ANTONIO GRAMSCI E IL PROBLEMA EDUCATIVO La formazione degli adulti come “guerra di posizione” per la trasformazione della società 1 Bruno Schettini2 Antonio Gramsci, in diversi suoi scritti e riflessioni, ha cercato di formulare una strategia rivoluzionaria per la trasformazione sociale nell’Europa occidentale e si può affermare che proprio l’educazione abbia ricoperto un ruolo centrale in questa strategia, anche se egli non ha mai scritto veri e propri saggi di pedagogia. All’educazione è assegnata una funzione importante nell’ambito della formulazione gramsciana del concetto di egemonia. L’egemonia è stata definita, nel significato strettamente gramsciano, come una condizione sociale nella quale tutti gli aspetti della realtà sociale sono dominati da una singola classe oppure ne sono il sostegno. Tali aspetti della vita collettiva sono generati e resi accettabili tra la gente attraverso un’azione di condizionamento sociale, economico e di conquista del consenso nelle varie forme attraverso le quali, nel tempo, chi detiene il potere opera per conservarlo. Ciò comporta un processo di “apprendimento” dal momento che 1 Contributo pubblicato nel volume di: Salmeri S., Pignato S.R. (a cura di), Gramsci e la formazione dell’uomo. Itinerari educativi per una cultura progressista, Bonanno Editore, Acireale-Roma 2008, pp.15-27. 2 Professore straordinario di Pedagogia generale e sociale presso la Facoltà di Psicologia della Seconda Università degli Studi di Napoli. 1 ogni “rapporto di egemonia è necessariamente un rapporto pedagogico”3. Nella concezione gramsciana, le agenzie impegnate in questo rapporto educativo sono quelle della società civile, che costituiscono il fondamento sociale e culturale del potere. Esse sono le istituzioni sociali ideologiche come la legge, l’educazione, i mezzi di comunicazione di massa, la religione, l’esercito, la polizia… Gramsci sostiene che nella società occidentale lo stato si dota di una rete di tali istituzioni che sono concepite come “una robusta catena di fortezze e di casematte”4 che fa sentire la propria presenza ogni volta che vi è un “tremolio”5 dello stato. Pertanto, le istituzioni come la scuola e le altre agenzie educative non sono neutrali; esse, piuttosto, servono per cementare l’egemonia esistente e sono quindi intimamente legate agli interessi dei gruppi sociali più potenti o che esercitano il potere come la borghesia. Una forte critica alle istituzioni educative è presente in tutti gli scritti di Gramsci sullo stato e sulla società civile. All’interno di essi sono contenuti gli elementi di un’analisi delle politiche educative nel sistema sociale capitalista occidentale e si avverte che l’educazione ricopre un ruolo importante nel cementare l’egemonia esistente. Essa, infatti, è cruciale nell’assicurare il consenso a favore dei gruppi dominanti, che è sostenuto a sua volta dal modello prevalente di produzione. Per questo stesso motivo l’educazione può essere considerata come la strategia delle classi subalterne per conquistare il potere. L’istruzione di base obbligatoria imposta dallo stato capitalista italiano durante gli anni del regime fascista è analizzata da Gramsci nella sua critica alla Riforma Gentile e al tipo di selezione che attraverso di essa si 3 Gramsci A., Quaderni dal carcere, Vol. II, Quaderno 10 (La filosofia di Benedetto Croce), Edizione critica a cura di Valentino Giarratana, Einaudi, Torino 1975, p.1331. 4 Id., Quaderni dal carcere, Vol. II, Quaderno 7 (Appunti di filosofia II e Miscellanea), op.cit., p.866. 5 Ibidem. 2 intendeva attuare, mostrandosi in sintonia con la tradizione radicale di opposizione a qualunque tipo di selezione in base al merito a motivo del fatto che in realtà l’intero processo è una selezione in base alla classe sociale. Gramsci sosteneva che si dovesse assicurare a tutti i bambini una vasta istruzione con solide basi umanistiche. Gli studi non dovevano ipotecare il futuro delle giovani generazioni a causa dell’avviamento di una parte consistente di esse verso una precoce specializzazione professionale. Gramsci insisteva sul fatto che la scuola professionale non sarebbe dovuta essere una “incubatrice” di “piccoli mostri” a malapena istruiti per una specifica occupazione, privi di “idee generali”, di una “cultura generale” e “senza anima”, e in possesso soltanto di un “occhio infallibile” e di una “mano ferma”6. Troviamo già contenuta, in nuce, tutta intera la polemica contemporanea contro la rigidità di indirizzo fra scuole professionali e scuole classiche, che si acuì con l'entrata in vigore della Riforma Gentile, nel 1923, e contro la quale Gramsci scriverà apertamente nei “Quaderni”, denunciando che con essa è stata introdotta una vera scuola “classista”. Queste preoccupazioni anticipano molta critica contemporanea ai discorsi sull’istruzione che la vogliono racchiudere nella formula riduttivistica di un’istruzione professionale per i più. Gli scritti di Gramsci, per altro, sono imbevuti di linguaggio critico aperto alla possibilità di trasformare la società proprio attraverso una nuova educazione. Tale linguaggio è presente in tutti i suoi scritti perché fondamentalmente egli non era un determinista dal punto della visione economica, tant’è che sono in molti a ritenere che proprio questa impostazione abbia segnato la rottura decisiva con il Marxismo ufficiale del tempo e non solo. Egli rifiutò le visioni di cambiamento sociale che emersero 6 Cf. Manacorda M. A., Il principio educativo in Gramsci, A. Armando, Roma 1970 3 dalla Seconda Internazionale, visioni espresse da figure chiave come Plekhanov, Bukharin, Kautsky e l’italiano Achille Loria. Le idee di Gramsci a questo riguardo contrastavano anche con le vedute positivistico-deterministe di cambiamento sociale difese da numerosi sindacalisti e socialisti italiani del tempo. In aperto contrasto con quei marxisti, le cui opere sono caratterizzate dal determinismo economico evoluzionista, gli scritti di Gramsci, compresi i primi, esprimono un forte senso della persona umana come agente di trasformazione sociale. In un articolo giovanile, La Rivoluzione contro il Capitale, Gramsci sostenne che la rivoluzione bolscevica aveva provato l’errore (smentito) di Karl Marx secondo cui “i fatti hanno superato le ideologie. I fatti hanno fatto scoppiare gli schemi critici entro i quali la storia della Russia avrebbe dovuto svolgersi secondo i canoni del materialismo storico. I bolscevichi rinnegano Karl Marx e, con la testimonianza dell’azione esplicita, delle conquiste realizzate, affermano, che i canoni del materialismo storico non sono così ferrei come si potrebbe pensare e si è pensato”7. Per questi motivi, Angelo Broccoli8 sostiene che una delle ragioni per cui il giovane Gramsci fu attratto dalle opere di Benedetto Croce era semplicemente perché il filosofo sosteneva i valori umani, “contro l’acquiescenza e la passività positivistiche” che Gramsci associava alle teorie meccanicistiche e deterministiche della Seconda Internazionale e di esponenti come Plekhanov. Questo senso della persona come attore sociale con un ruolo attivo nello svolgimento della realtà può essere ritrovato nelle formulazioni teoriche gramsciane riguardanti l’egemonia e lo stato. Per Gramsci l’egemonia è contraddistinta da alcune caratteristiche: ha una natura dinamica, è incompiuta 7 Gramsci A., La Rivoluzione contro il capitale, in Gervasoni M., Gramsci. Scritti scelti, BUR. Milano 2007, p.65 8 Cf. Broccoli A., Antonio Gramsci e l’educazione come egemonia, La Nuova Italia, Firenze 1972. 4 e selettiva ed esistono momenti in cui l’intero processo subisce una crisi. Questo significa che può esservi lo spazio per un’attività di contro-egemonia, che può risultare efficace in alcuni momenti estremamente circoscritti. Esistono, inoltre, aree escluse dalla vita sociale che possono costituire un terreno di protesta per le persone coinvolte in tale attività anti-egemonica. Per Gramsci lo spazio in cui può essere contestata l’egemonia è l’ampio territorio che la sorregge, cioè quello della società civile che è concepita come un luogo di lotta. Egli sosteneva che lo stato, poiché è di fatto sostenuto dalle istituzioni della società civile, non può essere affrontato frontalmente da quelli che aspirano a trasformarlo, per sviluppare un nuovo sistema di relazioni sociali. Gramsci intende quel tipo di confronto come una “guerra manovrata/frontale”. Nella sua visione una gran parte del processo di trasformazione dello stato e del suo apparato coercitivo deve precedere e non seguire la presa del potere. Le persone che lavorano per la trasformazione sociale devono impegnarsi in una “guerra di posizione”: un processo cioè di organizzazione sociale e di influenza culturale ad ampio spettro all’interno del quale trova posto appunto la visione politica di una strategia rivoluzionaria fondata sul passaggio dalla "guerra manovrata" e dell'attacco frontale alla "guerra di posizione" idonea alle condizioni dell'Occidente, dove l'esercizio dell'egemonia è affidato alla conquista del consenso in tutte le principali articolazioni della società civile 9. E’ attraverso questo processo che il gruppo crea, insieme con altri gruppi e settori della società, un “blocco storico”: il termine, preso da Sorel, viene impiegato da Gramsci per descrivere il modo complesso in cui sono in relazione tra loro le classi sociali o le loro fazioni: “ciò vuol dire che ogni 9 Cf. Gerratana V., “Antonio Gramsci”, in Enciclopedia italiana, Quinta Appendice E - IS 1979-1992, Enciclopedia italiana, Roma 1992, pp.485-86. 5 rivoluzione è stata preceduta da un intenso lavorìo di critica, di penetrazione culturale, di permeazione di idee attraverso aggregati di uomini prima refrattari e solo pensosi di risolvere giorno per giorno, ora per ora, il proprio problema economico e politico per se stessi, senza legami di solidarietà con gli altri che si trovano nelle stesse condizioni”10. Ma in Gramsci c’è un passaggio ulteriore: “non ci si può proporre, prima della conquista dello Stato, di modificare completamente la coscienza di tutta la classe operaia; sarebbe utopistico, perché la coscienza di tutta la classe come tale si modifica solo quando sia stato modificato il modo di vivere della classe stessa, cioè quando il proletariato sarà diventato classe dominante, avrà a sua disposizione l’apparato di produzione e di scambio e il potere statale”11. Si può sostenere che Gramsci affermi il primato dell’attività culturale ai fini del processo rivoluzionario condividendo il pensiero di alcuni esponenti del mondo sindacale torinese come Angelo Tasca, suo compagno di studi, che esaltava l’importanza dell’attività culturale per la classe operaia in un discorso pronunciato al Congresso della Gioventù Socialista a Bologna nel 1912. Gramsci, in un suo articolo firmato Alfa Gamma, ebbe modo di scrivere: “E’ attraverso la critica della civiltà capitalistica che si è formata o si sta formando la coscienza unitaria del proletariato, e critica vuol dire cultura, e non già evoluzione spontanea e naturalistica”12. In questa “guerra di posizione” l’educazione degli adulti gioca un ruolo contro-egemonico fondamentale. E’ storicamente evidente che l’educazione degli adulti abbia giocato questa funzione in un contesto prerivoluzionario per quanto essa si presterebbe 10 Gramsci A., Socialismo e cultura, in Gervasoni M., op.cit. BUR. Milano 2007, p.44. 11 Cf. “L’Ordine Nuovo”, del 21 giugno 1919. 12 In “Il Grido del Popolo” del 29 gennaio 1916. 6 maggiormente alla “guerra manovrata” piuttosto che alla strategia della “guerra di posizione”. In effetti, nel clima rivoluzionario che prevalse a Torino prima della presa del potere da parte dei fascisti, il gruppo di Ordine Nuovo - al quale apparteneva Gramsci - concentrò molte delle proprie energie in favore del movimento del consiglio di fabbrica, che era concepito come un movimento di educazione degli adulti attraverso cui gli operai venivano “educati” come produttori piuttosto che come semplici “salariati”, ed introdotti quindi al processo di democrazia industriale. Il consiglio di fabbrica era concepito come un’istituzione politicamente educativa in cui il luogo di lavoro doveva trasformarsi in una vera e propria “scuola di lavoro”, per usare il termine preso da Marx. Per Gramsci, i consigli di fabbrica erano concepiti come uno dei mezzi attraverso cui il proletariato potesse “dare una forma e una disciplina permanente a queste energie disordinate e caotiche, assorbirle, comporle e potenziarle, fare della classe operaia e semi proletaria una società organizzata che si educhi, che si faccia un’esperienza, che acquisti una consapevolezza responsabile dei doveri che incombono alle classi arrivate al potere dello stato”. Lo stesso Gramsci si spinse a scrivere che il Consiglio è: “…il più idoneo organo di educazione reciproca e di sviluppo del nuovo spirito sociale che il proletariato sia riuscito a esprimere dall’esperienza viva e feconda della comunità di lavoro”13. Per Gramsci i consigli di fabbrica erano concepiti come il mezzo attraverso cui il proletariato potesse educare se stesso. Questo movimento portò Torino vicino alla rivoluzione, ma la ragione del suo fallimento finale sta nel fatto che la sua azione non fu condotta nel contesto di quel tipo di alleanza che più tardi fu definita da Gramsci attraverso l’elaborazione del concetto soreliano di 13 Cf. Gramsci A., Il Consiglio di fabbrica, in “L’Ordine Nuovo”, 5 giugno 1920. 7 “blocco storico”. Gramsci notò che a Torino i rivoluzionari rimasero isolati, commettendo lo stesso errore che un tempo commisero i rivoluzionari delle repubbliche giacobine ai quali, per rispetto dei tempi, può essere, per così dire, giustificato l’incorrere in tale medesimo errore14. Ci si può chiedere quali siano per Gramsci quei soggetti attivi ritenuti potenziali agenti di cambiamento sociale. In riferimento all’educazione degli adulti, la questione può essere affrontata identificando quelli che sarebbero gli educatori degli adulti e se esiste una particolare classe sociale a cui spetti la responsabilità dell’azione di trasformazione sociale. Nella concezione gramsciana, gli attori che ricoprono un ruolo cardine nella “guerra di posizione” sono gli “intellettuali organici”. Gramsci distingue due tipi di intellettuali: i grandi intellettuali, fra cui include lo stesso Benedetto Croce e Giustino Fortunato che “possono essere giudicati come i reazionari più operosi della penisola”, quelli cioè il cui unico scopo è di conservare lo status quo e gli intellettuali subalterni, quelli cioè che in genere lavorano in favore del sistema politico prevalente, fra i quali include gli insegnanti, i preti e i funzionari e, potremmo aggiungere, le vestali della borghesia. Quest’ultimi sono quelli che attingono ai favori della classe/gruppo egemone pensando di farne parte. A fronte di questa tipologia, Gramsci elabora una nuova figura quella dell’intellettuale organico: i lavoratori culturali o educativi che sono esperti nella legittimazione politica delle classi “subalterne”. Essi emergono “in risposta a particolari sviluppi storici”, come opposti agli intellettuali tradizionali il cui scopo “organico” termina quando la società entra in una 14 cf. Schettini B., La repubblica napoletana del 1799:l’educazione del popolo – o degli adulti – per la “felicità (è) comune, e non già di un solo e di pochi individui”, in Capobianco R., La pedagogia dei catechismi laici nella Repubblica Napoletana, Liguori Editore, Napoli 2007, pp.1-20. 8 diversa fase di sviluppo15. Gramsci a questo proposito scrive: “Ogni gruppo sociale, nascendo sul terreno originario di una funzione essenziale del mondo della produzione economica, si crea insieme, organicamente, uno o più ceti intellettuali che gli danno omogeneità e consapevolezza della propria funzione non solo nel campo economico ma anche in quello politico e sociale: l’imprenditore capitalista crea con sé il tecnico dell’industria, lo scienziato dell’economia politica, l’organizzatore di una nuova cultura, di un nuovo diritto, ecc. (…). Ma ogni gruppo sociale ‘essenziale’, emergendo alla storia dalla precedente struttura economica e come espressione di uno sviluppo (di questa struttura), ha trovato, almeno nella storia fino ad ora svoltasi, categorie sociali preesistenti e che anzi apparivano come rappresentanti una continuità storica ininterrotta neanche dai più complicati e radicali mutamenti delle forme sociali e politiche”16. Gli intellettuali organici possono servire, se sono omogenei alla classe/gruppo dominante a mediare l’unità ideologica e politica dell’egemonia esistente. All’opposto, se sono organici al gruppo o alla classe subordinata che aspira al potere, essi si impegnano nella guerra di posizione che permette di assicurarsi le alleanze necessarie per avere successo. Se essi sono organici ad un gruppo subalterno, parte del loro compito è contribuire ad una “riforma intellettuale e morale”, che Gramsci sentì come necessaria ed urgente per gettare le fondamenta di una società più giusta. Gli educatori degli adulti che si impegnano in un’attività culturale contro-egemonica, devono essere considerati, secondo la concezione 15 Sull’argomento, cf. Gramsci A., Quaderni dal carcere, Vol. III, Quaderno 12 (Appunti e note sparse per un gruppo di saggi sulla storia degli intellettuali), op. cit., pp.1513-1551. 16 Gramsci A., Quaderni dal carcere, Vol. III, Quaderno 12 (Appunti e note sparse per un gruppo di saggi sulla storia degli intellettuali), op. cit., p.1513. 9 gramsciana, come intellettuali organici ai gruppi subalterni che aspirano al potere. Ciò implica che essi siano politicamente impegnati in favore di coloro ai quali insegnano, altrimenti l’apprendimento a fini trasformativi non può essere effettivo. Ciò spiega perchè Gramsci non credeva che le “università popolari” italiane operassero nell’interesse del proletariato, considerandole istituzioni filantropiche e riformiste non in grado di operare per la trasformazione delle condizioni sociali, politiche ed economiche degli adulti frequentanti. In verità, Gramsci contestò anche l’approccio didattico di quegli insegnanti, perché non riuscivano a collegarsi allo sfondo culturale e sociale dei corsisti e per cui egli sosteneva che: “…si bada più alla lustra che all’efficacia…”, in un processo nel quale si “distribuiscono delle sporte di viveri che riempiono lo stomaco, producono magari delle indigestioni allo stomaco, ma non lasciano una traccia, ma non hanno un seguito di nuova vita, di vita diversa”17. Per questo motivo, Gramsci sosteneva che era (è) essenziale per la classe operaia creare i propri intellettuali o altrimenti assimilare gli intellettuali tradizionali, essendo il processo di assimilazione un aspetto cruciale della stessa guerra di posizione18. Antonio Gramsci riconobbe nel proletariato industriale torinese il potenziale rivoluzionario cui affidare il ruolo di leadership nell’alleanza nazionalpopolare fra il proletariato industriale del Nord d’Italia e quello contadino del Sud d’Italia per la costruzione del blocco storico. Questo non vuol dire che egli non abbia riconosciuto delle potenzialità trasformative anche in altri gruppi o movimenti, tuttavia la maggior parte degli scritti relativi all’educazione degli adulti si concentra sui bisogni educativi della classe 17 Sull’intero punto, cf. Gramsci A., Quaderni dal carcere, Vol. III, Quaderno 12,. op. cit., pp.1513-1551. 18 Cf. Ibidem. 10 operaia industriale omettendo, per esempio, un vero interesse per il problema dell’alfabetizzazione degli adulti nella regioni meridionali e concentrando la sua attenzione sugli adulti proletari. Probabilmente, ciò è da imputarsi anche al fatto che la sua esperienza fu ampiamente circoscritta alla città di Torino ed anche al fatto che egli riteneva che una guerra di posizione avrebbe avuto buone possibilità di realizzarsi se attuata all’interno di un gruppo sociale organizzato come “Ordine Nuovo”, per esempio. In realtà, la conclusione che si può trarre dall’esperienza del consiglio di fabbrica è che tale movimento dovrebbe essere abbastanza vasto da estendere la sua attività in diversi ambiti della vita sociale ed al di fuori di una circoscritta località d’intervento. Sembrano indicare proprio questo le esperienze finali di Gramsci con il movimento torinese, così come anche gli scritti successivi che si incentrano proprio sulla necessità della creazione di un blocco storico che Giorgio Amendola invocava come unità non intorno ad un partito, ma intorno a quelle forze sociali costituenti quel blocco storico che si deve costituire attraverso la conquista di un largo consenso. Come realizzare il largo consenso fu uno dei motivi di riflessione e di impegno di Gramsci. Fra gli strumenti educativi individuati da Gramsci, oltre alla scuola, ci sono tutte quelle agenzie pubbliche o private aventi una reale portata educativa: all'interno di esse, infatti, si muovono gli intellettuali e si filtra la cultura, si educa o si "diseduca" e, guardando ai Quaderni dal carcere ci si accorge di come Gramsci, col passare degli anni, abbia maturato una sempre maggiore chiarezza riguardo agli strumenti del consenso. Alla scuola si affiancano la stampa (i giornali) - vista da Gramsci come mezzo di diffusione delle idee, fortemente capace d’influenzare l’opinione pubblica - il teatro ed il cinematografo - considerati strumenti di pseudo-cultura - le biblioteche, le università, i partiti politici ed i sindacati. Ora, egli considerava 11 che i diversi luoghi di pratica sociale possono trasformarsi in spazi di apprendimento dell’adulto e di attività anti-egemonica. Il campo della produzione industriale è un importante luogo di apprendimento ma, accanto ad esso, Gramsci individuava “altre vie” quali i circoli, i clubs, e in special modo i sindacati e i partiti. In particolare, le esperienze educative sul luogo di lavoro dovevano essere sostenute dai centri o dai circoli culturali. Uno di questi fu il “Club Vita Morale19”, che egli contribuì a organizzare nel 1917 e nel quale gli operai leggevano libri e li esponevano gli uni agli altri secondo un insegnamento di tipo cooperativistico. Un altro di questi centri fu l’Istituto di Cultura Proletaria - di breve durata - ispirato ad ideali simili a quelli del russo “Proletkult” e del gruppo di Rolland e Barbuse ruotante attorno a Clarté. Gramsci sembra essersi ispirato ad Anatoli Lunacarskij che scrisse un articolo pubblicato in italiano su “Il Grido del popolo”. Lunacarskij aveva scritto e insistito sulla necessità della creazione di una rete di circoli culturali socialisti e Gramsci doveva averne riconosciuto l’importanza dal momento che nel 1916 tenne numerose conferenze nei circoli di studio degli operai a Torino su vari argomenti comprendenti Marx, la Comune di Parigi, Romain Rolland e la Rivoluzione Francese. Egli si impegnò fortemente nell’educazione degli adulti e ne è riprova anche il fatto che si sforzò di creare la “Scuola dei confinati” di Ustica, dove vi insegnò anche per un breve periodo a motivo delle condizioni fisiche ed ambientali. Lo stesso “Ordine Nuovo”20 costituì lo strumento mediante cui furono analizzate le produzioni culturali di quel periodo dal punto di vista della classe “subalterna” e i cui interessi la Rivista si proponeva di rappresentare. In realtà, attraverso i circoli, i consigli di 19 Cf. Gramsci A., Un club di vita morale, Lettera a Giuseppe Lombardo Radice, in Urbani G. (a cura di), Antonio Gramsci. La formazione dell’uomo, Editori Riuniti, Roma 1974, pp.100-1. 20 Periodico di cui Gramsci, Palmiro Togliatti e Umberto Terracini pubblicarono il primo numero in data 1 maggio 1919. 12 fabbrica, la carta stampata, Gramsci sosteneva un rapporto fra gli intellettuali e gli operai in cui i primi, sulla base della loro formazione teoretica, agiscono con capacità direttiva rispetto alle seconde ed allo stesso tempo consentono anche a quest’ultime una certa capacità direttiva, sostenendo un rapporto attivo, di relazioni reciproche, dove ogni maestro è sempre scolaro e ogni scolaro maestro. Vale la pena riflettere ancora, da questa prospettiva, su uno dei passi più noti del Quaderno 12: “Nel mondo moderno l'educazione tecnica, strettamente legata al lavoro industriale anche il più primitivo o squalificato, deve formare la base del nuovo tipo di intellettuale. Su questa base ha lavorato l’ “Ordine Nuovo” settimanale per sviluppare certe forme di nuovo intellettualismo e per determinarne i nuovi concetti, e questa non è stata una delle minori ragioni del suo successo, perché una tale impostazione corrispondeva ad aspirazioni latenti e era conforme allo sviluppo di forme reali di vita. Il modo di essere del nuovo intellettuale non può più consistere nell’eloquenza, motrice esteriore e momentanea degli affetti e delle passioni, ma nel mescolarsi attivamente alla vita pratica, come costruttore, organizzatore, ‘persuasore permanente’ perchè non puro oratore - e tuttavia superiore allo spirito astratto matematico; dalla tecnica-lavoro giunge alla tecnica-scienza e alla concezione umanistica storica, senza la quale si rimane ‘specialista’ e non si diventa ‘dirigente’ (specialista + politico)”21. A riprova pratica di questa posizione, Laurana Lajolo osserva che durante le discussioni che si svolgevano al “Club Vita Morale”, “Gramsci non parla molto: preferisce dare suggerimenti di comportamento etico, o chiedere precisazioni e avanzare obiezioni al fine di evitare il procedimento contraddittorio dei ragionamenti, con l’atteggiamento del maestro socratico, 21 Gramsci A., Quaderni dal carcere, Vol. III, Quaderno 12 (Appunti e note sparse per un gruppo di saggi sulla storia degli intellettuali), op.cit., p.1551. 13 dell’educatore paziente e appassionato che rifiuta i discorsi retorici e demagogici” 22. Da questo punto di vista, se ne può ricavare che, nell’ottica dell’educazione degli adulti di tipo trasformativo, l’educatore possa migliorare l’educazione partecipativa e dialogica trasmettendo le conoscenze nel contesto di relazioni sociali democratiche. Infatti, Gramsci sostenne che per rendere formativo qualunque processo educativo dialogico, risulta necessario impartire un certo grado di istruzione e questo punto di vista è di grande attualità nell’odierno dibattito sull’educazione degli adulti in cui si afferma che la mera facilitazione senza l’analisi critica mantiene bloccato l’allievo nello stesso convincimento nel quale è stato radicato. Per questo Gramsci, nel dibattito fra cultura alta e cultura bassa, affermò che “la cultura proletaria deve consistere nello sviluppo sistematico di tutto il sapere che fu elaborato dall’umanità sotto il giogo della società dei capitalisti, della società dei proprietari fondiari, della società dei burocrati”23. Proprio nei Quaderni 4 e 12, con riferimento alla scuola unitaria, Gramsci afferma che gli allievi non studiavano il Greco e il Latino per un’immediata ragione pratica, ma che queste lingue antiche si imparavano “per conoscere la civiltà dei due popoli, cioè per essere se stessi e conoscere se stessi consapevolmente”24, “cioè per essere se stessi e per conoscere se stessi consapevolmente”. Ciò non vuol dire che il Latino e il Greco fossero adeguati alla nuova scuola che Gramsci riteneva dovesse sostituire quella vecchia, tuttavia riteneva che si dovessero cercare anche materie di studio più attuali che potessero però fornire agli allievi un analogo rigore ma occorrerà sapere disporre 22 Lajolo L. Gramsci un uomo sconfitto, Rizzoli, Milano, 1985, p.35. cf. Broccoli A., op.cit. 24 Gramsci A., Quaderni dal carcere, Vol. III, Quaderno 12 (Appunti e note sparse per un gruppo di saggi sulla storia degli intellettuali), op.cit., p.1544. 23 14 didatticamente la nuova materia o la nuova serie di materie, in modo da ottenere risultati equivalenti d’educazione generale dell’uomo, partendo dal ragazzetto fino all’età della scelta professionale25. Appare inderogabile e non dilazionabile in Gramsci la necessità che ciascun individuo acquisisca quegli “strumenti logici” che debbono essere assimilati storicamente ed essere appresi sempre in modo personale e mai passivo. Le stesse riflessioni potrebbero riguardare l’educazione degli adulti ai fini dell’appropriazione critica della preesistente conoscenza che è, per altro, centrale per l’emergere di una nuova cultura “subalterna” e, nel caso di Gramsci, proletaria. Per esempio è importante in Gramsci che le classi subalterne apprendano e padroneggino la lingua della classe dominante per non rimanere ai margini della vita politica: “se è vero che ogni linguaggio contiene gli elementi di una concezione del mondo e di una cultura, sarà anche vero che dal linguaggio di ognuno si può giudicare la maggiore o minore complessità della sua concezione del mondo. Chi parla solo il dialetto o comprende la lingua nazionale in gradi diversi, partecipa necessariamente di un’intuizione del mondo più o meno ristretta o provinciale, fossilizzata, anacronistica in confronto alle grandi correnti di pensiero che dominano la storia mondiale. I suoi interessi saranno ristretti, più o meno corporativi o economicistici, non universali”26. Ciò ha evidenti implicazioni sui temi contemporanei dell’alfabetizzazione degli adulti, dell’esercizio della democrazia e della democrazia cognitiva27. 25 Ibidem, p.1546. Gramsci A., op.cit., Vol. II, Quaderno 11 (Appunti per una introduzione allo studio della filosofia e della storia della cultura), p.1377. 27 Sul punto, cf. Laporta R., L’autoeducazione delle comunità, La Nuova Italia, Firenze 1979 ed anche Morin E., La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, RaffaelloCortina, Milano 2000. Interessante a questo proposito ciò che scrive lo stesso Gramsci: “In tal modo una classe può appropriarsi la scienza di un’altra classe senza accettarne l’ideologia (l’ideologia del progresso è stata creata 26 15 Per Gramsci, non è soltanto la cultura dominante che deve essere padroneggiata nei processi educativi rivolti agli adulti, ma anche la conoscenza della storia che deve essere affrontata, padroneggiata e trasformata. La storia dovrebbe essere un elemento caratterizzante dell’educazione degli adulti della classe operaia: “se è vero che la storia universale è una catena degli sforzi che l’uomo ha fatto per liberarsi e dai privilegi e dai pregiudizi e dalle idolatrie, non si capisce perché il proletariato, che un altro anello vuole aggiungere a quella catena, non debba sapere come e perché e da chi sia stato preceduto, e quale giovamento possa trarre da questo sapere”28. Gramsci, dunque, considerava cruciale il processo educativo attraverso la prassi, sostenendo così le virtù di quella che Marx definì un’educazione politecnica, un concetto che lo stesso aveva sviluppato nella risoluzione di Ginevra del 1866. Non esiste, dunque, una distinzione netta fra il Gramsci educatore e il Gramsci storico e politico: ogni problematica del suo orizzonte di pensiero contiene anche le altre e viceversa. Al tempo stesso si può parlare di una specificità pedagogica gramsciana, legata non solo al problema della scuola, quanto ad un più complesso approccio alla formazione ed alla organizzazione della cultura in chiave politica, perché il pensiero “pedagogico” di Gramsci è tutto rivolto ad una formazione culturale degli adulti in chiave anti-egemonica per la creazione di uno stato che rappresenti gli interessi più generali in contrapposizione a quello borghese che coltiva i suoi propri esclusivi interessi. La funzione educativa e di promozione umana, che è propria, per dal progresso scientifico) e le osservazioni in proposito del Sorel (e del Missiroli) cadono”, in Quaderni dal carcere, Vol. I, Quaderno 4 (Appunti di Filosofia I), op.cit., p.430. 28 Gramsci A., Socialismo e cultura, in Gervasoni M., Gramsci. Scritti scelti, BUR. Milano 2007, p.45. 16 Gramsci, della società “civile”, ottenuta attraverso il raggiungimento dell'egemonia da parte di una classe/gruppo sociale, si collega alle più ampie problematiche della società politica, con la quale essa deve formare un tutt’uno29. Nella prospettiva di Antonio Gramsci, l’educazione - quella degli adulti, in particolare - gioca un ruolo essenziale nella “guerra di posizione” ed offre lo spazio fertile per lo sviluppo di una nuova teoria dell’educazione degli adulti ancorata senz’altro ai tempi correnti, in grado di lavorare per la realizzazione costante di una riforma intellettuale e della società civile. 29 cf. Mayo P., Gramsci, Freire and Adult Education: possibilities for transformative action, Zed Books, London 1999. 17