PEIRCE I FONDAMENTI SEMIOSICI DELLA COOPERAZIONE TESTUALE Il semema (unità di contenuto) è un testo virtuale e il testo è l'espansione di un semema. Interpretante, ground, significato, oggetto “Un segno sta per qualcosa nei confronti dell'idea che esso produce o modifica... Ciò per cui sta viene chiamato il suo oggetto (ciò che veicola, il suo significato) e l'idea a cui dà origine, il suo interpretante.” (Peirce, 1895) SEGNO OGGETTO significato IDEA interpretante “Un segno, o representamen, è qualcosa che sta per qualcuno in luogo di qualcosa in qualche rispetto o capacità. Esso si indirizza a qualcuno, cioè crea nella mente di quella persona un segno equivalente, o forse un segno più sviluppato. Il segno che esso crea Io chiamo interpretante del primo segno. Questo segno sta per qualcosa, il proprio oggetto. Esso sta per quell'oggetto, non sotto tutti i rispetti, ma in riferimento a una sorta di idea, che talora ho chiamato il ground della rappresentazione.” (Peirce, 1897) SEGNO REPRESENTAMEN OGGETTO sotto un certo aspetto (GROUND) SEGNO INTERPRETANTE Appare chiaro che nel secondo testo l'interpretante non è più una idea ma un secondo segno. SEGNO REPRESENTAMEN OGGETTO sotto un certo aspetto (GROUND) SEGNO INTERPRETANTE = SEGNO REPRESENTAMEN per un altro SEGNO INTERPRETANTE Essendo a sua volta un segno, per essere conosciuto l’interpretante richiede di essere interpretato da un altro interpretante, cioè da un altro segno Ogni interpretante rinvia a un interpretante successivo, in una fuga potenzialmente infinita di interpretanti Ogni nuova interpretazione, che corrisponde allo stabilirsi di un abito, ossia di un interpretante finale, rivela qualche aspetto inesplorato dell’oggetto iniziale e del segno corrispondente, poiché il “segno è qualcosa attraverso la conoscenza del quale noi conosciamo qualcosa di più” (Peirce) Il segno (o representamen) è qualcosa che sta al posto di qualcos’altro, ovvero per il suo Oggetto. Ma di tutte le proprietà che si potrebbero predicare dell’oggetto, ogni segno ne seleziona solo alcune. Ciò dimostra che il segno (Representamen) sta per l’Oggetto non sotto ogni aspetto o capacità possibile, ma solo a partire da una determinata scelta di pertinenza. Oggetto dinamico e Oggetto immediato Ma con il termine Oggetto Peirce intende riferirsi al referente (lo stato del mondo, la cosa in sé) oppure al semema (l’unità di contenuto) corrispondente? Rendendosi conto di questa ambiguità, Peirce distingue tra: – Oggetto Dinamico, “realmente efficiente, ma non immediatamente presente” , – Oggetto Immediato, che è l’oggetto “così come il segno lo rappresenta”. È l’effetto nel segno e attraverso di esso dell’Oggetto Dinamico, di per sé inconoscibile. L’Oggetto Immediato è il modo in cui l’Oggetto Dinamico viene focalizzato, e consiste nella somma degli attributi dell’Oggetto Dinamico resi pertinenti dal Segno. L’Oggetto Immediato è il modo in cui l’Oggetto Dinamico viene focalizzato, e consiste nella somma degli attributi dell’Oggetto Dinamico resi pertinenti dal Segno. L’Oggetto Immediato è il Ground: “Il pensiero-segno sta per il suo oggetto nel rispetto che è pensato: cioè questo rispetto è l’oggetto immediato di coscienza nel pensiero…” (CP 5.286, 1868) Il segno (schema rivisto) Segno 1 Representamen connota Oggetto immediato 1 denota Oggetto dinamico produce denota Interpretante 1 denota Segno 3 Interpretante 2 connota Oggetto immediato 2 Segno 2 connota produce Oggetto immediato 3 Ground Per capire meglio il rapporto che si pone tra representamen (o più generalmente segno), oggetto, significato e interpretante, dobbiamo esaminare il concetto di ground. L'oggetto è definito più accuratamente come un correlato del segno e il terzo elemento della correlazione, insieme all'interpretante, non è il significato ma il ground. Un segno si riferisce a un ground "attraverso il suo oggetto, o il carattere comune di quegli oggetti". A questo punto dobbiamo capire perché mai il termine ground è stato talora sostituito a significato e viceversa. La proposizione "questa stufa è nera" assegna alla parola |stufa| un "attributo generale". Questo attributo è altrove chiamato "qualità". Ma una qualità diventa qualcosa di generale quando "vi riflettiamo su”. Una qualità è una "idea generale" e un "carattere attribuito”. Essendo un "attributo generale“ esso è, tra tutti i possibili attributi generali dell'oggetto, quello che è stato scelto per mettere a fuoco l'oggetto sotto qualche rispetto. Il ground è un attributo dell'oggetto in quanto l'oggetto è stato selezionato in un certo modo e solo alcuni dei suoi attributi sono stati resi pertinenti in modo da costruire l'Oggetto Immediato del segno. Il ground è ciò che può venire compreso e trasmesso di un dato oggetto sotto un certo profilo: è il contenuto di una espressione e appare uguale al significato (o a una componente elementare di esso). Oggetto Dinamico e Oggetto Immediato Rimane ora da stabilire in che senso il ground (e il significato) differiscano dall'interpretante. L'interpretante è il mezzo per rappresentare, a opera di un altro segno (|man| uguale a |homme| ), ciò che il representamen di fatto seleziona di un dato oggetto ( e cioè il suo ground). La nozione di ground serve a distinguere l'Oggetto Dinamico (l'oggetto in sé in quanto obbliga il segno a determinarsi alla sua rappresentazione) dall'Oggetto Immediato, mentre l'interpretante serve a stabilire la relazione tra representamen e Oggetto Immediato. L'Oggetto Immediato è il modo in cui l'Oggetto Dinamico è focalizzato, questo modo altro non essendo che il ground o significato. L'Oggetto Immediato è "l'oggetto come il segno stesso lo rappresenta e il cui Essere è così dipendente dalla Rappresentazione che se ne dà nel segno”. L'Oggetto Dinamico motiva il segno, ma il segno attraverso il ground istituisce l'Oggetto Immediato, che è una "rappresentazione mentale“ Quindi, il significato “è la traduzione di un segno in un altro sistema di segni“ e "il significato di un segno è il segno in cui esso deve venir tradotto“. Quindi l'interpretazione attraverso interpretanti è il modo in cui il ground, come Oggetto Immediato, si manifesta quale significato. L'interpretante è certamente "ciò che il Segno produce in quella Quasi-mente che è l'Interprete“ ma, poiché la presenza dell'interprete non è essenziale alla definizione dell'interpretante, quest'ultimo deve essere considerato "anzitutto" come Interpretante Immediato e cioè come "l'interpretante quale si rivela nella retta comprensione del Segno stesso, ed è di solito chiamato il significato del segno". Dunque, distinti come sono in quanto oggetti formali di diversi approcci semiotici e in riferimento a diversi punti di vista, ground, significato e interpretante sono di fatto la stessa cosa. È impossibile definire il ground se non come significato ed è impossibile definire alcun significato se non sotto forma di una serie di interpretanti. Molti passi confermano questa idea: "per significato di un termine comprendiamo l'intero interpretante generale inteso“; "sembra naturale usare il termine significato per denotare l'interpretante inteso di un simbolo”; "l'Oggetto Immediato completo, ovvero il significato“. Peirce, quando dice che nella sua accezione primaria il significato è la traduzione di un segno in un altro segno, dice anche che, in un'altra accezione il significato è "una seconda asserzione da cui tutto ciò che segue dalla prima asserzione ugualmente segue, e viceversa". Il che equivale a dire che una asserzione "significa l'altra". Il significato di una proposizione, così come il suo interpretante, non esaurisce le possibilità che la proposizione ha di essere sviluppata in altre proposizioni. Il significato di una proposizione abbraccia "ogni sua ovvia necessaria deduzione". Così il significato è in qualche modo implicitato dalle premesse e, in termini più generali, è tutto ciò che è semanticamente implicato da un segno. Queste posizioni di Peirce diventano il fondamento dell’analisi testuale semiotica. Sia pure attraverso un lungo percorso attraverso definizioni multiple e non di rado confuse (ground, significato, Oggetto Dinamico, Oggetto Immediato) siamo arrivati a quanto affermato nella premessa: “il significato di un termine contiene virtualmente tutti i suoi possibili sviluppi (o espansioni) testuali” = “il semema (unità di contenuto) è un testo virtuale e il testo è l'espansione di un semema”. A questo punto la nozione di significato si è fatta molto ampia. È applicata sia ai singoli termini sia a premesse e argomentazioni. Si può dire che oltre al significato di un termine singolo (rhema) vi è anche il significato di una proposizione (dicisegno) e di un argomento. La teoria del significato e dell'interpretante non concerne solo gli argomenti ma anche i singoli termini e, alla luce di tale teoria, il contenuto di un termine singolo diventa qualcosa molto affine a una enciclopedia. Ci sono “simboli che anche da soli si riferiscono ai loro oggetti definendoli mediante uno o più altri termini”. “Con Dicisegno intenderò un Segno equivalente a un enunciato grammaticale”. “Un Dicisegno implica necessariamente, per descrivere il fatto che è interpretato, un Rema come sua parte […]”. “Ciò che resta di una Proposizione, eliminato il Soggetto, è un Termine (un rema) chiamato il suo Predicato”. Dato il termine |peccatore| il fatto che esso possa essere interpretato come «miserabile» deve essere preso in considerazione da una sua analisi componenziale. Ma vi è di più: il rhema |peccatore| deve implicare tutte le possibili conseguenze illative che lo riguardano. Così l'argomento "tutti i peccatori sono miserabili, John è un peccatore, pertanto John è miserabile" non sarebbe altro che lo sviluppo naturale delle possibilità contenute nel rhema in questione — e sarebbe inoltre l'unico modo di rendere espliciti i suoi interpretanti. Naturalmente è vero anche l'opposto e ogni argomento altro non è che una asserzione analitica che delinea gli interpretanti da assegnare a un dato termine (quindi rhemi e dicisegni possono essere derivati dagli argomenti). "Un Rhema è un Segno che, per il suo Interpretante, è il segno di una Possibilità qualitativa" ed esso identifica un ground. “La significazione di un termine è tutte le qualità indicate da esso“. Ma i termini appaiono come insiemi di marche (o caratteri) regolati dal principio per cui nota notae est nota rei ipsius . "Le marche che sono già riconosciute come predicabili del termine includono l'intera profondità di un altro termine, la cui includibilità non era ancora nota, aumentando così la distinzione comprensiva del primo termine” La profondità di un termine, vale a dire la sua intensione, è la somma delle marche semantiche che caratterizzano il suo contenuto. Queste marche sono esattamente quei "caratteri attribuiti" che venivano chiamati grounds. Questo insieme di tratti semantici è destinato a crescere con l'espandersi della nostra conoscenza degli oggetti; il rhema attrae come un magnete tutti i nuovi tratti che il processo di conoscenza gli attribuisce: "ogni simbolo è una cosa viva, in un senso reale che non è mera figura retorica. Il corpo dei simboli muta lentamente, ma il suo significato cresce inesorabilmente, incorpora nuovi elementi ed espunge i vecchi“. Il termine, diremo allora, è una voce di enciclopedia che contiene tutti i tratti che acquista nel corso di ogni nuova proposizione. Ogni rhema è potenzialmente il dicisegno in cui può essere inserito. Un termine è un predicato di più argomenti. Una proposizione è una argomentazione rudimentale, e questo è il principio base dell'interpretazione, e cioè la ragione per cui ogni segno produce i propri interpretanti. Non bisogna dimenticare che per Peirce non è segno solamente una parola o una immagine, ma una proposizione e addirittura un intero libro. La sua concezione di segno è estendibile anche a testi e pertanto la nozione di interpretante riguarda processi di traduzione molto più vasti e complessi degli elementari processi di sinonimia o definizione lessicale elementare. Potremmo dire che tra gli interpretanti della parola |bambino| non vi sono solo immagini di bambini o definizioni tipo "maschio umano non adulto" ma anche, per esempio, la vicenda della strage degli innocenti. Possiamo allora capire la portata teorica di affermazioni di Pierce. Il significato di un termine (rhema) è dato dall’insieme illimitato di tutte le proposizioni in cui è possibile inserirlo in modo pertinente. Allo stesso modo il significato di una proposizione (dicisegno) è dato dall’insieme di tutte le argomentazioni in cui è possibile inserirla. Le novità teoriche sono: l’illimitatezza del processo di attribuzione del significato, il significato completo sarà dato dall’insieme illimitato dei “casi” in cui il segno è usato; il fondamento pragmatico del significato, il significato di un segno è derivato dall’uso che ne facciamo. Un termine è una proposizione rudimentale perché esso è la forma vuota di una proposizione: “per rhema o predicato intendiamo una forma preposizionale vuota quale avrebbe potuto essere derivata cancellando certe parti di una proposizione, lasciando uno spazio bianco al loro posto, la parte eliminata essendo tale che se ogni spazio vuoto fosse riempito con un nome proprio, una proposizione (anche se priva di senso) ne sarebbe ricomposta”. Dato il verbo |sposare| esso potrebbe essere rappresentato come "— sposa — a —". Il che equivale a dire che, per rappresentare generativamente la natura sintattica di |sposare| si dovrebbe scrivere “s(x, y, z)”. La rappresentazione semantica di un termine concerne fenomeni di implicitazione e di presupposizione semantica. Peirce dice che hi -< di, “significa che nell'occasione i, se l'idea h è definitivamente imposta alla mente, allora nella stessa occasione la idea d è definitivamente imposta alla mente”. Si potrebbe osservare che il metodo degli spazi vuoti è applicabile solo ai verbi e predicati che riguardano azioni. E in realtà nella terminologia aristotelica rhema significa solo "verbo". Ma Peirce esplicitamente identifica a più riprese rhema con termine: “ogni simbolo che può essere il costituente diretto di una proposizione è detto termine”. La ragione per la scelta di rhema può essere dovuta al fatto che Peirce sosteneva che anche i nomi sono verbi reificati. In ogni caso: “un rhema è ogni segno che non sia né vero né falso, come quasi ogni parola tranne sì e no”. Secondo la massima pragmatica (il significato di un concetto sta nell’insieme suoi effetti concepibili, ovvero nella somma dei suoi abiti), il significato di “tigre” comprende – oltre alle informazioni più strettamente dizionariali – tutta una serie di elementi descrittivi e contestuali (“grande felino asiatico, con manto fulvo a strisce scure, ventre, lati del muso e gola bianchi; è un feroce predatore”, ecc.) che ne rendano possibile l’identificazione tipologica, il reperimento nel mondo dell’esperienza reale e, eventualmente, la sua rappresentazione (dunque rientrano nella definizione anche un’illustrazione o la fotografia di un esemplare, la simulazione di un ruggito, l’atto di mimare l’incedere tigresco, e così via); inoltre, il significato può essere ulteriormente allargato per includere tutti i trattati etologici sui comportamenti delle tigri nel loro ambiente naturale, oppure le analisi degli effetti della cattività su questi animali, eccetera; infine, una definizione completa dovrebbe rendere conto dei sensi derivati o secondari del termine (“essere feroce come una tigre”, “cavalcare la tigre”, “una tigre di carta”, ecc.) e al limite toccare le sue occorrenze artistiche più o meno note (dalla Tyger di William Blake alla Shere Khan di Kipling). Una simile definizione è praticamente impossibile da realizzare perché, per quanto ci si sforzi di essere esaustivi, rimangono sempre fuori numerosissime accezioni, usi particolari, esemplari specifici, ecc., del concetto, il quale oltrettutto è in perenne evoluzione. E difatti l’esplicitazione della totalità dei suoi sensi rimane una pura potenzialità, mentre ciascun atto interpretativo concreto seleziona – in base a una scelta preliminare di pertinenza – solo i percorsi di senso che appaiono più fecondi in quella determinata circostanza. È a questo fenomeno che ci riferiemo quando diciamo che il semema (o concetto) è un testo virtuale, e che il testo è una espansione di un semema: da questo punto di vista, un film come Rocky potrebbe essere visto come un’espansione del semema “incontro di boxe” (nel senso che lo sviluppo narrativo rende espliciti alcuni percorsi che erano già virtualmente presenti nel concetto di partenza), mentre il semema “carabiniere” racchiude in forma condensata e virtuale un’infinità di espansioni testuali diverse, tra cui l’intero corpus delle barzellette sui carabinieri. Peirce propone un esempio di definizione delle parole |duro| e |litio|. Pierce dice che "sino a che una pietra rimane dura ogni tentativo di scalfirla con la pressione moderata di un coltello sicuramente fallirà. Chiamare la pietra dura significa predire che, indipendentemente da quante volte voi tenterete l'esperimento, ogni volta esso fallirà.” Per il termine |litio| l'esempio è ancora più convincente: if you look into a textbook of chemistry for a definition of lithium you may be told that it is that element whose atomic weight is 7 very nearly. But if the author has a more logical mind he will tell you that if you search among minerals that are vitreous, translucent, grey or white, very hard, brittle, and insoluble, for one which imparts a crimson tinge to an unluminous flame, this mineral being triturated with lime or witherite rats-bane, and then fused, can be partly dissolved in muriatic acid; and if this solution be evaporated, and the residue be extracted with sulphuric acid, and duly purified, it can be converted by ordinary methods into a chloride, which being obtained in the solid state, fused, and electrolyzed with half a dozen powerful cells will yield a globule of a pinkish silvery metal that will float on gasolene; and the material of that is a specimen of lithium. The peculiarity of this definition — or rather this precept that is more serviceable than a definition — is that it tells you what the word lithium denotes by prescribing what you are to do in order to gain a perceptual acquaintance with the object of the world. Un aspetto della definizione è che essa costituisce, malgrado la sua apparenza così "enciclopedica", solo una sezione della possibile informazione intorno al litio. L'Oggetto Immediato stabilito dalla definizione mette a fuoco l'Oggetto Dinamico corrispondente solo sotto qualche rispetto, e cioè prende in considerazione solo l'informazione semantica sufficiente a inserire il termine in un universo di discorso fisico-chimico. Invece il modello regolativo di una enciclopedia prevede vari "sensi" ovvero diverse disgiunzioni possibili di uno spettro semantico idealmente completo. Per esempio il litio è un minerale vitreo e translucido che talora appare come un globulo di metallo rosato argenteo: se l'universo di discorso fosse stato di tipo favolistico sarebbero stati questi i tratti a dover essere particolarmente messi a fuoco. Il litio è noto (dicono altre enciclopedie ) come l'elemento solido più leggero a temperatura ordinaria e in un altro contesto questo carattere di leggerezza sarebbe probabilmente fondamentale. Ogni segno interpreta un altro segno e la condizione basilare della semiosi è proprio questa condizione di regresso infinito. In questa prospettiva ogni interpretante di un dato segno, essendo a propria volta un segno, diventa costruzione transitoria. “Ma una serie senza fine di rappresentazioni, ciascuna rappresentando quella che le sta dietro, può essere concepita come avente un oggetto assoluto quale suo limite. Il significato di una rappresentazione non può essere altro che una rappresentazione. […] Infine, l'interpretante non è altro che un'altra rappresentazione a cui viene affidata la torcia della verità: e come rappresentazione ha di nuovo il proprio interpretante”. L’interpretante finale Rimane da chiederci come mai, nella filosofia di un pensatore che si vuole realista, ci possa essere regressione semiotica infinita, tale che l'oggetto che ha determinato il segno non appaia mai determinato da esso, se non nella forma parziale dell'Oggetto Immediato. Come può un segno esprimere l'Oggetto Dinamico che appartiene al Mondo Esterno dato che "per la natura stessa delle cose" esso non può esprimerlo? Come può un segno esprimere l'Oggetto Dinamico ("l'Oggetto tale quale esso è”) dal momento che esso segno "può solo essere il segno di quell'oggetto nella misura in cui questo oggetto è in se stesso della natura di un segno o di un pensiero”? Come si può correlare un segno a un oggetto dal momento che per riconoscere un oggetto se ne deve avere avuta una esperienza precedente e il segno non fornisce nessuna conoscenza o riconoscimento dell'oggetto? La risposta è già data alla fine della definizione di |litio|: "la peculiarità di questa definizione è che essa dice cosa la parola litio significa col prescrivere cosa bisogna fare per ottenere un contatto percettivo con l'oggetto della parola“ . Il significato del segno sta nella classe di azioni intese a suscitare certi effetti percepibili. "L'idea di significato è tale da coinvolgere qualche riferimento a un proposito“ . E tutto ciò diventa chiaro se si pensa che il cosiddetto realismo di Peirce deve essere visto nella prospettiva del suo pragmaticismo: la realtà non è semplice Dato, è piuttosto un Risultato. Per capire cosa il significato di un segno deve produrre come Risultato, ecco la nozione di Interpretante Finale. Un segno, producendo serie di risposte immediate (Interpretante Energetico) stabilisce a poco a poco una abitudine (habit), una regolarità di comportamento nel proprio interprete. Un abito è “una tendenza... ad agire in modo simile in circostanze simili nel futuro“, e l'Interpretante Finale di un segno è questa abitudine quale risultato. Il che vale a dire che capire un segno è imparare cosa occorre fare per produrre una situazione concreta in cui si possa ottenere l'esperienza percettiva dell'oggetto a cui il segno si riferisce. La categoria di "abitudine" ha un duplice senso, psicologico e cosmologico. Una abitudine è anche una regolarità cosmologica, anche le leggi di natura sono il risultato di abitudini acquisite e “tutte le cose hanno tendenza ad assumere abitudini”. Dunque, tornando alla definizione di litio, l'interpretante finale del termine si arresta alla produzione di una abitudine in due sensi: producendo l'abitudine umana a intendere il segno come precetto operativo e producendo l'abitudine cosmologica per cui ci sarà sempre litio ogni qual volta la natura agirà in un certo modo. L'interpretante finale esprime la stessa legge che governa l'Oggetto Dinamico sia prescrivendo il modo in cui ottenerne l'esperienza percettiva che descrivendo il modo in cui esso funziona ed è percepibile. È vero che i segni non ci danno il contatto con l'oggetto concreto, perché essi possono solo prescrivere il modo di realizzare questo contatto. I segni hanno connessione diretta coi loro Oggetti Dinamici solo in quanto questi oggetti determinano la produzione del segno; per il resto i segni "conoscono" solo Oggetti Immediati, e cioè significati (o dati di contenuto). Ma è chiaro che vi è una differenza tra l'oggetto di cui un segno è segno e l'oggetto di un segno. Il primo è l'Oggetto Dinamico, uno stato del mondo esterno, il secondo un costrutto semiotico, puro oggetto del mondo interno. Salvo che, per descrivere questo oggetto "interno" bisogna ricorrere agli interpretanti, cioè ad altri segni assunti come representamen, in modo da aver una qualche esperienza di altri oggetti del mondo esterno. L'Oggetto Dinamico è, semioticamente parlando, a nostra disposizione solo come insieme di interpretanti organizzati. Ma mentre dal punto di vista semiotico esso è il possibile oggetto di una esperienza concreta, dal punto di vista ontologico esso è l'oggetto concreto di una esperienza possibile. Semiosi illimitata e pragmatica Si potrebbe dire che, nel fornire l'immagine di una semiosi in cui ciascuna rappresentazione rimanda a una rappresentazione successiva, Peirce tradisca il proprio realismo. Eppure basta pensare non in termini di realismo ontologico ma di realismo pragmaticistico per rendersi conto che è vero proprio il contrario, e che la dottrina degli interpretanti e della semiosi illimitata conduce Peirce al massimo del proprio realismo non ingenuo. Peirce non è mai interessato negli oggetti come insieme di proprietà ma come occasioni e risultati di esperienza attiva. Scoprire un oggetto, lo abbiamo visto, significa scoprire il modus operandi onde produrlo (o produrne l'uso pratico). Dopo aver ricevuto una sequenza di segni il nostro modo di agire nel mondo ne viene permanentemente o transitoriamente mutato. Questa nuova attitudine è l'interpretante finale. A questo punto la semiosi illimitata si arresta, Io scambio dei segni ha prodotto modificazioni dell'esperienza, l'anello mancante tra semiosi e realtà fisica è stato finalmente identificato. La teoria degli interpretanti non è idealistica. Siccome anche la natura ha abitudini, e cioè leggi e regolarità — "i principi generali sono realmente operativi in natura“ — il significato ultimo (o interpretante finale) di un segno va concepito come la regola generale che permette di produrre o verificare questa abitudine cosmologica. La definizione dell’abitudine è insieme la regola fisica che governa la produzione di litio e la disposizione che dobbiamo acquisire per produrre occasioni della sua esperienza da parte nostra. L'obiettività di questa legge è data dal fatto che è controllabile intersoggettivamente. Qui sta l'opposizione tra il pragmatismo di James e il pragmaticismo di Peirce: non è vero ciò che riesce all'azione pratica ma riesce all'azione pratica ciò che è vero. Ci sono tendenze generali (regolarità cosmologiche) e ci sono regole operative che ci permettono di verificarle. L'interpretante finale non è finale in senso cronologico. La semiosi muore in ogni momento, ma come muore risorge dalle proprie ceneri. "Ma come potrebbe un'abitudine essere descritta se non attraverso la descrizione del tipo di azione a cui dà origine, con la specificazione delle condizioni e del motivo?" Così l'azione ripetuta che risponde a un dato segno diventa a propria volta un nuovo segno, il representamen di una legge che interpreta il primo segno e dà origine a un nuovo e infinito processo di interpretazione. Se io odo un suono in una lingua ignota e realizzo che, ogni volta che un parlante lo emette, il suo interlocutore reagisce con una espressione di rabbia, posso legittimamente inferire dalla risposta comportamentale che il suono ha un significato sgradevole, e così il comportamento dell'interlocutore diventa un interpretante del significato della parola. Direzioni per una pragmatica del testo Nella vicenda degli interpretanti l'intera vita quotidiana appare come un reticolo testuale in cui i motivi e le azioni, le espressioni emesse a fini palesemente comunicativi così come le azioni che esse provocano, diventano elementi di un tessuto semiosico in cui qualsiasi cosa interpreta qualsiasi altra. Non vi è termine-proposizione-argomento che non significhi i testi possibili in cui potrà o potrebbe essere immesso. E tuttavia, rispetto a questa ricchezza di implicitazioni il lavoro di interpretazione impone la scelta di limiti, la delimitazione di direzioni interpretative e dunque la progettazione di universi di discorso. Ed è chiaro, a questo punto, che quello che Peirce chiama universo di discorso rappresenta il formato ad hoc che dobbiamo fare assumere alla enciclopedia potenziale (sistema semantico globale) per poterla usare. L'enciclopedia viene di continuo attivata e ridotta, la semiosi illimitata si imbriglia da sé proprio per poter sopravvivere e diventar maneggiabile. Le decisioni pragmatiche (in senso contemporaneo) dell'interprete fanno per così dire maturare giudiziosamente la ricchezza delle implicazioni che ogni porzione testuale, dai termini agli argomenti, contiene. Potremmo interpretare Peirce dicendo che, dato quel macro-segno che è Il rosso e il nero di Stendhal, l'intero romanzo può essere visto come l'interpretazione della proposizione "Napoleone è morto il 5 maggio 1821". Realizzare pienamente il dramma di un giovane francese dell'età della Restaurazione, diviso tra i sogni di una gloria perduta e la banalità del presente, significa realizzare che Napoleone è morto irreversibilmente in quella data e che Napoleone è enciclopedicamente un gancio per appendervi infinite descrizioni definite ("l'autore del Codice Napoleonico", "il sistematore europeo degli ideali della Rivoluzione Francese", "il portatore di un nuovo concetto di gloria", e così via). Il rosso e il nero è un interpretante della proposizione sopra citata non solo a causa dell'abbondanza di riferimenti concreti alla Francia post-napoleonica ma anche a causa sia dei giudizi che costruiscono le sue macropoposizioni, sia della vicenda frustrata di Julien che è parabola di un sogno bonapartista in ritardo. Tanto che per sapere cosa abbia significato per una intera generazione la scomparsa di Napoleone noi siamo soliti ricorrere, forse più che a volumi di corretta storiografia, a libri come Il rosso e il nero. Segno che questi termini "interpretano" (ovvero forniscono tutte le conseguenze illative di) un fatto, espresso da una proposizione, meglio di altre interpretazioni che pure di quella proposizione vogliono trarre alla luce tutto il significato. Ma leggere in tal modo il romanzo di Stendhal significa aver scelto, sull'onda di motivazioni varie, l'universo di discorso che l'interprete giudicava pertinente. Si fosse mutato questo universo, la lettura del romanzo avrebbe portato ad altre interpretazioni (per esempio, e il titolo lo permette: ideale religioso contro ideale laico). In ogni caso, assunto come segno, il libro diventa a sua volta un precetto: l'ordine delle sue interpretazioni costituisce anche l'ordine delle operazioni che esso suggerisce per attingere un qualche Oggetto Dinamico.