La responsabilità civile e penale delle imprese in campo ambientale alla luce delle novità comunitarie Barbara Pozzo Professore Ordinario di Diritto Comparato Camera di Commercio 8 febbraio 2011 Il quadro delle responsabilità civili in campo ambientale alla luce delle iniziative comunitarie 1. Direttiva Comunitaria 2004/35 2. Recepimento con la Parte VI D.Lgs. 152/2006 3. Procedura di infrazione 4. Pronuncia della Corte del Lussemburgo Profili generali La Direttiva 2004/35 del 21 aprile 2004 sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale prevede una disciplina più circoscritta, anche se per certi versi più severa, di quella vigente in Italia da almeno un ventennio e che si basava sulla legge n. 349 del 1986. Principali differenze tra normativa comunitaria e normativa italiana del 1986 2.1. si prevede una nozione di danno all’ambiente solo per ipotesi specifiche (biodiversità, terreno e acque, mentre non viene data rilevanza all’aria, che invece veniva presa in considerazione dalla legislazione italiana previgente). 2.2. le attività imprenditoriali assoggettate al regime di responsabilità sono quelle specificatamente prese in considerazione da un apposito Allegato tecnico. Tale selezione delle attività imprenditoriali, non presente nella precedente legislazione italiana, appare rilevante anche a fini assicurativi 2.3. si prevede un doppio regime di responsabilità: un primo criterio di responsabilità oggettiva qualora si tratti di attività selezionate nei confronti di beni ambientali presi in considerazione dalla Direttiva; un secondo criterio di responsabilità per colpa, qualora invece l’attività non sia una di quelle elencate dalla Direttiva e il danno sia stato causato alla biodiversità. La legislazione italiana previgente stabiliva un unico criterio di responsabilità per colpa, anche se la giurisprudenza aveva interpretato la norma alla luce delle disposizioni codicistiche (art. 2050 e 2051) e aveva elaborato ipotesi di responsabilità in cui aveva applicato un criterio di tipo oggettivo 2.4. si prevedono specifici criteri di riparazione del danno all’ambiente, tra i quali il risarcimento per equivalente è previsto solo come criterio sussidiario Recepimento in Italia Questi quattro capisaldi della direttiva 2004/35 nella fase di adeguamento della normativa nazionale ai dettami comunitari, avvenuta con la Parte Sesta del D.Lgs. 152/2006, hanno dato luogo ad alcuni fraintendimenti che hanno complicato l’applicazione della normativa, sia per l’ente pubblico, così come per le imprese e per gli assicuratori. Tali fraintendimenti derivano: 3.1. dalla previsione di due diverse ipotesi di danno all’ambiente (art. 300 e art. 311, secondo comma) senza la previsione di un criterio di collegamento tra di loro 3.2. dalla mancata selezione delle attività assoggettate alla responsabilità per danno all’ambiente (in sostanza manca l’allegato tecnico previsto dalla Direttiva) 3.3. dalla previsione di un solo criterio di responsabilità ambientale di tipo soggettivo e non oggettivo 3.4. dal mancato recepimento dei criteri di ripristino, ed in particolare della gerarchia prevista dall’allegato tecnico della Direttiva Tali incertezze portano: da un lato all’apertura di una procedura di infrazione da parte della Commissione nei confronti del governo italiano dall’altro alla presentazione da parte del TAR Sicilia di una richiesta di interpretazione pregiudiziale alla Corte di Giustizia del Lussemburgo sulla compatibilità della legislazione italiana con i dettami della legislazione comunitaria. I. Procedura di infrazione In data 31 gennaio 2008 la Commissione ha avviato la P.I. 2007/4679 ex art. 226 nei confronti del Governo italiano, ritenendo che il decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006, parte IV (recante “Norme in materia di tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente”), titolo V (“Bonifica dei siti contaminati”), e della Parte VI (recante “Norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati”), non abbia correttamente recepito la direttiva 2004/35, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale. 1° profilo di non conformità: criterio di imputazione della responsabilità - violazione degli artt. 3 e 6 della direttiva, i quali stabiliscono un regime di responsabilità oggettiva per il danno ambientale causato dalle attività professionali elencate nell’allegato III della direttiva (art.3) e, nel caso in cui il danno si sia verificato, prevedono una serie di obblighi per gli operatori e per le autorità competenti, compreso l’obbligo di adottare misure di riparazione (art. 6). Al contrario, a parere della Commissione il dlgs. 152/2006 àncora la responsabilità per danno ambientale ai requisiti del dolo e della colpa (utilizzati dalla direttiva, solo per il danno alle specie ed habitat naturali protetti, causato da attività professionali non inserite nell’allegato III della direttiva), restringendo indebitamente il campo di applicazione della 2° profilo di non conformità: eccezione non prevista dalla Direttiva - violazione dell’art. 4 della direttiva, poiché l’art. 303 del dlgs. 152/2006, nell’elencare le esclusioni dall’ambito di applicazione della Parte sesta del decreto, stabilisce che essa non si applica “alle situazioni di inquinamento per le quali siano effettivamente avviate le procedure relative alla bonifica, o sia stata avviata o sia intervenuta bonifica dei siti nel rispetto delle norme vigenti in materia, salvo che ad esito di tale bonifica non permanga un danno ambientale”. Tale eccezione non risulta dall’art. 4 della direttiva. 3° profilo di non conformità: gerarchia di misure di riparazione - violazione degli artt. 1 e 7 e dell’allegato II della direttiva. L’art. 7 della direttiva stabilisce che in caso di danno ambientale gli operatori individuano le possibili misure di riparazione e le autorità competenti decidono quali misure siano da attuare conformemente all’allegato II della direttiva. Questo stabilisce una gerarchia di misure, che vede al primo posto la riparazione primaria e solo laddove essa non sia possibile, prevede la necessità di individuare misure di riparazione complementare e compensativa, per individuare le quali è previsto il ricorso a metodi di equivalenza risorse-risorse o servizio-servizio e metodi alternativi di valutazione. Forme di riparazione previste dalla Direttiva 1. 2. 3. Riparazione primaria Riparazione complementare Riparazione compensativa Riparazione primaria Lo scopo della riparazione primaria è quello di riportare le risorse naturali e/o i servizi danneggiati alle o verso le condizioni originarie. Riparazione complementare Qualora le risorse naturali e/o i servizi danneggiati non tornino alle condizioni originarie, sarà intrapresa la riparazione complementare. Lo scopo della riparazione complementare è di ottenere, se opportuno anche in un sito alternativo, un livello di risorse naturali e/o servizi analogo a quello che si sarebbe ottenuto se il sito danneggiato fosse tornato alle condizioni originarie. Laddove possibile e opportuno, il sito alternativo dovrebbe essere geograficamente collegato al sito danneggiato, tenuto conto degli interessi della popolazione colpita. Riparazione compensativa La riparazione compensativa è avviata per compensare la perdita temporanea di risorse naturali e servizi in attesa del ripristino. La compensazione consiste in ulteriori miglioramenti alle specie e agli habitat naturali protetti o alle acque nel sito danneggiato o in un sito alternativo. Essa non è una compensazione finanziaria al pubblico. 3° profilo di non conformità: risarcimento per equivalente Benché la direttiva preveda in alcuni casi l’utilizzo di tecniche di valutazione monetaria, queste sono da utilizzarsi allo scopo di determinare la portata delle misure di riparazione complementare e compensativa, e non allo scopo di sostituire tali misure (o le misure di riparazione primaria) con risarcimenti pecuniari. 3° profilo di non conformità - II Contrariamente a quanto sopra esposto, varie disposizioni del dlgs 152/2006 consentono che le misure di riparazione possano essere sostituite da risarcimenti per equivalente pecuniario (artt. 311, 312, 313 del decreto). In particolare, l’art. 311 (2) consente che le misure di riparazione possano essere sostituite da risarcimento per equivalente patrimoniale anche laddove la sola riparazione primaria non sia possibile. La Commissione rinviene, pertanto, nella normativa italiana una lacuna relativa all’obbligo di individuare adeguate misure di riparazione complementare e compensativa (art. 7 della direttiva), laddove il ripristino della precedente situazione (riparazione primaria) non sia possibile. In risposta alla procedura di infrazione: Il Governo italiano ha introdotto con decreto legge 25 settembre 2009, n. 135, convertito con modifiche dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, l’articolo 5bis, che introduce nuovi criteri per il ripristino del danno ambientale, che rispecchiano maggiormente quelli previsti dalla direttiva 2004/35 re-introduce la responsabilità individuale (e non solidale) dei legittimati passivi, al pari di quanto faceva l’art. 18 della 349/86 Prevede la necessaria promulgazione di criteri di quantificazione del danno ambientale Art. 5 bis a) : misure di riparazione previste dalla Direttiva a) all’articolo 311, al comma 2, le parole da: “al ripristino” fino alla fine del comma sono sostituite dalle seguenti: “all’effettivo ripristino a sue spese della precedente situazione e, in mancanza, all’adozione di misure di riparazione complementare e compensativa di cui alla direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, secondo le modalità prescritte dall’Allegato II alla medesima direttiva, da effettuare entro il termine congruo di cui all’articolo 314, comma 2, del presente decreto. Quando l’effettivo ripristino o l’adozione di misure di riparazione complementare o compensativa risultino in tutto o in parte omessi, impossibili o eccessivamente onerosi ai sensi dell’articolo 2058 del codice civile o comunque attuati in modo incompleto o difforme rispetto a quelli prescritti, il danneggiante è obbligato in via sostitutiva al risarcimento per equivalente patrimoniale nei confronti dello Stato, determinato conformemente al comma 3 del presente articolo, per finanziare gli interventi di cui all’articolo 317, comma 5”; Art. 5 bis b): criteri per la quantificazione b) all’articolo 311, comma 3, sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: “Con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono definiti, in conformità a quanto previsto dal punto 1.2.3 dell’Allegato II alla direttiva 2004/35/CE, i criteri di determinazione del risarcimento per equivalente e dell’eccessiva onerosità, avendo riguardo anche al valore monetario stimato delle risorse naturali e dei servizi perduti e ai parametri utilizzati in casi simili o materie analoghe per la liquidazione del risarcimento per equivalente del danno ambientale in sentenze passate in giudicato pronunciate in ambito nazionale e comunitario. Nei casi di concorso nello stesso evento di danno, ciascuno risponde nei limiti della propria responsabilità personale. Il relativo debito si trasmette, secondo le leggi vigenti, agli eredi nei limiti del loro effettivo arricchimento. Il presente comma si applica anche nei giudizi di cui ai commi 1 e 2”; Art. 5 bis c) : responsabilità individuale c) all’articolo 303, al comma 1, lettera f), sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: “i criteri di determinazione dell’obbligazione risarcitoria stabiliti dall’articolo 311, commi 2 e 3, si applicano anche alle domande di risarcimento proposte o da proporre ai sensi dell’articolo 18 della legge 18 luglio 1986, n. 349, in luogo delle previsioni dei commi 6, 7 e 8 del citato articolo 18, o ai sensi del titolo IX del libro IV del codice civile o ai sensi di altre disposizioni non aventi natura speciale, con esclusione delle pronunce passate in giudicato; ai predetti giudizi trova, inoltre, applicazione la previsione dell’articolo 315 del presente decreto;”; Profili critici Criterio di imputazione della responsabilità Criteri di quantificazione II. Richiesta di interpretazione pregiudiziale di TAR Sicilia Situazione di fatto 4 questioni pregiudiziali Situazione di fatto – I La zona della Rada di Augusta è caratterizzata da fenomeni di inquinamento ambientale che hanno avuto origine, presumibilmente, già in epoche assai lontane, apparentemente non oltre l’immediato dopoguerra. In particolare, il fondale marino in tale zona risulta gravemente contaminato da sostanze nocive. Nel periodo nel corso del quale si è presumibilmente prodotto l’inquinamento, nel sito della Rada di Augusta hanno operato, in parallelo o l’una di seguito all’altra, una pluralità di imprese industriali e petrolifere. Secondo le considerazioni svolte dal giudice del rinvio, ciò può avere la conseguenza di rendere impossibile il concreto accertamento di una responsabilità individuale di singole imprese per l’inquinamento. In una serie di decisioni succedutesi nel tempo, l’amministrazione italiana ha imposto alle imprese attualmente operanti nelle vicinanze della Rada di Augusta l’obbligo di risanare il fondale marino contaminato. Per il caso di inottemperanza alle decisioni adottate, l’amministrazione ha minacciato le imprese interessate che avrebbe fatto eseguire i lavori di bonifica con oneri e costi a loro carico. Le imprese chiamate a effettuare la bonifica esercitano attività che comportano l’utilizzo o la preparazione di sostanze inquinanti per l’ambiente Situazione di fatto – II Secondo le constatazioni del TAR, l’amministrazione ha obbligato le imprese operanti nella Rada di Augusta a procedere al risanamento dei danni ambientali esistenti, senza distinguere tra l’inquinamento pregresso e quello attuale e senza accertare in quale misura ciascuna impresa fosse responsabile per il danno cagionato. Le suddette decisioni sono state impugnate da alcune delle imprese interessate. Prima di sottoporre alla Corte le presenti domande di pronuncia pregiudiziale, il Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia aveva già dichiarato illegittime, con una serie di sentenze, varie delle decisioni impugnate, tra l’altro a motivo della violazione del principio comunitario «chi inquina paga». Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in veste di giudice d’appello, ha però giudicato legittimo il coinvolgimento delle imprese insediate nella Rada di Augusta, sospendendo pertanto nell’ambito di un procedimento l’esecuzione di una sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia. Nel giudizio amministrativo all’origine del procedimento C‑378/08, varie imprese operanti nella Rada di Augusta contestano una decisione adottata in data 20 dicembre 2007, la quale ha imposto loro l’obbligo di risanamento del fondale marino. Situazione di fatto - III La bonifica del fondale marino deve essere effettuata sulla base di un progetto predisposto dalla Società Sviluppo Italia Aree Produttive (in prosieguo: la «Sviluppo Italia»). Tale progetto prevede il dragaggio dei sedimenti contaminati e il loro utilizzo, previo trattamento, ai fini della costruzione di un’isola artificiale in mare. Tale isola artificiale è destinata a servire quale «hub portuale» per navi portacontainer di differenti dimensioni. La Sviluppo Italia è una società costituita dallo Stato e operante sul mercato. L’amministrazione italiana ha conferito alla Sviluppo Italia l’incarico della progettazione e – in caso di inerzia delle imprese interessate – della successiva realizzazione delle misure di risanamento controverse, senza previamente procedere ad una pubblica gara. Secondo la valutazione del giudice nazionale, i lavori affidati sono «di elevatissimo valore economico». Le imprese ricorrenti – oltre alla domanda di annullamento della decisione impugnata – hanno proposto in sede cautelare una domanda di sospensione dell’esecuzione della decisione medesima. Questioni pregiudiziali I 1) Se il principio «chi inquina paga» (art. 174, ex art. 130 R, comma 2, del Trattato della Comunità Europea) nonché le disposizioni di cui alla direttiva 21 aprile 2004, 2004/35/CE ostino ad una normativa nazionale che consenta alla Pubblica Amministrazione di imporre ad imprenditori privati – per il solo fatto che essi si trovino attualmente ad esercitare la propria attività in una zona da lungo tempo contaminata o limitrofa a quella storicamente contaminata – l’esecuzione di misure di riparazione a prescindere dallo svolgimento di qualsiasi istruttoria in ordine all’individuazione del responsabile dell’inquinamento. Questioni pregiudiziali II 2) Se il principio «chi inquina paga» (art. 174, ex art. 130 R, comma 2, del Trattato della Comunità Europea) nonché le disposizioni di cui alla direttiva 21 aprile 2004, 2004/35/CE ostino ad una normativa nazionale che consenta alla Pubblica Amministrazione di attribuire la responsabilità del risarcimento del danno ambientale in forma specifica al soggetto titolare di diritti reali e/o esercente un’attività imprenditoriale nel sito contaminato, senza la necessità di accertare previamente la sussistenza del nesso causale tra la condotta del soggetto e l’evento di contaminazione, in virtù del solo rapporto di «posizione» nel quale egli stesso si trova (cioè essendo egli un operatore la cui attività sia volta all’interno del sito). Questioni pregiudiziali III 3) Se la normativa comunitaria di cui all’art. 174 (ex art. 130 R, comma 2, del Trattato della Comunità Europea) nonché alla direttiva 21 aprile 2004, 2004/35/CE, osti ad una normativa nazionale che, superando il principio «chi inquina paga», consenta alla Pubblica Amministrazione di attribuire la responsabilità del risarcimento del danno ambientale in forma specifica al soggetto titolare di diritti reali e/o d’impresa nel sito contaminato, senza la necessità di accertare previamente la sussistenza, oltre che del nesso causale tra la condotta del soggetto e l’evento di contaminazione, anche del requisito soggettivo del dolo o della colpa. Questioni pregiudiziali IV 4) Se i principi comunitari in materia di tutela della concorrenza di cui al Trattato costitutivo della Comunità Europea e le citate direttive n. 2004/18/CE, n. 93/37/CEE, n. 89/665/CEE, ostino ad una normativa nazionale che consenta alla Pubblica Amministrazione di affidare a soggetti privati (Società Sviluppo S.p.A. e Sviluppo Italia Aree Produttive S.p.A.) attività di caratterizzazione, di progettazione ed esecuzione di interventi di bonifica – recte: di realizzazione di opere pubbliche – su aree demaniali in via diretta, senza esperire preliminarmente le necessarie procedure di evidenza pubblica. II Pronuncia della Corte di Giustizia CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. Grande, 09/03/2010, Sentenze C-379/08 e C-380/08 Misure di riparazione l’autorità competente ha il potere di modificare sostanzialmente misure di riparazione del danno ambientale decise in esito a un procedimento in contraddittorio, condotto in collaborazione con gli operatori interessati, che siano già state poste in esecuzione o la cui esecuzione sia già stata avviata. Tuttavia, al fine di adottare una siffatta decisione, l’autorità : - è obbligata ad ascoltare gli operatori ai quali sono imposte misure del genere, salvo quando l’urgenza della situazione ambientale imponga un’azione immediata da parte dell’autorità competente; - è tenuta parimenti ad invitare, in particolare, le persone sui cui terreni queste misure devono essere poste in esecuzione a presentare le loro osservazioni, di cui essa deve tener conto, e - deve tener conto dei criteri di cui al punto 1.3.1 dell’allegato II alla direttiva 2004/35 e indicare, nella sua decisione, le ragioni specifiche che motivino la sua scelta nonché, eventualmente, quelle in grado di giustificare il fatto che non fosse necessario o possibile effettuare un esame circostanziato alla luce dei detti criteri a causa, ad esempio, dell’urgenza della situazione ambientale. Responsabilità dei proprietari la direttiva 2004/35 non osta a una normativa nazionale la quale consenta all’autorità competente di subordinare l’esercizio del diritto degli operatori destinatari di misure di riparazione ambientale all’utilizzo dei loro terreni alla condizione che essi realizzino i lavori imposti da queste ultime, e ciò persino quando detti terreni non siano interessati da tali misure perché sono già stati oggetto di precedenti misure di bonifica o non sono mai stati inquinati. Tuttavia una misura siffatta dev’essere giustificata: dallo scopo di impedire il peggioramento della situazione ambientale dove dette misure sono poste in esecuzione, oppure, in applicazione del principio di precauzione, dallo scopo di prevenire il verificarsi o il ripetersi di altri danni ambientali nei detti terreni degli operatori, limitrofi all’intero litorale oggetto di dette misure di riparazione. Sulla quarta questione Già nelle Conclusioni dell’Avvocato Generale Kokott, la questione veniva giudicata irricevibile: 171. La Commissione manifesta forti dubbi in ordine alla ricevibilità della quarta questione nella causa C‑378/08, in quanto il giudice nazionale non avrebbe sufficientemente chiarito il contesto di fatto e di diritto in cui tale questione si colloca. 172. In effetti, secondo una costante giurisprudenza, l’esigenza di giungere ad un’interpretazione del diritto comunitario che sia utile per il giudice nazionale impone che quest’ultimo definisca il contesto di fatto e di diritto in cui si inseriscono le questioni da esso sollevate o che esso spieghi almeno le ipotesi di fatto su cui tali questioni sono fondate Conclusioni Criterio di responsabilità: manca una chiara definizione Criteri di quantificazione: manca il Decreto Incertezze giurisprudenziali Polizze assicurative