cose tali e quali sono, senza aver grande bisogno in
qualunque argomento di sostenerla con tropi e traslati ed altre maniere
artifiziose del dire, che nate sono, o dalla mancanza dell’espressioni
proprie e naturali. o dall’arte di sorprendere il cuore ferendo
l’immaginazione.
G. Parini, Discorso sopra la poesia (1761)
Il poeta, come si può dedurre da quel che di sopra abbiamo detto della
poesia, dee toccare e muovere; e, per ottener ciò, dee prima esser
tócco e mosso egli medesimo. Perciò non ognuno può esser poeta,
come ognuno può esser medico e legista. Non a torto si dice che il
poeta dee nascere. Egli dee aver sortito dalla natura una certa
disposizione degli organi e un certo temperamento che il renda abile a
sentire in una maniera, allo stesso tempo forte e dilicata, le
impressioni degli oggetti esteriori; imperocchè come potrebbe
dilicatamente o fortemente dipingerli ed imitarli chi per un certo modo
grossolano ed ottuso le avesse ricevute? La poesia che consiste nel
puro torno del pensiero, nella eleganza dell'espressione, nell'armonia
del verso, è come un alto e reale palagio che in noi desta la maraviglia
ma non ci penetra al cuore. Al contrario la poesia che tocca e muove, è
un grazioso prospetto della campagna, che ci allaga e ci inonda di
dolcezza il seno.
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AA 2012-2013 SP 2013 Prof. Uberto MOTTA Corso monografico di