CAPITOLO 3 IN VIAGGIO -1- LA LOCANDA “IL DIPLODOCO” La mattina dopo Emma si svegliò che il sole era già sorto. Buttò all’aria la coperta, balzò giù dal letto e scalza, corse giù per le scale. “Ciao nonno!” urlò, saltando l’ultimo gradino. Nella stanza l’acqua bolliva sul fuoco, la tavola era imbandita con biscotti, marmellata e due enormi tazze, ma del vecchio nemmeno l’ombra. Emma si sporse dalla finestra e lo vide vicino al cancello, intento a parlare con il Prof. Losi. “Uffa…ancora…” sbuffò Emma, pensando a quante volte aveva visto il nonno in compagnia del professore e poi, rientrare con il volto visibilmente preoccupato. Seccata, tornò in cucina e si versò il latte nella tazza, aspettando paziente. “Ecco, tieni” stava dicendo il nonno all’amico, porgendogli una vecchia pergamena sgualcita: “Qua ci sono alcuni miei appunti. Non perderli e assicurati che non vadano nelle mani di nessuno”. Losi li prese solerte, diede una rapida occhiata e poi gli disse: “Non ti preoccupare amico mio. Vedrai che lo ritroverete”. Iosepha lo guardò con gratitudine. Gli strinse la mano: “Bene. E’ ora che io vada” e, guardando verso la finestra esclamò: “Emma deve essersi alzata. A dopo” e rientrò in casa, dove trovò la piccola Emma alle prese con la colazione. “Ciao Emma” “Pff...ciao...pff…nonno…” disse con la bocca piena e tossì perché alcune briciole le stavano andando di traverso. Il nonno sorrise. Sedette vicino alla bambina e mangiò qualche cosa. Non disse nulla per un po’ ed Emma stette in silenzio anche lei. Finita la colazione, si affrettarono nell’ultimare i preparativi. Presto sarebbero arrivati i loro compaesani per gli ultimi saluti, e il vecchio Josepha voleva farsi trovare pronto per la partenza. Circa due ore dopo, infatti, si era affollata moltissima gente. Emma vide che alcuni erano gli stessi della sera prima, ma altri arrivavano da paesi vicini e c’era qualcuno che Iosepha non conosceva per niente. Il nonno andò loro incontro, s’intrattenne con ciascuno di essi, rispondendo educato a tutte le domande e cercando di tranquillizzare chi pareva troppo preoccupato. “State sereni, tornerò presto. E con buone notizie”. Poi chiamò la nipote, la quale si avvicinò timidamente. Emma si sentì sopraffatta da tutta quella folla, ma cercando di combattere la timidezza improvvisa, si mise a sorridere a tutti. Dopo un po’ il nonno le disse che era arrivata l’ora di partire e che non avrebbero potuto trattenersi un minuto di più. Qualcuno, sospinse il carro verso di loro e Josepha fece salire dapprima la nipote, poi si sistemò anche lui. Pareva difficile farsi strada in mezzo a quel trambusto, ma il vecchio fece muovere dolcemente i cavalli e la gente si spostò, lasciandoli passare senza alcuna fatica. Poi il nonno agitò le briglie e i due ronzini cominciarono a trottare più in fretta, fino a che non fu possibile distinguerli e del carro non era rimasta che una grande nuvola di polvere. Era passata circa un’ora dalla loro partenza ed Emma pareva sempre più eccitata, tanto da non riuscire a stare ferma un momento. Il nonno per distrarla, cominciò a spiegarle meglio i dettagli del viaggio. Le disse che si sarebbero fermati ad Artan da un vecchio amico di famiglia, perché non lo vedeva da molto tempo. Mentre lo ascoltava Emma, osservava attentamente i luoghi circostanti e notò come tutto fosse già molto diverso rispetto al loro paese. Ai bordi delle strade alcune persone camminavano veloci, donne portavano delle ceste sulla testa, altre delle enormi caraffe piene di acqua. Di colpo il nonno le fece segno di fermare i cavalli. Era necessario controllare il percorso sulle cartine topografiche. “Guarda Emma, noi siamo qui” e le indicò un punto che aveva evidenziato con un grande segno rosso. “Vedi? Dobbiamo andare a Ovest, verso il paese di Artan. Ci vorrà ancora mezza giornata di cammino …è meglio affrettarci” concluse. Il viaggio proseguì abbastanza tranquillamente e i due si fermarono una volta sola per riposarsi. Attraversarono campi di grano enormi, distese di vigneti e pioppi allineati uno dietro l’altro. Ai lati della strada, i contadini alzavano il cappello in segno di saluto ed Emma notò le loro facce stanche e sudate a causa della fatica e del caldo. Quando il sole cominciò a scendere, Josepha disse: “Siamo quasi arrivati” e le accarezzò la fronte con dolcezza, notando che sul viso della piccola Emma, stavano comparendo i segni della stanchezza. Sperò, in cuor suo, che l’amico avesse una stanza per farli riposare: forse il locale non sarebbe stato dei più adatti per una ragazzina così piccola, ma pensò fosse meglio che si abituasse a ogni tipo di realtà. Il suo carattere curioso le avrebbe di sicuro giovato, e non ci sarebbe stato alcun problema. Immerso in queste sue riflessioni, quasi non si accorse che, dinanzi a lui, stava palesandosi il paese di Artan: abbarbicato attorno ad una piccola salita che portava al centro del paese, terminava proprio davanti ad una chiesa antica e imponente. Tutt’attorno non vi erano mura, ma sola una grande staccionata che, più che altro, pareva definire i territori circostanti. Un uomo era intento ad accendere una a una le lanterne della città: esse avrebbero illuminato il paese fino all’alba. Ciò la stupì non poco, perché a Callan la sera tutto era circondato dal buio e immerso nella quiete assoluta. Il nonno le spiegò che, a mano a mano che ci s’inoltrava verso Ovest, le strade diventavano meno sicure e molto frequenti gli episodi di brigantaggio. Anche se raro poi, capitava che il bestiame potesse essere attaccato dai lupi. Era usanza ormai consolidata dunque, porre due guardiani davanti a tutte le entrate dei paesi: queste camminavano avanti e indietro impettite, tenendo una mano sulla cintura e l’altra su di una lancia, provvista di un piccolo stendardo. Essi avevano anche il compito di controllare i documenti dei viandanti e registrarli uno per uno, con molta attenzione. Avanzarono ancora per un po’ e poi, una volta alle porte di Artan, Emma vide le due figure impettite, intente a camminare avanti e indietro con sguardo serio e indagatore. “Documenti prego” disse loro uno dei due, mentre l’altro si accomodava a un tavolo su cui poggiava un librone impolverato. Il nonno sporse due fogli ben ripiegati e l’altro li prese, leggendoli ad alta voce di modo che, quello alla scrivania, potesse annotare velocemente. “Iosepha di Barden da Callan. Prof. Emerito della Scuole Alte del Nord. Emma di Barden, da Callan. Studente”. Dopodiché si misero a ispezionare il carro in modo molto solerte, ma un po’ goffo. Poi chiesero a Josepha: “Ha qualcosa da dichiarare signore?”. Il nonno rispose di no. “Allora potete andare” e gli restituirono i documenti, con lo sguardo lievemente accigliato. “Arrivederci signore” gli dissero, mettendosi sull’attenti. “Saluti” rispose il nonno, spronando i due ronzini. Poi i due si guardarono. Ultimamente questi controlli stavano diventando davvero una scocciatura: la quantità di gente che si spostava nelle loro terre aumentava troppo e ogni giorno di più. “Uhm…strana gente di questi tempi. Dove andremo a finire?” esclamò uno dei due. “Mah…” osservò l’altro perplesso, ma poi non aggiunse niente e si limitò a tornare, con passo lento e svogliato, a compilare il suo librone, mentre altri viandanti aspettavano pazientemente il loro turno. Iosepha ed Emma percorsero un altro po’ di strada prima di arrivare al centro del villaggio, che dopotutto, era in gran parte molto simile a Callan, dopodiché s’inoltrarono verso l’aperta campagna per raggiungere un agglomerato di casupole dove, a detta del nonno, doveva esserci anche l’osteria di Leo. E, infatti, eccola: una casetta bianca con il tetto di paglia, com’era di usanza in passato, delle finestre finemente allineate e un balcone adornato da fiori lillà e rossi. Si avvicinarono piano ed Emma vide sulla facciata anteriore, una porta molto alta e stretta vicino alla quale era posto un cartello con la scritta: ’Hai abbeverato il tuo cavallo?’. Il nonno rise di gusto: ricordava bene le convinzioni animaliste di quel ragazzo che cozzavano certamente con la sua natura irruente e polemica, ma ne rilevavano il carattere sensibile e profondo. Legarono dunque i due destrieri ed entrarono in silenzio. Il posto benché accogliente, era pieno di fumo e impregnato di un odore forte e speziato. Uomini dalle schiene coperte con strette canotte lise e sporche, sedevano un lungo bancone, mentre altri se ne stavano accomodati a grandi tavolacci di legno, bevendo birra e parlando ad alta voce. Alcune donne, con indosso vestiti dalle gonne lunghe e il corpetto troppo stretto, giravano da un tavolo all’altro, ridendo sguaiatamente. Sfuggendo dalla mano del nonno la ragazzina attraversò tutto il locale, quindi, ostentando una sicurezza che non aveva, cercò di salire su di uno sgabello posto proprio davanti al bancone delle bevande. Il vecchio Iosepha la raggiunse subito e, tra il divertito e il preoccupato, la sollevò di peso, aiutandola a sedersi: “Emma, mi raccomando…stammi sempre vicino” le disse. Poi si rivolse al ragazzo dietro al bancone: “Sto cercando il padrone”. “Chi lo desidera?” rispose questo, guardandolo dritto negli occhi. “Sono un suo vecchio amico del Nord. Josepha. Diglielo e vedrai che arriverà subito” “Va bene vecchio, ma non mettermi nei guai” e scomparve sul retro. Dopo appena due minuti arrivò un uomo tutto trafelato, dall’aspetto sudato e stanco che appena lo vide, allargò le braccia ed esclamò: ”Iosepha! Sapevo che saresti arrivato… me lo sentivo! Ma non così presto…!”. Il nonno dal canto suo, non si scompose per nulla, anche se tra il serio e l’imbarazzato contraccambiò l’abbraccio. L’amico del nonno, particolarmente grosso aveva il petto ricoperto da peli ricci e folti che uscivano da una canottiera sgualcita e piena di vecchie macchie di olio. Un’enorme fusciacca cercava di tenere al meglio un paio di pantaloni sdruciti, mentre il collo era circondato da una grande collana d’oro. Gli occhi neri erano contornati da sopracciglia folte e cespugliose, mentre i capelli rasati celavano un’incipiente calvizie. Sorridendo Emma notò che almeno due o tre denti, dovevano essere d’oro. “Vecchio…. Cosa ti porta qua da me?” gli diede una grande pacca sulla spalla. Sono in viaggio” rispose lui. “Questa è mia nipote: la figlia di Wal.” e indicò la piccola. Leo la scrutò: ”Ciao Emma. Mi ricordo di te. Ti ho visto quand’eri piccola. Così” e con la mano fece un gesto per indicarne l’altezza. “Salve” gli rispose lei. Poi il nonno continuò: “Stiamo andando verso le terre del Sud”. “E Wal? Come sta?”. Leo non poteva sapere. “Non ricevo sue notizie da almeno sei mesi... ” e gli spiegò gli avvenimenti dell’ultimo periodo. “Sono preoccupato” concluse a bassa voce. Leo lo guardò serio: “Ho capito vecchio... ” gli rispose cogliendo la gravità della situazione. “Non è possibile che le sue lettere siano andate perse?”. In quel periodo non sarebbe stato un fatto insolito visto la carenza del servizio. Josepha però lo escludeva. Conoscendo suo figlio sapeva che avrebbe fatto qualsiasi cosa, perché avesse sue notizie. Suo figlio doveva trovarsi in grave pericolo. Il nonno, cercando di scacciare questi brutti pensieri sospirò. “Devo trovarlo” concluse. E poi: “Abbiamo bisogno di riposarci. E di mangiare” disse all’amico, il quale annuì: “Ti faccio subito preparare qualcosa ... ho una stanza tranquilla che va bene per voi.” e aggiunse, rivolgendosi al ragazzo di prima: “Vai a chiamare mia moglie.” Dopo un po’ arrivò: “Ciao Iosepha” salutò educata e per nulla sorpresa. La donna, dal carattere forte e deciso non si scomponeva mai e, secondo il nonno era l’unica donna, che potesse tenere testa a Leo, senza uscirne con le ossa rotte. “Tu devi essere Emma.” “Ciao” rispose lei. “Cara, prepara qualcosa a questi signori” e lei, annuendo, scomparì sul retro. Poco dopo tornò con un vassoio ricolmo di cibo e due piatti pieni di zuppa fumante. A quella vista Emma sentì la bocca riempirsi di saliva. Aveva fame: a parte le quattro gallette mangiate a pranzo, non toccava cibo da un bel po’. Si misero così a mangiare con foga, assaporando quella zuppa calda che pareva essere fatta dal miglior brodo del mondo. -2- UNA MANCATA COLAZIONE Appena finita la cena il nonno si mise a chiacchierare animatamente con Leo, ed Emma cominciò a guardarsi attorno annoiata. C’era un gran chiacchiericcio: l’ambiente sembrava allegro e divertente. Nel locale parevano quasi tutti adulti e i pochi giovani presenti, stavano in disparte e parlavano tra loro. La ragazzina vide che a uno dei tavoli, erano seduti un uomo e una donna i quali davano l’idea, di non volere intromissioni di sorta. I due parlavano in modo sommesso e gesticolavano in modo evidente. Lui, come Leo, aveva l’aspetto dimesso, con la casacca sgualcita e i pantaloni tenuti su, da una fune di canapa mal lavorata. Ai piedi portava due grandi zoccolacci di legno e una folta barba gli contornava il viso. Davanti a sé un grosso boccale di birra pareva essere né il primo né l’ultimo, e l’uomo rideva in modo sguaiato, battendosi ripetutamente la mano sul ginocchio. La donna bella, ma dal viso stanco, gli era seduta vicino e lo ascoltava con evidente ammirazione. Emma, incuriosita, andò da loro e disse: “Salve”. “E tu chi sei?” le chiese l’uomo. “Come ti chiami?” domandò di rimando la bambina. “E tu?” ribatté. “Emma” “Bel nome” intervenne l’altra guardandola un po’ scocciata e, rivolgendosi a lui aggiunse: “E’ troppo piccola, non va bene” “Guardala... è proprio lei”. Emma riuscì a decifrare poche parole, ma non se ne interessò molto. Stava per continuare a parlare quando sentì il nonno afferrarla per un braccio: “Emma ... ti avevo detto di non muoverti” e incenerì i due con lo sguardo. Poi la portò via dicendo: “Buonasera signori, i miei omaggi”. “Scusa nonno” “Va bene piccolina” e la sollevò per darle un bacio. “E’ meglio che andiamo a riposarci. Il viaggio è ancora lungo e noi siamo stanchi”. E assieme si recarono in una delle stanze fatte preparare apposta per loro. La camera era piccola, ma accogliente e tutto in ordine e pulito. Il vecchio Josepha ancora lievemente in ansia, entrò tremante, osservando la nipote. Quando non l’aveva vista più, si era subito preoccupato, come avesse avuto paura che qualcosa di terribile potesse essere successo. Si sforzò di non pensarci più: adesso la bimba era lì, assieme a lui. E il peggio sembrava essere passato. La mattina dopo, Emma fu la prima a svegliarsi e mentre tentava di sgambettare fuori dalla stanza, senti il nonno chiamarla ripetutamente: “Sono, qui!” “Ciao bambina” le disse. E si alzò anche lui. “Ho fame. Andiamo” e il suo entusiasmo fu, ancora una volta, contagioso. “Inizia a scendere. Arrivo subito. …non uscire fino a che non arrivo io” Emma fece gli scalini a due a due, e si mise a cercare Leo, trafelata. Nel locale non c’era ancora nessuno e le finestre spalancate facevano entrare tutta la luce del mattino. Così vuoto, il locale, pareva molto diverso dalla sera prima, anche se l’odore acre di fumo persisteva nell’aria. Scorse Leo dietro la porta, intento ad asciugare bicchieri e piatti puliti, per poi riporli uno sull’altro. “Buongiorno signor Leo” “Buongiorno Emma. Dormito bene?” “Sì signore” “Accomodati. La colazione è quasi pronta: due uova strapazzate, pane tostato e pancetta” e, prima di scomparire sul retro le indicò un tavolino apparecchiato apposta per loro. Emma rimase un momento da sola, immersa nel silenzio mattutino, ma poco dopo un uomo dalla stazza enorme entrò nella stanza. La bambina, con il sole in controluce, non riuscì a capire subito chi fosse, ma poi lo distinse chiaramente: era quello della sera prima, ma stavolta da solo. “Ciao” rispose senza timore e gli andò incontro. L’altro avanzò imponente, tossendo rumorosamente. Dal retro arrivavano le voci di Leo e la moglie: “….ecco ….due uova per il vecchio... i biscotti per la piccola e un po’ di latte…” “Poi un cesto di cibo per il viaggio….no questo pane no…non piace a Iosepha sono sicuro…questo …” “Si caro” ed ecco Leo sporgersi dal retro e dire: “Ehi piccolina! Vi ho messo anche del formaggio!” Quindi scomparire nuovamente nella cucina. Intanto l’uomo si era appena seduto e rimaneva immobile con lo sguardo vacuo e fisso, una mano appoggiata a uno dei tavolacci e l’altra sulla gamba. Emma si avvicinò: “Salve” gli disse di nuovo, ma lui, questa volta non la degnò di uno sguardo. Emma insistette: “…ci siamo incontrati ieri sera...”. “Ah..” rispose lui disinteressato. ‘Che tipo strano ’ pensò. Intanto il nonno la raggiunse ed Emma cominciò a parlare, con lui, fino a che non ebbero finito di mangiare. Poi Josepha le disse: “Vai a prendere i cavalli Emma: portali fuori e legali al carro. Io arrivo subito” e si avviò verso le scale. L’uomo aspettò due o tre minuti poi, con fare stanco si alzò e uscì anche lui, seguendo la bambina che di corsa, andava verso il fienile. Era arrivato il momento. La ragazzina…doveva essere lei. Ne era convinto. Stessi capelli e occhi, il corpo esile e poi… quel vecchio! Non c’erano dubbi. Accelerando il passo raggiunse la sua compagna di viaggio che lo aspettava assieme ai loro bellissimi destrieri. Appena la vide le fece cenno di salire su di loro e in fretta. Intanto Emma portò i cavalli vicino al carro e li legò ad un albero, poi tornò indietro per prendere sella e briglie. Le cicale si misero a frinire nel prato, rompendo il silenzio. “Frrrrr…frrrr…frrrrrr….” . Una di loro doveva essere vicinissima. Accarezzò di nuovo i due animali, parlò loro nell’orecchio li sellò, li attaccò al carro e salì sopra di esso “Fr….frrrr….frrrrrrr”, ancora cicaleccio. Passarono alcuni minuti ed Emma era talmente assorta, da non accorgersi di un lontano rumore di cavalli al galoppo. Poi, incuriosita, alzò il viso e tese l’orecchio. “Che strano silenzio…” pensò. Un totale e vuoto silenzio. Solitudine. Poi una cicala riprese il suo frinire ed Emma si distese. D’un tratto il carro ebbe un sussulto, ed Emma perse l’equilibrio “Ahi!”. Poi un altro scossone. “Oh... adesso basta.” esclamò, mentre cercava di rialzarsi. Uscì dalla carrozza e si protese verso le briglie dei cavalli. Ma loro erano immobili, quieti e tranquilli. Un viso apparve davanti ad Emma che, spaventata arretrò d’istinto. Ma una mano enorme la prese per un braccio: “Non gridare...e non ti succederà niente”. Emma cercò di divincolarsi. “Zitta” e l’uomo le strinse forte la bocca, tanto da farle mancare il respiro. La sollevò di peso e la fece sedere con forza sul cavallo, quindi partì al galoppo correndo veloce nella polvere. In quel preciso istante Leo stava uscendo dalla cucina e sentì un rumore sordo provenire dall’esterno. Di corsa e tutto trafelato ci mise un momento, prima di capire cosa stesse succedendo, poi frastornato, si mise a correre verso di loro, gridando ad alta voce. “…che succede? Emma! Emma!” , ma la bambina non riusciva a rispondere mentre scompariva in mezzo a una nuvola di polvere. Leo si volse e vide il vecchio Iosepha, fermo sull’uscio con lo sguardo come inebetito: “Che cosa è successo? La bambina.... Dov’è?” . Leo lo guardò avvilito e, passandosi una mano sulla fronte disse: “Iosepha…..” “Devo…devo…devo andare….” balbettò lui, rendendosi conto dell’accaduto. ‘No! No…’ penso disperato ‘ Emma!’. “Non c’è tempo da perdere” esclamò. ”Devo andare a cercarla. E subito”. Intanto anche la compagna di Leo li aveva raggiunti e lui la guardò con sguardo interrogativo. La donna fece un segno di assenso, quindi lui si rivolse al nonno e gli disse: “Vengo con te vecchio”. Partirono poco dopo, mentre lei restò a guardarli sospirando. In cielo piccole nuvole si stavano addossando l’una con l’altra. Di lì a poco avrebbe cominciato a piovere. Molti si sarebbero rintanati nelle loro case, altri cercato riparo nella locanda. Tempi tristi stavano tornando: la gente era sempre più diffidente, nei campi il terreno diventava difficile da arare e tutto si faceva più oscuro. -3- AL MERCATO DI OBAN Aprì gli occhi lentamente, e la vista annebbiata, le fece sbattere più volte le palpebre. Il calesse sobbalzava ogni momento. Si chiese dove fosse, poi cominciò a ricordare. Si guardò attorno: vicino a lei stoffe di poco pregio poggiate alla rinfusa, diverse corde e una camicia di lino sgualcita. Fuori doveva essere sceso il buio ed Emma sentì freddo e brividi alle braccia. La testa le pulsava forte e lo stomaco bruciava di fame e apprensione. ”Dobbiamo stare attenti” diceva l’uomo. “Domani mattina arriveremo al paese di Oban. La ragazzina: non deve essere riconosciuta.” “Sì, caro. Molto bene” Emma stava in silenzio con le orecchie tese. ‘Nonno…perché non gli ho ubbidito? Ti prego…ti prego…ti prego. Prometto che ubbidirò, ma rivoglio il nonno’ disse sottovoce per non farsi sentire e, senza sapere bene a chi stava promettendo. A un certo punto il calesse si fermò. Sentì i cavalli nitrire e un tonfo sordo. Lui disse. “Vai a prenderla e portala qui”. ”Ehi…ehi...sveglia”. La grazia pareva non appartenerle. Per nulla. “Ehiiiii!” le urlò. Allora Emma si mosse, alzando il viso con difficoltà. Poi, anche l’uomo le raggiunse: “Ascolta: comportati bene e non ti capiterà niente.". Quindi la fecero scendere e lei vide che si erano fermati lungo una sponda ghiaiosa, ai margini di un piccolo fiume dall’andamento calmo e tranquillo. Le diedero dei vestiti puliti e, con un coltellaccio affilato, le tagliarono un po’ i capelli. Nello stesso tempo lui aveva acceso un fuoco e del lardo si stava scaldando sulla brace: gliene diedero in abbondanza, al contrario di quello che lei aveva immaginato, poi la luna si alzò ed Emma fu invitata ad andare a riposarsi. Tutto sembrava strano e si svolgeva troppo in fretta. “Una volta superata la frontiera dovremmo incamminarci verso Nord, per raggiungere il villaggio di Oban. Poi vedremo il da farsi”. “…dobbiamo liberarcene alla svelta...ho l’impressione che ci porterà solo guai. Non avremmo dovuto accettare”. Non era la prima volta che glielo diceva e, anzi, sapeva molto bene che la moglie era sempre stata molto contraria a quell’incarico. I due, entrambi mercanti si erano conosciuti a Oban e sposati molto giovani. La loro vita era stata abbastanza agiata, fino a che non si era saputo che, un nuovo Grande Cataclisma, stava per tornare. La gente, impaurita, aveva cominciato a spendere i propri soldi molto meno volentieri, a rifugiarsi nelle case e ad essere poco socievole. Così gli introiti erano sensibilmente diminuiti e i loro mezzi peggiorati. Avevano cominciato ad arrangiarsi, e a lavorare per certa gente del Sud, che pagandoli profumatamente, li ingaggiava per diverse mansioni, più o meno lecite. Quella volta dovevano trovare una bambina dai capelli neri e gli occhi verdi, in compagnia di un vecchio dall’aria sapiente. Fino a quel momento l’intento non era andato a buon fine, ma questa volta le notizie arrivate loro, non avevano lasciato addito ad alcun dubbio. La ragazzina trovata, non poteva essere che lei. Come d’accordo, doveva essere portata ad Oban e lasciata da uno dei vecchi mercanti circensi, i quali erano sempre in cerca di giovani leve, da assoldare al proprio servizio. Quello che le sarebbe successo dopo non aveva importanza. I due sapevano soltanto che sarebbero stati pagati profumatamente e, da quel momento in poi, tornati a una vita agiata e magari anche sfarzosa. Ma lei si sentiva irrequieta. “C’è qualche cosa che non torna”. ”Zitta! Con il gruzzolo che ne ricaveremo potremo finalmente cambiare la nostra vita…capisci?…” “Non sappiamo nulla di chi la vuole. Tutto è strano e segreto… Abbiamo sempre visto in faccia i nostri clienti, mentre questa volta…” ma il marito la interruppe “Le altre volte erano diverso. Questa bambina… ha qualche cosa di più”. La donna non disse niente ma si vedeva la preoccupazione sul suo viso. “Ora vai a riposarti. Faremo i turni stanotte. Comincio io” e si avviò verso il calesse. Ad osservalo meglio, si capiva che anche lui doveva essere molto preoccupato. “E’ meglio finire tutto e in fretta” commentò infine l’uomo. C’era qualche cosa di strano in tutto ciò che stava succedendo e la sua apprensione si faceva ogni momento più forte. La mattina dopo si rimisero in viaggio molto presto. Emma, seduta sul retro, se ne stava rannicchiata su se stessa. Le avevano portato del latte da bere, ma lei lo aveva rifiutato. “Mangia ragazzina” le dissero con un tono che non ammetteva repliche: “E dopo vieni a sederti assieme a noi”. Quindi fecero partire i cavalli, al trotto. Prima avessero sorpassato la frontiera e prima sarebbe stato meglio per tutti. Meglio fare in fretta. Poco dopo Emma li raggiunse e, per un bel pezzo, nessuno parlò. Ad un certo punto lesse un cartello: ‘Oban. Terra di confine’. E sotto ‘Benvenuti’. Emma non sapeva nulla delle città di quei luoghi e si chiese dove potessero essere. Particolarmente attenta ai dettagli, cercava in tutti i modi di imprimersi la strada nella mente. Oban era uno di quei paesi a metà tra un posto e un altro, dove la gente si sente di appartenere a entrambi i luoghi, ma mai fino in fondo. Era uno di quei posti simbolo d’incontro di tutte le genti, dove molti passano, ma pochi si fermano davvero. A Oban arrivavano merci da tutte le parti del mondo e il centro era sempre gremito da gente dalle caratteristiche più disparate. Emma vide che, anche qui come ad Artan, l’accesso in città era preceduto da un controllo particolare e, questa volta, con una dovizia e una solerzia impressionanti. “Altolà” dissero loro. “Oohh…ferma” fece il suo rapitore. “Dichiarate?”. “Siamo mercanti, torniamo dai villaggi del Nord. Affari…Commerciamo pelli e suppellettili di vario tipo”. Questa è mia moglie. E mia figlia...”. L’uomo diede un’occhiata a entrambe. “Da quanto tempo siete in viaggio?” “Da almeno tre giorni” Siamo molto stanchi signore” rispose la donna. “Uhm…” poi fece segno ad un altro di controllare sul retro. “Mi faccia vedere la vostra carta di viaggio” e dopo averli presi li guardò a lungo. Poi restituendoli disse, quasi a scusarsi per la rudezza: “Fate attenzione. Di questi tempi non c’è da fidarsi...”. “Già” “Andate ora” “Si” annuì, portandosi la mano al capo in cenno di saluto. Quindi diede una sferzata ai cavalli e partì. “Strane persone” commentarono osservandoli. “Teniamo gli occhi aperti…non si sa mai” . Poi tornarono a fissare l’orizzonte in attesa di qualche altro passante. Intanto l’ultima speranza di Emma pareva scomparsa: da lì in poi nessuno avrebbe più potuto riconoscerla.