Peri odi co ed ito da
CERDOMUS Ceramiche SpA
48014 Castel Bolognese (RA) ITALY
via Emilia Ponente, 1000
www.cerdomus.net
Di ret tore re sp onsa b ile
Luca Biancini
Progetto
Carlo Zauli
Luca Biancini
Grafi ca e i mp a g ina zione
Laura Zavalloni – Cambiamenti
per Divisione immagine Cerdomus
Coordi nam ento ed itoria le
Alessandro Antonelli
R edazi o ne
Tommaso Attendelli
Giuliano Bettoli
Franco De Pisis
Hilda Gadea
Angelamaria Golfarelli
Italo Graziani
Vanna Graziani
Paolo Martini
Manlio Rastoni
Valentina Santandrea
Tatiana Tomasetta
Carlo Zauli
Foto
Archivio Cerdomus
Archivio Italo e Vanna Graziani
Archivio Elio Ghiberti
Archivio fotografico Viterbo Fotocine
Archivio masque teatro
Valentino Bettini
Marcello Boschetti
Christian Contin
Luca Del Pia
Ugo Galasso
Rolando Paolo Guerzoni
Venere Montalti
Claire Pasquier
Francesco Raffaelli
Mario Spada
s i ri ngrazi a no
Comune di Roncofreddo
Provincia di Rimini
Tre Monti
Montalti Pietro e Mario Cani - Errano, Podere San Severo
Si ri ngrazi a per la p reziosa colla b ora zione
Maddalena Becca / Divisione immagine Cerdomus
Traduzi oni
Traduco, Lugo
Stampa
FAENZA Industrie Grafiche
©
CERDOMUS Ceramiche SpA
Tutti i diritti riservati
Autorizzazione del Tribunale di Ravenna
nr. 1173 del 19.12.2001
E
ntrato nel suo settimo anno, ee muta il suo manto.
Ravviva i colori accesi che fin dal primo numero ne
contraddistinguono il temperamento, rinnovando al
contempo la trama della sua livrea, o più prosaicamente
il layout delle sue pagine. Una scelta non esclusivamente
stilistica, volta bensì ad ottimizzare la leggibilità e, più di
tutto, ad ispirare inedite percezioni, prendendo per mano
il lettore e calandolo nell’atmosfera di ogni argomento
raccontato. A planare tra i merli dei castelli arroccati
sulle alture collinari come ad esplorare i claustrofobici
camminamenti del sottosuolo. A viaggiare a ritroso
nella storia tra splendori e tragedie del passato come
a celebrare la poetica e la pragmatica dello spirito
umano. A richiamare alla memoria ataviche tradizioni,
anche le meno idilliache, come ad incontrare profumi
e saporosità. A rievocare passioni mai sopite, per poi
perdersi nella contemplazione delle multiformi realtà che
si celano dietro la definizione “arte”. In breve a delineare
i tratti distintivi di una terra che è più la reificazione di un
sentimento: la Romagna.
Un uomo che certo ha intensamente partecipato a questo
sentimento corale è stato anche una delle più distinte
firme di ee. L’Editore e la Redazione desiderano porgere
un ultimo commosso saluto a Stefano Borghesi, le cui
personali testimonianze di memoria storica, espresse tra
le righe dei suoi articoli, rappresentano per tutti noi un
importante lascito ed esprimono l’archetipo dei contenuti
per diffondere i quali questa pubblicazione è nata.
Alla sua memoria dedichiamo questo numero, e
guardiamo agli iperurani filosofici di cui è stato in vita
assiduo frequentatore perché da lì possa giungerci in
qualche forma una sua ispirazione.
La Redazione di ee
Entering its seventh year, ee changes its cloak.
It revives the bright colours that have marked its
character since the very first issue, renewing at
the same time the weave of its livery, or more
prosaically, the layout of its pages.
This choice is not exclusively about style, but
rather aimed at optimizing readability and, above
all, at inspiring new perceptions, accompanying
the readers and getting them involved in each
topic they are reading about. It is aimed at
gliding between the merlons of the castles
clinging to the hill tops, as well as exploring the
underground claustrophobic trench paths. It is
aimed at travelling back in time between glories
and tragedies of the past, as well as celebrating
both the poetic and the pragmatic side of human
nature. It is aimed at bringing back to mind
ancestral traditions, the less idyllic ones as well,
as well as encountering fragrances and flavours. At
commemorating passions that are still alive, and
then lost in the manifold realities hiding behind the
definition of “art”.
In short, it is aimed at outlining the distinctive
traits of a land that is more a reification of
emotions: Romagna.
A man who strongly participated in these unanimous
emotions was also one of the most distinguished
personalities of ee. The publisher and the editorial
team wish to give their last heartfelt greetings to
Stefano Borghesi, whose personal accounts of folk
memory expressed between the lines of his articles,
represent for us all an important legacy and express
the archetype of the contents whose diffusion is the
main reason of the origin of this publication.
We dedicate this issue to him while looking at the
philosophical Hyperuranium which he constantly
visited in life, hoping that from there one of his
inspirations may, in some form, reach us.
ee editorial team
EDITORIALE
1]
e a r th e lem e nt
Manlio Rastoni
Sotto il nucleo dell’antico abitato di Santarcangelo uno
stupefacente complesso di antiche grotte artificiali
sotterrane rapisce i sensi di coloro che si trovano
a visitarne gli angusti camminamenti e scoraggia le
menti di coloro che provano ad intellegirne la funzione
originaria.
La cosa più bella che possiamo sperimentare è il mistero; è la fonte di ogni vera arte e di ogni vera scienza.
Albert Einstein
AR C A I C I C U N I C O L I D E L S OT T OS UOLO S ANTARC ANG IOLESE
Ipogei del Mons Jovis
Primitive abitazioni, luoghi di culto cristiani o pagani, nascondiglio per la consumazione di riti proibiti e cerimonie
sacrificali? Ben arduo cimento ricostruire un passato così
lontano, sospeso tra razionalità ed occulto. Si narra che
una grotta ancora inesplorata custodirebbe addirittura i telai d’oro, protetti dagli spiriti dei loro antichi possessori,
che furono anticamente utilizzati per creare gli sfarzosi abiti indossati nell’antichità dai famosi poeti ed attori santarcangiolesi. Sono più di 150 le grotte che percorrono il versante orientale del Monte Giove, formando una struttura
articolata e monumentale (vedi ee N°11): un lungo asse ed
uno più piccolo si intersecano componendo una croce latina.
Il grande asse termina, ad una delle sue estremità, in un
tempio circolare a due absidi adorno di cinque nicchie a
pianta rettangolare, sormontato da piccole volte a crociera.
Le prime tracce documentarie di questo complesso risalgono al 1496, inizialmente le grotte sono individuate con
il nome di volta, caverna, spelunca o tana, solo dal 1700
compare il termine “grotta”, definizione tuttavia impropria
in quanto indica un anfratto naturale, mentre gli antri di
I
Sensi
di
Hypogea of Mons Jovis
ancient tunnels in the Santarcangelo underground
Under the old urban centre of Santarcangelo, an astonishing
set of ancient artificial underground caves will ravish your
senses as you walk through its narrow paths and will make you
wonder endlessly about their original purpose.
Primitive houses, Christian or pagan places of worship, hiding
place for forbidden rites and sacrificial ceremonies?
It is difficult to go back so far in time, to a past that is
suspended between rationality and mystery. It is said that
one still unexplored cave even contains the golden looms,
protected by the spirits of their old owners, used in the
olden times to create the magnificent clothes worn at that
time by famous poets and actors from Santarcangelo.
There are more than 150 caves running along the eastern
side of Monte Giove, forming an articulate and monumental
structure (see ee No. 11): a long axis and a shorter one
intersect to form a Latin cross. The large axis ends, on one
of its extremities, with a circular temple with two apses,
Romagna
foto d’archivio
foto d’archivio
foto d’archivio
[4
Santarcangelo sono stati scavati dall’uomo ed
andrebbero pertanto più correttamente identificati con il termine di ipogei. Doppiamente inesatto
definirle, come spesso accade, grotte tufacee,
in quanto sono scavate nella roccia arenaria.
Le gallerie manifestano un costante orientamento
ed uno sviluppo planimetrico completamente indipendente dal tracciato delle strade in superficie,
sui loro lati si aprono, “a pettine”, nicchie di identiche dimensioni, si sa che a partire dal XIX secolo
tali incassi laterali vennero utilizzati per contenere le botti da vino. Sempre alla conservazione di
generi alimentari pare fossero destinate fin dalle
origini le numerose sale parallelepipede o cubiche che si incontrano lungo i camminamenti.
Alcune gallerie denotano però forme più complesse, rivelando una qualche ricerca estetico/
simbolica legata a temi sconosciuti, come grotta
Amati (terminante in un cunicolo a triplice aula),
la “Contradina” (terminante in una sala circolare) o la Felici (che conduce ad un ampio vano
rettangolare, con pilastri distribuiti su due file) ed
altre ancora. Qualunque sia stato il loro uso primigenio, oltre a rappresentare tuttora una prezioso
ambiente per la conservazione del vino, recentemente entrato a far parte del circuito enogastronomico della provinciale Strada dei vini e dei
sapori, gli ipogei hanno reso alla popolazione di
Santarcangelo l’ultimo grande servigio durante la
Grande Guerra, offrendo un insolito quanto sicuro rifugio dalle incursioni dei bombardieri alleati.
5]
decorated with five rectangular cavities, surmounted by small cross vaults.
The first historical traces of this set date back to 1496; the caves were
initially identified with names like “vault”, “cavern”, “hovel”, or “lair”,
and only since the 1700s did the term “cave” (“grotta”) appear. However,
this definition is inaccurate, as it indicates a natural ravine, whereas the
Santarcangelo caves are manmade, and therefore should be correctly
called hypogea. It is also incorrect to define them as tuffaceous caves as
they are often called, being excavated in sandstone. The tunnels show
constant orientation and planimetric development completely independent
of the layout of the roads above, on their sides they open into cavities of
the same dimensions, which, since the XIX century, were used to contain
wine barrels. The parallelepiped or cubic rooms that you will find along
the paths since the beginning were also apparently meant to preserve food
products. However, some tunnels have more complex shapes, showing
some sort of aesthetic/symbolic research connected to unknown themes,
such as cave Amati (ending in a narrow tunnel with three rooms), cave
Contradina (ending in a circular room), or cave Felici (leading to a wide
rectangular room with columns arranged in two rows) and others. Whatever
their original use, the hypogea nowadays represent a precious environment
to preserve wine, and it has recently become part of the eno-gastronomic
provincial Strada dei vini e dei sapori (Road of Wines and Tastes); in
addition, they generously served the Santarcangelo people, offering them
an unusual as well as safe shelter from bombing raids during the Great War.
Territorio
PATR I MON I O D I U N B O R G O E DE I S UOI PARAG G I
Valentina Santandrea
foto d’archivio
I
Sensi
di
heritage of a borough and
its surrounding area
It happened several times that, over the centuries,
personalities, later considered of great value, came
across unknown areas: experiencing them or simply
ending up there, naming them after their own deeds
or highly praising them, eventually giving them
touristic or simply affective importance.
As luck would have it, at any time in history a lot of
people happened to find themselves in the Romagna
hills, and many of them ended up, wandering from
one castle to another in the Cesena area, in a
pleasant place, as wild as it was hospitable, called
“Roncofreddo”, when according to the ancient
language “roncare” meant “deforest”.
In fact, Latin merchants first apparently stopped by
these areas frequently, and unfortunately in around
430 B.C. some of them deposited there a bag of
silver consular coins, which not even the children
and grandchildren of the forgetful travellers could
inherit, since they were found again only in 1962.
But such an enjoyable land, history and tradition,
far from embalming the friendly guys of the inland
into museum guardians, constitutes a bastion to
Romagna
foto d’archivio
foto d’archivio
Il caso ha voluto che in ogni momento
della storia fossero in molti a trovarsi tra
le colline romagnole, e numerosi sono
capitati, nell’errare da un castello all’altro
del cesenate, in un luogo ameno, selvaggio quanto ospitale, chiamato Roncofreddo, quando era in uso l’idioma avito che
per “roncare” intendeva “disboscare”.
I mercanti latini per primi, infatti, pare sostassero frequentemente da queste parti, tant’è che disgraziatamente attorno al
430 a.C. alcuni di loro depositarono un
sacchetto di monete consolari d’argento
le quali neanche figli e nipoti dei distratti viaggiatori potettero ereditare, giacché che furono ritrovate solo nel 1962.
Ma in terre così goderecce, storia e tradizione, lungi dall’imbalsamare i compagnoni dell’entroterra in custodi di museo,
Roncofreddo
keep up, a heritage to “grow”, and considering
that this heritage is mainly local vines and DOC
farm products, the verb “to grow” is just right.
And so, while the mortal remains of Santa
Paola, martyr in the VI century at the age of
fifteen, rest in the parish church named after
her, the Roncofreddo people enjoy the nice
inns and joyful feasts, such as the cherry and
pea feast, during which there is also the Palio
(athletic contest of historical character).
Likewise, in one of the seven castles that
surrounded the village, where Gianciotto
Malatesta apparently hid after massacring the
famous forbidden love incited by the book
Galehaut (see ee No. 19), the festival of the
Great Puppets takes place now, every summer
gathering companies from all over the world.
Although the Monteleone castle is property of
a fortunate emblazoned family and therefore
not open for tours, the village does not deny
development of its touristic and environmental
heritage, as well as the encouragement
of tourism, so much so that it gained the
Orange Flag of the Touring Club, the highest
acknowledgment of touristic quality for a
borough. However, the gentle hillocks and the
wild streams (one of them still known with the
sinister name of Gorgoscuro – “dark eddy”) that
surround the built-up area are silent witnesses
of a battle, as tragic as it was unforgettable:
the battle of Rubicon that, in 1944, saw the
allies breaking through the last hilly fortress
of the Gothic Line (see ee No. 20). Since 1979,
Paolo Savini from Roncofreddo has gathered
with a metal detector so many finds of this
page in history to be able to fill up a museum,
inaugurated in 2005: the Museum of the Front.
Therefore, martyrs, heroes and lovers gratefully
watch over the still unfinished deeds of those
who still remember them.
Territorio
È in noi che i paesaggi hanno paesaggio. Perciò se li immagino li creo; se
li creo esistono; se esistono li vedo.
Fernando Pessoa
[6
È capitato più volte,
nel corso dei secoli,
che personaggi, poi
considerati di valore,
si siano imbattuti in
località sconosciute:
vivendole o semplicemente
capitandoci, battezzandole
con le proprie gesta
o tessendone le lodi,
finendo per costituire
un marchio di importanza
turistica o anche solo
affettiva.
foto d’archivio
foto d’archivio
Roncofreddo
RONCOFREDDO
costituiscono un baluardo da tenere alto, un patrimonio da coltivare.
E se il patrimonio è costituito soprattutto da vitigni autoctoni e prodotti agricoli
DOC, coltivare non è un verbo casuale.
Così, mentre le spoglie di Santa Paola, martire nel VI secolo a quindici
anni, riposano nella pieve a cui danno
il nome, i roncofreddesi si beano tra
graziose osterie e gioiose sagre, come
quella della ciliegia e quella del pisello,
durante la quale ha luogo pure il Palio.
Parimenti, in uno dei sette castelli che
circondavano il paese, dove pare si
nascose Gianciotto Malatesta dopo
aver fatto strage del famoso amore proibito sobillato dal libro galeotto
(vedi ee N°19), ora ha luogo il festival
dei Grandi Burattini, che ogni estate
riunisce compagnie da tutto il mondo.
E se invece il castello di Monteleone
è proprietà di una fortunata famiglia
blasonata e quindi non visitabile, la
frazione non rinuncia alla valorizzazione del patrimonio culturale e ambientale, nonché alla qualità della
ricettività turistica, tant’è che vanta
la “bandiera arancione” del Touring Club, massimo riconoscimento di qualità turistica per un borgo.
Tuttavia,i dolci poggi e i selvaggi ruscelli (uno dei quali è ancora conosciuto col sinistro nome di Gorgoscuro) che circondano tuttora l’abitato,
testimoniano in silenzio una battaglia, tanto tragica quanto di recente
memoria: la battaglia del Rubicone,
che, nel 1944, vide impegnati gli alleati nello sfondamento dell’ultimo
baluardo collinare della Linea Gotica (vedi ee N°20). Dal 1979, Paolo Savini, un roncofreddese armato
di metal detector, ha raccolto reperti
di questa cruenta pagina di storia,
tanto da riempirne un museo, inaugurato nel 2005: il Museo del Fronte.
Così, martiri, eroi, innamorati vegliano
riconoscenti sulle gesta ancora incompiute di chi non li ha dimenticati.
7]
Le macchine a propulsione
“naturale”
Immagine d’archivio
foto d’archivio
Italo e Vanna Graziani
Guai alla macchina che confessa la
fatica del proprio lavoro; anche
nelle macchine, come negli uomini,
noi apprezziamo l’ermeticità
dell’organismo, l’abilità del lavoro,
l’eleganza dello sforzo.
Gio Ponti
ANT IC H E AL L E AT E DELL’UOMO
Che cos’è una macchina? Una definizione ufficiale recita: “è una macchina
qualsiasi strumento, dispositivo o utensile capace di compiere una funzione
determinata” (Zingarelli).
[8
Più semplicemente potremmo dire che si tratta di uno strumento meccanico che consente di ridurre ed accelerare il lavoro umano.
Nel luogo comune probabilmente l’idea di “macchina” è spesso associata all’era industriale, ma in
realtà i congegni meccanici sono frutto dell’esperienza di secoli, e il loro primo utilizzo è antecedente
alla grande rivoluzione che nell’Ottocento ha modificato il corso della storia e la vita degli uomini.
Da sempre, infatti, l’uomo ha cercato di trovare
soluzioni per facilitare i compiti che richiedevano
un intenso impegno fisico e rendere il lavoro più
preciso e veloce. Si trattava di solito di macchinari e ingombranti, ma efficaci, che svolgevano
funzioni di qualsiasi tipo, dalla macinatura alla
forgiatura, sfruttando inizialmente l’energia data
dal lavoro umano, animale o da altre fonti “naturali”. Le tecniche per il loro utilizzo venivano
tramandate agli apprendisti, i cosiddetti “garzoni
di bottega”, durante il periodo dell’apprendistato
in cui l’aspirante veniva accolto – dietro pagamento – nella famiglia del maestro e lavorava per
anni nella sua casa-laboratorio. Molti di questi
macchinari sono caduti in disuso, ma alcuni si
possono ritrovare ancora oggi operativi in alcune botteghe od officine romagnole: uno di questi è il mangano, che serviva a stirare la stoffa in
preparazione della stampa tradizionale (vedi ee
N°17). Si trattava di una grande ruota in legno,
camminando nel cui interno si faceva avanzare
un enorme masso rettangolare di circa cinque
tonnellate ed una serie di tre rulli che distende-
What is a machine? An official definition states: “A machine is any
instrument, device or tool able to perform a specific function”
(Zingarelli Dictionary).
We can more easily say that it is a mechanical instrument
allowing reduction and acceleration of human labour.
The concept of “machine” is probably commonly associated
with the industrial age; however, mechanical devices are the
fruits of centuries of experience, and their original use was
prior to the great revolution that in the nineteenth century
modified the course of history and the life of people. As a
matter of fact, mankind has always tried to find solutions to
facilitate tasks that required intense physical effort and to
make work faster and more precise. The machines were usually
bulky but effective, and they performed all sorts of tasks, from
milling to forging, exploiting at first the energy provided by the
work of people, animals or other “natural” sources.
The techniques to use them were passed on to the apprentices,
the so-called “shop boys”, during a period of apprenticeship, in
which they were accommodated – on payment – in the master’s
family and worked for years in his house-laboratory.
Many of these machines are no longer used, but some of them
can still be found running in some Romagnol workshops and
plants: one of them is mangano (large press) used to press the
fabric in preparation for the traditional print (see ee No. 17).
It was a large wooden wheel, in which people would walk
in order make a huge rectangular rock of about five tons go
forward together with a series of three rolls that
perfectly stretch the cloth underneath.
It is currently possible to see it running in the
Marchi workshop in Santarcangelo, where it has
been kept for demonstrations. Another exceptional
machine was the large tilt hammer, called maglio,
used to forge metal. It was an idea from Leonardo
da Vinci, who created the first designs.
Finally, we will mention the oldest and no doubt
the most widespread in the Romagna territory:
the millstone. In this case the machine became an
integral part of the building housing it, originating
the mill with the typical wooden wheel, which was
turned with the force of running water.
The purpose of the millstone, and the production
of flour for bread, surely made it one of the most
important machines and somehow a noble one;
it also represented the symbol of the economic
development of entire geographical areas,
following the creation of canals.
The Romagna countryside and hills are still
scattered with old mills, run down, restored, and
in a few cases still running (see ee No. 9) which
will perpetually remind people of the old alliance
with these archaic, “natural” propulsion devices.
di
Romagna
foto d’archivio
Sensi
ancient allies of human labour
foto d’archivio
I
vano in maniera perfetta le tele poste al di sotto.
Attualmente è possibile vederlo funzionante nella
bottega Marchi a Sant’Arcangelo, dove è stato
lasciato a scopo dimostrativo. Un’altra macchina eccezionale era il grosso martello battente
impiegato per forgiare i metalli, ossia il maglio.
Fu Leonardo da Vinci ad avere l’idea originaria e
a realizzarne i primi progetti. Citiamo infine l’invenzione più antica e indubbiamente più diffusa sul
territorio romagnolo: la macina. In questo caso
la macchina era divenuta un insieme unico con
l’edificio che l’ospitava, dando origine al mulino
con la tipica ruota di legno, che veniva fatta girare grazie alla forza dell’acqua corrente. Il fine per
cui veniva utilizzata la macina, cioè la produzione di farina per il pane, la rendeva certamente
uno dei macchinari più indispensabili e in un certo senso “nobili”, ma spesso essa rappresentava anche il simbolo dello sviluppo economico di
intere aree geografiche, in seguito alla creazione
di canali artificiali pensili. Le campagne e le colline di Romagna sono tuttora disseminate di vecchi mulini in decadenza o ristrutturati, in qualche
caso ancora funzionanti (vedi ee N°9), che ricordano tuttora all’uomo l’antica alleanza con questi
arcaici marchingegni a propulsione “naturale”.
“Natural” propulsion machines
STORIA
9]
FRANC E S C O S E RANT INI
È nato a Castel Bolognese nel
settembre del 1889 lo scrittore
Francesco Serantini, che da
bambino snobbava gli studi,
ma si incantava ad ascoltare
la Divina Commedia recitata
a memoria dal barbiere del
paese, e che da uomo “fatto”
avrebbe raccontato l’anima
antica della Romagna.
Poetica della
provincia
maiuscola
Durante la Seconda Guerra Mondiale Serantini scrive Il fucile
di Papa della Genga, per questo romanzo riceverà nel 1949,
all’età di sessant’anni, il premio Bagutta opera prima (quando
il Bagutta era il più importante premio italiano). Tre anni dopo,
con L’osteria del gatto parlante, verrà insignito del premio Bagutta opera principale, divenendo un caso letterario. Da Il fucile
e da Fatti memorabili sono stati anche liberamente tratti due
sceneggiati televisivi, nel 1965 e nel 1977. Tuttavia, sul desiderio di accrescere la propria fama in Serantini sempre prevarrà il piacere di conservare la propria intima dimensione dello
scrivere, recitando il ruolo che ben illustra l’autodefinizione di
“solitario nella repubblica delle lettere”. Nel 1955 l’autore darà
alle stampe I bastardi, due anni dopo uscirà Le nozze dei diavoli e nel 1958 sarà la volta di La casata dei Gobbi. Le opere
di Serantini, considerate nel loro insieme, vanno a dipingere
un unico affresco corale, come afferma Scaramucci: “Da un
particolare apparentemente secondario e trascurabile lasciato
cadere in una trama precedente si va sviluppando un nuovo
motivo che diventa il tema di fondo di un racconto successivo”.
foto d’archivio
Franco De Pisis
foto d’archivio
immagine d’archivio
foto d’archivio
Le città straripano mostruosamente, dilagano sul verde che
le circonda, se lo mangiano, quello che chiudevano dentro
lo hanno già divorato […].
Francesco Serantini da La legge di Ceo
[10
11]
I Sensi di Romagna
foto d’archivio
foto d’archivio
Figlio di un capostazione che veniva continuamente trasferito,
il giovane Serantini è costretto a cambiare spesso scuola e
residenza, impara ad amare le grandi città d’arte italiane, ma
il cordone ombelicale che lo lega affettivamente alla Romagna da queste assenze avrà solo di che rinforzarsi. Stabilitosi
infine a Faenza, per tutta la sua vita, parallelamente all’attività
di scrittore, eserciterà la professione di avvocato, mai allineato all’establishment e spesso difensore dei deboli, come nel
caso dei fiocinini comacchiesi, difesi in cambio di una semplice mangiata di anguille. Serantini era un laico “di stretta osservanza”, ma felicemente sposato con una fervente cattolica, Ines Ferri, di cui soleva dire: “È di chiesa, ma è buona” e
da cui ebbe tre figli, Marino, Domenico e Giacomo. Compie
i primi timidi passi nel mondo della scrittura firmando alcuni
articoli per la stampa locale, ma è nel 1918 che appare il suo
primo racconto: Lifonsi. Dal 1926 al 1930 esce a puntate sulla
rivista “La Piè” il saggio storico Fatti memorabili della banda
del Passatore in terra di Romagna, che verrà poi da Serantini pubblicato a proprie spese. Proprio la figura del Passatore
(vedi ee N° 8), tratteggiata attraverso un taglio epico-popolaresco, può assurgere a simbolo dell’intera poetica serantiniana.
STORIA
[…] tetri falansteri brulicanti come formicai sorgono nel luogo delle gaie, accoglienti case di un
tempo che vengono abbattute per avidità di lucro. Francesco Serantini da La legge di Ceo
Romagna
The writer Francesco Serantini, born in Castel Bolognese
in September 1889, as a child would snub school, but
get lost in wonder when listening to the village barber
recite the Divine Comedy by heart. As a “made” man,
he would have had many stories to tell about the soul of
old Romagna.
The son of a stationmaster who was continually
relocated, young Serantini was often forced to change
school and residency. He learned to love the great
Italian art cities, although his umbilical cord kept him
emotionally connected to Romagna, to which, during
his absence, this connection only became stronger.
Having finally settled in Faenza, for his whole life,
parallel with his occupation as a writer, he worked as a
lawyer, never in line with the establishment and often
defending the weak, as was the case of the poachers of
Comacchio, whom he defended in exchange for a simple
meal of eels. Serantini was a “strictly observant” laic,
though happily married with a devoted Catholic, Ines
Ferri, of whom he would say: “She is religious, but she
is good” and with whom he had three children, Marino,
Domenico and Giacomo. He took his first steps as a
writer producing some articles for the local press, but it
was in 1918 that his first book appeared: Lifonsi. From
1926 to 1930, his historical essay Fatti memorabili della
banda del Passatore in terra di Romagna (Memorable
events of Passatore’s group in Romagna) was published
in instalments, and would later be published by
Serantini himself at his own expense. The figure of
the Passatore himself (see ee No.8), outlined with an
epic-popular note, may represent the symbol of the
entirety of Serantini’s poetics. During World War II,
Serantini wrote Il fucile di Papa della Genga (The gun of
Pope of Genga), and in 1949, at the age of 60, thanks to
this novel he received the Bagutta Award for first work
(when Bagutta was the most important award in Italy).
Three years later, with L’osteria del gatto parlante (The
inn of the talking cat) he was conferred the Bagutta
award for main work, becoming a literary case. Out of
Il Fucile (The gun) and Fatti memorabili (Memorable
events) two TV serials were also freely made, in 1965
and 1977. However, for Serantini the pleasure to
maintain the intimate dimension of the writer always
prevailed over the desire to increase his fame; as his
self-definition clearly illustrates, he identifies himself
in the role of the "loner in the republic of letters". In
1955 the author published I bastardi (The bastards), two
years later Le nozze dei diavoli (The devils’ weddings)
came out and 1958 was the year of La casata dei Gobbi
(The hunchback family). Serantini’s works, considered
as a whole, depict one choral fresco, as Scaramucci
says: “From an apparently minor and unimportant
detail dropped in a previous plot, a new motif develops
and becomes the main theme of the following story”.
Historical events mix with everyday reality in a parallax
of epoch-events and small everyday, yet always
documented, vicissitudes.
weddings) came out and 1958 was the year of La casata
dei Gobbi (The hunchback family). Serantini’s works,
foto d’archivio
di
Francesco Serantini
foto d’archivio
Sensi
foto d’archivio
I
Poetics of the Provincia Maiuscola
foto d’archivio
[12
La realtà storica si mescola alla cronaca della quotidianità
in un parallasse di avvenimenti epocali e piccole vicende
quotidiane, ma sempre documentate. Spesso lo scrittore
attinge dalla memoria dei vecchi e fa narrare i fatti dalla loro
voce. Ne è un esempio emblematico il personaggio di nonna Oliva, spesso citata come testimone degli avvenimenti e
vero nume tutelare dell’universo serantinaiano. Quella che
si respira nella sua opera è una narrativa contadina, che
si nutre di luoghi provinciali, ancora fortemente legati alla
natura, i quali divengono però paradigmatico teatro delle
eterne vicende umane, allontanandosi quanto più possibile dalla semplificazione folkloristica che spesso affligge
questo filone. Un’unica epopea ciclica i cui tasselli sono i
singoli racconti brevi, che diventano metaforicamente i mattoni della solida casa contadina dall’architettura semplice
ma resistente a cui è stata paragonata la tipica struttura
narrativa di Serantini. Per “impressionare” la pagina, come
fosse una pellicola, con il ritratto di un universo romagnolo
che lentamente ma inesorabilmente svaniva, egli conduce uno studio linguistico serio e meticoloso, che si distingue dalle opere marcatamente dialettali o gergali, come
quelle di Pasolini o Gadda, in quanto si fonda sull’uso di
espressioni locali usate con puntuale oculatezza, alternate
spesso a vocaboli arcaici e modi di dire direttamente derivati dallo stile burocratico ottocentesco, a cercare l’effetto
di un voluto contrasto. Dall’inizio degli anni Sessanta in poi,
i commenti critici sull’opera serantiniana iniziano a diradarsi, anche perché dal 1958 egli pubblicherà solo elzeviri e
racconti brevi su quotidiani e riviste. Il pomeriggio dell’11
maggio 1978 lo scrittore morirà nel tinello della sua casa
faentina, comodamente reclinato sulla sua poltrona di vimini preferita, aveva 89 anni. Se n’è andato nella generale
indifferenza, secondo l’amico Carlo Bo principalmente per
tre motivi: era vecchio, era un isolato la cui fama risaliva
a due libri pubblicati nell’immediato dopoguerra, ma soprattutto perché non aveva mai voluto essere uno scrittore
di professione. Per il trentennale della morte, recentemente
celebrato, la cittadina di Castel Bolognese ha commemorato il proprio illustre letterato. Sono stati promossi incontri di
discussione pubblica sulla sua figura ed è stato istituito un
fondo a lui dedicato dalla Biblioteca comunale Dal Pane.
All’opera serantiniana si è poi liberamente ispirato lo spettacolo “Perdersi per valli, taverne, torri e nuvole” (che ha
visto l’esibizione dell’artista Sergio Diotti insieme al musicista Pepe Medri e a Paola Vallerani dell'Atelier delle figure di
Cervia, con l’allestimento scenico di Michele Giovanazzi e
Cristina Scardovi di Quadrilumi), preceduto da un ricordo
dello scrittore a cura di Graziella Malgaretti. Questo spettacolo, oltre a rappresentare l’apice delle celebrazioni, si
è voluto proporre non come evento isolato, bensì come la
prima di altre rappresentazioni con cui ci si propone di riportare attraverso tutta la Romagna la memoria di uno dei suoi
più ispirati cantori, a far sì che il suo ricordo non segua nel
muto gorgo dell’oblio quell’autentico mondo antico di cui
seppe così ben cogliere, sulla pagina scritta, gli ultimi palpiti.
considered as a whole, depict one choral fresco, as Scaramucci says:
“From an apparently minor and unimportant detail dropped in a
previous plot, a new motif develops and becomes the main theme of
the following story”. Historical events mix with everyday reality in a
parallax of epoch-events and small everyday, yet always documented,
vicissitudes. The writer often obtains information from the old
people’s memory and makes them narrate the facts. A symbolic
example is the character of grandma Oliva, often mentioned as
witness of the events and real guardian angel of Serantini’s universe.
In his work you can take in a farmer’s narrative that lives in provincial
places, strongly connected to nature, which become paradigmatic
theatre for eternal human vicissitudes, breaking away from the folk
simplification that often negatively affects this tradition. A cyclic
epic, whose plugs are the short stories that metaphorically become
the bricks of the farmer’s strong house, with its simple yet resistant
architecture, to which Serantini’s typical narrative style has been
compared. To “impress” the page as if it were a movie, portraying a
Romagnol universe that was slowly but inexorably disappearing, he
takes on a serious and meticulous linguistic study, that distinguishes
itself from Pasolini or Gadda’s works, which are prominently based on
dialect or slang; his works are based on the use of local expressions
which are carefully used, often alternating with archaic terms and
figures of speech directly deriving from the nineteenth century
bureaucratic style, looking for the effect of an intentional contrast.
From the beginning of the sixties onwards, the critical comments
on Serantini’s work started to become less frequent, also because
from 1958 he would only publish literary articles and short stories
on newspapers and magazines. In the afternoon of 11 May 1978 the
writer died in the living room of his house in Faenza, comfortably
leaned back on his favourite wicker armchair, at the age of 89. He
passed away without anyone even noticing, according to his friend
Carlo Bo, mainly due to three reasons: he was old, he was a loner
whose fame dated back to two books published in the immediate
post-war period, but above all because he had never wanted to be
a professional writer. For his death’s recently celebrated thirtieth
anniversary, the town of Castel Bolognese commemorated its own
distinguished literary man. Public debates on his personality have
been promoted and a fund dedicated to him has been established
by the Municipal library “Dal Pane”. Inspired by Serantini’s work is
the performance “Getting lost in valleys, inns, towers and clouds”
(featuring the artist Sergio Diotti together with musician Pepe Medri
and Paola Vallerani of Atelier of figures of Cervia, staging by Michele
Giovanazzi and Cristina Scardovi of Quadrilumi), preceded by a
memorial to the writer by Graziella Malgaretti. This performance,
representing the peak of the celebration, is not meant to be an
isolated event, but rather the first of new performances, aimed at
bringing back throughout Romagna the memory of one of its most
inspired poets, so that his memory shall not follow into the silent
oblivion that authentic ancient world whose last heartbeats he could
so finely grasp on the written page.
STORIA
13]
Paolo Martini
Il Mal della Gangola
Il 20 giugno del 1348 fa il
suo ingresso nella città di
Faenza il Mal della Gangola:
ghiandola, in dialetto
romagnolo.
[14
Sensi
di
Romagna
Boccaccio’s plague and Manzoni’s plague
in Romagna
On 20 June 1348 the Mal della Gangola, Romagnolo
dialect for “gland sickness”, made its way to the city
of Faenza.
The aetiology of the sickness is simple and deadly.
A physician of the time described it as follows:
“Initial symptoms are an epistaxis […] and glandular
swelling in the groin, followed by fever and death,
often already on the third day”.
The Gangola is nothing but the pulmonary plague
described by Giovanni Boccaccio, the bloodiest and
deadliest in history. It was a scourge that would
sweep through the city for all of 1348.
In the presence of this mass slaughter the people
were overwhelmed and without resources.
The mortality rate was high, insomuch as
contemporary chroniclers spoke of two thirds of the
local population dead from the Mal della Gangola.
Those who could escape did so, often leaving the
corpses of their buried loved ones.
Those infected were rather often walled up alive
in their own dwellings. The physicians did not
understand the origin of the disease and prescribed remedies
that to us would seem laughable, if not ridiculous. Among the
prescriptions for the rich and those for the poor, based on a
primitive placebo effect, the latter was preferred, which were
if anything less harmful. The personal physician of the bishop
of Faenza Benerio prescribed to the clergyman Amerigo a
treatment “that obliterates the illness”, even with their own
prices: “Three pounds of white sugar, 21 coins; seven pounds
of almonds, 8 coins; rose sugar, 2 coins; enemas by master
Pietro, 8 coins”. In three days the body of clergyman Amerigo
finished its final journey to the cemetery.
The fight against the disease was an intricate tangle, in which
the plague spreader never missed its target.
In Romagna anyone who was found with suspicious powder was
forced to swallow it in front of the established authorities.
The plague of 1348 was the largest wave of pestilence that
ever hit Faenza. The epidemic of 1412 was lighter and in
those circumstances the cult of Our Lady of Grace was born.
Remaining in the field of literary plagues, the plague of 1630
described by Manzoni stood beneath the walls of the city,
unable to pass the cordon sanitaire organized by Monsignor
Gasparo Mattei, the papal legate. The prelate lived in
Faenza, defined “the city most protected from contagion”.
But the Manzonian plague certainly did not spare Romagna,
the disease raged from Imola to Rimini, leaving many cities
and parts of the countryside deserted. Mattei describes the
situation, managed with necessary harshness: “There is almost
no one in Lugo and Bagnacavallo. The land of Bagnacavallo
was surrounded by soldiers as illness did not come out”.
We have given an account of the plagues with literary license,
but every church and parish register contains a sad report of
the passage of the plague. A passage carved in stone.
In a votive plaque situated in Villa Pasi, now Tabanelli, a
woman said that she had donated 50 lira (the value of an
average sized estate) to the poor to thank God for the grace
of having “returned to the earth only two children”.
Two dead: the toll to be paid to the Gangola.
foto d’archivio
I
The “Mal della Gangola”
foto d’archivio
L’eziologia della malattia è semplice
ed esiziale. Un medico del tempo la
descrive così: «sintomi ne sono anzitutto
un’epistassi (…) e una tumefazione
ghiandolare inguinale, cui sopraggiunge
febbre e decesso, spesso già al terzo
giorno». La Gangola altro non è che la
peste polmonare descritta da Giovanni
Boccaccio, la più cruenta e micidiale
della storia. Un flagello che spazzerà
la città per tutto l’anno 1348. Dinanzi a
questa ecatombe gli uomini sono allibiti,
senza risorse. La mortalità è altissima,
tanto che i cronisti coevi parlano di due
terzi della popolazione locale morta per
il mal della Gangola. Chi può scappa,
spesso lasciando i cadaveri dei propri
cari insepolti. Non di rado gli appestati
sono murati vivi nelle loro abitazioni.
I medici non capiscono l’origine della
malattia e consigliano rimedi che ai
nostri occhi paiono risibili, quando non
ridicoli. Fra le ricette per i ricchi e quelle
per i poveri, fondate su un primitivo effetto
placebo, si fanno preferire le seconde,
se non altro sono meno dannose.
Al chierico Amerigo viene prescritta,
dal medico personale del vescovo
di Faenza Benerio, una terapia «che
oblitera il morbo», con tanto di tariffario:
«Tre libre di zucchero bianco, 21
soldi; sette libbre di amigdali, 8 soldi;
zucchero rosato, 2 soldi; per i clisteri,
praticati da mastro Pietro, 8 soldi».
Tempo tre giorni e il corpo del chierico
Amerigo compie il suo ultimo viaggio
verso il camposanto. La lotta al
morbo è un groviglio inestricabile, in
cui non manca la caccia all’untore.
In Romagna chiunque fosse trovato
con polveri sospette era costretto ad
inghiottirle davanti all’autorità costituita.
Quella del 1348 fu la più grande ondata
di peste che abbia mai colpito Faenza.
L’epidemia del 1412 fu più leggera
e in quell’occasione nacque il culto
della Beata Vergine delle Grazie.
Rimanendo nel settore dei flagelli
letterari, la peste del 1630 descritta dal
Manzoni si fermò sotto le mura della
città, incapace di superare il cordone
sanitari o organizzato da Monsignor
Gasparo Mattei, legato papale. Il prelato
dimorò a Faenza definita: «il luogo
più protetto dal contagio». Ma la
peste manzoniana non risparmiò
certo le Romagne, il morbo infuriò da
Imola fino a Rimini, lasciando deserte
molte città e parte delle campagne.
Così descrive la situazione Mattei,
gestita con necessaria rudezza: «In
Lugo e Bagnacavallo non vi restò
quasi persona alcuna. La Terra di
Bagnacavallo fu cinta da soldati
giacché il male non uscisse».
Abbiamo dato conto delle pesti con
patente letteraria, ma ogni chiesa, ogni
registro parrocchiale ospita un triste
rendiconto del passaggio della peste.
Un passaggio inciso sulla pietra. In
una lapide votiva collocata presso Villa
Pasi, ora Tabanelli, una donna dice
di aver donato 50 lire (il valore di un
podere di media grandezza) ai poveri
per ringraziare Iddio della grazia di aver
«restituito alla terra solo due figli». Due
morti: il dazio da pagare alla Gangola.
STORIA
E erano alcuni, li quali avvisavano che il viver moderatamente e il guardarsi da ogni superfluità avesse molto a così fatto accidente
resistere […]. Giovanni Boccaccio
Immagine d’archivio
L A PE S T E DE L B OC C AC C IO
E DE L MANZONI NE L L E ROMA GNE
15]
Marafon/beccaccino
Hilda Gadea
the art of war with cards
Marafon/beccaccino is definitely a social phenomenon, it
is more than a card game, it could almost be defined “the
foto d’archivio
foto d’archivio
foto d’archivio
Che il “marafonbeccaccino” sia un
fenomeno sociale
è cosa certa, più
d’un gioco di carte,
quasi si potrebbe
definire “un vanto
del territorio”.
Marafon/beccacino
Non solo un passatempo che i romagnoli, di nascita e di spirito,
portano nel sangue, bensì una vera e propria tradizione con alla
base un sano principio, almeno per chi, come Alteo Dolcini, vi
vedeva motivo di forza ed orgoglio, tanto da considerarlo un importante canale di diffusione della cultura romagnola nel mondo.
Espressione dell’identità di quella terra cordiale e aperta, generosa e passionale, come i suoi abitanti, che risponde al
nome di Romagna. Si gioca in quattro, ossia in due coppie.
Ogni giocatore è affiancato dai due avversari e fronteggiato
dal compagno. Le carte che si usano sono, ovviamente, le
romagnole e anche su quest’argomento ci sarebbe molto da
raccontare, da colui che le ha inventate – nel 700 a Ravenna
già esistevano fabbriche di carte da gioco - al valore simbolico delle figure. In mano 10 carte, i quattro buttano una carta
ciascuno, le regole del gioco chiamato Tressette si mescolano
[16
foto d’archivio
foto d’archivio
L ’A R T E
DELLA GUERRA
CO N L E C A R T E
a quelle di un altro gioco nostrano: la briscola. La “marafona” invece è la cricca. Vale tre punti e assicura la vittoria
poiché significa che un giocatore ha in mano asso, due
e tre del seme dichiarato vincente. In guerra i romagnoli
bestemmiavano e giocavano. Secondo l’uso, chiunque
sia il compagno di partita, gli si può rovesciare addosso
qualunque improperio e anche dare del “pataca” al ministro che, nel marafone, gioca con il facchino o con il contadino, magari analfabeti ma che non sbagliano mai un
calcolo. Eppure ce n’è da contare a memoria, ce n’è di
intelligenza da metterci ed è richiesta anche una particolare astuzia per capire la strategia della coppia avversaria.
Libero Ercolani nel suo Dizionario Romagnolo del 1971
alla voce “marafon” riporta: “gioco che si fa con le carte romagnole”, ma la voce dialettale “marafone” del XIX
secolo significa originariamente: “furbacchione, astuto”.
“Il giocatore di marafon/beccaccino è un uomo libero,
è un uomo senza classi, è un uomo al di sopra di qualsiasi convenzione” scrive Alteo Dolcini negli anni Settanta sul libro Il Principe di Romagna, un testo che si snoda tra regole, gergo e trucchi del celebre gioco e che
racconta la storia delle sette partite più belle, giocate
da prelati e capitani, politici e imprenditori, senza farsi mancare un protagonista d’eccezione come Fellini.
In Romagna a marafon/beccaccino - non che abbia
due nomi, a Forlì si chiama marafon mentre a Ravenna Beccaccino - giocano tutti e anche chi passa di qui
rimane folgorato. Se si cede alla tentazione, insomma, è
difficile tornare indietro. Ne sa qualcosa Roberto Benigni,
che in tempi recenti, quando risiedeva a Cesena, si poteva facilmente vedere, in coppia con la moglie Nicoletta
Braschi, a giocar partite infuocate con i vicini romagnoli.
pride of the territory”.
Not just a pastime that Romagnol people, of birth and
spirit, have in their blood, but a real tradition based
on a good principle, at least for those who, like Alteo
Dolcini, saw strength and pride in it, so much so that
they considered it an important channel to spread the
Romagna culture in the world. It is the expression of the
identity of Romagna, a warm and open, generous and
passionate land, as well as its people.
It is a 4-player game, or rather 2 pairs. Partners sit facing
each other, and next to their opponents.
The cards used are, naturally, Romagnol cards, of which
the inventor would have much to say – in 1700 in Ravenna
there were already playing card factories - to the
symbolic value of the pictures.
Ten cards are dealt to each player, the four players throw
one card each, the rules of the game “tressette” mix with
the rules of another local game: briscola.
The “marafona” instead is the cricca (the three highest
cards are called cricca). It scores three points and ensures
victory, since it means that the winner has an ace, two
and three of the winning suit.
During war, Romagnol people swore and played.
It is customary that, whoever your partner is, you can
insult him all you like, and you can even call the minister
a “loser”, who in marafone, plays with the porter or the
farmer, or maybe with illiterates who never miscalculate.
But there is a lot to compute, and you need to be
intelligent and clever to understand the opponents’
strategy.
Libero Ercolani, in his Romagnol Dictionary of 1971
defines the word “marafon” as follows: “Game played
with Romagnol cards”, but the original dialect meaning of
“marafone” of the XIX century is: “Wily bird, clever”.
“The marafon/beccaccino player is a free man, a man
with no social class, a man above any convention” writes
Alteo Dolcini in the seventies in the book Il Principe
di Romagna (Prince of Romagna), a text which unfolds
between rules, slang and tricks of the famous game and
talks about the best seven games, played by prelates and
captains, politicians and entrepreneurs, without missing
an exceptional protagonist like Fellini.
In Romagna everybody plays marafon/beccaccino - it
doesn’t have two names, in Forlì it’s called marafon,
while in Ravenna it’s called Beccaccino - and even
those who pass by this area will be astonished. In short,
if you give in to temptation it is difficult to go back.
Roberto Benigni knows all about it: when he still resided
in Cesena, a short time ago, you could easily see him
teamed up with his wife Nicoletta Braschi, playing heated
games with his Romagnol neighbours.
Chi ha fortuna in amor, non giochi a carte.
Antico proverbio popolare
I
Sensi
di
Romagna
Passioni
17]
The historic tradition of pig slaughter
in Romagna
foto d’archivio
foto d’archivio
Per la famiglia contadina
romagnola, il maiale era
una vera e propria miniera
di carne per la cucina
di casa e per la propria
sopravvivenza:
il rifornimento durava un
anno intero.
the death of the pig, the life of the
farmer
For a farm family in Romagna, the pig was a truly
boundless source of meat for their kitchen and for
their survival: the supply would last a whole year.
MO R TE D E L M A I A L E , V I TA DE L C ONTADINO
Giuliano Bettoli
[18
I
Sensi
di
Romagna
19]
foto d’archivio
Di solito il norcino, che arrivava in bicicletta col suo sacco pieno di utensili appositi, aveva con sé un aiutante di fiducia. Ma al lavoro di sistemazione della carne
partecipava tutta la famiglia, uomini, donne e bambini.
Fatta la colazione, il maiale veniva sistemato in un luogo freddo. Passava almeno un altro giorno e di primissima mattina si riprendevano le operazioni di macellazione su una grande tavola: prosciutti, pancette,
coppe; la divisione delle carni: quella per i salami, per
i due tipi di salsicce - la buona e la “matta” - e il lardo
per fare il grasso, cotto nel paiolo sul fuoco e messo
poi in apposite vesciche o vasi, mentre a parte rimanevano i gustosi ciccioli. Il grasso - un maiale poteva
produrne anche 50 chili - allora era la vita degli uomini.
Adesso è considerato letale. Si mettevano da parte
le ossa, venivano scarnificate per confezionare poi la
“coppa di testa”. Si salavano i prosciutti, che dovevano rimanere nel sale per quasi un mese, le coppe e
le pancette. Il norcino tornava dopo una settimana a
legare da vero artista, con la refe, coppe e pancette.
Del maiale non si buttava via niente.
Erano giorni di grande fatica. Era freddo, il riscaldamento era dato solo dal camino acceso, ci si
bagnava, ci si ungeva, fuori c’era la neve e il fango. Ma disgraziati quei contadini che non avessero avuto la possibilità di “ammazzare il loro porco”.
Quasi tutte le famiglie ne macellavano due, o anche
tre, se i componenti erano numerosi. Il periodo più
propizio per la macellazione andava dall’8 dicembre,
festa dell’Immacolata, al 17 gennaio, festa di Sant’Antonio, protettore della campagna e specialmente degli
animali domestici, ma si poteva arrivare sino ai primi
di febbraio. Il giorno prescelto doveva assolutamente essere di “luna buona”. La mattina, molto presto, il
maiale, ingrassato da mesi, ma a digiuno da almeno un giorno, veniva tirato fuori dallo stalletto, tenuto
stretto da tre o quattro uomini e ucciso con una coltellata al collo. Solo dopo il 1960 è divenuto obbligatorio usare per l’uccisione un particolare tipo di pistola.
Tutto era guidato da un espertissimo norcino, contadino anch’egli, ma specializzato in quell’attività. Raccolto
il sangue in un catino - da cui si sarebbe poi ricavato
un particolare dolce, il “migliaccio” - il maiale, pelato,
veniva appeso, con molta fatica poiché poteva pesare
più di 2 quintali, a un palo tra gli alberi, e il norcino, con
mano sicura e con taglio dritto, lo spaccava in due parti, dall’alto in basso. Fegato, polmoni e cuore dovevano
essere messi da parte, perché era obbligatorio che il
veterinario comunale verificasse le condizioni di salute
dell’animale. Dal fegato veniva poi staccato il fiele e
gettato subito sopra i tetti della casa. Antico rito volto a
tener lontano i topi e a portar fortuna ai maiali successivi.
Quando canta la cicala, il porco piange e
si prepara. Antico proverbio còrso
foto d’archivio
L’antico rito della
macellazione
suina in Romagna
Almost all families slaughtered two at a time or even
three if there were many family members.
The most favourable period for slaughter was from 8
December, Feast of the Immaculate Conception; to 17
January, Feast of Saint Anthony, protector of the land
and especially of domestic animals; but could even
last until the beginning of February. The chosen day
absolutely had to be on a “luna buona” (good lunar
period). Early in the morning, the pig, fattened for
months but having fasted for at least a day, would be
pulled out from the stall, held tightly by three or four
men and killed by a stab at the throat.
Only after 1960 did it become mandatory to use a
kind of pistol for the killing. Everything was guided by
an expert pig butcher, also a farmer, but specialized
in the business. After collecting the blood in a bowl
- from which a special blood pudding dessert called
“migliaccio” would be made - the skinned pig would
be hung on a stake, with much effort since it could
weigh more than two hundred kilograms, and the
butcher, with a steady hand and a straight cut, would
split it in two, from top to bottom.
The liver, lungs and heart had to be put aside,
because it was mandatory for the local veterinary
to check the overall health of the animal. The gall
was removed from the liver and immediately thrown
over the roof of the house. This was an old tradition
to keep the mice away and to bring good luck for
future pigs. The butcher, who came by bike with a
bag full of special tools, was usually accompanied
by a trusted assistant. The separation of the meat,
however, involved the whole family, men, women and
children. After breakfast, the pig would be arranged
in a cold area. At least a day would pass and early in
the morning the slaughtering would resume on a large
table: ham, pancetta and coppa; the separation of the
meat: salami, two types of sausages – good sausage
and “mad” sausage – the lard to make fat, cooked in
a cauldron over a fire and then put in special bladders
or jars, and finally the savoury cracklings. The fat, of
which a pig could produce fifty kilos, at that time was
the life of men. Now it is considered lethal. The bones
were set aside, to be stripped of their flesh and used
to make “coppa di testa”. The coppa and pancetta
were salted and the ham would remain in salt for
almost a month. The butcher would return after a
week to tie the coppa and pancetta with thread, like
a true artist. None of the pig was thrown away.
Those were strenuous days. It was cold, the heating
was provided only by the lit fireplace, and one would
get wet and greasy while outside there was snow and
mud. But unfortunate were the farmers who did not
have the chance to “slaughter their own pig”.
Passioni
Tre Monti
Carlo Zauli
SI N TE S I D I DU E M I C R O Z ONE C OL L INARI
foto d’archivio
Sensi
Tre Monti
combination of two hilly micro-areas
The history of Tre Monti started at the beginning of the sixties thanks
to the determined initiative of Sergio Navacchia, actively assisted by
his wife Thea.
Today the company stretches for about fifty-two hectares of
vineyard, cultivated with mainly Albana, Trebbiano and Sangiovese,
sub-divided into two estates, located one on the Forlì hills and the
other on the Imola hills. Exactly from the latter, located in the area
called Tre Monti, the company takes its name, and here lies the
heart of production of the Cellar, where wine is made exclusively
from estate vineyards. The second crucial phase that marks the
course of the company dates back to the eighties, when the owners
decided to give a new dimension of quality to the production
standards. A renewal that starts from the vineyard through an
interpretation of the territory, considered not only as the sum of the
morphological characteristics, but also as the place where one can
read the signs of human thoughts and actions, to continue into the
cellar. It is here that essential joint efforts with some of the best
representatives in oenology in Italy begin: young Francesco Spagnoli,
then Vittorio Fiore and finally Donato Lanati, whose teachings have
been effectively put into practice by Sergio and his sons Vittorio
and David. All vineyards are cultivated according to biological pest
control, which includes no-till farming and minimal use of synthetic
products. The particular position of the plots of land in Imola and
their composition make them especially suitable for white grapes
and in general grapes from which fresh and pétillant wines are
obtained. The Forlì estate, on the other hand, appears to be more
suitable to red grapes producing more complex and austere wines,
rich in minerals due to the sea nearby. Thanks to this two-sided
dislocation, the company can count on a sort of Natural laboratory;
the two territories on which it develops represented though time,
and still do, a “school” for a close examination of the Romagnol
master grapevine: Sangiovese.
di
Romagna
foto d’archivio
I
foto d’archivio
Oggi l’azienda si estende su circa cinquantacinque
ettari vitati, coltivati principalmente ad Albana, Trebbiano e Sangiovese, suddivisi in due corpi poderali,
posti l’uno sulle colline forlivesi, l’altro su quelle imolesi. Proprio da quest’ultimo, ubicato nella zona detta dei Tre Monti, l’azienda trae il suo nome e qui risiede il cuore produttivo della Cantina, ove vengono
vinificate esclusivamente uve provenienti da vigneti
di proprietà. La seconda fase decisiva che segna il
corso dell’azienda risale agli anni Ottanta, momento
in cui si decide di imprimere una svolta qualitativa ai
criteri di produzione. Un rinnovamento che parte in
vigna attraverso un’interpretazione del territorio, inteso non unicamente quale somma di caratteristiche
morfologiche, ma soprattutto come il luogo in cui è
possibile leggere i segni del pensiero e dell’azione
dell’uomo, per proseguire in cantina. Qui si innestano le fondamentali collaborazioni con alcuni dei migliori esponenti dell’enologia italiana: un giovanissimo Francesco Spagnolli, quindi Vittorio Fiore fino ad
arrivare a Donato Lanati, i cui insegnamenti sono
stati efficacemente messi in pratica da Sergio e dai
suoi figli Vittorio e David. Tutti i vigneti sono coltivati
secondo le metodologie della lotta integrata, che
prevede l’inerbimento fra le file ed un minimo utilizzo
di prodotti chimici di sintesi. La particolare posizione degli appezzamenti imolesi e la loro costituzione
rivelano che questi sono particolarmente adatti alle
uve a bacca bianca e in generale ad una materia prima da cui si ottengono vini freschi e vivaci.
Il podere di Forlì si rivela invece nel complesso più
consono alla coltivazione di uve a bacca rossa che
danno vita a vini più complessi ed austeri, spesso non privi di una certa mineralità, influenza di un
mare non molto distante. Grazie a questa dislocazione bipartita, l’azienda può contare su una sorta
di laboratorio naturale: i due territori sui quali si sviluppa, hanno rappresentato infatti nel tempo, e costituiscono tuttora, una “scuola” di approfondimento del vitigno romagnolo “maestro”: il Sangiovese.
foto d’archivio
foto d’archivio
[20
La storia di Tre Monti ha inizio nei
primi anni Sessanta per caparbia
iniziativa di Sergio Navacchia,
attivamente coadiuvato dalla moglie
Thea.
Ciardo_Chardonnay 2007_Uve/Grapes 100% Chardonnay
Interpretazione di uno dei bianchi più internazionali giocata su spezie e frutto armoniosamente equilibrati in un corpo di superiore
fittezza. Si presenta all’occhio con un giallo paglierino consistente e giunge al naso con note dolci di banana e frutta esotica,
ginepro, mela cotogna e vaniglia. Rivela un gusto morbido, fresco dal finale lungo e persistente. Viene vinificato al 50% in barrique
nuove con fermentazione malolattica e al 50% in acciaio. Temperatura di servizio 10°. Si accompagna egregiamente a primi piatti
come la pasta al forno, pietanze di pesce e secondi a base di carni bianche.
One of the most international whites, full-bodied with its harmoniously balanced spices and fruits. Straw yellow in colour, it reaches
the nose with sweet notes of banana and exotic fruits, juniper, quince and vanilla. The mouth feel is smooth, fresh with a long
persistent finish. It is vinified 50% in new barriques with malolactic fermentation and 50% in steel tanks. Serving temperature 10°.
It matches perfectly with main courses such as lasagna, fish and white meat.
Casa Lola_Albana Passito DOCG 2007_Uve/Grapes 100% Albana di Romagna
La notevole concentrazione di questo vino rivela la capacità di durare a lungo nel tempo fin dal colore giallo dorato consistente
e dal profumo fruttato, maturo e candito, con note di rosa gialla e ginestra. Si offre al palato con un gusto dolce, avvolgente e
potente al contempo, accompagnato da sapori di scorze di agrumi e albicocche canditi. Attraversa una criomacerazione a freddo
per 12 ore ed una completa fermentazione in barrique. Temperatura di servizio 14°. Si accosta ottimamente con i formaggi di fossa
e gli erborinati.
This wine, thanks to its considerable concentration, can be kept for a long time. Strong golden yellow in colour with fruity bouquet
and notes of yellow rose and broom. The mouth feel is sweet, enveloping and powerful at the same time, with scents of candied
citrus peel and apricot. It undergoes cold cryomaceration for 12 hours and complete fermentation in barrique. Serving temperature
14°. It matches perfectly with fossa cheese and blue cheese.
Thea_Sangiovese di Romagna DOC Riserva 2005_Uve/Grapes 100% Sangiovese
Da una selezione delle migliori uve Sangiovese nasce il vino che meglio rappresenta la Cantina, il cui nome è dedicato alla
cofondatrice dell’azienda. Colpisce per il suo colore rosso rubino concentrato e conquista il naso grazie al profumo elegante con
sentori di frutta e rosa rossa, pepe, liquirizia dolce. Si sviluppa lungamente al palato, con i suoi tannini fini, seguendo le stesse note
dell’olfatto. Attraversa una macerazione di 12 giorni a 28 °- 30 °C. e conseguente fermentazione malolattica, viene poi affinato in
barrique di Allier di media tostatura nuove per 12 mesi. Temperatura di servizio 18 °. Si sposa con i sapori forti, come la cacciagione,
i funghi, i brasati, e la carne di agnello.
From a selection of the best Sangiovese grapes the wine that best represents the Cellar is produced, named after the company cofounder. It impresses for its dark ruby red colour and captures the nose thanks to its elegant bouquet with scents of fruit and red
rose, pepper and sweet liquorice. The palate is persistent, with its fine tannins and the same notes of the bouquet. It undergoes
maceration for 12 days at 28°- 30°C, and then malolactic fermentation. It is then aged in new, medium-toasted Allier barriques for
12 months. Serving temperature 18°. It matches nicely with savoury food, such as game, mushrooms, braised meat and lamb.
Or Noè, ch’era agricoltore, cominciò a piantar la vigna. Genesi 9:20
Enogastronomia
21]
I LIQUORI TRADIZIONALI ROMAGNOLI FATTI IN CASA
Gli spiriti
della festa
Tommaso Attendelli
In tempi meno lontani di quanto potrebbe
parere, almeno a giudicare dai profondi
mutamenti che da allora hanno ridefinito
lo stile di vita collettivo, l’autoconsumo
si estendeva anche generi voluttuari come i
liquori e i distillati.
[22
Sensi
di
the traditional home-made liqueurs from
Romagna
In a time not as remote as it might seem, at least
according to the great changes that have since
then redefined the people’s lifestyle, the self use
of superfluous goods such as liqueurs and distillates
were common.
In addition to the traditional brandy, common
almost all over Italy with its variants, the festive
days and the banquets were always honoured with
one or more glasses of home-made digestives. 0
Each region has its own traditional recipes, based
on its local aromatic plants. Romagna, a land of
people who love spirit (both in terms of personality
and alcoholic drinks), could not fail to display a rich
recipe book. From erba luigia (lemon verbena), a
perennial plant with spike-shaped white or lavender
flowers native to South America but common in
the countryside of Romagna for the longest time,
one can make a liqueur with a pleasant cedar and
lemon aroma, with excellent digestive properties.
Prugnolino (little plum) is another genuine liqueur
typical of Romagna. The authentic one is obtained
Romagna
23]
foto d’archivio
foto d’archivio
I
The spirits of the feast
Immagine d’archivio
foto d’archivio
Oltre che all’acquavite artigianale, diffusa con le opportune varianti in quasi tutta
Italia, i giorni di festa ed i banchetti venivano immancabilmente onorati da uno o
più bicchierini di digestivo fatto in casa.
Ogni regione possiede le sue ricette tradizionali, legate magari alle proprie piante
aromatiche endemiche. La Romagna,
terra di amanti dello spirito (sia nell’accezione legata al carattere che in quella etilica), non poteva dunque non “schierare”
un nutrito ricettario. Dall’erba luigia, pianta
perenne dai fiori bianchi o azzurrini riuniti in spighe, originaria del Sud America,
ma diffusa da tempo immemorabile nella
campagna romagnola e particolarmente
del ravennate, si ottiene ad esempio un
liquore dal gradevole aroma che ricorda
il cedro ed il limone e possiede ottime
proprietà digestive. Altro genuino liquore
tipico romagnolo è il prugnolino, quello
vero si ottiene da una varietà di prugnolo
che vegeta esclusivamente nelle Saline di
Cervia (vedi ee N° 19), e conferisce
al liquore un sapore forte e deciso,
piacevolissimo nel suo retrogusto un
po’ allappante. Secondo l’antica ricetta tramandata dai salinari cervesi, le bacche vanno lasciate a macerare nell’alcol per circa dieci mesi
prima di far ulteriormente affinare il
prugnolino in bottiglia per qualche
altro mese. Già gli antichi conoscevano i sapori e le virtù salutari racchiusi da questi piccoli e preziosi
frutti ben protetti da spine acuminate.
Lo stesso Ippocrate ne consigliava
l’uso farmaceutico, i frutti sono inoltre
ricchissimi di antociani e resveratolo,
potenti antagonisti dei radicali liberi.
Pure il nocino, liquore tipicamente
modenese, possiede una variante
tradizionalmente romagnola della
ricetta: i malli delle noci, raccolti ancor freschi nelle tiepide giornate di
fine giugno, venivano infatti subito
messi in infusione e scossi frequentemente con vigore per un certo periodo cosicché il loro sapore si sposasse con le scorze di limone e con
le note speziate della cannella e dei
chiodi di garofano. La lista potrebbe continuare, ma citiamo per ultima una delle rare eredità piacevoli
della dominazione napoleonica.
Fin dal 1797 è infatti conosciuto in
Romagna un vino liquoroso tipicamente francese: il Feuilles de Cerises, dal gusto gradevolmente dolce-amaro, ottenuto dall’infusione di
foglie di ciliegio selvatico in cabernet-sauvignon con aggiunta di alcol
purissimo, zucchero ed un breve periodo di maturazione al sole estivo.
Oggi questi volatili aromi sarebbero probabilmente destinati ad una
prossima estinzione, se il fu Angelo
Babini, romagnolissimo sommelier
AIS, grazie anche alle esortazioni di
Mauro Zanarini (fiduciario della Slow
Food di Ravenna), non avesse deciso di avviare una produzione artigianale di questi liquori tradizionali.
Un’iniziativa dedicata alla memoria
di suo padre, attraverso la salvaguardia di una memoria collettiva.
I liquori ti uccidono lentamente.
Ma chi ha fretta?
Leopold Fetchner
from a blackthorn variety growing exclusively in the Salt Mines of Cervia (see
ee No. 19), which gives the liqueur a strong and distinct flavour, delightful in its
slightly mouth-puckering aftertaste.
According to the old recipe handed down by the people of the Salt Mines of
Cervia, the berries must macerate in alcohol for about ten months before the
prugnolino can actually age in the bottle for a few more months.
The ancient peoples already knew flavours and healthy virtues contained in
these small precious fruits protected by sharp thorns. Hippocrates himself
recommended its use in the pharmaceutical field; besides, these fruits are highly
rich in anthocyanins and resveratrol, powerful antagonists of free radicals.
Nocino (walnut liqueur), typical liqueur from Modena, also has a traditional
Romagnolo recipe: walnut husks, harvested when still fresh during the warm
days of late June, were put right away in infusion then strongly and frequently
shaken for a certain period of time until their flavour mixes with the lemon peels
and the spicy notes of cinnamon and cloves. The list is endless, but we will last
mention one of the rare and pleasant legacies of the Napoleonic domination.
A typically French, liqueur-like wine has been known in Romagna since 1797:
Feuilles de Cerises, with its bittersweet taste, obtained from the infusion of wild
cherry tree leaves in cabernet sauvignon combined with pure alcohol, sugar and
a short ripening period in the summer sun. Today, these volatile aromas probably
would have started to disappear, if the deceased Angelo Babini, a remarkable
Romagnolo AIS (Italian Sommelier Association) sommelier, also thanks to Mauro
Zanarini’s advice (trustee of Ravenna Slow Food), hadn’t decided to start a
home-made production of these traditional liqueurs. An initiative dedicated to
his father’s memory, through the safeguard of folk memory.
Enogastronomia
Da artigianato ad arte
Angelamaria Golfarelli
Certi destini paiono
inevitabilmente legati ad un luogo
e di sicuro quello di Elio Ghiberti
lo è alle Valli che circondano
S.Alberto.
foto d’archivio
[26
Some lives seem to be inevitably bound to a place and
Elio Ghiberti’s life definitely is, his place being the Valleys
surrounding S. Alberto.
Since his childhood, swamps and cane thickets acted as
a detonator for his lively curiosity, especially for birds
dwelling there, whose species, singing and habits he
knew by heart. During hunting season, with small boats
that he built entirely by hand, he would take the hunters
in the floating barrels, around which he would position
the decoys. But those artificial birds were for him as
fascinating as the ones flying in the sky. So he learned with
patience to build them using marshy weed, reproducing
their colours and, sometimes, their flying pose.
He started to develop personal prototypes, immortalizing
the ancient art of the decoy. His skills grew quickly and
so did his knowledge, together with the study of new and
more ingenious techniques and more refined and precious
aesthetic sense. Thus it became a real business, developed
also thanks to the Ecomuseo della Civiltà Palustre
(Marshland Museum) of Villanova of Bagnacavallo (see ee
No. 06) and culminated in the small museum that Elio
di
Romagna
Museo dedicato ad un mestiere antico
che avrebbe finito per scomparire con
l’estinguersi della caccia, ma ancora
vive grazie alla tenacia di Ghiberti, che
porta i suoi richiami, accompagnandoli con i racconti delle Valli, in laboratori e conferenze ad essi dedicate, tanto
da suscitare un vero e proprio culto da
parte di collezionisti ed amatori, il cui interesse ha contribuito a fare di Batono
(questo è il suo soprannome) una vera
celebrità. I suoi richiami sono quindi diventati, più che strumenti d’inganno per
ingenue prede, veri e propri oggetti d’arte
che egli costruisce con grande rigorosità
riproducendoli in misure e colori diversi, ma pur sempre perfettamente fedeli
a quelli antichi. Vederlo estrarre da una
piccola fascina di giunco palustre la sagoma perfetta di una volpoca o di un
cormorano in volo sembra quasi impossibile, eppure la naturalezza e la sapienza con le quali Elio si muove nella sua
arte sono semplicemente sorprendenti.
Oltre a quelli tradizionali, ha progettato
e costruito nuovi tipi di richiami, sempre
più lontani dal proprio scopo originario.
Ciò con la consueta poetica discreta e
schiva che contraddistingue il carattere riservato di Ghiberti. Un signore d’altri tempi il cui rispetto per l’ambiente e per quanti
lo popolano non conosce differenze.
A volte lo si può incontrare mentre cammina sugli argini contemplando quel
panorama, con negli occhi ancora
l’infantile curiosità e stupore che esprimono un animo sensibile e attento.
Alla ricerca di ispirazione e nuovi soggetti
per i suoi richiami, in quella laica preghiera con la quale ringrazia il destino di averlo legato indissolubilmente alle sue Valli.
Arte
Ghiberti created in his house in S. Alberto.
His museum is dedicated to an old trade that would have
disappeared with the disappearance of hunting. However, it is
still alive thanks to Ghiberti’s tenacity: he brings his decoys,
together with stories of the valleys, to laboratories and
conferences dedicated to them, arousing a real cult among
collectors and connoisseurs whose interest contributed to make
Batono (his nickname) a great celebrity. More than just tricks for
ingenuous prey, his decoys became true objects of art that he
creates with great rigorousness, reproducing them in different
sizes and colours, yet always fully faithful to the historic ones.
It is simply amazing to watch Elio’s ability and spontaneity in his
art; although it may seem close to impossible, he can extract,
from a small bundle of marshy canes, the perfect profile of a
shelduck or of a flying cormorant. In addition to the traditional
ones, he designed and created new types of decoys, further and
further from their original purpose. This with the usual discreet
and shy poetics that marks Ghiberti’s reserved character. An oldtime gentleman whose respect for the environment and those
who populate it knows no differences. Sometimes you will meet
him walking along the banks contemplating the landscape, with
the same childlike curiosity and wonder in his eyes that express
his sensitive and attentive soul.
In search of inspiration and of new subjects for his decoys,
in that laic prayer he thanks fate for giving him such an
indissoluble connection with his Valleys.
foto d’archivio
Sensi
the decoys (of natural aesthetics) of Elio
Ghiberti
foto d’archivio
I
From handicraft to art
L’arte è un passo che dalla natura va verso l’Infinito.
Kahalil Gibran
Fin da bambino, infatti, acque palustri e canneti furono
per lui il “detonatore” di una curiosità vivace catturata
soprattutto dai volatili che li abitavano, di cui sapeva
infallibilmente riconoscere la specie, il canto e le abitudini. Durante la stagione di caccia, con piccole imbarcazioni da lui costruite interamente a mano, portava i cacciatori nelle botti galleggianti, intorno a cui
posizionava i richiami. Ma quegli strani volatili posticci per lui erano non meno affascinanti di quelli
che si libravano in cielo. Imparò quindi con pazienza a costruirli utilizzando le erbe palustri, riproducendone i colori e, in alcuni casi, la posa in volo.
Cominciò a sviluppare dei prototipi personali, perpetuando l’arcaica arte dei richiami.
La sua abilità crebbe in fretta e di pari passo la
sua conoscenza, insieme all’approfondimento di
nuove tecniche sempre più ingegnose e ad un
senso estetico sempre più raffinato e ricercato.
Divenne dunque una vera e propria attività, sviluppatasi grazie anche all’Ecomuseo della Civiltà Palustre di Villanova di Bagnacavallo (vedi
ee N° 06) e culminata nel piccolo Museo che
Elio Ghiberti ha creato in casa sua, a S. Alberto.
foto d’archivio
foto d’archivio
I RICHIAMI (ALL’ESTETICA NATURALE) DI ELIO GHIBERTI
27]
Territorio di ricerca
LA ROMAGNA TEATRALE
Si può con fermezza sostenere
che il territorio romagnolo
rappresenta oggi uno dei luoghi
di maggior fermento teatrale in
Italia.
La motivazione non scritta - e neanche
cercata – di questo fenomeno, sta in un
elemento socio-storico che da sempre caratterizza la regione e cioè la forte presenza della cooperazione, intesa come forma
di organizzazione del lavoro condiviso,
estremamente sentita in questa comunità.
All’inizio degli anni Ottanta a Cesena nasce la Socìetas Raffaello Sanzio per iniziativa di Romeo Castellucci (regista),
Claudia Castellucci (melode), Chiara Guidi (attrice) e Paolo Guidi (attore). Si tratta
dell’incontro fra giovanissime e altissime
Territory of experimentation
Romagna theatre
One can firmly assert that the territory of Romagna is now one of the areas with the
most theatrical unrest in Italy.
We are talking about experimental, contemporary theatre, whose modernization
has developed and redefined it in a period between the beginning of the twentieth
century and present day, whose birth certificate is the twentieth-century reaction
to the realistic drama of the late nineteenth century. Without going into the history,
it can be said that dramatic creation went toward newness, and different ways for
theatre to exist have brought it to nowadays. Beyond the definitions, experimental
theatre knows no boundaries or prejudices, neither has conventions nor serves a
function. It has neither a placement nor inner and outer forces, and it embodies all
its internal phenomena, culture and knowledge that have origins elsewhere.
foto d’archivio
foto d’archivio
Questa intera creazione è essenzialmente
soggettiva, e il sogno è il teatro dove
il sognatore è allo stesso tempo sia
la scena, l’attore, il suggeritore, il
direttore di scena, il manager, l’autore,
il pubblico e il critico.
Carl Gustav Jung
[28
29]
Stiamo parlando del teatro di ricerca sperimentale, contemporaneo, attualizzazione di ciò che si è sviluppato e ridefinito in un periodo compreso tra gli inizi del Novecento e i giorni nostri, il cui atto
di nascita è la reazione novecentesca al teatro verista della fine del
XIX secolo. Senza addentrarci nella storia si può affermare che la
creazione teatrale è andata verso il nuovo, modi diversi dell’esistere
del teatro hanno portato alla contemporaneità. Al di là delle definizioni, il teatro sperimentale di ricerca non ha frontiere o pregiudizi,
non ha convenzioni né assolve ad una funzione, non ha collocazione né forze esterne o interne, ingloba al suo interno fenomeni, culture e scienze che hanno altrove origine. Questo universale lavoro
interdisciplinare è la cornice di un fenomeno che in questa sede si
vuole localizzare in un territorio delimitato pur in assenza di confini.
Si vuole arrivare ad una sintesi – improbabile – degli accadimenti
che storicamente si sono snodati intorno ad un territorio, la Romagna, rendendolo una terra impastata con il teatro contemporaneo.
I
Sensi
di
Romagna
foto d’archivio
Tatiana Tomasetta
personalità artistiche, tutte le loro opere realizzate in questi trent’anni sono significative e fondamentali nel ripensare e rimettere
in gioco il linguaggio, il significato, il modo
di fare, vivere e recepire il teatro a tal punto da diventare una compagnia di ricerca definibile “super icona”, un successo
di critica internazionale. Sembra lontano il
debutto della compagnia nel 1981, oggi
Romeo Castellucci – classe ’60 nato a
Cesena – è considerato uno dei più grandi innovatori della scena contemporanea,
chiamato a dirigere i grandi festival come
la sezione di teatro della Biennale di Venezia. Ha ricevuto nel 2008 l’ambito incarico
di “artista associato” al Festival di Avignone, dove ha presentato la sua nuova creazione: la trilogia ispirata alla Divina Commedia, un successo di pubblico e critica
planetario. Sempre a Cesena altro aulico
nucleo è il Teatro Valdoca, nato nel 1983
ad opera di Cesare Ronconi (regista) e di
Mariangela Gualtieri (drammaturga), presente fin da principio sulla scena europea.
This universal interdisciplinary work is the framework of a phenomenon that needs
to be established in a defined area despite its absence of borders. It is difficult to
arrive at a summary of the events that historically revolved around the territory
of Romagna, that made it a land filled with contemporary theatre, a land where
theatre experimentation rises to the highest starring role, where the established
theatre companies contribute, both with their own intellectual work and with their
shows, to write the pages of the history of international theatre, while new groups
of artists emerge to impose their presence on the Italian scene. The unwritten, and
also unsought, reasons for this phenomenon lies in a socio-historical element that
has always characterized the region, namely the strong presence of cooperation,
as a form of organization of shared work for which this community is extremely
well known. In the last twenty years, the use of collaboration, mutual help and
support among the workers was instinctively respected by artists and actors, both
in atmosphere and mentality. This is also one of the only truths that still exist in
Italy, where theatre companies cooperate and help one another, not in competition
but in assistance. Compensating for economic problems, space, lack of instruments,
but also for problems of poetics, of the director and of the actor through the
exchange of props, for mutual accommodation of creative space, and for the ability
to confront reality already imposed on the international scene, has been the key
Arte
[30
foto d’archivio
foto d’archivio
I
Sensi
di
Romagna
foto d’archivio
foto d’archivio
L’Officina Valdoca, luogo poetico, sodalizio d’arte, di pensiero e
mutuo soccorso, cerca il confronto con giovani emergenti che lavorano grazie alle risorse messe loro a disposizione dalla compagnia (come per la Sanzio è lo spazio del Teatro Comandini), che
devono inevitabilmente in questo panorama sostenere il confronto
con una selezione “naturale” immediata. Tutto si muove secondo
questi meccanismi cooperativi, rendendo la Romagna un territorio
di ricerca teatrale condivisa. A Ravenna nascono e operano egregiamente nuclei artistici come il Teatro delle Albe e i Fanny e Alexander, a Rimini agli inizi degli anni Novanta nascono i Motus per
mano di Enrico Casagrande, a Forlì viene fondata dall’ingegnere Lorenzo Bazzocchi la compagnia Masque Teatro. Impossibile
elencarli tutti. Un altro fattore determinante per lo sviluppo del teatro
di ricerca in Romagna è stata la volontà di quei direttori, amministratori, sindaci che nel passato – parliamo degli anni Sessanta,
Settanta e Ottanta - presero decisioni illuminate. Un esempio eclatante è il festival Santarcangelo dei Teatri, la cui storia cambia nel
1978, anno spartiacque, quando fu deciso dal Comune di cambiare la fisionomia, ma soprattutto la filosofia, di quella che era una
festa di paese per artisti di strada, scegliendo di dedicare quella
risorsa a valorizzare i nuovi linguaggi, i nuovi artisti già impegnati
sul territorio nella ricerca teatrale, gli emergenti e, soprattutto, quella
interessante scena di nicchia totalmente dedita alla sperimentazione assoluta. Erano anni in cui Carmelo Bene registrava il tutto
esaurito sui palcoscenici degli eleganti teatri comunali romagnoli.
Oggi Santarcangelo dei Teatri è il festival che, dopo 35 edizioni, si
colloca tra i più importanti momenti di confronto del teatro di ricerca
in Europa, fiore all’occhiello di un territorio che registra il risultato
di un controllo dell’esperienza teatrale così profonda e differenziata, da regalarci, oltre a decine di notevolissimi artisti e altrettanti festival, il primato di “territorio teatrale” ammirato da tutto il mondo.
element that has allowed the development
of this dynamic and tangible scene.
In the early eighties in Cesena, the Socìetas
Raffaello Sanzio was created, through the
initiative of Romeo Castellucci (director),
Claudia Castellucci (melody), Chiara Guidi
(actress) and Paolo Guidi (actor).
The encounter between top young artistic
personages and all their works in these
thirty years are significant and fundamental
in the rethinking and addition of language,
meaning, character and life, and in the
understanding of theatre to the point of
becoming an experimental company of
“super icons” of international critical
success. The theatre company’s debut in
1981 seems so long ago. Today, Romeo
Castellucci – Class of ’60, born in Cesena –
is considered one of the greatest innovators
of the contemporary scene, called to lead
major festivals such as the theatre section
of the Venice Biennale. In 2008 he received
the field position of “associate artist” at
the Avignon Festival, where he presented
his new creation: the trilogy inspired by
the Divine Comedy, a worldwide public and
critical success. Another courtly group in
Cesena is Teatro Valdoca, created in 1983
from the work of Cesare Ronconi (director)
and Mariangela Gualtieri (playwright),
always present on the European scene.
The Officina Valdoca, a poetic place and
an association for art, thought and mutual
aid, searches for emerging youth to meet
each other face to face, where they can
work thanks to the resources at their
disposal by the company (as is Sanzio and
Teatro Comandini), who must inevitably
support this view with an immediately
“natural” selection. Everything moves along
according to these cooperative workings,
making Romagna a territory of shared
theatre experimentation.
Artistic groups are created and operate
well in Ravenna, such as the Teatro delle
Albe and Fanny & Alexander. In the early
nineties in Rimini, Motus was created
through the work of Enrico Casagrande,
and at Forlì engineer Lorenza Bazzocchi
established Masque Teatro. It is impossible
to list them all. Another determining factor
for the development of experimental
theatre in Romagna was the willpower of
directors, administrators and mayors who in
the past – around the sixties, seventies and
eighties - made brilliant decisions.
One striking example is Santarcangelo
Theatre Festival, whose history changed
in 1978, a turning point when it was
decided by the city council to change the
appearance, and especially the philosophy,
Sono apparso alla Madonna. Carmelo Bene
31]
of what was a village festival for street performers, choosing to dedicate that
resource to show off new languages, new artists already committed in the territory
to theatre experimentation, emerging artists, and in particular the interesting niche
completely dedicated to absolute experimentation. It was the time when Carmelo
Bene recorded a sold out show on the stages of the elegant municipal theatres of
Romagna. Today, the Santarcangelo Theatre is a festival that, after 35 editions,
is ranked one of the most important events of experimental theatre in Europe, a
crowning achievement of an area that maintains a theatrical experience so profound
and diverse that it gives us, in addition to dozens of remarkable artists and festivals,
the honour of being the “theatrical region” admired around the world.
Arte
[4] TERRITORIO
Ipogei del Mons Jovis _ arc ai c i c uni c o l i de l so t t o suo l o sant arc angi o l e se
Hypogea of Mons Jovis_ anc i e nt t unne l s i n t he sant arc ange l o unde rgro und
RONCOFREDDO_ pat ri mo ni o di un bo rgo e de i suo i paraggi
RONCOFREDDO_ he ri t age o f a bo ro ugh and i t s surro undi ng are a
[8] STORIA
Le macchine a propulsione “naturale”_ ant i c he al l e at e de l l ’ uo mo
“NATURAL” PROPULSION MACHINES_ anc i e nt al l i e s o f human l abo ur
Il Mal della Gangola_ l a pe st e de l bo c c ac c i o e de l manz o ni ne l l e ro magne
THE “MAL DELLA GANGOLA”_ bo c c ac c i o ’ s pl ague and manz o ni ’ s pl ague in r om agn a
Poetica della provincia maiuscola_ franc e sc o se rant i ni
Poetica della provincia maiuscola_ franc e sc o se rant i ni
[32
[16] PASSIONI
Marafon/beccacino_ l ’ art e de l l a gue rra c o n l e c art e
Marafon/beccacino_ t he art o f war wi t h c ards
L’antico rito della macellazione suina in Romagna_ morte del maiale, vita del contadino
The historic tradition of pig slaughter in Romagna_ the death of the pig, the life of the farmer
[20] ENOGASTRONOMIA
Tre Monti_ s i n t e s i di due mi c ro z o ne c o l l i nari
Tre Monti_ c o mb i n at i o n o f t wo hi l l y mi c ro - are as
Gli spiriti della festa_ i l i quo ri t radi z i o nal i ro magno l i fat t i i n c asa
The spirits of the feast_ t he t radi t i o nal ho me - made l i que urs fro m ro magna
[26] ARTE
Da artigianato ad arte_ i ri c hi ami ( al l ’ e st e t i c a nat ural e ) di e l i o ghi be rt i
F R OM H A N D I C R A F T TO ART_ t he de c o ys ( o f nat ural ae st he t i c s) o f e l i o ghi ber ti
Territorio di ricerca _ l a ro magna t e at ral e
Territory of experimentation _ ro magna t he at re
I
Sensi
di
Romagna
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Periodico edito da CERDOMUS Ceramiche SpA 48014 Castel