Il giorno della memoria Modulo classi quinte - a.s. 2006/07 Scuola primaria “C. Goldoni” Spinea 1° Circolo La signora Lia ci racconta … Mi chiamo Lia, sono nata nel ghetto di Venezia, nel 1946, in mezzo a tanti Ebrei, la mia nonna era ebrea. Ghetto di Venezia Io avevo la nonna ebrea e il nonno cristiano, quando loro si erano sposati non c’erano ancora le leggi razziali, i matrimoni misti erano ancora permessi. Mia mamma mi ha raccontato che nel 1943 mio padre doveva scappare, perché aveva la madre di religione ebraica. Nel 1943, mio padre e mia madre abitavano nel ghetto; c’era una casa di riposo; mio padre e mia madre hanno visto arrivare i tedeschi, mettere tutti gli Ebrei in colonna in un campo … Avevano messo in colonna famiglie intere, genitori, figli, nipoti. Tutti sono stati incolonnati e portati via. Di queste persone ne sono tornate pochissime, si possono contare in una mano. Io in particolare ho conosciuto una signora, sono partiti in tredici in quella famiglia ed è tornata lei sola, aveva 16 anni quando è stata portata via. Mia madre era cristiana, mio padre e mia madre sono vissuti scappando, in quei cinque anni di guerra. Mia madre abitava in una zona di Venezia diversa, da ragazza, avevano un amico che era Commissario della Polizia. Sapevano quando facevano le retate e allora questo Commissario li avvertiva: ‘Stanotte vengono a fare la retata … E allora fortunatamente potevano scappare di casa, durante le retate. Avevo anche un fratello, che era piccolino, era nato nel 1939, quindi durante la guerra aveva pochi anni e mio padre e mia madre scappavano con mio fratello dai miei bisnonni, che abitavano in un’altra parte della città e quindi, quando arrivavano i tedeschi non li trovavano in casa. Quando i miei genitori tornavano a casa, trovavano tutti i segni sul portoni dei calci dei fucili, perché i tedeschi avevano cercato di buttare giù il portone, ma non erano riusciti, perché era un portone massiccio di quelli di una volta. I miei genitori si sono salvati così. Un fratello di mio papà, sua moglie e la loro bambina piccola (nata nel 1944) sono vissuti per cinque anni chiusi in una soffitta. Il padre di questo mio zio, cioè mio bisnonno, che poteva circolare, perché era di religione cristiana, faceva in modo di portargli qualcosa da mangiare, ma era difficile trovare il cibo, perché era tesserato. L’amica di Lia Questa donna che ho conosciuto e che è tornata da Aushwitz mi diceva che i Tedeschi la portavano a lavorare in dei campi, a raccogliere le patate, e siccome avevano tanta fame, quando la sentinella non vedeva, mettevano qualche patata in bocca e la mandavano giù sporca e cruda, com’era; quando la sentinella tornava indietro, anche se non li aveva visti mangiare le patate, li frustava tutti sulla schiena. Le sentinelle avevano un manganello, e bastonavano tutti, per loro era una cosa normale, come suonare un tamburo. La signora che ho conosciuto diceva che era talmente tesa, che non sentiva neanche il dolore; dopo si rendeva conto che aveva tutta la schiena nera e ammaccata. Quando questa signora è tornata a casa pesava 28 chili, l’hanno portata via a 16 anni ed è ritornata a 19. Il primo giorno, quando sono arrivati gli americani, le hanno dato una pagnotta, lei l’ha mangiata tutta e per poco non moriva, perché il suo stomaco si era troppo ristretto, non mangiando mai. Vedendo la pagnotta, diceva: ‘Ne mangio un altro pezzetto, un altro pezzetto….’, e l’ha mangiata tutta, ma poi ha vomitato tutto il giorno, perché il suo fisico non poteva sopportare tutto quel cibo. Poi è stata tanto in ospedale, l’hanno recuperata, è sopravvissuta, ed è morta due anni fa, a circa 70 anni. Si è sposata, si è formata una famiglia, però è rimasta scioccata per tutta la vita. Di notte si svegliava con gli incubi. Suocero di Lia Mio suocero è stato preso da soldato e portato in un campo di prigionia, è riuscito a scappare, è tornato a casa a piedi, nel 1943. Ha camminato non so quanto tempo, perché lo avevano portato in un campo di prigionia in Bassa Italia e poi lo dovevano mandare in Germania. E’ scappato attraverso i campi, ha trovato dei contadini che gli hanno dato dei vestiti da borghese e ha buttato la divisa da militare e poi gli ultimi due anni di guerra non li ha più fatto. E’ stato nascosto anche lui per non farli. è scappato per i campi. È uscito dal campo di prigionia per le fogne, lui e dei suoi compagni sono arrivati oltre la recinzione del campo. Quando tuo zio era nella soffitta, gli portavano un po’ di pane da mangiare, ma non avevano luce ... Avevano sulla finestra una tenda pesante, che lasciava passare solo un po’ di luce, poi sotto avevano l’appartamento di questa famiglia cristiana, sono stati loro a dargli la soffitta, ma in cambio di tanti soldini, non per niente. Mio zio, con la moglie e la figlia, dovette nascondersi per 5 anni in una soffitta. Qualche conoscente (cristiano) gli portava da mangiare. Mio zio e sua moglie erano andati in viaggio di nozze a Roma nel 1940 e hanno dovuto subito nascondersi. La loro bambina era nata nel 1944, e tutti e tre rimasero nascosti in una soffitta. Tuo zio e tua zia avevano paura di essere scoperti, quando la bambina piangeva? Sì, loro erano nascosti nella soffitta di un palazzo e si poteva raggiungere questa soffitta attraverso una botola. C’era pericolo però che qualcuno si accorgesse che lì dentro c’erano delle persone nascoste, quindi vivevano nella paura, nel freddo d’inverno e nel caldo in estate, e con poco cibo. Chi gli dava ospitalità (una famiglia del palazzo) gli dava un po’ di cibo, ma il cibo era scarso per tutti. Era come se pagassero un affitto? L’affitto? Gli hanno tirato via la pelle, per poco, era tutto quello che avevano. Avevano dovuto pagare tanti soldi alla famiglia che li ospitava. Perché rischiavano la vita anche quelli che li aiutavano, allora dicevano : ‘Se devo rischiare la vita, almeno mi arricchisco …’. Ecco l’unica cosa che ha potuto salvare quelle persone. Tuo zio in soffitta poteva accendere una candela? No, perché se si vedeva una luce, i vicini stessi potevano fare la spia, denunciare che lì c’erano delle persone nascoste; anche i vicini se sapevano della presenza degli Ebrei dovevano denunciarli. Quindi avevano un po’ di luce di giorno attraverso la tenda e di notte stavano al buio e dovevano stare il più possibile in silenzio. Se la bambina piangeva, dovevano calmarla subito. Quindi era un rischio continuo. Il Ghetto di Venezia immaginato da noi Il Ghetto di Venezia è stato istituito nel 1516. Noi bambini abbiamo immaginato l’isola, i canali che la circondavano. Le case del ghetto erano molto alte, per contenere più famiglie. Nel ghetto di Varsavia Analizziamo in classe alcune fotografie, scattate da un soldato tedesco, nel ghetto di Varsavia, nel 1941. Il fotografo Heinz Jost, a differenza dei fotografi ufficiali delle SS, tratta gli Ebrei fotografati, come soggetti, non come oggetti; dimostra empatia nei loro confronti …. Le 129 foto scattate da Jost sono state mostrate per la prima volta a Gerusalemme, nel 1988. La donna della foto, da come è vestita sembra povera, anche perché è molto magra. Una mendicante. Jost racconta che nessuno, pur essendo affamato, gli chiese mai cibo perché era in divisa dell’esercito tedesco e loro ne avevano paura. Si vede un uomo che sta suonando il violino, ci sono anche due mendicanti che suonano per la strada, forse per avere un po’ di cibo, sembrano poveri … da questa foto capisco che nel ghetto c’era povertà. Due mendicanti suonano il violino per le strade. Si vede una donna vecchia che vende delle fasce, con disegnata la stella di David; vicino alla donna c’è un manifesto di programmi del cinema o del teatro, pare scritto in tedesco o forse in polacco. Il manifesto ci fa capire che anche se gli ebrei erano chiusi nel ghetto di Varsavia, amavano lo spettacolo. Anche questa venditrice è povera. Una venditrice di fasce con la stella di david: economiche in carta stampata, care di lino ricamato con elastico. La vita continua, come dimostra questo manifesto. Nella foto ci sono quattro persone, una si vede poco. Una donna vestita di bianco è povera e ha la fascia con la stella di David sul braccio. Anche l’uomo ricco e la donna ricca hanno la fascia, vuol dire che tutti gli Ebrei nel ghetto dovevano portare la stella di David. Borghesi a passeggio: ricchi e poveri sono già destinati alla stessa fine… Ci sono molti Ebrei, anche con dei bambini, che fanno la fila con un soldato che li sta guardando. Forse li stanno portando via dal ghetto, per portarli nei campi di concentramento. Infatti qualcuno ha le mani alzate, come se si stesse arrendendo. A Treblinka sono deportati 5000 abitanti nel ghetto dal 22 luglio al 13 settembre del 1942, 6500 dal 18 al 21 gennaio 1943. Il 19 aprile 1943 l’Organizzazione di Lotta Ebraica inizia la resistenza armata: in 10.000 verranno assassinati. Nel maggio il ghetto venne distrutto. Si vede una donna con un bambino, che camminano in una strada in mezzo a delle macerie. Le macerie sono delle case distrutte del ghetto, quindi da questa foto, noi capiamo che il ghetto è stato raso al suolo. Il soldato Joseph Bloshe scattò questa foto nel 1943 per un rapporto illustrato inviato a Himmler per dimostrare di aver distrutto il ghetto e dal generale SS Jurghen Stropp, impiccato a Varsavia nel 1052. Rimane solo una specie di torre, sulla destra, tutto il resto è stato distrutto. Si vede un tram, con il numero 16, delle persone che forse sono degli Ebrei, stanno aspettando di salire nel tram. Sopra si vede un ponte con delle persone, forse questo ponte collegava il ghetto con un’altra parte della città. Ci sono anche dei soldati vicino agli Ebrei. C’è un soldato tedesco che sta controllando un ebreo, e vicino a destra c’è un poliziotto polacco. Vuol dire che gli ebrei nel ghetto erano sempre controllati dai soldati tedeschi. Controllo all’entrata del Ghetto effettuataoda un soldato tedesco sotto lo sguardo di un poliziotto polacco. Si cercava di stroncare il mercato nero che finanziava la resistenza clandestina. Si vede che queste persone sono dentro il ghetto, gli ebrei sono per la strada, le strade sono affollate; da questa foto possiamo capire che gli ebrei nel Ghetto di Varsavia avevano poco spazio, anzi pochissimo. Vita quotidiana nel Ghetto e strade affollate: 500.000 persone abitavano in 4 kmq. C’è un ebreo con il bastone, che si sta togliendo il cappello per un saluto, c’è anche una donna con una carrozzina con un bambino piccolo e si vede anche un’altra donna; sembrano tutte e due abbastanza povere. Nelle foto c’è un uomo povero che spinge una carrozzina, per persone malate, con due donne povere, si vede che sono povere, infatti sono magre e sono vestite male. Si vede che le due donne sono ricche, infatti sono più cicciotte, basta guardare le loro gambe; sono in una carrozzina che sembra più nuova, forse perché erano ricche. I poveri e i ricchi convivevano gli uni accanto agli altri. Ebreo che si toglie il cappello davanti al fotografo-soldato Anche questa carrozzina è guidata da un povero. Le due signore hanno un cappello con fiocchetti e una valigia, e quindi si capisce che sono ricche. Tutti i bambini non hanno le scarpe e vivono per la strada. Si vedono dei bambini seduti sul marciapiede, sono poveri, hanno dei vestiti poveri; sono anche denutriti e sullo sfondo si vede tanta gente che passeggia. Questi bambini sembra che vivano per le strade, forse nel ghetto non andavano a scuola. Le loro bancarelle sono semplici, con un tavolino e qualcosa che ripara il cibo, dalla pioggia. Le bancarelle sono povere. Migliaia di bambini denutriti e malvestiti abitavano le strade. Una donna ha una cassetta, forse con del pesce, nelle due ceste sembra che abbia dell’altro cibo da vendere, anche questa donna sembra povera. L’altra donna vende con una sacca o con una padella del cibo. Tutte e due le donne vendono per la strada. Due venditrici ambulanti di cibo fra i tanti in cui si incappava per strada. Quali conclusioni possiamo trarre da tutto quello che abbiamo osservato nelle foto? Come si viveva nel ghetto di Varsavia, durante la seconda guerra mondiale? Giorgia: Questo ghetto aveva persone che vivevano molto strette, erano persone sia povere che ricche, c’erano anche bambini piccoli nel ghetto (infatti abbiamo visto una carrozzina) e anche bambini medi. C’erano molti soldati che giravano, controllavano l’identità delle persone; dalle foto si vede anche che dai ghetti venivano portate via le persone, venivano portate fino al treno, per poi mandarle nei campi di concentramento. Nel ghetto suonavano, vendevano oggetti e cose da mangiare, andavano anche a teatro. I bambini vivevano per le strade, forse non andavano a scuola. Sia i poveri sia i ricchi del ghetto facevano la stessa fine. Filippo: Nel ghetto di Varsavia si viveva male, infatti, alcuni bambini erano senza scarpe; tanti chiedevano la carità, come quelli che suonavano il violino. Molti venivano portati via, fino ai campi di concentramento, venivano sempre controllati dai soldati tedeschi, però abbiamo visto che poi il ghetto è stato distrutto. Visitiamo l’archivio del Comune di Spinea Per vedere l’originale della lettera riguardante il signor Giovanni R. che avevamo studiato in classe, siamo andati in Municipio, dove abbiamo approfittato per chiedere alcune informazioni sull’ARCHIVIO. Sapete che cos’è un archivio? E’ dove vengono conservate le decisioni scritte … La signora Barbara Da Pieve ci ha detto che l’archivio è una stanza dove si tengono tanti documenti Ci ha anche raccontato tante cose riguardo all’Archivio e poi ci ha mostrato la lettera originale del 1946. L’archivio è un posto con tanti documenti … Faldoni e fascicoli Per avere più ordine, nell’archivio ci sono i faldoni, cioè grandi contenitori che contengono fascicoli, cartelline, che a loro volta contengono documenti. Di faldoni ce ne sono migliaia, tanto che, se provassimo a metterli in fila, dal municipio arriveremmo alla chiesa di Santa Maria Bertilla! L’archivio è il luogo della memoria, dove vengono conservati tutti i documenti scritti. Nell’archivio i documenti vengono distinti per oggetto e per materia … Ci sono contenitori vecchi e nuovi, ce ne sono del 1946, del 2006… La nostra compagna Eleonora ha letto sulla copertina di un faldone: ‘Archivio 1946, Categoria 15’. Una lettera del 1946 Barbara ci ha mostrato una lettera del 1946, che parlava del figlio di un’ebrea che chiedeva il permesso di soggiorno a Spinea. Giovanni R. abitava in Austria ed era di razza mista, per questo era scappato in Italia, dove si era fidanzato e aveva avuto una bambina: Ha potuto sposarsi solo dopo la guerra, altrimenti lo scoprivano. So che avete studiato una lettera… La carta è abbastanza vecchia, la lettera è scritta con la macchina da scrivere, perché non c’era il computer. La lettera originale era tutta ingiallita e rovinata. La signora Barbara ci ha detto che nemmeno loro sono riusciti a capire la firma. Dalla lettera la storia di Giovanni Il signor Giovanni era austriaco e nel 1938 (quando l’Austria era stata annessa alla Germania) era venuto in Italia e aveva avuto un permesso di soggiorno. Aveva abitato a Verona e aveva studiato legge all’università di Padova. Si trasferì a Spinea nell’ottobre del 1943 (al tempo in cui i Tedeschi avevano occupato l’Italia) ed era rimasto nascosto a Spinea perché era di razza mista, cioè sua madre era ebrea ed era stata internata in Polonia (forse in un campo di concentramento) e suo padre “ariano”, si trovava ancora a Vienna in Austria. Una zia di Giovanni, che abitava a Castelnuovo di Verona, gli mandava dei soldi. Pochi mesi prima della liberazione dell’Italia (25 Aprile 1945) Giovanni lavorò come interprete presso le Ferrovie dello Stato per avere un documento di circolazione. A Spinea era fidanzato con Adelina B. e viveva con lei e sua madre. Giovanni e Adelina avevano una bambina, ma non potevano sposarsi, né denunciare insieme la nascita della bambina, perché lui aveva la madre ebrea. La nascita della piccola era stata denunciata solo da Adelina, la bambina portava il cognome della madre. Solo alla fine della guerra, Giovanni aveva potuto sposarsi con Adelina e dare il proprio cognome a sua figlia. Barbara ci ha raccontato … “… la firma sulla lettera è di un funzionario prefettizio, non può essere del primo Sindaco di Spinea, del 1946 (Angelo Simion). Al tempo di questa lettera di G.R. non c’era la democrazia, il Sindaco non era ancora stato eletto, per questo c’era solo un funzionario prefettizio. Quando Giovanni ha lavorato in ferrovia, non ha dato i suoi documenti; questo ragazzo viveva nella continua paura di essere scoperto. Adelina era coraggiosissima, perché ha tenuto nascosto un ragazzo che veniva considerato Ebreo. A quel tempo una donna che aveva un figlio al di fuori del matrimonio, veniva giudicata dalla società, quindi lei aveva avuto un grande coraggio, per nascondere Giovanni e per amarlo”. “A quel tempo i vicini di casa denunciavano alle autorità gli Ebrei, per prendersi le loro cose. Mentre altre famiglie hanno fatto davvero del bene, per gli Ebrei. Sicuramente Giovanni è stato aiutato anche da una mia collega, che lavorava in Municipio in quel periodo e conosceva le sue origini ebree, ma non l’ha denunciato alle autorità. Queste persone che hanno fatto tanto per aiutare gli Ebrei vengono chiamate ‘I GIUSTI’. Io ho trovato questa lettera di Giovanni, nella categoria 15, che era la categoria della pubblica sicurezza. Giovanni era stato una vittima della guerra. Perché la lettera è stata scritta al Maresciallo dei Carabinieri di Mestre? Perché il Sindaco del Comune è responsabile anche della pubblica sicurezza, deve dare dei dati in suo possesso ai Carabinieri”. Dopo la guerra … “C’era una grande confusione appena era finita la guerra. Molti tornavano dai campi di lavoro in Germania, molti tornavano a casa dopo essere stati soldati nell’esercito, molte donne erano rimaste vedove, il loro marito era morto in battaglia; durante la guerra e dopo la guerra c’era una gran confusione; c’erano varie situazioni strane, e i Sindaci dovevano dare delle notizie ai Carabinieri, che volevano sapere dei casi particolari (ad esempio c’erano stati tanti dispersi in Russia), allora nel caso della nostra lettera il Comune diede ai Carabinieri alcune notizie riguardo a Giovanni. C’era una grande sofferenza a quel tempo, una gran confusione”. Documenti: prove sicure “Ad esempio, nell’archivio, ho trovato degli elenchi di poveri degli anni ’40 (1940). Queste persone ricevevano calze, maglie di lana dal comune, o anche due materassi, perché la loro casa era stata occupata dai Tedeschi durante la guerra e non avevano soldi per comperarsi degli altri materassi. Se io vedo tanti documenti di questo tipo, posso capire che a Spinea in quel periodo c’erano tanti poveri. Io nell’archivio trovo dei pezzettini, dei frammenti di informazioni, come in un puzzle, poi devo costruire questo puzzle, cioè devo interpretare queste informazioni che ho ottenuto dai documenti e giungere a delle conclusioni”. “Recentemente sono stati ricostruiti addirittura i movimenti degli Ebrei, consultando gli archivi delle ferrovie tedesche. Si è scoperto quanti viaggi avevano fatto con i treni verso i campi di concentramento, quali soste facevano i treni, quante persone ebree, venivano caricate sui treni, ecc. Questi documenti sono delle prove sicure, per sapere la verità su quello che è successo ….“ Fine Anche la nostra scuola ha il suo faldone nell’archivio, eccolo!