F. TOTTOLA A. ALLEGREZZA M. RIGHETTI NUOVO CORSO DI CHIMICA Materiali ExtraGuida Proposte di letture integrative Proposte di attività multidisciplinari MINERVA ITALICA 4 27 materiali extraguida Letture integrative La lingua dei chimici Rappresentare la realtà 4 5 La chimica nasce dall’alchimia? 5 La spettrometria di massa 6 L’aurora polare 7 La catastrofe ultravioletta 7 Le terre non-così-rare 8 I neoceramici 9 Anomalie di un liquido 10 L’entropia 11 Catalisi di superficie 12 Il protone in soluzione acquosa 13 Un deposito per le scorie nucleari in Italia 14 Bombe atomiche tra le nuvole 14 Il tetrazoto 15 Composizione e proprietà degli imballaggi metallici 15 L’antimateria 16 Il controllo della fusione nucleare 16 La siderurgia 17 I noduli manganesiferi 19 La Terra: stabilimento chimico 19 Le leghe metalliche che hanno memoria 20 Rilascio, trasporto e solubilità di platino e palladio nell’ambiente 20 La chiralità: la natura, l’uomo, le sintesi stereoselettive 20 Il carbonio: l’elemento della vita 21 Polipropilene isotattico 22 Materiali plastici biodegradabili 22 Polimeri conduttori 23 Il segreto dell’oracolo 23 Le impronte digitali delle proteine 24 I mezzi di informazione 24 Il metano dà una mano... ai gas serra 25 Catturare i gas serra 25 Il killer è l’ozono 26 www.minervaitalica.it 10 Nuovo Corso di Chimica © 2005 by Minerva Italica, Milano - Edumond Le Monnier S.p.A. - Tutti i diritti riservati Il segreto del ragno 3 UD 2 proposte di letture integrative La lingua dei chimici la lingua Nuovo Corso di Chimica © 2005 by Minerva Italica, Milano - Edumond Le Monnier S.p.A. - Tutti i diritti riservati www.minervaitalica.it Quando Quandoero in chimico servizioineffettivo servizio effettivo soffrivosoffrivo caldi, geli caldi,e geli pau-e paure, e non avrei mai pensato che, dopo il distacco dal mio re, e non avrei mai che, dopo il distacco dal vecchio mestiere, avreipensato potuto provarne la nostalgia. Invece avviene, nei momenti vuoti, quando il congegno umano gira miofolle, vecchio avrei povuto avviene, grazie al in comemestiere, un motore al minimo: singolare potere filtrante della memoria, che lascia sopravvivere i ricordi lieti e soffoca lentamente gli altri. Di recente ho rivisto un vecchio compagno di prigionia e abbiamo fatto i discorsi dei reduci; le nostre mogli si sono accorte, e ci hanno fatto notare, che in due ore di colloquio non avevamo rievocato un solo ricordo doloroso, ma soltanto i rari momenti di remissione, o gli episodi bizzarri. Ho davanti a me la tabella degli elementi chimici, il “sistema periodico”, e provo nostalgia, come davanti alle fotografie scolastiche, i compagni di scuola col cravattino e le compagne con la vereconda tunica nera: “ad uno ad uno tutti vi ravviso...” Delle lotte, sconfitte e vittorie che mi hanno legato ad alcuni elementi, ho già raccontato altrove; così pure, del loro carattere, virtù, vizi e stranezze. Ma adesso il mio mestiere è un altro, è un mestiere di parole, scelte, pesate, commesse a incastro con pazienza e cautela; così, per me anche gli elementi tendono a diventare parole, invece della cosa mi interessa acutamente il suo nome e il perché del suo nome. Il panorama è un altro, ma altrettanto vario quanto quello delle cose stesse. Ognuno sa che gli elementi “per bene”, quelli esistenti in natura, sia sulla Terra, sia negli astri, sono novantadue, dall’idrogeno all’uranio (veramente, quest’ultimo ha perso negli ultimi decenni un po’ della sua buona fama). Ebbene i loro nomi, passati in rassegna, costituiscono un mosaico pittoresco che si estende nel tempo dalla lontana preistoria a oggi, e in cui affiorano forse tutte le lingue e le civiltà dell’Occidente: i nostri misteriosi padri indoeuropei, l’antico Egitto, il greco dei greci, il greco dei grecisti, l’arabo degli alchimisti, gli orgogli nazionalistici del secolo scorso, fino all’internazionalismo sospetto di questo dopoguerra. Incominciamo la rassegna da due degli elementi più noti e meno esotici, l’Azoto e il Sodio. I loro simboli internazionali, e cioè la singola lettera o il gruppo di due lettere che ne abbreviano il nome convenzionale e originario, sono rispettivamente N e Na, iniziali di Nitrogenium e di Natrium, e qui affiorano le tracce di un antico equivoco. Nitrogenium significa “nato dal nitro”, e natrium significa “sostanza del natro”: ora, in origine, nella lingua dell’antico Egitto, il nitro e il natro erano la stessa cosa. Nella complicata scrittura di quella lingua si riteneva superfluo indicare le vocali (forse perché scalpellare la pietra è più faticoso che usare una penna a sfera, e risparmiando le vocali si risparmiava lavoro ai lapidari), e le consonanti ntr indicavano genericamente le efflorescenze saline: sia quella dei vecchi muri, che in italiano si chiama tuttora salnitro, e in altre lingue, più espressivamente, “sale di pietra”, sia quella che gli egizi ricavavano da certi giacimenti e usavano nella mummificazione; quest’ultima è costituita in prevalenza da soda, ossia da carbonato di sodio, mentre il salnitro è costituito da azoto, ossigeno e potassio. Erano entrambi insomma “sale non sale”, sostanze dall’aspetto salino, solubili in acqua, incolori, ma dal sapore diverso da quello del sale comune; e i vetrai si erano presto 4 accorti che nella fabbricazione del vetro l’uno poteva essere sostituito all’altro senza grandi differenze nel prodotto finito (il che è per noi ben comprensibile: alla temperatura del crogiolo del vetraio, entrambi i sali si decompongono, la parte acida se ne va, e rimane nella massa fusa solo l’ossido del metallo). I greci e poi i latini, traslitterando le scritture egizie, vi introdussero le vocali secondo criteri ampiamente arbitrari, e solo da allora la variante “nitro” si specializzò a indicare il salnitro, padre dell’Azoto, e “natro” a indicare la soda, madre del Sodio. Del resto, l’Azoto, sostanza chimicamente piuttosto inerte, sta al centro di secolari litigi per quanto riguarda la nomenclatura. Così battezzato quasi due secoli fa da un chimico francese con un discutibile grecismo (“il senza vita”), è invece, come detto, il “generato dal nitro” (Nitrogen) per gli inglesi e “il soffocante” (Stickstoff) per i tedeschi. Neppure sul simbolo c’è concordia; i francesi, che ne rivendicano la scoperta, fino a pochi anni fa rifiutavano il simbolo N e usavano invece Az: qualcuno lo usa ancora, polemicamente. Chi scorra un elenco dei nomi dei minerali si trova davanti a un’orgia di personalismi. Si direbbe che nessun mineralogista si sia rassegnato a chiudere la propria carriera senza legare il suo nome a un minerale, aggiungendogli la desinenza -ite in funzione di corona di lauro: Garnierite, Senarmontite, e migliaia di altri. I chimici sono stati sempre più discreti; nella mia rassegna ho trovato solo due nomi di elementi che gli scopritori hanno voluto dedicare a se stessi, e sono il Gadolinio (scoperto dal finlandese Gadolin) e il Gallio. Quest’ultimo ha una storia curiosa. Fu isolato nel 1875 dal francese Lecocq de Boisbaudran; “cocq” (oggi si scrive “coq”) significa “gallo”, e Lecocq battezzò “Gallium” il suo elemento. Pochi anni dopo, nello stesso minerale esaminato dal francese, il chimico tedesco Winkler scopri un elemento nuovo; erano anni di grave tensione fra Germania e Francia, il tedesco ritenne che il Gallio fosse un omaggio nazionalistico alla Gallia, e battezzò Germanio il suo elemento per riequilibrare la partita. Oltre a questi due, hanno ricevuto nomi personali solo alcuni dei nuovissimi e instabili elementi più pesanti dell’Uranio, ottenuti dall’uomo in quantità minime nei reattori nucleari e negli enormi acceleratori di particelle, e dedicati rispettivamente a Mendeleev, a Einstein, alla signora Curie, ad Alfred Nobel e a Enrico Fermi. Più di un terzo degli elementi hanno ricevuto nomi che ricordano le loro proprietà più vistose, attraverso itinerari linguistici più o meno arzigogolati. Così il Cloro, lo Iodio, il Cromo, da parole greche che significano rispettivamente “verde, viola, colore”, e con riferimento al colore dei sali o dei vapori (o, in altri casi, delle righe spettrali di emissione). Così il Bario è il “pesante”, il Fosforo è il “luminoso”, il Bromo e l’Osmio sono, con diverse sfumature, i “puzzolenti” (ma quale chimico degno del nome potrebbe confondere i due sgradevolissimi odori?). Ancora in questo spirito che chiamerei descrittivo, e che attesta modestia e buon senso, sono stati battezzati l’Idrogeno e l’Ossigeno, rispettivamente “generato dall’acqua” e “dagli acidi”; ma poiché il battesimo era stato fatto (o avallato) dal francese Lavoisier, i chimici tedeschi non lo tennero per buono, e vi ricalcarono sopra due approssimative traduzioni: Wasserstoff e Sauerstoff, ossia rispettivamente “la sostanza dell’acqua” e “degli acidi”, e lo stesso fecero i russi, coniando la coppia Vodoròd e Kissloròd. Solo tre fra gli elementi che hanno ricevuto nomi “descrittivi” attestano uno scatto della fantasia: il Disprosio (“l’impervio”), il Lantanio (“il nascosto”) e il Tantalio. In quest’ultima denominazione, lo scopritore (Ekeberg, nel 1802: era uno svedese, un neutrale, e perciò il nome da lui scelto non subì manomissioni) intendeva riferirsi a Tantalo, il mitico peccatore descritto nell’Odissea: è immerso nell’acqua fino al collo, ma spasima eternamente per la sete, perché ogni volta che si curva per bere, l’acqua si ritira scoprendo la terra arida. La stessa pena aveva sofferto lui, il chimico pioniere, nelle alterne speranze e delusioni attraverso cui era infine arrivato a riconoscere il suo elemento. Oltre al già nominato Germanio, una ventina di elementi hanno ricevuto nomi che ricordano più o meno chiaramente il paese o la città in cui furono scoperti: il Lutezio dal ∆E = hν dove ∆E indica la differenza di energia tra i due livelli (∆ sta Diderot, hanno largamente contribuito a screditare l’alchimia. Un’incisione di P. Bruegel il Vecchio, intitolata Il soffiatore, attesta lo sfavore in cui versava la Scienza Ermetica, sfavore che contribuì a marginalizzare i suoi adepti: l’alchimista si affanna in mezzo ai suoi alambicchi, attiva un mantice in mezzo a uno spesso fumo, agita miscugli, mentre la sua sposa spreme una borsa disperatamente vuota. Così la sete dell’oro che mette in moto le più cupe passioni, fece avviare ricerche assurde e pericolose, sufficienti a rovinare il fondamento di un’impresa mistica che aveva le sue radici in una tradizione universale. www.minervaitalica.it L’alchimia, per i più, appare oggi come una ricerca vana e superstiziosa di trasformazione degli elementi in oro! La scienza moderna, più positivista, ha diffuso questa interpretazione, basata sui tentativi di “coloro che soffiavano e bruciavano il carbone”. Questi ultimi, astuti ciarlatani o ingenui manipolatori, filosofi o amanti dell’arte, avvolti da una quiete spirituale coraggiosa e sincera, hanno purtroppo contribuito a puntellare le denunce dei saggi del XIX secolo. La fantasia popolare, l’incomprensione e la gelosia, commentate da illustri pensatori, tra i quali Montaigne e Da: C.M. Wynn, A.W. Wiggings, Le cinque più grandi idee della scienza, Zelig, 1998. UD 3 La chimica nasce dall’alchimia? per differenza ed E per energia), h indica una costante di proporzionalità (il numero che lega la differenza di energia tra i due livelli alla frequenza secondo una relazione esatta o un’equazione), ν (ni) indica la frequenza della radiazione emessa. La matematica è una forma di linguaggio, anzi una sorta di linguaggio universale. Poiché i linguaggi sono necessari per la comunicazione delle ipotesi, la matematica è estremamente utile al lavoro degli scienziati. La matematica, tuttavia, è un linguaggio che ha a che fare con le relazioni tra i simboli e, pertanto, non è essa stessa una scienza. La matematica può esplorare le possibili relazioni tra le astrazioni senza preoccuparsi se quelle stesse astrazioni hanno una controparte nel mondo reale. Il fisico C.N. Yang ci racconta una storia capace di spiegarci la differenza tra la matematica e la scienza. Un uomo cammina per strada portando una sporta piena di vestiti quando, a un certo punto, vede un cartello appeso a una vetrina: “Lavaggio vestiti, 50 centesimi la sporta”. L’uomo entra e chiede quanto tempo ci voglia per lavare la sua sporta di vestiti. L’impiegato, sorpreso, risponde: “Mi dispiace, ma non laviamo vestiti qui”. L’uomo, protestando, indica il cartello esposto in vetrina. “Ah, quello! – dice l’impiegato – be’, vede, qui non laviamo vestiti… ma dipingiamo cartelli.” Nuovo Corso di Chimica © 2005 by Minerva Italica, Milano - Edumond Le Monnier S.p.A. - Tutti i diritti riservati Tutte le ipotesi sono generalmente formulate sotto forma di parole e numeri, vale a dire di simboli ideati per sostituire le realtà fisiche. Per esempio, l’ipotesi del Big Bang, trasformata in parole, sostiene che “circa 15 miliardi di anni fa, tutta la materia e l’energia presente nell’universo era concentrata in un singolo grumo, indicato come la sfera di fuoco primordiale. Questa sfera di fuoco era formata da…”. Le ipotesi possono avere anche la forma di relazioni quantitative, come si può vedere in questo esempio a proposito delle radiazioni emesse dagli atomi eccitati: una proprietà di una radiazione è la sua frequenza, vale a dire il numero di cicli completi delle onde di luce che passano in un dato punto in un secondo. L’ipotesi di Bohr afferma che quando un elettrone, in un atomo eccitato, torna a un livello di energia inferiore, la frequenza della luce emessa è correlata alla differenza tra i livelli di energia, in modo che maggiore è l’intervallo che separa i due livelli più elevata è la frequenza della luce emessa. Relazioni di questo tipo sono talmente comuni, in campo scientifico, che per esprimerle più rapidamente è stata elaborata una scorciatoia: la matematica. Secondo questa scorciatoia: Da: P. Levi, L’altrui mestiere, Einaudi, 1985. UD 2 Rappresentare la realtà vecchio nome di Parigi, lo Scandio dalla Scandinavia, l’Olmio da Stoccolma, il Renio dal Reno. Accanto a queste celebrità geografiche si deve segnalare l’oscuro villaggio di Ytterby, in Svezia, perché accanto a esso fu trovato un minerale che mostrò di contenere numerosi elementi sconosciuti. Il minerale fu chiamato Ytterbite, e prelevando vari segmenti di quest’ultimo nome, con procedimento simile ai “logogrifi” degli enigmisti, furono coniati successivamente l’Ytterbio, l’Yttrio, il Terbio e l’Erbio. Deliberatamente ho lasciato da parte la storia dei nomi degli elementi veterani, noti a tutti, caratterizzati e sfruttati dalle civiltà più antiche mille e mille anni prima che nascesse il primo chimico: il Ferro, l’Oro, l’Argento, il Rame, lo Zolfo, e diversi altri. È una storia complicata e affascinante, che varrà forse la pena di raccontare a parte. 5 materiali extraguida UD 5 Nuovo Corso di Chimica © 2005 by Minerva Italica, Milano - Edumond Le Monnier S.p.A. - Tutti i diritti riservati www.minervaitalica.it Certamente gli alchimisti non si curarono affatto delle varie asserzioni menzognere e continuarono a operare nel silenzio dei loro laboratori, con il risultato che la loro “scienza”, protetta da una lingua indecifrabile al profano, ha finito per confondersi con i sotterfugi che essi cercavano di denunciare. La Scienza Ermetica non può essere studiata secondo le modalità empiriche; considerare l’alchimia solo sotto l’aspetto pratico, assimilandola a un progetto “prechimico” destinato a fabbricare artificialmente l’oro, riduce in cenere il progetto simbolico e filosofico su cui essa si spiega e si rivela nel segreto “dell’oratorio”. Non c’è vera alchimia senza la perfetta conoscenza dei principi metafisici e senza l’oratorio: ma non c’è possibilità di alchimia senza una quotidiana comunione dell’alchimista con la natura, con la sua materia (la sua Beatrice), la Signora dei suoi pensieri, e senza l’esperienza del laboratorio (Claude d’Ygé). Gli storici e i commentatori hanno sempre trascurato il travaglio interno dell’adepto, le sue meditazioni, privilegiando invece le sue ricerche, i suoi esperimenti incerti e pericolosi. L’alchimista compie invece un lavoro che si svolge su più piani: la sua riflessione mistica non cessa di alimentare il processo sperimentale. L’opera dell’alchimista comincia obbligatoriamente con l’osservazione lunga e paziente dei fenomeni naturali. La natura è la guida sicura e costante lungo il percorso dell’iniziazione; è il filo di Arianna in un prodigioso labirinto che, improvvisamente, si apre davanti al suo sguardo meravigliato e affascinato. Le esperienze successive dovranno realizzare e completare questa identità sottile e invisibile. Il lavoro alchimistico consiste nel liberare, dopo una serie di esperimenti accuratamente codificati, lo “spirito” dei metalli per purificazione: l’oro alchimistico ottenuto a conclusione della “Grande Opera” si rivela in questa liberazione reciproca. Due sono le tecniche possibili: la via secca e la via umida; si distinguono inoltre sempre tre fasi: “l’Opera in nero”, “l’Opera in bianco” e “l’Opera in rosso” in precisa successione. Al termine di una lunga serie di manipolazioni (trattamenti in forno, in crogiolo o in vaso di vetro sigillato) la materia originale si trasforma o si purifica per divenire “pietra filosofale”, risultato “dell’Opera”, suscettibile di donare immortalità a chi la possiede e di trasformare i metalli “vili” in oro. La “Grande Opera”, cioè l’ottenimento della pietra filosofa- La spettrometria di massa La separazione degli isotopi di uno stesso elemento, sfruttandone le diverse masse, si deve a un allievo di Thomson, F.W. Aston, che, perfezionando un dispositivo già usato dallo stesso Thomson, mise a punto lo spettrografo di massa. Con esso fu possibile determinare le masse dei singoli isotopi. Successive modifiche hanno consentito di realizzare lo spettrometro di massa che, utilizzato nell’analisi chimica, ha dimostrato una grande efficacia nell’identificazione di molecole complesse. Nello spettrometro di massa la sostanza da identificare, portata allo stato gassoso, viene colpita da un fascio di 6 le, si sublima nel processo della creazione: l’anima e la materia, liberate dai loro condizionamenti naturali, si rivelano una all’altra in una reciprocità trasfigurante. L’adepto, realizzando la fusione del microcosmo e del macrocosmo, anticipa il progetto della creazione. Il passaggio da un componente impuro, alterato, all’oro filosofale traduce l’elevazione della materia, la Terra si congiunge al Cielo. Gli esperimenti si ripercuotono nella coscienza dell’adepto, che vive intensamente, costantemente stimolato dalla meditazione, le trasformazioni subite dalla materia sotto l’influsso astrale. Così l’Opera in nero, che corrisponde a una decomposizione della materia prima, e l’Opera in bianco, purificazione continua fatta per mezzo del fuoco, sono illustrate secondo la terminologia abituale dei grandi misteri dello Spirito sotto forma di Morte e Risurrezione. L’Opera in bianco, o “Sale filosofale”, produce, più esattamente, ciò che i mistici chiamano il “Corpo di luce”. Essa si compie grazie alla stretta osservazione del grande principio alchimistico: dissolve e coagula. Si tratta di “convertire il corpo in spirito e lo spirito in corpo”. Dissolvere è inteso nel senso di attaccare la materia, con l’ausilio di agenti chimici, affinché si spogli delle impurità e si trasformi in spirito. Coagulare assume invece il significato di corporizzare lo spirito, grazie alla partecipazione del fuoco segreto, per ristabilirlo nella sua gloria. È praticamente impossibile parlare dell’Opera in rosso: gli ermetici conservano a questo proposito un eloquente silenzio. Se essa appare spiritualmente come una “illuminazione definitiva”, un’estasi, resta misteriosa sul piano sperimentale. Sembra che l’alchimista non abbia più da usare utensili, ma confezioni una sorta di “uovo primordiale”, al quale farà subire una cottura, la cui riuscita avverrà grazie al fuoco e agli influssi astrali e cosmici. Il riferimento a un fuoco interiore e a un calore oscuro, suscettibile di trattenere un regime igneo, evoca i “tapas”, le correnti d’onda caloriche prodotte dagli yoghi indiani e tibetani. In verità l’alchimista, ispirato dalla formazione naturale dei metalli sotto la crosta terrestre, tenta a sua volta, accelerandone i processi, di produrre, a livello microcosmico, le evoluzioni e le trasformazioni macrocosmiche. Da: M. Melissano, La chimica nasce dall’alchimia?, «Didattica delle scienze», 154, maggio 1991. elettroni veloci; l’urto provoca la ionizzazione della molecola e la sua suddivisione in piccoli frammenti anch’essi ionizzati. Gli ioni ottenuti sono accelerati da un campo elettrico e collimati grazie a una serie di fenditure. Si ottiene un fascio di ioni veloci che, sottoposto all’azione di un campo magnetico, assume una traiettoria circolare. La curvatura impressa è inversamente proporzionale al rapporto massa-carica della particella (solo alla massa se gli ioni hanno perso un solo elettrone): uno ione leggero sarà molto deviato, mentre uno pesante lo sarà in misura minore. Gli ioni così separati finiscono su un rilevatore, dove vengono contati e registrati. Il risultato è uno spettro di massa in cui le intensità dei segnali sono riportate in proposte di letture integrative funzione del rapporto massa/carica. Il segnale corrispondente alla massa più alta è quello della molecola ionizzata, mentre gli altri sono dovuti ai frammenti ionizzati della molecola. Dal loro confronto è possibile colori? Quello che il nostro occhio percepisce è in effetti la sovrapposizione di radiazioni di diverse lunghezze d’onda emesse dal corpo riscaldato. L’insieme di queste radiazioni costituisce lo “spettro” del corpo per la temperatura cui è stato portato. Se la potenza di una radiazione luminosa data è nettamente superiore a quella delle sue vicine, essa viene percepita prioritariamente. Per il ferro, per esempio, il rosso domina intorno ai 600 °C. Verso i 2000 °C il metallo sembra in- 7 www.minervaitalica.it Intorno all’anno 1880 diversi fisici si interessarono alla radiazione emessa da un corpo riscaldato. Accade infatti che il colore della radiazione, quindi la sua lunghezza d’onda, varia al variare della temperatura: all’aumentare di questa, un pezzo di ferro riscaldato passa progressivamente dal rosso cupo all’arancio, al giallo, al bianco. A cosa corrispondono questi Adattato da: M. Marelli, Piogge di luce nei cieli polari, «Newton», luglio 1999. UD 6 La catastrofe ultravioletta Nuovo Corso di Chimica © 2005 by Minerva Italica, Milano - Edumond Le Monnier S.p.A. - Tutti i diritti riservati L’aurora polare (più nota come boreale o australe, a seconda della zona dell’emisfero nella quale si verifica), è uno dei fenomeni naturali più spettacolari. Così eccezionalmente bello che nell’antichità incuteva paura, tanto che gli Eschimesi credevano indicasse la porta del regno dei morti. L’aurora polare è uno spettacolo luminoso “sponsorizzato” dal nostro principale fornitore di energia: il Sole. Che non si limita a scaldare la Terra con le radiazioni elettromagnetiche ma investe il nostro pianeta con il cosiddetto “vento” solare, responsabile dell’affascinante fenomeno delle aurore polari. Questa “brezza” è formata da particelle cariche (elettroni, protoni, ioni) molto energetiche emesse nelle reazioni termonucleari che avvengono nel Sole. Prima di penetrare nell’atmosfera, le particelle cariche vengono catturate dalla magnetosfera terrestre, cioè dalla regione in cui è presente il campo magnetico del nostro pianeta. Il vento solare deforma il campo, proprio come il vento reale, soffiando, piega i fili d’erba di un prato. Così mentre le linee del campo magnetico terrestre che si affacciano al vento vengono “schiacciate”, quelle dalla parte opposta del pianeta si allungano formando dei giganteschi archi che tendono verso lo spazio. In prossimità dei poli magnetici le linee di campo si uniscono, diventando quasi verticali, e formano una specie di imbuto nel quale il flusso di particelle solari viene incanalato. Non appena le particelle si avvicinano al campo magnetico terrestre sono costrette a cambiare la rotta iniziale e cominciano a spiraleggiare attorno alle linee del campo, formando le cosiddette Fasce di Van Allen. A questo punto il vento solare ha raggiunto le zone alte della nostra atmosfera e le sue velocissime particelle collidono violentemente con gli atomi dei gas atmosferici che, perdendo il loro stato eccitato, liberano energia emettendo la loro caratteristica luce spettrale. La luminosità delle aurore è attribuibile a emissioni da parte dell’azoto (in forma molecolare e ionizzata) e dell’ossigeno atomico, quest’ultimo in particolare con le emissioni nel verde (557,7 nm) e nel rosso (630 nm). Il colore delle aurore appare per lo più verde a causa della maggiore sensibilità dell’occhio a questo colore, ma la maggior parte dell’emissione aurorale è nel rosso sulla riga a 630 nm. Le zone soggette agli urti più energetici, intorno ai 60° di latitudine Nord o Sud, formano un anello attorno ai poli magnetici e vengono indicate col nome di “ovali aurorali”: è lì che si verificano gli spettacoli luminosi. In queste zone infatti, le linee di campo si estendono per parecchi chilometri nello spazio e riescono a catturare buona parte del vento solare. L’aurora polare è un fenomeno permanente che avviene tra i 60 e i 600 km di latezza, ma la sua frequenza e la sua spettacolarità dipendono fortemente dall’attività solare. Ogni 11 anni infatti è come se, aumentando fortemente la sua attività, il Sole andasse in “escandescenza”. Questa turbolenza solare, che appare sotto forma di macchie scure (sedi di intensissimi campi magnetici) e getti di materia che si elevano per parecchi chilometri (i cosiddetti brillamenti o flares) dalla superficie, fa aumentare l’intensità del vento solare. Il numero delle aurore aumenta vertiginosamente. Gli stessi bellissimi fenomeni che “affrescano” il cielo, come è avvenuto nel picco di emissione nel 2000, distorcono però sensibilmente le trasmissioni radio a onde corte e riescono a provocare pericolose interferenze radar nel controllo aereo. Gli elettroni del vento solare, nei periodi di picco dell’attività, possono addirittura raggiungere un’energia milioni di volte superiore a quella normale, e forare i rivestimenti esterni di un satellite artificiale orbitante, creando campi elettrici che danneggiano in modo permanente le apparecchiature. Ecco perché si stanno studiando dei sistemi per prevedere con esattezza le aurore polari. Ma scoprire in anticipo quando avverrà una tempesta magnetica non è affatto semplice. L’interazione fra il campo magnetico terrestre e il vento solare è molto complessa. Gli scienziati attualmente stanno indagando per scoprire in che modo le aurore polari influiscono sulla Terra. Gli studi sono stati effettuati facendo esplodere del bario nella ionosfera, creando così un’aurora artificiale. Il bario, ionizzato dalla componente della radiazione solare, mette in evidenza la distribuzione delle correnti magnetiche. Ulteriori esperimenti hanno permesso di scoprire che il vento solare ha una responsabilità (seppur limitata) nel provocare l’assottigliamento dello strato di ozono. Il fenomeno delle aurore polari non si verifica soltanto sulla Terra. Grazie alle immagini inviateci dal telescopio spaziale Hubble, è stato possibile scoprire aurore polari su Giove e persino su Saturno, dove si creano spettacolari cerchi di luce ultravioletta (invisibili dalla Terra). UD 6 L’aurora polare identificare la molecola in questione. Particolari accorgimenti adottati negli strumenti più recenti consentono di separare ioni che si differenziano per pochi decimillesimi di u. materiali extraguida UD 7 Nuovo Corso di Chimica © 2005 by Minerva Italica, Milano - Edumond Le Monnier S.p.A. - Tutti i diritti riservati www.minervaitalica.it vece bianco, dal momento che tutte le componenti della luce visibile si assommano. Un irraggiamento è emesso anche nelle basse temperature, ma, essendo situato nell’infrarosso, il nostro occhio non può vederlo. Anche oltre i duemila gradi la maggior parte della radiazione ci sfugge perché situata nell’ultravioletto. Tutte queste diverse constatazioni servono di base, a partire dal 1893, per i lavori dei fisici tedeschi F. Paschen e W. Wien, che giungono nel 1896 alla formulazione della legge di Wien: la lunghezza d’onda della luce con potenza più alta della radiazione emessa da un corpo nero è inversamente proporzionale alla temperatura. Si passa quindi prima per l’infrarosso, poi per il rosso ecc. fino all’ultravioletto e oltre. Il fisico inglese Lord J. Rayleigh, completando questa legge, ne propose un’altra nel giugno del 1900 che determina la potenza radiata per una temperatura e una lunghezza d’onda date: la potenza radiata è proporzionale alla temperatura assoluta e inversamente proporzionale al quadrato della lunghezza d’onda. Più chiaramente, la radiazione termica è tanto più intensa quanto più è corta la lunghezza d’onda. In un primo tempo la sperimentazione corrobora la legge: per le lunghezze d’onda che vanno dall’infrarosso al verde i risultati sono conformi alle previsioni. È dopo che le cose si guastano. Per il blu, per il violetto e a maggior ragione per l’ultravioletto la formula di Rayleigh non funziona più: gli esperimenti contraddicono clamorosamente la teoria. Per lunghezze d’onda molto piccole, essa porta infatti a valori fin troppo grandi, quasi infiniti. Si parla di quanto il fisico austriaco P. Ehrenfest chiamerà la “catastrofe ultravioletta”. L’espressione è sicuramente estremistica, ma indica chiaramente che, per la prima volta, uno degli articoli di fede della fisica classica, la teoria della radiazione, è colto in flagrante errore. Per oltrepassare questa “catastrofe ultravioletta” il fisico tedesco M. Planck enuncia nel dicembre del 1900 una ipotesi curiosa: a proposito delle vibrazioni che traducono il calore di un corpo egli postula che queste non si ripartiscono in base a tutti i valori possibili (forniti dalla legge ordinaria retta dal caso), ma che obbediscono invece a una legge determinata. Se E rappresenta l’energia di una vibrazione e ν la sua frequenza, esiste una certa costante h tale che E/ν è Le terre non-così-rare A dispetto del loro nome, le terre rare non sono in realtà così rare, e neppure terre (nel senso di ossidi metallici). Si tratta di elementi metallici e tutti, tranne uno, sono più abbondanti in natura di quanto non lo siano l’oro, l’argento, il mercurio o il tungsteno. Essi vennero un tempo denominati terre rare per essere stati inizialmente isolati in forma di ossidi da minerali poco comuni. Di fatto questi elementi sono ubiquitari, essendo presenti in basse concentrazioni in quasi tutti i minerali. Tuttavia estrarre le terre rare dai minerali comuni sarebbe proibitivo dal punto di vista dei costi. Fortunatamente esiste un piccolo numero di minerali, meno comuni, in cui la concentrazione delle terre rare è abbastanza alta da permettere l’estrazione conveniente di elementi che sono “ingredienti chiave” per la fabbricazione di numerosi prodotti moderni. Cerio ed erbio sono componenti di leghe metalliche ad alte prestazioni. Neodimio, olmio e 8 sempre h, il doppio di h, tre volte h o un qualsiasi altro multiplo di h. Non si producono vibrazioni per altre quantità di energia. È una ipotesi propriamente rivoluzionaria, visto che l’idea della discontinuità viene introdotta per la prima volta nel dominio delle radiazioni, ossia delle onde. Invece di considerare gli scambi di energie fra l’oggetto riscaldato e la radiazione da questo emessa in modo continuo come un liquido che coli da un recipiente in un altro, per figurarseli Planck immagina che tali scambi avvengano in modo discontinuo, come se al posto del liquido il recipiente contenesse delle biglie. Queste biglie inoltre non hanno tutte le stesse dimensioni: con l’aumentare della frequenza diventano sempre più grosse. Riassumendo, Planck pone come principio che gli scambi di energia fra materia e radiazione siano effettuati per pacchetti, in quantità definite (di qui il nome di “quantum” attribuito a ogni pacchetto elementare e di “quanta” al plurale). Ogni quantum è fornito inoltre di una energia proporzionale alla frequenza della radiazione. Una simile visione delle cose ha il vantaggio di eludere la catastrofe ultravioletta, a scapito però delle più sacre leggi della fisica tradizionale. È un po’ come se si affermasse che un uomo può avanzare solo con passi di almeno 20 cm, che è incapace di fare passi più corti e che, se fa passi più lunghi, saranno comunque un multiplo del passo minimo (40 cm, 60 cm, 80 cm ecc.). Malgrado l’estrema piccolezza del suo valore ( h = 6,62 ⋅ 10–34J ⋅ s–1), la costante di proporzionalità inventata da Planck, e che da allora porta il suo nome, seminerà lo sconcerto fra i fisici, e persino nello stesso Planck. Questa brutale inserzione della discontinuità nel bel concatenamento della fisica tradizionale gli sembra, nel migliore dei casi, un “artificio del calcolo” e nel peggiore una eresia. Passerà quindi lunghi anni nel tentativo di modificare la sua teoria per conservarne il risultato (la soppressione della catastrofe ultravioletta) e di eliminare i quanta. Ma infine capitolerà, riconoscendo che “è assolutamente impossibile, nonostante gli sforzi più tenaci, far rientrare l’ipotesi nel quadro di una teoria classica, quale che sia”. Da: Ortoli-Pharabod, Il cantico dei quanti, Edizioni Teoria, 1991. disprosio entrano in certi tipi di cristalli per il laser. Il samario è un componente dei più forti magneti permanenti conosciuti, che hanno reso possibile la progettazione di nuovi motori elettrici. L’itterbio e il terbio, per le loro proprietà magnetiche, trovano applicazione in dispositivi a bolle magnetiche e magneto-ottici per l’immagazzinamento dei dati nei calcolatori. L’europio attiva il fosforo rosso negli schermi televisivi a colori. Forse l’applicazione più interessante delle terre rare consiste nella fabbricazione dei materiali ceramici superconduttori a temperature eccezionalmente alte. Il lantanio è stato il primo componente di questi materiali; in seguito è stato dimostrato che, sostituendo il lantanio con il gadolinio, si ha superconduttività a temperature ancora più alte. Gli elementi delle terre rare inoltre fungono da catalizzatori nella raffinazione del petrolio e regolano gli indici di rifrazione delle lenti di vetro e delle fibre ottiche. L’analogia delle proprietà chimiche delle terre rare, ovvero la somiglianza del loro comportamento, è una conseguenza proposte di letture integrative della particolarità della loro struttura atomica. Gli atomi di tutti gli elementi delle terre rare possiedono lo stesso numero di elettroni nel livello di valenza (il sesto), indipendentemente dal numero atomico, poiché compensano l’incremento di carica del nucleo, con il riempimento del sottolivello 4f. Le differenze chimiche che si riscontrano sono dovute alla differenza dei raggi ionici che essi assumono quando divengono ioni con carica 3+. Essi sono tanto più piccoli quanto più alto è il numero atomico perché l’aumentata carica del nucleo agisce su elettroni che occupano lo stesso sottolivello. Campi di utilizzazione dei neoceramici Dielettrici Ferroelettrici Piezoelettrici Termoelettrici Semiconduttori e superconduttori Conduttori ionici veloci Magnetici Ottici Sensori di gas Supporti per catalizzatori Supporti per microcircuiti (chip) Elettrodi analitici e industriali Membrane per separazione gas-liquidi Componenti per motori a scoppio (nitruro di silicio e sialon) Utensili da taglio industriale Additivi per sinterizzazione dell’ossido di uranio Isolanti termici Materiali resistenti agli sbalzi termici Materiali di chirurgia sostitutiva e ricostruttiva Materiali dentari e maxillofacciali Principali costituenti di neoceramici Componenti contenenti ossigeno Al2O3, ZrO2, TiO2, UO2, V2O5, ZnO, Li2O, CeO2, Y2O3, SiO2, Dy2O3, P2O5, MgO, CuO, Nb2O5, SnO, Na2O, Bi2O3, CaO, Gd2O3, RuO2, BaTiO3, Li2CO3, Li 2ZrO 3, Li 6ZrO - , Li 8ZrO 6, LiAlSiO 4, LiTi 2(PO 4) 3, LiZr 2(PO 4)3, Si 2N 2O, Si2Al3O3N5, SrTiO3, BaTiO3, MgAl2O4, Pb(Mg1/3Nb2/3)O3. Componenti privi di ossigeno AlN, TiC, B4C, SiC, Si3N4, TiB2, TiN, Zr3N4, Hf3N4, V3N5, BN, ZrB2, WSi, CdS, Nb3Sn, NbC, NbN, Nb3Ge, Nb3Al3/4Ge1/4, V3Si. www.minervaitalica.it della motoristica. I motori termici aumentano il loro rendimento se cresce la temperatura di funzionamento, ma le leghe metalliche possono essere usate fino a circa 1050 °C. Le ceramiche, rispetto ai materiali metallici presentano maggiore resistenza alle alte temperature (1400 °C) e per periodi più lunghi, migliore resistenza all’ossidazione e alla corrosione, oltre a un peso minore. Accanto a questi pregi, tuttavia, tutti i materiali ceramici presentano alcuni difetti non trascurabili. La resistenza alla frattura è molto minore in confronto a quella dei metalli, così risulta pure ridotta la dimensione massima consentita delle fessurazioni (cricche). Il difetto peculiare è il collasso istantaneo dell’intera struttura quando viene raggiunto il punto di rottura. Persino un microscopico errore di manifattura (pori o grumi) o la presenza di minute particelle estranee possono far scattare una fessurazione. Questi problemi tuttavia possono essere superati attraverso un rigoroso controllo della purezza e della microstruttura del materiale di partenza con cui vengono fabbricati gli oggetti. Nei nuovi materiali ceramici si tenta di ovviare a tali difetti sostituendo i tradizionali silicati naturali contenenti legami ionici con sostanze a legame covalente, in modo da creare reticoli covalenti con caratteristiche termiche e meccaniche di elevata qualità. La fragilità dei ceramici può essere notevolmente attenuata con trattamenti “anticrepa”, consistenti nell’inglobare nel materiale fibre di ceramica, di plastica, o di metallo, dette comunemente wiskers (baffi). Mentre i ceramici tradizionali sono tutti a base di silice o silicati, i ceramici speciali sono costituiti per la maggior parte da carburi, boruri, nitruri e siliciuri e in misura minore da miscele di ossidi e sali metallici. Per i ceramici costituiti da sali (silicati, alluminati ecc.) o Nuovo Corso di Chimica © 2005 by Minerva Italica, Milano - Edumond Le Monnier S.p.A. - Tutti i diritti riservati Identificare le ceramiche come materiali con i quali vengono costruiti vasi da giardino o altri oggetti di uso domestico è divenuto anacronistico e limitativo. Nuove formulazioni dei componenti di partenza e tecnologie avanzate di produzione hanno creato materiali dalle prestazioni elevate, i neoceramici, da adoperare in condizioni particolarmente severe con prestazioni superiori a quelle dei materiali tradizionali. Praticamente oggi non esiste campo dell’alta tecnologia in cui i neoceramici non svolgano un ruolo significativo: dall’industria aerospaziale (lo Space Shuttle viene ricoperto di circa 30.000 tavolette di ceramica per proteggerlo dal calore nella fase di rientro nell’atmosfera) al campo dell’energia nucleare, dalla microelettronica e dalla tecnologia dei computer all’ingegneria meccanica e alla medicina. La tabella illustra i campi di applicazione dei nuovi prodotti ceramici. Un impiego importante dei materiali ceramici ad alte prestazioni riguarda i componenti strutturali dell’ingegneria e Da: G. K. Muecke, P. Moeller, Le terre non-così-rare, «Le Scienze», 235, marzo 1988. UD 8 I neoceramici Il fatto che le terre rare non siano uniformemente distribuite sulla faccia della Terra è un vantaggio sia per le compagnie di estrazione e lavorazione del minerale, sia per i geochimici. I ricercatori che studiano la distribuzione delle terre rare nei minerali possono da qui acquisire cognizioni geologiche utili per le scienze della Terra e, in definitiva, per l’industria moderna. da ossidi si possono usare metodi diretti di fusione e successiva solidificazione in stampi. Tuttavia la tecnica maggiormente seguita è quella della sinterizzazione. I componenti in polvere devono essere mescolati con acqua e opportunamente “formati” (come l’argilla) per poter autosostenersi. Successivamente la sinterizzazione viene ottenuta per pressatura ad alte pressioni entro uno stampo di 9 materiali extraguida UD 8 acciaio. Nei ceramici non contenenti ossigeno (nitruri, carburi ecc.) i legami che si instaurano sono di tipo covalente; si usa in genere operare contemporaneamente la pressatura e il riscaldamento a 1900-2000 °C che produce la sinterizzazione finale (hot-pressing). La tabella alla pagina precedente illustra le formule dei composti più caratteristici. Tra i materiali più promettenti figurano il nitruro di silicio, Si3N4, in cui gli atomi di silicio, collegati per mezzo di quel- La solidificazione più mirabile in cui io mi sia imbattuto è quella del filo dei ragni, bestiole piene di risorse verso le quali nutro emozioni fortemente ambivalenti. Nessuno degli schemi che si incontrano normalmente si applica al solidificarsi istantaneo del filo del ragno. Può essere un semplice congelamento, così come solidificano l’acqua, la ghisa, la cera quando vengono raffreddate al di sotto di una temperatura determinata? Certo no: il ragno ha sempre la temperatura dell’ambiente in cui vive, e il suo serbatoio non può essere più caldo dell’aria. La filiera del ragno, vista al microscopio, assomiglia molto a quella attraverso cui si trafila il nailon, ma è un’analogia illusoria: sopra quest’ultima sta il nailon fuso, a più di 250 gradi. Può evaporare un solvente come appunto avviene nelle vernici? No: nessun solvente è mai stato trovato nel corpicino del ragno, a eccezione dell’acqua, che è di lenta evaporazione; mentre invece la solidificazione del filo è istantanea, da liquido esso diventa solido appena esce dalla filiera; altrimenti il ragno non vi si potrebbe appendere. Inoltre se si trattasse dell’evaporazione di una soluzione acquosa, il filo dovrebbe rimanere solubile in acqua, il che non è: anche se appena intessuta, la ragnatela resiste benissimo alla pioggia e alla rugiada. Può avvenire una polimerizzazione, possono cioè formarsi molecole lunghe, e quindi solide, a partire da un “brodo” di molecole piccole contenute nelle ghiandole del ragno? I chi- UD 12 www.minervaitalica.it Nuovo Corso di Chimica © 2005 by Minerva Italica, Milano - Edumond Le Monnier S.p.A. - Tutti i diritti riservati Il segreto del ragno Anomalie di un liquido Tutti conoscono la formula chimica dell’acqua, H2O. Pochi però sanno che questa sostanza possiede proprietà fisiche così particolari che la rendono diversa sia dagli idruri a lei simili, come H2S (acido solfidrico) e NH3 (ammoniaca), sia dagli altri liquidi esistenti in natura. Queste proprietà speciali sono note come le anomalie dell’acqua. Eccone alcune, così come le elenca il chimico sovietico N. Voznaya nel suo libro Chemistry of water & Microbiology. • Quando l’acqua è riscaldata da 0 a 4 °C il suo volume non aumenta, come avviene per tutte le altre sostanze, ma diminuisce. Tanto che l’acqua ha il suo massimo di densità non al punto di congelamento, ma alla temperatura di 3,98 °C. • Quando l’acqua viene congelata essa si espande invece di contrarsi come fanno tutte le altre sostanze, e la sua densità diminuisce. • Il punto di congelamento dell’acqua si abbassa all’au- 10 li di azoto, sono organizzati in strutture simili a quelle dei silicati, e i molti tipi di Sialon, ottenuti dal nitruro di silicio per parziale sostituzione del silicio con alluminio e dell’azoto con ossigeno, da cui il nome (Si–Al–O–N). La sostituzione controllata determina le caratteristiche finali, adattate in modo preciso e ripetibile, alle esigenze ingegneristiche. Da: F. Pavoni, I neoceramici, «Didattica delle Scienze», 156, novembre 1991. mici non conoscono nessun processo di polimerizzazione che avvenga in una frazione di secondo e per così dire “a comando”, ossia al semplice passare da un ambiente confinato all’aria aperta. Conoscono sì i processi in cui si formano solidi miscelando due liquidi, ma il ragno possiede un solo tipo di materia prima. La soluzione del problema è nota da pochi anni, ed è di una semplicità disarmante. Il liquido secreto dalle ghiandole del ragno, e immagazzinato a monte delle filiere, diventa solido quando è sottoposto a trazione. È composto di molecole già lunghe quanto basta per essere solide, ma sono raggomitolate e quindi scorrono le une sulle altre: sono cioè un liquido anche se molto vischioso. Ma il ragno secerne il filo sempre e solo sotto trazione; “tende” il suo filo. Ora, è talmente fine e specifica la natura di questo liquido, che basta un modesto allungamento della sua bava per provocarne la solidificazione irreversibile: le molecole aggrovigliate si distendono e diventano fili paralleli. Lo stesso meccanismo è quello sfruttato da tutti i bruchi che si fabbricano un bozzolo: così nasce la seta. Nessun chimico è ancora riuscito a riprodurre un procedimento così elegante, semplice e pulito. Abbiamo sorpassato e violentato la natura in molti campi, ma dalla natura abbiamo ancora parecchio da imparare. Da: P. Levi, Il segreto del ragno, «CnS (Chimica nella Scuola)», marzo-aprile 1997. mentare della pressione, invece di elevarsi come ci si attenderebbe. • Il calore specifico dell’acqua è eccezionalmente elevato. • Con la sua elevata costante dielettrica, l’acqua è un solvente e un agente dissociante migliore degli altri liquidi. • L’acqua possiede la più elevata tensione superficiale (pari al lavoro necessario per formare un’unità di superficie) di tutti i liquidi a eccezione del mercurio. Questa e altre anomalie indicano che la coesione interna, cioè la forza di attrazione tra le molecole, è molto elevata. Bisogna quindi cercare una spiegazione nella particolare “struttura dell’acqua liquida”. Come scrive F. Franks in un capitolo del suo libro Water, l’espressione “struttura di un liquido” richiede qualche spiegazione e qualche giustificazione. “Generalmente una struttura è definita dalle coordinate delle posizioni degli atomi o delle molecole e contiene un elemento di periodicità. Un liquido, d’altra parte è caratterizzato da una distribuzione random, casuale, delle molecole (moto browniano) e dall’as- proposte di letture integrative Azzardò anche l’ipotesi che, proprio come per i diversi tipi di energia, le varie specie di entropia potevano essere addizionate e sottratte. Ma qual era l’esatta somma di tutte le variazioni entropiche verificantisi nell’universo? E come avrebbe potuto anche solo cominciare a eseguire un calcolo così astronomico? Imperterrito decise di fare un tentativo, creando anzitutto un semplice sistema di contabilità: tutte le variazioni di carattere naturale – ossia le variazioni di energia e di temperatura che si verificavano nella natura in modo spontaneo, senza costrizione – sarebbero state considerate variazioni entropiche positive. Per esempio, nel caso di una tazza di caffè bollente che va via via raffreddandosi, Clausius avrebbe affermato che l’entropia era in fase di aumento. Al contrario, tutte le variazioni innaturali – cambiamenti di energia e di temperatura che si verificavano esclusivamente quando erano sollecitati da una macchina – sarebbero state considerate negative. Per esempio, nel caso delle macchine a vapore, che trasformavano il calore in lavoro, o dei refrigeratori, che forzavano il calore a passare da un luogo freddo a uno più caldo, secondo Clausius l’entropia specifica era in fase di diminuzione. Esaminando le macchine a vapore reali, i calcoli di Clausius dimostrarono che le variazioni naturali (il calore che fuoriusciva inutilmente dalla caldaia verso il condensatore e il lavoro che veniva trasformato in calore per azione dell’attrito) eccedevano sempre l’unica variazione innaturale (il calore che veniva trasformato in lavoro dagli stantuffi). Clausius verificò che gli stessi risultati potevano essere riferiti a qualunque tipo di macchina reale, compresi gli esseri umani. Ciò che aveva scoperto utilizzando la funzione entropia aveva carattere universale. La somma di tutte le variazioni di entropia, positive e nega- www.minervaitalica.it …Clausius cominciò la sua riflessione ripensando a due esempi. Anzitutto il calore sembrava passare in maniera naturale dai corpi caldi ai corpi freddi, mai dai freddi ai caldi. In secondo luogo, l’attrito convertiva il movimento meccanico in calore, ma sembrava che in natura non esistesse un processo che trasformasse il calore in movimento. Fondamentalmente, la relazione non biunivoca tra lavoro e calore dipendeva dai due diversi tipi di “cambiamenti” prodotti da due tipi di fenomeni. L’uno era un cambiamento di temperatura (energia termica che passa da sistemi a temperatura più alta a sistemi a temperatura più bassa); l’altro, un cambiamento della forma di energia (energia meccanica che, per attrito, si trasforma in energia termica). Clausius decise di formulare un’ipotesi di ampia portata: la trasformazione dell’energia meccanica (energia ordinata) in calore (energia disordinata) e il cambiamento della temperatura altro non erano che due aspetti dello stesso fenomeno: variazioni di entropia. “Ho voluto intenzionalmente adottare il termine entropia per rimanere il più vicino possibile alla parola energia”, spiegò Clausius, “in quanto le due grandezze (…) sono così affini in senso fisico, che anche nella definizione questo accostamento pare opportuno.” Anni prima, Clausius aveva dimostrato come l’energia solare, in linea di massima, fosse in sostanza simile all’energia elettrica o a quella acustica o a qualsiasi altro tipo di energia. Ora, secondo Clausius, esistevano fenomeni più ampi e più completi, prodotti non soltanto dalle variazioni di energia. La variazione di entropia racchiude non solamente le variazioni di tutti i tipi di energia, ma anche la variazione della temperatura. Da: P. Greco, Anomalie di un liquido, «Sapere», 8/9 (940), agostosettembre 1991. UD 13 L’entropia tri ricavati ai raggi X offrono una buona immagine della struttura di una sostanza. “Le tecniche di diffrazione” continua Franks in Water “hanno portato a progressi tanto importanti nella comprensione della struttura dei cristalli che, più tardi, sono state applicate anche ai liquidi. Ed è stato trovato che i liquidi, come i solidi cristallini, deflettono le radiazioni e di conseguenza provocano figure di intensità ben definita dei raggi X (o dei neutroni).” In altri termini alcuni liquidi, come l’acqua, hanno una loro struttura, meno stabile nel tempo, ma altrettanto reale di quella dei solidi. La “struttura di un liquido” corrisponde in definitiva a una disposizione ben ordinata di molecole, la cui reale identità, peraltro, cambia costantemente in tempi rapidissimi. È singolare come il composto chimico a noi più familiare, l’acqua, sia tra quelli che conosciamo di meno. Allo stato liquido pare proprio che abbia una struttura complessa, ordinata a vari livelli. Questa struttura, responsabile del suo comportamento anomalo, non è stata ancora ben chiarita. Gli studi di chimica-fisica ne hanno proposto, nel corso degli anni, vari modelli. Ma, come scrive il chimico inglese Donald Eegland in un recente saggio apparso sulla rivista di divulgazione francese «La Recherche», nessuno è davvero universale. Nessun modello riesce a fornire previsioni quantitative di tutte le anomale proprietà dell’acqua. Nuovo Corso di Chimica © 2005 by Minerva Italica, Milano - Edumond Le Monnier S.p.A. - Tutti i diritti riservati senza di ordine periodico. In altri termini, lo stato liquido non può essere descritto da un set di coordinate molecolari.” In un liquido non c’è quell’ordine periodico né a breve, né tantomeno a lungo range, presente in un solido cristallino e che si evidenzia quando il cristallo è studiato mediante tecniche di diffrazione dei raggi X o dei neutroni. “Va da sé che questa affermazione è vera” scrive Franks in un altro libro, Poliacqua. “Tuttavia se fosse possibile fotografare un liquido con pose di tempi molto brevi, le istantanee mostrerebbero che sono favorite determinate combinazioni geometriche di molecole. Per esempio nel caso dell’acqua, si vedrebbe che ogni molecola è il più delle volte circondata da altre quattro, poste più o meno agli angoli di un tetraedro. Espressioni quali ‘più o meno’ e ‘il più delle volte’ stanno a sottolineare la differenza essenziale tra un liquido e un solido, per i quali potremmo usare i termini ‘esattamente’ e ‘sempre’. Un’altra differenza essenziale tra solidi e liquidi è che in fotografie successive il solido presenterebbe sempre le stesse molecole, poiché queste sono bloccate in una struttura cristallina. Nel liquido, invece, le molecole si mescolano, e ciò avviene su una scala temporale molto più breve del tempo di esposizione delle nostre ipotetiche istantanee. Così esposizioni successive inquadrano altri gruppi di molecole, ma la loro posizione nello spazio sembrerebbe corrispondere al modello tetraedrico che ricorda quello del ghiaccio.” Le “foto”, impossibili da fare con una macchina fotografica, in realtà esistono. Anche se non sono delle istantanee, gli spet- 11 materiali extraguida tive, che si verificavano con l’uso della totalità delle macchine esistenti nell’universo, non solo conservava l’entropia, bensì aveva sempre l’effetto di aumentarla. Sempre! Condensò il risultato delle sue considerazioni nell’espressione matematica: ∆S universo > 0 UD 14 Nuovo Corso di Chimica © 2005 by Minerva Italica, Milano - Edumond Le Monnier S.p.A. - Tutti i diritti riservati www.minervaitalica.it o, per esteso, “la variazione dell’entropia dell’universo è sempre maggiore di zero”. L’universo, rivelava la geniale legge dell’entropia, era paragonabile a un casinò. L’entropia era il denaro che vi si giocava. Le macchine erano i giocatori. Il principio di aumento dell’entropia stava a significare che le variazioni in positivo del denaro di un casinò erano sempre superiori alle variazioni in negativo. In altri termini, le vincite di un casinò erano costantemente superiori alle sue perdite. In definitiva, tale principio diceva che l’universo, proprio come un casinò, continuava a vivere a spese del funzionamento delle sue macchine, macchina umana compresa. Finché l’universo avesse continuato a ricavarne profitto, esso avrebbe continuato a funzionare. Il giorno in cui la totalità delle macchine avesse perso tutto – il giorno in cui le variazioni entropiche dell’universo in positivo si fossero esaurite, cioè fossero scomparsi tutti i fenomeni naturali –, anche l’universo avrebbe chiuso per sempre i battenti. Nel 1877 un fisico austriaco, Ludwig Boltzmann, aveva individuato un nuovo metodo per definire l’evoluzione entropica dell’universo. L’entropia, secondo la dimostrazione di Boltzmann, era una misura della disorganizzazione: perciò il principio di non-conservazione dell’entropia di Clausius significava che l’universo non stava diventando solamente più tranquillo, ma anche più caotico. Ciò implicava che l’universo doveva essere inizialmente molto ben organizzato; era come se miliardi di anni prima, qualcosa o qualcuno avesse costruito un orologio a molla e lo avesse caricato a puntino. L’universo ora stava Catalisi di superficie Particolari reazioni chimiche vengono facilitate dalla capacità degli atomi, presenti nella superficie di un solido, di interagire con le molecole di un liquido o di un gas alterandone leggermente la struttura. In effetti, grazie alle interazioni tra le molecole di gas o di liquidi e le superfici dei solidi, è stato possibile sintetizzare una miriade di nuovi composti, mettere a punto processi chimici efficienti ed eliminare sostanze inquinanti dall’ambiente. Per illustrare come la chimica delle superfici ha influito sul progressivo uso dei catalizzatori nelle reazioni, sono stati scelti alcuni casi che rivestono notevole importanza scientifica, tecnologica e sociale. Un esempio è costituito dall’uso dei catalizzatori per facilitare la decomposizione dell’ossido di azoto emesso dagli scarichi delle automobili, grazie alla quale è stato possibile alleviare il problema delle piogge acide. Si vedrà poi in qual modo sia possibile la rimozione dello zolfo dai combustibili di origine fossile allo scopo di migliorare la qualità dell’aria. La funzione principale dei convertitori catalitici a base di 12 pian piano perdendo la carica, si stava lentamente rilassando e disgregando. L’interpretazione caotica dell’entropia fornita da Boltzmann dava un nuovo significato del principio di non-conservazione: l’universo era un predatore della vita e tendeva alla morte e alla distruzione. La creazione della vita era un atto innaturale, un evento casuale momentaneo, altamente improbabile, rispetto al disordine naturale delle cose. In breve la vita sfidava i principi della natura! Ma com’era possibile una tale sfida alla legge entropica? Come era possibile che potesse esistere vita in un universo governato da un principio contrario alla vita stessa? Clausius ora sapeva la risposta: come tutti i comportamenti innaturali, la vita era il risultato di una macchina i cui effetti erano in grado di capovolgere i principi del naturale corso degli eventi, come un refrigeratore che riuscisse a far fluire calore dal freddo al caldo. Una vita appena creata corrispondeva alla massima variazione entropica negativa prodotta dalla macchina; questo significava che la confusione degli elementi chimico-biologici risultante dalla combinazione di un ovulo femminile con uno spermatozoo maschile veniva trasformata in un essere ben organizzato, facendo così diminuire la disorganizzazione dell’universo. Come tale, la vita rappresentava, per il casinò, una perdita incommensurabile, un’esperienza fallimentare. Secondo l’inesorabile principio di Clausius, comunque, le auspicabili variazioni entropiche negative prodotte dalla macchina della vita devono sempre essere superate dalle funeste variazioni entropiche positive. Scientificamente, insomma, la creazione di un certo quantitativo di vita era inevitabilmente accompagnata da un quantitativo maggiore di morte… Adattato da: M. Guillen, Le cinque equazioni che hanno cambiato il mondo, Longanesi, 1997. platino e rodio per le automobili è di trasformare l’NO e il CO presenti nei gas di scarico, in altri prodotti meno nocivi come N2 e CO2. Per poter studiare il meccanismo del processo è necessario “osservare” quali cambiamenti subiscono le molecole dei gas nell’interazione con una superficie. Si usano, a tal scopo, tecniche analitiche di vario tipo che consentono di misurare le forze che tengono uniti gli atomi, come la spettroscopia fotoelettrica a raggi X (XPS) e la spettroscopia ad alta risoluzione delle perdite di energia di elettroni (HREEL). Grazie a queste tecniche, intorno alla metà degli anni ˙80, sono stati identificati gli stadi fondamentali della decomposizione dell’ossido di azoto e determinati gli effetti sulla catalisi del modo in cui gli atomi di rodio sono disposti sulla superficie del substrato. L’analisi del meccanismo con cui agisce il rodio nel vuoto e alle alte pressioni esistenti durante il funzionamento del convertitore catalitico ha permesso di elaborare un modello generale del processo che consente di prevedere il comportamento di nuovi catalizzatori metallici. Per uno studio ancora più dettagliato delle modalità con le quali la struttura del rodio influenza la catalisi della reazione di dissociazione dell’ossido di azoto, si è adottato di recente proposte di letture integrative Quando si parla del protone in soluzione acquosa, il primo dubbio da risolvere riguarda il simbolo da adottare. È più corretto scrivere H+ o H3O+? Le osservazioni da fare sono due: a. per semplificare i simboli si scrive H+ o H+(aq), in particolare per le reazioni di ossidoriduzione e quando si applica la legge di azione di massa; b. dal momento che, in genere, non si indica il numero esatto delle molecole d’acqua di idratazione degli ioni metallici, si seguono le stesse regole per il protone e si scrive H+(aq). Le notazioni H+, H+(aq) e H3O+ sono usate da quasi tutti i manuali come se fossero intercambiabili. Ci sembra invece indispensabile, per non dare agli allievi l’impressione che la chimica sia una scienza poco rigorosa, precisare la natura delle specie presenti in una soluzione acida o basica. Il protone solvatato Il fenomeno della solvatazione rappresenta un aspetto particolare dell’interazione tra particelle che può essere spiegato con uno dei quattro tipi possibili di interazione: Per un solvente come l’acqua, le cui molecole si comportano come dipoli permanenti, non è il caso di considerare le forze di Van der Waals; per ioni piccoli, come H+ e Na+ e in generale per le interazioni ione-acqua, non si considerano le interazioni del secondo tipo. Pertanto per uno ione in soluzione acquosa sono possibili due tipi di interazione con il solvente: • un’interazione ione-dipolo non direzionale. Si tratta di un fenomeno elettrostatico nel quale si ammette che la carica dello ione sia distribuita regolarmente su una sfera; il numero di molecole d’acqua legate non è definitivo, in quanto i valori trovati dipendono dal metodo adottato per la determinazione. È quanto si osserva per lo ione Na+ in soluzione acquosa; • la formazione di un legame di coordinazione, grazie agli elettroni liberi dell’ossigeno. Nel caso del protone, bisogna innanzitutto tener presente che si tratta di una particella subatomica. La carica di una particella molto piccola crea attorno a questa un campo molto forte. È dunque praticamente impossibile che, in condizioni normali, possa esistere in soluzione acquosa il protone “nudo”. L’energia di idratazione del protone in base ai dati termodinamici assume valori molto diversi, a seconda dello stato di riferimento dell’H+ e dell’H2O. Si può infatti avere: + +H O + H(g) 2 (g) → H3O(g) ∆H° = –694 kJ/mol oppure: + + H O → H O+ H(g) 2 (l) 3 (l) ∆H° = –1105 kJ/mol www.minervaitalica.it • interazioni di Van der Waals, non specifiche, molto deboli e a corto raggio; • interazioni dipolo-dipolo tra molecole polari; • interazioni ione-dipolo; • formazione di legami chimici: coppie di ioni, legame covalente, legame di coordinazione. Da: C. M. Friend, Catalisi di superficie, «Le Scienze», 298, giugno 1993. UD 16 Il protone in soluzione acquosa desolforazione è una miscela di cobalto, molibdeno e dello stesso zolfo. Nel corso degli ultimi anni è stato messo a punto un modello generale che descrive i meccanismi con cui i tioli, un’importante classe di composti (contenenti il gruppo –SH) presenti nel greggio, interagiscono con le superfici del molibdeno. Sono stati identificati diversi stadi del processo di desolforazione dei tioli. Il primo stadio consiste nella rottura del legame zolfo-idrogeno. Questo si svolge molto rapidamente ed è favorito dai forti legami che zolfo e idrogeno formano con la superficie del molibdeno. Negli stadi successivi il legame carbonio-zolfo viene spezzato e si forma il legame carbonio-idrogeno che genera gli idrocarburi, cioè i prodotti della reazione. Gli esempi visti rappresentano alcuni dei settori in cui viene applicata con successo la chimica delle superfici. Tuttavia, per comprendere come le superfici dei solidi interagiscono con i legami e con la struttura di molecole complesse, è necessario un ulteriore sviluppo del progresso tecnologico e teorico. Nuovo Corso di Chimica © 2005 by Minerva Italica, Milano - Edumond Le Monnier S.p.A. - Tutti i diritti riservati il microscopio a scansione a effetto tunnel. Per produrre immagini delle superfici in scala atomica, il microscopio posiziona un sottilissimo stilo metallico a qualche decimo di nanometro dal campione e lo fa scorrere sulla sua superficie. Il microscopio rivela che tra stilo e superficie si verifica un passaggio di elettroni e dal momento che questo è correlato alla sporgenza degli atomi dalla superficie, l’informazione così ottenuta può essere tradotta in immagini. La chimica delle superfici si è rivelata uno strumento utile anche per chiarire il processo catalitico con cui si rimuove lo zolfo dai combustibili di origine fossile. La presenza, anche in tracce, di questo elemento è nociva per l’ambiente per due ragioni. In primo luogo, quando si brucia il combustibile in un motore, lo zolfo presente reagisce con l’aria e forma ossidi di zolfo che contribuiscono al fenomeno delle piogge acide. Inoltre lo zolfo si fissa al platino e al rodio contenuti nei convertitori catalitici, inattivandoli e contribuendo indirettamente a un aumento della quantità di NO e CO emessa dai tubi di scarico. Nelle raffinerie, lo zolfo viene rimosso durante la conversione del greggio in idrocarburi utili come, per esempio, l’ottano. Il processo deve eliminare tutto lo zolfo senza distruggere gli idrocarburi. Attualmente il miglior catalizzatore per la Quest’ultimo valore, molto più alto di quello che si trova per gli altri ioni monovalenti (Li+: ∆H°= –528 kJ/mol; Na+: ∆H°= –419 kJ/mol; K+: ∆H°= –334 kJ/mol), dimostra che l’interazione tra il protone e l’acqua è molto forte ed è quindi dovuta anche alla formazione di legami di coor- 13 materiali extraguida UD 19 L’esistenza dello ione H3O+ è stata provata nel 1924 da Volmer con studi cristallografici sui cristalli di acido perclorico, isomorfi del perclorato di ammonio. Più recentemente, essa è stata confermata da studi condotti su soluzioni di acidi alogenidrici mediante diverse tecniche spettroscopiche (IR, NMR) e diffrazione di neutroni. Questi studi hanno anche fornito informazioni sulla struttura dello ione H3O+. In base agli studi condotti e ai relativi risultati, possiamo dire che scrivere H+ è scorretto e scrivere H+(aq) per rappresentare il protone in soluzione acquosa sarebbe come scrivere SO3(aq) per rappresentare l’acido solforico. La specie H3O+ esiste e i legami O—H sono più forti nello ione H3O+ che nella molecola H2O. Lo ione H3O+, inoltre, è Un deposito per le scorie nucleari in Italia Il deposito di Yucca Mountain, nel deserto del Nevada, è stato progettato in un contesto geologico stabile e in un clima al riparo da uragani e cicloni. Ma come ci si comporta in un paese in cui il 50% del territorio è a rischio idrogeologico e altrettanto sottoposto a quelli sismico e vulcanico? In Giappone, dove la situazione è simile alla nostra, si cercano terreni interposti fra le regioni vulcaniche; quanto ai terremoti, non sembrano essere un problema importante come l’inquinamento delle falde idriche. Per questo motivo in Giappone si cercano siti di stoccaggio al di sotto dei 1000 m e fuori dal raggio di interferenza con fluidi sotterranei. Nell’Europa continentale si cercano formazioni rocciose granitiche all’interno degli antichissimi “scudi” (le parti originali e stabili dei frammenti continentali più antichi) o miniere di salgemma in aree non toccate da terremoti o vulcani. In tutti i casi le soluzioni non sembrano essere definitive, tantomeno in Italia. Da un punto di vista geologico il problema non è insolubile: un sito adatto non deve presentare elevato rischio sismico, né vulcanico, né idrogeologico. Siti del genere sono UD 19 Nuovo Corso di Chimica © 2005 by Minerva Italica, Milano - Edumond Le Monnier S.p.A. - Tutti i diritti riservati www.minervaitalica.it dinazione. Si può, quindi, dedurre che: • lo ione H+ reagisce con l’acqua formando un legame covalente dativo (di coordinazione) che dà origine allo ione H3O+; • lo ione H3O+ viene idratato dall’acqua. 14 Bombe atomiche tra le nuvole I fulmini sono da sempre simbolo di potenza divina ed è infatti grazie a loro che, secondo la mitologia greca, Zeus riuscì a prendere il comando dell’Olimpo e a divenire il più potente degli dei. Forse perché i fulmini sono tra i fenomeni atmosferici più spettacolari: ogni scarica conduce circa 30.000 ampere e riscalda l’aria che attraversa fino a 40.000 °C: almeno cinque volte più della superficie del Sole, quanto basta a disintegrare qualsiasi materiale. I fulmini scoccano dove e quando vogliono, sfuggendo spesso alle misure degli scienziati. La fase luminosa che noi conosciamo è solo una delle tante di un fenomeno molto più complesso e ancora in larga parte misterioso. Secondo fortemente legato per interazione ione-dipolo a tre molecole d’acqua e, più debolmente, a una quarta. La distanza O—H—O, cioè la lunghezza del legame idrogeno che unisce gli ioni H3O+ alle molecole di H2O solvatate è stata valutata in 0,252 nm, più breve di quella valutata per l’acqua pura che è circa 0,276 nm; ciò dimostra la forza delle interazioni tra la specie H3O+ e l’acqua solvatata. Una scrittura corretta della specie H3O+(aq) sarebbe quindi H3O(H2O)+ 3 , ma poiché è d’uso non rappresentare le molecole di acqua di solvatazione, il simbolo H3O+(aq) è quello che meglio rappresenta il protone in soluzione acquosa. Resta un ultimo problema. Quale nome dare alla specie H3O+? Sono stati usati i termini: idronio, ossonio e idrossonio. La IUPAC ha proposto il termine ossonio, ma è accettato anche il termine idronio, quello usato più comunemente. Da: P.G. Albertazzi, B. Piacenza, A. Regis, E. Roletto, A proposito di pH: una misura facile, un concetto difficile, «Didattica delle Scienze», 149, 1990. rari in Italia, ma non impossibili da individuare. La barriere ingegneristiche da mettere in opera e l’inertizzazione dei rifiuti nucleari sono altri due problemi tecnici che possono essere risolti: è solo una questione di spesa. La Sardegna e la parte meridionale della Puglia sono le uniche regioni potenzialmente escluse da un rischio sismico e vulcanico elevato, anche se certamente lo stesso non si può dire per quello idrogeologico. Perciò si è proposto di utilizzare come deposito le miniere del Sulci-Iglesiente, nella parte Sudovest dell’isola. Proprio in questi anni, però, il patrimonio di archeologia industriale di Montevecchio è in via di valorizzazione in un progetto che coinvolge la messa in sicurezza delle miniere e del territorio. Le miniere di Montevecchio hanno conservato quasi integra la natura che ricorda il tempo in cui la Sardegna era una specie di foresta galleggiante: chi visiterebbe un parco in cui sono stati stivati rifiuti radioattivi? Per l’individuazione di siti adatti l’idoneità geologica è il primo parametro, ma non solo: ci vogliono soluzioni che non compromettano il patrimonio naturalistico e storico-artistico del Paese. Da: M. Tozzi, Come si sceglierà il deposito in Italia, da Centomila anni di radiazioni, «Newton», 10, ottobre 2003. ricerche recenti, i fulmini potrebbero perfino innescare reazioni nucleari nell’atmosfera. Fino a non molto tempo fa si pensava che i fulmini fossero semplici scariche elettriche, ma le cose non sono così semplici, i campi elettrici generati durante un temporale non sono abbastanza intensi da provocare un scarica elettrica tradizionale. L’ipotesi più recente è che i fulmini siano dovuti a scariche elettriche meno convenzionali (runaway breakdown), in quanto richiedono campi elettrici meno intensi e producono particelle ultraveloci come i raggi X e i raggi γ. Una scarica di questo tipo sarebbe stimolata dal passaggio dei raggi cosmici che si comporterebbero come un fiammifero acceso in un pagliaio. proposte di letture integrative Una volta che una molecola è prevista dalla teoria, prima o poi viene prodotta in laboratorio. Sembra essere questo il principio che ha ispirato la ricerca dell’N4, o tetrazoto, un artefatto chimico costituito dall’unione di due molecole di N2, il principale componente dell’aria che respiriamo. L’interesse pratico per la sintesi del tetrazoto è legato al fatto che la sua decomposizione in due molecole di azoto è fortemente esotermica e fornisce prodotti presenti naturalmente nell’atmosfera. Sulle applicazioni delle molecole poliazotate si stanno facendo grandi investimenti. L’obiettivo è di avere composti che Da: A. Parlangeli, Bombe atomiche tra le nuvole, «Focus», 143, settembre 2004. liberano una grande quantità di energia quando si rompono, senza produrre sostanze inquinanti. Nel caso dell’N4 l’energia liberata nella decomposizione si aggira intorno a 800 chilojoule per mole. Il problema però è che si tratta di una molecola troppo instabile per poter pensare ad applicazioni immediate: in un serbatoio, basterebbe la decomposizione di una sola molecola per farle decomporre tutte. Per questo motivo si sta studiando la possibilità di produrre molecole più complesse. I chimici teorici pensano anche che una molecola di N8, o di N6, possa essere più stabile. Da: F. Claudi, Quattro atomi per una supermolecola, «Le Scienze», 403, marzo 2002. www.minervaitalica.it nerale è quello di una sottile lamina di acciaio dolce (a basso tenore di carbonio), rivestita su entrambe le facce principalmente da un sottile strato di stagno. Banda stagnata coke In passato la banda stagnata era ottenuta facendo passare un rotolo di acciaio di 5.000-10.000 m in un bagno di stagno fuso, e l’eccesso di stagno veniva eliminato tramite due serie di rulli. In questo tipo di lamiera lo stagno risultava distribuito in modo irregolare e se ne doveva applicare almeno una quantità pari a 0,450 kg su una superficie di 20,2325 m2 . In tal modo la superficie risultava avere un aspetto zebrato. A causa di questo aspetto esteticamente sfavorevole questo tipo di banda stagnata non si usa più, la si può trovare in rimanenze di magazzino o in merci declassate. Banda stagnata ETP (electrolytic tin plate) Viene prodotta mediante deposizione elettrolitica dello stagno sul lamierino di acciaio. Questo metodo permette di controllare a proprio piacimento la deposizione metallica. Generalmente la faccia che costituisce l’interno della sca- UD 18, 20 Composizione e proprietà degli imballaggi metallici Ogni imballaggio metallico per alimenti e non, è costituito da una somma di diverse parti metalliche, chiamate “corpo” (struttura portante) e “coperchio”. Ognuna di queste parti è costituita da un supporto metallico, il quale viene verniciato internamente ed esternamente con rivestimenti polimerici di varia natura. L’imballaggio metallico ha in realtà, dopo una corretta verniciatura, le caratteristiche meccaniche proprie del supporto metallico e le proprietà chimiche di un package plastico poiché tale è la natura del rivestimento impiegato. I materiali principalmente usati per gli imballaggi metallici sono in generale a base di acciaio e alluminio; in particolare tratteremo i seguenti tipi: • Banda stagnata coke • Banda stagnata ETP • Tin Free Steel • Black Steel • Leghe di alluminio I primi quattro tipi sono materiali in acciaio convenzionalmente denominati “bande stagnate”(tin plate). L’aspetto ge- UD 20 Il tetrazoto zioni chimiche nell’atmosfera. In seguito ai temporali estivi infatti si verifica un aumento di ozono e di ossidi di azoto tra i 5 e i 14 km di altezza. Oggi si sospetta addirittura che, oltre a provocare reazioni chimiche, i fulmini potrebbero innescare reazioni nucleari. È stato osservato, infatti, che nel corso di alcuni temporali la quantità di raggi γ nell’atmosfera aumenta, per poi scomparire dimezzandosi ogni 50 minuti. Questo suggerisce, secondo i ricercatori, che all’interno di un fulmine avvengono violenti scontri tra particelle microscopiche (protoni energetici e atomi di argo) che generano atomi radioattivi, tra i quali anche il 39Cl. Questo elemento infatti è caratterizzato da un tempo di decadimento radioattivo di 50 minuti che coincide con il tempo di dimezzamento misurato dei raggi γ. In ogni caso il livello di radiazioni di cui si parla è così basso da non costituire un pericolo per la nostra salute. Dai fulmini comunque è meglio stare alla larga, la regola migliore sarebbe mettersi al riparo appena si vede giungere un temporale, e rimanerci fino a trenta minuti dopo l’ultimo tuono. Nuovo Corso di Chimica © 2005 by Minerva Italica, Milano - Edumond Le Monnier S.p.A. - Tutti i diritti riservati Il fulmine quando nasce è invisibile. Il processo parte con l’accumulo di cariche (di solito) negative alla base delle nuvole che attraggono le cariche positive a terra creando un canale che si propaga dalla nuvola al suolo. Questo canale invisibile si chiama “leader”, si muove con improvvise accelerazioni cercando il percorso che offre la minore resistenza e si dirama in continuazione “scolpendo” nell’atmosfera il percorso che sarà seguito dal fulmine luminoso in una fase successiva. In questa fase preparatoria il fulmine emette brevi flash di raggi X ad alta energia. Mentre il “leader”, dotato solitamente di carica negativa, si dirige verso il basso, dal suolo si innalza di alcuni metri un flusso di carica opposta, in corrispondenza degli oggetti più alti (alberi). Quando le due diramazioni si incontrano, il circuito si chiude, e una immensa corrente si riversa dalla terra al cielo, generando il fulmine vero e proprio, cioè quello che vediamo. Lo stesso accade per i fulmini che scoccano all’interno delle nubi o tra nube e nube. Talvolta i temporali si sviluppano anche al di sopra delle nubi, generando enormi scariche elettriche che giungono fino a 100 km di quota, sulla fascia più alta dell’atmosfera. Queste enormi scariche elettriche attivano importanti rea- 15 materiali extraguida UD 19 UD 19 Nuovo Corso di Chimica © 2005 by Minerva Italica, Milano - Edumond Le Monnier S.p.A. - Tutti i diritti riservati www.minervaitalica.it tola dovrà contenere più stagno e la faccia esterna, meno sollecitata, ne potrà contenere meno. Successivamente il lamierino viene sottoposto a ricottura continua a 232°C, in questo modo lo stagno depositato si combina con il ferro formando il complesso intermetallico FeSn2. Segue un processo di passivazione allo scopo di creare sulla sua superficie uno strato sottile di ossido di stagno con residui di cromo di spessore all’incirca costante. Anche il film di passivazione ha solo un effetto ritardante sul processo di ossidazione e la struttura dei lamierini non è sempre costante. A questo scopo sono stati messi a punto diversi processi tendenti a migliorare l’uniformità della passivazione utilizzando materiali a base di cromo. Questo è importante anche ai fini della resa dei prodotti vernicianti. Banda cromata (Tin free steel ECCS) La banda cromata differisce dalla banda stagnata per il rivestimento, composto di cromo metallico e suoi ossidi. Il procedimento prevede un accurato decapaggio e un passaggio in elettrolisi con bagno di acido cromico/acido solforico/acido esafluorosilicico. Il cromo complessivamente deposto varia dai 50 ai 140 mg/m2, mentre gli ossidi di cromo oscillano tra 7 e 35 mg/m2. Quanto più alta è la quantità di ossidi di cromo rispetto al cromo metallico superficiale, tanto più alta risulta l’adesività delle vernici. Banda nera (Black steel) La banda nera è il supporto di minor pregio tra quelli a base di acciaio a causa dell’assenza di rivestimenti e trattamenti vernicianti. Il suo impiego viene sconsigliato per lavorazioni di pregio o destinate a prodotti alimentari. Leghe di alluminio I materiali commerciati con questo nome sono in genere leghe di alluminio e magnesio con quantità marginali di cromo, manganese, zinco, titanio, ferro, silicio, rame... L’antimateria Nel corso del decadimento β– si libera una particella chiamata antineutrino elettronico. Dotato di massa piccolissima (almeno 100.000 volte più piccola dell’elettrone) e senza carica elettrica, è l’antiparticella del neutrino elettronico. Secondo la meccanica quantistica, infatti, per ogni particella esiste la corrispondente antiparticella: particella e antiparticella hanno uguale massa ma carica e proprietà magnetiche opposte. La prima antiparticella scoperta fu l’antielettrone, l’elettrone positivo (o positrone), nel 1932. A esso seguirono l’antiprotone, il protone con carica negativa, nel 1955 e, un anno do- Il controllo della fusione nucleare L’uomo si deve ingegnare in vari modi per poter riprodurre sulla Terra condizioni simili a quelle esistenti nelle stelle, dove i processi di fusione sono determinati dalla forza gravitazionale. Il problema non è solo costituito dalla temperatura incredibilmente elevata richiesta per l’innesco delle reazioni di fusione (decine o centinaia di milioni di gradi), ma anche dall’esigenza di mantenere il combustibile allo stato infuocato 16 La forte duttilità lo rende ideale per molteplici applicazioni (capsule a vite, tubetti flessibili...), il suo uso è inoltre favorito dalla possibilità di riciclaggio pressoché completo, unico inconveniente è l’alto costo di produzione primaria. I materiali a base di alluminio vengono preparati in diversi modi a seconda dell’utilizzo finale. Per le bombole monoblocco e i tubetti flessibili, vengono prodotte pastiglie di lega estrusa, lavorate successivamente fino ad assumere la forma voluta e alla fine verniciate sia internamente sia esternamente. Per le lattine si parte da rotoli di alluminio nudo verniciati esternamente, imbutiti poi fino ad assumere la forma voluta e infine verniciati all’interno. Tali materiali possono, dopo la laminazione a caldo o a freddo, subire un pretrattamento superficiale che ha l’unico scopo di migliorare la verniciabilità del supporto. I trattamenti più utilizzati sono il processo HOT AC e ALODINE. Il primo consiste nel sottoporre la lega a un bagno di acido solforico bollente, provocando la completa anodizzazione della superficie. L’alluminio allo stato di ossido non è più aggredibile e la superficie diviene molto uniforme. Nel processo ALODINE la lega viene trattata con un bagno di acido cromico o cromati allo scopo di creare un velo superficiale di cromo metallico, ossidi di cromo e alluminio che consente di avere supporti con eccezionale attitudine alla verniciatura. La resistenza all’ossidazione è leggermente inferiore a quella che si ottiene con il processo HOT AC, ma può essere corretta aggiustando opportunamente il titolo del bagno. Da: S. Parisi, Composizione e proprietà dei principali supporti metallici usati per il food metal package, « Il chimico italiano», 3/4, luglio-agosto-settembre 2003. po, l’antineutrone che, non avendo carica elettrica, si differenzia dal neutrone per le opposte proprietà magnetiche. Esiste pertanto anche l’antimateria, costituita da antinuclei, formati da antiprotoni e antineutroni, circondati da una nuvola di positroni. Pur tuttavia, anche se i suoi singoli componenti sono stati scoperti, non pare che esistano quantità apprezzabili di antimateria in nessun luogo dell’universo osservabile. Le particelle comunque non possono venire a contatto con le relative antiparticelle poiché si annullerebbero in un processo chiamato annichilazione per trasformarsi nell’equivalente quantità di energia, come previsto dalla legge di Einstein. per un periodo di tempo abbastanza lungo tale da dar luogo a un numero sufficiente di reazioni e, quindi, a un bilancio positivo di energia. A eccezione dei processi di fusione che si verificano a temperature vicine alla temperatura ambiente, le principali vie per sostituire la possibilità di confinamento gravitazionale sulla Terra sono due, e precisamente il confinamento magnetico e il confinamento inerziale. Mediante le macchine a confinamento magnetico le particelle elettriche cariche, ioni ed elettroni che formano un proposte di letture integrative Tuttavia esso consentì la fabbricazione di utensili e di armi dotate di caratteristiche tali (essenzialmente durezza e resistenza) da contrassegnare un’età nella storia dell’Uomo. Si produceva in forni (bassofuochi) in cui minerale e carbone di legna venivano bruciati sotto una spessa copertura di argilla. Fino a tutto il Medioevo il ferro si otteneva sotto for- 17 www.minervaitalica.it Il ferro, conosciuto dall’umanità da almeno 5500 anni come testimoniano ritrovamenti effettuati in tombe egizie risalenti al 3500 a.C., era considerato inizialmente un metallo semiprezioso poiché l’estrazione dei suoi minerali in quantità apprezzabili non era di facile realizzazione. Adattato da: G. Federici, Le strade percorribili dall’uomo per riprodurre la fusione sulla Terra: il confinamento magnetico; il confinamento inerziale; la fusione cosiddetta “fredda”, «Nuova Secondaria», 3, novembre 1994. UD 20 La siderurgia In alternativa ai laser, che sono poco efficienti e molto costosi, si studiano soluzioni realizzabili con fasci di ioni pesanti, aventi massa di circa 200 u ed energia di 5-15 GeV. Sono ritenuti da molti, e tra loro il nobel italiano Rubbia, i più promettenti drivers reattoristici. Le prestazioni degli attuali acceleratori di ioni pesanti sono però nettamente inferiori a quelle necessarie per l’ottenimento della fusione inerziale. Infine, nella fusione fredda viene sfruttata la capacità di certi materiali metallici, come palladio e titanio, di assorbire elevatissime concentrazioni di idrogeno a temperatura ambiente. In tali condizioni sembra che il reticolo cristallino possa fornire delle vie di moto privilegiate ai nuclei di idrogeno immagazzinati nel metallo. Aumenterebbe così la probabilità di collisione e di penetrazione della barriera di potenziale per un effetto quantistico chiamato “effetto tunnel”. Il processo era da tempo noto, ma si era sempre pensato che la probabilità dei processi di fusione in tali condizioni fosse molto scarsa. Nel marzo del 1989 Fleischmann e Pons sostennero di aver constatato un enorme sviluppo di energia, correlabile a reazioni nucleari di fusione, in celle elettrolitiche con elettrodi di platino in acqua pesante. Da allora si è scatenata in tutto il mondo una corsa tendente a riprodurre i risultati ottenuti, ma grossi dubbi esistono sulle metodologie usate nei vari laboratori per la misura dell’energia prodotta. Inoltre non sono ancora stati spiegati i meccanismi che potrebbero consentire un sufficiente avvicinamento dei nuclei. Malgrado gli annunci di ripetizioni e duplicazioni degli esperimenti, tutti successivamente smentiti, non si ha la certezza di nuove verifiche dell’esperimento di Fleischmann e Pons. Nessun esperimento scientificamente convincente ha per il momento confermato la possibilità di realizzare la fusione fredda al punto che le speranze di avere possibili applicazioni pratiche con questo metodo si vanno via via dissipando. Sempre relativamente alla fusione fredda, reazioni di fusione del deuterio, a temperature relativamente basse, inferiori a 1000 °C, e a pressioni di centinaia di atmosfere, possono essere catalizzate da muoni. Si tratta di particelle a vita media molto breve (qualche millesimo di secondo), prodotte per collisione dei raggi cosmici con gli strati alti dell’atmosfera, o per incidenza su bersagli di carbonio di fasci di ioni a elevata energia provenienti da acceleratori. Tuttavia la percentuale delle reazioni realizzate in queste condizioni è ancora estremamente bassa e comunque tale da richiedere dei miglioramenti prima di poter progettare una produzione di energia ai fini pratici. Nuovo Corso di Chimica © 2005 by Minerva Italica, Milano - Edumond Le Monnier S.p.A. - Tutti i diritti riservati plasma, vengono intrappolate e obbligate a viaggiare lungo le linee di un campo magnetico, prodotto da circuiti elettrici opportunamente configurati. Il plasma intrappolato con questo sistema può essere riscaldato fino alle temperature necessarie all’innesco della reazione di fusione. Il tipo di configurazione magnetica di maggior successo fu inventato da Sacharov nel 1951-1952 e si chiama Tokamak (dal russo “macchina magnetica a camera toroidale”). Il Tokamak è costituito da una camera a vuoto fatta a toro (cioè a ciambella). Le correnti che circolano in bobine avvolte attorno a essa originano un campo magnetico molto intenso lungo l’anello (campo magnetico toroidale). Nel Tokamak il plasma assume la forma di un anello e in esso si induce, per mezzo di un trasformatore, una corrente che ne consente il riscaldamento. La corrente produce un secondo campo magnetico molto intenso che circonda l’anello di plasma (campo magnetico poloidale) e che si combina con quello toroidale formandone uno ad andamento serpeggiante. Il problema principale del Tokamak consiste nel mantenere confinato il plasma alle temperature e densità volute, per tempi sufficientemente lunghi. A ciò si deve aggiungere che i campi magnetici richiesti sono elevatissimi, ottenibili con l’impiego di ingenti quantità di corrente elettrica, o con l’utilizzo di superconduttori. Nella fusione inerziale, si bombardano dei bersagli miniaturizzati di combustibile, detti “pellets”, mediante fasci di energia generati da potenti sorgenti pulsate di energia, dette “drivers”, costituite da laser della potenza di mille miliardi di watt o cannoni di ioni pesanti. Il bersaglio si riscalda rapidamente e, in un miliardesimo di secondo, lo strato superficiale arriva a qualche milione di gradi. Si ottiene un involucro di plasma che si espande velocemente verso l’esterno, mentre la parte centrale del bersaglio, per reazione, si comprime, anch’essa velocemente, fino a raggiungere valori di densità fino a venti volte maggiori di quelli del piombo. L’inerzia mantiene insieme questa stella miniaturizzata, per tempi dell’ordine del decimo di miliardesimo di secondo, abbastanza lunghi perché si inneschino le reazioni di fusione termonucleare, aiutate anche dal continuo irraggiamento del laser che porta rapidamente la temperatura a circa 100 milioni di gradi. Uno dei principali problemi da risolvere è quello di mantenere la simmetria sferica del processo di riscaldamento. Ciò si può ottenere mediante i cosiddetti metodi di riscaldamento diretto e indiretto. Nel riscaldamento diretto, molti raggi laser arrivano in sincronia sul bersaglio da diverse direzioni. Nell’irraggiamento indiretto, il pellet viene posto in una cavità rivestita da materiale ad alto numero atomico. L’energia del driver viene inviata nella cavità e trasformata in raggi X che provocano l’implosione del bersaglio. materiali extraguida Nuovo Corso di Chimica © 2005 by Minerva Italica, Milano - Edumond Le Monnier S.p.A. - Tutti i diritti riservati www.minervaitalica.it ma di spugna, che doveva essere lavorata alla forgia per espellerne le impurità e dare al pezzo la forma voluta. L’introduzione dell’uso del carbone minerale come combustibile comportò forni di nuova concezione, consentendo così di ottenere maggiori quantità di materiali ferrosi, sotto forma di ghisa e acciaio, le due leghe più importanti di questo metallo. La ghisa, costituita essenzialmente da ferro molto ricco di carbonio, veniva prodotta in quantità predominante ma, nella zona più calda del forno nella quale veniva introdotta aria, essa poteva essere convertita in acciaio, caratterizzato da un più basso contenuto di carbonio. Con il processo Martin-Siemens del 1864 fu infine possibile ottenere grosse quantità di acciaio, molto più resistente della ghisa alle sollecitazioni meccaniche e molto più versatile perché offre la possibilità di diverse applicazioni. La metallurgia dei materiali ferrosi, la siderurgia, si basa attualmente sull’uso dell’altoforno per la produzione della ghisa e sull’impiego dei convertitori per ottenere l’acciaio. Per comprendere l’importanza di questi materiali si consideri che essi rappresentano il 90% della produzione mondiale di metalli. L’altoforno viene caricato con strati alterni di coke, minerale di ferro e sostanze che favoriscono la fusione, disposti in modo regolare. Le complesse reazioni che hanno luogo all’interno tra i gas che salgono e i materiali che discendono possono, molto semplicemente, essere così riassunte. L’aria calda, insufflata nel ventre, permette, bruciando il coke, di raggiungere alte temperature (1600-1800 °C): C + O2 → CO2 Il biossido di carbonio reagisce con altro coke producendo ossido di carbonio: CO2 + C → CO che funziona da riducente sugli ossidi di ferro del minerale: 3 CO + Fe2O3 → 3 CO2 + 2 Fe cati di ferro e calcio che costituiscono la scoria, capace di trattenere la totalità di alcuni elementi indesiderati (Al, Ti, Mg) e buona parte di altri, come manganese e zolfo, provenienti tutti dal minerale o dal coke. Inoltre la scoria, galleggiando sulla ghisa fusa, la protegge dall’ossidazione dell’aria calda insufflata. La ghisa, costituita da ferro contenente carbonio dall’1,9 al 6%, è un materiale duro, cioè dotato di alta resistenza alla scalfittura, e fragile, ossia caratterizzata da bassa resistenza agli urti. Inoltre, poiché può essere colata con gran facilità, la ghisa si presta bene alla lavorazione a caldo. Eliminando dalla ghisa, mediante ossidazione a CO2, buona parte del carbonio, si ottiene una lega lavorabile a freddo, l’acciaio, in cui la percentuale di carbonio è compresa tra lo 0,02 e l’1,9%. Nel corso dell’operazione inoltre si provvede alla depurazione da zolfo e fosforo, correggendo anche il contenuto di altri elementi, come silicio e manganese. Il processo viene effettuato nei convertitori ad aria soffiata, nei forni Martin-Siemens o nei forni elettrici in ordine crescente della qualità di acciaio desiderata. Il forno elettrico consente una raffinazione molto spinta ma, richiedendo un’ingente quantità di energia elettrica, viene impiegato solo per la fabbricazione degli acciai di qualità o di acciai legati. In esso la carica viene portata a fusione facendo scoccare un arco voltaico tra elettrodi di grafite e la carica stessa. Raggiunto lo stato liquido, si addizionano sostanze correttive secondo le stesse modalità impiegate negli altri convertitori, e si immette un flusso di ossigeno tale da consumare il quantitativo di carbonio voluto. Successivamente le scorie vengono eliminate e, se si devono produrre acciai legati, si operano le aggiunte necessarie dei differenti elementi. Nella tabella sono riportati i più importanti costituenti degli acciai legati, e le relative proprietà. Gli acciai possono subire trattamenti termici (tempra, ricottura e bonifica) o chimici (cementazione, nitrurazione o carbonitrurazione) che consentono di conferire loro le caratteristiche richieste dallo scopo cui sono destinati. La tempra, per esempio, consiste nel riscaldare l’acciaio e Componenti Man mano che i gas presenti salgono cedono calore al minerale ed escono dall’altoforno dopo aver essiccato il minerale in ingresso, a circa 200 °C. Essendo molto ricchi di CO vengono inviati a bruciare entro apposite torri (recuperatori Cowper) costituite da materiale inerte disposto a graticola. Il calore della combustione viene qui immagazzinato e utilizzato per riscaldare l’aria destinata a entrare nel ventre. Il minerale di ferro introdotto dall’alto, dopo essere stato essiccato mediante preriscaldamento, viene gradualmente ridotto dal CO e dal C che incontra procedendo verso il basso: già nella parte superiore del tino, a 450 °C, ha inizio la riduzione che si completa solo nel ventre. In esso inoltre una parte del ferro ridotto forma con il carbonio composti del tipo FeC3 dando luogo alla ghisa che si raccoglie allo stato fuso, alla base dell’impianto, nel crogiolo. All’interno dell’altoforno viene introdotto anche calcare che si decompone producendo ossido di calcio; questo si combina con la silice presente nei minerali di ferro per dare sili- 18 cobalto Proprietà conferite conferisce durezza che permane anche alle alte temperature cromo aumenta la profondità della tempra, la resistenza a trazione e la resistenza a usura. Conferisce inossidabilità. Rende difficili le operazioni di saldatura manganese riduce la fragilità a caldo e migliora la temprabilità; in alte percentuali aumenta la durezza molibdeno determina caratteristiche simili a quelle del cromo, rispetto al quale presenta anche una migliore saldabilità nichel conferisce durezza, tenacità e resistenza al surriscaldamento; unito al cromo corregge i difetti da questo introdotti niobio e tantalio stabilizzano la struttura soprattutto degli acciai inossidabili silicio aumenta la temprabilità, la durezza e l’elasticità titanio migliora la resistenza alla corrosione e all’usura tungsteno migliora la resistenza all’abrasione, particolarmente alle alte temperature vanadio aumenta la resistenza alla fatica e l’elasticità proposte di letture integrative mantenerlo per un certo tempo ad alta temperatura; successivamente esso viene raffreddato in modo rapido con acqua, olio o altri fluidi. Si ottiene così l’acciaio temprato a elevata resistenza meccanica e durezza superficiale. Tra i trattamenti chimici si ricorda la carbonitrurazione, già nota da quasi due millenni. Le legioni romane erano fornite di spade molto resistenti perché, dopo la forgiatura, venivano immerse ancora incandescenti in una miscela composta da polvere di carbone di legna, corna di bue e pezzi di pelle tritati. Grazie ai miglioramenti impiantistici del forno elettrico, da www.minervaitalica.it La Terra è un pianeta vivente in continua trasformazione ed è sede di grandiosi processi in seguito ai quali gli elementi chimici si spostano e vengono a far parte delle più svariate combinazioni. Il contatto tra la litosfera e l’idrosfera dà origine alle modificazioni più sostanziali della superficie terrestre. Il ciclo dell’acqua (evaporazione-precipitazione-trasporto) opera un vero e proprio lavaggio dei continenti. L’acqua è un potente agente corrosivo: scorrendo sulle rocce porta in soluzione ioni che, attraverso torrenti e fiumi, arrivano al mare, disgrega i minerali formando residui che, secondo la loro evoluzione, costituiscono la sabbia o il suolo e convoglia meccanicamente una parte di essi verso l’oceano. Nell’oceano i materiali detritici si depositano e alcuni ioni, formando composti insolubili, precipitano. Se nel ciclo erosione-sedimentazione non intervenissero altri fenomeni a trasformare la Terra, essa tenderebbe a trasformarsi in una palla liscia. La chimica dell’idrosfera è strettamente collegata al contatto di questa con la litosfera e all’esistenza della biosfera. Nella litosfera si verificano inoltre due altri tipi di fenomeni. In determinate condizioni climatiche e meteorologiche o per azione di alcuni eventi, i minerali presenti in superficie subiscono considerevoli trasformazioni. Queste trasformazioni in fase solida si producono sotto l’effetto di un aumento di temperatura e di pressione e sono dette trasformazioni metamorfiche. Esse hanno l’effetto di cambiare l’aspetto o la composizione mineralogica delle rocce, ma in genere le trasformazioni chimiche nel corso di questi processi sono relativamente limitate. Un’altra serie di fenomeni importante per la stratificazione chimica del globo è rappresentata dai fenomeni magmatici. Masse di silicati fusi che si formano a grandi profondità vengono spinte verso l’alto fino a raggiungere la crosta terrestre dove si raffreddano e cristallizzano. Quando queste masse fuse arrivano fino alla superficie si parla di vulcanismo, quando invece restano più in profondità si parla di plutonismo. Come abbiamo appena visto, la Terra si può assimilare a uno stabilimento chimico la cui principale caratteristica consiste nella molteplicità di reazioni che si verificano in condizioni estremamente varie di temperatura e di pressione. UD 20 La Terra: stabilimento chimico Nuovo Corso di Chimica © 2005 by Minerva Italica, Milano - Edumond Le Monnier S.p.A. - Tutti i diritti riservati Studi oceanografici effettuati a partire dalla seconda metà del XX secolo hanno rivelato che sui fondali dell’Atlantico giacciono noduli di diametro variabile tra 1 cm e 1 m. L’analisi di questi noduli ha messo in evidenza che essi sono costituiti da 1/3 di acqua, 1/3 di diidrossido di manganese e 1/3 di silicati. In questi noduli sono presenti anche piccole quantità di Fe, Ti, Cu, Ni e di altri metalli pesanti, pertanto essi costituiscono nel complesso ricchissimi giacimenti di metalli con punte dell’ordine di 20.000 t/km2. La loro maggiore concentrazione si è rinvenuta al largo di Miami nel 1965, a 5500 m di profondità. Esplorazioni condotte sui fondali degli altri oceani hanno evidenziato che questo fenomeno non si limita all’Atlantico: tali noduli ricoprirebbero il 10% dei fondali dell’Oceano Pacifico, con un peso totale di 1 miliardo e mezzo di tonnellate. Non è stata ancora chiarita l’origine di tali depositi. Alcuni suppongono che si formino in seguito ad attività biologiche, altri a causa di fenomeni chimici. In base alla stima, la quantità di metalli accumulata in questi noduli è a dir poco stupefacente: essi conterrebbero alluminio e rame in quantità tali da soddisfare le necessità mondiali per migliaia di anni. Inoltre, il ferro e il piombo presenti in quelli del solo Pacifico ammonterebbero a centinaia di migliaia di milioni di tonnellate. I problemi relativi al loro sfruttamento non sono ancora stati risolti. Malgrado la loro abbondanza, infatti, la profondità media a cui sono situati, circa 4000 metri nel Pacifico, pone fuori gioco l’impiego delle draghe convenzionali. Attualmente si studiano test di raccolta per mezzo di draghe ad aria compressa, operanti su giacimenti a profondità relativamente modesta, circa 1000 m, situati in alcune zone della piattaforma continentale, come il Blake Plateau, al largo della costa atlantica sudorientale degli Stati Uniti. UD 20 I noduli manganesiferi parecchi anni si è sviluppato quel settore della siderurgia che utilizza i rottami di ferro. Attualmente numerose acciaierie, dette miniacciaierie perché non superano le 250.000 t annue di produzione, sfruttano esclusivamente il rottame, evitando così gli inconvenienti tecnici relativi agli impianti che si incontrano partendo dal minerale. Una miniacciaieria, oltre a presentare meno problemi di tipo ambientale rispetto a un impianto tradizionale, ha un costo di investimento che è solo un quinto e un consumo di energia pari ai due terzi. In questo campo Stati Uniti, Italia e Germania sono all’avanguardia. Da: C.J. Allegre, G. Michard, La Geochimica, Newton Compton editori, 1977. 19 UD 20, 24 UD 21 Nuovo Corso di Chimica © 2005 by Minerva Italica, Milano - Edumond Le Monnier S.p.A. - Tutti i diritti riservati www.minervaitalica.it UD 20 materiali extraguida 20 Le leghe metalliche che hanno memoria Le leghe metalliche a memoria di forma hanno la caratteristica, una volta plasmate in una certa forma e poi deformate, di riassumere spontaneamente la forma originaria se vengono sottoposte a un aumento di temperatura. Sono utilizzate per gli attuatori meccanici, protesi articolari, per gli stent con cui si ricostruiscono le arterie occluse, perfino per reggiseno che si adattano alla forma del corpo e la ricordano anche dopo il lavaggio. Solo alcune leghe posseggono questa proprietà; la prima a essere utilizzata e la più diffusa, è il Nitinol, così chiamato perché è una lega di nichel e titanio. Il fenomeno è dovuto a un cambiamento della struttura cristallina della lega. A temperatura ambiente la lega è nella cosiddetta fase martensitica, caratterizzata da una struttura a zig-zag: il solido è costituito da porzioni simmetri- che, rispetto a quelle adiacenti, nella disposizione atomica. In queste condizioni la lega è facilmente deformabile: applicandovi una pressione, i piani degli atomi scivolano l’uno rispetto all’altro e la forma si modifica. Riscaldando la lega oltre i 50 °C la sua struttura cristallina passa alla fase austenitica, che pur essendo meno densa è più rigida di quella martensitica. In questa fase la struttura cristallina diviene cubica: gli atomi della lega si riarrangiano gli uni rispetto agli altri riproducendo la forma che il pezzo aveva prima della deformazione. Per “cancellare” la memoria e dare alla lega una nuova forma da memorizzare, è necessario riscaldare il metallo ad alta temperatura (circa 500 °C) e poi raffreddarlo a una velocità che dipende dalla lega utilizzata. Da: Come eravamo: le leghe metalliche che hanno memoria, «Newton», gennaio 2005. Rilascio, trasporto e solubilità di platino e palladio nell’ambiente Platino e palladio, pur essendo tra gli elementi meno abbondanti nella crosta terrestre, hanno visto notevolmente aumentate le loro concentrazioni nelle matrici ambientali (aria, acque e suolo) particolarmente nelle aree più industrializzate e caratterizzate da intenso traffico automobilistico. Il platino e il palladio insieme al rodio sono i principali componenti attivi dei convertitori catalitici introdotti per minimizzare le emissioni di NOx, CO, e idrocarburi incombusti dai gas di scarico. Sebbene le nuove marmitte abbiano apportato indubbi miglioramenti sulla qualità dell’aria, il loro uso ha determinato un aumento considerevole della presenza di Pt e Pd nell’ambiente, tanto che questi elementi sono stati riscontrati anche in campioni di nevi recenti della Groenlandia, in concentrazioni da 40 a 100 volte maggiori rispetto a quelli misurati nei campioni di ghiaccio più antichi. Platino e palladio inerti allo stato metallico, quando trasportati dalle piogge nei recettori acquatici possono essere solubilizzati, divenendo di fatto reattivi e tossici. Nella marmitta catalitica il platino e il palladio catalizzano l’ossidazione del CO e HC mentre il rodio favorisce la riduzione degli NOx. Le complesse reazioni chimiche che avvengono all’interno del catalizzatore si verificano, invece che a 600-700 °C a circa 220 °C. Le sollecitazioni meccaniche e il deterioramento chimico cui è soggetto il film catalitico comportano la presenza dei suddetti elementi nel particolato emesso dagli autoveicoli. Una volta rilasciati nell’atmosfera per via della loro massa, ricadono nelle immediate vicinanze della fonte di emissione. Ad esempio, le concentrazioni di Pt nelle polveri raccolte in strade con intenso traffico sono 7-10 volte superiori a quelle raccolte in strade a bassa densità di traffico. Nel particolato atmosferico il platino si presenta generalmente sotto forma di nanocristalli di Pt0 aderenti a particelle di γ–Al203, di dimensioni micrometriche, a volte accompagnato da piccole quantità di metallo nella sua forma ossidata (Pt4+), specie che mostra, rispetto alla forma metallica, maggiore mobilità e solubilità in acqua per processi di – complessazione (PtCl62 ), e quindi più disponibile all’utilizzo da parte delle piante. La distribuzione del Pt e del Pd nelle particelle di varia dimensione non è omogenea. Nella polvere è stato osservato un aumento delle concentrazioni dei due elementi al diminuire della frazione granulometrica, con concentrazioni del palladio e platino nelle particelle più fini (<40 µm) di due o tre ordini di grandezza maggiori di quelle nelle frazioni grossolane (500-200 µm). Dalle stime di emissioni e dai dati del traffico autoveicolare è tuttavia possibile valutare approssimativamente la quantità totale di Pt rilasciata in atmosfera da parte delle autovetture. Sebbene attualmente le emissioni di Pt e Pd siano molto basse, non ponendo quindi seri rischi per la salute dell’uomo, poiché il numero delle vetture munite di marmitte catalitiche tenderà ad aumentare in futuro, sarebbe opportuno monitorare il loro contenuto nell’ambiente per gli anni futuri. Monitoraggio che si rende del tutto indispensabile per la salvaguardia dell’uomo e dell’ambiente, soprattutto alla luce dei più recenti studi sperimentali che hanno messo in rilievo la maggiore mobilità e solubilità di questi elementi. Da: Nuove forme di contaminazione ambientale, «Inquinamento», 62, luglio-agosto 2004. La chiralità: la natura, l’uomo, le sintesi stereoselettive Le sintesi stereoselettive vengono realizzate sempre più spesso per ottenere composti con caratteristiche stereochimiche precise, più efficaci e selettivi nei rispettivi impieghi. È interessante esaminare, pur entro determinati limiti, gli aspetti naturali e antropologici del problema della chiralità e le sue implicazioni scientifico-culturali. Prendiamo in considerazione il guscio di due lumache di Borgogna, una con il guscio disegnato a elica sinistrorsa e l’altra con guscio a elica destrorsa. Niente di speciale, il contenuto di una non è certamente più proposte di letture integrative to da costituire la “corazza” degli insetti. Il carbonio ha anche la possibilità di formare legami chimici doppi o tripli, dando origine a strutture ramificate e tridimensionali. In questo modo le sue possibilità “architettoniche” diventano quasi infinite. Oltre alle lunghe catene degli idrocarburi, prendono così forma strutture enormemente più intricate come le proteine delle pareti cellulari o l’emoglobina. I legami in una molecola che contiene carbonio possono anche torcersi e arrivare a una flessibilità elevatissima. Le proteine, le molecole di cui sono costituiti la maggior parte degli organismi animali e vegetali, hanno due strutture di base, che si chiamano eliche o piani paralleli. Le prime sono simili alla famosa elica del DNA, le seconde sembrano strisce di carta. Alternando i due tipi di struttura si possono realizzare infiniti modelli, un po’ come l’origami ricava le forme più strane da un foglio di carta. Le diverse forme delle molecole a base di carbonio influenzano anche le loro proprietà chimico-fisiche, che sono le più diverse. Vino e olio (o, meglio, etanolo e acido oleico che ne sono i componenti principali) sono per esempio costituiti entrambi da carbonio, idrogeno e ossigeno. Il primo è solubile in acqua, il secondo del tutto insolubile. Un’altra qualità del carbonio riguarda l’energia dei legami. Tutte le forme di vita hanno bisogno di catturare, usare e accumulare l’energia. I vegetali lo fanno con la fotosintesi, gli animali mangiando. Una volta che il cibo è nell’organismo, particolari molecole (gli enzimi) spezzano i legami tra www.minervaitalica.it Per abbondanza nell’universo è il quarto atomo, e sulla crosta terrestre il quattordicesimo. Eppure il carbonio è l’elemento per noi più importante: la base della vita. Lo si trova nei tessuti di tutti gli esseri viventi, nel cibo che mangiamo, nei vestiti, nei cosmetici, nei carburanti. Le sue proprietà si possono così riassumere: si lega a tantissimi altri atomi, ma se il corpo ne ha bisogno rompe facilmente i legami chimici, consente di creare strutture estremamente complesse come il DNA e i suoi composti hanno proprietà diversissime. Nelle strutture viventi, il carbonio è legato soprattutto con l’idrogeno; assieme compongono migliaia di molecole diverse. Il legame con altri atomi di carbonio o con l’idrogeno è forte, ma non fortissimo; per esempio non oppone resistenza se la cellula deve romperlo. Carbonio e idrogeno possono insieme formare molecole molto diverse, dalla più semplice, il metano, alle più complesse come il benzene. Quando poi le catene si allungano o diventano anelli, le molecole organiche possono diventare solide. Le catene di atomi di carbonio sono tra le più stabili in natura. Ancora più robusti sono gli anelli. Gli zuccheri come il glucosio e il fruttosio sono appunto anelli dove oltre al carbonio entrano anche idrogeno e ossigeno. Il glucosio, inoltre, è la base per la molecola organica più abbondante nella biosfera, cioè la cellulosa, lo scheletro di tutti i vegetali. Un’altra molecola a base di carbonio, la chitina, è tra le più solide in natura tan- Dall’editoriale di S. Maiorana, «La chimica e l’industria», novembre 1998. UD 21, 22, 23 Il carbonio: l’elemento della vita se, ma coerenti. Basta pensare alla selettività delle interazioni tra i fattori, sia endogeni sia esogeni, e i recettori (strutture proteiche costituite dagli amminoacidi della serie naturale) e alle conseguenze biologiche di questa selettività; oppure considerare che tra tutti i “mattoni” costituenti sostanze complesse che rientrano nell’alimentazione quotidiana, come i polisaccaridi e le proteine, soltanto alcuni, con precise configurazioni e strutture steriche, sono in grado di interagire con i substrati biologici. Il drammatico evento, causato negli anni ’60 dall’effetto teratogeno dell’enantiomero (S) del farmaco Contergan (Talidomide), venduto allora in forma racemica ha radicalmente mutato l’aspetto normativo e l’atteggiamento della ricerca chimica nei confronti dello sviluppo e della valutazione biologica dei composti chirali da utilizzare in organismi viventi. Di conseguenza si è arrivati a uno sviluppo di un’industria e di una ricerca aventi come obiettivo l’acquisizione e l’applicazione di tecnologie selettive, anche sofisticate, per la produzione di singoli enantiomeri da utilizzare come farmaci, prodotti per l’agricoltura e aromi. Molti vecchi farmaci utilizzati per anni come racemati godono oggi di importanti “seconde vite” attraverso il cosiddetto chiral switch che consiste nella messa a punto della sintesi e nella produzione dell’enantiomero che possiede la maggior attività terapeutica. L’industria della chimica fine moderna è, quindi, non solo più rispettosa dei problemi economici e ambientali (in senso lato), ma anche di elevato contenuto tecnologico, scientifico e culturale. Nuovo Corso di Chimica © 2005 by Minerva Italica, Milano - Edumond Le Monnier S.p.A. - Tutti i diritti riservati gustoso di quello dell’altra, ma il fatto sorprendente è che solo una lumaca su ventimila ha il guscio a elica sinistrorsa. Come viene identificata? L’apertura di accesso all’interno del guscio di ognuna delle due lumache è l’immagine speculare di quella dell’altra lumaca, per cui l’operatore che estrae la lumaca tenendone il guscio, per esempio, con la mano sinistra, in un determinato modo, nel caso della lumaca con guscio a elica sinistrorsa, troverà questo anziché la sua apertura. Questa è la lumaca “diversa”. L’operazione, condotta tramite l’uso della mano che è chirale, consente di discriminare i due tipi di gusci anch’essi chirali. Mani e gusci sono esempi dell’asimmetria in natura: un fenomeno e una realtà tra i più misteriosi e affascinanti, che hanno spinto a molte riflessioni e sperimentazioni, senza peraltro che si siano potuti ottenere risultati definitivi. Pur restando non risolto (se non per fede) il problema del “primo evento”, è spontaneo collegare tra loro il problema dell’origine della vita e quello che ha dato origine all’esistenza degli enantiomeri in natura. L’enantiomeria è un fattore necessario alla vita o ne è una conseguenza? L’origine di questo fenomeno è da ricercare nell’epoca prebiologica o in quella biologica? È nato in seguito a una vicenda evolutiva? Il “caso” o la “necessità” hanno determinato l’esistenza di mattoni chirali ed enantiomeri di precisa configurazione? Attraverso quali meccanismi? È un fatto veramente stupefacente che, pur nella complessità delle strutture viventi, uno solo degli enantiomeri (salvo rare eccezioni) di queste biomolecole semplici (“i mattoni”) sia disponibile per essere utilizzato per la costruzione di queste strutture. Negli organismi viventi una specifica forma enantiomera esplica funzioni e interazioni comples- 21 materiali extraguida www.minervaitalica.it UD 22 gli atomi degli alimenti (zuccheri, grassi, proteine) e ricavano l’energia necessaria per la vita delle cellule. Un’energia che non deve essere né troppa (la cellula brucerebbe) né troppo poca (la cellula morirebbe di fame). Solo gli atomi di carbonio rilasciano l’energia alla giusta velocità per la cellula. Il carbonio è indispensabile alla vita ma non è il solo, è la sua capacità di legarsi ad altri atomi a renderlo così utile. Quando nella formula entrano alcuni atomi, cambia la natura delle molecole. Il carbonio si lega con os- Polipropilene isotattico Nella polimerizzazione dei monomeri vinilici monosostitui=CH) si formano catene in cui si alternano carboni ti (CH2= asimmetrici a gruppi –CH2–. A seconda del modo con cui i monomeri si addizionano si possono originare le seguenti strutture: • atattica, nella quale i centri chirali hanno configurazione casuale; • isotattica, in cui i carboni asimmetrici hanno tutti la stessa configurazione; • sindiotattica, se le due configurazioni dei carboni asimmetrici sono alternate. UD 22 Nuovo Corso di Chimica © 2005 by Minerva Italica, Milano - Edumond Le Monnier S.p.A. - Tutti i diritti riservati Le tre strutture, pur derivando dalla polimerizzazione dello 22 Materiali plastici biodegradabili La maggior parte dei materiali polimerici attualmente in uso non è facilmente degradabile, il che comporta notevoli problemi quando i relativi manufatti debbano essere smaltiti come rifiuti, in quanto causano la degradazione dell’ambiente. In questi anni sono stati ottenuti, spesso da fonti rinnovabili, nuovi materiali polimerici degradabili in condizioni ambientali controllate. Essi possono essere suddivisi in biodegradabili, fotobiodegradabili, idroliticamente e ossidativamente degradabili. In particolare, per materiali biodegradabili si intendono materiali che per azione di microrganismi vengono completamente convertiti in CO2 e H2O o in CH4 e H2O, rispettivamente in condizioni aerobiche e anaerobiche. Sebbene i materiali polimerici biodegradabili siano generalmente più costosi di quelli attualmente in uso, essi hanno un minore impatto ambientale e risultano idonei alla fabbricazione di numerosi tipi di oggetti quali sacchetti, contenitori per alimenti, imballaggi a perdere, pellicole per pacciamature e per impieghi di tipo farmaceutico e biomedico. I più comuni materiali polimerici biodegradabili attualmente reperibili in commercio comprendono poliesteri di origine batterica, poliesteri alifatici, polimeri idrosolubili e derivati di polimeri naturali. Per la produzione dei poliesteri di origine batterica si sfrutta la capacità di numerosi batteri e alghe di accumulare al loro interno, in particolari condizioni ambientali, granuli costituiti da poli-3-idrossibutirrato (PHB), poliestere derivante dalla condensazione di n molecole di acido 3-idrossibutirrico. sigeno, fosforo, zolfo, azoto, come impalcatura è ottimo ma gli vanno attaccati altri moduli per arrivare alla vita come la conosciamo. Il fatto che il carbonio rompa i suoi legami facilmente fa sì che possa entrare in molti processi dello sviluppo circolare come i cicli biogeochimici. Da: Il carbonio: l’elemento della vita, «Focus», 143, settembre 2004. stesso monomero, hanno proprietà diverse. Per esempio il polipropilene, ottenuto secondo la normale polimerizzazione radicalica, è atattico e ha proprietà tecnologiche molto scadenti: è poco consistente e dimostra scarsa resistenza al calore. Nel 1950 K. Ziegler e G. Natta scoprirono che una miscela di TiCl4 e Al(CH2CH3)3 poteva orientare i monomeri del propilene in modo che la polimerizzazione avvenisse dando luogo alla forma isotattica del polimero. Si parla in questo caso di catalizzatori stereospecifici, per la cui scoperta Ziegler e Natta ricevettero il premio Nobel nel 1963. Il polimero isotattico, più denso e con struttura cristallina, presenta eccellenti proprietà tecnologiche. Viene impiegato per la fabbricazione di tubazioni, bottiglie, oggetti per la casa, contenitori per alimenti, sacchetti, giocattoli. Variando opportunamente le condizioni di crescita e il nutrimento dei microrganismi, è possibile produrre tutta una serie di polidrossialcanoati (PHA) contenenti nella catena laterale gruppi funzionali diversi, come alogeni, doppi legami, gruppi ossidrilici e anelli aromatici. I poliesteri alifatici vengono preparati per sintesi e sono costituiti da poliacido lattico (PLA), prodotto generalmente per polimerizzazione del dimero ciclico dell’acido lattico, ottenuto a sua volta dalla fermentazione di carboidrati con lactobacillus. In alcuni processi industriali vengono impiegati il mais e altri prodotti di origine vegetale per la produzione di EcoPLA, un materiale termoplastico biodegradabile ad acido lattico. Il PLA presenta elevata resistenza alla trazione e può essere estruso o prodotto sotto forma di film o di fili, ma si idrolizza con facilità. Materiali dotati di migliori proprietà meccaniche e biodegradabili sono costituiti dai copolimeri dell’acido lattico e dell’acido glicolico (PLGA). Questi materiali compostabili, completamente biodegradabili, vengono anche utilizzati per ottenere fili per suture, protesi temporanee e confezioni per alimenti. I polimeri idrosolubili sono costituiti da polivinilalcol (PVA). Solubile in acqua, è completamente biodegradabile, anche se è formato da una catena polimerica di tipo idrocarburico. Le sue applicazioni sono comunque limitate a causa della sua solubilità in acqua e per l’impossibilità di stamparlo a caldo, in quanto si decompone a temperatura inferiore a quella di fusione. Per idrolisi controllata del polivinilacetato a PVA e aggiunta di opportuni additivi, sono stati ottenuti materiali polimerici insolubili in acqua fredda e lavorabili a caldo, impiegati per la fabbricazione di contenitori di prodotti agri- proposte di letture integrative coli e di sacchi per lavanderia destinati a uso ospedaliero. Essendo tuttavia poco resistenti all’acqua, trovano limitata applicazione. Una diversa strategia per evitare danni all’ambiente potrebbe consistere nell’impiego di polimeri naturali, quali amido e cellulosa, che per loro natura sono biodegradabili. Tuttavia, la loro trasformazione in materiali termoplastici non è stata ancora realizzata in modo soddisfacente. I film a base di amido sono fragili e igroscopici e solo l’amido ad alto contenuto di amilosio può essere trasformato, con l’ausilio di plastificanti, in un materiale termoplastico utilizzabile come sostituto del polistirene nell’imballaggio e per prodotti usa e getta. Alcuni eteri ed esteri della cellulosa hanno proprietà meccaniche paragonabili a quelle del polistirene; da essi si può ottenere il prodotto finale, come per esempio fibre zia, la suprema sacerdotessa del tempio. Da Delfi non ci si aspettavano guarigioni, ma risposte: “Quando devo seminare?”; “Le mie navi dirette in Egitto faranno ritorno?”; “Devo fare pace con mio fratello?”. La sacerdotessa dava ascolto a tutti, ricchi e poveri, eroi leggendari, uomini di governo, sconosciuti contadini. E poi, dopo essersi recata nei sotterranei del tempio, entrava in una profonda trance ed emetteva l’oracolo, che si diceva prove- 23 www.minervaitalica.it L’oracolo di Delfi era una specie di Lourdes dell’antichità. Il tempio dedicato ad Apollo, eretto ai piedi del Monte Parnaso, a poco più di 10 chilometri dal Golfo di Corinto, attirava folle di fedeli disposti a pagare profumatamente per i sacrifici pur di ottenere un breve colloquio con la Pi- Da: G. Ruggeri, Polimeri conduttori, «La chimica nella scuola», novembre-dicembre 2002. UD 22 Il segreto dell’oracolo conducibiltà elettrica era sensibilmente aumentata. Nella decade degli ’80, i ricercatori Narmann e Theophilou sono riusciti a incrementare ulteriormente la conducibilità del poliacetilene. Usando un nuovo catalizzatore e orientando il film per stiro, hanno ottenuto, dopo “drogaggio”, conducibilità simile a quella del rame metallico a temperatura ambiente (106 Siemens/cm). La scoperta del poliacetilene conduttore ha dimostrato che non c’era alcuna ragione di ritenere che i polimeri organici non potessero essere buoni conduttori. Una volta aperta la strada, altri polimeri conduttori sono stati preparati. Sotto molti aspetti, la situazione dei polimeri conduttori nel 2000 è analoga a quella dei polimeri convenzionali 50 anni fa. Sebbene allora i polimeri venissero sintetizzati e studiati in laboratori di tutto il mondo, non divennero sostanze tecnologicamente utili fino a quando non furono modificati chimicamente con processi che richiesero anni di studio per essere sviluppati. Così pure le proprietà chimico fisiche dei polimeri conduttori devono venire perfettamente adattate a ciascuna applicazione per ottenere prodotti che abbiano successo commerciale. I polimeri conduttori possiedono una combinazione di proprietà che li pongono come una attraente alternativa a certi materiali utilizzati attualmente in microelettronica. Proprio in virtù della loro facile manipolazione chimica, del loro largo range di conducibilità, della loro leggerezza, processabilità e flessibilità, le potenziali applicazioni in microelettronica sono molteplici, dalla schermatura di campi elettromagnetici, alla realizzazione di sensori, finestre intelligenti, elettrodi per batterie ricaricabili e display elettrochimici. Nuovo Corso di Chimica © 2005 by Minerva Italica, Milano - Edumond Le Monnier S.p.A. - Tutti i diritti riservati L’idea di associare le proprietà elettriche dei metalli alle proprietà meccaniche dei polimeri è nata all’incirca negli anni 50, mediante l’incorporazione in essi di cariche conduttrici (nero di fumo, fibre metalliche oppure fibre di carbonio), producendo i cosiddetti polimeri estrinsecamente conduttori o ECP (estrinseco poiché la carica conduttrice viene aggiunta dall’esterno). Recentemente, un’altra classe di materiali conduttori, i polimeri intrinsecamente conduttori o ICP, sono stati studiati e grazie alle loro proprietà specifiche possono essere utilizzati in diverse applicazioni. Questi polimeri conducono la corrente elettrica senza la introduzione dall’esterno di cariche conduttrici. Per molto tempo, i tentativi per ottenere un polimero conduttore sono stati frustrati. Soltanto all’inizio della decade dei ’70 , una classe di polimeri fu preparata con significativa capacità di condurre elettricità nonostante che l’idea che solidi organici potessero presentare alta conducibilità elettrica, comparabile a quella dei metalli, fosse stata proposta da più di mezzo secolo. La scoperta dei polimeri conduttori ha avuto inizio accidentalmente nel laboratorio di H. Shirakawa nel 1976. Nel tentativo di sintetizzare il poliacetilene (una polvere nera), uno studente di Shirakawa ha prodotto un film dall’aspetto argenteo lucido, simile a un foglio di alluminio. Verificando la procedura sperimentale lo studente ha visto che aveva utilizzato una quantità di catalizzatore mille volte maggiore di quella necessaria. Nel 1977, Shirakawa, lavorando in collaborazione con McDiarmid e Heeger nella Università della Pennsilvania, ha verificato che dopo il drogaggio del poliacetilene con iodio, il film argenteo, flessibile, è diventato un foglio metallico di colore oro, la cui Da: R. Solaro, Materiali polimerici biodegradabili, «CnS (Chimica nella Scuola)», 5, 1998. UD 22 Polimeri conduttori tessili, nastri adesivi, film fotografici, membrane per dialisi, utilizzando le comuni tecnologie a caldo. Attualmente è in fase di sviluppo la preparazione di materiali costituiti da matrici di polietilene (“Ecostar” ed “Ecostar plus”), nelle quali vengono introdotti amido e cellulosa per migliorarne la biodegradabilità. È stato constatato che viene biodegradata solo la parte polisaccaridica, mentre la matrice sintetica viene solo parzialmente ossidata. Materiali costituiti quasi interamente da amido e additivi di origine naturale (“Novon”), o da amido e polimeri idrofili sintetici (“Mater-Bi”) sono, invece, completamente biodegradabili. UD 23 nire direttamente dal dio. Ma dato che gli dei degli antichi greci si divertivano a giocare con gli uomini, il responso era spesso sibillino, raramente interpretabile in modo chiaro e univoco. Per i fedeli che si recavano nella Focide, però, quelle oscure parole erano più che sufficienti. Ma come faceva la Pizia a divinare il futuro? Alcuni autori antichi avevano parlato di una fessura nella roccia o di una sorgente posta sotto il tempio in grado di provocare la trance sacra nella sacerdotessa. L’unico a dire qualcosa di chiaro in proposito fu Plutarco. Il grande biografo greco scrisse che la Pizia usava, per entrare in contatto con il dio, un misterioso soffio di gas profumato che usciva dal terreno proprio sotto al santuario. La sacerdotessa aspirava il gas, e poi, in preda a una specie di delirio, emetteva i suoi oscuri vaticinii. Una delle sacerdotesse di Apollo era addirittura morta per aver aspirato troppo gas. Per verificare quanto detto da Plutarco, già cent’anni fa una spedizione francese si recò a Delfi, appena riscoperta sotto le case del villaggio di Kastri. Ma gli archeologi non trovarono tracce di quanto riportato da Plutarco: né sorgenti d’acqua né soffi di gas. Del resto la geologia di allora insegnava che solo nelle zone vulcaniche – e il Parnaso non lo è – si possono trovare emissioni gassose. Il Le impronte digitali delle proteine Le proteine possono essere analizzate per la loro composizione in amminoacidi solo dopo una sommaria idrolisi, in modo da ottenere una miscela di peptidi, cioè catene costituite da un numero ridotto di amminoacidi. Questa miscela può essere ulteriormente separata combinando un procedimento bidimensionale di elettroforesi e di cromatografia su carta. La miscela di peptidi viene deposta in una piccola macchia in corrispondenza dell’angolo di un foglio di carta, immerso in soluzione acquosa. I peptidi vengono prima separati, in base alle loro cariche elettriche, applicando una corsa elettroforetica (campo elettrico) in una direzione. Tale separazione non è mai completa poiché un certo UD 24 Nuovo Corso di Chimica © 2005 by Minerva Italica, Milano - Edumond Le Monnier S.p.A. - Tutti i diritti riservati www.minervaitalica.it materiali extraguida 24 I mezzi di informazione In generale, fatte salve poche pregevoli eccezioni, i mezzi di informazione di massa non assolvono il compito di informare in materia di inquinamento. Le notizie vengono presentate in termini allarmistici solo quando scatta qualche grave emergenza ambientale; vengono riportate per qualche giorno, quindi dimenticate. Probabilmente il pubblico si chiederà se vi sia stata una soluzione del problema, anche naturale, oppure vi è la possibilità che preferisca non sapere. Eppure la mentalità dell’uomo moderno è cambiata di fronte al verificarsi delle calamità; sicuramente è aumentata la necessità di risposte che vadano alla radice dei problemi, come ci ha insegnato il metodo scientifico permeando l’ideologia del XX secolo. Nonostante questa sete di conoscenza, i fattori irrazionali ed emotivi giocano un ruolo rilevante nella percezione delle informazioni ed è per questo che le notizie vengono somministrate facendo leva sull’emotività del pubblico. C’è poi racconto fu etichettato quindi come una fantasia e il mistero delle divinazioni della Pizia restò insoluto. Dieci anni fa però John de Boer, geologo alla Wesleyan University, nel Connecticut, studiando la sismicità dello stretto di Corinto, scoprì una nuova piccola faglia nella zona di Delfi. Questa fessura nelle rocce si intersecava con un’altra già nota, proprio sotto alle rovine del tempio di Apollo. Incuriosito, de Boer ha continuato a investigare, scoprendo intorno alla zona diverse emissioni gassose in corrispondenza di sorgenti d’acqua. Queste emissioni non sono legate al vulcanismo, ma alla presenza in profondità di calcari bituminosi che, scaldati dal movimento delle faglie, liberano metano ed etano, ma anche una consistente quantità di etilene, un gas, guarda caso, dal gradevole profumo. Secondo il tossicologo Henry Spiller, respirare etilene porta a uno stato simile all’ebbrezza alcolica, tanto che questo gas era usato un tempo come anestetico. Secondo la quantità di etilene inalata si passa dallo stordimento al delirio, al sonno e infine alla morte. Insomma Plutarco aveva perfettamente ragione. Da: A. Saragosa, Il segreto dell’oracolo? Un gas allucinogeno, «Le Scienze», 403, marzo 2002. numero di peptidi può essere sovrapposto. Un’ulteriore e spesso completa risoluzione si ottiene applicando la cromatografia di ripartizione in senso perpendicolare. In tal modo i peptidi ancora sovrapposti vengono separati in base al loro grado di polarità: i meno polari si muovono con il fronte del solvente che bagna la carta, i più polari rimangono vicini alla zona di partenza. Questo tipo di separazione bidimensionale è chiamato “fingerprinting” (impronta digitale) in quanto, opportunamente trattato, il foglio ricorda le impronte delle dita. Il quadro che si ottiene è detto “mappa dei peptidi”. La sua applicazione allo studio dell’emoglobina, una proteina trasportatrice di ossigeno del sangue, ha permesso di individuare alcune forme di emoglobina patologica. Da: N. Siliprandi, Chimica Biologica, ed. Ricerche, Roma. una variabilità soggettiva di valutazione delle notizie stesse che fa sì che esse vengano percepite in modo diverso in funzione del livello culturale, delle abitudini di vita e dell’emotività delle persone. Nel 1979 negli Stati Uniti fu fatto un sondaggio d’opinione su quattro gruppi diversi di popolazione, definiti come “lega delle elettrici”, “gruppi di studenti”, “dirigenti di club”, “esperti”. Fu chiesto loro di formulare una graduatoria di rischio per differenti attività o tecnologie. I risultati furono molto diversi. Gli impianti nucleari erano ritenuti i più pericolosi dalle donne e dagli studenti e molto meno dalle altre due categorie, preoccupate invece per i veicoli a motore e le armi. I pesticidi venivano considerati pericolosi da tutti, gli additivi alimentari spaventavano di meno le donne rispetto agli altri gruppi. A prima vista si potrebbe dire che quello che è meno familiare scatena una maggiore apprensione. Le molecole chimiche, soprattutto i pesticidi e i composti dai nomi poco familiari, fanno spesso molta paura per la loro estraneità alla sfera delle nostre conoscenze. Molti altri com- proposte di letture integrative posti pericolosi, come acidi, solventi, medicinali, minacciano la nostra incolumità domestica (basti pensare a quanto sono frequenti gli infortuni delle casalinghe e gli avvelenamenti dei bambini), ma non vengono ritenuti pericolosi solo perché una rassicurante pubblicità ce li ha resi familiari. Questo non vuol dire che si debba familiarizzare con i pesticidi, ma non si può sperare di avere un’informazione più obiettiva se non migliora il nostro grado di conoscenza dei problemi. Non possiamo diventare tutti esperti di inquinamento, ma dobbiamo pretendere maggiori garanzie e un controllo di qualità più rigoroso sui cibi che mangiamo, sull’acqua che beviamo e sull’aria che respiriamo. Non è ragionevole, ed è antieconomico, ricorrere a soluzio- non possiamo contare – come fa notare da almeno 30 anni Morris Adelman, professore emerito al Massachusetts Institute of Technology ed esperto di economia del petrolio e del gas – è la cessazione dell’impiego di combustibili fossili, vale a dire di carbone, petrolio e gas naturale. Nell’ultimo secolo e mezzo, dai tempi cioè della Rivoluzione industriale, la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera è aumentata di circa un terzo, da 280 a 370 parti per milione (ppm), principalmente come esito del consumo di combustibili fossili. Negli anni Novanta, in media, l’umanità ha immesso nell’atmosfera 1,5 ppm di CO2 all’anno, e il tasso di emissioni ha avuto una tendenza al rialzo di anno in anno. Anche se altri gas serra, come il metano e gli ossidi di azoto, vengono immessi nell’atmosfera in gran quantità, gli www.minervaitalica.it Il dibattito sul clima globale ha subìto uno spostamento. Fino a tempi molto recenti, gli scienziati ancora cercavano di appurare se veramente le attività umane fossero responsabili di una alterazione del clima. Nello specifico, si tentava di comprendere se la liberazione dei cosiddetti gas serra, in grado di intrappolare la radiazione solare reirraggiata dalla superficie terrestre, fosse veramente una iattura da scongiurare. Dato che le prove scientifiche a favore di una risposta affermativa si stanno accumulando, la discussione sta ora volgendo a stabilire quali passi debbano essere intrapresi dalla società per proteggere il clima terrestre. Una soluzione che si rivelerebbe radicale, ma sulla quale quasi certamente Tratto da: www.heos.it, Giornale online di scienze e cultura, 41, 21 novembre 2003. UD 24 Catturare i gas serra l’attività sismica (fenomeno noto come degassamento di terremoto). A seguito di terremoti, i maggiori vulcani di fango si attivano ed eruttano violentemente enormi quantità di metano: in Azerbaijan alcune eruzioni hanno prodotto fino a centinaia di migliaia di tonnellate di metano in poche ore. In altre aree l’emissione di metano è testimoniata dai cosiddetti “fuochi perpetui”, fiamme che possono raggiungere il metro d’altezza e che si sviluppano naturalmente dal suolo a seguito di autocombustione del metano. Attorno ai fuochi perpetui l’emissione di metano è diffusa su vaste aree e l’immissione totale in atmosfera è notevole (dell’ordine di 0,1 kg per metro quadrato al giorno). Infine in aree di tettonica attiva in cui è nota la presenza di serbatoi profondi di idrocarburi, pur in assenza di manifestazioni di emissione, esiste un flusso diffuso e microscopico dal suolo, detto microseepage: tale flusso può esistere su aree molto grandi e quindi la quantità totale di gas in atmosfera può risultare notevole. A ciò si deve sommare il metano emesso dai fondali marini, che ospitano la maggior parte delle riserve petrolifere del pianeta. I risultati pubblicati su riviste scientifiche internazionali, a seguito dell’attività condotta anche dall’INGV, suggeriscono chiaramente che i processi geofisici di degassamento della crosta terrestre costituiscono una fonte enorme di metano per l’atmosfera e rappresentano quindi una componente ancora dimenticata dal budget atmosferico dei gas serra. Nuovo Corso di Chimica © 2005 by Minerva Italica, Milano - Edumond Le Monnier S.p.A. - Tutti i diritti riservati Recenti studi condotti dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) hanno evidenziato che l’emissione di metano della crosta terrestre è una componente non trascurabile delle attuali sorgenti naturali di gas serra. Una serie di studi iniziati nel 2001 in collaborazione con ricercatori americani e dell’Est europeo stanno fornendo risultati sorprendenti: la crosta terrestre emette quantità di metano paragonabili, se non superiori, alle quantità emesse da alcune sorgenti biologiche e antropiche, come la combustione della biomassa (incendi), il ciclo vitale delle termiti, i processi biochimici in ambiente marino. Una stima recente suggerisce infatti una emissione globale di metano geologico dell’ordine di almeno 40-60 milioni di tonnellate all’anno. Tale stima si basa sui dati relativi alle emissioni di metano dai “vulcani di fango”, manifestazioni fredde della fuoriuscita spontanea di sedimenti, acqua e gas (metano) provenienti da serbatoi petroliferi profondi. Grazie a questi studi si è potuto definire la quantità di metano che fuoriesce naturalmente nelle maggiori manifestazioni metanifere d’Europa: i vulcani di fango della Romania, della Sicilia occidentale e del settore adriatico dell’Italia centrale. Inoltre, nel 2003 è stato possibile misurare per la prima volta i flussi di metano dai più grandi vulcani di fango del mondo, situati in Azerbaijan, in prossimità del Mar Caspio. I risultati di questi studi convergono nell’indicare una emissione media annuale compresa tra 100 e 1000 tonnellate di gas per km2. In tutte queste aree l’emissione di gas è strettamente legata a strutture tettoniche attive (faglie) e sembra aumentare con Modificato da: S. Galassi, Microinquinanti organici, Hoepli, Milano. UD 24 Il metano dà una mano... ai gas serra ni individuali, coltivando l’orticello biologico o mettendo il depuratore al rubinetto di casa. Nel nostro orto finiranno i pesticidi utilizzati dai vicini o contenuti nell’acqua d’irrigazione. I sistemi casalinghi di depurazione non possono essere tenuti sotto controllo e diventano essi stessi nuove fonti di pericolo quando non vengono applicati correttamente. È necessario, inoltre, preparare le nuove generazioni attraverso la formazione scolastica in materia ambientale, nella speranza che almeno in un prossimo futuro si impari a reagire al degrado prima che diventi irreversibile. 25 materiali extraguida UD 24 Nuovo Corso di Chimica © 2005 by Minerva Italica, Milano - Edumond Le Monnier S.p.A. - Tutti i diritti riservati www.minervaitalica.it esperti prevedono che alle emissioni di CO2 andranno ascritti circa due terzi del riscaldamento globale. Con l’acutizzarsi delle preoccupazioni sui possibili rischi di un mutamento del clima globale, gruppi ambientalisti, governi e alcune industrie tentano finalmente di ridurre i livelli di gas serra nell’atmosfera, promuovendo gli usi efficienti dell’energia e il ricorso alle energie alternative, per esempio quella eolica e quella solare. Realisticamente, comunque, i combustibili fossili, abbondanti e a buon mercato, continueranno a fornire energia alle nostre automobili, alle nostre case e alle nostre fabbriche fino al XXI secolo ben inoltrato e anche in seguito. Le preoccupazioni sull’esaurimento delle riserve di combustibili fossili sono periodicamente affiorate negli ultimi 100 anni, ma i continui miglioramenti sia nell’esplorazione petrolifera, sia nelle tecnologie di estrazione dovrebbero far sì che il petrolio continui a scorrere a fiumi per i decenni a venire. Inoltre, fin dall’adozione del primo trattato internazionale destinato a stabilizzare le emissioni di gas serra, sottoscritto nel 1992 all’Earth Summit di Rio de Janeiro, la domanda globale di combustibili fossili è di fatto aumentata. Oggi, oltre l’85 per cento della domanda mondiale di energia è soddisfatto dai combustibili fossili. Per quanto le politiche che promuovono il risparmio energetico e le fonti energetiche alternative abbiano un’importanza cruciale per alleviare il possibile riscaldamento globale, esse sono solo una parte della soluzione. Di fatto, anche se la società dovesse tagliare drasticamente il consumo di combustibili fossili a partire da oggi, il pianeta continuerebbe con ogni probabilità a risentire di importanti ripercussioni a causa delle emissioni del passato. Il tempo di risposta del clima è lento, e l’anidride carbonica ha un tempo di residenza nell’atmosfera di un secolo o più, Il killer è l’ozono Nelle calde giornate estive, sui pannelli luminosi di Strasburgo compare la scritta “Ozono, usate bus e tram”. In Italia, a parte rare eccezioni, quando la soglia limite dell’ozono viene superata, al massimo la notizia viene data dai giornali e nessuno ci fa grande caso. Ma le ultime notizie danno ragione agli abitanti della città francese. Se in estate si usassero i mezzi pubblici, la mortalità degli anziani si ridurrebbe considerevolmente. Bisogna insomma scegliere fra la propria comodità e la vita del nonno? Forse sì, perché se è vero che la fetta maggiore degli oltre ottomila morti registrati in Italia nell’estate 2003 è dovuta al caldo eccezionale, una parte consistente è da attribuire invece all’inquinamento da traffico. Era stato in precedenza dimostrato come le persone esposte ad aria inquinata per parecchi giorni avessero una mortalità più elevata. Nell’estate del 2003 il gran caldo e la forte insolazione hanno creato sull’Europa uno strato record di ozono. L’ozono può essere un bene o un male, dipende da dove si trova. Nell’ozonosfera (20-60 km di altezza) è “buono”: fa da schermo ai raggi UV, ma nell’aria che respiriamo diven- 26 se lasciata ai cicli naturali. Pertanto, dobbiamo basarci su un “portafoglio” di opzioni tecnologiche differenziate per ridurre adeguatamente l’accumulo di gas serra. Lavori significativi di ricerca e sviluppo stanno già esplorando modi per migliorare l’efficienza nella conversione energetica e incrementare l’uso di fonti prive di carbonio (fonti rinnovabili o nucleare). Ma un terzo approccio sta attirando sempre maggiori attenzioni via via che ci si rende conto dell’insufficienza delle prime due opzioni. Questo approccio consiste nel sequestro attivo della CO2. La strategia da noi proposta potrebbe sorprendere alcuni lettori. La sottrazione di anidride carbonica all’atmosfera è generalmente associata alle opere di riforestazione: gli alberi infatti (e la vegetazione in generale) assorbono CO2 dall’aria nel corso della loro crescita e la trattengono nei propri tessuti per tutta la durata della vita. Si valuta che, nel complesso, le piante immagazzinino circa 600 gigatonnellate di carbonio, e altre 1600 gigatonnellate siano fissate nel suolo. Piante e suolo potrebbero forse sequestrare almeno altre 100 gigatonnellate di carbonio, ma occorrono comunque ulteriori serbatoi. Per questa ragione ci siamo dedicati nell’ultimo decennio a esplorare un’altra possibilità: la cattura di anidride carbonica da sorgenti di emissione fisse – per esempio un’industria chimica o una centrale elettrica – e la sua iniezione nel sottosuolo in formazioni geologiche adatte come letti carboniferi non sfruttabili, strati acquiferi profondi o giacimenti petroliferi esauriti. In alternativa la CO2 potrebbe essere immessa in quello che è il suo maggior serbatoio potenziale, l’oceano, iniettandola al di sotto del termoclino, lo strato cioè nel quale la temperatura diminuisce drasticamente. Da: H. Herzog, B. Eliasson, O. Kaarstad, Catturare i gas serra, «Le Scienze», 380, aprile 2000. ta un inquinante “cattivo”. Per prodursi ha bisogno di due inquinanti “precursori”, che vengono entrambi dal traffico: i COV (composti organici volatili) e gli ossidi di azoto. Quando le marmitte catalitiche sono fredde, troppo calde o vecchie, o il traffico è lento e congestionato, si creano grandi quantità di questi inquinanti (prodotti anche da industrie, solventi chimici ecc.). Interagendo con i raggi solari questi inquinanti danno origine all’ozono (O3), sostanza con elevato potere ossidante. Più alta è la temperatura, più veloci sono i tempi di reazione e maggiore è la quantità di ozono che si forma. Al tramonto l’ozono sparisce fino al mattino successivo, quando intorno alle 9 aumenta, raggiunge il picco dalle 13 alle 17 e poi inizia a scendere fino alle 19. Finora l’ozono era considerato un irritante delle vie respiratorie, forse all’origine dell’asma e dell’aumento di allergie. Dal ’95 si è accertata la sua responsabilità relativamente a infarti e ictus e che nelle ondate di calore ha un effetto aggravante sulla mortalità. Uno studio italiano dimostra infine che se la concentrazione di ozono aumenta di 10 µg · m–3 di aria i decessi aumentano dell’1,3%. Da: A. Beltramini, Il killer è l’ozono, «Focus», 143, settembre 2004. proposte di attività multidisciplinari ESEMPI DI PROGETTI A CARATTERE MULTIDISCIPLINARE 1. Studio di un ambiente caratteristico Lo studio si prefigge di sensibilizzare gli allievi alla conoscenza, al rispetto e alla valorizzazione dell’ambiente e di far cogliere le interrelazioni tra l’ambiente e gli organismi. Dopo aver scelto l’area di territorio adatta allo studio, ne vengono affrontati, con l’aiuto di più discipline, gli aspetti antropici, climatici, geologici, naturalistici e sociali. Le materie coinvolte sono: • scienze della Terra (aspetto biologico, geologico, idrogeologico); • chimica (composizione di terreno, pietre e analisi chimiche); • storia (aspetti antropici); • educazione fisica (orienteering). scienze della Terra chimica storia Nuovo Corso di Chimica © 2005 by Minerva Italica, Milano - Edumond Le Monnier S.p.A. - Tutti i diritti riservati Per ogni disciplina viene effettuato uno studio teorico preliminare, che comprende anche una ricerca bibliografica. Successivamente viene realizzata un’uscita sul campo, dove vengono effettuati prelievi di reperti ambientali: campioni di roccia, terreno, acqua, vegetazione ecc., oltre alle osservazioni delle più significative caratteristiche del luogo e alla documentazione fotografica. Durante l’uscita vengono anche realizzate alcune determinazioni analitiche. I campioni prelevati vengono poi analizzati nel laboratorio di chimica e di biologia. In questo modo l’allievo può comprendere praticamente il significato delle varie discipline ai fini della corretta tutela del territorio. educazione fisica studio preliminare prelievi osservazioni uscita sul territorio fotografie analisi analisi di laboratorio relazioni www.minervaitalica.it sintesi presentazione del lavoro 27 materiali extraguida 2. Analisi dei monumenti in pietra I monumenti, soprattutto quelli posti all’esterno, sono soggetti a continuo degrado per opera di fattori climatici, biologici, chimici e fisici. Con gli allievi viene affrontato lo studio del degrado di un monumento dai vari punti di vista, evidenziando anche gli aspetti storico-artistici del monumento. In questo modo sono coinvolte le seguenti discipline: • chimica (fattori chimici di degrado e composizione chimica del materiale lapideo); • scienze, biologia (fattori biologici di degrado); • storia o storia dell’arte (inquadramento storico e artistico del monumento); • inglese (analisi documenti in inglese). www.minervaitalica.it Dopo una preliminare introduzione teorica a cura delle singole discipline, segue un’uscita con esperti della Soprintendenza ai beni storici e artistici i quali, oltre a far osservare i punti critici di degrado, guidano gli allievi al corretto prelievo di alcuni frammenti significativi, da analizzare poi nei laboratori di chimica e di scienze. Le analisi chimiche prevedono semplici saggi sulla pietra. I risultati delle analisi sia chimiche sia biologiche vengono poi discussi con gli esperti della Soprintendenza. Seguono quindi un’elaborazione generale e una verifica per ogni disciplina. Questa attività si può realizzare con la collaborazione della Soprintendenza ai beni storici e artistici del luogo. Nuovo Corso di Chimica © 2005 by Minerva Italica, Milano - Edumond Le Monnier S.p.A. - Tutti i diritti riservati scienze della Terra chimica storia o storia dell'arte inglese studio preliminare prelievi uscita con esperto analisi di laboratorio elaborazione presentazione del lavoro 28 fotografie proposte di attività multidisciplinari 3. Educazione alimentare L’attività ha come finalità la sensibilizzazione degli allievi al problema alimentare connesso con la salute, le abitudini alimentari e la fame nel mondo. A questo scopo può essere realizzato un percorso multidisciplinare che prevede anche l’intervento di esperti (ASL, Centro di medicina sociale dell’Ospedale, Associazioni di volontariato). Le discipline coinvolte sono: • scienze (biochimica degli alimenti, funzionamento dell’apparato digerente, disfunzioni gastrointestinali); • chimica (calcolo del valore energetico degli alimenti, lettura delle etichette, analisi chimiche degli alimenti); • storia/lettere (storia dell’alimentazione, abitudini alimentari nelle diverse epoche e parti del mondo); • matematica (elaborazione dati). Nuovo Corso di Chimica © 2005 by Minerva Italica, Milano - Edumond Le Monnier S.p.A. - Tutti i diritti riservati Si prevede una prima fase in cui viene somministrato un questionario sulle abitudini alimentari, seguito poi dall’intervento degli insegnanti per ogni singola disciplina. Successivamente intervengono gli esperti su temi relativi alla “dieta alternativa” e alla “fame nel mondo”. I ragazzi, con la collaborazione degli insegnanti, elaborano i dati e le conoscenze acquisite nelle varie fasi dell’attività e preparano la comunicazione dei risultati. indagine preliminare preparazione in classe intervento di esperti elaborazione presentazione dei risultati www.minervaitalica.it Si suggeriscono poi le seguenti visite guidate: 1. Depuratore di acque 2. Laboratorio di analisi chimiche e biochimiche 3. Azienda di compostaggio 4. Azienda alimentare 29