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DA GROSZ A KIEFER
PERCORSI NELL’ARTE TEDESCA
LATTUADA STUDIO
Arte Contemporanea
VIA DELL’ANNUNCIATA, 31 - 20121 MILANO
TEL. +39 02 29.00.00.71 - FAX +39 02 65.92.631
www.lattuadastudio.it - E-MAIL: [email protected]
CATALOGO A CURA DI SARA FONTANA
FOTOGRAFIE DI CRISTIAN CASTELNUOVO
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DA GROSZ A KIEFER
PERCORSI NELL’ARTE TEDESCA
Dal 30 Novembre 2006
fino al 15 Gennaio 2007
CATALOGO A CURA DI SARA FONTANA
FOTOGRAFIE DI CRISTIAN CASTELNUOVO
in copertina:
HELMUT MIDDENDORF - “doppio ritratto” - olio su tela, cm 135 x 110
ANSELM KIEFER - “die donauquelle” - acrilico su foto, cm 41 x 53
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C’è stato un momento, fra la metà degli
anni settanta e la metà degli anni ottanta,
in cui la Germania iniziò a vedere - già
prima della caduta del muro - uno spiraglio
attraverso le coltri della guerra fredda e
della divisione della nazione.
Nell’economia, nella tecnologia, nello sport,
nel cinema, nella letteratura e anche nell’arte si annunciava - forse troppo ottimisticamente - l’alba di una rinascita.
Ho scelto un brano di Jorg Immendorff tratto da
un’intervista apparsa alcuni anni fa su Artforum
per mostrare quale incrocio di artisti avesse
generato il clima magico della Germania di
quegli anni. “Nel 1982 - scrive Immendorf tenni la prima personale in un museo tedesco,
alla Kunsthalle di Düsseldorf, e presentai i miei
dipinti della serie Cafè Deuschland [1978-82].
Poco dopo partecipai per la seconda volta a
Documenta, e soltanto pochi mesi dopo al
Martin Gropius-Bau a Berlino si aprì la mostra
Zeitgeist. Questo periodo fu per me importante
anche per lo scambio reciproco che ebbe luogo
fra la generazione di artisti più anziani e artisti
molto più giovani come Walter Dahn e Georg
Jiri Dokoupil, due degli artisti di Colonia riuniti
nella Mülheimer Freiheit. […] anche il loro
lavoro fu presentato a Documenta 7. Accade
raramente che una generazione più vecchia e
una più giovane raggiungano l’attenzione del
pubblico contemporaneamente. Inoltre furono
pubblicati libri e cataloghi come Hunger nach
Bildern e La transavanguardia tedesca.
Improvvisamente, tutta l’Europa reagì alla
scena artistica tedesca, non solo la Francia e la
Gran Bretagna ma anche l’Italia, dove lavoravano pittori come Francesco Clemente e Sandro
Chia. La maggior parte della reazione fu centrata sul dibattito intorno alla cosiddetta pittura
figurativa. E naturalmente fu sempre in questo
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There was a moment, between the mid ‘70s
and the mid ‘80s – long before the fall of
the wall – when Germany started to see a
glimmer of understanding, through the iron
curtains of the Cold War, of the divisions
running through the nation. In the economy,
technology, sport, cinema, literature and
even in art, the dawn of a new beginning –
perhaps with excessive optimism – was
announced.
I have chosen a piece by Jorg Immendorff
taken from an interview published a few years
ago in Artforum to illustrate the crossover of
artists that generated the magical climate to be
found in Germany in that period. “In 1982 –
writes Immendorf – I held my first one-man
show in a German museum, the Kunsthalle in
Düsseldorf, and I presented my paintings of the
Cafè Deuschland (1978-82) series. Shortly
afterwards, I took part for the second time in
Documenta, and only a few months later at the
Martin Gropius-Bau in Berlin the Zeitgeist show
was inaugurated. This was a very important
time for me also because of the two-way interaction that took place between the older generation of artists and much younger artists like
Walter Dahn and Georg Jiri Dokoupil, two of the
artists from Cologne brought together in the
Mülheimer Freiheit. […] Their work was also
presented at Documenta 7. Very rarely does it
occur for an older and younger generation be
given public attention simultaneously. What’s
more, there were also books and catalogues
published like Hunger nach Bildern and La
transavanguardia tedesca. Suddenly, the whole
of Europe was reacting to the German arts
scene, not only France and the UK but also
Italy, where painters like Francesco Clemente
and Sandro Chia were working. Most of the
reaction revolved around the debate on so-cal-
GEORGE GROSZ - “coppia abbracciata”, 1940
gouache acquarello e gessetto, cm 60,7 x 47,6
2
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GEORGE GROSZ - “nudo in piedi”, 1915
china su carta, cm 41, 9 x 33
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periodo che David Salle e Julian Schnabel, essi
pure presenti a Zeitgeist, cominciarono ad
esporre in Europa1”. Allievo di Joseph Beuys,
Immendorff (Bleckede, 1945) nutre una profonda fiducia nel ruolo dell’artista come forza
politica integrata. Nel 1977 inizia la serie Cafè
Deutschland, in cui fonde il realismo sociale e
l’espressionismo di Grosz con il surrealismo
spaziale di Matta e in cui svela la sua violenta
avversione alla decadenza e all’ipocrisia del
suo paese. Se nel suo ricordo attuale la rabbia
si è stemperata, sembrano emergere altri
aspetti, quali il riconoscere l’importanza e la
continuità della tradizione artistica tedesca2 e
la fierezza per aver dato vita al più importante
movimento di risveglio della pittura degli ultimi
decenni. Sono infatti gli albori di un’esperienza
artistica che lascerà un segno nella storia dell’arte: “Neoespressionismo” è la definizione più
generica per indicare queste nuove correnti pittoriche figurative emerse soprattutto in
Germania all’inizio degli anni Ottanta e accomunate dal tratto aggressivo della pennellata e
dai colori densi e violenti. Tuttavia il caso tedesco trova forti assonanze e reciproche occasioni di scambio con altre situazioni internazionali. Si riscoprono, e si rileggono con un atteggiamento estetico-ideologico, in Germania l’eredità espressionista di Die Brücke e della Nuova
Oggettività, in Italia la lezione del futurismo e
della metafisica - mescolata con suggestioni
espressioniste, primitiviste e surrealiste e con
testimonianze di arte popolare -, in Gran
Bretagna l’opera senza paragoni di Bacon,
GEORGE GROSZ - “eddi cantor il futuro dell’Europa”, 1932
china collage e matita su carta, cm 46,3 x 64,4
led representational painting. And of course it was about this time that David
Salle and Julian Schnabel, who were also present at Zeitgeist, started to exhibit in Europe1” . A pupil of Joseph Beuys, Immendorff (Bleckede, 1945) nurtures a deep-seated faith in the role of the artist as an integral political agent.
In 1977, he started his Cafè Deutschland series, in which he fuses social realism and Grosz’s expressionism with Matta’s spatial surrealism, exposing his
violent hatred of the decadence and hypocrisy of his country. While in his current works this anger is more subdued, other aspects seem to have taken its
place, such as his recognising the importance and continuity of the German
artistic tradition2 and his pride in having inspired the most important rediscovery of painting in recent decades. In fact, these are just the opening shots
of an artistic experience which is to make its mark on the history of art: “neo-
GEORGE GROSZ - “wodka”
acquarello china e gessetti, cm 76,1 x 55,9
negli Stati Uniti l’espressionismo astratto di De Kooning, ma anche quello di Philip Guston, convertitosi dal 1970 a un’originale figurazione fumettistica.
Gli artisti francesi del gruppo Figuration Libre fanno invece riferimento, oltre che al Graffitismo americano, all’Art Brut di Dubuffet e alla pittura del gruppo Cobra. Anche la Spagna è fra i centri propulsori del neoespressionismo, con l’apparizione di artisti come Miquel Barceló e José Maria Sicilia.
Parallelamente, mostre di importanza capitale come Zeitgeist, allestita nel 1982 a Berlino e curata da Christos M. Joachimides e Norman Rosenthal, affiancano la pittura al concettualismo meno rigido. Il neoespressionismo ebbe un grande successo commerciale, le cui ragioni sono varie e forse insondabili.
Su un piano strettamente artistico, esso rappresenta il momento della riappropriazione della manualità e della piacevolezza dell’operare. Si affermano le
1 Jorg
2
Immendorff, in conversation with Pamela Kort, in “Artforum”, marzo 2003.
Enorme importanza umana e professionale ebbe per Immendorff l’incontro con il connazionale A. R. Penck, di sei anni più anziano, con cui aveva avviato un’intensa collaborazione.
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expressionism” is the most generic definition possible to describe those new
representational painting movements which came to the fore especially in
Germany at the beginning of the ‘80s, and which all share the aggressive
brushstrokes and the dense, violent colours. That said, the German case finds
common ground and opportunities for reciprocal exchange in other arts scenes around the world. In Germany, the expressionist legacy of Die Brücke and
of New Objectivity was rediscovered and reread from an aesthetic/ideological point of view, just as in Italy futurism and metaphysics were being reappraised, tempered with expressionist, primitivist and surrealist notions. In the
UK there were the matchless works of Bacon, and in the US, the abstract
expressionism of De Kooning, but also that of Philip Guston, who in 1970
converted to an original form of cartoon-strip representationalism. The
1
Jorg Immendorff, in conversation with Pamela Kort, in “Artforum”, March 2003.
2
For Immendorff, his meeting A. R. Penck had enormous human and professional importance. Six years older than Immendorff, the two embarked on an intense collaboration project.
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dimensioni monumentali dei dipinti e delle sculture e si assiste alla piena riabilitazione del revival e della citazione, spesso con un approccio
eclettico e disinvolto. Sul piano teorico, il dibattito generato - a volte semplificato nella contrapposizione figurativo/non figurativo - raggiunge la stampa più popolare. Non va però
escluso che parte del successo più immediato al di là del merito contingente degli artisti - sia
da attribuire a una diversa tendenza prevalente
nel sistema dell’arte, con la crescita del collezionismo e l’emergere di un mercato artistico
desideroso di oggetti più facilmente vendibili e
scambiabili di quanto non fossero gli happenings, le performances e le installazioni.
Oggi, a circa vent’anni dalla caduta del muro,
anche il ricordo di una Germania separata si è
ormai spento, e a maggior ragione sembrano
sfumate le tensioni e le idealità che hanno condotto a quell’evento. Se è vero che la caduta del
muro non può ridursi alla vittoria di una parte
sull’altra, è anche vero che il sogno degli anni
novanta si è lentamente tramutato in disillusione e poi in un pragmatismo conformista disponibile al compromesso. Immendorff, nella citata
intervista, constata con un certo rimpianto l’impossibilità di recuperare, nel nuovo millennio, lo
spirito utopico e la sensibilità emotiva degli anni
ottanta, a causa della mancanza di dialogo culturale e, in campo artistico, della perdita di consapevolezza del gesto del dipingere che caratterizzò, a suo dire, il decennio in questione. La
Germania, per alcuni anni, era sembrata la
patria dell’idealismo e del romanticismo e l’insoddisfazione di un’intera generazione, convinta di poter cambiare il mondo, si era diretta a
Berlino, sia da est che da ovest. La città circondata dal muro, pur con le sue contraddizioni,
incarnava il diffuso desiderio di alternativa e
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French artists of the Figuration Libre group, on
the other hand, made reference not only to
American Graffiti art, but also to Dubuffet’s Art
Brut and to the painting works of the Cobra
group. Even Spain featured among the powerhouses of neo-expressionism, with the appearance of artists such as Miquel Barceló and
José Maria Sicilia. Parallely, exhibitions of great
importance such as Zeitgeist, held in 1982 in
Berlin and curated by Christos M. Joachimides
and Norman Rosenthal, placed painting on a
less rigid conceptualist level. Neo-expressionism enjoyed enormous commercial success,
for various reasons, not all entirely clear. On a
strictly artistic level, it represents the moment
of the revival of manual techniques and the
pleasure deriving from the creative process.
Paintings and sculptures are produced using
monumental sizes, and there is a full-scale
return to the use of revival and citation techniques, often in an eclectic and carefree manner.
On the theoretical level, the general debate –
often simplified down to a non/representationalist opposition – reaches even the most
popular press. Yet it should not be forgotten
that some of the most immediate success,
artists’ intrinsic merits aside, must be attributed to the new trend prevailing in the arts
system, with the growth in the number of collectors and the emergence of an art market
hungry for more easily saleable and exchangeable works than happenings, performances
and installations.
Today, some 20 years after the fall of the wall, even the memory of a Germany divided has waned, just as the tensions and idealisms surrounding that
event have. While it is true that the fall of the wall cannot be passed off as merely the victory of one side against the other, it is also true that the ‘90s
dream was slowly tainted with disillusion before reaching a state of conformist pragmatism laid open to compromise. Immendorff, in the above-mentioned interview, not without a certain degree of remorse, notes how in the new millennium it has become impossible to reacquire the Utopian spirit and
emotional sensitivity of the ‘80s due to the lack of cultural dialogue and (in the artistic field) the loss of awareness of the act of painting which, according
to him, characterised the decade in question. For a number of years, Germany had seemed to be the homeland of idealism, romanticism and the
WALTER DAHN - “senza titolo”, 1988
tecnica mista su carta, cm 40 x 30
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MARTIN DISLER - “senza titolo”, 1989
acrilico e carboncino su carta, cm 126 x 110
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quindi finì per rappresentare - paradossalmente - un faro di libertà per gli scontenti dei due
blocchi. A Berlino, nel 1980, avvenne il debutto dei “Nuovi selvaggi” (termine che indicò, fin
dal suo apparire, percorsi artistici anche
distanti tra loro). Indicativo il nome della
mostra, Heftige Malerei [Pittura irruente], i cui
protagonisti furono alcuni studenti d’arte provenienti dalla provincia, già operanti da tre o
quattro anni nella città divisa. Il gruppo si era
formato nel 1977 con l’apertura di una galleria
privata a Moritzplatz, una galleria autogestita
dai trentenni Bernd Zimmer e Rainer Fetting e
dal ventiquattrenne Helmut Middendorf, cui si
aggiunsero Elvira Bach e Salomé. Portati verso
una brutalità delle forme e accordi cromatici
violenti, questi artisti si concentrano sulla vita
nella metropoli, spesso interpretata in accezione critica o negativa (la ricorrente immagine
del muro). Un atteggiamento che richiama
quello dei predecessori di Die Brücke, Ernst
Kirchner e Emil Nolde in particolare, spesso
citati apertamente sia da Zimmer che da
Fetting. Contemporaneamente a questa esperienza berlinese, in Renania si delineò un altro
gruppo di artisti trentenni, attivi principalmente
fra Colonia e Düsseldorf, la Mülheimer Freiheit
[Libertà di Mülheim]. Ne fecero parte, fra gli
altri, Jirì Georg Dokoupil, Walter Dahn, Hans
Peter Adamski, Gerard Kever, Peter Bömmels e
Gerhard Nashberger. L’elemento catalizzatore
fu probabilmente Dokoupil, artista di origine
boema che però aveva studiato con Hans
Haacke alla Cooper Union School di New York e
aveva frequentato fedelmente il connazionale
Andy Warhol e, forse, Jean-Michel Basquiat.
Nelle sue opere si ritrovano i riflessi di una pittura “volgare” che rifiuta l’accademia e certe
rigidità dell’Arte Concettuale - che era stata la
sua base formativa -, traendo ispirazione diret-
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dissatisfaction of an entire generation which,
under the conviction of being able to change
the world, had converged on Berlin, both from
East and West. The city surrounded by a wall,
despite its inherent contradictions, embodied a
widespread desire for an alternative, thus
ending up paradoxically representing a beacon
of hope and freedom for the angry and restless
on both sides. In Berlin in 1980, the “Neue
Wilden” debuted (a name which right from the
start represented a range of diverse and even
distant artistic approaches). The name of the
exhibition, Heftige Malerei (Impetuous
Painting), speaks volumes, and the protagonists were a number of art students from the
provinces who had already been working in the
divided city for three or four years. The group
had come together in 1977 with the opening of
a private gallery in Moritzplatz, an independent
operation run by the 30-year old Bernd Zimmer
and Rainer Fetting as well as by the 24-year
old Helmut Middendorf, later joined by Elvira
Bach and Salomé. Working with a formal brutality and violent chromatic combinations,
these artists concentrated on metropolitan life,
often interpreted on a critical or negative level
(as denoted by the recurrent image of the wall).
The attitude reflected that of their predecessors Die Brücke, Ernst Kirchner and Emil Nolde
in particular, often openly quoted both by
Zimmer and Fetting. At the same time as this
Berlin experience, in Renania another group of
20-year old artists was being formed, working
mainly between Cologne and Düsseldorf: the
Mülheimer Freiheit (Mülheimian Freedom).
Among others, this group included Jirì Georg
Dokoupil, Walter Dahn, Hans Peter Adamski,
Gerard Kever, Peter Bömmels and Gerhard
Nashberger. The catalyst of the group was probably Dokoupil, an artist of Bohemian origins
MARTIN DISLER - “senza titolo”, 1989
acquarello, carboncino e acrilico su carta applicata su tela, cm 107,5 x 140,5
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MARTIN DISLER - “senza titolo”, 1992
olio su carta, cm 62 x 46
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tamente dai mass media. Attratto indifferentemente da ogni stile, Dokoupil rielabora molte
provocazioni dell’arte di strada, irrorandole con
una forte dose di ironia e festosità e utilizzandole quasi fossero l’unico antidoto al clima di
guerra fredda artificiale che si stava ricreando
in Europa. Versatilità e contaminazione, enigmaticità e nomadismo, oltre a certa influenza
del Surrealismo, lo avvicinano al coetaneo
Walter Dahn, nato a Krefeld nel 1954 e da
sempre attivo a Colonia. Allievo, giovanissimo,
del concittadino Joseph Beuys, a lui si deve, tra
l’altro, la riscoperta dei cosiddetti “disegni alla
lavagna” di Rudolf Steiner, filosofo austriaco
fondatore dell’Antroposofia. L’esperienza di
Dokoupil rappresentò, per i “giovani arrabbiati”,
una rivelazione che rispondeva al loro bisogno
primario di fare pittura sempre e comunque,
respingendo da un lato le tentazioni intellettuali e concettuali ancora in voga e dall’altro ogni
forma di omologazione, in particolare quelle del
sistema dell’arte. Con un approccio personale
e immediato, l’esito poteva risultare talora di
un’ingenuità kitsch e talora di un’eccitazione
smodata, ma certamente era frutto di un inedito recupero della pittura. Le due mostre citate
ebbero comunque un enorme successo, anche
commerciale, forse proprio a causa della capacità di spezzare, con la forza dei colori e della
materia, una stagione minimalista e concettuale giunta ormai, dopo circa due decenni,
all’esaurimento delle sue forze propositive. Non
va dimenticato che oltre a Colonia, Düsseldorf
e Berlino, un’altra cellula importante del neoespressionismo è stata Amburgo, grazie soprattutto alla presenza di Martin Kippenberger
(Dortmund, 1953), ma anche di Albert Oehlen.
L’approccio all’arte di Kippenberger è un misto
di autoironia, ingenuità e pragmatismo: dell’ar-
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yet who had studied with Hans Haacke at the
Cooper Union School in New York and who had
much frequented his own countryman, Andy
Warhol and, perhaps, Jean-Michel Basquiat.
His works feature aspects of a “vulgar” painting
style, one which rejects the academy and much
of the rigidity of Conceptual Art – which had
been its original basis – drawing inspiration
directly from the mass media. Attracted by all
kinds of style indifferently, Dokoupil reworks
many of the provocations of street art, smothering them with a generous pinch of irony and
festivity, exploiting them almost as if they were
the only antidote to the artificial climate of the
Cold War that was forming across Europe.
Versatility and contamination; the enigmatic
and nomadic nature. Apart from a certain
influence of Surrealism, these are the things
that he has in common with his fellow artist
Walter Dahn, born in Krefeld in 1954 he had
always worked in Cologne. A pupil, right from a
very young age, of Joseph Beuys, among other
things, he is responsible for the rediscovery of
MARTIN DISLER “senza titolo” - 1982
the so-called “blackboard drawings” of Rudolf
acrilico
su
carta applicata su tela, cm 150 x 155
Steiner, the Austrian philosopher and founder
of Anthroposophy. For the “angry young men”,
Dokoupil’s experience constituted a revelation
which satisfied their primary need to paint at all
costs, rejecting on one hand the intellectual
and conceptual temptations still in fashion, and
on the other, any attempts at standardisation,
particularly that of the arts system. Using a personal and immediate approach, the outcome
might at times have been a kitsch naivety and
at others an unbridled excitement, but in any case it was the fruit of an unprecedented return to painting. At any rate, the two exhibitions were both an
enormous success, also in commercial terms, perhaps thanks to the strength of their colours and materials and their ability to make a break with a minimalist and conceptual season which, after some two decades, had reached the end of its natural life. It should not be forgotten that apart from Cologne,
Düsseldorf and Berlin, another key city in the neo-expressionist movement was Hamburg, thanks above all to the presence of Martin Kippenberger
(Dortmund, 1953), but also that of Albert Oehlen. Kippenberger’s approach to art is a mixture of self-irony, ingenuity and pragmatism: he makes a mock
MARTIN DISLER - “senza titolo”, 1992
olio su carta, cm 42 x 30
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te egli calpesta gerarchie e convenzioni, per
mostrarcene l’assurdità e il cattivo gusto, ad
ogni livello.
Il successo di queste mostre e l’elenco degli
artisti che vi parteciparono ci consente di risalire a ritroso alle prime avvisaglie del “ritorno alla
pittura”, che era già stato dato da un gruppo di
artisti più anziani: Anselm Kiefer, Georg Baselitz,
Markus Lüpertz, A. R. Penck. Nati negli anni
Trenta e attivi dalla fine degli anni Sessanta,
questi autori, pur non avendo mai abbandonato
la pittura (s’ispiravano a Nolde, a Kirchner, a
Franz Marc, forti però di un aggiornamento
sulle neoavanguardie), furono a lungo oscurati dalla fama dei concettuali. Genericamente
ritenuti esponenti del Neoespressionismo, ne
sono in realtà i precursori. Il loro impegno
muove dalla rivisitazione di temi classici e si sviluppa nella ricerca di un linguaggio artistico che
vada oltre quello astratto, ancora in voga negli
anni sessanta, senza tuttavia cadere in una
figurazione banale e descrittiva. Per questi artisti, il rapporto con la Storia è potentissimo e si
traduce in un immergersi in quel senso di mito
e di tragedia, di pathos e di catastrofe, che
caratterizza fortemente la storia tedesca. Non a
caso, nel 1989, Thomas Krens, novello direttore del Guggenheim Museum di New York,
sostiene che il fenomeno della nuova arte tedesca, tornando a ispirarsi a modelli classicoromantici come Richard Wagner o Caspar David
Friedrich, si ridurrebbe a una diffusa reazione
all’egemonia americana del dopoguerra3.
of the hierarchies and conventions of art only to
show us the underlying absurdity and bad taste
on every level. The success of these exhibitions
and the list of artists who took part allows us to
trace our way back to the very earliest manifestations of this “return to painting”, to be found
among a group of older artists: Anselm Kiefer,
Georg Baselitz, Markus Lüpertz and A. R.
Penck. Born in the ‘30s and with careers dating
back to the ‘60s, and despite never having
abandoned painting (they drew inspiration from
Nolde, Kirchner, Franz Marc, yet they had also
gained from the renewal of the neo avantgarde movements) these artists had been long
kept out of the limelight by the fame of the conceptualists. Generically regarded as exponents
of neo-expressionism, they were in actual fact
the precursors. Their focus ranges from a reappraisal of classical themes, developing an artistic language through their research which
goes beyond that of abstract art, still in fashion
in the ‘60s, without falling into the trap of banal
or descriptive representationalism. For these
artists, the relationship with history is of the
utmost importance, and is expressed through
the sense of myth and tragedy, of pathos and
catastrophe which so strongly characterises
German history. It is by no coincidence that in
1989, Thomas Krens, the newly appointed
director of the Guggenheim Museum of New
York, claimed that the phenomenon of new
German art, with its return to drawing inspiration from classical-romantic material, such as
Wagner or Caspar David Friedrich, would boil
down to a widespread reaction to American
post-war dominance3. On the other hand,
Wolfgang Max Faust, who had carried out a
number of timely interventions on new German
painting since the beginning of the ‘80s4, sta-
A.R.PENCK - “senza titolo”, 1990 c.a
acrilico su tela, cm 40 x 50,3
4
Invece, per Wolfgang Max Faust, autore di interventi tempestivi sulla nuova pittura tedesca fin dai primi anni Ottanta , si tratterebbe di un fenomeno scollegato dalla storia e totalmente inerente a un modo di vedere tedesco, da circoscrivere in un ambito soggettivo in cui la pittura sarebbe soprattutto un
mezzo di ricerca interiore e di rappresentazione di sé5. Sono solo due delle innumerevoli letture del fenomeno, ma già rendono evidente come sia difficile dare un’interpretazione univoca delle sue cause e delle sue origini. Anselm Kiefer (Donaueschingen, 1945), il più giovane, fin dagli esordi nel 1969 ha
il coraggio di affrontare, con una visione tragica e cupa, la storia del recente passato della Germania, quello del periodo nazionalsocialista, territorio proi-
3 T. Krens, Deutsche
3
4
4
Malerei: Paradox und Paradigma in der Kunst des späten 20. Jahrhunderts, in Neue Figuration. Deutsche Malerei 1960-88, a cura di M. Govan, T. Krens, J. Thompson, catalogo della mostra, 1989 (Düsseldorf; Francoforte),
Monaco 1989.
W. M. Faust e G. de Vries, Hunger nach Bildern Deutsche Malerei der Gegenwart, DuMont, Colonia 1982.
5
W. M. Faust, Der Hunger nach Bildern. Die neue Malerei: Nach-Moderne oder Freier Stil?, in “Kunstforum International”, dicembre 1981-gennaio 1982.
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13
GEORG BASELITZ - “senza titolo IX”, 1986
carboncino su carta, cm 48,3 x 63,3
T. Krens, Deutsche Malerei: Paradox und Paradigma in der Kunst des späten 20. Jahrhunderts, in Neue Figuration. Deutsche Malerei 1960-88, curated by M. Govan, T. Krens, J. Thompson, exhibition catalogue, 1989 (Düsseldorf; Frankfurt),
Munich 1989.
W. M. Faust e G. de Vries, Hunger nach Bildern Deutsche Malerei der Gegenwart, DuMont, Cologne 1982.
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bito e rimosso per un artista tedesco. Tuttavia,
da avido lettore di Rainer Maria Rilke, di
Friedrich Holderlin e di Martin Heidegger, Kiefer
ha una profonda fiducia nella potenza della
poesia. Oltre che naturalmente della pittura: nei
suoi dipinti la tavolozza si trasforma in pietra,
ramo, arcobaleno, confine, fuoco e sangue.
Nell’oscuro magma dei suoi paesaggi si raggrumano legni bruciati o piombi deformati,
pezzi di carta, vetro, catrame, fiori secchi e
paglia, a volte s’inseriscono disegni e memorie
fotografiche, scritte con nomi legati alla tradizione nazionale.
Georg Baselitz (Deutschebaselitz, 1938) è noto
soprattutto per i suoi quadri “capovolti”, realizzati a partire dal 1969: teste, paesaggi, alberi,
figure intere o a mezzo busto, aquile, vasi di
fiori, ragazze in bicicletta. Un repertorio dichiaratamente figurativo, del quale però all’artista
interessa l’esplorazione della materia e della
composizione assai più che la rappresentazione
del soggetto. Un’originale via d’uscita rispetto
alle due esperienze che avevano segnato la sua
formazione: il Realismo Socialista imposto a
Berlino Est e la pittura astratta e informale trionfante all’Ovest. Markus Lüpertz, nato in Boemia
nel 1941, è una personalità ancor più sfaccettata: nel 1964 apre a Berlino la Galleria
Grossgorschen 35 con la mostra della sua “pittura ditirambica”, in seguito pubblica manifesti
e raccolte di poesie e nel 1977 rifiuta di partecipare a Documenta. Tematiche arcaiche e tradizionali, spesso collegate al museo e alla storia dell’arte (da Poussin a Picasso), trovano
espressione in una pittura colta e sincretica, in
una magica fusione di spunti realistici e scatti
dell’immaginazione. Caratteristiche che connotano anche la ricchissima produzione plastica
dell’artista boemo. A. R. Penck, influenzato da
Paul Klee e dai graffiti preistorici, fin dai primi
ted that it was a phenomenon out of sync with
history and in line only with a very German
outlook on the world, and should be treated as
such: partitioned off in its own subjective environment where the painting could serve more
than anything else as a means of inner research and self-representation5. These are but
two of the countless readings of the phenomenon, but they demonstrate just how difficult it is
to give a single interpretation of the causes and
origins of the movement. Anselm Kiefer
(Donaueschingen, 1945), the youngest of the
group, right from his 1969 debut finds the courage to face a dark, tragic moment of
Germany’s recent history, that of the period of
National Socialism, territory then strictly out of
bounds for a German artist. Nevertheless, as
an avid reader of Rainer Maria Rilke, Friedrich
Holderlin and Martin Heidegger, Kiefer has a
profound faith in the power of poetry. And from
there, of course, in the power of painting: in his
works, he makes use of stone, copper, rainbows, borders, fire and blood. In the dark
magma of his landscapes, we find bundles of
burnt wood or deformed lead, pieces of paper,
glass, tar, dry flowers and straw, sometimes
accompanied by drawings and photographic
memories, pieces of writing with names linked
to the national tradition. Georg Baselitz
(Deutschebaselitz, 1938) is known above all for
his “upside-down” paintings, produced since
1969, of heads, landscapes, trees, whole figures or half-lengths, eagles, flowerpots, girls on
bicycles. An overtly representational repertoire,
yet one in which the artist may be seen to
explore the materials and the composition far
more than the representation of the subject
itself. This is an original escape route from the
two main experiences that dominated his development: the Socialist Realism imposed in East
SALOMÉ - “nudo”, 1983
pastelli su carta, cm 90 x 60
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KLAUS KARL MEHRKENS - “senza titolo”, 1999
olio su tela, cm 50 x 70
W. M. Faust, Der Hunger nach Bildern. Die neue Malerei: Nach-Moderne oder Freier Stil?, in “Kunstforum International”, December 1981 – January 1982.
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anni sessanta dipinge energiche figure arcaiche
e segni standardizzati, annunciando l’avvento
della Graffiti Art. Nato a Dresda nel 1939, il suo
vero nome è Ralf Winkler, lo pseudonimo scelto
è quello del geologo Albrecht Penck (18581945), esperto dell’era glaciale. Accanto a una
pittura di crescente spontaneità e intensità,
Penck si è dedicato alla musica jazz (risale al
1979 il suo primo album) ed è autore di scritti
teorici. Inoltre, come Baselitz e Lüpertz, è anche
scultore, avendo esplorato la costruzione di
oggetti tridimensionali fin dai suoi esordi.
Un’originale rilettura dell’astrazione, per approdare a uno stile figurativo, è anche quella
messa in atto da Karl Horst Hödicke e da
Sigmar Polke. Hödicke, nato a Norimberga nel
1938, si trova particolarmente a proprio agio su
tele di dimensioni maestose, nelle quali i personaggi si accampano con forza statuaria. Sono
personaggi eterni, sia nella loro forza primitiva e
al contempo quotidiana (Asphaltierer
(Strassenarbeiter), 1977), sia nel loro fascino
mitico ed eroico. La composizione è semplice e
chiara, anche laddove l’impeto delle pennellate
e le licenze ironiche dell’artista sembrano oltrepassare i limiti. Polke ha resuscitato le pratiche
iconografiche di Picabia, ha utilizzato il retino e
i fumetti come Lichtenstein, ha riprodotto
immagini dai rotocalchi come Warhol, ma in
modo duro e sarcastico. Il suo stile contraddittorio e sperimentale, fra Pop e
Neoespressionismo, lo ha fatto eleggere maestro non solo da giovani tedeschi come Walter
Dahn, ma pure dai giovani americani Julian
Schnabel e David Salle.
Oltre a questi artisti, è d’obbligo ricordare
Gerhard Richter (Dresda, 1932), che rappresentò per molti giovani formatisi negli anni
ottanta e novanta la vera alternativa alla lezione
di Joseph Beuys, peraltro fondamentale - come
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Berlin and the triumphant abstract and nonrepresentational painting in the West. Markus
Lüpertz, born in Bohemia in 1941, is an even
more complex character. In 1964, he opened
the Grossgorschen 35 Gallery in Berlin with an
exhibition of his “ditirambic painting”; he went
on to publish manifestos and poetry collections, and in 1977 refused to take part in
Documenta. Archaic and traditional themes,
often linked to the museum and the history of
art (from Poussin to Picasso), are expressed
through a learned and syncretic painting style,
in a magical mixture of realistic flashes and
leaps of the imagination. These are also the
features that characterise the Bohemian artist’s
wide-ranging modelling production. A. R.
Penck, influenced by Paul Klee and prehistoric
cave drawings, has painted lively archaic figures and standardised symbols ever since the
beginning of the ‘60s, pre-empting the advent
of Graffiti Art. Born in Dresden in 1939, his real
name is Ralf Winkler, a pseudonym taken from
the name of the geologist Albrecht Penck
(1858-1945), expert on the ice age. Alongside
his painting of growing spontaneity and intensity, Penck is also a jazz musician (his first
album was released in 1979) and the author of
many theoretical writings. Furthermore, like
Baselitz and Lüpertz, he is also a sculptor,
having explored the construction of threedimensional objects throughout his career.
An original re-reading of abstraction leading to
a figurative style is also what was done by Karl
Horst Hödicke and Sigmar Polke. Hödicke, born
KLAUS KARL MEHRKENS - “senza titolo”, 2001
olio su tela, cm 70 x 100
KLAUS KARL MEHRKENS - “feuchtwiesen”
olio su tela, cm 120 x 130
in Nurimberg in 1938, is particularly at home with giant-size canvases, in which his eternal figures stand in their mythical and heroic allure, with a statuary strength both primitive and yet commonplace, (Asphaltierer (Strassenarbeiter), 1977). The composition is simple and clear, even where the impetus
of the brushstroke and the ironical licence of the artist seem to overstep the limit. Polke has breathed new life into the iconographic techniques of Picabia,
he has used the net and cartoon strips like Lichtenstein, and he has reproduced images from glossy magazines like Warhol yet in a hard, sarcastic way.
His contradictory and experimental style, suspended between Pop and Neo-expressionism had led him to be chosen as a model not only by young
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si è già accennato - per l’arte del secondo
Novecento. Anche se Richter viene spesso
associato al contesto neoespressionista per il
suo uso della pittura astratta, distesa in grandi
spatolate di colori acidi e contrastanti, è noto
che questo stile risale soltanto ai primi anni
ottanta. Educato a Dresda al più solido realismo
socialista, fuggito all’ovest poco prima della
costruzione del muro, l’artista ha praticato per
anni quello che lui stesso definì “realismo capitalista”, una pittura che ricopiava fotografie
comuni, spesso tratte dai giornali e ingigantite
sulla tela con un ambiguo effetto di sfocatura.
Un brillante allievo di Richter all’Accademia
d’Arte di Düsseldorf sarà Thomas Schütte
(Oldenburg, 1954), attratto dai temi della
memoria e della perdita e dalla possibilità di
costruire dei memoriali nel mondo di oggi.
Interessato anche al teatro contemporaneo
sperimentale e alla scenografia, Schütte ha sviluppato una stretta interazione fra il suo lavoro
bidimensionale (in cui predilige la tecnica dell’acquarello) e quello tridimensionale (che spazia da installazioni quasi architettoniche a preziose sculture in ceramica).
Come si è già detto, le differenze all’interno di
questo generico contenitore denominato
“Neoespressionismo” non devono meravigliare,
anzi, sono un segno di genuinità delle ricerche
artistiche individuali. Basterebbero anche pochi
esempi per dimostrarlo. Se in Francia, negli
stessi anni, hanno avuto fortuna sia il classicismo di Gerard Garouste sia lo stile fumettistico
e surreale di Michel Alberola o di Robert
Combas, nella Transavanguardia italiana si
passa dal michelangiolismo ironico di Sandro
Chia alla dimensione onirica e arcaica di
Mimmo Paladino, mentre salgono alla ribalta
anche Bruno Ceccobelli, Nunzio, Domenico
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Germans like Walter Dahn, but even by young
Americans like Julian Schnabel and David
Salle. As well as these artists, we cannot but
remember Gerhard Richter (Dresden, 1932),
who for many young artists starting out in the
‘80s and ‘90s, represented a valid alternative
to the teachings of Joseph Beuys, a key figure
– as mentioned above – in late 20th century
art. Although Richter is often associated with
the neo-expressionist scene with his use of
abstract painting, laid out in great splurges of
sharp contrasting colour, it is well-known that
this style dates back only to the early ‘80s.
Trained in Dresden immersed in the socialist
realism school before fleeing to the west shortly before the construction of the wall, for many
years the artist produced what he himself defined “capitalist realism”, a form of painting
which imitated common photographs, often
taken from newspapers and enlarged on the
canvas with an ambiguous blurring effect.
One of Richter’s most brilliant students at the
Düsseldorf Art Academy was Thomas Schütte
(Oldenburg, 1954), fascinated by the theme of
memory and the loss of the possibility to construct memorials in today’s world. Interested
also in experimental contemporary theatre and
stage scenery, Schütte developed a close interaction between his two-dimensional work (in
which he makes ample use of water painting
techniques) and three-dimensional (which ranges from almost architectural installations to
delicate ceramic sculptures). As mentioned
earlier, the differences within this catch-all
term known as “neo-expressionism” should
come as no surprise, for if anything they indicate the authenticity of the various forms of
individual artistic research. Suffice to give only
a handful of examples to demonstrate this. In
France during the same period, both Gerard
BERND ZIMMER - “baume”, 1985
olio su carta, cm 65 x 50
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BERND ZIMMER - “monteventano”, 1991
acrilico e su carta, cm 100 x 70
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Bianchi, Giuseppe Gallo, Gianni Dessì e Piero
Pizzi Cannella a Roma, Mimmo Germanà a
Milano e Luigi Mainolfi a Torino, in realtà tutti
più o meno coetanei dei cinque transavanguardisti. E senza dimenticare Anacronisti e Nuovinuovi. In Germania, contemporaneamente ai
Nuovi Selvaggi e in rapporto dialettico con la
loro pittura, si impongono i Nuovi Ordinatori. La
felice definizione, coniata da Giovanni Testori in
riferimento alla pittura di Hermannn Albert e dei
suoi allievi, ben esprime il rigoroso gioco di
equilibri compositivi che governa, nelle loro tele,
la disposizione di oggetti e figure. Come su una
sorta di palcoscenico, regna un senso di assolutezza e di eternità, pur non immune da echi
espressionisti e da una sottile vena di ironia.
Capofila dei Nuovi Ordinatori è appunto
Hermannn Albert (Ansbach, 1937), che dopo
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Garouste’s classicism and the surreal cartoonstrip style of Michel Alberola and Robert
Combas enkoyed great popularity; within the
Italian Transavanguardia movement, works
range from the ironic michelangiolismo of
Sandro Chia and Mimmo Paladino’s dreamlike
and archaic dimension, while various other figures such as Bruno Ceccobelli, Nunzio,
Domenico Bianchi, Giuseppe Gallo, Gianni Dessì
and Piero Pizzi Cannella in Rome, Mimmo
Germanà in Milan and Luigi Mainolfi in Turin
also experience a degree of success, yet all in
actual fact more or less the same age as the
five transavanguardists. Without forgetting the
Anachronists and the nuovi-nuovi. In Germany,
at the same time as the Neue Wilden and in a
dialectic relationship with their painting, we find
the “Nuovi Ordinatori”. This fitting definition,
coined by Giovanni Testori with reference to the
paintings of Hermannn Albert and his pupils,
well describes the careful compositional equilibria exploited, which in their canvases governs
the dispositions of objects and figures. Like on
a sort of stage, a sense of the absolute, of eternity rules supreme, albeit not bereft of expressionist echoes and even a subtle vein of irony.
As mentioned before, the leader of the Nuovi
Ordinatori movement was Hermannn Albert
(Ansbach, 1937), who after spending his childhood and adolescence in Austria has lived between Braunschweig, Milan and Ronzano, in the
province of Arezzo since the ‘80s. The protagonists of his oil paintings and charcoal drawings
are archaic, primordial figures with dense round
forms, majestically sculpted horses, and idealised, well-tempered landscapes. Albert’s enormous faith in painting is rooted in his memories
of the past, which as far as he is concerned –
especially after the end of the ‘70s – means
ancient and renaissance Italian art and its
JIRI GEORG DOKOUPIL - “dispersion auf nessel”
olio su tela, cm 170 x 197
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SIGMAR POLKE - 1979
collage e tecnica mista su cartone telato, cm 60 x 40
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aver trascorso l’infanzia e l’adolescenza in
Austria dagli anni ottanta vive tra Braunschweig,
Milano e Ronzano, in provincia di Arezzo.
Protagonisti dei suoi oli e dei suoi carboncini su
carta, sono figure arcaiche e primordiali dalle
forme dense e rotonde, cavalli scultorei e maestosi, un paesaggio ideale e misurato. La profonda fiducia di Albert nella pittura si accompagna alla memoria del passato, che per lui significa - specie dalla fine degli anni settanta - l’arte antica e rinascimentale italiana e le sue riprese neoclassiche, novecentiste e metafisiche di
inizio Novecento. Il rapporto con l’Italia, che per
Albert inizia nel 1971, è un destino comune ad
altri artisti tedeschi. Si pensi ai soggiorni romani di Hödicke, di Zimmer e di Bernd Koberling
(Berlino, 1938) a Villa Massimo, sede
dell’Accademia Tedesca. Mentre Baselitz, nel
lontano 1965, grazie a una borsa di studio trascorre un periodo di sei mesi a Villa Romana a
Firenze. Soggiorno che sarà determinante per la
sua dipendenza dall’Italia: uno studio a Firenze
nella seconda metà degli anni settanta e, dal
1987, uno studio a Imperia che frequenta ancora oggi. L’esperienza fiorentina a Villa Romana
verrà ripetuta da Lüpertz nel 1970. Infine, la
lezione di Albert all’Accademia di Belle Arti di
Braunschweig segna gli esordi di Klaus Karl
Mehrkens (Brema, 1955) – in seguito trasferitosi stabilmente in Italia -, con dipinti in cui il
binomio figura-edificio si pone nel solco di un
ordine solido e chiuso. Non a caso le sue prime
personali italiane, allestite nel 1986 e nel 1989
allo Studio Cannaviello di Milano, sono presentate da Testori. Presto l’artista trova la sua stra-
neo-classical, 20th-century and metaphysical revivals. Albert’s relationship with Italy
started in 1971, and it was a destiny he
shared with other German artists. Just think
of the time spent in Rome by Hödicke,
Zimmer and Bernd Koberling (Berlin, 1938)
in Villa Massimo, headquarters of the
Accademia Tedesca, or Baselitz, who as far
back as 1965, spent some six months in
Villa Romana in Florence on a study grant.
This period was to prove decisive for his
dependence on Italy: he opened a studio in
Florence in the second half of the ‘70s, and
then in 1987 one in Imperia, which he frequents to this day. The Florentine experience at Villa Romana was to be imitated by
Lüpertz in 1970. Lastly, Albert’s teachings at
the Braunschweig Academy of Fine Arts led
to the debut of Klaus Karl Mehrkens
(Bremen, 1955) – who later moved permanently to Italy – with his paintings in which
the building/figure is placed within a solid,
closed order. It was not by chance that his
first solo exhibitions in Italy, held in 1986
and 1989 at the Studio Cannaviello in Milan,
were presented by Testori. The artist soon
found his means of expression through a
lyrical and melancholic style of painting,
based on the landscape and the male figure. Even when the brushstroke starts to blur,
Mehrkens remains attached both to a carefully constructed form of composition and to
the role of the sign: he highlights details by
accentuating the surroundings, or digs into
the surface with varying degrees of force,
drawing attention to the act of painting itself
and his own touch.
WALTER DAHN - “senza titolo”
tecnica mista su carta, cm 17 x 23,5
da in una pittura lirica e malinconica, incentrata sul paesaggio e sulla figura maschile. La pennellata diviene sfatta e sfumata, ma Mehrkens non rinuncia
né a una composizione attentamente costruita né al ruolo del segno: esalta un dettaglio calcandone i contorni oppure incide la superficie con vari gradi
di forza, richiamando l’attenzione sulla pittura e sul proprio gesto.
Sara Fontana
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GEORG BASELITZ - “senza titolo” 1981
acquarello su carta, cm 61 x 43
Sara Fontana
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CAMILL LEBERER - “senza titolo”, 1996
ferro vetro pittura, cm 105 x 85 x 10
HELMUT MIDDENDORF - “senza titolo”
tecnica mista su carta, cm 29 x 20,5
HELMUT MIDDENDORF - “doppio ritratto”
olio su tela, cm 135 x 110
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KARL HORST HÖDICKE - “strassenarbetter”, 1977
acrilico su tela, cm 190 x 250
KARL HORST HÖDICKE - “senza titolo”, 1983
acrilico su tela, cm 230 x 170
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THOMAS SCHÜTTE - “senza titolo”, 1986
acquarello su carta, cm 140 x 110
HERMANN ALBERT - “haus, olivenzweig”, 1994
olio su tela, cm 120 x 100
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HERMANN ALBERT - “senza titolo”, 1988
carboncino su carta, cm 50 x 65
HERMANN ALBERT - “senza titolo”
carboncino su carta, cm 37 x 49
JOSEPH BEUYS - “senza titolo”, 1981
lastra di rame e nitrato d'argento, cm 59x45
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JÖRG IMMENDORFF - “café D. Gut”, 1983
incisione su linoleum e tempera su carta, cm 114 x 114
MARKUS LÜPERTZ - “senza titolo”
tecnica mista su carta, cm 96 x 126
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SIEGFRIED ANZINGER - “karren mit blauem rad”, 1997
tempera su tela, cm 70 x 80
RAINER FETTING - “jupiter”, 1984
tecnica mista su carta, cm 76,5 x 76,5
SIEGFRIED ANZINGER - 1977
tecnica mista su carta, cm 47 x 63
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BERND KOBERLING - “senza titolo”, 1982
tecnica mista su carta, cm 65 x 86
RAINER FETTING - “figura sdraiata”, 1983
tecnica mista su carta, cm 108 x 143
BERND KOBERLING - “senza titolo”, 1988
tecnica mista su carta, cm 39 x 53
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MARTIN KIPPENBERGER - “disegno per un libro di favole” , 1981
cm 37 x 26
ANSELM KIEFER - “die donauquelle”
acrilico su foto, cm 41 x 53
MARTIN KIPPENBERGER - “disegno per un libro di favole” , 1980
cm 30 x 20,5
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ELENCO ARTISTI
Hermann Albert
Siegfried Anzinger
Georg Baselitz
Joseph Beuys
Walter Dahn
Martin Disler
Jiri Georg Dokoupil
Rainer Fetting
George Grosz
Karl Horst Hödicke
Jörg Immendorff
Camill Leberer
Anselm Kiefer
Martin Kippenberger
Bernd Koberling
Markus Lüpertz
Klaus Karl Mehrkens
Helmut Middendorf
A.R.Penck
Sigmar Polke
Salomé
Thomas Schütte
Bernd Zimmer
Progetto grafico
WELL ADV - Milano
Finito di stampare nel Novembre 2006
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