PEIRCE
I FONDAMENTI SEMIOSICI DELLA
COOPERAZIONE TESTUALE
Il semema (unità di contenuto) è un testo virtuale
e il testo è l'espansione di un semema.
Interpretante, ground, significato, oggetto
“Un segno sta per qualcosa nei confronti dell'idea che
esso produce o modifica... Ciò per cui sta viene
chiamato il suo oggetto (ciò che veicola, il suo
significato) e l'idea a cui dà origine, il suo
interpretante.” (Peirce, 1895)
SEGNO
OGGETTO
significato
IDEA
interpretante
“Un segno, o representamen, è qualcosa che sta per qualcuno in
luogo di qualcosa in qualche rispetto o capacità.
Esso si indirizza a qualcuno, cioè crea nella mente di quella
persona un segno equivalente, o forse un segno più sviluppato.
Il segno che esso crea Io chiamo interpretante del primo segno.
Questo segno sta per qualcosa, il proprio oggetto.
Esso sta per quell'oggetto, non sotto tutti i rispetti, ma in
riferimento a una sorta di idea, che talora ho chiamato il ground
della rappresentazione.” (Peirce, 1897)
SEGNO
REPRESENTAMEN
OGGETTO
sotto un certo aspetto (GROUND)
SEGNO INTERPRETANTE
Appare chiaro che nel secondo testo l'interpretante non è più
una idea ma un secondo segno.
SEGNO
REPRESENTAMEN
OGGETTO
sotto un certo aspetto (GROUND)
SEGNO INTERPRETANTE
=
SEGNO
REPRESENTAMEN
per un altro
SEGNO INTERPRETANTE
Essendo a sua volta un segno, per essere conosciuto l’interpretante richiede
di essere interpretato da un altro interpretante, cioè da un altro segno
Ogni interpretante rinvia a un interpretante successivo,
in una fuga potenzialmente infinita di interpretanti
Ogni nuova interpretazione, che corrisponde allo
stabilirsi di un abito, ossia di un interpretante finale,
rivela qualche aspetto inesplorato dell’oggetto
iniziale e del segno corrispondente, poiché il “segno
è qualcosa attraverso la conoscenza del quale noi
conosciamo qualcosa di più” (Peirce)
Il segno (o representamen) è qualcosa che sta al posto
di qualcos’altro, ovvero per il suo Oggetto.
Ma di tutte le proprietà che si potrebbero predicare
dell’oggetto, ogni segno ne seleziona solo alcune.
Ciò dimostra che il segno (Representamen) sta per
l’Oggetto non sotto ogni aspetto o capacità possibile,
ma solo a partire da una determinata scelta di
pertinenza.
Oggetto dinamico e Oggetto immediato
Ma con il termine Oggetto Peirce intende riferirsi al
referente (lo stato del mondo, la cosa in sé) oppure al
semema (l’unità di contenuto) corrispondente?
Rendendosi conto di questa ambiguità, Peirce distingue tra:
– Oggetto Dinamico, “realmente efficiente, ma non
immediatamente presente” ,
– Oggetto Immediato, che è l’oggetto “così come il segno
lo rappresenta”. È l’effetto nel segno e attraverso di
esso dell’Oggetto Dinamico, di per sé inconoscibile.
L’Oggetto Immediato è il modo in cui l’Oggetto Dinamico
viene focalizzato, e consiste nella somma degli attributi
dell’Oggetto Dinamico resi pertinenti dal Segno.
L’Oggetto Immediato è il modo in cui l’Oggetto Dinamico
viene focalizzato, e consiste nella somma degli attributi
dell’Oggetto Dinamico resi pertinenti dal Segno.
L’Oggetto Immediato è il Ground: “Il pensiero-segno sta
per il suo oggetto nel rispetto che è pensato: cioè questo
rispetto è l’oggetto immediato di coscienza nel pensiero…”
(CP 5.286, 1868)
Il segno (schema rivisto)
Segno 1
Representamen
connota
Oggetto immediato 1
denota
Oggetto dinamico
produce
denota
Interpretante 1
denota
Segno 3
Interpretante 2
connota
Oggetto immediato 2
Segno 2
connota
produce
Oggetto immediato 3
Ground
Per capire meglio il rapporto che si pone tra
representamen (o più generalmente segno),
oggetto,
significato e
interpretante,
dobbiamo esaminare il concetto di ground.
L'oggetto è definito più accuratamente come un correlato del
segno e il terzo elemento della correlazione, insieme
all'interpretante, non è il significato ma il ground. Un segno si
riferisce a un ground "attraverso il suo oggetto, o il carattere
comune di quegli oggetti". A questo punto dobbiamo capire
perché mai il termine ground è stato talora sostituito a
significato e viceversa.
La proposizione "questa stufa è nera" assegna alla parola |stufa| un
"attributo generale". Questo attributo è altrove chiamato
"qualità". Ma una qualità diventa qualcosa di generale quando "vi
riflettiamo su”.
Una qualità è una "idea generale" e un "carattere attribuito”.
Essendo un "attributo generale“ esso è, tra tutti i possibili
attributi generali dell'oggetto, quello che è stato scelto per
mettere a fuoco l'oggetto sotto qualche rispetto.
Il ground è un attributo dell'oggetto in quanto l'oggetto è stato
selezionato in un certo modo e solo alcuni dei suoi attributi sono
stati resi pertinenti in modo da costruire l'Oggetto Immediato del
segno.
Il ground è ciò che può venire compreso e trasmesso di un dato
oggetto sotto un certo profilo: è il contenuto di una espressione e
appare uguale al significato (o a una componente elementare di
esso).
Oggetto Dinamico e Oggetto Immediato
Rimane ora da stabilire in che senso il ground (e il significato)
differiscano dall'interpretante.
L'interpretante è il mezzo per rappresentare, a opera di un altro
segno (|man| uguale a |homme| ), ciò che il representamen
di fatto seleziona di un dato oggetto ( e cioè il suo ground).
La nozione di ground serve a distinguere l'Oggetto Dinamico
(l'oggetto in sé in quanto obbliga il segno a determinarsi alla
sua rappresentazione) dall'Oggetto Immediato, mentre
l'interpretante serve a stabilire la relazione tra representamen
e Oggetto Immediato.
L'Oggetto Immediato è il modo in cui l'Oggetto Dinamico è
focalizzato, questo modo altro non essendo che il ground o
significato.
L'Oggetto Immediato è "l'oggetto come il segno stesso lo
rappresenta e il cui Essere è così dipendente dalla
Rappresentazione che se ne dà nel segno”. L'Oggetto
Dinamico motiva il segno, ma il segno attraverso il ground
istituisce l'Oggetto Immediato, che è una "rappresentazione
mentale“
Quindi, il significato “è la traduzione di un segno in un altro
sistema di segni“ e "il significato di un segno è il segno in cui
esso deve venir tradotto“.
Quindi l'interpretazione attraverso interpretanti è il modo in cui
il ground, come Oggetto Immediato, si manifesta quale
significato.
L'interpretante è certamente "ciò che il Segno produce in quella
Quasi-mente che è l'Interprete“ ma, poiché la presenza
dell'interprete non è essenziale alla definizione
dell'interpretante, quest'ultimo deve essere considerato
"anzitutto" come Interpretante Immediato e cioè come
"l'interpretante quale si rivela nella retta comprensione del
Segno stesso, ed è di solito chiamato il significato del segno".
Dunque, distinti come sono in quanto oggetti formali di diversi
approcci semiotici e in riferimento a diversi punti di vista,
ground, significato e interpretante sono di fatto la stessa cosa.
È impossibile definire il ground se non come significato ed è
impossibile definire alcun significato se non sotto forma di una
serie di interpretanti.
Molti passi confermano questa idea: "per significato di un termine
comprendiamo l'intero interpretante generale inteso“; "sembra
naturale usare il termine significato per denotare
l'interpretante inteso di un simbolo”; "l'Oggetto Immediato
completo, ovvero il significato“.
Peirce, quando dice che nella sua accezione primaria il significato
è la traduzione di un segno in un altro segno, dice anche che,
in un'altra accezione il significato è "una seconda asserzione
da cui tutto ciò che segue dalla prima asserzione ugualmente
segue, e viceversa".
Il che equivale a dire che una asserzione "significa l'altra".
Il significato di una proposizione, così come il suo interpretante,
non esaurisce le possibilità che la proposizione ha di essere
sviluppata in altre proposizioni.
Il significato di una proposizione abbraccia "ogni sua ovvia
necessaria deduzione".
Così il significato è in qualche modo implicitato dalle premesse e,
in termini più generali, è tutto ciò che è semanticamente
implicato da un segno.
Queste posizioni di Peirce diventano il fondamento dell’analisi
testuale semiotica.
Sia pure attraverso un lungo percorso attraverso definizioni
multiple e non di rado confuse (ground, significato, Oggetto
Dinamico, Oggetto Immediato) siamo arrivati a quanto
affermato nella premessa:
“il significato di un termine contiene virtualmente tutti i suoi
possibili sviluppi (o espansioni) testuali”
=
“il semema (unità di contenuto) è un testo virtuale e il testo è
l'espansione di un semema”.
A questo punto la nozione di significato si è fatta molto ampia.
È applicata sia ai singoli termini sia a premesse e argomentazioni.
Si può dire che oltre al significato di un termine singolo (rhema) vi è
anche il significato di una proposizione (dicisegno) e di un
argomento.
La teoria del significato e dell'interpretante non concerne solo gli
argomenti ma anche i singoli termini e, alla luce di tale teoria, il
contenuto di un termine singolo diventa qualcosa molto affine a
una enciclopedia.
Ci sono “simboli che anche da soli si riferiscono ai loro oggetti definendoli
mediante uno o più altri termini”.
“Con Dicisegno intenderò un Segno equivalente a un enunciato grammaticale”.
“Un Dicisegno implica necessariamente, per descrivere il fatto che è interpretato,
un Rema come sua parte […]”.
“Ciò che resta di una Proposizione, eliminato il Soggetto, è un Termine (un rema)
chiamato il suo Predicato”.
Dato il termine |peccatore| il fatto che esso possa essere
interpretato come «miserabile» deve essere preso in
considerazione da una sua analisi componenziale.
Ma vi è di più: il rhema |peccatore| deve implicare tutte le
possibili conseguenze illative che lo riguardano.
Così l'argomento "tutti i peccatori sono miserabili, John è un
peccatore, pertanto John è miserabile" non sarebbe altro che
lo sviluppo naturale delle possibilità contenute nel rhema in
questione — e sarebbe inoltre l'unico modo di rendere
espliciti i suoi interpretanti.
Naturalmente è vero anche l'opposto e ogni argomento altro non
è che una asserzione analitica che delinea gli interpretanti da
assegnare a un dato termine (quindi rhemi e dicisegni
possono essere derivati dagli argomenti).
"Un Rhema è un Segno che, per il suo Interpretante, è il segno di
una Possibilità qualitativa" ed esso identifica un ground.
“La significazione di un termine è tutte le qualità indicate da
esso“.
Ma i termini appaiono come insiemi di marche (o caratteri)
regolati dal principio per cui nota notae est nota rei ipsius .
"Le marche che sono già riconosciute come predicabili del
termine includono l'intera profondità di un altro termine, la
cui includibilità non era ancora nota, aumentando così la
distinzione comprensiva del primo termine”
La profondità di un termine, vale a dire la sua intensione, è la
somma delle marche semantiche che caratterizzano il suo
contenuto. Queste marche sono esattamente quei "caratteri
attribuiti" che venivano chiamati grounds.
Questo insieme di tratti semantici è destinato a crescere con
l'espandersi della nostra conoscenza degli oggetti; il rhema
attrae come un magnete tutti i nuovi tratti che il processo di
conoscenza gli attribuisce: "ogni simbolo è una cosa viva, in
un senso reale che non è mera figura retorica. Il corpo dei
simboli muta lentamente, ma il suo significato cresce
inesorabilmente, incorpora nuovi elementi ed espunge i
vecchi“.
Il termine, diremo allora, è una voce di enciclopedia che contiene
tutti i tratti che acquista nel corso di ogni nuova proposizione.
Ogni rhema è potenzialmente il dicisegno in cui può essere
inserito.
Un termine è un predicato di più argomenti.
Una proposizione è una argomentazione rudimentale, e questo è
il principio base dell'interpretazione, e cioè la ragione per cui
ogni segno produce i propri interpretanti.
Non bisogna dimenticare che per Peirce non è segno
solamente una parola o una immagine, ma una
proposizione e addirittura un intero libro.
La sua concezione di segno è estendibile anche a testi e
pertanto la nozione di interpretante riguarda processi di
traduzione molto più vasti e complessi degli elementari
processi di sinonimia o definizione lessicale elementare.
Potremmo dire che tra gli interpretanti della parola
|bambino| non vi sono solo immagini di bambini o
definizioni tipo "maschio umano non adulto" ma anche,
per esempio, la vicenda della strage degli innocenti.
Possiamo allora capire la portata teorica di affermazioni di Pierce.
Il significato di un termine (rhema) è dato dall’insieme illimitato di
tutte le proposizioni in cui è possibile inserirlo in modo
pertinente.
Allo stesso modo il significato di una proposizione (dicisegno) è
dato dall’insieme di tutte le argomentazioni in cui è possibile
inserirla.
Le novità teoriche sono:
l’illimitatezza del processo di attribuzione del significato, il
significato completo sarà dato dall’insieme illimitato dei “casi”
in cui il segno è usato;
il fondamento pragmatico del significato, il significato di un segno
è derivato dall’uso che ne facciamo.
Un termine è una proposizione rudimentale perché esso è la
forma vuota di una proposizione: “per rhema o predicato
intendiamo una forma preposizionale vuota quale avrebbe
potuto essere derivata cancellando certe parti di una
proposizione, lasciando uno spazio bianco al loro posto, la
parte eliminata essendo tale che se ogni spazio vuoto fosse
riempito con un nome proprio, una proposizione (anche se
priva di senso) ne sarebbe ricomposta”.
Dato il verbo |sposare| esso potrebbe essere rappresentato
come "— sposa — a —". Il che equivale a dire che, per
rappresentare generativamente la natura sintattica di
|sposare| si dovrebbe scrivere “s(x, y, z)”.
La rappresentazione semantica di un termine concerne fenomeni
di implicitazione e di presupposizione semantica.
Peirce dice che hi -< di, “significa che nell'occasione i, se l'idea h è
definitivamente imposta alla mente, allora nella stessa
occasione la idea d è definitivamente imposta alla mente”.
Si potrebbe osservare che il metodo degli spazi vuoti è
applicabile solo ai verbi e predicati che riguardano azioni. E in
realtà nella terminologia aristotelica rhema significa solo
"verbo".
Ma Peirce esplicitamente identifica a più riprese rhema con
termine: “ogni simbolo che può essere il costituente diretto di
una proposizione è detto termine”.
La ragione per la scelta di rhema può essere dovuta al fatto che
Peirce sosteneva che anche i nomi sono verbi reificati.
In ogni caso: “un rhema è ogni segno che non sia né
vero né falso, come quasi ogni parola tranne sì e no”.
Secondo la massima pragmatica (il significato di un concetto sta
nell’insieme suoi effetti concepibili, ovvero nella somma dei suoi
abiti), il significato di “tigre” comprende – oltre alle informazioni più
strettamente dizionariali – tutta una serie di elementi descrittivi e
contestuali (“grande felino asiatico, con manto fulvo a strisce scure,
ventre, lati del muso e gola bianchi; è un feroce predatore”, ecc.)
che ne rendano possibile l’identificazione tipologica, il reperimento
nel mondo dell’esperienza reale e, eventualmente, la sua
rappresentazione (dunque rientrano nella definizione anche
un’illustrazione o la fotografia di un esemplare, la simulazione di un
ruggito, l’atto di mimare l’incedere tigresco, e così via);
inoltre, il significato può essere ulteriormente allargato per includere
tutti i trattati etologici sui comportamenti delle tigri nel loro
ambiente naturale, oppure le analisi degli effetti della cattività su
questi animali, eccetera; infine, una definizione completa dovrebbe
rendere conto dei sensi derivati o secondari del termine (“essere
feroce come una tigre”, “cavalcare la tigre”, “una tigre di carta”,
ecc.) e al limite toccare le sue occorrenze artistiche più o meno note
(dalla Tyger di William Blake alla Shere Khan di Kipling).
Una simile definizione è praticamente impossibile da realizzare
perché, per quanto ci si sforzi di essere esaustivi, rimangono
sempre fuori numerosissime accezioni, usi particolari, esemplari
specifici, ecc., del concetto, il quale oltrettutto è in perenne
evoluzione. E difatti l’esplicitazione della totalità dei suoi sensi
rimane una pura potenzialità, mentre ciascun atto interpretativo
concreto seleziona – in base a una scelta preliminare di pertinenza
– solo i percorsi di senso che appaiono più fecondi in quella
determinata circostanza.
È a questo fenomeno che ci riferiemo quando diciamo che il semema
(o concetto) è un testo virtuale, e che il testo è una espansione di
un semema:
da questo punto di vista, un film come Rocky potrebbe essere visto
come un’espansione del semema “incontro di boxe” (nel senso
che lo sviluppo narrativo rende espliciti alcuni percorsi che erano
già virtualmente presenti nel concetto di partenza), mentre il
semema “carabiniere” racchiude in forma condensata e virtuale
un’infinità di espansioni testuali diverse, tra cui l’intero corpus
delle barzellette sui carabinieri.
Peirce propone un esempio di definizione delle parole
|duro| e |litio|. Pierce dice che "sino a che una pietra
rimane dura ogni tentativo di scalfirla con la pressione
moderata di un coltello sicuramente fallirà. Chiamare la
pietra dura significa predire che, indipendentemente da
quante volte voi tenterete l'esperimento, ogni volta esso
fallirà.”
Per il termine |litio| l'esempio è ancora più convincente:
if you look into a textbook of chemistry for a definition of lithium you
may be told that it is that element whose atomic weight is 7 very
nearly. But if the author has a more logical mind he will tell you that
if you search among minerals that are vitreous, translucent, grey or
white, very hard, brittle, and insoluble, for one which imparts a
crimson tinge to an unluminous flame, this mineral being triturated
with lime or witherite rats-bane, and then fused, can be partly
dissolved in muriatic acid; and if this solution be evaporated, and
the residue be extracted with sulphuric acid, and duly purified, it can
be converted by ordinary methods into a chloride, which being
obtained in the solid state, fused, and electrolyzed with half a dozen
powerful cells will yield a globule of a pinkish silvery metal that will
float on gasolene; and the material of that is a specimen of lithium.
The peculiarity of this definition — or rather this precept that is
more serviceable than a definition — is that it tells you what the
word lithium denotes by prescribing what you are to do in order to
gain a perceptual acquaintance with the object of the world.
Un aspetto della definizione è che essa costituisce, malgrado la sua
apparenza così "enciclopedica", solo una sezione della possibile
informazione intorno al litio. L'Oggetto Immediato stabilito dalla
definizione mette a fuoco l'Oggetto Dinamico corrispondente solo
sotto qualche rispetto, e cioè prende in considerazione solo
l'informazione semantica sufficiente a inserire il termine in un
universo di discorso fisico-chimico.
Invece il modello regolativo di una enciclopedia prevede vari "sensi"
ovvero diverse disgiunzioni possibili di uno spettro semantico
idealmente completo.
Per esempio il litio è un minerale vitreo e translucido che talora appare
come un globulo di metallo rosato argenteo: se l'universo di
discorso fosse stato di tipo favolistico sarebbero stati questi i tratti a
dover essere particolarmente messi a fuoco. Il litio è noto (dicono
altre enciclopedie ) come l'elemento solido più leggero a
temperatura ordinaria e in un altro contesto questo carattere di
leggerezza sarebbe probabilmente fondamentale.
Ogni segno interpreta un altro segno e la condizione basilare
della semiosi è proprio questa condizione di regresso infinito.
In questa prospettiva ogni interpretante di un dato segno,
essendo a propria volta un segno, diventa costruzione
transitoria.
“Ma una serie senza fine di rappresentazioni, ciascuna
rappresentando quella che le sta dietro, può essere concepita
come avente un oggetto assoluto quale suo limite. Il
significato di una rappresentazione non può essere altro che
una rappresentazione.
[…] Infine, l'interpretante non è altro che un'altra
rappresentazione a cui viene affidata la torcia della verità: e
come rappresentazione ha di nuovo il proprio interpretante”.
L’interpretante finale
Rimane da chiederci come mai, nella filosofia di un pensatore che si
vuole realista, ci possa essere regressione semiotica infinita, tale
che l'oggetto che ha determinato il segno non appaia mai
determinato da esso, se non nella forma parziale dell'Oggetto
Immediato.
Come può un segno esprimere l'Oggetto Dinamico che appartiene
al Mondo Esterno dato che "per la natura stessa delle cose" esso
non può esprimerlo?
Come può un segno esprimere l'Oggetto Dinamico ("l'Oggetto tale
quale esso è”) dal momento che esso segno "può solo essere il
segno di quell'oggetto nella misura in cui questo oggetto è in se
stesso della natura di un segno o di un pensiero”?
Come si può correlare un segno a un oggetto dal momento che per
riconoscere un oggetto se ne deve avere avuta una esperienza
precedente e il segno non fornisce nessuna conoscenza o
riconoscimento dell'oggetto?
La risposta è già data alla fine della definizione di |litio|: "la
peculiarità di questa definizione è che essa dice cosa la parola
litio significa col prescrivere cosa bisogna fare per ottenere un
contatto percettivo con l'oggetto della parola“ .
Il significato del segno sta nella classe di azioni intese a suscitare
certi effetti percepibili.
"L'idea di significato è tale da coinvolgere qualche riferimento a un
proposito“ .
E tutto ciò diventa chiaro se si pensa che il cosiddetto realismo di
Peirce deve essere visto nella prospettiva del suo pragmaticismo:
la realtà non è semplice Dato, è piuttosto un Risultato.
Per capire cosa il significato di un segno deve produrre come
Risultato, ecco la nozione di Interpretante Finale.
Un segno, producendo serie di risposte immediate (Interpretante
Energetico) stabilisce a poco a poco una abitudine (habit), una
regolarità di comportamento nel proprio interprete.
Un abito è “una tendenza... ad agire in modo simile in
circostanze simili nel futuro“, e l'Interpretante Finale di un
segno è questa abitudine quale risultato.
Il che vale a dire che capire un segno è imparare cosa occorre
fare per produrre una situazione concreta in cui si possa
ottenere l'esperienza percettiva dell'oggetto a cui il segno si
riferisce.
La categoria di "abitudine" ha un duplice senso, psicologico e
cosmologico. Una abitudine è anche una regolarità
cosmologica, anche le leggi di natura sono il risultato di
abitudini acquisite e “tutte le cose hanno tendenza ad
assumere abitudini”.
Dunque, tornando alla definizione di litio, l'interpretante finale
del termine si arresta alla produzione di una abitudine in due
sensi: producendo l'abitudine umana a intendere il segno
come precetto operativo e producendo l'abitudine
cosmologica per cui ci sarà sempre litio ogni qual volta la
natura agirà in un certo modo.
L'interpretante finale esprime la stessa legge che governa
l'Oggetto Dinamico sia prescrivendo il modo in cui ottenerne
l'esperienza percettiva che descrivendo il modo in cui esso
funziona ed è percepibile.
È vero che i segni non ci danno il contatto con l'oggetto concreto,
perché essi possono solo prescrivere il modo di realizzare
questo contatto. I segni hanno connessione diretta coi loro
Oggetti Dinamici solo in quanto questi oggetti determinano la
produzione del segno; per il resto i segni "conoscono" solo
Oggetti Immediati, e cioè significati (o dati di contenuto).
Ma è chiaro che vi è una differenza tra l'oggetto di cui un segno è
segno e l'oggetto di un segno. Il primo è l'Oggetto Dinamico,
uno stato del mondo esterno, il secondo un costrutto semiotico,
puro oggetto del mondo interno. Salvo che, per descrivere
questo oggetto "interno" bisogna ricorrere agli interpretanti,
cioè ad altri segni assunti come representamen, in modo da aver
una qualche esperienza di altri oggetti del mondo esterno.
L'Oggetto Dinamico è, semioticamente parlando, a nostra
disposizione solo come insieme di interpretanti organizzati. Ma
mentre dal punto di vista semiotico esso è il possibile oggetto di
una esperienza concreta, dal punto di vista ontologico esso è
l'oggetto concreto di una esperienza possibile.
Semiosi illimitata e pragmatica
Si potrebbe dire che, nel fornire l'immagine di una semiosi in cui
ciascuna rappresentazione rimanda a una rappresentazione
successiva, Peirce tradisca il proprio realismo.
Eppure basta pensare non in termini di realismo ontologico ma
di realismo pragmaticistico per rendersi conto che è vero
proprio il contrario, e che la dottrina degli interpretanti e della
semiosi illimitata conduce Peirce al massimo del proprio
realismo non ingenuo. Peirce non è mai interessato negli
oggetti come insieme di proprietà ma come occasioni e
risultati di esperienza attiva. Scoprire un oggetto, lo abbiamo
visto, significa scoprire il modus operandi onde produrlo (o
produrne l'uso pratico).
Dopo aver ricevuto una sequenza di segni il nostro modo di agire
nel mondo ne viene permanentemente o transitoriamente
mutato. Questa nuova attitudine è l'interpretante finale.
A questo punto la semiosi illimitata si arresta, Io scambio dei
segni ha prodotto modificazioni dell'esperienza, l'anello
mancante tra semiosi e realtà fisica è stato finalmente
identificato.
La teoria degli interpretanti non è idealistica.
Siccome anche la natura ha abitudini, e cioè leggi e regolarità —
"i principi generali sono realmente operativi in natura“ — il
significato ultimo (o interpretante finale) di un segno va
concepito come la regola generale che permette di produrre o
verificare questa abitudine cosmologica.
La definizione dell’abitudine è insieme la regola fisica che
governa la produzione di litio e la disposizione che dobbiamo
acquisire per produrre occasioni della sua esperienza da parte
nostra.
L'obiettività di questa legge è data dal fatto che è controllabile
intersoggettivamente.
Qui sta l'opposizione tra il pragmatismo
di James e il pragmaticismo di Peirce:
non è vero ciò che riesce all'azione
pratica ma riesce all'azione pratica
ciò che è vero.
Ci sono tendenze generali
(regolarità cosmologiche) e ci sono
regole operative che ci permettono
di verificarle.
L'interpretante finale non è finale in senso cronologico. La semiosi
muore in ogni momento, ma come muore risorge dalle proprie
ceneri.
"Ma come potrebbe un'abitudine essere descritta se non
attraverso la descrizione del tipo di azione a cui dà origine, con
la specificazione delle condizioni e del motivo?"
Così l'azione ripetuta che risponde a un dato segno diventa a
propria volta un nuovo segno, il representamen di una legge che
interpreta il primo segno e dà origine a un nuovo e infinito
processo di interpretazione.
Se io odo un suono in una lingua ignota e realizzo che, ogni volta
che un parlante lo emette, il suo interlocutore reagisce con una
espressione di rabbia, posso legittimamente inferire dalla
risposta comportamentale che il suono ha un significato
sgradevole, e così il comportamento dell'interlocutore diventa
un interpretante del significato della parola.
Direzioni per una pragmatica del testo
Nella vicenda degli interpretanti l'intera vita quotidiana appare come un
reticolo testuale in cui i motivi e le azioni, le espressioni emesse a fini
palesemente comunicativi così come le azioni che esse provocano,
diventano elementi di un tessuto semiosico in cui qualsiasi cosa
interpreta qualsiasi altra.
Non vi è termine-proposizione-argomento che non significhi i testi
possibili in cui potrà o potrebbe essere immesso.
E tuttavia, rispetto a questa ricchezza di implicitazioni il lavoro di
interpretazione impone la scelta di limiti, la delimitazione di direzioni
interpretative e dunque la progettazione di universi di discorso.
Ed è chiaro, a questo punto, che quello che Peirce chiama universo di
discorso rappresenta il formato ad hoc che dobbiamo fare assumere
alla enciclopedia potenziale (sistema semantico globale) per poterla
usare. L'enciclopedia viene di continuo attivata e ridotta, la semiosi
illimitata si imbriglia da sé proprio per poter sopravvivere e diventar
maneggiabile.
Le decisioni pragmatiche (in senso contemporaneo) dell'interprete
fanno per così dire maturare giudiziosamente la ricchezza delle
implicazioni che ogni porzione testuale, dai termini agli
argomenti, contiene.
Potremmo interpretare Peirce dicendo che, dato quel macro-segno
che è Il rosso e il nero di Stendhal, l'intero romanzo può essere
visto come l'interpretazione della proposizione "Napoleone è
morto il 5 maggio 1821". Realizzare pienamente il dramma di un
giovane francese dell'età della Restaurazione, diviso tra i sogni
di una gloria perduta e la banalità del presente, significa
realizzare che Napoleone è morto irreversibilmente in quella
data e che Napoleone è enciclopedicamente un gancio per
appendervi infinite descrizioni definite ("l'autore del Codice
Napoleonico", "il sistematore europeo degli ideali della
Rivoluzione Francese", "il portatore di un nuovo concetto di
gloria", e così via).
Il rosso e il nero è un interpretante della proposizione sopra citata
non solo a causa dell'abbondanza di riferimenti concreti alla
Francia post-napoleonica ma anche a causa sia dei giudizi che
costruiscono le sue macropoposizioni, sia della vicenda
frustrata di Julien che è parabola di un sogno bonapartista in
ritardo.
Tanto che per sapere cosa abbia significato per una intera
generazione la scomparsa di Napoleone noi siamo soliti
ricorrere, forse più che a volumi di corretta storiografia, a libri
come Il rosso e il nero.
Segno che questi termini "interpretano" (ovvero forniscono tutte
le conseguenze illative di) un fatto, espresso da una
proposizione, meglio di altre interpretazioni che pure di quella
proposizione vogliono trarre alla luce tutto il significato.
Ma leggere in tal modo il romanzo di Stendhal significa aver
scelto, sull'onda di motivazioni varie, l'universo di discorso che
l'interprete giudicava pertinente. Si fosse mutato questo
universo, la lettura del romanzo avrebbe portato ad altre
interpretazioni (per esempio, e il titolo lo permette: ideale
religioso contro ideale laico).
In ogni caso, assunto come segno, il libro diventa a sua volta un
precetto: l'ordine delle sue interpretazioni costituisce anche
l'ordine delle operazioni che esso suggerisce per attingere un
qualche Oggetto Dinamico.
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Peirce: i fondamenti semiosici della cooperazione testuale