IRCCS Fondazione G.B. Bietti per lo Studio e la Ricerca in Oftalmologia Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica Con il Patrocinio di: Università Vita-Salute Istituto Scientifico San Raffaele IRCCS Fondazione G.B. Bietti per lo Studio e la Ricerca in Oftalmologia Coordinatori: Francesco Bandello Monica Varano Componenti: Maurizio Battaglia Parodi - Francesco Boscia - Armando D’Angelo Chiara Maria Eandi - Alfonso Giovannini - Paolo Lanzetta Rosangela Lattanzio - Edoardo Midena - Mariacristina Parravano Roberto Ratiglia - Michele Reibaldi - Andrea Sodi - Giovanni Staurenghi Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica AUTORI Francesco Bandello (Coordinatore Scientifico) Monica Varano (Coordinatore Scientifico) Maurizio Battaglia Parodi Francesco Boscia Armando D’Angelo Chiara Maria Eandi Alfonso Giovannini Paolo Lanzetta Rosangela Lattanzio Edoardo Midena Mariacristina Parravano Roberto Ratiglia Michele Reibaldi Andrea Sodi Clinica Oculistica - Università Vita-Salute Istituto Scientifico San Raffaele, Milano Fondazione G.B. Bietti IRCCS, Roma Clinica Oculistica -Università Vita-Salute Istituto Scientifico San Raffaele, Milano Clinica Oculistica Università degli Studi di Bari Divisione di Scienze Metaboliche e Cardiovascolari, Patologie Trombotiche - Università Vita-Salute Istituto Scientifico San Raffaele, Milano Clinica Oculistica - Università degli Studi di Torino Clinica Oculistica - Università degli Studi di Ancona Nuovo Ospedale Regionale Torrette Clinica Oculistica - Università degli Studi di Udine Clinica Oculistica - Università Vita-Salute Istituto Scientifico San Raffaele, Milano Clinica Oculistica - Università degli Studi di Padova Fondazione G.B. Bietti IRCCS, Roma U.O. Oculistica - Ospedale Maggiore Policlinico Mangiagalli e Regina Elena di Milano Clinica Oculistica - Università di Catania Clinica Oculistica - Ospedale Careggi di Firenze Writing Committee: Coordinamento: F. Bandello, M. Varano C.M. Eandi, M. Parravano, M. Reibaldi Coordinamento organizzativo INDICE Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 5 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 7 Epidemiologia delle occlusioni e storia naturale della malattia . . . . . . . . . . pag. 9 Eziopatogenesi e fattori di rischio delle occlusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 17 Classificazione e Iter diagnostico oculistico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 22 Inquadramento sistemico del paziente e possibile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 27 approccio farmacologico sistemico Trattamento chirurgico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 35 Trattamento laser . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 45 Trattamenti farmacologici (Anti-VEGF) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 50 Trattamenti farmacologici (Steroidi) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 58 Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 69 PREFAZIONE L’occlusione della circolazione venosa della retina è un disturbo frequentemente riscontrato dai retinologi e tale patologia è seconda soltanto alla retinopatia diabetica come causa di perdita visiva secondaria a malattie vascolari della retina. L’occlusione di una branca della vena centrale della retina (BRVO) e l’occlusione della vena centrale della retina (CRVO) rappresentano due argomenti molto discussi e meritevoli di approfondimento, soprattutto per l’esigenza di maggiore chiarezza derivante dalla disponibilità di nuove opportunità diagnostiche e soprattutto terapeutiche. Come è noto, nell’ambito delle attività istituzionali degli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico la creazione di documenti di consenso e linee guida riveste una particolare importanza nell’ottica del miglioramento della gestione delle scelte diagnostico-terapeutiche di patologie oculari fortemente invalidanti. A tale scopo, l’IRCCS Fondazione G.B. Bietti e l’Università Vita-Salute - Istituto Scientifico San Raffaele hanno avvertito la necessità di proporre l’elaborazione un Documento di Consenso per la Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica che sottolineasse l’importanza della prevenzione delle trombosi venose retiniche e del corretto approccio diagnostico e terapeutico di tale patologia. Il Documento prodotto, realizzato grazie ad una Task Force di Esperti in patologie retiniche, ha permesso la revisione dei principali dati sperimentali e clinici delle terapie disponibili ed intende rendere disponibile il parere di questo gruppo di Esperti agli operatori del Settore oftalmologico. Prof. Mario Stirpe Presidente Fondazione G.B. Bietti IRCCS -5- INTRODUZIONE L’occlusione delle vene retiniche è un evento relativamente frequente che può produrre danni anatomici e funzionali disparati: si va da forme lievi, che coinvolgono vasi di piccolo calibro, che possono produrre alterazioni funzionali minime, fino alle forme drammatiche di occlusione venosa centrale ischemica, che possono compromettere definitivamente la funzione visiva e dare origine a complicanze devastanti quale il glaucoma neovascolare. Fino a poco tempo addietro l’unico trattamento delle occlusioni venose retiniche era la fotocoagulazione laser, peraltro inefficace in molti casi, come avevano dimostrato i più importanti trial multicentrici condotti sull’argomento. In tempi recenti le opzioni terapeutiche si sono arricchite di nuove soluzioni quali gli steroidi intravitreali ed i prodotti anti-VEGF. Quale ruolo attribuire nella pratica clinica a queste nuove soluzioni e come eventualmente combinarle con la fotocoagulazione laser sono quesiti tuttora senza risposta. Lo scopo di questo documento è quello di fornire all’oculista gli strumenti di conoscenza utili a sfruttare i contributi che sono apparsi più recentemente in letteratura in questo specifico settore. Alcuni oculisti con competenze specifiche nel campo della retina sono stati chiamati a trovare un accordo sugli aspetti più controversi pertinenti l’argomento, sulla base delle informazioni oggi disponibili e dell’esperienza da loro maturata negli anni. Ne è risultato un documento che, seppur con i suoi limiti, ha però la pretesa di affrontare proprio quegli aspetti dell’argomento per i quali oggi mancano riferimenti di conoscenza definitivi. Ci auguriamo che lo sforzo compiuto contribuisca a rendere più competenti e motivate le scelte dei colleghi che sono chiamati oggi a gestire problemi clinici pertinenti le occlusioni venose retiniche. Francesco Bandello Monica Varano Clinica Oculistica Università Vita-Salute Istituto Scientifico San Raffaele, Milano Fondazione G.B. Bietti IRCCS, Roma -7- Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica ■ EPIDEMIOLOGIA DELLE OCCLUSIONI E STORIA NATURALE DELLA MALATTIA Messaggi Chiave • La prevalenza mondiale dell’occlusione venosa retinica (RVO), standardizzata per età e sesso, è pari al 5.2 per mille (BRVO 4.42 e CRVO 0.80); non mostra differenze fra uomini e donne e aumenta all’aumentare dell’età del paziente. • La prevalenza europea risulta più bassa rispetto al dato mondiale, con un valore pari a circa il 2 per mille. • L’incidenza della RVO nelle popolazioni studiate è pari a: - BRVO: 0.6% entro 5 anni, 1.2% entro 10 anni, 1.8% entro 15 anni; - CRVO: 0.2% entro 5 anni, 0.4% entro 10 anni, 0.5% entro 15 anni. • Esistono evidenze, non confermate da studi conclusivi, che dimostrano come l’incidenza del rischio di recidive di RVO sia pari a: - nello stesso occhio: 0.9% entro 2 anni, 2.5% entro 4 anni; - nell’occhio controlaterale: 7.7% entro 2 anni, 11.9% a 4 anni. • Nei soggetti più giovani è stata riscontrata, in alcune casistiche, un’associazione fra RVO e mortalità complessiva o mortalità cardiovascolare o ictus. DEFINIZIONE La definizione di occlusione venosa retinica (Retinal Vein Occlusion, RVO) accomuna un gruppo eterogeneo di malattie vascolari retiniche in grado di determinare un severo deterioramento della funzione visiva e che si differenziano per patogenesi, aspetti clinici, decorso e complicanze. Le occlusioni venose retiniche si verificano quando è ostruita la circolazione di una vena retinica: il blocco della circolazione determina la formazione di emorragie retiniche e possono essere conseguenze comuni lo sviluppo di aree ischemiche (aree scarsamente irrorate) e/o di edema maculare. L’occlusione può interessare la vena centrale della retina, e si tratta quindi di Occlusione della Vena Centrale della Retina (CRVO), oppure solo un ramo di essa e, in tal caso, si tratta di Occlusione Venosa di Branca Retinica (BRVO). EPIDEMIOLOGIA Nell’ambito dell’epidemiologia si distinguono: • L’Epidemiologia descrittiva che individua le frequenze di morbosità all’inter-9- Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica no della popolazione e le sue caratteristiche. • L’Epidemiologia analitica che individua i determinanti di malattia mediante l’identificazione di un rapporto di causalità fra fattori di rischio e malattia. • L’Epidemiologia sperimentale che verifica i risultati della epidemiologia analitica, al fine di proporre validi programmi di prevenzione e trattamento. L’epidemiologia descrittiva utilizza come misure di frequenza la prevalenza e l’incidenza. • La prevalenza, che misura il numero di soggetti (di una popolazione) affetti da una particolare patologia in un preciso istante, indicando il totale casi/popolazione, misura l’esistenza della malattia e si rivela molto utile per valutare l’impatto (penetrazione) di una malattia in una popolazione. • L’incidenza, che misura la velocità con la quale una popolazione esente da una particolare patologia sviluppa quella data malattia durante uno specificato periodo di tempo, indicando i nuovi casi/popolazione a rischio, è una misura dinamica che quantifica la possibilità di poter contrarre la malattia. PREVALENZA DI RVO La letteratura riguardante la prevalenza della RVO non è particolarmente ricca e i risultati degli studi disponibili sono alquanto eterogenei poiché tali studi sono condotti su pochi casi, utilizzano metodologie differenti e soprattutto sono caratterizzati da una differente distribuzione dei fattori di rischio all’interno delle diverse popolazioni. A tale proposito, si è rivelata particolarmente interessante una pubblicazione del 2010 che ha proposto un’analisi combinata dei principali studi di popolazione (population based study), disponibili in ambito oftalmologico, che avevano effettuato diagnosi mediante un grading fotografico di occlusione venosa retinica, differenziata nelle sue due entità: centrale (CRVO) e di branca (BRVO). Sono stati inizialmente analizzati 15 Studi (6 condotti negli Stati Uniti, 6 in Asia, 2 in Europa e 1 in Australia), ma nell’analisi definitiva ne sono stati valutati solo 11, ovvero quelli che possedevano almeno due campi fotografici distinti per macula e nervo ottico, e che quindi garantivano la migliore sensibilità dell’esame(1). Il campione dell’analisi finale è stato di 49.869 soggetti e i risultati hanno dimostrato che la prevalenza globale dell’occlusione venosa retinica, standardizzata per età e sesso, è di 5.2 per 1000, di cui 4.42 per la BRVO e 0.80 per la CRVO. Trasferendo questi dati alla popolazione mondiale del 2008 si è stimato che nel mondo circa 16.4 milioni di persone sono affette da RVO: la maggioranza (13.9 - 10 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica milioni) è affetta da BRVO e il restante (2.5 milioni) da CRVO. Nonostante la prevalenza leggermente superiore nel sesso femminile, non si evidenzia una differenza statisticamente significativa tra i due sessi. Al contrario, la prevalenza di occlusione venosa aumenta in maniera statisticamente significativa all’aumentare dell’età, sia nell’analisi globale delle occlusioni di branca e centrali, che per le singole entità. Questo andamento è caratteristico delle patologie cronico-degenerative e di fatto l’RVO ha un comportamento molto simile a quello di tali patologie, probabilmente perché i fattori di rischio (soprattutto quelli sistemici come aterosclerosi e ipertensione) aumentano con l’avanzare dell’età (Fig. 1). Per quanto riguarda la distribuzione di occlusione venosa retinica in rapporto alle varie etnie, non vi è alcuna differenza per l’occlusione centrale; esistono invece alcune differenze, sebbene non raggiungano una significatività statistica, per l’ocA B Donne Uomini 0.89 CRVO CRVO 0.80 (CI, 0.61-0.99) p=NS 5.07 BRVO 4.42 (CI, 3.65-5.19) BRVO 0.71 3.76 5.93 5.2 (CI, 4.4-5.99) RVO RVO 4.43 Prevalenza puntuale/1000 persone Prevalenza puntuale/1000 persone 17.29 C 11.93 5.44 1.62 0 30-39 anni CRVO BRVO RVO p<0.001 40-49 anni 50-59 anni 60-69 anni 70-79 anni 80 anni Prevalenza puntuale/1000 persone Figura 1. A: Prevalenza RVO. B: prevalenza in base al sesso. C: prevalenza in base al(Mod. da: Rogers S et al., Ophthalmology 2010)(1) l’età. - 11 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica clusione di branca: la prevalenza è risultata maggiore in ispanici e asiatici; più bassa nei bianchi. I risultati forniti da queste analisi sistematiche sono particolarmente importanti poiché forniscono una stima attendibile della prevalenza di RVO nella popolazione generale; devono essere tuttavia considerati i limiti intrinseci che riguardano principalmente le potenziali fonti di eterogenicità quali le differenti metodologie utilizzate, il fatto che la maggior parte degli studi era realizzato su un unico gruppo etnico, spesso con differente distribuzione dei fattori di rischio e pertanto non erano adatti a cogliere tali differenze. Per tali ragioni le differenti prevalenze devono essere interpretate con cautela poiché potrebbero essere il risultato delle differenti metodologie utilizzate piuttosto che riflettere reali differenze tra le etnie. A tale proposito, i risultati dello studio Europeo hanno dimostrato un valore globale di prevalenza di circa 2 su 1000, più basso rispetto agli altri studi, e in linea quindi con le differenze etniche evidenziate(2). INCIDENZA DI RVO La letteratura relativa all’incidenza di RVO è leggermente più ricca rispetto a quella relativa alla prevalenza e permette inoltre una valutazione scandita per periodi temporali (5, 10 e 15 anni). Lo studio Beaver Dam Eye Study condotto nel Wisconsin su di un consistente numero di pazienti (4926 soggetti) con età compresa tra 43 e 84 anni ha fornito dati sull’incidenza a 5 anni: BRVO pari allo 0.6% e CRVO pari allo 0.2%. L’incidenza si è dimostrata sostanzialmente sovrapponibile nei due sessi. Già in questo lavoro si segnala una preferenza per i quadranti temporali e particolarmente per i quadranti supero-temporale (45%) ed infero-temporale (36%). La presenza di alcune alterazioni micro vascolari retiniche è risultato un fattore di rischio per l’incidenza di nuovi casi(3) . Lo studio Blue Mountains, condotto in Australia su 3654 soggetti con età >49 anni ha fornito dati di incidenza a 10 anni e ha dimostrato come con il passare del tempo l’incidenza di RVO aumenti: BRVO pari a 1.2% e CRVO pari a 0.4%. Anche in questo studio viene confermata sia una preferenza per i settori temporali (quadranti supero-temporali 42%, inf-temp 42%) che coprono la maggioranza delle forme occlusive riscontrate sia la presenza di alterazioni microvascolari retiniche come fattore associato alla comparsa di nuovi casi(4). Inoltre, è stato evidenziato un aumento dell’incidenza in funzione dell’età del paziente all’inizio del follow-up. - 12 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica Il follow-up dello studio Beaver Dam ha fornito anche i dati sull’incidenza a 15 anni: BRVO 1.8% e CRVO 0.5%. Ovviamente tali percentuali aumentano nel gruppo di pazienti con età più avanzata, >65 anni, in cui si osserva un’incidenza di BRVO del 2.9% e di CRVO dell’1.3%, a conferma quindi del rapporto tra incidenza di nuovi casi ed età del paziente ad inizio del follow-up. Anche in questo caso l’incidenza è paragonabile nei due sessi e si dimostra una preferenza per i quadranti supero-temporali (52.3%). Tale preferenza sembrerebbe giustificata dalla differente anatomia nella distribuzione di arterie e vene nei vari quadranti retinici(5). Altri aspetti importanti dal punto di vista clinico, a parte l’incidenza, sono il rischio di recidive e la comparsa di forme ischemiche. RECIDIVE DI OCCLUSIONI VENOSE RETINICHE E INTERESSAMENTO CONTROLATERALE Uno studio del 1994, che ha considerato 1108 pazienti con RVO, analizzando in maniera sistematica il rischio di recidive (sviluppo di una seconda forma di occlusione venosa retinica) ha registrato un rischio di recidiva nello stesso occhio dello 0.9% entro 2 anni, e del 2.5% entro 4 anni; nell’occhio controlaterale si ha un rischio di coinvolgimento considerevolmente più alto: 7.7% entro 2 anni e 11.9% entro 4 anni. La RVO è quindi una patologia che ha un’ampia probabilità di colpire l’occhio contro laterale(6). Tuttavia, vanno considerati i limiti di questo studio che non valutava né i fattori di rischio, né la terapia. Lo studio Blue Mountains riporta frequenza di recidive leggermente minore (6.4% entro 5 anni)(4). DELL’OCCHIO OCCLUSIONI VENOSE RETINICHE: FORME ISCHEMICHE E NON ISCHEMICHE La comparsa di forme ischemiche in pazienti che presentano inizialmente forme perfuse o non ischemiche è un aspetto importante nella gestione clinica dei pazienti con RVO. Lo studio di Hayreh ha riscontrato, in pazienti con età ≥65 anni, una conversione delle forme non ischemiche a forme ischemiche nel 13.2% dei casi entro 6 mesi, e nel 18.6% entro 18 mesi. In pazienti con età compresa tra 45 e 64 anni, è stata riscontrata una conversione a forme ischemiche nel 6.7% dei casi entro 6 mesi e nell’8.1% dei casi entro 18 mesi(6). Anche i dati del Central Vein Occlusion Study Group sono in parte sovrapponibili. Tale studio ha considerato 725 pazienti affetti da CRVO, dei quali 547 con CRVO non ischemiche, dimostrando una conversione a CRVO ischemica nel - 13 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica 15% dei pazienti entro i primi 4 mesi e nel 34% entro 3 anni(7). In generale, nonostante i limiti dovuti alla definizione di forma ischemica, entrambi gli studi hanno dimostrato che i pazienti che presentano inizialmente un’occlusione venosa retinica non ischemica possono sviluppare nel corso del tempo una forma ischemica. Nonostante un’elevata percentuale di pazienti sviluppi la forma ischemica nei primi mesi, essa può verificarsi addirittura a distanza di anni. Il fatto che nella storia naturale della malattia si assista ad un viraggio verso forme più gravi ischemiche giustifica l’esigenza di follow-up protratto per almeno 6-12 mesi dopo l’evento acuto, in modo da poter adottare tempestivi interventi terapeutici. RAPPORTO TRA RVO E MORTALITÀ VASCOLARE La letteratura riguardante il rapporto tra RVO e mortalità cardiovascolare (infarto) e cerebrovascolare (ictus) è estremamente controversa. Uno studio cinese del 2007, condotto su 4335 pazienti, ha confermato che l’RVO è associata ad una maggiore mortalità in soggetti più giovani, con età <65 anni o <70 anni(8). Un altro studio del 2007, combinando i dati del Beaver Dam Eye Study e del Blue Mountains Eye Study, ha coinvolto una popolazione di 8383 pazienti che è stata seguita per 10-12 anni. I risultati hanno confermato che nella popolazione generale l’RVO non è associata con decesso cardio- o cerebrovascolare, ma che il rischio di mortalità cardiovascolare è maggiore se si considerano soltanto i soggetti di età inferiore ai 70 anni(9). IMPATTO SOCIALE DELLA RVO L’occlusione venosa retinica è una patologia correlata all’età e sicuramente si assisterà ad un incremento dell’impatto socio-economico di tale malattia a causa dell’incremento demografico della fascia di età più avanzata. Per valutare l’impatto socio-economico si dovrebbe considerare, oltre al deficit visivo correlato alla patologia, l’impatto sulla qualità di vita del paziente misurato attraverso la value based medicine (nuova branca della medicina che consente di quantificare il valore che il paziente attribuisce al proprio stato di salute). Uno studio che ha valutato la qualità di vita di pazienti con RVO mediante un questionario psicometrico validato, ha arruolato 51 pazienti affetti da CRVO e li ha confrontati con un gruppo di pazienti sani (n° 122) e con un gruppo di pazienti affetti da retinopatia diabetica (n° 123). I risultati hanno evidenziato dif- 14 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica ferenze statisticamente significative rispetto ai soggetti sani, ma non rispetto ai pazienti diabetici(10). IMPATTO ECONOMICO DELLA RVO Nella gestione dell’RVO è estremamente importante valutarne l’impatto economico. Partendo da dati di prevalenza e incidenza di CRVO e BRVO, un recente studio ha valutato, nel periodo dal 2001 al 2006, la percentuale di pazienti che in qualche modo avesse beneficiato delle cure sanitarie all’interno di un gruppo rappresentativo (circa il 5%) della popolazione statunitense, su fonti ospedaliere e ambulatoriali. Tale analisi ha permesso di valutare le risorse intese come procedure diagnostiche e terapeutiche, e i costi medici diretti realizzando un confronto con un gruppo di pazienti ipertesi e di glaucomatosi accomunati a pazienti con RVO da fattori di rischio simili(11) . Lo studio ha dimostrato che, nel periodo considerato, la prevalenza è risultata sostanzialmente stabile, riflettendo una diminuzione dell’incidenza probabilmente a causa del migliore controllo dei fattori di rischio. I risultati finali hanno mostrato una prevalenza del 13.7 per mille per la BRVO e del 7.8 per mille per la CRVO (in linea con i dati già citati riferiti ad una popolazione con età più avanzata). Inoltre è stato valutato che, tra le indagini diagnostiche, la fluoroangiografia, realizzata in oltre il 40% dei pazienti, e il laser, utilizzato in circa il 20% dei pazienti, fossero le risorse con una maggiore percentuale di incidenza sui costi. A tale proposito, è interessante notare come nel corso dei cinque anni, le varie risorse utilizzate abbiano mantenuto un andamento costante, tranne l’OCT e la terapia con iniezioni intravitreali (IVT), in netta ascesa (Fig. 2). I costi medici diretti della trombosi venosa retinica hanno dimostrato che in un anno un paziente con tale patologia ha un costo mediamente più alto del 20% rispetto a un paziente iperteso (BRVO: +16%; CRVO: +22%) o glaucomatoso (BRVO: +18%; CRVO: +24%); pertanto nonostante sia meno frequente di altre patologie la RVO incide considerevolmente sui costi sanitari. I dati disponibili in letteratura dimostrano che nella gestione globale ad un anno i costi diretti che incidono maggiormente, in termini percentuali, sono i costi relativi alla patologia oculare dovuti all’evento acuto (trombosi) e ai test diagnostici. A tre anni, invece, il costo legato alla patologia sistemica (ospedalizzazione) incide maggiormente in termini percentuali, come ad indicare che la trombosi venosa retinica non è altro che un epifenomeno di una patologia sistemica. - 15 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica % di pazienti sottoposti alle procedure indicate 60 FAG OCT IVT Laser 40 Panfoto Vitrectomia 20 0 2001 2002 2003 2004 2005 Anno Figura 2. Utilizzo delle risorse. (Mod. da: Fekrat S, Curr Med Res Opin 2010)(11) - 16 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica ■ EZIOPATOGENESI E FATTORI DI RISCHIO DELLE OCCLUSIONI Messaggi Chiave • Il sito preferenziale per l’occlusione della vena centrale della retina è la lamina cribrosa e l’occlusione si verifica a causa della turbolenza di flusso e della presenza concomitante di altri fattori reologici o alterazioni parietali. • Il sito preferenziale per l’occlusione di branca è invece l’incrocio artero-venoso e sembrerebbe che tale occlusione sia causata da un processo multifattoriale che include ostruzione meccanica e maggiore viscosità ematica. • Le vene della retina sono fortemente influenzate dalla patologia delle arterie retiniche prossimali in quanto condividono una parete comune nel sito di incrocio. • L’occlusione di branca (BRVO) può determinare parziale occlusione del lume e solo raramente provoca un’ostruzione completa. • L’ipossia stimola la liberazione del fattore di crescita endoteliale vascolare (VEGF). • L’adesione del vitreo alla macula o in corrispondenza di incroci artero-venosi può svolgere un importante ruolo patogenetico. Nonostante siano disponibili in letteratura numerose pubblicazioni sull’argomento, la classificazione, la patogenesi e la gestione di tale patologia restano controverse(12). Patogenesi Le controversie derivano dal fatto che mancano reperti anatomo-patologici recenti. In genere gli studi valutano il reperto anatomo-patologico a distanza di molto tempo dall’evento acuto; uno dei migliori esempi di reperto recente è uno studio di Green in cui si osservavano occhi enucleati a distanza di 6-10 ore dall’occlusione. Gli esperti stanno tentando di stabilire se l’istaurarsi del trombo rappresenti il primum movens per la patologia oppure l’esito finale. I vari studi sulla patogenesi sembrerebbero dimostrare che in realtà il trombo è un punto di arrivo, pertanto attualmente si preferisce usare i termini di occlusione venosa retinica centrale e di branca ai termini di trombosi venosa della vena centrale o di branca, precedentemente utilizzati. - 17 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica Fattori di rischio I fattori di rischio che predispongono a RVO sono molteplici e in genere sono gli stessi che si riscontrano in alterazioni vascolari che coinvolgono altri distretti corporei come nel caso di ictus o coronaropatie. Sia per l’occlusione della vena centrale che per quella di branca i principali fattori predisponenti sono sicuramente i fattori di rischio cardiovascolare come arteriosclerosi, ipertensione arteriosa, diabete mellito, iperlipidemia, obesità, fumo, occlusione della carotide. I fattori di rischio cardiovascolare sono particolarmente importanti in quanto il sito dell’occlusione della vena centrale della retina è la lamina cribrosa. L’arteria e la vena a livello della lamina cribrosa, prima di entrare nel globo, decorrono parallele, strettamente unite. Pertanto, alterazioni parietali dell’arteria centrale della retina, indotte da aterosclerosi e ipertensione, si riflettono sulla parete della vena centrale, soprattutto quando essa passa nel restringimento rappresentato dalla lamina cribrosa, incompressibile e che con l’avanzare dell’età si può caricare di sali di calcio (teoria di senescenza del collageno). Questo rappresenta il primum movens della turbolenza di flusso che causa l’occlusione della vena centrale della retina. Altri importanti fattori di rischio sono le alterazioni reologiche (ematocrito aumentato, aumentata viscosità del plasma, aumentata aggregazione dei globuli rossi, ridotta deformabilità dei globuli rossi). Infatti, i capillari della periferia retinica presentano un calibro inferiore rispetto alle dimensioni degli eritrociti e solo eritrociti molto elastici, in grado di deformarsi, riescono ad attraversarli. Inoltre, sono estremamente importanti alterazioni della viscosità del plasma: nelle sindromi da iperviscosità si possono presentare quadri bilaterali di occlusione centrale della vena della retina. Le alterazioni reologiche sono importanti dal punto di vista clinico. In genere le occlusioni della vena centrale della retina si verificano soprattutto al mattino, al risveglio, a causa del fisiologico rallentamento circolatorio notturno che, a sua volta, è responsabile dell’aumentata viscosità. Inoltre, per tale ragione, anche nel decorso clinico della malattia i pazienti avranno una visione peggiore al mattino. Per evitare che il circolo retinico venga compromesso durante la notte, a causa del fisiologico rallentamento circolatorio, è opportuno prescrivere a questi pazienti un decubito con la testa molto più sollevata rispetto ai piedi, per mantenere un opportuno gradiente. Le alterazioni reologiche possono anche giustificare i casi di occlusione centra- 18 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica le della retina osservati in soggetti sottoposti ad un prolungato sforzo fisico in condizioni climatiche particolarmente rigide: si è dimostrato che in seguito ad una «marcia longa» si verificano spesso alcuni casi di occlusione della vena centrale della retina, verosimilmente perché oltre al fatto che il freddo è un agente iperviscosizzante, a causa dello sforzo fisico e della sudorazione profusa si instaura disidratazione e quindi aumento della viscosità. Altri importanti fattori di rischio riguardano lo stato trombofilico: iperomocisteinemia, anticorpi anti-fosfolipidi, resistenza alla proteina C attivata (fattore V di Leiden), mutazioni, ridotti livelli di inibitori del plasminogeno, contraccettivi orali. Esistono inoltre importanti fattori di rischio locali: glaucoma (rischio di CRVO 5-7 volte superiore rispetto al soggetto sano); trauma (generalmente presente nell’anamnesi dei pazienti con CRVO); vasculite retinica; occlusione dell’arteria centrale; tutte le condizioni che provocano una riduzione del canale della lamina cribrosa come drusen, papilledema; malformazioni artero-venose che sono causa di ipertensione venosa; sindrome di iperviscosità (policitemia, macroglobulinemia, mieloma, leucemia). OCCLUSIONE DELLA VENA CENTRALE Esistono pochi studi anatomo-patologici sull’occlusione della vena centrale della retina; tra questi è particolarmente importante lo studio di Green, che ha permesso di spiegarne la patogenesi. Come già anticipato, il sito preferenziale per l’occlusione della vena centrale della retina è la lamina cribrosa. Arterie e vene decorrono parallele e le alterazioni parietali dell’arteria si riflettono sulla parete venosa che ovviamente si lascia facilmente comprimere al passaggio all’interno della lamina cribrosa: man mano che si instaura il restringimento del lume, il flusso di sangue attraverso la vena centrale della retina diventa sempre più turbolento e a sua volta provoca una riduzione della velocità di circolo. Pertanto, in presenza di altri fattori reologici o di alterazioni parietali si creano tutti i presupposti della triade del Virchow che determina l’occlusione. L’aumento della stasi provoca un aumento della pressione endovasale che causa l’edema e spiega dunque l’emorragia; contemporaneamente si ha una riduzione del flusso che provoca ischemia, aumento del VEGF e danno endoteliale. Il quadro si completa con aumento dell’edema e accentuazione dell’ischemia fino al quadro del glaucoma neovascolare (Fig. 3). - 19 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica Papilledema Drusen Infiammazione Aterosclerosi Ipertensione Restringimento vena Turbolenza di flusso A Pressione della vena centrale Pressione sanguigna Pressione intraoculare Trombosi parziale Trombofilia Iperviscosità Riduzione deflusso venoso Aumento della pressione venosa Edema Riduzione flusso sanguigno B Emorragia Ischemia VEGF Danno endoteliale C INV Occlusione capillare Glaucoma neovascolare Figura 3. Patogenesi CRVO. OCCLUSIONE VENOSA DI BRANCA Il sito preferenziale per l’occlusione di branca è l’incrocio artero-venoso. La causa di BRVO è probabilmente un processo multifattoriale che include ostruzione meccanica (dovuta ad alterazioni degenerative nelle arteriole), componenti emoreologiche anomale e impedenze del flusso sanguigno, che provocano una maggiore viscosità. Gli studi dimostrano che nel 30% dei casi fisiologicamente la vena passa sopra l’arteria; tuttavia le statistiche percentuali di occlusione di branca confermano che il passaggio della vena sopra l’arteria si osserva solo nel 2.4% dei casi, mentre è preponderante la situazione opposta e cioè il passaggio dell’arteria sopra la vena. Anche in caso di BRVO gli studi anatomo-patologici non sono confortanti; infatti non si vede lo schiacciamento a livello dell’incrocio, ma si nota come in corrispondenza di questo la vena decorra in profondità nella retina. Queste consi- 20 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica derazioni lasciano intendere che in realtà, all’osservazione all’oftalmoscopio, si verifica una falsa impressione di schiacciamento della vena da parte dell’arteria, provocata dalla turbolenza di flusso e dovuta al fatto che, man mano che arterie e vene si avvicinano all’incrocio, si fonde l’avventizia. Si è anche ipotizzato che la turbolenza possa essere favorita dal fatto che la vena non è lineare, ma ha una sua tortuosità. L’avventizia comune è molto importante soprattutto considerato che l’occlusione di branca è più frequente nei soggetti ipermetropi e nei soggetti con un asse antero-posteriore ridotto. Ciò rievoca anche il ruolo del vitreo: gli studi della scuola di Boston hanno dimostrato come la storia naturale della malattia nei pazienti sia molto diversa a seconda che i pazienti non abbiano un distacco di vitreo o lo presentino completo o incompleto (Tab. 1). Tabella 1. Ruolo dello stato del vitreo sui fattori che compromettono la visione nell’occlusione venosa retinica di branca. (Mod da: Alexander LJ, J Optom 1986)(13) Stato del vitreo Senza distacco del vitreo (%) Distacco incompleto del vitreo (%) Distacco completo del vitreo (%) Neovascolarizzazione 16 64 0 Emorragia vitreale 12 64 7 Edema maculare 54 56 29 - 21 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica ■ CLASSIFICAZIONE E ITER DIAGNOSTICO OCULISTICO Messaggi Chiave • Ancora oggi la diagnosi di occlusione venosa retinica viene posta principalmente mediante valutazione oftalmoscopica; si rivelano tuttavia estremamente utili i test morfologici e funzionali. • Nello studio di Hayreh tra i vari test morfologici e funzionali presi in considerazione nessuno è stato riconosciuto come gold standard e si è concluso che: - è auspicabile utilizzare la combinazione di più test per ottenere informazioni affidabili; - i test funzionali si sono dimostrati superiori a quelli morfologici nel differenziare le forme ischemiche e le non ischemiche; - la Fluorangiografia deve essere utilizzata solo per differenziare le forme ischemiche dalle non ischemiche e quindi per indirizzare l’eventuale più corretta terapia. • Nonostante l’estrema importanza degli studi di Hayreh, alcuni degli strumenti diagnostici proposti non vengono più utilizzati nella pratica clinica attuale. • La recente letteratura suggerisce una diagnosi ed un trattamento più precoci e gli esami diagnostici comunemente eseguiti sono: l’oftalmoscopia, l’esame biomicroscopico del fondo oculare, la fluoroangiografia e l’OCT (utile soprattutto nel follow-up del paziente). L’obiettivo di questo paragrafo è di riportare evidenze di un iter diagnostico oculistico che prevede anche l’impiego di metodiche di imaging nei pazienti affetti da occlusioni venose retiniche (RVO). Per quanto riguarda le fonti bibliografiche, la ricerca è stata eseguita utilizzando, senza porre alcun limite alla strategia di ricerca: MEDLINE (PubMed), EMBASE, The Cochrane Library, CENTRAL. È emerso che sull’argomento non esistono revisioni sistematiche, studi clinici randomizzati e controllati, e studi osservazionali (come generalmente si verifica per tutti gli esami diagnostici). Hayreh ha proposto la seguente classificazione per la prognosi e il trattamento di RVO(14): A. Occlusione della vena centrale della Retina (Central retinal vein occlusion, CRVO): I. CRVO non ischemica (o retinopatia da stasi venosa). II. CRVO ischemica (o retinopatia emorragica). - 22 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica B. Occlusione della vena centrale della retina emisferica (Hemi-central retinal vein occlusion, HCRVO): V. HCRVO non ischemica (o retinopatia da stasi emisferica venosa). VI. Ischemic HCRVO (o retinopatia emorragica emisferica). C. Occlusione venosa retinica di branca (Branch retinal vein occlusion, BRVO): V. BRVO maggiore. VI. BRVO maculare. La diagnosi di occlusione venosa generalmente è oftalmoscopica e spesso, soprattutto nelle forme acute iniziali, è difficile distinguere una forma ischemica da una non ischemica. A tale scopo possono essere utili i test morfologici o funzionali(14): • Test morfologici: - Biomicroscopia. - Angiografia retinica a fluorescenza (FA). • Test funzionali: - Acuità visiva. - Perimetria. - Difetto del riflesso afferente pupillare (Relative Afferent Pupillary Defect, RPAD). - Elettroretinogramma (ERG). BIOMICROSCOPIA Tra gli esami disponibili, la biomicroscopia è il più immediato, ma anche il meno attendibile al fine di distinguere le forme ischemiche in quanto i reperti oftalmoscopici si modificano molto nel corso del tempo in base alla continua evoluzione della storia naturale della patologia(15). In particolare, le emorragie retiniche rappresentano l’unico parametro oftalmoscopico che potrebbe avere ragionevole sensibilità (81-84%) e specificità (7274%) nella differenziazione di forme ischemiche e non ischemiche nei primi 3 mesi (presenza di estese emorragie retiniche in CRVO ischemica rispetto alla forma non ischemica). In realtà, dopo i 3 mesi non vi è tra le due forme una differenza statisticamente significativa nella quantità di emorragie presenti sul fondo oculare(15). La presenza di noduli cotonosi è sempre stata considerata un fattore diagnostico della forma ischemica, ma gli studi di Hayreh non hanno fornito sufficienti - 23 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica evidenze di sensibilità e specificità per questo particolare criterio diagnostico, in quanto anche le forme non ischemiche possono presentare noduli cotonosi(15). IMAGING Sebbene i principali studi clinici randomizzati utilizzino immagini a colori stereoscopiche con 7 o 3 campi retinici, tale metodica non è utile sia per il monitoraggio della malattia sia per il riconoscimento delle forme ischemiche. La fluoroangiografia può facilitare la distinzione tra forma ischemica e non ischemica. Ciononostante, tale metodica possiede alcune limitazioni soprattutto nelle fasi iniziali della malattia quando la presenza di numerose emorragie retiniche può rendere non indicato l’esame. Inoltre l’eventuale occlusione dei capillari retinici si verifica generalmente dopo 3-4 settimane con progressione dalla periferia retinica verso il polo posteriore. Secondo Hayreh, un test come la fluoroangiografia fornisce informazioni utilizzabili solo nel 50-60% dei casi, pertanto non può essere clinicamente affidabile. Tuttavia, nonostante i limiti, può essere molto utile. Generalmente si ritiene che la presenza di eventuale obliterazione dei capillari della retina sia un segno di CRVO ischemica, ma gli studi di Hayreh hanno dimostrato che anche forme non ischemiche possono presentare piccole aree di ischemia capillare(15). Tra i test funzionali, l’acuità visiva è particolarmente importante con un valore di cut-off che Hayreh pone a 6/120. Per quanto riguarda la perimetria, si tratta di un esame diagnostico con buona sensibilità e specificità, simile a quella dell’elettroretinogramma (ERG) nel differenziare le forme ischemiche dalle non ischemiche. In particolare, la maggior parte dei pazienti con forme non ischemiche (71% degli occhi) è in grado di discernere le 3 mire luminose del perimetro Goldmann e il restante 29% ne vede solo 2, mentre il contrario avviene nelle forme ischemiche. Un difetto del riflesso afferente pupillare (RAPD) è un test estremamente utile e affidabile per differenziare le forme ischemiche e non ischemiche, con una sensibilità fino al 90% e specificità fino all’88%. In questo caso è importante che l’occhio controlaterale sia sano. Al contrario, per gli esami elettrofunzionali (ERG) si ha un’alta sensibilità e specificità anche quando l’occhio controlaterale non è sano. In conclusione, si può affermare che nessuno dei 6 test presentati ha dimostrato sensibilità e specificità pari al 100% nel differenziare le 2 forme di CRVO nel- 24 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica la fase acuta; pertanto nessuno di essi può essere preso come gold standard, ma combinando i 6 test si possono ottenere informazioni molto affidabili(14). In particolare, i 4 test funzionali sono superiori rispetto ai 2 test morfologici nel differenziare le forme ischemiche dalle non ischemiche. Il test funzionale più affidabile è rappresentato dal difetto del riflesso afferente pupillare (RAPD) (quando l’occhio controlaterale è sano), seguito dall’elettroretinogramma (ERG) o ancor meglio dalla combinazione dei due test; successivamente si ha la perimetria ed infine l’acuità visiva. Quando invece si considerano i test morfologici la fluoroangiografia, in fase acuta, presenta alcuni limiti in circa ⅓ degli occhi. Tra tutti l’esame oftalmoscopico è il meno affidabile. OCCLUSIONE EMISFERICA (HEMI-CRVO) VERSUS BRVO MAGGIORI Secondo Hayreh è importante la differenziazione tra occlusione di branca maggiore e occlusione emisferica, in quanto le prime sono solitamente di tipo ischemico, le altre (HCRVO) sono non ischemiche nella maggior parte dei casi (78%), e solo in alcuni casi ischemiche (22%). Nelle forme di branca maggiori il sito dell’occlusione è a livello dell’incrocio artero-venoso, generalmente in prossimità del disco ottico e molto raramente sul disco ottico; nelle forme emisferiche, invece, il sito dell’occlusione è all’interno del nervo ottico(14). Tali differenze si rispecchiano anche in un aspetto oftalmoscopico, pertanto nelle occlusioni emisferiche si avrà un interessamento del disco ottico con edema della papilla, mentre nelle occlusioni di branca l’occlusione sarà visibile a livello dell’incrocio artero-venoso e il disco risulterà normale. Anche la presenza di vene collaterali che collegano la vena occlusa con vene circostanti può fornire informazioni importanti sul sito di occlusione: nelle BRVO le collaterali sono localizzate a livello retinico, lontane dal disco ottico; invece, nelle occlusioni emisferiche sono a livello del disco ottico(14). OCT Non esistono evidenze scientifiche per l’utilizzo diagnostico dell’OCT. La valutazione OCT, infatti, è particolarmente importante per il follow-up di trattamento dei pazienti e per la quantificazione dell’edema. Attualmente si dispone di diversi OCT con protocolli differenti; quelli generalmente utilizzati per gli studi clinici sono 2: Cross-hair e Map. - 25 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica CONCLUSIONI Dallo studio di Hayreh emerge l’inutilità di eseguire l’esame angiografico immediatamente dopo l’insorgenza dell’occlusione venosa. Invece, nella maggior parte dei casi, nella pratica clinica, ad eccezione di casi caratterizzati da consistente emorragia, l’angiografia viene eseguita anche subito dopo l’occlusione. Quindi è necessario sottolineare che, nonostante l’importanza degli studi di Hayreh e le considerazioni fin qui esposte, attualmente nella pratica clinica non sono utilizzati perimetria ed elettroretinogramma, ma si preferisce utilizzare l’oftalmoscopia. Sicuramente come primo esame diagnostico si utilizza l’esame biomicroscopico del fondo dell’occhio, la fluoroangiografia viene eseguita costantemente, anche a breve termine dall’insorgenza dell’occlusione, e l’OCT (non invasivo), nonostante l’assenza di evidenze forti, rappresenta sicuramente lo strumento più importante nella pratica clinica per valutare alterazioni maculari di natura edematosa. La fluoroangiografia dovrebbe essere eseguita almeno dopo 4-5 settimane (meglio dopo 1-2 mesi) dall’esordio di occlusione venosa retinica per permettere di differenziare forma ischemica e non ischemica in quanto l’ischemia generalmente non è visibile prima. Questo esame, se eseguito troppo precocemente, non può fornire informazioni utili e, al contrario, a causa della presenza di emorragia, potrebbe addirittura essere confondente, in quanto non riesce a visualizzare l’ischemia capillare (non ancora presente) e si potrebbe quindi scambiare una forma ischemica per una non ischemica. Contrariamente alla precedente letteratura, studi recenti confermano che l’efficacia del trattamento è tanto maggiore quanto più si instaura precocemente. Percorso diagnostico Acuità visiva, biomicroscopia, OCT: alla baseline, ad intervalli mensili soprattutto se in terapia con farmaci anti-VEGF o corticosteroidi. FA: dopo 4-5 settimane dall’insorgenza, poi durante la terapia a discrezione dell’investigatore (almeno dopo ogni 3-4 mesi in corso di terapia). - 26 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica ■ INQUADRAMENTO SISTEMICO DEL PAZIENTE E POSSIBILE APPROCCIO FARMACOLOGICO SISTEMICO Messaggi Chiave • Esistono condizioni mediche essenzialmente associate ad aumentato rischio trombotico venoso, altre tipicamente associate ad aumentato rischio trombotico arterioso, altre ancora possono essere associate ad aumentato rischio trombotico sia arterioso che venoso. • In soggetti giovani affetti da RVO, con età compresa tra 43 e 69 anni, l’aumentato rischio di mortalità cardiovascolare impone una profilassi primaria degli eventi cardiovascolari mediante trattamento a lungo termine con farmaci antitrombotici. • Ipercoagulabilità, trombofilia e iperomocisteinemia moderata hanno un ruolo importante nei pazienti affetti da RVO. • I farmaci antitrombotici, almeno in alcune categorie di pazienti, possono essere utilizzati nel trattamento della fase acuta della RVO o in associazione con farmaci intravitreali. L’occlusione della vena centrale della retina e l’occlusione di branca della vena centrale della retina sono patologie completamente diverse. Nonostante la prima sia la meno frequente, i concetti esposti in questo paragrafo si applicano soprattutto a questa forma. In letteratura non esistono molte evidenze sull’approccio farmacologico sistemico. Per quanto riguarda l’iperviscosità, uno studio italiano sul ruolo dei fattori emoreologici, che ha esaminato un elevato numero di soggetti (180 pazienti e 180 controlli) con una serie di diverse metodologie, ha proposto una distinzione tra viscosità del sangue intero, deformabilità eritrocitaria e viscosità esclusivamente plasmatica(16). Da questi dati emerge che tendenzialmente la viscosità del sangue intero e cioè dei globuli rossi è più importante rispetto alla viscosità plasmatica; sembrerebbe quindi che l’utilizzo della plasmaferesi sia poco adatto in caso di RVO. Tipicamente la plasmaferesi si utilizza nelle forme autoimmuni; pertanto, se si ritiene che alla base della patologia non vi sia una malattia di questo tipo è preferibile utilizzare un’emodiluizione. Il principio base dell’emodiluizione nelle occlusioni venose retiniche si fonda sul- 27 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica l’abbassamento dell’ematocrito per ottenere una riduzione della viscosità ematica al fine di migliorare la microcircolazione e la perfusione capillare retinica. Diverse ricerche hanno riferito risultati clinici e funzionali positivi grazie all’emodiluizione. In particolare, è stato descritto un incremento dell’acuità visiva insieme ad un miglioramento sia dei parametri emodinamici (tempo arterovenoso, velocità arteriosa media) che emoreologici (viscosità del plasma, ematocrito, fibrinogeno, aggregazione eritrocitaria). Diverse condizioni mediche possono essere associate all’occlusione della vena centrale della retina; è interessante notare che alcune (come ad esempio ipertensione, diabete mellito, iperlipidemia, iperviscosità, anormalità piastriniche) sono tipicamente associate ad aumentato rischio trombotico arterioso, mentre altre (come ad esempio gravidanza, preeclampsia, leucemia) si associano essenzialmente ad un aumentato rischio trombotico venoso; altre condizioni mediche (come ad esempio uso di contraccettivi orali, criofibrinogenemia, lupus eritematoso sistemico, vasculite sistemica, malattia renale) possono essere associate sia a manifestazioni trombotiche arteriose che venose, e quindi ad aumentato rischio trombotico sistemico(17). FATTORI DI RISCHIO La recente letteratura dimostra che i principali fattori di rischio per l’occlusione venosa retinica sono l’ipertensione(18-20), l’ipercolesterolemia(18), l’ipertrigliceridemia(20), l’iperlipidemia(19), l’insufficienza renale(20) e il diabete mellito (rischio relativamente basso)(19). Uno studio prospettico che ha considerato 66 pazienti e 6071 controlli ha dimostrato come l’occlusione venosa retinica sia simile tra gruppi di differente etnia e come, nella popolazione generale, l’RVO sia associata ad ipertensione, dislipidemia e disfunzione renale, ma non a malattia aterosclerotica, infiammazione sistemica e anomalie ematologiche(20). In realtà esiste un’associazione con il successivo sviluppo di manifestazioni cardiovascolari o cerebrovascolari. Un altro studio, che ha arruolato 96 pazienti con RVO e 8288 controlli con età >43 anni, ha dimostrato come dopo 12 anni i tassi di mortalità vascolare standardizzati per età siano stati del 26.0% (cardiovascolari) e del 5.3% (cerebrovascolari), rispettivamente, in persone con RVO e del 17.1% e 4.5%, rispettivamente, in quelli senza RVO. Dopo aggiustamento per età, sesso, BMI, ipertensione, diabete, fumo, glaucoma, e sito di studio, l’RVO non è risultata associata con la mortalità cardiovascolare (HR 1.2; 95% CI 0.8-1.8) o cerebrovascolare (HR 0.9; 95% CI 0.4-2.1) a qualsiasi età. Tuttavia, in soggetti di età < a 70 - 28 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica anni, l’RVO risultava associata ad una più alta mortalità cardiovascolare (HR 2.5; 95% CI 1.2-5.2). Quindi in soggetti con età compresa tra 43 e 69 anni, l’occlusione venosa retinica può essere indice di un raddoppiato rischio di mortalità cardiovascolare e questo impone la necessità di una profilassi primaria degli eventi cardiovascolari mediante un trattamento a lungo termine con farmaci antitrombotici, dopo la fase acuta(9). RUOLO DI IPERCOAGULABILITÀ E TROMBOFILIA Nelle forme di occlusione venosa non ischemica è maggiormente presente una forma di ipercoagulabilità, come confermato da uno studio su pazienti con CRVO che ha dimostrato come l’attivazione della coagulazione sistemica sia più evidente nelle forme non ischemiche rispetto alle forme ischemiche(21). Il termine ipercoagulabilità indica semplicemente un’evidente attivazione sistemica della coagulazione. La trombofilia è invece un difetto congenito o acquisito che predispone a manifestazioni trombotiche: essa può spesso associarsi ad ipercoagulabilità, ma non necessariamente si accompagna ad uno stato permanente di attivazione della coagulazione. Esistono 3 principali sistemi naturali di controllo della coagulazione (Fig. 4): 1. il sistema che blocca il fattore settimo attivato, che forma un complesso con il fattore tissutale; Figura 4. Principali sistemi anticoagulanti naturali. - 29 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica 2. il sistema dell’antitrombina (spiegazione del funzionamento dell’eparina); 3. il sistema della proteina C (Fig. 5). La trombina agisce sul fattore V per proteolisi, attivandolo a fattore Va, un cofattore della coagulazione. La proteina C attivata a sua volta proteolizza il Va in tre siti, riducendone l’attività del 50% al sito 306, di un ulteriore 40% al sito 506, e di un ulteriore 10% al sito 679. Un polimorfismo di un singolo aminoacido al sito 506 fa sì che questo taglio non possa essere effettuato, causando resistenza all’azione della proteina C attivata e risultando nel fattore V Leiden, associato ad un rischio di manifestazioni trombotiche venose aumentato di circa 5 volte. Il sistema della proteina C è coinvolto in circa il 30-40% delle situazioni di trombofilia, congenite e acquisite (anticoagulante lupico, anticorpi antifosfolipidi). Figura 5. Il sistema della proteina C. La trombina si lega alla trombomodulina (TM, un recettore di membrana endoteliale) perdendo le sue proprietà procoagulanti e divenendo l’attivatore fisiologico della proteina C (PC) che a sua volta si lega ad un recettore endoteliale specifico (EPCR - Endothelial Protein C Receptor) e viene attivata ad APC. La APC in complesso con un’altra proteina vitamina K dipendente, la proteina S (PS), inattiva le forme attivate dei cofattori della coagulazione V e VIII. La APC viene inoltre complessata dall’inibitore dell’attivatore del plasminogeno (PAI-1) svolgendo così sia attività anticoagulante che pro-fibrinolitica. - 30 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica RUOLO DELLA IPEROMOCISTEINEMIA MODERATA In soggetti giovani, con età <50 anni, con manifestazione tromboembolica venosa idiopatica, raramente (5%) si osservano carenze di proteina C (PC) e proteina S (PS), mentre sono molto più frequenti i difetti del fattore V di Leiden, la mutazione della protrombina (FII G20210A) (15%-20%) e la presenza di iperomocisteinemia moderata (20%-30%). L’elevata frequenza dei difetti congeniti e dell’iperomocisteinemia moderata determinano anche la presenza di difetti combinati (5%-10%). A causa di un meccanismo sinergico, l’associazione dei due effetti aumenta ulteriormente il rischio trombotico e non solo in misura semplicemente additiva. La correlazione con l’omocisteinemia è stata confermata da uno studio condotto su pazienti giovani, con età <56 anni, con CRVO ischemica o non ischemica, nel quale si sono osservati livelli di omocisteinemia più elevati nei pazienti rispetto ai controlli che aumentavano di 3 volte il rischio trombotico(22). Nonostante diversi studi abbiano dimostrato una correlazione tra iperomocisteinemia ed elevato rischio trombotico, non è confermata la stessa correlazione tra riduzione del livello di omocisteinemia e beneficio clinico (ad esempio in caso di tromboembolismo venoso, riduzione delle recidive oppure riduzione della mortalità). Evidenze di questo tipo non possono ovviamente derivare da risultati a breve termine, ma necessiterebbero di studi condotti su larga scala (numerosità pazienti) e con osservazione dei pazienti a lungo temine (5 o 10 anni di terapia). Probabilmente non saranno mai realizzati studi di questo tipo; tuttavia, poiché il metabolismo dell’omocisteina è fortemente influenzato dai livelli vitaminici del gruppo B, è estremamente semplice abbassare i livelli di omocisteinemia mediante la somministrazione di tali vitamine. A questo proposito, è fondamentale definire un cut-off di iperomocisteinemia moderata. Considerata l’indiscutibile correlazione tra iperomocisteinemia e tromboembolismo venoso, soprattutto in soggetti giovani, il suo trattamento sarebbe opportuno non tanto per l’eventuale riduzione delle recidive, ma per diminuire il rischio cardio- e cerebrovascolare. In generale esistono evidenze contrastanti sul ruolo della iperomocisteinemia e della trombofilia. Diversi Autori hanno tentato di stabilire se la patologia possa essere conseguente ad aterosclerosi e quindi causata dalla patologia arteriosa anziché dalla patogenesi della malattia venosa. Per quanto riguarda i fattori di rischio trombofilici per RVO esistono solo evi- 31 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica denze di un’associazione con iperomocisteinemia e anticorpi anticardiolipina, entrambi fattori di rischio sia per trombosi venosa che per malattia vascolare arteriosa. Un effetto minore della mutazione del fattore V di Leiden e della mutazione del gene della protrombina (fattori di rischio solo per la trombosi venosa) suggerirebbe che l’aterosclerosi possa rappresentare un fattore importante nello sviluppo di CRVO(23). Anche Lahey ha dimostrato come, nella maggior parte degli studi controllati, gli anticorpi antifosfolipidi ed elevati livelli plasmatici di omocisteina sembrino associati più comunemente a pazienti con occlusione della vena centrale della retina(24); altri lavori hanno confermato una correlazione tra iperomocisteinemia e RVO(25,26). Lahey consiglia di testare la trombofilia in pazienti affetti da patologia bilaterale e in soggetti giovani con età <50 anni senza fattori di rischio o con storia familiare di trombosi(24). Questo si dovrebbe effettuare comunemente in caso di soggetti giovani con patologie correlate al tromboembolismo venoso come ad esempio l’embolia polmonare e la trombosi degli arti inferiori. Altri studi testimoniano che, in un gran numero di pazienti, livelli bassi di vitamina B6 ed acido folico, indipendentemente dalla co-presenza di iperomocisteinemia, sembrerebbero correlati alla patologia(27). Esistono inoltre alcune evidenze contrarie allo screening per trombofilia in pazienti con RVO(28) e addirittura uno studio di Hayreh che lo ritiene inutile(29). È difficile attribuire un ruolo alla trombofilia in quanto nel 96% dei pazienti con alta incidenza di marker per la trombofilia è presente almeno uno dei comuni fattori di rischio vascolari (ipertensione, iperlipidemia, diabete, fumo)(30). Un recente studio dimostrerebbe che l’uso combinato e ripetuto di terapia fotodinamica con verteporfina (verteporfin, PDT-V) e farmaci antiangiogenici rappresenti la strategia più promettente contro AMD neovascolare e che funzioni meglio in caso di soggetti con un substrato favorente la coagulazione(31). Pertanto viene ulteriormente dimostrata la potenziale utilità di valutare la trombofilia, soprattutto nella popolazione giovane(32). Dopo gli iniziali entusiasmi sul ruolo della trombofilia, sono apparsi in letteratura numerosi articoli che ne hanno messo in discussione il ruolo. Uno studio molto recente, pubblicato nel 2010, ha rappresentato una netta inversione di tendenza affermando che, nell’ambito della occlusione venosa retinica, una storia familiare di tromboembolismo venoso è fortemente associata alla presenza di disturbi trombofilici(33). In tale studio, l’assenza di fattori di rischio cardiovascolare è stata un forte predittore per la presenza di disturbi della coa- 32 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica gulazione, in tutti i pazienti. Inoltre, l’analisi multivariata ha rivelato altri fattori di rischio indipendenti per lo sviluppo di RVO in pazienti ≤45 anni: la presenza di resistenza alla APC, gli anticorpi antifosfolipidi, e la mancanza delle proteine anticoagulanti. Infine, uno studio che ha arruolato 70 pazienti con recidiva di CRVO e 30 con singolo episodio di CRVO, e che ha considerato tutti i fattori di rischio aterosclerotici e i marker di trombofilia, ha dimostrato che tra tutti i parametri valutati in pazienti con recidiva di CRVO sono particolarmente importanti ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia e iperomocisteinemia (a digiuno e dopo carico con metionina). RUOLO DEI FARMACI ANTITROMBOTICI Considerato il ruolo di ipercoagulabilità e trombofilia è doveroso definire il ruolo della terapia anticoagulante in caso RVO e, in particolare, di CRVO. Fino al 2007 si disponeva di limitate evidenze circa il miglioramento dell’acuità visiva in pazienti con CRVO dopo qualsiasi tipo di trattamento, e l’emodiluizione aveva dimostrato un miglioramento dell’acuità visiva in alcuni pazienti(34). Le evidenze erano limitate anche in caso di pazienti con BRVO e pertanto l’efficacia di molti nuovi trattamenti non era supportata(35). Tra il 2008 e il 2009 sono apparsi in letteratura diversi lavori sull’importanza di identificare il tempo di insorgenza della trombosi che, sia in caso di pazienti con trombosi venosa profonda, che in quelli con RVO, è un parametro di difficile identificazione. Questo è sicuramente un aspetto molto rilevante per l’arruolamento dei pazienti negli studi. Si tenta di identificare il tempo di insorgenza della trombosi soprattutto in funzione dell’associazione con i sintomi: il trombo può essersi formato da molto tempo ma manifestare la sintomatologia quando diviene occlusivo. I risultati di una metanalisi, realizzata per valutare i farmaci antitrombotici e fibrinolitici in caso di RVO, che ha valutato studi con streptochinasi, con eparina a basso peso molecolare, e con trombolisi con il TPA hanno dimostrato che la trombolisi con il TPA può essere molto utile in caso di trombosi dell’arteria della retina, ma non in caso di trombosi della vena, dove, a causa delle proprietà pro-apoptotiche del TPA, potrebbe provocare alcuni inconvenienti: in pratica, se non si riesce a bloccare il trombo, si peggiorerebbe ulteriormente la situazione(36). In questa metanalisi sono stati considerati due studi in doppio cieco che prevedevano trattamento con eparina a basso peso molecolare ed aspirina come controllo. Sono gli unici due studi in doppio cieco disponibili e i loro risultati - 33 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica si sono dimostrati consistenti. Essi hanno dimostrato che l’acuità visiva migliora maggiormente nel gruppo trattato con eparina e che le manifestazioni emorragiche oculari sono maggiori nel gruppo trattato con aspirina. Uno studio italiano, durato 90 giorni, prevedeva una dose iniziale, chiaramente anticoagulante, mantenuta per una-due settimane e successivamente una dose intermedia mantenuta per 3 mesi. Invece, uno studio canadese prevedeva una dose terapeutica per 10 giorni e una dose sub-terapeutica per i restanti 20 giorni, con un trattamento complessivo della durata di un mese. Inoltre, i risultati del followup hanno confermato che i vantaggi ottenuti con il trattamento si mantengono anche a lungo termine(37). In conclusione, nonostante siano estremamente interessanti, gli studi citati possiedono alcuni limiti: • È estremamente variabile il ritardo tra l’inizio dei sintomi e l’inizio del trattamento; l’eccessivo ritardo del trattamento è stato considerato un criterio di esclusione solo in una minoranza degli studi considerati. Nonostante sia molto difficile valutare l’età della manifestazione trombotica, una precoce identificazione è sicuramente preferibile e il tempo di trattamento rappresenta un fattore critico per valutare l’efficacia di una strategia terapeutica. • A causa del numero relativamente limitato di pazienti non è possibile stabilire se la terapia sia più efficace nelle forme ischemiche o non ischemiche. Potrebbe essere importante stratificare i pazienti in funzione del tipo di RVO (ischemica versus non ischemica): diverse manifestazioni svolgono un ruolo importante per la prognosi visiva e la stratificazione iniziale migliorerebbe la valutazione degli esiti clinici. • Recentemente sono stati proposti nuovi approcci terapeutici sperimentali, come la somministrazione intravitreale di vari farmaci (steroidi, anti-VEGF). Non è stato ancora chiarito se questi approcci potranno eliminare la necessità di terapie anticoagulanti durante la fase acuta della malattia. • Sicuramente i farmaci antitrombotici possono avere un ruolo nel trattamento della fase acuta della RVO, almeno in alcune categorie di pazienti, e possono essere utilizzati in associazione con i farmaci intravitreali. Studi futuri dovrebbero inoltre valutare la possibilità di approcci combinati. - 34 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica ■ TRATTAMENTO CHIRURGICO Messaggi Chiave • Sono stati proposti diversi trattamenti chirurgici per l’occlusione venosa retinica, alcuni caratteristici per CRVO e altri per BRVO. • Le evidenze attualmente disponibili in letteratura derivano da piccoli studi di bassa qualità e che pertanto non consentono conclusioni definitive. • L’approccio chirurgico non è giustificato da evidenze forti; tuttavia esistono alcune situazioni cliniche particolari nelle quali evidenze di compartecipazione vitreale possono giustificare l’approccio chirurgico. Sono stati proposti diversi trattamenti chirurgici per l’occlusione venosa retinica: • la vitrectomia via pars plana (PPV) associata o no al peeling della membrana limitante interna (ILM) o alla sheathotomy; • la creazione di un’anastomosi corio-retinica indotta chirurgicamente; • la neurotomia ottica radiale; • l’iniezione di attivatore del plasminogeno tissutale (TPA) all’interno dei vasi venosi. Il razionale per la chirurgia è basato sulla presenza di una connessione fra vaso arterioso e venoso all’interno della lamina cribrosa, che può determinare un flusso turbolento a valle della struttura alla base della lamina cribrosa. Inoltre, uno dei bersagli del trattamento è la riduzione della pressione extracellulare in quanto la compartimentalizzazione e l’aumento della pressione extracellulare giocano un ruolo fondamentale nel mantenimento del circolo vizioso alla base delle RVO. CHIRURGIA DELLA OCCLUSIONE DELLA VENA CENTRALE Vitrectomia La vitrectomia è importante per rimuovere il VEGF e le citochine, iperespressi a livello vitreale in soggetti affetti da RVO(38); mediante il meccanismo di rimozione del vitreo si aumenta l’ossigenazione della retina ipossica e si riducono soprattutto le complicanze neovascolari relative all’ipossigenazione(39). - 35 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica Peeling della limitante Il peeling della limitante ha soprattutto un razionale nel rimuovere le strutture che potrebbero favorire la proliferazione degli astrociti, e per rimuovere i flussi extracellulari che possono contribuire al mantenimento del circolo vizioso(40). Il ruolo della vitrectomia nel trattamento dell’RVO è stato valutato da 3 studi che hanno incluso occlusioni centrali, di branca ed emisferiche, ma che hanno considerato un numero limitato di pazienti(41-43). Anche il follow-up è stato abbastanza limitato e ha raggiunto un massimo di 12 mesi. I risultati hanno rilevato un interessante miglioramento dell’acuità visiva, nonostante nello studio con follow-up a 12 mesi in realtà non esistesse alcuna differenza né in termini di acuità visiva, né di miglioramento dello spessore retinico (outcome anatomico). Peraltro, nonostante la vitrectomia, si è dimostrata una progressione verso forme di tipo ischemico come ad indicare che nonostante il beneficio iniziale non si ottengano risultati a lungo termine(43). Esistono diversi studi che hanno considerato l’associazione del peeling della membrana limitante interna alla vitrectomia; anche in tal caso il numero di pazienti è abbastanza limitato e il peeling della limitante non sembra aggiungere molto in termini di beneficio funzionale: i ¾ dei pazienti mostrano un beneficio funzionale e in tutti gli studi si rivela un miglioramento di tipo anatomico. Di contro, si instaurano diverse complicanze tra cui la cataratta, inevitabile in seguito a procedure sul corpo vitreo(40,44-47). Anastomosi retino-coroideali La creazione di anastomosi retino-coroideali migliora il flusso della retina e rimuove l’ostruzione venosa mettendo in connessione un circolo ad alta pressione, come quello retinico, con uno a bassa pressione, come quello coroideale(48,49). L’anastomosi creata con il trattamento laser ha mostrato diversi limiti in termini di successo anatomico (solo ⅓ dei pazienti riusciva ad ottenere anastomosi)(50) e successivamente a tale procedura si sono osservate una serie di complicanze come emorragia coroideale e vitreale, e neovascolarizzazione coroideale (CNV)(51,52). Pertanto, diversi Autori hanno valutato la creazione di anastomosi mediante incisione semplice dei vasi della vena e della coroide nello stesso momento(53), in alcuni casi aggiungendo una sutura di Mersilene(54), in altri casi determinando la stessa anastomosi con erbium:YAG invece che chirurgicamente(55); ovviamente, considerato il ridotto numero di pazienti, i risultati sono abbastanza po- 36 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica sitivi sia in termini funzionali che anatomici. È da notare come in 3 casi su 5, descritti da Peyman, si sia andati incontro ad un’atrofia del nervo ottico. Neurotomia Ottica Radiale (RON) Recentemente sono stati presentati interessanti risultati ottenuti mediante neurotomia ottica radiale che, rispetto alle altre tecniche chirurgiche già citate, fornisce risultati più consistenti sia in termini numerici considerando un campione più ampio che in termini di supporto teorico. La RON consiste in un’incisione effettuata a livello della lamina cribrosa a cavallo con l’anello sclerale per ottenere una decompressione sclerale attraverso un approccio per via intravitreale. Rilasciare la pressione mediante RON aumenta dimensioni del lume e deflusso del sangue venoso, compensando la trombosi venosa(52). Inoltre, la RON favorisce lo sviluppo nel post-operatorio delle anastomosi coroideali che, determinando un aumento del deflusso venoso, sembrerebbero migliorare la prognosi dei pazienti(56). Gli studi disponibili in letteratura, che inizialmente arruolavano un ridotto numero di pazienti, recentemente sono stati condotti su un numero considerevole di soggetti affetti da diverse tipologie di RVO (forme perfuse e non perfuse) e hanno fornito risultati anatomici e funzionali abbastanza positivi, con eventi avversi trascurabili e comunque ben tollerati dai pazienti. Tra gli effetti collaterali più frequenti vi è l’occorrenza di glaucoma neovascolare e danno campimetrico temporale. In alcuni casi la RON può essere associata ad iniezione con triamcinolone o a peeling della limitante dimostrando risultati anatomici e funzionali abbastanza positivi. Tuttavia, secondo Opremcak, l’aggiunta dell’iniezione con triamcinolone non aggiunge alcun beneficio in termini funzionali, ma solo in termini di riduzione delle complicanze. Iniezione di TPA nei vasi La somministrazione per via sistemica di attivatore del plasminogeno tissutale (TPA) assicura effetti benefici sul flusso ematico retinico, ma può provocare emorragie sistemiche e gravi complicanze generali (decesso); pertanto, tale tecnica non è generalmente utilizzata nella comune pratica clinica(57,58). L’iniezione intravitreale di TPA al fine di dissolvere il trombo, evitando le complicanze sistemiche, potrebbe determinare un significativo miglioramento visivo solo in casi selezionati, ma in generale non sembra assicurare benefici in termini funzionali o anatomici(57,59). - 37 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica Considerate queste premesse, Weiss ha proposto di applicare la molecola all’interno del vaso venoso occluso per mezzo di cannulazione diretta di una branca retinica(58). Questa procedura ha riportato risultati interessanti e ha assicurato diversi vantaggi: permette di iniettare ridotte dosi di farmaco (200 microgrammi di TPA) nella sede dove il trombo si è formato, e di vedere il farmaco mentre raggiunge il sito d’azione; inoltre, permette di tentare di dislocare meccanicamente il trombo mediante l’iniezione. A tale proposito, in letteratura esistono due studi di Weiss e collaboratori che descrivono gli effetti benefici di questo tipo di trattamento(58,60); al contrario, esiste uno studio che, oltre a non riconoscere al trattamento alcun beneficio, ne dimostra il tasso di complicanze estremamente elevato(61). Sono state recentemente proposte diverse tecniche chirurgiche per il trattamento dell’occlusione della vena centrale della retina. Gli studi disponibili non sono di tipo randomizzato e al momento attuale non esistono forti evidenze per raccomandare l’approccio chirurgico se non in casi selezionati e dopo trattamento farmacologico. CHIRURGIA DELL’OCCLUSIONE VENOSA RETINICA DI BRANCA Come già specificato altrove, l’occlusione venosa retinica di branca è un comune disturbo vascolare retinico il cui trattamento eziologico consiste nel ripristinare il drenaggio venoso. L’occlusione si verifica quando un’arteriola ed una venula condividono una parte di avventizia comune e nella maggior parte dei casi l’arteria passa anteriormente alla vena(62,63). • In genere, il trattamento dei pazienti con BRVO si concentra soprattutto sulle conseguenze di questa condizione, come l’edema maculare e le complicanze proliferative vascolari secondarie ad ischemia. Sheathotomy Il razionale della chirurgia consiste nel liberare fisicamente l’avventizia comune tra arteria e vena al punto di incrocio. Ciò potrebbe fermare la progressione dell’occlusione e permettere il ripristino del drenaggio venoso (decompressione meccanica e rilascio del trombo); inoltre, la vitrectomia potrebbe avere un ruolo di possibile rimozione dell’evento infiammatorio e migliorare lo scambio dei fluidi vitreo-retinici. La procedura chirurgica infatti prevede l’esecuzione di una vitrectomia via pars plana. L’incisione della guaina avventizia inizialmente adiacente - 38 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica all’incrocio artero-venoso viene poi estesa lungo la membrana che tiene in posizione i vasi sanguigni fino al punto di incrocio. A questo punto, con la lama chirurgica si separano le adesioni di arteria e vena e poi l’arteria viene sollevata dalla vena (Fig. 6)(64). Figura 6. Procedura chirurgica. (Foto di J. Garcia Arumì) In letteratura sono disponibili diver,si studi comparativi riguardanti l’efficacia della sheathotomy. • Uno studio clinico randomizzato ha valutato la sheathotomy successiva a vitrectomia via pars plana versus iniezione intravitreale di 4 mg/0.1 ml di triamcinolone acetonide. I criteri di inclusione dello studio sono stati i seguenti: insorgenza recente di BRVO (<6 mesi), migliore acuità visiva corretta in ETDRS ≤40 lettere, emorragia intra-retinica che coinvolge il centro della fovea, danno generalizzato della barriera emo-retinica interna o diffuso ispessimento della retina, nessun precedente intervento chirurgico intraoculare, fotocoagulazione laser a griglia, storia di glaucoma o di qualsiasi altro tipo di patologia che influenzi l’acuità visiva. Alla fine del follow-up, durato 6 mesi, l’andamento dell’OCT e dell’acuità visiva ha dimostrato che sostanzialmente non vi erano differenze tra i due gruppi (Tab. 2)(65). - 39 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica Tabella 2. Risultati di uno studio clinico randomizzato che ha valutato la sheathotomy successiva a vitrectomia via pars plana versus iniezione di 4 mg/0.1 ml di triamcinolone acetonide attraverso la pars plana con un ago di 30G. (Mod da: Chung EJ et al., Graefes Arch Clin Exp Ophthalmol 2008)(65) Baseline (n=40) 6 mesi (n=40) p Sheathotomy 26.9±14.0 38.4±15.3 <0.001 Iniezione intravitreale 24.9±14.6 38.4±13.6 0.002 • Uno studio clinico randomizzato, non in cieco, ha valutato la sheathotomy successiva a vitrectomia via pars plana versus sola vitrectomia. In entrambi i gruppi di studio non sono stati iniettati corticosteroidi. I criteri di inclusione sono stati i seguenti: insorgenza recente di BRVO (<8 settimane), edema maculare ed emorragia che coinvolgono il secondo ramo della vena centrale della retina, nessun segno di trazione maculare, ispessimento del centro della macula, nessuna precedente fotocoagulazione laser a griglia o emorragia del vitreo. Il follow-up medio dello studio è durato 6 mesi(66). I risultati hanno dimostrato un’acuità visiva iniziale e finale paragonabile nei due gruppi (Tab. 3). • Uno studio non randomizzato, controllato, con follow-up di 31 mesi ha arruolato 40 pazienti con la migliore acuità visiva corretta ≤20/70. 20 pazienti sono stati trattati con vitrectomia e sheathotomy, e di questi 17 sono stati trattati entro un mese dalla presentazione dei sintomi; dei 20 pazienti del gruppo di controllo (10 sottoposti ad osservazione e 10 trattati con laser), 18 sono stati trattati entro un mese dalla presentazione dei sintomi. Questo è probabilmente l’unico studio in cui si evidenzia una differenza importante tra i due gruppi in quanto si è dimostrato che la media di linee di acuità visiva acquistata era di 4.55 nel gruppo trattato con chirurgia e di 1.55 nel gruppo di controllo (non trattati o trattati con laser) (P=0.0226; 1.1 linee nel gruppo di osservazione e 2.0 linee nel gruppo laser)(67). • Uno studio non randomizzato, controllato, con follow-up di 6 settimane, ha arruolato 68 pazienti con acuità visiva ≤20/50, BRVO con edema maculare ed estese emorragie. Di questi pazienti 43 sono stati sottoposti a sheathotomy e 25, che avevano rifiutato l’intervento, rappresentavano il gruppo controllo(68) (Tab. 4). - 40 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica Tabella 3. Risultati di uno studio clinico randomizzato, non in cieco, che ha valutato la sheathotomy successiva a vitrectomia via pars plana versus sola vitrectomia (Mod da: Kumagai K et al., Retina 2007)(66) Dati Gruppo sottoposto a vitrectomia (n=18) Gruppo sottoposto a sheathotomy (n=18) p Preoperatorio 0.52 (0.45) 0.53 (0.29) 0.94 1 mese 0.32 (0.32) 0.40 (0.40) 0.52 2 mesi 0.25 (0.29) 0.29 (0.31) 0.7 3 mesi 0.24 (0.29) 0.25 (0.35) 0.88 6 mesi 0.25 (0.34) 0.15 (0.24) 0.33 12 mesi 0.15 (0.28) 0.061 (0.15) 0.24 Finale 0.08 (0.18) 0.014 (0.15) 0.25 Occhi con AV ≥1.0, n. (%) 8 (44) 12 (67) 0.32 Occhi con AV ≥0.5, n. (%) 17 (94) 18 (100) >0.99 Miglioramento visivo in logMAR (SD) 0.44 (0.43) 0.52 (0.21) 0.057 Migliorata 14 (78) 18 (100) 0.10 Invariata 4 (22) 0 - 0 0 - logMAR medio (SD) Variazione in AV*, n. (%) Peggiorata * Il miglioramento o il peggioramento dell’AV finale è stato definito come la variazione di più o meno 0.2 unità logMAR. AV=acuità visiva; logMAR=logaritmo del minimo angolo di risoluzione. - 41 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica Tabella 4. Risultati di uno studio che ha valutato sheathotomy versus controllo. (Mod da: Mester U et al., Retina 2002)(68) Sheathotomy (n=43) Senza chirurgia (n=25) Baseline BCVA 0.16±0.12 0.23±0.12 Follow-up di 6 settimane 0.35±0.25 0.22±0.16 Guadagno di almeno due linee di acuità visiva 60% (26/43) 20% (5/25) Guadagno di quattro o più linee di acuità visiva 28% (12/43) Non riportato • Una serie di casi comparativi ha valutato 35 pazienti con edema maculare e acuità visiva inferiore a 20/100 secondaria a BRVO. 15 pazienti sono stati sottoposti a sheathotomy (gruppo 1) e 20 sono stati sottoposti a vitrectomia senza decompressione (gruppo 2) dimostrando che a 18 mesi il miglioramento dell’acuità visiva era assolutamente paragonabile tra i due gruppi(69) (Tab. 5). Esistono anche altri studi su efficacia della sheathotomy, ma non sono randomizzati e pertanto forniscono informazioni poco utili (Tab. 6). I dati sulla sicurezza della procedura chirurgica indicano che, nonostante la manovra sia abbastanza invasiva, non sussistono gravi complicanze e comunque quelle riportate in letteratura includono principalmente danneggiamento, lacerazione o distacco della retina, emorragia retinica o vitreale, e peggioramento o sviluppo post-operatorio di cataratta (Tab. 7). Si può pertanto concludere che l’occlusione della vena centrale non trova una soluzione nella terapia chirurgica. Inoltre è interessante notare che nell’RVO, a differenza della DMLE e della retinopatia diabetica, il tempestivo intervento mediante terapia medica, in fase acuta, può essere risolutivo sul processo patologico e può permettere di eradicare il problema. In caso di BRVO è fondamentale un’attenta valutazione dell’evoluzione della storia naturale della malattia, in quanto si tratta di una condizione che può anche migliorare spontaneamente. Inoltre è importante la comparazione con il laser, che è lo standard of care. Le evidenze attualmente disponibili in letteratura de- 42 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica Tabella 5. Serie di casi comparativi: variazioni di acuità visiva. Gruppo 1: sheathotomy; gruppo 2: vitrectomia. (Mod da: Figueroa MS et al., Eur J Ophthalmol 2004)(69) Gruppo n. Miglioramento medio (linee) Deviazione standard p (test t di Student) Variazione di AV a 3 mesi 1 2 15 20 1.7 2.0 1.2 2.5 0.651 Variazione di AV a 6 mesi 1 2 15 20 2.3 2.6 1.8 2.7 0.697 Variazione di AV a 9 mesi 1 2 15 20 3.5 3.2 2.4 3.0 0.763 Variazione di AV a 12 mesi 1 2 15 20 3.0 2.8 2.7 3.0 0.881 Variazione di AV a 18 mesi 1 2 15 20 2.1 2.3 2.1 2.8 0.748 AV=acuità visiva Tabella 6. Altri studi di efficacia. Studio Tipologia Pazienti Yamamoto S, et al.(70) Comparativo Prospettico n=36 12 mesi (20 sheathotomy (media) e vitrectomia, 16 solo vitrectomia) Sheathotomy: 0.29±0.35 Vitrectomia: 0.30±0.22; p=0.71 Oh IK, et al.(71) Comparativo Prospettico n=16 (8 sheathotomy e vitrectomia, 8 senza chirurgia) 3 anni (minimo) Sheathotomy: 0.30±0.28 Senza chirurgia: 0.72±0.47; p=0.053 Shimura M, et al.(72) Serie di casi prospettici n=60 (sheathotomy) 6 mesi (media) Baseline: 0.71±0.16 6 mesi: 0.25±0.16 p<0.0001 - 43 - Follow-up Miglioramento in BCVA (logMAR) Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica Tabella 7. Rischio di complicanze dopo procedura chirurgica negli RCT e nei trial comparativi. Studio Tipologia N. (Gruppo chirurgia) Risultati di sicurezza Chung EJ, et al.(65) Randomizzato Controllato 20 Aumenta IOP: 10% (2/20) Significativa progressione della cataratta: 35% (7/20) Nessuna grave complicanza che compromette la visione. Kumagai K, et al.(66) Randomizzato Controllato 18 Emorragia limitata: 6% (1/18) Nessuna grave complicanza che compromette la visione. Mason IJ, et al.(67) Comparativo Prospettico 20 Cataratta nucleare sclerotica: 15% (3/20) Mester U, Dillinger P. (68) Comparativo Prospettico 43 Perdita di 2 o più line di acuità visiva: 2% (1/43) Yamamoto S, et al.(70) Comparativo Prospettico 36 Lacerazione retinica periferica: 5% (1/20) Emorragia del vitreo: 10% (2/20) Cataratta: 10% (1/10) Oh IK, et al.(71) Comparativo Prospettico 8 Cataratta: 87% (7/8) rivano da piccoli studi di bassa qualità e pertanto è possibile trarre solo conclusioni limitate. Non esistono evidenze consistenti per proporre la sheathotomy ai pazienti, in prima battuta o in alternativa ad altre terapie mediche disponibili, sia per l’esiguità degli studi disponibili che per i loro risultati (gli studi comparativi non hanno dimostrato differenze significative). Sarebbero necessari studi comparativi/randomizzati per stabilire se i miglioramenti di acuità visiva siano il risultato della procedura utilizzata oppure siano semplicemente dovuti all’evoluzione naturale della malattia. - 44 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica ■ TRATTAMENTO LASER Messaggi Chiave • Il laser non è una strategia terapeutica atta a curare l’RVO, ma esclusivamente per il trattamento delle sue complicanze (edema maculare o neovascolarizzazione). • Il trattamento laser ha rappresentato lo standard of care per edema maculare secondario ad occlusioni venose di branca; in caso di CRVO ischemiche o neovascolarizzazione retinica secondaria a OBVCR il trattamento laser periferico è utile per controllare la neoangiogenesi. • Il laser può determinare un limitato miglioramento dell’acuità visiva o nessun miglioramento, a seconda delle sottocategorie di pazienti. • In ogni caso, a causa dei suoi limiti (possibili danni visivi a livello centrale), risultano indispensabili nuovi approcci terapeutici. Non sono disponibili in letteratura dati specifici sulla storia naturale dell’RVO, e pertanto tali dati sono ricavati da alcuni studi che hanno comparato l’osservazione al trattamento laser. Il laser non rappresenta una strategia terapeutica atta a curare l’RVO, ma la sua azione viene sfruttata esclusivamente per trattarne le complicanze, quali l’edema maculare o la neovascolarizzazione. Sono possibili diversi approcci: il trattamento laser periferico, il trattamento laser centrale a griglia e le anastomosi corio retiniche mediante laser. Nel caso delle occlusioni venose di branca maggiore, il Branch Vein Occlusion Study, primo studio multicentrico internazionale di rilievo, ha dimostrato che il gruppo controllo (non trattato) nel 37% dei casi garantisce, a 3 anni, un miglioramento di 2 linee. A 3 anni, ⅓ dei pazienti (34%) ha un’acuità visiva di 5/10 e il 23% ha un’acuità visiva di almeno 1/10(73). Quindi una buona percentuale di pazienti con BRVO (circa ⅓) migliora comunque di almeno due linee a prescindere dal trattamento. Questa considerazione è molto importante soprattutto quando si devono valutare altri trattamenti, come ad esempio cortisone, sheathotomy o altri. Nel Branch Vein Occlusion Study è stato arbitrariamente stabilito un cut-off tale per cui i pazienti con valori di acuità visiva inferiore ai 5/10 sono stati trattati e - 45 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica quelli con valori superiori non hanno ricevuto il trattamento. Questa distinzione successivamente si è rivelata appropriata: gli oltre 30 pazienti con acuità visiva >20/40 hanno mostrato un buon livello di miglioramento e una tendenza a non peggiorare. Nei pazienti con BRVO può essere realizzato un trattamento laser convenzionale, un trattamento laser sottosoglia oppure un trattamento combinato. I dati di uno studio multicentrico che ha valutato il trattamento laser periferico e il trattamento laser centrale a griglia, hanno dimostrato l’opportunità di utilizzare il trattamento laser periferico per ridurre lo sviluppo dell’emorragia vitreale e della neovascolarizzazione retinica. A tale proposito è bene ricordare come, a differenza delle forme di CRVO ischemiche, favorenti la formazione di neovasi soprattutto nella parte anteriore, le forme di BRVO ischemica favoriscano la formazione di neovasi posteriori. Tuttavia, a causa del danno centrale a livello del campo visivo, i risultati dello studio consigliano di evitare il trattamento delle forme ischemiche fino a quando non si sviluppano i neovasi(74). Dieci anni dopo tali evidenze, anche Hayreh ha dimostrato che il trattamento laser periferico di forme ischemiche di BRVO riduce il rischio di sviluppare neovasi retinici ed emorragie vitreali, ma che il trattamento determina contemporaneamente un significativo peggioramento della perimetria(62). L’utilità del trattamento laser centrale a griglia nella BRVO è dimostrata da un unico studio che ha evidenziato come il miglioramento medio di acuità visiva, a 3 anni, sia di 1.3 linee e di 2 linee nel 65% dei casi. Tuttavia, lo studio dimostra che in seguito al trattamento si producono danni a livello centrale con riduzione della sensibilità, atrofie, fibrosi e possibile sviluppo di neovascolarizzazione coroideale(73). Deve essere comunque sottolineato che lo studio multicentrico BVO non ha considerato diversi aspetti: il ruolo del trattamento precoce, il trattamento a griglia nelle forme ischemiche (che rappresentano la maggioranza dei casi), i pazienti con acuità visiva >20/40, quelli con emorragie maculari; infine, non sono state considerate separatamente le forme di branca più piccole, parcellari, che sono forme di branca maculari. Le forme di branca maculari (occlusione venosa all’interno dell’area maculare) rispetto alle forme di branca hanno una prognosi migliore e spesso non necessitano di trattamento laser. Uno studio clinico randomizzato controllato, con un follow-up di 12 mesi, condotto su 99 pazienti con BRVO, ha dimostrato che un trattamento laser a griglia precoce, condotto entro 1 mese dalla diagnosi, o tar- 46 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica divo, condotto dopo 3 mesi dalla diagnosi, non fornisce risultati diversi rispetto alla semplice osservazione(75). Uno studio condotto su 36 pazienti randomizzati a trattamento laser a griglia convenzionale (19 occhi) e a trattamento laser a griglia sottosoglia (17 occhi) ha dimostrato che i due trattamenti avevano uguale efficacia, ma il trattamento sottosoglia non determinava un miglioramento dell’acuità visiva. Dunque i risultati (Fig. 7) dimostrano che la variazione media dello spessore foveale e la variazione media dell’acuità visiva procedono di pari passo(76). In definitiva, per ottenere un miglioramento dell’efficacia terapeutica si dovrebbe avere: • aumento medio di acuità visiva maggiore di 1.3 linee; • aumento di 2 linee di acuità visiva in oltre il 65% dei casi; Laser sottosoglia (a diodi) A 600 550 500 450 400 350 300 250 200 150 100 50 0 480 454 457 252 baseline Laser soglia (a kripton) 6 mesi 217 226 215 229 208 217 12 mesi 18 mesi 24 mesi 0.31 0.32 B 0.4 0.25 0.2 0 0.2 0.2 baseline 0.28 0.26 0.27 0.28 0.2 6 mesi 12 mesi 18 mesi 24 mesi Figura 7. A: Variazione media dello spessore foveale. B: variazione media di AV. - 47 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica • eliminazione della cicatrice centrale nell’area maculare; • riduzione del danno periferico; • eventualmente prevenzione dell’insorgenza di neovasi. TERAPIA COMBINATA Le terapie combinate sono utilizzate per l’occlusione di branca e in particolare per l’edema maculare. Uno studio che ha valutato il trattamento laser sottosoglia (13 occhi) versus trattamento combinato laser sottosoglia + triamcinolone (11 occhi) ha permesso di dimostrare che la terapia combinata garantisce un miglioramento di 2 linee nel 91% dei casi, rispetto al 61% ottenuto con il trattamento laser in monoterapia. La riduzione dell’edema maculare con i due trattamenti è risultata paragonabile, ma la terapia combinata ha permesso di ottenere più rapidamente il miglioramento dell’acuità visiva(77). Lo svantaggio provocato dalla terapia combinata è che più della metà dei pazienti diventa glaucomatoso, e si ha quindi un cambiamento rilevante nella qualità di vita del paziente. Se si considerano i dati sommati dei possibili trattamenti laser a griglia per l’edema maculare nella BRVO, si osserva che, nonostante valori medi di acuità visiva paragonabili al basale, ad 1 anno vi è una considerevole differenza rispetto al trattamento combinato. Nel caso di terapia combinata, dopo 1 anno il 91% dei pazienti ha un incremento di acuità visiva media superiore a 2 linee e solo il 10% rimane stabile. Si è quindi dimostrato che solo l’aggiunta di un ulteriore trattamento alla terapia laser può determinare un miglioramento significativo dei risultati visivi, garantendo un aumento medio di circa 3.4 linee rispetto ai valori di 1.3-1.5 dovuti alla sola terapia laser. Lo studio multicentrico Central Vein Occlusion Study Group ha evidenziato come l’edema maculare possa determinare un profondo deterioramento dell’acuità visiva che purtroppo non beneficia di un trattamento laser a griglia. Tale trattamento infatti assicura il riassorbimento dell’edema maculare senza determinare un miglioramento della funzione visiva. Nel caso di edema maculare secondario ad occlusione venosa retinica centrale, si possono estrapolare dati relativi alla storia naturale della malattia. I risultati di uno studio che ha considerato pazienti affetti da CRVO da almeno 3 mesi, senza distinguere forme ischemiche e non ischemiche, in cui 77 pazienti erano trattati con fotocoagulazione laser a griglia e 78 non ricevevano trattamento, hanno dimostrato che il sottogruppo di osservazione presentava co- 48 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica munque un miglioramento spontaneo. Circa il 10% dei casi migliora comunque con la storia naturale e a 36 mesi il miglioramento è pari al 12%. Naturalmente il miglioramento spontaneo è un fattore confondente che è importante tenere in considerazione(78). Un altro studio, che ha considerato sia forme ischemiche che non ischemiche, ha dimostrato che nei casi in cui l’acuità visiva di partenza è <20/200 solo l’1% dei pazienti migliora in modo significativo (AV≥20/200), mentre il 19% migliora ed arriva ad un’acuità visiva ≥20/40. Quindi, partendo da un valore basso di acuità visiva non si ottiene un gran miglioramento. Pazienti che partono da una situazione di AV=20/200-20/50 difficilmente peggiorano, il 63% si stabilizza oppure migliora. Nel caso di pazienti con AV≥20/40, i 2/3 dei pazienti si stabilizzano o migliorano (65%), di questi una piccola percentuale migliora probabilmente per la storia naturale della malattia, il 35% peggiora. Questo studio ha dimostrato che in occhi con visione buona o pessima l’acuità visiva al basale è un forte predittore dell’acuità visiva a 3 anni, ma non lo è in occhi con acuità visiva intermedia(79). Per quanto riguarda, infine, il trattamento periferico, uno studio di Hayreh ha dimostrato l’inutilità della fotocoagulazione panretinica (PRP) in quanto non è stata dimostrata, tra il sottogruppo sottoposto a trattamento laser e quello non trattato, una differenza statisticamente significativa per quanto riguarda la presenza di neovasi angolari, glaucoma, emorragia vitreale ed acuità visiva; le uniche differenze statisticamente significative riguardano i neovasi dell’iride e la perdita di campo visivo(80). Alla luce di queste considerazioni è possibile concludere che il trattamento laser è sicuramente lo standard of care per edema maculare e neovascolarizzazioni retiniche/oculari secondarie ad occlusioni venose di branca. Invece, in caso di CRVO ischemiche il trattamento laser periferico è utile per controllare i neovasi oculari. Peraltro è possibile affermare che il laser può determinare un limitato aumento dell’acuità visiva o nessun miglioramento, a seconda delle sottocategorie. - 49 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica ■ TRATTAMENTI FARMACOLOGICI (ANTI-VEGF) Messaggi Chiave • L’uso dei farmaci anti-VEGF nei disordini retinici vascolari induce un miglioramento dell’acuità visiva ed una riduzione dello spessore maculare, a breve termine, necessita di un numero di iniezioni multiple per la gestione della patologia (reiterazione della procedura). • Sempre a breve, è stato dimostrato un indubbio profilo di sicurezza sia oculare che sistemico. • Il trattamento anti-VEGF potrebbe rivelarsi utile nella gestione delle complicanze dell’RVO come il glaucoma neovascolare. • A seconda della tipologia di pazienti, possono verificarsi diverse risposte terapeutiche: è necessario approfondire ulteriormente i fattori predittivi (p.es. durata RVO). • Sono utili studi clinici randomizzati controllati per rispondere ad alcune questioni ancora aperte (schema terapeutico, timing dell’intervento...). Il Vascular Endothelial Growth Factor (VEGF) riveste un ruolo importante nelle occlusioni venose retiniche per la sua proprietà di stimolazione dell’angiogenesi e di aumento della permeabilità vascolare(81,82). Inoltre, il VEGF possiede numerose proprietà: garantisce la sopravvivenza vascolare, induce la fenestrazione a livello dei vasi, agisce come agente pro-infiammatorio e neuroprotettivo(83). I dati disponibili in letteratura hanno dimostrato come, in pazienti affetti da CRVO, la concentrazione intravitreale di VEGF sia più elevata rispetto a soggetti sani o affetti da altre patologie retiniche(84), e come tale concentrazione sia correlata al decorso clinico della CRVO ed associata a differenti gradi di severità della patologia(85). Inoltre, più recentemente, si è dimostrato che la concentrazione intravitreale di VEGF è più elevata nei pazienti affetti da forme ischemiche di CRVO(86). Per quanto riguarda gli anti-VEGF, sono disponibili in letteratura diversi casi retrospettivi e interventional cases prospettici, e sono inoltre disponibili risultati di RCT. - 50 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica RANIBIZUMAB (LUCENTIS) INTRAVITREALE IN CRVO E BRVO Uno studio clinico, randomizzato, prospettico, ha considerato 20 occhi con CRVO e 20 occhi con BRVO osservati per un follow-up molto breve, di soli tre mesi, al fine di valutare l’efficacia di 3 iniezioni consecutive (loading phase), realizzate a distanza di un mese di 0.5 e 0.3 mg di ranibizumab. I risultati hanno dimostrato un significativo miglioramento dell’acuità visiva in entrambi i gruppi con i diversi dosaggi(87). Un altro studio clinico randomizzato, prospettico, open-label, è stato condotto su occhi con CRVO, osservati per un follow-up medio di 9 mesi, che ricevevano 3 iniezioni consecutive mensili da 0.3 e 0.5 mg di ranibizumab e ripetevano il trattamento a tempi prestabiliti dopo 6 e 9 mesi (secondo lo schema terapeutico dello studio PIER). I risultati hanno dimostrato che si ottiene un incremento significativo di acuità visiva ed una riduzione importante dello spessore maculare; tuttavia, in entrambi gli outcome l’efficacia del trattamento è inficiata da una notevole variabilità dei risultati (elevata deviazione standard). Il numero medio di iniezioni è stato pari a 5 e non si sono evidenziate differenze significative tra i due dosaggi di ranibizumab. Inoltre, il miglioramento ottenuto si perdeva dopo la loading phase, pertanto i ritrattamenti fissi realizzati a 6 e 9 mesi non rappresentavano sicuramente la scelta più appropriata, e probabilmente un trattamento PRN avrebbe fornito risultati migliori(88) . Un altro interventional case series prospettico che ha considerato 20 occhi con CRVO con un follow-up di 12 mesi, ha dimostrato che 3 iniezioni consecutive di ranibizmab, seguite da trattamento PRN, determinano un significativo miglioramento dell’acuità visiva (da 45.8 a 64.3 lettere, 56.3% > 3 linee) ed una significativa riduzione dello spessore maculare (da 574.6 a 186 µm); non è stata però dimostrata alcuna correlazione tra miglioramento funzionale e morfologico. La media delle iniezioni in questo studio è stata molto alta, pari a 8.5 89. Per il ranibizumab sono disponibili anche due studi randomizzati controllati, ma non ancora pubblicati: CRUISE e BRAVO. Lo studio CRUISE, di fase III, randomizzato, multicentrico, controllato versus placebo, condotto negli Stati Uniti, ha valutato a 6 mesi l’efficacia e la sicurezza di ranibizumab intravitreale somministrato con iniezioni mensili rispetto ad iniezioni simulate in soggetti con edema maculare, secondario ad occlusione della vena centrale della retina. Tra i criteri di inclusione erano considerati: un tempo massimo dalla diagnosi di 12 mesi, acuità visiva con valori compresi tra 20/40 - 51 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica e 20/320, spessore maculare ≥250 µm. Il disegno dello studio prevedeva la randomizzazione dei pazienti in tre gruppi: trattamento con placebo, con ranibizumab 0.3 mg e con ranibizumab 0.5 mg; l’endpoint primario era valutato a 6 mesi. I risultati hanno dimostrato un consistente miglioramento dell’acuità visiva, osservato già dopo 7 giorni di trattamento con il farmaco e mantenuto fino a sei mesi. Il mean change dell’acuità visiva a 6 mesi è di circa 14 lettere, con il 47.7% di pazienti che migliora di circa 3 linee, con una media di 5.6 iniezioni. Per quanto riguarda la sicurezza, non sono stati segnalati particolari effetti collaterali in aggiunta a quelli già noti in letteratura. Lo studio BRAVO è stato condotto per confrontare, a 6 mesi, efficacia e sicurezza del trattamento intravitreale con ranibizumab somministrato con iniezioni mensili rispetto al placebo, in soggetti con edema maculare secondario a occlusione venosa di branca. I criteri di inclusione prevedevano: edema maculare foveale secondario a BRVO oppure occlusione retinica emisferica diagnosticati entro 12 mesi dallo screening, acuità visiva con valori compresi tra 20/40 e 20/400, spessore foveale centrale ≥250 µm. Anche in questo studio i pazienti sono stati randomizzati in 3 gruppi: trattamento con placebo, con ranibizumab 0.3 mg e ranibizumab 0.5 mg. In questo caso, a partire dal terzo mese, vi era la possibilità di un trattamento rescue laser. I risultati hanno dimostrato che anche in caso di occlusione di branca il ranibizumab determina un netto miglioramento dell’acuità visiva, visibile già dopo 7 giorni, e mantenuto per 6 mesi. Il mean change, a 6 mesi, è di 18 lettere e il 61% dei pazienti migliora di più di 3 linee con una media di 5.7 iniezioni. Anche in questo studio non sono stati segnalati particolari effetti collaterali in aggiunta a quelli già noti in letteratura. PEGAPTANIB (MACUGEN) INTRAVITREALE IN CRVO E BRVO Un recente studio randomizzato controllato ha arruolato pazienti con CRVO, trattandoli con 0.3 e 1 mg di pegaptanib intravitreale versus placebo, somministrando le iniezioni ogni 6 settimane, per sei mesi consecutivi. I risultati di questo studio hanno dimostrato che il farmaco garantisce un miglioramento dell’acuità visiva ed una diminuzione dello spessore maculare(90). Tali risultati sono stati confermati da un altro studio che ha arruolato pazienti con BRVO (20 occhi seguiti per un anno) prevedendo uno schema terapeutico caratterizzato dalla somministrazione di 3 iniezioni consecutive di pegaptanib 0.3 e 1 mg, ogni 6 settimane, seguite da PRN per 48 settimane. Nonostante il miglioramento del- 52 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica l’acuità visiva e la riduzione dello spessore maculare, i risultati sono inficiati da una deviazione standard consistente(91). BEVACIZUMAB (AVASTIN) INTRAVITREALE IN CRVO In un interventional case series prospettico, consecutivo, non comparativo sono stati considerati 46 occhi con CRVO di cui 30 affetti da forme non ischemiche e 16 da forme ischemiche, con un follow-up di 6 mesi e differenziando, per la prima volta, l’efficacia del trattamento di forme più recenti (con comparsa dei sintomi <3 mesi) e di forme avanzate (con comparsa dei sintomi >3 mesi). I risultati hanno dimostrato un miglioramento dell’acuità visiva superiore nelle forme precoci (acuità visiva media +15.8 lettere) rispetto a quelle più avanzate (acuità visiva media +13.4 lettere), associato ad una consistente diminuzione dello spessore maculare(92) (Tab. 8). Il confronto dei risultati ha dimostrato che, nonostante i diversi valori di partenza di acuità visiva, si ottiene un miglioramento paragonabile nelle forme ischemiche e non ischemiche. Tabella 8. Interventional case series: risultati. (Mod da: Priglinger SG et al., Retina 2007)(92) Risultati per 30 casi di occlusione non ischemica della vena centrale retinica Dati Baseline 2 sett. 6 sett. 3 mesi 6 mesi Acuità visiva, logMAR 0.91±0.34 0.66*±0.34 0.62*0.36 0.58±*0.35 0.51*±0.36 Punteggio in lettere ETDRS 44.8±18.2 57.0*±19.4 55.3*±18.7 57.1*±19.1 58.7*±19.5 OCT, µm 535±124 359*±103 371*±110 359*±106 350*±104 Risultati per 16 casi di occlusione ischemica della vena centrale retinica Dati Baseline 2 sett. 6 sett. Acuità visiva, logMAR 1.52±0.34 1.19*±0.46 1.15*±0.39 1.26*±0.46 1.06*±0.45 Punteggio in lettere ETDRS 15.2*±15.1 30.2*±25.9 29.1*±23.6 26.6*±23.1 28.3*±24.0 OCT, µm 297*±153 295*±124 301*±122 534±193 *Confronto con i risultati del baseline: P <0.05 (Mann-Whitney U test) - 53 - 3 mesi 6 mesi 279*±127 Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica BEVACIZUMAB (AVASTIN) INTRAVITREALE IN RVO Un interventional case series prospettico, con un primo follow-up a 6 mesi ed un secondo follow-up ad 1 anno, ha valutato 29 pazienti (8 affetti da CRVO e 21 da BRVO) dimostrando come tre iniezioni consecutive di 1 mg di bevacizumab, ripetute ogni 4 settimane ed accompagnate da un trattamento secondo schema PRN, basato sui risultati OCT, determinassero ad ogni follow-up un miglioramento significativo di acuità visiva (acuità visiva media +15 lettere) e spessore maculare (riduzione media di 198 µm) in pazienti affetti da occlusioni venose di branca, ma non da CRVO(93). Risultati analoghi sono emersi dal follow-up ad 1 anno, dimostrando un considerevole incremento dell’acuità visiva, statisticamente significativo solo in pazienti affetti da BRVO (miglioramento medio pari a 18 lettere rispetto alle 7 lettere delle forme CRVO). La media delle iniezioni in entrambi i gruppi era pari a 8(94). Questi dati sono confermati da altre serie di casi prospettici che hanno arruolato 21, 23 o 34 pazienti affetti da BRVO, seguiti per un follow-up di 6 mesi, dimostrando essenzialmente un miglioramento dell’acuità visiva ed una riduzione importante dello spessore maculare. Tali lavori hanno utilizzato un diverso numero di iniezioni a seconda dello schema di trattamento previsto(95-97). Inoltre, è importante citare uno studio prospettico randomizzato che ha valutato 30 casi di BRVO per un follow-up di 12 mesi e che ha realizzato un confronto tra trattamento intravitreale con 1,25 mg di bevacizumab e laser a griglia (in media i pazienti ricevevano due iniezioni i.v. o 2 trattamenti laser). I risultati hanno dimostrato che si ottiene, in entrambi i casi, un incremento significativo dell’acuità visiva ed una significativa riduzione dello spessore; tuttavia, il miglioramento è risultato essere più consistente nel gruppo trattato con bevacizumab(98) (Tab. 9). I farmaci anti-VEGF possiedono alcuni limiti: Limitata durata dell’efficacia durante il follow-up Nonostante sia stata ampiamente dimostrata l’efficacia degli anti-VEGF nel migliorare significativamente l’acuità visiva e nel ridurre lo spessore maculare, questi farmaci hanno un’efficacia di durata limitata. Iniezioni di bevacizumab e ranibizumab garantiscono un rapido miglioramento già dopo 1 giorno o 1 settimana di trattamento, l’efficacia massima si raggiunge a 1.5 mesi e viene persduta al terzo mese. Nel caso del ranibizumab, inoltre, il miglioramento raggiunto sembra perdersi dopo la loading phase. La limitata durata dell’efficacia è ulteriormente giustificata dal tempo di emivita vitreale di bevacizumab e ranibizu- 54 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica Tabella 9. I risultati degli studi dimostrano che Spaide e Prager ottengono un più elevato miglioramento dell’acuità visiva, ma necessitano di un più alto numero di iniezioni intravitreali (8 oppure 8.5). Farmaco Folow-up CRVO BRVO Acuità visiva CRVO Spessore retinico centrale (µm) BRVO Numero iniezioni CRVO BRVO CRVO BRVO +14 +18 -90% (0.5 mg) (0.5 mg) -90% 3 3 Campochiaro 2008(87) Ranibizumab 0.5/0.3 mg 3m 3m Spaide 2009(89) Ranibizumab 0.5 mg 12 m - +18.5 - -388.6 - 8.5 - Pieramici 2008(88) Ranibizumab 0.5/0.3 mg 9m - +1±24 - -119 - 5 - Wroblewski 2009(90) Pegaptanib 0.3/1 mg 6m - +7.1 (0.3 mg) - -243 - 5 - Wroblewski 2010(91) Pegaptanib 0.3/1 mg - 12 m - +14±13 - -205±195 - 7.2 (0.3 mg) Priglinger 2007(92) Bevacizumab 1.25 mg 6m - +13.9 - -212 - 2-4 - Kreutzer 2008(97) Bevacizumab 1.25 mg - 6m - +15.3 - -158 - 2.9 Kriechbaum 2008(93) Bevacizumab 1 mg 6m 6m +12 +15 -96 -198 4.8 5.5 Prager 2009(94) Bevacizumab 1 mg 12 m 12 m +7 +18 -268 -241 8 8 Rensch 2009(95) Bevacizumab 1.5 mg - 6m - da 0.81 a 0.55 logMar - -176 - 3 Jaissle 2009(96) Bevacizumab 1.25 mg - 12 m - da 0.50 a 0.20 logMar - -140 - 2.4 - 55 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica mab, inferiore a 9 giorni. Inoltre va considerato che, come testimoniato da un recente lavoro, il VEGF non rappresenta l’unico fattore nell’eziopatogenesi dell’occlusione venosa retinica, ma altre citochine (IL1a, IL6, IL8) e fattori di crescita potrebbero avere un ruolo e dovrebbero essere considerati nella gestione terapeutica. La concentrazione di tali fattori, dosati nell’umore acqueo, è risultata più alta nella CRVO che nella BRVO, probabilmente a causa della diversa estensione del coinvolgimento retinico. In uno studio recentemente pubblicato, la somministrazione di tre iniezioni consecutive di bevacizumab in pazienti affetti da CRVO ha determinato un crollo dei livelli di VEGF e di IL1a nell’umor acqueo, ma non ha influenzato significativamente le concentrazioni delle altre citochine e degli altri fattori di crescita(99). Iniezioni multiple Ovviamente l’efficacia limitata nel tempo degli anti-VEGF determina la necessità di iniezioni multiple, come testimoniato dall’elevato numero di iniezioni riportato in letteratura. Mancanza di un protocollo terapeutico definito Attualmente non è disponibile uno schema terapeutico preciso per quanto riguarda la modalità di somministrazione degli anti-VEGF, il timing dell’inizio della terapia, i dosaggi da utilizzare e il numero di iniezioni. I vari protocolli utilizzati non hanno mostrato differenze significative sull’outcome finale. Sarebbe opportuno disporre di un protocollo terapeutico personalizzato con una specifica strategia di aumento del dosaggio. Possibilità di effetto rebound sull’edema maculare L’effetto rebound consiste in un aumento dell’edema maculare a livelli superiori a quelli della baseline: come dimostrato da alcuni studi, in seguito ad iniezione di bevacizumab e ranibizumab (indipendentemente dal numero) dopo l’iniziale riduzione dello spessore si assiste ad un effetto rebound(88,100). Si ipotizza infatti che il meccanismo inibitorio sul VEGF, ad opera dei farmaci anti-VEGF, provochi una up-regulation dei recettori del VEGF all’interno della retina. L’aumento dei recettori del VEGF potrebbe rendere le cellule endoteliali più sensibili al VEGF, a sua volta già iperespresso perchè stimolato dall’ischemia che sottende alla patologia stessa(100). L’effetto rebound potrebbe anche essere provoca- 56 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica to dall’incapacità degli anti-VEGF di sopprimere completamente le concentrazioni di VEGF dopo le prime 3 iniezioni: è stato dimostrato, infatti, che dopo le prime 3 iniezioni le concentrazioni di VEGF precipitano a livelli non misurabili, ma questo non si verifica con le successive somministrazioni(99). Mancanza di chiarezza riguardo a fattori predittivi che potrebbero essere utili per capire la risposta dei pazienti al trattamento (CRVO versus BRVO) Altri fattori predittivi oltre all’acuità visiva iniziale sono: la durata della patologia, lo spessore maculare e l’età, soprattutto in caso di CRVO in pazienti molto giovani. Le concentrazioni di VEGF sono negativamente correlate alla durata della patologia: risultano molto più elevate nelle occlusioni di recente isorgenza, pertanto potrebbe essere giustificata la necessità di un trattamento precoce(99). Possibile effetto negativo dovuto all’inibizione a lungo termine del VEGF Il VEGF è un importante fattore di sopravvivenza dei neuroni retinici ed ha un ruolo neuroprotettivo. L’occlusione venosa retinica è una patologia cronica e dinamica che necessita di un trattamento con iniezioni multiple; pertanto, il blocco a lungo termine del VEGF potrebbe provocare conseguenze negative. Possibilità di uno switching, indotto dal VEGF, da una forma non ischemica ad una ischemica(101). - 57 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica ■ TRATTAMENTI FARMACOLOGICI (STEROIDI) Messaggi Chiave In base ai dati disponibili da RCT è possibile affermare che: • nell’occlusione centrale gli steroidi hanno dimostrato la propria utilità; lo studio SCORE, per la prima volta, ha dimostrato che l’utilizzo intravitreale del triamcinolone è efficace per il trattamento di tale affezione; • lo studio SCORE ha, di contro, evidenziato che nelle occlusioni di branca è preferibile (salvo controindicazioni) utilizzare il trattamento laser rispetto al triamcinolone, sia in termini di efficacia che di sicurezza; • il limite del trattamento con triamcinolone è costituito dalla sicurezza a mediolungo termine e dai problemi di safety (effetto catarattogeno e incremento della pressione intraoculare); • tra gli steroidi, un impianto intravitreale iniettabile contenente desametasone (Ozurdex®) ha dimostrato dopo somministrazione semestrale nei pazienti con occlusioni venose retiniche un miglioramento dell’acuità visiva maggiore e più rapido rispetto al controllo, una riduzione dello spessore maculare, così come un ottimo profilo di sicurezza, rappresentando il primo farmaco on label per il trattamento dell’edema maculare secondario ad occlusioni venose retiniche centrali e di branca; • Ozurdex® è quindi utile nelle RVO, ma restano alcune questioni aperte: definire il momento migliore per intraprendere il trattamento; stabilire se possano essere trattati pazienti con patologia cronica; stabilire con quali tempistiche debba essere realizzato il ritrattamento. Considerato che il meccanismo dell’edema maculare nelle malattie vascolari è complesso, e che oltre a prevedere un danno vascolare, mediato dal VEGF, prevede un’alterazione infiammatoria scatenata da una serie di mediatori dell’infiammazione (prostaglandine, interleuchine), è chiaro che le terapie capaci di interferire con più fattori potrebbero fornire le migliori opportunità di successo clinico. I corticosteroidi, a differenza della terapia anti-VEGF, possono anche interferire con il processo infiammatorio e possono teoricamente bloccare entrambe le vie del meccanismo patogenetico. - 58 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica I corticosteroidi hanno sicuramente un forte razionale di impiego nelle trombosi venose che consiste essenzialmente nel target multiplo. Sembrerebbe inoltre che i corticosteroidi possano rivestire un ruolo positivo nel prevenire o ridurre la rottura delle giunzioni intercellulari delle cellule endoteliali, responsabili dell’alterata permeabilità e dell’insorgenza dell’edema(102). Le molecole appartenenti alla classe dei corticosteroidi si differenziano per potenza, efficacia, solubilità in acqua ed emivita. Una recente review ha riportato uno schema delle possibili vie di somministrazione oculare dei vari farmaci permettendo di distinguerle sostanzialmente in due gruppi: somministrazione perioculare e somministrazione intravitreale(103). SOMMINISTRAZIONE PERIOCULARE In letteratura sono disponibili diversi studi riguardanti l’iniezione sub-tenoniana di triamcinolone in pazienti affetti da RVO. Uno di questi ha valutato l’iniezione per via sub-tenoniana del triamcinolone in pazienti affetti da CRVO di recente insorgenza (<4 settimane) dimostrandone l’efficacia sia nella riduzione dell’edema maculare che nel miglioramento dell’acuità visiva; le conclusioni sembrerebbero inoltre dimostrare risultati migliori nelle forme non ischemiche. I limiti dello studio sono sicuramente il ridotto numero di pazienti, il follow-up breve (9 mesi) e l’assenza di un gruppo di controllo, ma nonostante ciò il trattamento precoce potrebbe comunque rivelarsi efficace intervenendo in un momento in cui il danno dei fotorecettori che segue all’edema cronico non è ancora irreversibile(104). Riguardo alle iniezioni con triamcinolone per via sub-tenoniana nelle BRVO, uno studio ha dimostrato come, anche in questo caso, nonostante i limiti, l’iniezione è sicura e relativamente efficace nel trattamento dell’edema maculare associato a BRVO di recente insorgenza (durata media: 4.9 mesi)(105). Inoltre, è necessario considerare che l’iniezione perioculare sembrerebbe interferire in maniera statisticamente significativa con le quantità fisiologiche di concentrazione di corticosteroide nel sangue periferico; a tale proposito, l’assorbimento sistemico del farmaco può rappresentare un problema in caso di pazienti affetti anche da altre patologie dismetaboliche o diabete(106). Iniezioni sub-tenoniane versus intravitreali Altri lavori disponibili in letteratura hanno paragonato le iniezioni sub-tenoniane versus iniezioni intravitreali di triamcinolone permettendo di concludere che en- 59 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica trambe le vie determinano comunque un incremento della pressione endoculare. Tale incremento è risultato più grave, frequente e precoce in caso di iniezione intravitreale, ma quello sub-tenonaiano non deve essere sottostimato in quanto sembra essere più duraturo e comparire più tardivamente. I risultati hanno confermato che i fattori di rischio per lo sviluppo di ipertono oculare sono essenzialmente: la giovane età, ipertono al baseline, sesso femminile (riportato in un solo lavoro), maggiori dosaggi di triamcinolone e iniezioni ripetute. Inoltre, sembrerebbe dimostrato che, a prescindere dalla via di somministrazione, sia necessario avere, anche a lungo termine, un attento follow-up della pressione endoculare (per almeno 6 mesi)(107-110). In conclusione, i dati clinici disponibili in letteratura non consentono di fare affermazioni conclusive sulle iniezioni perioculari. SOMMINISTRAZIONE INTRAVITREALE Triamcinolone Il triamcinolone, grazie alle sue proprietà antiangiogeniche ed anti-edematose, è stato il farmaco maggiormente utilizzato nel trattamento delle malattie vascolari per via intravitreale e l’esperienza clinica a tale riguardo è ricca. I reports disponibili in letteratura, nonostante i limiti causati dall’assenza di dati EBM, sono consistenti e riguardano sostanzialmente l’efficacia a breve termine (transitoria) e i diversi dosaggi (possono variare da 2 a 25 mg, ma la maggior parte ha utilizzato dosaggi da 4 mg). In generale, si è dimostrata una riduzione dell’edema maculare, ma una ridotta efficacia nelle forme ischemiche. Inoltre, sono disponibili diverse valutazioni del triamcinolone versus altri trattamenti. La valutazione del triamcinolone versus bevacizumab, sia nelle CRVO che nelle BRVO, non ha dimostrato significative differenze riguardo all’acuità visiva(111). Gli studi comparativi del triamcinolone versus trattamento laser a griglia(112) e versus osservazione(113) hanno poi aperto la strada ad altri studi. In particolare, una recente review Cochrane aveva concluso che nelle forme centrali non è possibile avere un’indicazione per gli steroidi intraviterali, paragonati all’osservazione, a causa di evidenze inadeguate e mancanza di studi randomizzati sufficientemente validi. Tale conclusione è stata successivamente «superata» con la presentazione dei dati dello studio SCORE. Esistono anche dei report sulla possibilità di realizzare terapie combinate di triamcinolone intravitreale associate a griglia laser(114-116), bevacizumab(117) (studi in cor- 60 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica so) e terapie chirurgiche (RON o vitrectomia)(118-122). I risultati dei lavori citati, unitamente alla diffusa esperienza clinica, consentono di affermare che l’iniezione intravitreale di triamcinolone determina un aumento della pressione intraoculare, con una frequenza anche superiore al 40%, e una progressione della cataratta(123-132). Tali studi non hanno una sufficiente validazione scientifica per consentire affermazioni conclusive, ma recentemente sono stati resi disponibili i risultati dello studio SCORE (The Standard Care versus Corticosteroid for REtinal vein occlusion), sponsorizzato dal National Eye Institute, il cui obiettivo è stato di paragonare efficacia e sicurezza dello standard of care versus triamcinolone intravitreale in pazienti con edema maculare secondario a CRVO e BRVO(133,134). In particolare, si tratta di due studi multicentrici, randomizzati, di fase III, che hanno considerato pazienti con calo della vista secondario ad edema maculare nelle occlusioni venose retiniche e hanno testato 2 diversi dosaggi di triamcinolone intravitreale (1 e 4 mg) paragonandolo allo standard of care, rappresentato rispettivamente dall’osservazione, nelle forme di CRVO, e dal trattamento laser a griglia, nelle forme di branca. Lo studio SCORE ha arruolato un elevato numero di pazienti (rispettivamente 271 pazienti con CRVO e 411 pazienti con BRVO). È stato utilizzato un triamcinolone senza conservanti e sono stati previsti ritrattamenti a distanza di 4 mesi, in caso di edema maculare persistente o di nuova insorgenza dell’edema stesso. L’endpoint primario dello studio era il miglioramento di acuità visiva ≥15 lettere, al dodicesimo mese, rispetto al basale. Inoltre, gli endpoint secondari riguardavano: modifica rispetto al baseline della BCVA, modifica dello spessore all’OCT e comparsa di effetti collaterali. Il numero medio di iniezioni eseguite nei 12 mesi era di circa 2, sia nei pazienti affetti da forme centrali che di branca. Nei pazienti SCORE-CRVO, entrambi i gruppi di trattamento con triamcinolone intravitreale hanno mostrato un miglioramento dell’acuità visiva rispetto al baseline, mentre i peggiori risultati sono stati ottenuti nel gruppo di osservazione. Per quanto riguarda la comparsa degli effetti collaterali a 12 mesi, è stato dimostrato un incremento della pressione intraoculare a valori >10 mmHg e >35 mmHg rispetto al baseline: l’entità dell’incremento è risultata più elevata nel gruppo trattato con 4 mg. Anche l’incidenza di cataratta a 12 e a 24 mesi si è dimostrata paragonabile nel gruppo trattato con 1 mg di triamcinolone e in quello di osservazione, mentre valori più elevati sono stati rilevati nel grup- 61 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica po trattato con 4 mg(133). In caso di CRVO, i dati dello SCORE permettono di concludere che, paragonando l’iniezione intravitreale di triamcinolone 1 e 4 mg versus standard of care (osservazione), entrambi i gruppi di trattamento hanno mostrato un significativo miglioramento dell’acuità visiva a 12 mesi che si è rivelato 5 volte maggiore rispetto al gruppo di osservazione (OR= 5.0). Il beneficio visivo provocato dall’iniezione intravitreale di triamcinolone si è mostrato fino dal 4° mese ed è stato mantenuto fino al ventiquattresimo mese (il potere di tale affermazione diminuisce a 24 e 36 mesi a causa della riduzione del numero di pazienti ma il beneficio sembra persistere). È possibile concludere quindi che l’iniezione intravitreale di triamcinolone è risultata superiore all’osservazione nel trattare il calo della vista secondario ad edema maculare nelle forme centrali. Nei tre gruppi si è verificata una riduzione dello spessore centrale dal baseline fino al ventiquattresimo mese; pertanto, il miglioramento visivo ottenuto con il triamcinolone potrebbe essere correlato non solo alla riduzione dello spessore, ma anche ad un effetto antinfiammatorio che contribuirebbe ad una risposta funzionale visiva migliore nei pazienti trattati con lo steroide. Per quanto riguarda la sicurezza, il gruppo con triamcinolone 1 mg ha dimostrato un profilo di sicurezza sovrapponibile a quello del gruppo di osservazione e superiore a quello trattato con 4 mg. Lo studio SCORE ha permesso dunque di ricavare il seguente messaggio valido nella pratica clinica: le iniezioni di triamcinolone al dosaggio di 1 mg, seguendo i criteri di trattamento segnalati nello studio SCORE, potrebbero essere considerate fino ad 1 anno, e possibilmente 2 anni in pazienti con caratteristiche simili a quelli dello studio SCORE-CRVO(133). Lo studio SCORE-BRVO ha un disegno analogo con l’obiettivo di valutare efficacia e sicurezza dello standard of care (fotocoagulazione laser a griglia) versus triamcinolone intravitreale (1 e 4 mg) per il trattamento dell’edema maculare secondario ad occlusione venosa retinica di branca. Gli effetti collaterali, come l’ipertono oculare (anche in questo caso incremento di 10 e 35 mmHg rispetto al baseline) e l’incidenza di cataratta sono risultati paragonabili nel gruppo trattato con triamcinolone 1 mg e in quello trattato con laser, mentre la percentuale più elevata di pazienti con tali complicanze appartiene al gruppo trattato con triamcinolone 4 mg. In particolare, a 12 mesi il 50% dei pazienti trattati con triamcinolone 4 mg ha avuto un aumento di IOP ≥10 mmHg, e il 41% ha ini- 62 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica ziato la terapia antipertensiva oculare(134). Nonostante a 12 mesi (primary outcome) non sia stata notata una differenza significativa di acuità visiva tra i tre gruppi, inizialmente i pazienti trattati con dosaggi più elevati di triamcinolone sembrano dimostrare acuità visiva e OCT migliori. Il miglioramento funzionale è confermato anche dal miglioramento anatomico, diminuzione dello spessore maculare che, come testimoniato dall’OCT, a 12 mesi è paragonabile nei tre gruppi. Il follow-up ha dimostrato invece che dal dodicesimo al trentaseiesimo mese si verifica un miglioramento dell’acuità visiva più marcato accompagnato da una maggiore riduzione dello spessore maculare nel gruppo di controllo, trattato con il laser. Il gruppo trattato con laser ha anche dimostrato un migliore profilo di sicurezza: i maggiori effetti collaterali si sono verificati nel gruppo trattato con triamcinolone 4 mg. I risultati dello studio SCORE- BRVO hanno quindi permesso di ricavare il seguente messaggio valido nella pratica clinica: la fotocoagulazione laser a griglia, applicata secondo i parametri dello studio SCORE, rimane lo standard of care per il trattamento di pazienti con calo visivo associato ad edema maculare secondario a BRVO(134). Desametasone Oltre al triamcinolone sono stati testati altri corticosteroidi per il trattamento delle trombosi venose retiniche. Il desametasone, ad esempio, è il più potente antinfiammatorio con una potenza 30 volte maggiore del cortisone e 5 volte maggiore del triamcinolone, rispetto al quale è 5 volte più solubile in acqua; pertanto, per ottenere gli stessi effetti farmacologici sono sufficienti dosaggi di farmaco inferiori(135,136) (Tab. 10). Il desametasone, anche a concentrazioni relativamente basse, ha dimostrato potenti proprietà antinfiammatorie: è in grado di interferire con il VEGF e con una serie di citochine implicate nel complesso meccanismo patogenetico dell’edema maculare, modulando tutti i mediatori del danno vascolare e infiammatorio. L’utilizzo dei corticosteroidi per il trattamento dell’edema maculare permette di agire su tutti i mediatori dell’infiammazione sia a monte del processo, bloccando l’ulteriore produzione, sia a valle, agendo sui mediatori in circolo; invece, l’effetto degli anti-VEGF dovrebbe essere limitato solo a valle e solo su uno dei mediatori (Fig. 8)(137-139). - 63 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica Tabella 10. Potenza relativa delle varie molecole di corticosteroidi. (Mod da: Hardman JG et al., New York: McGraw-Hill, 1996)(135) Corticosteroidi Potenza relativa Cortisone 0.8 Cortisolo 1 Prednisone 4 Metilprednisolone 5 Triamcinolone 5 Betametasone 25 Desametasone 25 Fluocinolone acetonide 25 IC50 (nM) 100 Inibizione (%) 80 60 40 20 0 0 10-9 10-8 10-7 10-6 Concentrazioni di desametasone (M) 10-5 C3 1054 ENA-78 615 Eotaxin 294 G-CSF 65 GM-CSF 21 TNF RII 550 MIP-1ß 517 MMP-2 39 MMP-3 20 Myoglobin 951 RANTES 550 CAM-1 578 IL-6 258 MCP-1 1294 VEGF165 12 Figura 8. Il grafico mostra la percentuale di inibizione di una serie di mediatori dell’infiammazione versus diverse concentrazioni di desametasone. Per l’inibizione completa di tutti i mediatori dell’infiammazione sono stati necessari dosaggi più elevati di farmaco. (Mod da: Nehmé A et al., Invest Ophthalmol Vis Sci 2008)(139) - 64 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica L’uso del desametasone per il trattamento delle patologie oculari è abbastanza limitato per l’impossibilità di mantenere un adeguato dosaggio del farmaco nel segmento posteriore: a causa dell’emivita estremamente breve del desametasone somministrato con iniezioni intravitreali, pari a circa 3 ore, sarebbero necessarie somministrazioni ripetute nel tempo per garantire l’effetto terapeutico. Questi limiti sono stati superati grazie ad una nuova formulazione contenente desametasone in un impianto intravitreale iniettabile, in applicatore, sterile, precaricato e monouso. Ozurdex® contiene 700 µg (0.7 mg) di desametasone all’interno di NOVADUR™, un copolimero di acido lattico e acido glicolico, completamente biodegradabile che si dissolve in acqua e diossido di carbonio, non necessita così di inserzione chirurgica, né di asportazione o di sutura della sclera dopo l’impianto, in quanto risulta autosuturante. Ozurdex®, grazie all’innovatività del sistema a rilascio controllato, permette di raggiungere e mantenere concentrazioni di desametasone clinicamente efficaci direttamente nel vitreo. Uno studio di farmacocinetica ha dimostrato un rilascio sino a 180 giorni(140,141). Il primo studio che ha valutato l’impianto intravitreale di desametasone a 350 µg, 700 µg versus sham ha preso in esame pazienti con edema maculare secondario a RVO, retinopatia diabetica, Irvine-Gass e uveiti, in cui l’impianto è stato iniettato con un’incisione per via pars plana(141). Successivamente l’impianto è stato studiato in maniera specifica in applicatore con lo scopo di iniettare il farmaco direttamente nel vitreo(142). La sicurezza ed efficacia dell’impianto intravitreale in applicatore sulla popolazione di pazienti con edema secondario ad occlusione venosa retinica è stata dimostrata nello studio GENEVA (Global Evaluation of ImplaNtable dExamethasone in retinal Vein occlusion with macular edema). Proprio i risultati dello studio GENEVA hanno consentito ad Ozurdex® di diventare il primo farmaco on-label per il trattamento dell’edema maculare secondario ad occlusioni venose retiniche centrali e di branca (indicazione FDA). Il GENEVA è uno studio clinico, randomizzato, registrativo, di fase III, che prevedeva di valutare efficacia e sicurezza dell’impianto intravitreale di desametasone versus placebo in caso di perdita di visione causata da edema maculare associato a occlusioni venose centrali o di branca. In pratica si tratta di 2 studi identici di 6 mesi, di fase III, multicentrici, mascherati, prospettici, randomizzati, controllati versus iniezione sham, che dopo i primi 6 mesi prevedevano una successiva fase di altri 6 mesi, in aper- 65 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica to. Sono stati arruolati un totale di 1267 pazienti; i criteri di inclusione prevedevano una durata di edema maculare di almeno 6 settimane e fino a 12 mesi nelle forme di branca (BRVO) e da 6 settimane a 9 mesi nelle forme centrali (CRVO); circa il 50% dei pazienti in studio aveva una durata di edema maculare compresa tra 3 e 6 mesi. Il disegno dello studio prevedeva una prima fase di trattamento della durata di 6 mesi nella quale i pazienti erano randomizzati in 3 gruppi: 1) iniezione con desametasone 350 µg; 2) iniezione con desametasone 700 µg; 3) sham (procedura di simulazione). Nei successivi 6 mesi vi era una fase open-label durante la quale tutti i pazienti dei tre gruppi, se avevano le caratteristiche per il ritrattamento, ricevevano 1 iniezione di desametasone 700 µg. L’endpoint primario era il tempo necessario per avere un miglioramento in acuità visiva ≥15 lettere rispetto al baseline. Gli endpoint secondari includevano un miglioramento di almeno 15 lettere in BCVA, spessore retinico centrale e sicurezza(143). Per quanto riguarda l’endpoint primario, la probabilità cumulativa di risposta è risultata più alta nel gruppo trattato con 700 µg versus sham. Una differenza significativa si osserva già al trentesimo giorno e viene mantenuta per tutto il follow-up dei primi 6 mesi. Per quanto riguarda gli endpoint secondari, il maggiore vantaggio di acuità visiva è stato ottenuto nei pazienti trattati con 700 µg; tale vantaggio è stato più evidente al sessantesimo giorno. Il miglioramento di acuità visiva si riduce verso il sesto mese, quando, compatibilmente con la durata massima dell’impianto, si perde la significatività statistica. Allo stesso modo, per l’OCT, i pazienti trattati con 700 µg hanno mostrato la migliore risposta a 90 giorni, con una differenza significativa rispetto allo sham, significatività che si perdeva verso il sesto mese. Per quanto riguarda gli eventi avversi, nel corso dei primi 6 mesi di follow-up i pazienti del gruppo non trattato non hanno dimostrato sostanziali variazioni della pressione oculare; invece, i pazienti sottoposti a trattamento con desametasone (350 µg o 700 µg) hanno presentato un aumento della pressione intraoculare, con un picco al sessantesimo giorno che però si è normalizzato a 6 mesi. In particolare, nel gruppo trattato con 700 µg, l’aumento del tono oculare >10 mmHg rispetto al baseline si è osservato nel 15% dei pazienti e solo il 23% di questi ha necessitato di terapia ipotensiva topica. A 6 mesi lo 0.7% dei pazienti in trattamento con desametasone 700 µg ha ne- 66 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica cessitato di chirurgia filtrante; dopo 12 mesi questa percentuale è aumentata al valore di 1.2%. Per quanto riguarda la progressione/chirurgia per cataratta non è stata evidenziata alcuna differenza significativa versus il gruppo non trattato. La fase di estensione dello studio a 12 mesi, open-label, che prevedeva la 2° iniezione di desametasone 700 µg solo per i pazienti elegibili al ritrattamento, ha permesso di evidenziare che: • i pazienti trattati precedentemente con desametasone 350 µg o 700 µg, dopo la seconda iniezione da 700 µg sono migliorati con un trend essenzialmente stabile, mostrando un nuovo picco a 60 giorni. Il 19% dei pazienti inizialmente trattati con 700 µg ha mantenuto il vantaggio visivo anche oltre i 6 mesi; pertanto non ha necessitato di essere ritrattato e ha ricevuto un’unica iniezione in 12 mesi; • i pazienti che nella fase iniziale randomizzata non erano stati trattati (gruppo di controllo) hanno comunque mostrato un miglioramento visivo, se trattati dopo 6 mesi con desametasone 700 µg, anche se il trend di miglioramento dopo due iniezioni di desametasone 700 µg è risultato più marcato; • sia dopo la prima, che dopo la seconda iniezione di desametasone 700 µg, il miglioramento è diminuito a 6 mesi; • anche dopo la seconda iniezione di desametasone 700 µg, l’andamento della pressione oculare ha mostrato un incremento intorno al sessantesimo giorno con un ritorno ai valori basali dopo 6 mesi, indicando che l’incremento del tono oculare dopo iniezione intravitreale dell’impianto di desametasone è sostanzialmente gestibile, prevedibile e transitorio; • l’estrazione di cataratta è risultata più alta dopo il secondo trattamento. Pertanto, in base a questi dati, si può concludere che l’impianto intravitreale di desametasone si è dimostrato efficace e sicuro nel trattamento dell’edema maculare secondario a BRVO e CRVO, sia nel caso di edema recente che cronico (cioè durata >3 mesi); esso ha inoltre mostrato una rapidità d’azione molto superiore al placebo (41% versus 23%): già dopo 30 giorni dall’impianto i pazienti iniziano a recuperare almeno 15 lettere in acuità visiva e con un buon profilo di tollerabilità. Ozurdex® è stato il primo farmaco autorizzato dall’FDA nelle RVO, attualmente è l’unico farmaco già in commercio negli Stati Uniti con indicazione per il trattamento dell’edema maculare secondario ad occlusioni venose retiniche centrali e di branca e l’unico farmaco approvato dall’Ente Regolatorio Europeo EMA - 67 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica (European Medicine Agency). L’Ozurdex® non è l’unico sistema ad impianto intraoculare a lento rilascio impiegato nelle RVO o in altre patologie. Esistono altri sistemi impiantabili, biodegradabili e non; alcuni possono addirittura contenere più di un farmaco(144): • Verisome: sistema di rilascio liquido; • I-vation: contiene triamcinolone con forma e dosaggi diversi; • Retisert: contiene fluocinolone, è stato applicato in alcuni pazienti con trombosi, ma è on-label solo per il trattamento delle uveiti; • Iluvien/Medidur: contiene fluocinolone; • Vitrasert che non contiene steroide. - 68 - Documento di Consenso: Gestione dei Pazienti con Diagnosi di Occlusione Venosa Retinica BIBLIOGRAFIA 1. Rogers S, McIntosh RL, Cheung N, et al. The prevalence of retinal vein occlusion: pooled data from population studies from the United States, Europe, Asia, and Australia. Ophthalmology 2010;117:313-319. 2. Augood C, Fletcher A, Bentham G, et al. 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