n°4 - Dicembre 2010 “Un reparto a misura di bambino” c’è bisogno del tuo aiuto! P er questo Natale A.B.C. vuole completare il progetto “Un reparto a misura di bambino” decorando le pareti del reparto, acquistando libri, DVD e giochi. L’obiettivo è quello di rendere la permanenza in ospedale più serena e spensierata, offrendo ai bambini la possibilità di distrarsi e di soddisfare il loro grande bisogno di sentirsi accolti. DONA UTILIZZANDO IL BOLLETTINO CHE TROVI IN ALLEGATO! FAI UNA DONAZIONE in Banca con bonifico intestato a A.B.C. Associazione Bambini Chirurgici del Burlo onlus: FAI UNA DONAZIONE in posta conto corrente postale 91873075 DIVENTA VOLONTARIO Banca di Cividale IBAN IT 51 D 05484 62190 068570399019 oppure Cassa Rurale e Artigiana di Cortina d’Ampezzo e delle Dolomiti IBAN IT 42 B 08511 61070 000000018019 Metti a disposizione un po’ del tuo tempo da dedicare all’attività di A.B.C., oppure organizza qualche evento o incontro di sensibilizzazione e/o di raccolta fondi anche nella tua città. Scrivi a [email protected]. Ti ricordiamo che tutte le donazioni effettuate a favore di A.B.C. sono fiscalmente deducibili o detraibili. Conserva le ricevute del bonifico o del bollettino postale. Per conoscere nei dettagli la normativa, visita il nostro sito www.abcburlo.it. Se hai trovato L’Abbecedario in ospedale e vuoi ricevere gratuitamente i prossimi numeri a casa, inviaci i tuoi dati all’indirizzo [email protected] lo spazio di mister B Cari piccoli, cari grandi, cari bassi, alti, larghi, stretti, leggeri, pesanti, col sorriso o col broncio, coi capelli o senza… cari tutti, insomma, ben trovati! Prima di tutto, con il cuore intero, vi rivolgo il mio augurio di buone feste di Natale: qualunque sia il momento che state vivendo, il Natale sia l’occasione per stringervi in un abbraccio pieno d’amore. E, mi raccomando, continuate ad abbracciarvi anche dopo, quando il Natale sarà passato! Vi sarete già accorti che, questa volta, insieme a L’AbBeCedario, c’è una sorpresa: le istruzioni magiche per costruire, con le vostre mani, gli addobbi per l’albero di Natale. Che forza! Con le mani si possono fare meraviglie. E allora, dato che ci siamo, approfitto per dirvi qualche cosa sulle mie MANI. Provate un po’ a indovinare? Sono GIGANTESCHE, è ovvio. Pensate che i bambini, qualche volta, tirano una rete dal pollice al mignolo, e si fanno una partita di pallavolo, proprio sulla mia mano! Quanto al mio dito indice, be’, spesso lo metto a disposizione degli animali del bosco, come ponte per oltrepassare il torrente. Eh sì, le nostre mani ci accompagnano per tutta la vita, anzi, “fanno” la nostra vita con noi. Così ho pensato, questa volta, di regalarvi proprio una filastrocca che parla della mani. Ricordate che, se volete scrivermi, il mio indirizzo mail è [email protected]. Una carezza speciale, e gigantesca, per ciascuno di voi! il vostro Mister B. immagine di Erika Barletta Mano Manina poesia di Cristina Bellemo Mano manina rossa raggrinzita che cerca che tocca aria nuova di vita su morbidi seni si placa Mano paraurti per cadute all’avventura grattugia d’asfalto e di paura ghirigori di pelle graffiata salata ferita leccata Mano cresciuta senza neanche avvisare le mani grandi che le sono quasi uguali gli anni si son messi le ali Mano col pollice succhiotto inventato sapore conosciuto da sapere ritrovare rifugio sicuro di velluto Mano infangata di terre e cavallette sulle dita unghie vetrinette di scavi voraci e assolati a caccia di tesori immaginati Mano giovinezza il mondo a spaccare sogni palloncino da tenere ogni lontano appare vicino e il futuro è a portata di mano Mano tenaglia che stringe s’aggrappa non sbaglia sa fare si stacca chissà a che lontano vuole arrivare Mano che conta trepertre settepiùsette e dita come buffe marionette appaiono ritte d’un tratto e subito spariscono di scatto Mano disegno a rughe e a segni a strade fitte fatte di storie di preziose memorie giornale in nessun luogo ve n’è una uguale Mano pasticcio di mocci variopinti pennarelli dai colori sorridenti lacrime zampillo di fontane liquidi baci di cane Mano che prega bambine preghiere Gesù ti supplico non farmi interrogare spettinate zazzere offerte sull’altare Tra infinite mani differenti è speciale, davvero, quella mano e così necessaria al mondo come il viaggio al vagabondo ai bambini un acceso girotondo. C/O IRCCS “Burlo Garofolo” Via dell’Istria, 65/1 34137 Trieste Natale in…cantato per a.b.c. Maria e Paolo, genitori di Matilda, una bambina nata con una malformazione addominale, curata e guarita al Burlo di Trieste, rivolgono anche quest’anno un pensiero ad A.B.C. Cantante professionista lei, musicista lui, scelgono infatti di dedicare all’associazione il loro spettacolo “Natale in…cantato”, che si terrà il 23 dicembre prossimo, alle ore 20.30, al teatro Leonardo Da Vinci di San Donà di Piave. I proventi saranno devoluti ai progetti di A.B.C. Il concerto, organizzato da Maria Del Rovere, cantante veneta che ha fatto spettacoli con artisti importanti come Mogol, vede la partecipazione dei cinquantasei bambini del coro Arcobaleno e della scuola di canto Paul Jeffrey di Caorle. Piccoli cantori dai 4 ai 14 anni, accompagnati da musicisti, daranno vita ad uno spettacolo con favole e canti natalizi. A fine concerto ci sarà un buffet per tutto il pubblico e un brindisi per gli auguri di Natale. Siete tutti invitati, non mancate! Per informazioni e prenotazioni: Maria Del Rovere, 3295441786. L’AbBeCedario n. 4 – dicembre 2010 Direttore responsabile: Cristina Bellemo Redazione e coordinamento editoriale: Giusy Battain e Chiara Dal Fiume Editore: A.B.C. Associazione per i Bambini Chirurgici del Burlo onlus, Via dell’Istria 65/1 34137 Trieste Iscrizione nel registro della Stampa tenuto presso il Tribunale di Trieste, autorizzazione n. 1208 del 17/11/2009 Art direction e impaginazione: Kora Comunicazione Stampa: Scarpis di G. Scarpis & C. S.a.s. Tipografia Per questo numero hanno collaborato: Luca Alberti Stefano Furlan Giusy Battain Rossella Giuliani Cristina Bellemo Laura Lodolo Chiara Dal Fiume Antonella Tripani Giuseppina D’Ottavio pag. 1 L’Editoriale Un reparto attrezzato L’Editoriale C ari lettori, eccoci al secondo Natale in compagnia del periodico di A.B.C.: siamo francamente orgogliosi di poter entrare nelle vostre case in questo periodo di festa, in particolare di questa festa, che è certamente la preferita dai bambini. Al di là del credo di ciascuno, il 25 dicembre lo pensiamo sempre per loro e con loro, ancor più se in famiglia i nostri bimbi non godono di salute. L’augurio di A.B.C. va proprio a quei bambini bisognosi di cure, ai loro genitori e a tutti i loro cari perché, prima di tutto, possa avvenire una pronta guarigione e perché i familiari abbiano la forza per sostenere i propri piccoli lungo un percorso che, in alcuni momenti, si presenta come una salita particolarmente ripida. Inoltre, il pensiero va a quei bimbi che trascorrono il periodo natalizio in ospedale, Luca Alberti e il figlio Riccardo perché la loro permanenza possa trascorrere il più serenamente possibile e avere esiti positivi, e soprattutto non vi sia la necessità di altri ricoveri. Con questo numero vi spediamo anche il materiale e le istruzioni per realizzare dei simpatici addobbi con il pannolenci: seguite le indicazioni dei nostri bambini, che proprio in questi giorni stanno realizzando gli stessi lavoretti in ospedale! Infine, un caro augurio di buon Natale a tutti i lettori, grandi e piccini, un sentito grazie ai nostri volontari, a chi continua a starci vicino e a chi crede nel nostro operato, permettendoci di aggiungere una goccia al mare grande della solidarietà. Luca Alberti Presidente di A.B.C. Associazione per i Bambini Chirurgici del Burlo onlus Periodico di informazione su attività, progetti e iniziative proposti da A.B.C. Associazione Bambini Chirurgici del Burlo onlus pag. 2 Chi ha paura dell’anestesista? “Scrivere con la luce” la vita che verrà pag. 3 Amori gemelli Mi piace troppo la cioccolata! Un reparto attrezzato pag. 4 Come aiutare A.B.C. - Natale in… cantato per a.b.c. Dedicato ai bambini: lo spazio di Mr B di Giusy Battain Il punto L’impegno di A.B.C. per un ospedale sempre più efficiente e confortevole S tare accanto ai bambini chirurgici significa anche dar loro la possibilità di vivere la degenza in un luogo accogliente e munito di tutte le strumentazioni necessarie per favorire la loro guarigione. Perché il cuore e le braccia dei medici e degli infermieri possono portare alla guarigione anche grazie a tutte quelle attrezzature che facilitano e integrano il loro lavoro. A.B.C., fin dalla sua costituzione, è intervenuta e continua ad intervenire lì dove i fondi pubblici non sono sufficienti a far fronte alle esigenze dell’ospedale anche in termini di strumenti: dal macchinario sofisticato a, perché no, il televisore per fare un po’ di compagnia ai piccoli pazienti e ai genitori. Con un po’ di fatica, e molti inconvenienti pratici, siamo finalmente riusciti ad installare da qualche giorno dieci tv, una in ogni stanza di degenza del reparto di chirurgia. E anche questo, ne siamo certi, contribuirà alla guarigione dei bambini, perché guardare un film o un dvd (senza esagerare!) aiuterà ognuno di loro a distrarsi e a rasserenarsi, varcando la soglia dell’ospedale anche solo con la fantasia. È un po’ come dar loro la possibilità di spostare l’attenzio- ne su qualcosa di più spensierato, mentre attorno tutto corre freneticamente per la loro guarigione. Le dotazioni strumentali vengono invece acquistate su richiesta diretta della direzione del reparto di Chirurgia, attraverso una programmazione specifica, dopo che se ne è evidenziata la necessità. In questi anni abbiamo donato al Burlo attrezzature per circa 300.000 euro. Ad iniziare da un macchinario che induce la tosse a quei bambini, normalmente portatori di gravi handicap, che non hanno più tale riflesso, per evitare episodi di polmonite. È stata poi la volta del pHimpedenzometro portatile, per la diagnosi e la cura dei reflussi gastro-esofagei, che ha permesso una minore ospedalizzazione dei piccoli pazienti e una maggiore accettazione della metodica diagnostica da parte dei bambini. Inoltre, un ecografo da sala operatoria, un macchinario per misurare lo stato di coscienza durante gli interventi più complessi e un macchinario per l’urodinamica portano il nome di A.B.C., solo per citare le donazioni più importanti. È ora la volta dell’allestimento del reparto di Chirurgia: ci stiamo impegnando per porta- Bambini, genitori e infermieri del reparto di Chirurgia con i nuovi televisori re a termine l’abbellimento della sezione del reparto appena ristrutturata, attraverso la stampa e l’affissione di immagini alle pareti adeguate al contesto, perché un ambiente confortevole fa la differenza, per tutti. Insomma, se è lecito aspettarsi molto dalle pubbliche strutture, pensiamo però che l’intervento, anche se in proporzione decisamente ridotta, di organizzazioni come la nostra sia fondamentale per venire incontro alle esigenze straordinarie e per rendere la struttura più “casa”, allestita con il contributo, non solo economico ma di idee e progetti, di chi, come noi genitori con i nostri bambini, ha trascorso all’interno dell’ospedale un bel po’ di tempo. Due nuove poltrone-letto per le mamme Lo scorso 12 novembre sono state consegnate ufficialmente al reparto le due poltrone e il pouf, donati dal 77° Club Frecce Tricolori di Monfalcone, alla presenza del suo presidente Rino Romano, del vice presidente Silvano Leghissa, di alcuni rappresentanti del personale ospedaliero, di A.B.C. e di genitori che potranno beneficiare di questo dono. In quest’anno così speciale, in cui ricorre il 50° anniversario di fondazione delle Frecce Tricolori, il Club 77 ha voluto rinnovare il suo sostegno nei confronti dei bambini chirurgici e dei loro genitori, che potranno riposarsi con un po’ più di comodità durante il giorno e, soprattutto, la notte. Per questo va a loro il nostro grazie di cuore! A.B.C. protegge i tuoi dati ai sensi della normativa in materia di protezione dei dati personali (D. Lgs. 196/2003), ti informiamo che i tuoi dati saranno trattati da A.B.C in modo lecito, secondo correttezza e adottando tutte le misure necessarie a garantirne la massima riservatezza, esclusivamente con la finalità di fornire notizie sulle attività svolte dall’Associazione. L’art. 7 del D.Lgs. 196/2003 ti dà diritto a far rettificare eventuali errori e a richiedere di essere escluso da ogni comunicazione scrivendo a A.B.C. Associazione Bambini Chirurgici del Burlo onlus, Via Dell’Istria 65/1, 34137 Trieste oppure inviando un’e-mail a [email protected], quale titolare del trattamento. 4 1 Chi ha paura dell’anestesista? di Stefano Furlan P Stefano Furlan, Direttore S.C. Anestesia e Rianimazione IRCCS Burlo Garofolo con un piccolo paziente potrà risolvere i problemi di salute dei figli. Pochi però si chiedono se nella struttura ci sono dei professionisti che abbiano esperienza nel campo dell’anestesia pediatrica: qui non parlo solo di tipi e dosaggi di farmaci, ma anche della capacità di un giusto approccio al bambino, per valutare le sue necessità, per cercare di assecondare le sue richieste e per riuscire a distinguere, ad esempio, il vero dolore dai capricci. Questa figura è l’anestesista pediatrico. Egli deve, quando entra in contatto con i bambini, mettere da parte tutti i problemi personali, i problemi di reparto, dimenticare la fretta e ritornare un po’ bambino lui stesso, per mettersi al loro livello. I bambini percepiscono molto bene le intenzioni e gli stati d’animo delle persone adulte che si approcciano a loro, perciò l’anestesista pediatrico deve lavorare proprio in questo senso. Lo stile della relazione dovrà variare a seconda dell’età del piccolo paziente, cercando di entrare in comunicazione con lui nel modo più opportuno. Questa modalità dell’incontro non viene insegnata all’università, ma si acquisisce con l’esperienza e con il continuo confronto tra i colleghi. Ad esempio, usare piccoli travestimenti (capelli da mago, o nasi finti, o parrucche colorate), che possano far pensare al piccolo paziente di essere in un ambiente “amichevole”, farà sì che poi si affidi alle cure con uno stato d’animo più sereno. Non è certo un’impresa facile, per l’anestesista, quella di affrontare contemporaneamente mamma e bambino, dovendo rassicurare la mamma, mentre gioca con il bambino, e mentre cerca di reperire un accesso venoso, magari vestito da “apprendista stregone”, cantando una canzoncina e, nello stesso momento, dando indicazioni al personale infermieristico. Esistono anche altri accorgimenti per mettere a proprio agio i piccoli pazienti. È indispensabile rendere accogliente l’ambiente della preanestesia, con colori e disegni appropriati, con semplici giochi a disposizione, con la presenza di uno schermo e di un videoregistratore che riproduca dei cartoni animati e, ove possibile, il contributo di un musicoterapeuta che, con l’uso degli strumenti adeguati, possa distrarre e rasserenare i bambini. Anche la preparazione tecnica-psicologica del personale infermieristico è molto importante, soprattutto nella fase dell’ingresso in sala operatoria del bambino. Offrire, ad esempio, una scelta di regalini può ben disporre il piccolo paziente, distogliendolo così dagli eventi che lo circondano. Dovremo poi seguire il paziente nel postoperatorio, assicurando il massimo controllo del dolore, e cercando di mantenere presidi “fastidiosi” solo per il tempo strettamente indispensabile. Ultima, ma non per questo meno importante, è la comunicazione con i genitori, che dovrebbe avvenire in ambiente rilassato, avendo a disposizione tempo sufficiente per spiegare in modo comprensibile ed esauriente le procedure, il tipo di anestesia, i rischi/benefici, il decorso postoperatorio e l’eventuale prognosi futura. La professione dell’anestesista pediatrico è splendida anche perché, aiutando i bambini, si ritorna un po’ bambini, riacquistando così la spontaneità che gli adulti hanno spesso dimenticato. “Scrivere con la luce” la vita che verrà n questo numero di fine 2010 ho avuto il piacere di intervistare la dottoressa Giuseppina D’Ottavio, direttore dell’unità dipartimentale di Diagnostica ecografica prenatale e ginecologica, presso il dipartimento di Ostetricia e ginecologia del Burlo, centro di riferimento regionale per la diagnosi prenatale. Come medico si occupa di effettuare ecografie finalizzate a verificare, in epoche molto precoci, il normale sviluppo del feto. Ma in questa intervista la dottoressa entra nel vivo della sua professione, raccontandoci che emozioni regala il suo lavoro. Fotografare significa “scrivere con la luce”. Che emozioni crea in lei e nei genitori il fatto di poter osservare un feto durante la sua crescita? «Per la maggior parte dei futuri genitori è uno stimolo poter vedere, e poter materializzare il loro bambino: è quasi un appuntamento precoce. Per quanto mi riguarda, sono molti anni che mi occupo di diagnosi prenatale e quindi l’emozione delle prime volte è più contenuta, ma ogni volta riscopro il piacere di trovarmi di fronte ad un feto unico, a una creatura diversa». Nel suo lavoro è più importante avere dubbi o sicurezze? «Bisogna dare l’impressione di avere sicurezze, parlando molto con i futuri genitori per chiarire ogni loro curiosità e per affrontare i problemi che solleva il mio lavoro. Ogni coppia di genitori che ho davanti si aspetta delle certezze: vogliono essere sicuri di quello che dico, soprattutto quando la prognosi non è positiva». Cosa l’ha spinta a scegliere questa professione? «La mia non è stata proprio una scelta, perché in realtà volevo fare il chirurgo. Negli anni ’70, però, la parola d’ordine per una donna motivata, o particolarmente impegnata, che voleva diventare medico era “ostetricia”. Tra le varie organizzazioni femminili e femministe di Roma, città in cui ho studiato, c’era l’invito ad occuparsi di questa branca. Ora mi occupo più del feto che della mamma, e ho abbandonato la parte più chirurgica e ginecologica». Come riesce ad affrontare le paure dei genitori in caso di gravidanze difficili? «Le cose sono notevolmente cambiate da quando abbiamo introdotto nella nostra equipe la figura dello psicologo, la dottoressa Giuliani, perché lei ci dà gli strumenti di analisi e di lettura giusti per affrontare la situazione». C’è stata una persona su tutte che, durante il suo iter formativo, è stata fondamentale per la sua crescita professionale? «Sicuramente il mio ex primario, il professor Gian Paolo Mandruzzato. È stato fondamentale perché, pur essendo la mia una branca molto nuova (nata solo vent’anni fa), e quindi non potendo avere un modello di riferimento con competenze specifiche su questo tema, mi ha trasmesso un grande entusiasmo, mi ha dato una grande fiducia e la possibilità di intraprendere questo cammino». Un fotografia può raccontare, può far ricordare e può emozionare. Lei è l’autrice della “foto” che ogni mamma conserva fra i ricordi del suo bambino e diventa così parte della sua storia. Tra inseparabilità fraterna e desiderio di identità N egli ultimi mesi, in reparto, ci è capitato di confrontarci con l’esperienza di genitori di bambini gemelli, genitori protesi a sottolineare marcate differenze di personalità, o diversi livelli di sviluppo dei loro piccoli, a volte preoccupati per un atteggiamento eccessivamente infantile di uno, rispetto ad un comportamento evidentemente “maturo” dell’altro. Rispetto a questo, crediamo che il fascino della relazione gemellare non sia tanto legato al fatto che i protagonisti siano uguali, quanto al fatto che stanno insieme da sempre: è il fattore coppia che incide, indipendentemente dal fatto che la gemellarità sia monozigotica o dizigotica. Da un recente studio dell’IRCSS, diretto dalla dottoressa D’Ottavio, in collaborazione con le università di Padova, Parma e Torino, analizzando i movimenti dei gemelli nell’utero materno, è emerso come già dalla quattordicesima settimana gestazionale i due piccoli sembrano cercarsi attraverso dei comportamenti organizzati e reciproci. Questo ci ha portato ad una piccola riflessione sulla complessità del “nascere e del crescere gemelli”. Mentre la normale relazione simbiotica per un bambino è quella che stabilisce con la figura materna, l’esperienza simbiotica con il gemello è ad essa concomitante. In altre parole il primo contatto di un gemello non è solo con la madre, ma anche con il fratello, la cui presenza è immediata Rosella Giuliani e Antonella Tripani, psicologhepsicoterapeute di A.B.C. Senza il camice di Chiara Dal Fiume Intervista alla dottoressa Giuseppina D’Ottavio I Amori gemelli e la ricerca Un vero mago per “belli addormentati” ochi genitori si chiedono “chi” veglierà sul loro bambino durante tutto il periodo perioperatorio, utilizzando il tipo di anestesia, (generale, periferica) adeguato all’età e all’intervento e assicurando il mantenimento di tutte le funzioni vitali. Chi, con infinita pazienza, cercherà di rapportarsi a lui, per contenere l’impatto con la realtà che sta vivendo, cercando di togliergli la paura e l’ansia. Chi, giocando, riuscirà a far meglio tollerare manovre un po’ invasive e dolorose, come il posizionamento di un ago cannula, indispensabile per l’inizio delle procedure. Chi farà sentire a suo agio il piccolo e lo farà addormentare nel modo più dolce e familiare possibile, con uno dei genitori al suo fianco, fino alla completa perdita di coscienza. La maggior parte dei genitori si preoccupa giustamente di scegliere il chirurgo esperto che, con competenza, La scienza Come vive questa partecipazione profonda? «Fino a qualche tempo fa mi sembrava un po’ assurdo che la prima richiesta fosse proprio quella di avere la fotografia del feto, come se fosse quasi l’unico obiettivo, apparente. Poi, approfondendo questo discorso con la psicologa che fa parte del nostro gruppo di lavoro, mi sono resa conto che venire a fare l’ecografia è un momento di gioia e la foto è quasi la testimonianza della rappresentazione reale del bambino che i futuri genitori possono solo immaginare. Per questi motivi la faccio davvero molto volentieri. Negli ultimi anni, tra l’altro, abbiamo la possibilità di fare ecografie in tri e quadridimensionale, che danno una visione sempre più chiara. Per una mamma e un papà è divertente iniziare perfino ad individuare le prime somiglianze. Credo sia una cosa davvero emozionante portare a casa il ricordo di questo momento». Spesso partecipa a missioni all’estero come medico. Ci racconta il suo viaggio più significativo, il contesto in cui ha lavorato e la gente che ha incontrato? Ci regali il piacere di varcare le frontiere con il suo racconto! «Questo impegno, per il quale a volte rinuncio al mio lavoro, mi ha permesso di recuperare la dimensione squisitamente umana della mia professione, perché nei luoghi in cui portiamo il nostro aiuto, in caso di emergenze gravi, in collaborazione con la Protezione Civile, la tecnologia a supporto della nostra attività viene meno e quindi dobbiamo tornare a fare il nostro lavoro con il solo utilizzo delle mani e della testa. Questo crea una dimensione molto più spontanea, non mediata dalle strumentazioni. Da anni collaboro anche con l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS). L’esperienza più significativa è stata quella di Gaza, dove sono andata per ben tre volte. Ho potuto vedere con i miei occhi e toccare con mano questa realtà terribile causata dal conflitto israelo-palestinese. La situazione del territorio è molto delicata e l’area è ancora in uno stato di emergenza. Quello della striscia di Gaza è un popolo che vive una situazione miserabile, soprattutto per la mancanza di libertà, ma offre un’accoglienza incredibile e ha una grande esigenza di riscatto e di progresso, nonostante le difficoltà. A dispetto di coloro che vogliono mettere i bastoni fra le ruote, io continuo ad andare là, per cercare di aiutare quel popolo almeno dal punto di vista medico». Qual è la cosa più importante che ha imparato dalle sue pazienti, in questi anni di professione? «Ho imparato che fare un figlio è un impegno molto grande e un’esperienza meravigliosa, anche se lungo il percorso ci sono delle difficoltà. Questo me lo ricordano costantemente». Un augurio per il nuovo anno? «Vorrei fare un augurio al pianeta, che ce la faccia a superare un altro anno, fra rivoluzione, rotazione e precessione degli equinozi!». Dott.ssa Giuseppina D’Ottavio Direttore dell’unità dipartimentale di Diagnostica ecografica prenatale e ginecologica IRCCS Burlo Garofolo A 4 braccia di Rosella Giuliani e Antonella Tripani e costante. Un bambino costruisce l’immagine di sé in base agli indizi che gli provengono dal mondo esterno; mentre per un nato singolo è importante l’immagine che, momento per momento, gli rimanda la madre, per un gemello è altrettanto importante per la propria identità l’immagine che gli rimanda il gemello. Se il gemello percepisce la madre come altra da sé, potrebbe invece sentire che il fratello fa parte della sua identità, come se ci fosse uno spazio comune con un unico confine. Questo legame particolare trae la sua forza dal fatto che è iniziato già nella vita intrauterina e porta i gemelli a sviluppare un’unità psicologica, con una spinta per alcuni aspetti verso la differenziazione e per altri verso l’omologazione. È così che Luca, quattro anni, fratello gemello di Marco, alla domanda giocosa della mamma: «Tu di chi sei?» risponde: «Della mamma!». «E Marco di chi è?». «È mio!». Alcune somiglianze sono create ed accentuate dai genitori, che vivono la gemellarità come un segno di potenza, con l’abitudine, ancora molto frequente, di vestirli e pettinarli allo stesso modo. Altrettanto frequentemente,però, sono loro stessi ad assumere un ruolo opposto per ribadire la loro identità: «Lui è portato per la musica, io per lo sport». La solidarietà che ciascun gemello offre all’altro può essere anche intesa come un modo indiretto di vedere realizzate le scelte escluse e quindi le proprie potenzialità non realizzate. Due gemelli allora, tanto più sono diversi psicologicamente, tanto più costituiscono un’unità, una totalità, che si presen- ta come assoluta, e non trova corrispondenza in nessun’altra coppia umana. Spesso abbiamo osservato in reparto che, quando è un gemello a dover subire un intervento chirurgico, i genitori, oltre alla grande preoccupazione per il bambino da operare, sono molto preoccupati per come l’altro gemello reagirà al ricovero del fratello. I genitori dei gemelli si pongono questo problema fin dalla comunicazione della diagnosi chirurgica, a differenza dei genitori di bambini di età diverse che, di solito, si pongono gli stessi interrogativi in un tempo successivo all’intervento stesso. Anche per i genitori, quindi, i gemelli rappresentano una “unità” difficile da separare nelle situazioni che la vita propone. Abbiamo potuto verificare con gli stessi genitori dei gemelli che, dopo l’intervento chirurgico, i loro bambini riescono a trovare nuovi equilibri nella loro relazione, quasi a ristabilire la coppia/unità. Crediamo che non possa esserci un modo unico per affrontare le situazioni chirurgiche, ma siamo convinte che sia importante porsi delle domande e restare ad osservare i bambini stessi, per trovare insieme le risposte. Vogliamo chiudere il nostro spazio dando voce al vissuto di una gemella: «Eravamo il Cielo e la Terra, il Giorno e la Notte, la Stella del mattino e quella della sera, e io mi resi conto che non mi sarei mai sentita sola perché lei era dentro di me, ovunque e sempre parte di me, della mia storia e della mia esistenza». Mi piace troppo la cioccolata! Piccoli grandi miracoli per la gioia di Giulia S ono Laura, la mamma di Giulia, bambina nata a termine il 2 marzo 2004. La malattia le è stata diagnosticata dopo solo circa 10 giorni dalla sua nascita: la “sindrome di Ondine”, con associato il morbo di Hisprung. È proprio per questa seconda malattia che Giulia è stata portata al Burlo, e qui ha dovuto lottare per la vita. È stata sottoposta a numerosi interventi chirurgici: il primo a due mesi, l’ultimo a due anni e mezzo. Diciamo che quei due anni sono stati molto intensi: ricordo la vita ospedaliera, la comprensione e l’affetto delle tante persone che lì lavorano. Per loro non sei un numero, come talvolta accade in quei luoghi, ma sei una persona da coccolare e da aiutare, e così hanno fatto con me. Giulia ha dimostrato da subito un carattere combattivo: a soli 5 mesi aveva imparato il modo per tenere lontano chi non le era gradito con delle cosiddette “crisi d’affetto”. Assicuro che non erano tanto piacevoli, a detta di tutti, da gestire. Solo la sua mamma la calmava in un attimo. Mi è stato detto da medici e infermiere, in più di un occasione, che in mia presenza il battito cardiaco di Giulia si abbassava di molto: con me si sentiva più sicura, ed io con lei sarei rimasta in eterno, ma le circostanze non lo permettevano. Finalmente, a sei mesi, Giulia è stata dimessa dall’ospedale, e abbiamo potuto portarla per la prima volta a casa sua, nella sua camera. Dal piccolo finestrino dell’ambulanza che ci ha condotte a casa spiavo la strada, per capire dove fossimo e quanto mancava. Quando ho riconosciuto il nostro condominio, credo che l’emozione fosse talmente forte che pensavo mi esplodesse il cuore! Oggi posso dire che la mia piccina è stata miracolata, aiutata da Dio e dagli angeli che vivono sulla terra: i medici del Burlo (chirurghi, neonatologi, rianimatori e pediatri) che, collaborando, l’hanno operata e salvata molte volte. Se penso a quante notti ho passato davanti alle porte della sala operatoria, a quel silenzio agghiacciante, alle eterne ore trascorse aspettando il rumore delle porte che scorrevano cigolando, in attesa di una risposta positiva, mi vengono ancora i brividi. Giulia è stata un grande dono, e altrettanto grande è Giulia di Laura Lodolo Genitori coi piedi verdi stato il dono che è arrivato il 17 settembre del 2006: Alessia, la mia seconda gioia. Ringraziando Dio, sana e forte! A loro ho dedicato tutta me stessa, come qualunque mamma avrebbe fatto. Rimpiango di aver sottratto ad Alessia delle attenzioni che qualsiasi bambino piccolo richiede: in alcuni momenti non ho potuto fare di più, non per mancanza di volontà, ma perché gli eventi della vita non me lo hanno permesso. Tutte le mattine, quando sveglio le mie bambine con un bacio, loro mi ricambiano con un sorriso: quello e solo quello mi ripaga di ogni sacrificio, di ogni sforzo fatto in questi sei anni, e mi ricarica le batterie per andare avanti. Quando, nella vita, provi gioie e dolori per i bambini, per i tuoi figli, tutte le emozioni sono amplificate. Vivi la vita giorno per giorno senza pensare al domani, e quando il domani arriva… ti sembra quasi impossibile che sia potuto accadere tanto. Dal 13 settembre di quest’anno Giulia ha cominciato la prima elementare: nonostante abbia perso tre anni di “vita”, poiché li ha passati in ospedale, oggi posso dire che ce l’ha fatta! Vederla ogni giorno fare i compiti, alle volte con fatica, è una tale felicità che mi è difficile descriverla. Lei è entusiasta di tutto quello che fa: è una bambina allegra e gioiosa, con i coetanei si è integrata bene, socializza, o meglio, si fa notare perché deve divertire e far ridere tutti. Canta e balla sempre, nonostante sia tracheostomizzata e la sua vita dipenda da una macchina. La sua gioia di vivere la trasmette a tutti e quando mi chiede: «Mamma, voglio andare a cena fuori», be’, io mi commuovo. A tutti potrà sembrare normale: a me no, considerato che Giulia, fino a due anni, non ha mai messo in bocca nulla di commestibile. Solo tanto amore ha fatto in modo che lei imparasse a mangiare, a masticare e a deglutire. Ora si alimenta totalmente da sola, e ha pure i suoi gusti. La cioccolata è sempre la preferita! Se questo non è un miracolo, ditemi voi cos’è?