Famiglia e disabilità Psicologia dell’handicap e della riabilitazione Prof. Maria Francesca Pantusa Disabilità e famiglia L’esperienza di avere un figlio è già di per sé un elemento che altera gli equilibri presenti in una coppia e in una famiglia. Intorno alla procreazione ruotano quindi molteplici fantasie e bisogni: il desiderio di prolungare la propria vita nel figlio, la speranza di un miglioramento della relazione con il partner, la voglia di trasmettere, oltre all’eredità biologica, anche la propria identità culturale. I genitori La nascita di un figlio con qualsiasi ritardo o problema è un trauma che ferma il tempo, generalmente i genitori vedono i figli come la continuazione di loro stessi, qualcuno con cui identificarsi, la presenza di un handicap impedisce questo processo I genitori La nascita di un bambino con handicap cambia l’identità personale e familiare La famiglia si trova in una terra di confine Il bambino con handicap non ha una valenza sociale “positiva” S tratta di un evento imprevedibile, non scelto, altamente stressante e potenzialmente traumatico. I Genitori Quando invece del “bambino sano e bello” nasce un figlio con handicap il fatto si trasforma in un evento angosciante e luttuoso. “Da dove viene questo bambino che non ci rassomiglia? “ “Perché è successo, perché è successo a me? “. I Genitori Il figlio handicappato realizza i fantasmi del bambino “anormale e mostruoso”, presente nell’immaginario di tutte le donne incinte. In alcuni ambienti un handicappato è tuttora considerato una vergogna, una “punizione divina”, il frutto di colpe e di tare ereditarie I Genitori In ogni caso il disabile è il portatore di una duplice e conflittuale simbolizzazione: da una parte è il “bambino” che sollecita la cura e la pena, dall’altra è il “portatore della malattia”, cioè una realtà che deve essere combattuta e rifiutata e quindi non può essere condivisa. I Genitori In questa dinamica (a seconda che l’oggetto del male sia vissuto come interno o esterno) si instaurano: ansie depressive o ansie persecutorie, centrate sulla malattia vergogna del figlio, sulla percezione dell’ostilità-pietà degli altri. Le fasi del processo : I° fase La prima fase di questo processo si divide in tre momenti in successione: lo shock, il rifiuto, il dolore e la depressione. Lo shock è la prima sensazione che colpisce i genitori, accompagnata da pianti continui, intontimento e senso di impotenza. Segue il rifiuto dell’evidenza per togliersi da una situazione di sofferenza. Ma il rifiuto può avere anche un connotazione positiva, se aiuta a prendere tempo, a ricostruire l’equilibrio interiore che questa nascita ha fatto a pezzi. Poi subentra un acuto dolore, perché questo figlio rappresenta un lutto da elaborare, quello della morte del figlio ideale e perfetto Quando i genitori si scoprono vulnerabili e non onnipotenti, vengono assaliti dai sensi di colpa cercando di evitare l’umiliazione del confronto con la realtà esterna isolandosi, limitando o interrompendo drasticamente i contatti sociali, cadendo preda alla depressione Le fasi del processo: II° fase Successivamente subentrano ambivalenza colpa e rabbia: L’ambivalenza è il sentimento che determina nel genitore intenzioni contrastanti nei confronti del figlio disabile, per cui ad un sacrificio di sé totale quasi ad arrivare ad annullare ogni altro dovere verso gli altri membri della famiglia, si può contrapporre il desiderio della morte del figlio per porre fine alle sofferenze. C’è poi il senso di colpa che è la reazione più difficile da superare, perché fa credere ai genitori di essere gli unici responsabili di quanto è accaduto. Spesso ritorna la rabbia che porta a ribellarsi da una realtà che sembra essere tanto ingiusta. Le fasi del processo: III° fase La terza fase di questo processo prevede reazioni di patteggiamento, adattamento e riorganizzazione, accettazione e adattamento. Il patteggiamento è un atto soggettivo di cui gli altri non si accorgono, i genitori sperano di poter stringere un patto con Dio, con la scienza o con chiunque prometta loro di portare alla normalità il loro bambino Per poter parlare di adattamento autentico alla nuova realtà c’è bisogno che ci sia la piena accettazione della disabilità. Il processo di passaggio da una fase all’altra non è strettamente sequenziale possibile in ogni momento il ritorno ad una fase precedente. I Genitori Quando non si verifica una situazione di accettazione o di adattamento consapevole, le reazioni più frequenti sono: il rifiuto (richiesta di istituzionalizzazione, “correre da uno specialista all’altro”); un comportamento di iperprotezione verso il figlio e di iperesigenza verso se stessi (dedizione assoluta come “modalità di espiazione”); sindrome della “madre dedita ” la negazione dell’handicap e minimizzazione del danno; la rivendicazione e aggressività nei confronti dell’ambiente (atteggiamento di risarcimento). I Genitori Il superamento di un evento critico è dato da diversi fattori: dalla capacità della famiglia di riconoscere e organizzare le risorse disponibili dei singoli componenti nel sistema familiare e nel contesto sociale; dal significato che la famiglia attribuisce all’evento; dal modo in cui la famiglia ha affrontato i compiti evolutivi connessi a fasi precedenti; dalle reazioni con l’ambiente esterno. Disabilità e famiglia Pasqui (1994) identifica da parte dei genitori, diverse modalità di investimento nei confronti del figlio affetto da disabilità che possono essere riassunte in: Un investimento “riuscito”, in cui tendenze empatiche ed operative sono in equilibrio. Un investimento “operativo”, sbilanciato verso il fare piuttosto che il capire e il sentire. Un investimento “empatico”, sbilanciato cioè verso un’eccessiva risonanza affettiva che tende a paralizzare le azioni riparative. Un disinvestimento, ossia un’incapacità di utilizzare sia il canale empatico sia il canale operativo. Disabilità e famiglia Due modelli estremi di reazione alla nascita . A un estremo un senso di colpa che conduce sul piano manifesto alla dedizione completa ed esclusiva della madre al benessere del bambino ritardato ….sindrome della “madre dedita ” All’estremo opposto una manifesta intolleranza dei Genitori verso il bambino e l ’impulso quasi irresistibile a negare la relazione col figlio Solnit 1961 Disabilità e relazione di coppia La relazione di coppia viene messa a dura prova. La scelta di avere messo al mondo un figlio diventa in questo caso un fattore critico. Spesso sorgono conflitti che compromettono la soddisfazione coniugale, amplificano un disagio preesistente o esitano in una separazione. Disabilità e relazione di coppia Avere un figlio disabile può causare la rottura di una coppia? In ogni caso non c’è un rapporto causa-effetto tra l’avere un figlio disabile e la rottura di un rapporto. Ci sono molti altri fattori che entrano in gioco: fattori legati alla personalità di ognuno, grado di soddisfazione del rapporto percepito prima dell’evento traumatico, supporto trovato nella cerchia sociale o familiare ecc. Disabilità - famiglia e diagnosi Esistono differenze nelle relazioni familiari tra le famiglie con figlio disabile in base alla diagnosi? Come reagiscono i genitori di bimbi con patologia rara rispetto a quelli di bimbi con paralisi cerebrale infantile? Disabilità - famiglia e diagnosi Si sono riscontrate differenze notevoli : Nei genitori con figlio con paralisi cerebrale infantile predomina una modalità di reazione centrata maggiormente sull’emotività e meno sulla razionalità. Questi genitori sono più “arrabbiati”, come se il “danno” ricevuto avesse un colpevole e fosse evitabile. Spesso, purtroppo, è così: la paralisi cerebrale infantile, infatti, insorge in seguito a complicanze avvenute durante il parto, complicanze che il più delle volte avrebbero potuto essere evitate. Disabilità - famiglia e diagnosi Come scrive Negrin Saviolo “i vissuti implicati in famiglie che presentano problemi di ereditarietà sono ad alta emotività e investono ciascun membro del nucleo familiare nelle parti più profonde della propria identità, quelle rappresentate dal suo patrimonio genetico. I geni guidano tutti i processi fisiologici e biochimici della vita e rendono la persona sana e funzionante: se non funzionano bene, l’intera persona è sentita come difettosa". Tali questioni si amplificano nel momento in cui ci si sente responsabili per la disabilità del proprio figlio e può succedere che dopo un’iniziale fase di shock e di incredulità, si passi ad una fase in cui emergono vissuti di rabbia, vergogna, ansia, spesso mescolati a senso di inadeguatezza e di colpa, dove l’aspetto più doloroso è il constatare che, in qualche misura, si è implicati nella malattia del figlio. Disabilità - famiglia e diagnosi Diversa è la situazione per le coppie con figlio con malattia rara. Questi genitori, non potendo imputare ad altri la “colpa” di quanto è avvenuto, riescono ad accettare l’evento, a “farsene una ragione”. Sviluppano addirittura una componente relazionale migliore delle coppie con figli sani. Si è evidenziata nei primi una maggiore capacità di perdonare gli errori reciproci e di esprimere al partner i propri sentimenti. Anche il clima familiare è meno conflittuale nelle famiglie con un figlio con disabilità genetica rispetto alle famiglie con figli sani. Alcune persone riescono addirittura dalla tragedia della nascita di un figlio menomato a trovare la forza per una crescita a un più alto livello di maturazione. Disabilità e ruolo genitoriale Ci sono differenze nelle reazioni tra padri e madri? Nelle madri sembra predominare la modalità di tipo operativo, mentre nei padri quella del disinvestimento. I padri sembrano più sbilanciati verso l’esterno della famiglia, sono più coinvolti nel lavoro e più preoccupati degli aspetti connessi al sostentamento della famiglia e al garantire al figlio disabile un’adeguata assistenza non solo per il presente, ma anche per il futuro. Spesso le madri stabiliscono un rapporto molto stretto con il figlio disabile, all’interno del quale, in modo quasi esclusivo, gestiscono le cure e gli accudimenti necessari al bambino. La madre Si attiva fin da subito, soprattutto nella madre che riveste un ruolo fondamentale nella presa in carico del bambino, un meccanismo di colpevolizzazione in due direzioni: verso di sé, per aver messo al mondo un essere imperfetto verso i medici, per le cure fornite al momento del parto e per la tempestività e correttezza della diagnosi. Disabilità e fratelli E i fratelli? Le ricerche concordano nel ritenere che avere un fratello con disabilità rappresenta un evento “eccezionale”, imprevisto e non voluto che influenza profondamente non solo la relazione tra fratelli, ma anche lo sviluppo psicologico del fratello sano. Tuttavia le conclusioni sono spesso contrastanti: da un lato diversi studi suggeriscono che alcuni dei fratelli sani di soggetti disabili sono a rischio di disadattamento e di sofferenza psicologica, dall’altro alcune ricerche non confermano in modo univoco la presenza e l'entità di tali rischi, sottolineando, al contrario, anche effetti più complessi, non privi di componenti maturative. Le ricerche sulla famiglia condotte dagli anni ‘70 ad oggi mediante gruppi di controllo dimostrano che, contrariamente agli stereotipi, nelle famiglie in cui vi è una persona con disabilità c’è un maggiore impegno sociale e un numero minore di divorzi. Per quanto riguarda i siblings è emerso che: Sono più affettuosi con il fratello disabile piuttosto che con gli altri fratelli; sono più maturi socialmente e in grado di manifestare comprensione per le differenze individuali delle persone; sono più flessibili e in grado di tollerare i cambiamenti; sono più riflessivi; sono più responsabili, più affettuosi, più generosi. Il punto di vista del figlio disabile: gli errori dei genitori La prima emarginazione avviene nell’ambito della famiglia. Gestione “familiare” dell’Handicap. Difficoltà a chiedere ad affidare ad altri la gestione del figlio. “I genitori non riconoscono il diritto di crescere, di diventare adulti, di avere una personalità e di avere autonomia di scelta. Per la famiglia, il figlio handicappato resterà sempre un bambino, malato, senza una propria identità. Alcuni genitori vogliono fare emancipare il figlio handicappato, lo aiutano a farlo, ne vanno orgogliosi a condizione che ciò avvenga sotto la loro guida e protezione Il punto di vista del figlio disabile: gli errori dei genitori In una prima fase l’errore più comune è di dare delle illusioni e non creare la consapevolezza della propria condizione (vedrai che tra un anno camminerai); il bambino si renderà conto di essere stato ingannato. In una seconda fase l’atteggiamento cambia: dalle illusioni si passa alla sfiducia e allo scoraggiamento. Inizia un lungo processo col quale si cerca di convincere il figlio che tutto è immutabile e senza speranza. Si dicono frasi “che farai quando noi non ci saremo”, “a che cosa ti serve studiare, non potrai mai lavorare”, “non potrai mai vivere la sessualità, aver una famiglia, non devi pensare a queste cose”, “devi sempre essere bravo, educato, non polemico, non puoi vivere da solo, hai bisogno degli altri”, “come siamo stanchi…”. (M. Cameroni, 1981) Questi atteggiamenti provocano traumi psicologici e passività. Handicap e famiglia: quale sostegno Di quale tipo di supporto hanno bisogno queste famiglie? Si possono ipotizzare tre diverse fasi del processo di adattamento al figlio disabile. Nella prima fase, che coincide con il disorientamento e lo shock per la nascita del bambino con malattia genetica, occorre aiutare i genitori a sostenersi reciprocamente e a condividere il loro dolore, dando ad esso un tempo e uno spazio in cui poter essere elaborato. In una seconda fase, che coincide con il superamento dello shock iniziale e, talora, con la comparsa di forti sentimenti di negazione della realtà, occorre aiutare i genitori a costruirsi un’immagine il più possibile realistica del proprio bambino, delle sue risorse e dei suoi limiti. In una terza fase occorre guidare i genitori nella costruzione del progetto riabilitativo del bambino, in cui essi devono sentirsi protagonisti. Handicap e operatori Gli operatori ( sanitari-insegnanti) Possono essere vinti dal senso di fallimento, impotenza e sconfitta nei confronti del Bambino con disabilità Non offrire sostegno e comprensione e ritirarsi Oppure contro reagire con un iper-attivismo terapeuticoriabilitativo o con una presa di distanza mascherata dietro la propria “tecnica” Dovrebbero conoscere i processi di elaborazione del trauma e in particolare il carattere di ripetitività del processo di lutto