SOCIETA’ DI SCIENZE FARMACOLOGICHE APPLICATE SSFAoggi SOCIETY FOR APPLIED PHARMACOLOGICAL SCIENCES Notiziario di Medicina Farmaceutica Bimestrale della Società di Scienze Farmacologiche Applicate Giugno 2014 numero Fondata nel 1964 43 Sommario: LE ELEZIONI DEL CONSIGLIO PER IL TRIENNO 2014 – 2016 Editoriale 1 Durante il Congresso SSFA di Roma, e precisamente in occasione dell’Assemblea dei Soci che ha chiuso i due giorni di lavori, si sono formalmente concluse le votazioni per il SSFA incontra AIFA 2 rinnovo del Consiglio. Lo scrutinio delle schede elettorali si è svolto il giorno 8 aprile 2014 nello studio del notaio XIII Congresso Nazionale SSFA Prima sessione 4 dr. Francesco Gallizia in Milano. Scrutatori sono stati la segretaria Sabrina Lucioni ed il sottoscritto. Questa tornata elettorale ha visto una buona partecipazione dei Soci al voto: è certamente un fatto molto positivo, che riflette un maggior interesse verso la scelta dei XIII Congresso Nazionale SSFA Seconda sessione 6 Consiglieri, che dovranno guidare le attività della SSFA nel prossimo triennio. Le informazioni qui riportate sono disponibili dallo scorso 8 aprile sul sito SSFA: in ogni caso, le ripetiamo. I Soci votanti sono stati 206 (di cui per posta 150, ed in Assemblea 56): non ci sono XIII Congresso Nazionale SSFA Terza sessione 9 state schede nulle, mentre è stata inserita una scheda bianca. Quindi le schede valide sono 205. XIII Congresso Nazionale SSFA Quarta sessione 10 Hanno ricevuto voti come Consiglieri i seguenti candidati: 1. Anna PICCOLBONI 98 voti XIII Congresso Nazionale SSFA 2. Gianni DE CRESCENZO 80 voti Tavola Rotonda 11 Oggi parliamo di………… 12 3. Luigi GODI 79 voti 4. Marie-Georges BESSE 70 voti Clinical monitor UNI 15 5. Marco ROMANO 66 voti 17° Congresso IFAPP 16 6. Domenico CRISCUOLO 56 voti Seminario FE&MA 17 7. Salvatore BIANCO 53 voti The Lancet 18 8. Rossana BENETTI 46 voti 9. Giuseppe ASSOGNA 38 voti British Medical Journal 20 10. Simona COLAZZO 33 voti GdL Medicina Complementare 22 11. Sergio CAROLI 29 voti Notizie dai Master 24 Il libro di oggi 29 Il giuramento di Ippocrate 30 Notizie BIAS 33 L’uso dei farmaci in Italia 34 ADR 35 Nuovi Soci 40 Seguono altri candidati con un numero minore di voti. Ha ricevuto voti come Revisore dei conti: Simona SGARBI 129 voti Il giorno 6 maggio il nuovo Consiglio è stato convocato ed ha deliberato l’attribuzione delle seguenti cariche: Presidente Marco Romano Vice Presidente Anna Piccolboni Tesoriere Luigi Godi Segretario Salvatore Bianco Il prossimo numero di SSFA oggi ospiterà una formale presentazione dei Consiglieri eletti alle quattro cariche sociali. Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - DCB PRATO Domenico Criscuolo Anno VIII numero 43 Pagina 2 SSFA incontra AIFA Lo scorso 7 Marzo 2014 una delegazione SSFA, costituita dal Presidente Gianni De Crescenzo, dal Segretario Luigi Godi, da Francesco De Tomasi (Master Università Cattolica) e da Luciano M. Fuccella (Master Università di Milano Bicocca) ha incontrato a Roma il Direttore Generale di AIFA, prof. Luca Pani, accompagnato dalla dr.ssa Donatella Gramaglia e dal dr. Michele Marangi. All’ordine del giorno dell’incontro tre argomenti: 1) il tema della relazione del prof. Luca Pani al XIII Congresso Nazionale SSFA, ossia “Il parere di AIFA”, nella sessione “Immagine dell’industria farmaceutica”; 2) la situazione dei Comitati Etici dopo il Decreto Ministeriale; 3) la proposta, pervenuta da PharmaTrain, di realizzare in Italia un corso di formazione e di aggiornamento (CPD) per gli addetti alla ricerca clinica. In merito al primo punto all’ordine del giorno, il prof. Pani ha confermato la sua partecipazione al Congresso ed assieme alla dr.ssa Gramaglia ed al dr. Marangi provvederà ad inviare quanto prima una sinossi della sua relazione. In merito al secondo punto all’ordine del giorno, la dr.ssa Gramaglia ha fatto presente che, nonostante i termini per la riorganizzazione dei Comitati Etici siano già scaduti da qualche mese, alcune regioni (Marche, Calabria, Molise e la provincia autonoma di Bolzano) non hanno ancora deliberato in materia. Al momento comunque si è avuta una sensibile diminuzione del numero dei Comitati Etici (circa 83), il che presuppone per una futura attività più omogenea ed il rispetto dei tempi. Sul terzo punto all’ordine del giorno, forse il più importante, si sono illustrati ad AIFA obiettivi ed attività del progetto Pharma Train e si è prospettata una collaborazione con AIFA in linea con i programmi di armonizzazione e validazione europee della formazione del personale coinvolto nella speri(Continua a pagina 3) Anno VIII numero 43 (Continua da pagina 2) mentazione con farmaci. Il programma Pharma Train si propone di giungere alla attribuzione del titolo di “Specialist in Medicines Development (SMD)”, con aggiornamento continuo affidato a società scientifiche nazionali (ad es. SSFA, in collaborazione con SIF e/o SIFO) insieme ad università, mediante programmi triennali o quinquennali e con verifiche annuali. In un mondo in continua evoluzione quale quello della scoperta e dello sviluppo dei farmaci, dove in misura crescente si assiste alla esternalizzazione della ricerca preclinica e clinica, è indispensabile non solo assicurare la presenza di professionisti con approfondita preparazione conseguita con appropriate tecniche di insegnamento garantendo anche un aggiornamento continuo (CPD: Continuing Professional Development), ma anche assicurare che gli sperimentatori clinici siano partecipi di questo processo di aggiornamento professionale. E’ evidente che il conseguimento di un programma internazionale del genere aumenta anche sensibilmente le occasioni di lavoro in quanto chi ha conseguito il titolo post-laurea potrà facilmente trovare occupazione in tutti i paesi che prendono parte al programma stesso. Pagina 3 La SSFA, società scientifica dei ricercatori del farmaco, festeggia nel 2014 i suoi primi 50 anni di vita: nel corso di questo periodo rappresentanti SSFA si sono distinti per aver attivato con successo corsi di aggiornamento su tutte le attività legate al mondo del farmaco (dalla sperimentazione preclinica alla sperimentazione clinica, dagli affari regolatori alla farmacovigilanza, alla farmacoeconomia ed alla qualità). Riteniamo pertanto di avere non solo le competenze necessarie per attivare un percorso di verifica periodica, ma anche il know-how per gestire questo processo, che è già presente presso i diversi master in cui sono attivi docenti SSFA. Naturalmente in questo processo di implementazione di un programma di CPD, SSFA ritiene importante poter contare sulla collaborazione di autorevoli rappresentanti di altre istituzioni come ad esempio AIFA, ISS, Ministero della Salute e di altre società scientifiche (ad esempio SIF, SIFO, SIAR). Sarebbe opportuno costituire un comitato CPD con tali rappresentanti, che abbiano mandato di delega come esperti validati, i quali svolgerebbero la funzione di tutor per coloro che partecipino al programma di CPD. Il prof. Pani ha dato la disponibilità di AIFA alla massima collaborazione in tale progetto nell’ambito delle attività di educazione e formazione del personale addetto alla ricerca clinica. Verranno concessi a tale iniziativa spazi sul sito AIFA, dove dovranno essere riportati (sia in lingua italiana che in lingua inglese) una nota introduttiva per poi rimandare ai siti istituzionali di SSFA, SIF e SIFO per i dettagli operativi. AIFA non concederà né speciali finanziamenti né alcuna attività operativa (intesa come IT) da parte di esponenti dell’Agenzia. Gli aspetti tecnici saranno successivamente vagliati dagli addetti ai lavori. Luigi Godi About Chiltern: Established in 1982, Chiltern is a leading global clinical CRO with extensive experience in the management of Phase I-IV clinical trials across a broad range of therapeutic areas, functional service provision and contract staffing solutions. Chiltern has conducted trials in more than 40 countries, employs more than 1,600 people globally and offers services in Early Phase, Global Clinical Development, Late Phase, Biometrics, Medical and Regulatory Affairs and Resourcing Solutions. Chiltern prides itself as a development partner that offers flexibility, responsiveness and quality delivery. Chiltern International srl Via Nizzoli, 6 20147 Milano Tel +39 02 8978941 Fax +39 02 37050170 Anno VIII numero 43 Pagina 4 TREDICESIMO CONGRESSO NAZIONALE SSFA Roma, 31 marzo-1 aprile 2014 Il nostro Congresso Nazionale ha avuto un buon successo: sono intervenuti, fra iscritti, relatori e moderatori, circa 150 colleghi che hanno contribuito, con interessanti presentazioni e con un vivace dibattito, all’ottima riuscita delle due giornate di lavori. Il motto del congresso era “I 50 anni di SSFA e la ricerca in Italia”: abbiamo voluto coniugare le celebrazioni dei primi 50 anni di vita della nostra associazione, con lo stato della ricerca nel nostro Paese, e soprattutto sulle prospettive di una futura crescita, che tutti auspichiamo. Eccovi, come promesso nel numero scorso, una sintesi degli interventi. PRIMA SESSIONE Il tema della prima sessione del congresso, e non poteva essere altrimenti data la vocazione della SSFA, è stata incentrata sul Nuovo Regolamento Europeo. I lavori della sessione sono stati articolati in quattro presentazioni che hanno permesso di analizzare il regolamento e le sue implicazioni da differenti punti di vista, tutti di estrema importanza. Il prof Vincenzo Salvatore, docente di Diritto dell’Unione Europea presso l’Università dell’Insubria, è intervenuto sul tema “il perché di un nuovo regolamento europeo sulle sperimentazioni cliniche”. L’esperienza quasi decennale del prof Salvatore presso l’ufficio legale dell’EMA ha contribuito a rendere ancora più significativa la Sua partecipazione. Dopo aver evidenziato il fatto che era necessario per l’Unione Europea intervenire per salvaguardare il ruolo giocato dai Paesi Membri nella sperimentazione clinica vista la progressiva riduzione degli studi registrati in Europa negli ultimi anni, il professore ha rapidamente passato in rassegna le principali novità introdotte con il regolamento . Interessante , a tale proposito, il distinguo messo in luce tra il ruolo dell’EMA che sancirà la necessità di acquisire nuove evidenze ed il ruolo degli Stati Membri che fungeranno da valutatori delle diverse proposte di studi e delle modalità della loro esecuzione. Da que- sta premessa il professore ha insistito sull’importanza del Portale Unico che assorbirà EudraCT, sui diversi ruoli del Pease rapporteur e dei Paesi interessati, del flusso che sarà seguito per la valutazione delle diverse proposte con la loro sottomissione attraverso il PU, l’analisi della parte I “generale” e della parte II “nazionale”. Particolare attenzione il professore ha dedicato ad una delle ragioni principali di cambiamento ovvero la necessità di una maggiore trasparenza per l’acquisizione di informazioni sulle sperimentazioni cliniche che dovrà essere garantita con i soli limiti determinati dalla protezione di dati personali, di dati commerciali sensibili e che non interferiscano con il compito di monitoraggio accurato degli studi che gli Stati membri devono esercitare. In merito il Professore ha parlato di passaggio da un accesso reattivo alle informazioni ad una loro messa a disposizione proattiva da parte della Agenzia Europea. Cosa debba costituire una informazione commerciale sensibile e quindi non accessibile al pubblico rimane uno dei punti critici sul quale non si è ancora arrivati ad una definizione condivisa. Altro aspetto importante ed innovativo è il concetto di co -sponsorizzazione introdotto dal nuovo regolamento, per il quale sarà possibile che più sponsor possano proporre uno stesso studio clinico, previa chiara definizione delle responsabilità di ciascuno sponsor. Infine è stato esaminato dal relatore anche l’aspetto assicurativo che sarà “proporzionato al rischio”. Mentre infatti dovrà essere garantita una copertura assicurativa per gli studi clinici, tale copertura non sarà obbligatoria per i cosidetti studi clinici a basso livello di intervento. L’intervento del dr Carlo Tomino, Responsabile dell’Ufficio Sperimentazione Clinica dell’AIFA, è stato incentrato sulla Posizione AIFA. Il dr Tomino ha confermato, mostrando i dati dell’Osservatorio della Sperimentazione Clinica, il trend in decrescita del numero degli studi clinici che interessano centri italiani. Dopo aver ripercorso le principali novità introdotte ed avere ricordato che, a differenza di quanto in atto con la direttiva 2001/20/EC, il nuovo Regolamento ha carattere vincolante per tutti gli Stati Membri, sono stati affrontati alcuni punti di particolare rilevanza: la scelta del Paese Rapporteur è fatta dallo sponsor, sono definiti criteri di silenzio/assenso per la risposta da parte degli Stati Membri interessati. Il relatore ha evidenziato che entrambi questi punti hanno suscitato discussioni perchè potrebbero determinare, da una parte una concentrazione dei Paesi che fungono da rapporteur e, dall’altra, una scarsa partecipazione dei Paesi Membri che avessero difficoltà con le tempistiche imposte. Altro punto importante del documento messo in risalto è il ruolo dei Comitati Etici . La valutazione etica avverrà a livello centrale e gli Stati Membri saranno liberi di intervenire o meno . Nel caso in cui i CE vogliano intervenire dovranno comunque farlo attraverso il Portale Unico. E’ inoltre stato sottolineato che l’interazione comporterà la necessità di riunioni molto più frequenti (settimanali) dei Comitati Etici. E’ stato fatto notare che la cosa appare molto problematica per il sistema italiano dovendo giudicare anche alla luce di quanto è avvenuto con la recente riorganizzazione dei comitati etici in Italia (DM 8/2/2013). Sono poi state illustrate le tempistiche previste dal documento che appaiono tutte estremamente sfidanti per il carico di lavoro che impongono e che richiederanno un’organizzazione ad hoc. La copertura assicurativa, necessaria per tutte le sperimentazioni che non siano quelle a basso livello di intervento e la cui organizzazione e copertura è demandata a ciascun Paese Membro, sarà un altro punto critico richiedendo, per l’Italia, un lavoro “ex novo”. Il dr Tomino ha chiuso il Suo intervento sottolineando che le sfide che il nuovo regolamento impone sono molte e complesse, ha auspicato che l’Italia sappia cogliere l’opportunità di valorizzare la (Continua a pagina 5) Anno VIII numero 43 Pagina 5 (Continua da pagina 4) sperimentazione clinica non solo come valore insostituibile per la salute pubblica ma anche come opportunità di sviluppo economico come messo in evidenza dal Governo inglese in un documento recentemente reso pubblico. I lavori sono poi continuati con l’Intervento del dr Maurizio Agostini, direttore della Direzione TecnicoScientifica di Farmindustria, che ha espresso la posizione di Farmindustria. Il dr Agostini ha esordito elencando le opportunità che il regolamento offre in termini di semplificazione: una tempistica certa legata alla procedura del silezio -assenso e la possibilità di un coinvolgimento allargato a tutti i Paesi Membri. Il regolamento sarà sottoposto alla valutazione del Parlamento Europeo, il 3 o 4 Aprile e diventerebbe operativo due anni dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e comunque sei mesi dopo l’attivazione del Portale Unico e della Banca Dati ( dove saranno riversati e conservati tutti i dati delle sperimentazio- ni cliniche). Dopo aver illustrato le tempistiche per ogni fase di approvazione (tabella) delle nuove sperimentazioni, il relatore ha evidenziato il fatto che, nell’ambito degli aspetti assicurativi, è stata abolita la previsione di un meccanismo di indennizzo nazionale (ex art.73) ribadendo che gli aspetti assicurativi rimangono un’area critica per la quale sarà necessaria ulteriore chiarezza, soprattutto in ambito nazionale. Sono anche stati illustrati gli interventi sanzionatori previsti. E’ poi stato posto l’accento sull’opportunità di creare un network per i Comitati Etici per accelerare il loro coinvolgimento e favorire una valutazione etica approfondita e condivisa da tutti gli Stati Membri interessati. Altra considerazione rilevante espressa è che, ove fosse applicato il tempo massimo concesso per l’approvazione, il processo approvativo Europeo risulterebbe tra i più lunghi a livello internazionale. Sono stati mostrati dati che evidenziano come, a fianco alla riduzione di studi clinici, si assista anche ad un decli- no del numero degli addetti alla sperimentazione, il che costituisce un grave danno al nostro Paese considerando l’alto livello professionale e la qualità di quanti operano in questo settore.E’ stato avanzato il suggerimento di avere sia un contratto standard sia requisiti assicurativi standard applicabili in tutti i centri clinici per superare rigidità di sistema che chi si occupa di ricerca clinica in Italia ben conosce. Il dr Agostini, dopo aver illustrato delle iniziative che Farmindustria ha recentemente attivato con alcune Regioni a favore della sperimentazione clinica (definizione di un contratto unico regionale con le regioni Lombardia, Veneto, Toscana e Liguria) ha chiuso il suo intervento articolando una proposta di collaborazione che prevede la formazione immediata di una task force nella quale siano rappresentati tutti i protagonisti della sperimentazione clinica (AIFA, ISS, Regioni, CE, farmacologi, clinici e Farmindustria) che sia in grado, entro due mesi, di fare una mappatura (Continua a pagina 6) Tempi autorizzativi Proposta di Regolamento Procedura di autorizzazione Min (giorni) Max (giorni) (con clock stop) Sperimentazione clinica 60 (10+45+5) 106 (25+76+5) Sperimentazione clinica di terapie avanzate 110 (10+95+5) 156 (25+126+5) Emendamento sostanziale 49 (6+38+5) 95 (21+69+5) Emendamento sostanziale di una SC di terapie avanzate 99 (6+88+5) 145 (21+119+5) Aggiunta di uno Stato membro 52 83 6 Anno VIII numero 43 (Continua da pagina 5) della situazione italiana e di elaborare un piano di intervento per adeguarsi ai requisiti previsti. Entro un anno dalla pubblicazione del regolamento la task force dovrebbe proporre linee guida e un piano di formazione da rendere operativi su tutto il territorio nazionale per portare tra due anni, ovvero al momento della definitiva operatività del nuovo regolamento, il sistema ad essere completamente allineato e pronto a lavorare nel rispetto della nuova normativa, e rendere quindi l’Italia realmente competitiva nel panorama internazionale. La sessione si è conclusa con l’intervento del professor Alessandro Mugelli, Direttore del Dipartimento di Neuroscienze, Psicologia, Area del Farmaco e Salute del Bambino dell’Università di Firenze, il quale nel Suo ruolo anche di Presidente del Comitato Etico per la Sperimentazione Clinica -Regione Toscana ha portato la posizione dei Comitati Etici. Il professore ha condiviso la opportunità, fornita dall’introduzione di una nuova normativa, di non appesantire l’aspetto burocratico della sperimentazione clinica che nulla aggiunge alla qualità della ricerca e, semmai, ne rappresenta un ostacolo. Nel contempo ha però anche espresso perplessità sulle modalità, carenti, per il coinvolgimento dei CE così come attualmente previste nel Regolamento. Già nel documento di revisione della Pagina 6 Direttiva 2001/20/CE, reso pubblico dalla Comunità Europea nel 2011, si auspicava una maggiore attenzione ai problemi etici piuttosto che sugli aspetti economici e regolatori. Nel medesimo documento si auspicava un maggior coinvolgimento dei CE e la creazione di una piattaforma comune per favorire gli scambi tra i diversi comitati dei diversi Stati Membri nonchè una difficoltà per i CE di esprimere un parere sui moduli di consenso informato senza una adeguata conoscenza del protocollo di studio relativo. Il professore ha sottolineato come il Regolamento non definisca quale organismo sia demandato alla valutazione degli aspetti etici della sperimentazione, lasciando a ciascuno Stato Membro la responsabilità di decidere quale sia l’organo responsabile di questa funzione. Viene poi rimarcato che il nuovo regolamento, favorendo un’approvazione centrale, rischi di compromettere un completo allineamento con la Dichiarazione di Helsinki la quale prevede la protezione di tutti i soggetti coinvolti nella sperimentazione clinica. Si auspica quindi che il Regolamento includa in modo diretto ed inequivocabile la necessità di una valutazione , preliminare all’approvazione della ricerca, degli aspetti etici della ricerca stessa e che tale valutazione debba essere condotta da un comitato del quale dovrebbe essere ben definita la composizione. Il professore ha infine concluso il Suo intervento chiarendo che il regolamento sancisce comunque la necessità di una approvazione data da un ragionevole numero di persone indipendenti , includendo anche non esperti di settore, che valutino congiuntamente il protocollo e che il regolamento non limita tale approvazione ai soli aspetti etici accettando quindi l’inscindibilità tra scienza ed etica. E’ ragionevole dunque pensare che i Comitati Etici mantengano la loro funzione ma l’essere pronti al recepimento del Regolamento nei tempi previsti dalla Comuniità Europea rimane una sfida aperta. GiovanBattista Leproux SECONDA SESSIONE Questa sessione, moderata da Francesco De Tomasi e da Marco Corsi, si prefiggeva di delineare l’immagine dell’industria farmaceutica attraverso il parere di tre figure professionali molto spiccate: l’editorialista di un peer reviewed journal ( prof. Achille Patrizio Caputi), il Direttore Generale di AIFA (prof. Luca Pani) , un noto farmacologo ( prof. Luciano Caprino). La sessione è stata modificata nella sequenza degli interventi perchè il prof. Pani, volendo onorare l’impegno di esprimere il proprio parere e dovendo, nel primo pomeriggio, partire per Londra per impegni istituzionali, ha chiesto di anticipare la sua relazione. Il prof. Luca Pani ha percorso veloce(Continua a pagina 7) Anno VIII numero 43 (Continua da pagina 6) mente le tappe delle conquiste scientifiche degli ultimi 200 anni partendo dalle osservazioni di Pasteur nel 1859 per giungere agli interventi farmacologici più recenti come l’approvazione, da parte di EMA, di Glybera, primo prodotto di terapia genica, riconoscendo il ruolo fondamentale dell’industria farmaceutica ed il valore della sperimentazione clinica. In questo suo percorso il prof. Pani ha individuato e delineato un nuovo modo di valutazione della performance degli studi clinici, che, di conseguenza si ripercuote su una nuova impostazione degli approcci preclinici e clinici per arrivare a rendere disponibile il farmaco, possibilmente in tempi anticipati rispetto al passato, soprattutto per farmaci con elevato bisogno medico insoddisfatto, riconoscendo un moderato grado di incertezza sull’efficacia ma non sul rischio. Questo percorso, che delinea il coinvolgimento del paziente nella ricerca e sviluppo di un farmaco fin dalle prime fasi, si svolge nel programma di ricerca, sviluppo dei quesiti di ricerca, selezione degli esiti e dei comparatori, reclutamento, traslazione e diffusione dei risultati. In tutto questo nuovo processo, in parte già iniziato, importante sarà il dialogo con le agenzie regolatorie. Ha poi, ha focalizzato la sua analisi sulla situazione italiana ricollegandosi ai risultati del XII rapporto nazionale sull’uso dei farmaci nel 2012, anno in cui, nonostante il persistere della crisi globale, il numero degli studi clinici è rimasto invariato con una tenuta del numero degli studi delle fasi precoci e con una consistente presenza di studi clinici no profit, particolarmente sostenuti da AIFA, ed in aumento anche gli studi di tipo osservazionale. L’area oncologia, l’area neuropsichiatria, l’area cardiovascolare, per le eccellenze italiane in questi settori, sono in grado di attrarre più ricerca in Italia. Il prof. Pani ha concluso il suo intervento con un accenno al nuovo regolamento europeo, alle prossime tappe ed agli effettivi cambiamenti, affermando come sia importante il ruolo di AIFA a livello regolatorio internazionale per attrarre investimenti sul territorio nazionale e come un rapido processo di riorganizzazione dei comitati etici sia la premessa per non perdere competitività Pagina 7 a livello internazionale. Ponendo infine la domanda se, per un nuovo modello di business scientifico, l’industria e gli altri attori siano pronti. Vi è stato anche tempo per alcune domande, in genere di approfondimento delle modifiche annunciate; in particolare vi è stata una domanda sull’osservatorio degli studi clinici. La risposta ha confermato che è stato necessario molto tempo per poter trovare una piattaforma capace di dialogare con EMA, ma che ora l’attività e la funzione dell’osservatorio è ripresa. La sessione è proseguita con l’intervento del prof. Achille Patrizio Caputi, che ha iniziato la sua presentazione citando Stephen Carney, che individua nell’attuale situazione di crisi un momento di particolare tensione per le industrie farmaceutiche messe alla prova dalla riduzione del numero di nuove molecole che arrivano al mercato, dalle richieste sempre più onerose delle autorità regolatorie , dalle richieste degli stessi pazienti ed infine dalle attese degli investitori. Ma, secondo il suo parere, la situazione è molto più complessa perché esiste una differenza tra i benefici attesi o prospettati ed i rischi potenziali o manifesti dei nuovi farmaci, così come risultano dalle sperimentazioni. Spesso, poi, l’orientamento degli sponsor in merito agli obiettivi di una ricerca è verso priorità utili a se stessi, piuttosto che ai pazienti, comportamento che distorce dall’ottenimento di un risultato imparziale. Il prof. Caputi riporta una serie di pubblicazioni che evidenziano come tra il 1999 ed il 2005 su 122 nuovi farmaci solo il 10% dimostrarono una superiorità statisticamente significativa su obiettivi clinici primari, rispetto ai farmaci esistenti. Per dimostrare un’efficacia superiore dei nuovi farmaci sono necessari studi comparativi, spesso a lungo termine, valutati criticamente anche alla luce dei dati di prescrizione. Esiste un’ulteriore condizione che ci induce a riflettere: un’alta percentuale di lavori pubblicati dalle riviste scientifiche è sostenuta dalle industrie farmaceutiche direttamente o tramite l’acquisto di ristampe da consegnare ai medici per rafforzare il messaggio sui farmaci da loro prodotti e, d’altra parte, gli editori traggono enormi profitti da questa pratica; in sintesi si tratta di un reale conflitto di interessi. Sarebbe opportuno indagare su questa attitudine e qualcosa in tal senso è stata fatta: una indagine ha messo in luce che più dell’ 80% delle ristampe non viene letto, il margine di guadagno per gli editori sulle ristampe è di circa l’80 %. Le testate più richieste dalle industrie farmaceutiche sono: Lancet, Lancet Neurology, Lancet Oncology, BMJ, Gut, Heart, Journal of Neurology, Neurosurgery &Psychiatry, che vengono scelte per la loro notorietà e per i nomi di illustri autori, che conferiscono maggiore credibilità agli articoli, con la finalità di promuovere i farmaci oggetto degli studi. Si pone a questo punto un drastico quesito: le riviste scientifiche debbono evitare di pubblicare ricerche commissionate dall’industria? Alcuni rispondono di si, altri rispondono di no ed i sostenitori di ciascuna delle tesi portano un elenco di buone ragioni. Per superare queste condizioni è necessario trovare il giusto equilibrio tra benefici e rischi di un nuovo trattamento ponendo accurata attenzione sia ai rischi che ai benefici documentati al momento dell’approvazione del farmaco, e mantenendo attiva la sorveglianza quando il farmaco viene impiegato su popolazioni più ampie e con più patologie. Gli studi clinici randomizzati offrono un’eccellente opportunità per valutare i danni di un intervento medico quando impiegano disegni sperimentali robusti, disponibili nella ricerca clinica. Bisogna, quindi, cambiare rotta, evitando studi che ignorino o sottovalutino gli eventi avversi e tenendo in gran conto il principio: “ primum non nocere”. Il prof. Caputi, conclude il suo corposo intervento ancora con una citazione, questa volta di Rosina Salerno (WHO), “ Siccome siamo in un periodo di crisi economica ci dobbiamo chiedere quale tipo di salute pubblica il sistema è in grado di sostenere”. Il prof. Luciano Caprino ha concluso la sessione illustrando le “Conquiste della farmacologia negli ultimi 50 anni”. Dagli anni 50, infatti, la farmacologia compie un passo di straordinaria portata e questo modifica in maniera radicale la terapia medica. Nuove metodologie di ricerca di base e clinica consentono di individuare, meglio e con maggior sicurezza, (Continua a pagina 8) Anno VIII numero 43 (Continua da pagina 7) nuove classi di farmaci potenti che vanno dagli antiipertensivi, agli antibiotici, agli psicofarmaci, fino agli antitumorali e, più recentemente ai farmaci biologici. Un passo importante è stato fatto con la scoperta e l’identificazione dei recettori. Nella sua carrellata, egli si sofferma sulla nascita dei farmaci antiipertensivi che vanno a modificare gli atteggiamenti medici più svariati (terapia psichica, riposo assoluto, dieta latteo-vegetativa, iposodica, qualche lassativo) con l’impiego, dal 1952 in poi, di reserpina, guanetidina, clorotiazide, clonidina: farmaci attivi a diversi livelli, individuati parallelamente alle scoperte sul sistema di controllo della pressione arteriosa sia a livello centrale che a livello periferico. Nel 1968 vengono individuati i beta bloccanti, una categoria molto folta: in contemporanea vengo scoperti i calcio antagonisti e, successivamente, negli anni 70 gli ACE inibitori ed i sartani. Nella classe degli antibiotici, il prof. Caprino ha tenuto a ricordare come ben prima di Fleming sia stato un medico della marina militare italiana, il dr. Vincenzo Tiberio, molisano, laureatosi a Napoli, a scoprire, nel 1893, il potere antibiotico di alcune muffe, di cui pubblicò i risultati nel 1895, ma la sua scoperta non fu pubblicizzata. Fleming nel 1943 utilizzò la penicillina per curare alcuni soldati americani. Una serie numerosa di vari tipi di antibiotici seguì negli anni successivi ed il contributo di ricercatori italiani non mancò, come avvenne con la scoperta di Brotzu a Cagliari, che portò ad individuare le cefalosporine. Altra importante classe di farmaci, scoperti dagli anni 50 fino ai 70, è rappresentata dagli antipsicotici, dagli antidepressivi, dagli ansiolitici, per poi arrivare agli anni 90 con gli antipsicotici atipici, come olanzepina e risperidone. Il prof. Caprino, si è soffermato anche su altre classi di farmaci come quelli “contro il mal di mare” ( scopolamina, dimedrinato, difenidramina); quelli “contro il rischio di patologie” (statine ed antiaggreganti piastrinici); “i farmaci antiulcera” che hanno definitivamente rivoluzionato il precedente impiego della chirurgia (dalla cimetidina, alla ranitidina e poi all’omeprazolo); i farmaci anti AIDS, che hanno permesso di ridurre la Pagina 8 mortalità e di consentire una lunga sopravvivenza in condizioni accettabili; i farmaci antidiabetici (dalle sulfaniluree, ai biguanidi, ai glitazonici, fino agli incretinomimetici) ; i farmaci anticoagulanti (dall’eparina, 1916, al warfarin, 1948, alle eparine a basso peso molecolare, 1980, e, più recentemente, ai NAO, nuovi anticoagulanti orali, come rivaroxaban, apixaban, dabigatran, 2009-2013). I farmaci biotecnologici, nati dalla tecnica del DNA ricombinante a partire dal 1972, hanno avuto una costante e rapida espansione che ha per- Foto del dr. Vincenzo Tiberio messo di produrre molte sostanze utilizzate in clinica come l’insulina, l’ormone della crescita, l’ormone follicolo stimolante, le interleuchine, l’eritropoietina. Dal 1998 in poi, inoltre, la possibilità di costruire anticorpi monoclonali ha consentito l’uso di terapie “mirate” nella cui categoria si inseriscono gli ultimi farmaci antitumorali (quali ad esempio, trastuzumab, cetuximab e tanti altri che vengono proposti per il trattamento di specifiche patologie tumorali). Nel concludere la sua presentazione, ha parlato del recente “scandalo” Avastin–Lucentis citando i risultati dello studio CATT per l’equivalenza dei due farmaci, sia sul piano dell’efficacia che della sicurezza, nel trattamento della degenerazione maculare ed, infine, ha presentato il suo volume “ Il farmaco: 7000 anni di storia, (Continua a pagina 9) Anno VIII numero 43 (Continua da pagina 8) dal rimedio empirico alle biotecnologie”, pubblicazione edita in italiano ed in inglese (già recensita sul numero 32 di SSFAoggi) e reperibile sul sito AIFA, da cui è possibile scaricarla gratuitamente. Francesco De Tomasi TERZA SESSIONE La terza sessione del Congresso “Crisi finanziaria e suo impatto sulla ricerca” è stata moderata da Luciano M. Fuccella e da Luigi Godi. Ai relatori era stato richiesto di centrare gli interventi sul tema della crisi finanziaria e del suo impatto sulla ricerca clinica che si svolge presso le relative istituzioni, sulle attività messe in atto per contrastare la crisi finanziaria del settore ed identificare quali possano essere gli strumenti migliori affinché ciò non influisca significativamente sulla entità e qualità della ricerca clinica in Italia, senza dimenticare di focalizzare l'attenzione anche sugli aspetti occupazionali. Il prof. Massimo Fini, Direttore Scientifico dell’IRCCS San Raffaele Pisana di Roma, ha evidenziato come i 48 IRCCS presenti sul territorio nazionale, a fronte del mancato raggiungimento da parte dell’Italia (così come negli altri stati membri) della quota del 3% del PIL investito in ricerca, come sancito dal Consiglio Europeo nel 2002 (media europea 2,2%), hanno incrementato i propri risultati : + 99,5% del numero di pubblicazioni (10.834 nel 2012), incremento del numero di addetti alla R&S (9.575 nel 2012), mantenendo gli autori italiani il primo posto nella ricerca scientifica sia per quanto riguarda il numero di articoli per ricercatore (0,7/anno nell’ultimo quadriennio) che per citazioni/ricercatore (6,6/anno nell’ultimo quadriennio). Non vanno di pari passo purtroppo i fondi dedicati alla ricerca e sviluppo presso gli IRCCS: infatti la quota di finanziamento medio per IRCCS è passata da 5 milioni di euro nel 2000 a 3,15 milioni di euro nel 2013, con un decremento del 37%, con una ulteriore diminuzione a 2,23 milioni di euro se si considera anche il tasso di inflazione. Altro dato preoccupante è anche l’incapacità degli istituti di ricerca (pubblici e privati) di utilizzare Pagina 9 totalmente le quote di finanziamento che arrivano dall’UE: l’Italia è stata in grado di utilizzare solo il 62,9% dei finanziamenti ottenuti nell’ambito del 7° programma quadro. Nel secondo intervento, il prof. Francesco Rossi (Rettore della Seconda Università di Napoli e Presidente della Società Italiana di Farmacologia), ha ribadito lo stato di sofferenza della ricerca in Italia, e come in Europa solo alcuni Paesi (Finlandia, Svezia e Danimarca) siano in grado di superare stabilmente la quota del 3% del PIL. La quota di finanziamenti per la ricerca in Italia deriva solo per il 44,2% dalle imprese e questo dato ci pone all’ultimo posto tra i Paesi cosiddetti industrializzati. Gli ultimi anni hanno poi visto decrescere il numero di sperimentazioni cliniche (-23% dal 2008), il numero di addetti alla R&S (-11.500 negli ultimi 6 anni), la quota di investimenti totali (-2,5%) e del profitto del settore (-30% dal 2007). Nonostante ciò, i ricercatori italiani (secondo i dati de “The SCImago Journal & Country Rank”) sono al 6° posto nella classifica mondiale per numero di pubblicazioni ed al 2° posto nella classifica europea. Al fine di promuovere la ricerca clinica, la SIF ha creato una rete tra tutti i centri nazionali di farmacologia clinica (25 in totale) al fine di espletare attività di monitoraggio terapeutico del farmaco, di effettuare informazione (il trial clinico del mese nel sito internet SIF, il “Research Day”) e formazione tra gli addetti ai lavori e non (summer school of clinical pharmacology, attiva presenza a master universitari). Tuttavia la SIF vede nella sinergia e coesione tra le società scientifiche e l’industria farmaceutica la sfida per il progetto Horizon 2020, il nuovo programma di finanziamento integrato destinato alla ricerca approvato dal parlamento europeo e consistente in 78,6 miliardi di euro per il periodo 2014-2020. Domenico Criscuolo (Presidente della biotech Genovax) ha invece incentrato il suo intervento sulla realtà emergente delle biotech rosse (dedicate alla salute) in Italia. L’Italia è stata all’avanguardia nel campo della ricerca farmaceutica con alcuni grandi ricercatori quali Carlo Erba, Giovanni Battista Schiapparelli, Achille Sclavo e Roberto Giorgio Lepetit: tutti ricercatori prima ed imprenditori poi, che hanno contribuito alla scoperta di caposaldi terapeutici nel trattamento della tubercolosi con la rifampicina (Lepetit) e nell'oncologia con l’adriamicina (Farmitalia). Delle numerose aziende farmaceutiche presenti negli anni ’60 (oltre 300), oggi ne sono rimaste molto poche con capitale ancora nelle mani di imprenditori italiani; contemporaneamente però le aziende biotech sono cresciute notevolmente, tanto che l’Italia (con circa 250 aziende e 6,233 addetti in R&S) si pone al 3° posto tra le nazioni Europee, pur mancando da noi ancora una visione strategica delle società di capital venture specializzate nel settore ed una sensibilità politica ed istituzionale. Per cercare di risolvere queste problematiche sono stati creati i parchi scientifici, presenti soprattutto al centro-nord Italia, istituzioni che, in maniera spontanea o indotta, promuovono e realizzano l'aggregazione spaziale delle attività innovative, in relazione all'esistenza di economie esterne di localizzazione, interfacciando conoscenze scientifiche e manageriali. Anche grandi aziende farmaceutiche, captando la potenzialità dell’innovazione scientifica derivante da tali parchi, si stanno affacciando a queste ormai concrete realtà. Il biotech rappresenta pertanto una nuova opportunità per ritrovare le origini e riconquistare il ruolo di leadership nel mondo della ricerca. Tuttavia, per convincere le aziende ad incrementare i loro investimenti nella ricerca, si dovrebbe sensibilizzare maggiormente la classe politica, come è stato recentemente fatto in Turchia con la legge “Technopolis” ed il “R & D Act” che prevede esenzione dalla tassazione dei profitti derivanti da attività di R&S e delle persone fisiche ivi impegnate fino al 2023, ed ulteriori benefici fiscali per le aziende che svolgono in Turchia almeno due fasi di sviluppo di nuovi farmaci. Nella discussione che è seguita si è ovviamente anche accennato ad altri fattori, non solo strettamente economici, che possono avere contribuito a generare i fenomeni oggetto della sessione. E' esperienza generale che il mondo farmaceutico stia profondamente mutando: le (Continua a pagina 10) Anno VIII numero 43 (Continua da pagina 9) big pharma tendono a ridurre o addirittura smantellare i laboratori di ricerca interni ed a cercare nelle piccole realtà progetti scientificamente d'avanguardia da sviluppare, non avendo quelle piccole strutture le risorse economiche per farlo. Si sta cioè passando da Research & Development a Search & Development. La sperimentazione clinica è ormai quasi totalmente esternalizzata e ci si sta sempre più orientando anche verso le patologie rare, come sembrano dimostrare anche i dati riferiti in un recente articolo di Giuseppe Recchia e Barbara Grassi (Quaderni della SIF – dicembre 2013), dal quale si rileva un fatto interessante: è vero che il numero delle sperimentazioni cliniche è diminuito, ma in modo ancor più marcato (50-70%) è diminuito il numero dei pazienti arruolati nei vari paesi. E' evidente che qualcosa di irreversibile si è messo in moto e sarà quindi necessario, anche in previsione dell'arrivo del regolamento europeo, eliminare tutti quei fattori che ancora penalizzano l'Italia. Sempre nello stesso articolo è riportato un agghiacciante grafico della A.T. Kearney, riportante “ l'Attractiveness Index”, cioè l'attrattività della sperimen- Pagina 10 tazione clinica nei 25 principali paesi del mondo: l'Italia non vi figura nemmeno! Il grafico si riferisce al 2010: ci auguriamo che nel frattempo qualcosa sia cambiato a nostro favore. Luigi Godi e Luciano M. Fuccella QUARTA SESSIONE La quarta sessione, che ha aperto i lavori della seconda giornata, era dedicata ad un tema molto controverso, che purtroppo è stato anche caratterizzato da episodi violenti, quali l’irruzione di alcuni manifestanti nello stabulario dell’Istituto di Farmacologia dell’Università di Milano e la liberazione di alcuni animali da esperimento, i quali sicuramente saranno subito deceduti, o per lo spavento di questo episodio, oppure perché, essendo sempre stati in cattività, non erano adatti ad una vita diversa. Ho avuto il piacere di moderare questa sessione insieme al prof Pierluigi Navarra: la sessione è stata molto informativa, ed ha contribuito a fare il punto sulla sperimentazione animale, ancor oggi indispensabile nel processo di sviluppo preclinico di ogni nuovo farmaco. La prima relazione è stata svolta da Domenico Barone (SSFA), che ha ripercor- so la storia della sperimentazione animale, partendo da Ippocrate e Galeno, per poi soffermarsi sulle grandi conquiste della fisiologia umana, tutte ottenute con studi sull’animale. Dalla fisiologia si è poi passati alla patologia, ed alla scoperta di nuovi farmaci: tutti identificati e messi a punto grazie alla sperimentazione animale. La seconda relazione è stata svolta dal prof Salvatore Cuzzocrea (Università di Messina) il quale ha illustrato il ruolo dell’Accademia negli studi di fisiologia e patologia, grazie alla sperimentazione animale. Ha inoltre ricordato che la grande maggioranza degli studi vengono svolti in topi e cavie, e non in cani oppure gatti come spesso viene fatto credere. Il motivo dell’uso prevalente di topi nella sperimentazione animale e dovuto a ragioni pratiche e scientifiche. I topi sono facili da maneggiare, si riproducono velocemente, e poi sono geneticamente molto simili all’uomo, avendo oltre l’80% dei geni in comune. Infine, altro aspetto da tener presente, un topo pesa mediamente 12-15 grammi, quindi per lo studio di nuove molecole sono necessari solamente pochi microgrammi per animale. La terza relazione, per rispettare il principio di un dialogo aperto a tutti gli attori, è stata svolta dalla dr.ssa Isabella De Angelis (Presidente IPAM – Italian Platform for Alternative Methods) la quale, con molta pacatezza e certamente con un atteggiamento costruttivo, ha ricordato che la missione del suo Istituto è quella di lavorare insieme ai ricercatori per la messa a punto di metodi alternativi che possano ridurre l’uso di animali. Lei ha citato diversi esempi in cui questo obiettivo è stato raggiunto: in realtà, ha poi ammesso, si tratta principalmente di test acuti, poiché è difficile ipotizzare l’abbandono della sperimentazione animale in test prolungati come la tossicità cronica. A conclusione della sessione, i moderatori hanno ringraziato i tre relatori sia per l’ampia e documentata evidenza portata a supporto delle loro tesi, sia per aver saputo condurre un dibattito sereno su un tema che a volte viene svolto con irruenza e senza le necessarie compe(Continua a pagina 11) Anno VIII numero 43 Pagina 11 (Continua da pagina 10) tenze. Domenico Criscuolo ministrazioni. Barbara de Cristofano ha poi discusso il ruolo del market access. Si tratta di un ruolo diventato cruciale, in quanto le Regioni hanno normative e meccanismi di accesso al farmaco spesso disomogenei tra di loro. Le figure che emergono in questo campo devono avere una competenza sia scientifica che economico / amministrativa, data la tipologia degli interlocutori, che sono spesso amministratori. Lara Pippo ha infine parlato delle attività note come “Health Technology Assessment”. Questa branca della ricerca farmaceutica sta acquistando un’importanza notevole proprio in considerazione della crescente attenzione dei decisori sugli aspetti del rapporto tra spesa e beneficio per la comunità. La natura degli studi HTA li pone in una posizione particolare: per le ricerche HTA servono competenze medico scientifiche unite a specifiche competenze farmaco-economiche. L’emergere di queste nuove figure professionali è la conseguenza di un profondo cambiamento della struttura stessa delle aziende farmaceutiche, ed ha un senso solo nel contesto di un successo del cambiamento stesso. Si tratta del passaggio da strutture aziendali / processi di lavoro “sequenziali” o “a silos” a strutture integrate dove molteplici reparti partecipano allo sviluppo di un Tavola Rotonda sulle nuove professionalità nel mondo farmaceutico. Il mondo farmaceutico italiano sta attraversando profondi cambiamenti che da un lato riflettono i fenomeni di globalizzazione e dall'altro rappresentano una risposta alla più specifica crisi economica italiana. In questo contesto mobile i giovani professionisti che si affacciano al mondo del lavoro possono trovarsi spaesati: per questo SSFA ha deciso di organizzare una tavola rotonda dedicata proprio alle nuove professionalità nel mondo farmaceutico. Giovanni Fiori introduce la tavola rotonda sottolineando l’emergere di nuove professionalità come ad esempio quelle necessarie alla conduzione degli studi di “real life”. Il primo relatore, il dr. Leonardo Frezza (Frezza e partners), società di ricerca di personale, ha tracciato un quadro delle professionalità emergenti richieste dalle aziende. Egli ha sottolineato come i ruoli emergenti siano quelli in particolare dedicati agli aspetti di valutazione economica dei trattamenti e di accesso al mercato. Si tratta di ruoli caratterizzati da un'elevata trasversalità ossia che operano in cooperazione con diverse funzioni aziendali. Infine ha sottolineato il crescente ruolo delle CRO come datori di lavoro. Viviana Ruggieri ha illustrato come sia modificato il ruolo e la funzione del regolatorio. Accanto all’interazione con gli interlocutori tradizionali (Ministero della Salute, A conclusione dei lavori della priIstituto Superiore di Sanima giornata, Paolo E. Lucchelli, tà, Agenzia Italiana del Farmaco) è sempre più socio “storico” di SSFA, Pastnecessario rapportarsi President e socio onorario, ha efficacemente con gli inripercorso i momenti più signifiterlocutori a livello regionale e locale. Ella ha sot- cativi dei primi 50 anni della tolineato come il contesto SSFA. italiano sia caratterizzato da una forte frammentazione amministrativa, con E’ stato un momento di grande la conseguente necessità commozione, ma anche un segnaper le aziende di avere le di continuità. personale in grado di interagire con le diverse am- Grazie Paolo! progetto. In conclusione, tra le professionalità emergenti hanno particolare importanza quelle che attengono alle tematiche di accesso al mercato, HTA e regolatorio. Queste professioni sono caratterizzate da competenze trasversali in campi diversi (medico / scientifico; economico / amministrativo) e da notevoli capacità di interfaccia sia all'interno che all'esterno dell'azienda, da elevata flessibilità e da un continuo aggiornamento. E' una grande sfida portata allo sviluppo delle persone ma allo stesso tempo un'opportunità di realizzazione professionale. Salvatore Bianco Le presentazioni autorizzate sono disponibili sul sito WWW.SSFA.IT Anno VIII numero 43 Pagina 12 Chrysemys picta bellii un modello di rettile per lo studio della salute umana, dell’ecologia, del clima e dell’evoluzione Oggi parliamo di….…. Narra la mitologia greca che la ninfa Chelone (ȋİȜȫȞȘ), non essendosi presentata alle nozze di Zeus ed Era alle quali era stata invitata, per punizione fu precipitata da Hermes in un fiume, insieme alla sua casa, e trasformata in un rettile condannato a portarsi per sempre la casa sulle spalle. Tuttora, Chelone, in greco, significa tartaruga e Chelonia è l’ordine che comprende i rettili comunemente noti come tartarughe o testuggini. Il paleontologo e biologo americano, Alfred Romer (1894-1973), studioso dell’evoluzione dei vertebrati, sosteneva che “I Chelonia sono i rettili più strani e conservativi, che noi consideriamo animali comuni perché sono tuttora viventi, ma che, se fossero estinti, sarebbero per noi motivo di grande stupore.” La tassonomia ci dice che l’ordine dei Chelonia (o Testudines (C. N. Linnaeus,1758)) comprende specie acquatiche, le tartarughe (turtle), e specie terrestri, le testuggini (tortoise), suddivise in 75 generi e 220 specie. Questi animali sono un vero e proprio enigma vivente: comparsi 210 milioni di anni or sono, alla fine del triassico, sono i rettili viventi più antichi, anche più dei dinosauri estinti, e si sono mantenuti morfologicamente conservativi fino ai nostri giorni, tanto che, persino quelli più antichi, sono riconoscibili già a prima vista. Tartarughe e testuggini sono, infatti, caratterizzate da aspetti morfologici e fisiologici tipici ed esclusivi dei Chelonia. Oltre al caratteristico guscio, vivono molto a lungo, spesso sono sessualmente attive ancora in età molto avanzata, il sesso è determinato dalla temperatura di incubazione delle uova, sono i tetrapodi più resistenti all’ipossia e gli individui di alcune specie hanno la capacità di congelare fin quasi a diventare solidi, di scongelarsi e di sopravvivere, riportando solo trascurabili danni tissutali. Come vedremo, il genoma di Chrysemis picta contiene molte informazioni sulle basi genetiche di queste caratteristiche e di altri adattamenti unici di questo straordinario ordine di ver- tebrati. Chrysemis picta (Genere: Crysemys, Specie: Chrysemys picta) è la più diffusa e comune tartaruga del Nord America, presente dalle coste atlantiche a quelle dell’Oceano Pacifico. In natura, si trova in gran parte del sud del Canada, negli Stati Uniti e nel Messico e conta 4 sottospecie regionali, differenti per aspetto, habitat e dieta alimentare, sebbene i confini delle loro aree distributive si sovrappongano e, alle periferie, vivano popolazioni ibride. C. picta bellii è la sottospecie più diffusa e colorata; le altre sono C. picta dorsalis, C. picta marginata e C. picta picta. Quest’ultima, come indica il nome, presenta tutte le caratteristiche morfologiche distintive della specie. C. picta bellii, (chiamata anche western painted turtle, che in seguito chiameremo C. picta) è la sottospecie col guscio più ricco di colori e con un vistoso disegno rosso sul piastrone ventrale. Il carapace (corazza o guscio dorsale) come nelle altre sottospecie, è scuro, liscio e, negli individui adulti, misura 10-25 cm nella femmina (p. m. 500 g) e 7-15 cm nel maschio (p. m. 300 g). Il colore della pelle va dall’olivastro al nero, con strisce rosse, arancioni o gialle su collo, arti e coda. Una grande striatura gialla si estende da un occhio all’altro e le zampe sono palmate, con artigli. I maschi raggiungono la maturità sessuale a 2-9 anni di età e le femmine, più tardive, a 6-16 anni; in natura possono vivere più di 40 anni. Sono rettili onnivori che, in età adulta, si cibano prevalentemente di piante e piccoli animali, sia vivi che morti. Abitano acque fresche, basse, ferme o in lento movimento, come paludi e acquitrini, ricche di vegetazione, con tronchi e rami spezzati e rocce emergenti dall’acqua, sulle quali salgono e sostano per scaldarsi al sole, e in fondi fangosi, melmosi, soffici e ricchi di vegetazione, dove si nascondono, cacciano, nidificano e vanno in ibernazione, durante l’inverno. Sopravvivono anche in acque salmastre, vicine alla costa e ben soleggiate. Intrappolata sotto il ghiaccio, nel fango o in acque prive di ossigeno. C. picta va in ibernazione e smette di respirare, ma grazie ad adattamenti del sangue e del cervello, del cuore e del carapace, supera indenne il lungo periodo trascorso in assoluta anossia. Per sopravvivere durante l’inverno, questi animali devono non solo preservare le funzioni vitali in un ambiente privo di ossigeno, ma anche resistere, durante i gelidi mesi invernali, in un habitat climaticamente inospitale. Sono due le principali risposte fisiologiche adattative alla base della loro capacità di sopravvivere, per così lunghi periodi, in condizioni estreme. La prima è la depressione coordinata dei processi metabolici endocellulari, in particolare di quelli della via glicolitica che produce ATP (in anaerobiosi, una molecola di glucosio è scissa in due molecole di acido piruvico, per generare 2 molecole di ATP e 2 di NADH, a più alta energia); a ciò si aggiunge la depressione di processi cellulari, come le pompe ioniche, che consumano ATP. Così, sia il tasso di deplezione del substrato (glucosio), che il tasso di produzione, in anaerobiosi, di acido lattico sono notevolmente rallentati. La seconda risposta fisiologica adattativa consiste nello sfruttamento delle ampie capacità tampone, proprie del carapace e dello scheletro di C. picta, di neutralizzare grandi quantità di acido lattico che, eventualmente, si accumulassero durante l’ibernazione. In questa funzione sono coinvolti due meccanismi distinti propri del carapace: il rilascio di tamponi carbonato e l’uptake di acido lattico: così, l’acido è sequestrato e il pH acido viene tamponato. Questi meccanismi, quello metabolico e quello di tamponamento del pH acido/uptake di acido lattico, permetto(Continua a pagina 13) Anno VIII numero 43 (Continua da pagina 12) no a C. picta di sopravvivere per 3-4 mesi in completa anossia e con livelli ematici di acido lattico pari a 150 mmoli/ Lt o più. All’inizio della primavera, quando la temperatura dell’acqua sale a 1517 °C, queste tartarughe escono dall’ibernazione e, allorchè la temperatura corporea raggiunge i 17 °C, nel maschio inizia la produzione di sperma. Nel corteggiamento rituale, il maschio si pone di fronte alla femmina, ondeggia le lunghe zampe artigliate attorno alla testa e poi gliele strofina sul muso e sul collo; se la femmina è ricettiva, contraccambia il corteggiamento accarezzandogli le zampe anteriori. Dopo l’accoppiamento, che avviene tra la primavera avanzata ed il solstizio d’estate, la femmina lascia l’ambiente acquatico per cercare un luogo adatto alla preparazione del nido; spesso torna per vari anni a nidificare nello stesso luogo. La temperatura ambientale può influire sul momento scelto dalla femmina per nidificare. Quando la temperatura corporea raggiunge i 29-30 °C, essa scava, con le zampe posteriori, un nido sotterraneo di 8-14 cm, nel quale deposita 4-12 uova che copre con strati di terra e fango. Dopo 72-80 giorni di incubazione, a fine estate o a inizio autunno, le uova si schiudono. Il sesso delle tartarughe neonate è determinato dalla temperatura raggiunta dal nido durante il terzo centrale del periodo di incubazione, una finestra temporale compresa tra il 24°-27° e il 48°-54° giorno dalla deposizione delle uova. Studi, in laboratorio e sul campo a temperature costanti e fluttuanti, hanno dimostrato che, da uova incubate a 30 e 32 °C costanti, nascono solo femmine, mentre da uova incubate a 22, 24 o 26 °C nascono solo maschi. Da uova incubate a 20 e a 28 °C nascono tartarughe di ambedue i sessi. Le temperature soglia, che producono nidiate col 50% di maschi, sono stimate a 20 e a 27.5 °C. Non tutte le tartarughe neonate lasciano il nido subito dopo la nascita, per dirigersi verso i vicini stagni, paludi o acquitrini: alcune, soprattutto nelle popolazioni nordiche (Nebraska, nord dell’Illinois, New Jersey e sud del Canada) rimangono nel nido per tutto il primo inverno di vita ed emergono la primavera successiva, quando il fango ghiacciato che ospita il nido si scioglie. Per resistere a temperature Pagina 13 invernali (-10 °C ed oltre) ben inferiori al punto di congelamento, le tartarughe neonate entrano in uno stato di “superraffreddamento”, nel quale la sopravvivenza è possibile solo grazie a meccanismi adattativi dei liquidi corporei e della cute: i primi, privi dei nuclei di condensazione (nucleating agents) che promuovono il passaggio dalla fase liquida a quella solida, rimangono allo stato liquido, mentre la cute si oppone alla penetrazione dei cristalli di ghiaccio dal terreno ghiacciato ai compartimenti corporei. Grazie a questi adattamenti e sensibilità alla temperatura, esclusivi di C. picta e di poche altre specie, queste tartarughe sono state studiate per decifrare le basi evoluzionistiche dell’adattamento ad ambienti estremi e le implicazioni ecologiche dei cambiamenti climatici. C. picta rappresenta un clade - gruppo di organismi che originano da un unico antenato ancestrale - la cui biologia e posizione filogenetica forniscono la chiave per comprendere gli aspetti fondamentali dell’evoluzione dei vertebrati. Queste caratteristiche fanno, di C. picta, un modello animale ideale per studi evoluzionistici. Ricerche ad ampio raggio di ecologia e fisiologia forniscono il contesto nel quale collocare le nuove scoperte fatte dalla genetica dell’evoluzione, dalla genomica, dalla biologia evolutiva dello sviluppo e dall’ecologia dello sviluppo. Tali scoperte sono state possibili grazie alle attuali risorse tecnologiche, quali la library cromosomica batterica artificiale (BAC library) di C. picta, che consente di produrre librerie genomiche con frammenti relativamente grandi di DNA, usate nel sequenziamento genico, e lo sviluppo di altre librerie, come le sequenze genomiche, le library di cDNA e le EST (Expressed Sequence Tags), che rappresentano porzioni di mRNA usate per individuare geni espressi, tramite un'analisi sistematica del trascrittoma. Questo approccio integrato permetterà di progredire nella comprensione, dal punto di vista evoluzionistico, della labilità dei tratti biologici trovati non solo tra i rettili, ma diffusamente anche tra i vertebrati. Inoltre, poiché uomini e rettili condividono un comune capostipite ancestrale e data la maggior facilità di usare, in biologia sperimentale, vertebrati privi di placenta rispetto a embrioni di mammifero, C. picta è un mo- dello animale emergente nella ricerca biomedica. Queste tartarughe sono state studiate anche per capire molte risposte biologiche allo svernamento e all’anossia, come potenziali sentinelle per rivelare la presenza di xenobiotici ambientali e come modello per decifrare l’ecologia e l’evoluzione dello sviluppo sessuale e della riproduzione. Esse costituiscono un modello animale senza valide alternative per lo studio dei meccanismi naturali che proteggono cervello e cuore dai danni indotti dall’ipossia. Infarto del miocardio e ischemia cerebrale sono la prima e la terza causa di morte negli USA ed in Europa e, mentre le terapie convenzionali allungano la durata della vita umana, i progressi nel migliorarle ulteriormente sono molto limitati e lenti. L’analisi genomica indica che C. picta spesso espleta le sue estreme funzioni fisiologiche utilizzando, almeno in parte, percorsi molecolari conservati a livello amniotico; l’analisi funzionale di tali pathway, in questa ed in altre specie di tartarughe con funzioni fisiologiche variabili, può quindi fornire informazioni importanti per la prevenzione di gravi patologie umane. In conclusione, C. picta è un eccellente sistema modello di rettile, per studi sulla salute umana e sull’importanza dei fattori ambientali, ecologici ed evoluzionistici. L’analisi delle sequenze genomiche di C. picta ha permesso di identificare vari geni coinvolti nella sua esclusiva fisiologia. Poichè alcuni di questi geni sono implicati anche in patologie umane, un’ulteriore e più approfondita analisi di queste pathway in C. picta potrà contribuire ad una migliore comprensione ed a più efficaci strategie terapeutiche per la loro cura. Il genoma di C. picta è stato posto in un contesto di evoluzione comparata e si è focalizzata l’analisi sulle caratteristiche genomiche associate alla perdita dei denti, alle funzioni immunitarie, alla longevità, al differenziamento e alla determinazione del sesso ed alle capacità fisiologiche di questa specie di affrontare condizioni estreme di anossia e di congelamento dei tessuti. L’analisi filogenetica ha confermato che questa tartaruga appartiene ad una specie sorella degli arcosauri (uccelli e coccodrilli viventi e dinosauri estinti) e ha evidenziato un tasso straordinariamente lento (Continua a pagina 14) Anno VIII numero 43 Pagina 14 (Continua da pagina 13) dell’evoluzione delle sue sequenze geniche. La capacità di affrontare un’ anossia totale ed il congelamento è associata a network di geni comuni nei vertebrati ed ha permesso di identificare geni candidati per future analisi funzionali. La perdita dei denti condivide, con gli uccelli, un comune pattern di pseudogenization (selezione negativa: un allele, in precedenza funzionale, diventato inutile o dannoso, viene rimosso dalla selezione naturale) e di degradazione dei geni specifici per i denti. I geni associati al differenziamento sessuale riflettono, generalmente, la filogenesi piuttosto che la convergenza nella funzionalità della determinazione sessuale. Tra le famiglie di geni che dimostrano un’ eccezionale espansione o mostrano firme molecolari di una forte selezione naturale, quelle che presiedono alle funzioni immunitaria e muscoloscheletrica sono consistentemente sovra-rappresentate. Le firme molecolari sono piccole molecole endogene di RNA (microRNA) di 20-22 nucleotidi, non codificante, a singolo filamento, con varie funzioni, tra le quali la regolazione trascrizionale e posttraslazionale dell’espressione genica. L’analisi genomica indica che network regolatori comuni ai vertebrati, alcuni dei quali trovano analoghi nelle patologie umane, sono spesso coinvolti nelle straordinarie capacità fisiologiche di C. picta. Quando queste pathways regolatorie saranno analizzate a livello funzionale, questa tartaruga potrà offrire ulteriori, importanti informazioni e spunti nello studio e nella cura di numerose patologie umane. Ma la capacità di C. picta di riprodursi è seriamente minacciata dai cambiamenti climatici globali, in particolare dall’aumento della temperatura ambientale. La fenologia è il ramo dell’ecologia che studia, classifica e registra i rapporti tra i fattori meteoclimatici ambientali (temperatura, umidità, fotoperiodo, vento) ed i fenomeni biologici periodici rilevanti del ciclo vitale di piante (germogliamento, fioritura, nascita e caduta delle foglie, maturazione dei frutti) e di animali (migrazioni, accoppiamento, deposizione e schiusa delle uova di anfibi, rettili e uccelli, cicli di sviluppo degli insetti). A questo riguardo, sono particolarmente interessanti gli studi sui pecilotermi, tra cui C. picta e i rettili in generale, animali particolarmente sensibili alla temperatura ambientale in quanto privi di meccanismi biogeni di regolazione autonoma della temperatura corporea (eterotermi), e come i fenomeni biologici che li riguardano sono influenzati dalle variazioni climatiche stagionali ed inter-annuali e da altri fattori ambientali. La plasticità fenologica, cioè la capacità di alterare la fenologia, è stata proposta come meccanismo grazie al quale le popolazioni animali e vegetali si proteggono dai cambiamenti climatici per affrontare gli eventi periodici del loro ciclo vitale in condizioni ambientali più favorevoli. Lo studio della capacità potenziale di C. picta di affrontare tali effetti anticipando un parametro della fenologia, cioè la data di nidificazione, è stato condotto in un modello sperimentale che integra cambiamenti climatici, data di deposizione delle uova, effetti degli andamenti termici stagionali sul differenziamento sessuale e, quindi, sul rapporto numerico tra i sessi delle tartarughe neonate. I risultati di questo studio dimostrano che le femmine di C. picta non saranno, purtroppo, in grado di proteggere la loro progenie dalle conseguenze negative dei cambiamenti climatici, col solo adeguamento della data di nidificazione alla temperatura ambientale. E’, perciò, prevedibile che, in un non auspicabile futuro, le nidiate di C. picta saranno di sole femmine. Non solo, questi risultati fanno realisticamente prevedere che molte nidiate non arriveranno neppure alla schiusa delle uova. Poichè la maggior parte delle specie che vivono nelle zone temperate sono esposte agli stessi andamenti termici stagionali esaminati da questo studio su C. picta, il risultato che il solo adeguamento della fenologia primaverile non sarà sufficiente, in questa specie, a contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici, può trovare una ben più ampia applicazione. Domenico Barone PROFESSIONISTI DELLA RICERCA CLINICA health and safety etica CLINICAL DEVELOPMENT SERVICES TRIAL COORDINATION CRO DATA MANAGEMENT PHARMACOVIGILANCE esperienza passione TRAINING MEDICAL DEVICES www.yghea.it Anno VIII numero 43 Pagina 15 Clinical Monitor: la norma sulla qualificazione della professione Lo scorso 10 marzo 2014 il gruppo di lavoro “Figure professionali operanti nel campo del monitoraggio delle sperimentazioni cliniche dei medicinali (Clinical Monitor)” si è nuovamente riunito, a Milano, presso la sede dell’UNI, Ente Nazionale di Unificazione, per la finalizzazione dell’iter di elaborazione del testo della norma volontaria sulla figura professionale del Clinical Monitor. Oltre al Coordinatore, dr. Paolo Primiero (Presidente Assomonitor) ed al rappresentante della segreteria tecnica UNI, ing. Marco Cibien, erano presenti il dr. Giuseppe Caruso (Farmindustria), il dr. Umberto Filibeck (consulente Assomonitor), la dr.ssa Silvia Sacchi (AICRO) e Luigi Godi (SSFA). Frutto dell’attività del GdL, costituito in seno alla commissione “Attività professionali non regolamentate”, la norma, coerentemente con le altre norme UNI in tema di professioni non regolamentate ed in conformità al quadro europeo delle qualifiche (European Qualification Framework – EQF), definisce i requisiti che fanno parte del bagaglio professionale di chi opera nel settore della sperimentazione clinica dei medicinali come Clinical Monitor, in termini di conoscenza, abilità e competenza. Il testo è stato completato e, dopo le necessarie approvazioni da parte delle commissioni competenti UNI, sarà sottoposto alla prevista fase di inchiesta pubblica, probabilmente entro i prossimi 3 – 4 mesi. La figura professionale del Clinical Monitor presenta una sua peculiarità, dovuta in buona parte alla natura di un’attività che, pur essendo di nicchia (sono infatti non più di un migliaio i professionisti in Italia, anche se man- ca un reale censimento in proposito), finisce per avere un riflesso indiretto su tutta la popolazione esposta ai farmaci. Il monitoraggio rappresenta un passaggio ineludibile e previsto da specifiche norme e leggi del settore. Lo schema dei compiti, delle attività e delle relative responsabilità del Clinical Monitor, descritto all’interno delle Norme di Buona Pratica Clinica (Good Clinical Practice), recepite ed introdotte in Italia con il decreto ministeriale del 15 luglio 1997, ha rappresentato un solido punto di riferimento per i membri del GdL, così come le disposizioni contenute nel decreto ministeriale 15 Novembre 2011 che definiscono i requisiti minimi per l’esercizio dell’attività dei soli Clinical Monitor che operano per le Organizzazioni di Ricerca a Contratto (CRO – Contract Research Organization). Tutta- via la norma UNI, non confliggendo in alcun modo, nei suoi contenuti, con gli aspetti di cogenza vigenti sul territorio nazionale, introduce l’elemento di novità di un percorso di valutazione di terza parte, attraverso lo strumento della certificazione, per tutti quei soggetti che, volontariamente, intendano rafforzare il proprio profilo professionale sul mercato del lavoro. Inoltre, il riferimento al quadro europeo delle qualifiche, incentrato su conoscenze, abilità e competenze, viene incontro alla domanda internazionale, nel senso della qualificazione di questa attività professionale, creando le migliori condizioni per una maggiore mobilità internazionale per tutti i Clinical Monitor. La norma si pone, quindi, come un punto di riferimento rivolto al mercato nel processo di razionalizzazione e ottimizzazione, nella direzione della qualità del sistema monitoraggio: un’ opportunità da valorizzare per chi opera in questo delicato settore. Luigi Godi Il gruppo di lavoro. da sinistra: Silvia Sacchi, Giuseppe Caruso, Marco Cibien, Paolo Primiero, Luigi Godi, Umberto Filibeck Anno VIII numero 43 Pagina 16 17° CONGRESSO MONDIALE IFAPP Si è svolto a Berlino, il 20 e 21 marzo scorsi, il 17° congresso mondiale IFAPP chiamato “International Conference on Pharmaceutical Medicine”. Come è consuetudine, il congresso è stato svolto in collaborazione con la società locale di medicina farmaceutica, la DGPharMed tedesca, il cui presidente, Axel Mescheder è stato oggetto di una intervista pubblicata sul numero 39 di SSFAoggi. Circa trecento delegati sono intervenuti alle due giornate di intenso ed appassionante dibattito: come era prevedibile, la grande maggioranza erano colleghi tedeschi. Però erano presenti almeno uno, o spesso diversi, delegati di 33 Paesi, contribuendo a dare al convegno un respiro globale. Il motto del congresso era “Smart development for better drugs”: quattro parole che hanno inteso mettere a fuoco due aspetti che negli ultimi anni hanno attirato l’attenzione di tutti gli addetti ai lavori, e cioè un approccio più moderno ed efficiente allo sviluppo dei farmaci, e la necessità di portare sul mercato farmaci migliori di quelli che i pazienti oggi hanno a disposizione. In qualità di delegato IFAPP per l’Italia, ho partecipato alle teleconferenze mensili, svolte durante tutto il 2013, per la messa a punto del programma: ed ho avuto anche l’onore, condiviso con il prof Vincenzo Salvatore, di moderare la sessione inaugurale del congresso, dedicata alla disamina del nuovo regolamento europeo e del contesto europeo in cui si svolgono le sperimentazioni cliniche. Il prof Vincenzo Salvatore, con la sua brillante oratoria, ha illustrato i punti più importanti del nuovo regolamento europeo, sottolineando l’auspicio che i cambiamenti previsti, che saranno adottati a breve, possano stimolare una ripresa del numero degli studi clinici in tutti i paesi EU. Personalmente ho trovato molto interessante la seconda relazione, affidata alla dr.ssa Petra Knupfer, presidente del comitato etico tedesco della regione del Baden-Wurtemberg. Ella si è posta una domanda molto importante, e forse anche imbarazzante: i comitati etici in Europa si comportano allo stesso modo? La domanda è molto rilevante, sia perché oggi i comitati etici sono investiti di grandi responsabilità, sia perché tali responsabilità saranno ancora maggiori con l’adozione del nuovo regolamento europeo. La sua ovvia risposta è stata un secco NO. Anzi, facendo tesoro Il nuovo presidente, Gustavo Kesselring della sua esperienza del modo di lavorare del comitati etici tedeschi, ci ha raccontato come il modo di operare sia quanto mai variabile. Si va da comitati etici in cui tutti i membri ricevono tutti i documenti, e partecipano in modo informato alla discussione sui protocolli, a comitati etici in cui la presentazione dello studio è affidata ad un solo relatore, e tutti gli altri – più o meno svogliatamente – seguono il dibattito ed accettano il parere del relatore, fino a casi in cui tutto il lavoro grava solo sulle spalle del presidente del CE, con scarsa o nulla collaborazione da parte di tutti gli altri membri. La sua ovvia conclusione è che questo sistema non sia più accettabile, e che dovrebbe essere raccomandato alle agenzie regolatorie nazionali lo svolgimento di periodiche ispezioni ai CE, per verificarne lo stile di lavoro, ed il coinvolgimento partecipe di tutti i membri. Terzo ed ultimo relatore è stato il prof Jean- Marie Boeymaens, della libera università di Bruxelles, persona molto competente nella messa a punto di programmi di formazione per gli sperimentatori, e che collabora attivamente al progetto PharmaTrain, proprio nel sotto-progetto CLIC (Clinical Investigators Course). Ebbene anche lui ha messo il dito in una piaga aperta da molti anni: in EU non esiste alcun obbligo di formazione, e di CPD, per gli sperimentatori clinici i quali si trovano a svolgere protocolli molto impegnativi, ma che a volte non hanno le conoscenze per affrontarli correttamente, soprattutto dal punto di vista del rispetto delle norme vigenti. Come potete immaginare, le tre relazioni sono state seguite da un vivace dibattito, ricco anche di esempi di vita vissuta, che hanno rafforzato le osservazioni messe in luce nelle presentazioni. L’attività scientifica è poi proseguita con diverse sessioni, sempre su temi di respiro internazionale, quali lo sviluppo dei farmaci orfani, la delocalizzazione degli studi clinici, la formazione del personale addetto alle sperimentazioni cliniche, ed altro. Nel chiudere il congresso il nuovo presidente IFAPP, il brasiliano Gustavo Kesselring (la sua intervista è pubblicata sul numero 42) si è complimentato con la società tedesca per l’ottima organizzazione, ed ha dato appuntamento a tutti al 18° ICPM, che si svolgerà a Sao Paulo (Brasile) nel marzo 2016. Una mia nota conclusiva: anche quest’anno ero l’unico italiano a portare la bandiera SSFA in questo evento internazionale: sarei veramente lieto che fra due anni, a Sao Paulo, ci fosse con me qualche altro collega italiano. Domenico Criscuolo Anno VIII numero 43 Pagina 17 Come valorizzare i dati di real world in un rapporto di HTA Il Gruppo di Lavoro SSFA "Farmacoeconomia e Market Access", in collaborazione con SIFEIT, ha organizzato un seminario pomeridiano intitolato “Come valorizzare i dati di real world in un rapporto di HTA”. L’evento si è svolto lo scorso 13 marzo a Roma, nella sede dell’Università Cattolica, e ha visto la presenza di circa 50 iscritti. Questo seminario fa parte di una serie di nuove iniziative finalizzate a diffondere ed approfondire i temi dell’economia sanitaria e dell’accesso alle terapie. In particolare, l’obiettivo di questo pomeriggio di studio era chiarire in che modo gli studi di real world possano essere usati per migliorare le conoscenze epidemiologiche, identificare i bisogni di nuovi trattamenti, valutare ed ottimizzare il profilo di costo-efficacia delle nuove terapie, influendo così sullo sviluppo e l’accesso al mercato dei farmaci. I migliori esperti italiani di questo tema hanno portato il loro contributo di conoscenze ed esperienze. Dopo una breve introduzione da parte di Giuseppe Assogna (presidente SIFEIT) e del sottoscritto (portavoce del gruppo di lavoro SSFA), ha aperto le relazioni il Prof. Luciano Caprino (Farmacologia Università La Sapienza, Roma) che ha descritto il ruolo degli studi di outcome research nella valutazione del valore delle terapie, in particolare, individuando nella farmacoeconomia “la terza dimensione” della farmacologia (le altre due sono l’efficacia e la sicurezza). Questi studi si propongono di aiutare il medico e le autorità sanitarie a selezionare i farmaci correlando il beneficio al costo; di non ridurre contemporaneamente il livello dell’assistenza terapeutica; di considerare che il farmaco non è solo un costo, ma anche un investimento di carattere socio-economico. E’ stata poi la volta di Giovanni Fiori (Medidata) che ci ha aiutato a capire che cosa sono i dati di real world, come vengono classificati (in base al tipo di esito o alla fonte dei dati), quali sono gli aspetti metodologici più rilevanti da considerare e, da un punto di vista normativo e regolatorio, quali sono i dubbi e le incertezze ancora presenti. Temi particolarmente “caldi” sono quelli del consenso al trattamento dei dati e delle condizioni per l’autorizzazione generale espressa dal Garante della Privacy. Il prof. Americo Cicchetti (Università Cattolica, Roma) ha inserito i temi della ricerca di evidenze in un percorso di guidato di adaptive pathway/licensing. Si tratta di un’ipotesi di nuovo processo di autorizzazione dei farmaci, che inizia con l’approvazione (temporanea) di un medicinale in una popolazione ristretta di pazienti, prosegue con ulteriori fasi di ricerca di evidenze e arriva all’eventuale estensione, in funzione dei dati raccolti, a popolazioni di pazienti più ampie. Su questi contenuti è in corso un vivace dibattito a livello internazionale, sia nel mondo accademico, sia negli enti regolatori (EMA e FDA), con il coinvolgimento di tutti i soggetti che hanno un ruolo nell’assicurare l'accesso dei pazienti ai farmaci innovativi (industria compresa). Il prof. Lorenzo Mantovani (Università Federico II, Napoli) ci ha portato alcuni esempi di studi che ha condotto nel campo della farmacoeconomia, della farmacoepidemiologia e dell’outcome research. I risultati di queste ricerche dimostrano che gli studi registrativi non sempre trovano diretta applicabilità e trasferibilità nella pratica clinica. Pertanto, efficacia, effectiveness ed efficienza non sono sinonimi ma, in un mondo complesso, le risposte ai quesiti essenziali della ricerca (Will it work? Does it work? Is it worth?) si integrano e forniscono la base per decisioni abbastanza buone che soddisfino le necessità (good enough, that satisfice). Il dott. Claudio Pisanelli (Farmacista - Ospedale S. Filippo Neri, Roma) ci ha riportato su un terreno molto pragmatico, rappresentando il punto di vista di chi quotidianamente lavora in una struttura sanitaria pubblica. La produzione di evidenze non va di pari passo con la produzione di tecnologie sanitarie (farmaci, dispositivi, tecnologie biomediche, reagenti, diagnostici ) e la sfida per il decisore sta nel conciliare l’introduzione di numerose innovazioni con la necessità di contenere o addirittura ridurre le risorse consumate. E’ stato un pomeriggio veramente molto interessante, con relazioni di alto profilo! Le presentazioni hanno fornito molti spunti per una vivace discussione, contribuendo a rendere piacevole il seminario. Seguite le prossime attività di questo gruppo! Roberto Di Virgilio Anno VIII numero 43 Pagina 18 Health post-2015: evidence and power The Lancet On Sept 25, 2013, the UN General Assembly held a special session devoted to progress on the Millennium Development Goals (MDGs) and the post-2015 development agenda. Building on more than a year of consultation, advocacy, and lobbying, the debate provides an opportunity to take stock of health-related proposals. Described as a generational opportunity, to what extent is evidence of the burden of ill health and early death setting the agenda? The Global Burden of Disease Study 2010 arguably presents the best comparable estimates on the causes of death and disability and their underlying risk factors. Non-communicable diseases (NCDs) accounted for two of every three deaths globally in 2010, and projections indicate that by 2030 NCDs will be the most common cause of death in Africa. Do the priorities and targets currently under discussion reflect the most rational use of this evidence? For the health goals, a multistakeholder consultation in Gaborone, Botswana, in March, 2013, was complemented by the commissioned involvement of civil society, academia, and a global online consultation. The resulting evidence-informed, health thematic report proposed a framework for accelerating the MDG agenda, ensuring universal health coverage and access, and reducing the burden of NCDs. This report was submitted to the UN Secretary-General's High-Level Panel of Eminent Persons on the Post-2015 Development Agenda (HLP), which produced its own report. As The Lancet noted, the HLP's proposed health goal—ensuring healthy lives—had a “weak” commitment to NCDs. For example, GBD 2010 and other data highlight the burden attributable to tobacco smoking, alcohol use, and poor diet. Yet these risks warrant no more than a cursory mention in the HLP report under a catch-all and vague target to “reduce the burden of NCDs”. In July, 2013, the UN Secretary-General published A Life of Dignity for All to inform discussions in the General Assembly debate. This report drew on a range of inputs including the HLP, the Sustainable Development Solutions Network, and the UN Global Compact and emphasised the importance of dealing with the unfinished MDG agenda. The burden of NCDs is briefly mentioned, with a particular focus on mental illness and road accidents, while the report's call to “promote healthy behaviours” did not include any NCD-related specifics, such as promoting healthy diets and moderating alcohol consumption. The Secretary-General's report will have far-reaching implications for the post-2015 development agenda and it is therefore vital that the priorities are reflective of both current and future health needs. Yet the proposals do not seem to fully address what is needed to reduce major disease burdens. How did this happen? We believe Steven Lukes' classic analysis of the “three faces of power” might be at play. First, power as decision making suggests that those at the table compete to ensure their interests and concerns are reflected in an agenda. A review of the institutions involved in the health thematic consultation reveals the institutional path dependency within the global health community: institutions funded to push specific, often MDG-related, health issues. For example, of the 99 submitted papers reviewed for the health thematic report, 15 were from civil society organisations that promote sexual and reproductive health and rights and five were from NCD-focused civil society groups. Second, power as non-decision-making focuses on how certain issues are kept off the agenda by resourceful interest groups. The absence of any overt mention in the HLP's report of some leading global health risk factors— tobacco, alcohol, and poor diet—are an example of Lukes' second dimension of power. Global health has witnessed this aspect of power in relation to NCDs in the past. An independent committee of experts convened by WHO found that the tobacco industry deployed elaborate and secretive tactics over many years to divert the focus of WHO from NCDs. Recent publications reveal that the tobacco and food industries share common strategies and tactics to influence health policy. Lukes identified “thought control” as the third and most insidious face of power. Here the existing order of things is accepted, even when it is not in people's interests. This face reveals itself less in the goal architecture (the what) of the post-2015 agenda but rather in the lack of concern with the proposed means (the how) to realise ambitious health outcomes in the next 15 years. Although welcome attention is given to equity and human rights, the frames seem apolitical to date. Addressing the global burden of disease, and promoting healthy lives, cannot be a function of the health system alone; it requires concerted cross-sectoral action supported by a range of global functions and global public goods. Legal and structural changes are required to reduce unhealthy exposure (eg, to tobacco) and maximise opportunities for healthy lifestyle choices. Holding countries to account for outcomes (eg, disease prevalence) is important, but the means of doing so are equally if not more so. For example, the Sustainable Development Solutions Network devotes one of three health-related indicators to NCDs, but it focuses exclusively on personal behaviour change as opposed to structural interventions.The HIV response has much to offer in relation to “the how”. People living with and affected by HIV took centre stage: they organised mass social movements that linked demands for change at national and global levels, they dismantled structural and social barriers, they articulated norms and standards in human rights terms and thereby removed the “discretionary” from development, and provided a framework of accountability which included monitoring of legal and policy environments. The movement also demanded that everyone enjoy the right to health, including the most marginalised and vulnerable populations, making it hard to claim “progress” by reference to national averages. The international community faces a historic opportunity to ensure that health priorities truly reflect the health needs of current and future generations. If it is going to have any chance of success, it needs to pay more attention to the voices of those affected, to evidence-driven priorities, and to the politics of change. Anno VIII numero 43 The Lancet Pagina 19 A new direction for hepatitis C The publication of the first WHO Guidelines for the Screening, Care and Treatment of Persons with Hepatitis C Infection brings hepatitis C virus (HCV) into the limelight. It is estimated that 185 million people globally are infected with HCV causing 499 000 deaths annually. More than 90% of people with HCV can be cured. These recommendations create a new framework for policy makers, government officials, health workers, and patients. The emphasis of the guidelines is on low-income and middle-income countries that have disproportionately high rates of HCV, but implementation should be global. The guidelines recommend population-wide HCV serology testing for all groups with a history of high HCV rates, and for those with increased exposure through behaviour and other risk factors. Nucleic acid testing is recommended after a positive HCV result, to detect HCV RNA before treatment. For people infected with HCV, alcohol assessment is the first stage of care. For those with moderate to high alcohol intake, behavioural support and intervention should be offered to reduce alcohol consumption. Liver fibrosis and cirrhosis should also be assessed with the aspartate aminotransferase to platelet ratio index or FIB4 tests. Assessment for antiviral treatment should be undertaken for all people infected with HCV. Many new drugs for treatment are in development, and several emerging compounds are due to be licensed imminently. But it is too early for the guidelines to recommend combinations. The cost and pricing of drugs is contentious. Critics have singled out Gilead's Sovaldi (sofosbuvir), at US$ 84 000 for a 12 week course, as unaffordable for most of the 3·2 million people infected with HCV in the USA. By contrast, a 48 week course of pegylated-interferon and ribavirin treatment in Egypt costs US$ 2000. Government agencies and health-care providers need to work together with drug companies on new licensing agreements to make sure that treatment is within reach of all, so that people living with HCV are properly screened, cared for, and treated. Condemning the death penalty The Lancet On Jan 5, 2008, The Lancet published an editorial to mark the UN's moratorium of the death penalty. We noted that the US state of New Jersey had recently suspended all executions, several countries seemed likely to follow suit, and hopes were high that the practice would soon be consigned to “the dustbin of history”. Which is why Amnesty International's report Death Sentences and Executions 2013, published on March 27, noting a 14% increase in executions in 2013, is of particular concern. Overall, the worldwide trend for abolition continues. Rates of executions have decreased steadily in the past decade. No executions occurred in Europe and Central Asia or in 173 UN member states worldwide. In the USA, as evidence accumulates for racial disparities, miscarriages of justice, and the sentencing of several people who had mental illness, four states have stopped the death penalty since 2008, most recently Maryland in 2013. Despite these positive signs, at least 778 people were executed in 2013, 96 more than in 2012, a rise driven mainly by increases in Iran and Iraq. The number of death sentences given out also increased by 10% worldwide. Indonesia, Kuwait, Nigeria, and Vietnam resumed executions after none were recorded for up to 8 years. China is highly secretive about its use of capital punishment, but Amnesty International estimates that it executes thousands of people every year. And on March 24, an Egyptian court defiantly sentenced 528 people to death—the trial lasted 1 hour, and three-quarters of defendants were not present. As a first step towards abolition, greater transparency is needed, particularly from China and countries in the Arab world. An EU restriction of exports of sodium thiopental is thought to have hindered executions by lethal injection in the USA and Vietnam. Lawful efforts by the medical community to obstruct capital punishment should be supported. At least 23 392 people were living with a death sentence at the end of 2013. The death penalty is an outmoded practice and focus should be on its eradication. Anno VIII numero 43 Pagina 20 Chemotherapy near the end of life A difficult decision with potentially unexpected implications British Medical Journal Even as cancer treatments become more effective, we can still wonder about the symbolic meaning behind decisions to pursue chemotherapy near the end of life. Although most patients with metastatic cancer choose to receive palliative chemotherapy, evidence suggests that most do not clearly understand its intent. In decision making about chemotherapy, doctors are supposed to describe, and patients are supposed to understand, the direct outcomes of the proposed treatment (for example, clinical response rates and side effects). However, the broader implications of such decisions can be just as important. In a paper by Wright , choosing palliative chemotherapy was associated with a whole set of outcomes that may not have been known, expected, or discussed by patients, their family caregivers, and their oncologists. Wright and colleagues studied the outcomes of a cohort of 386 cancer patients who died during the Coping with Cancer Study, a federally funded cohort study of terminally ill cancer patients and their informal caregivers. Wright and colleagues’ participants were patients at eight US outpatient oncology clinics who had advanced cancer refractory to one or more chemotherapy regimens and were identified by their oncologists as terminally ill at study enrollment. They were categorized as receiving (56%) or not receiving chemotherapy at enrollment, and the outcomes were compared using propensity scoring to balance the groups for important confounding factors. Study participants died a median of 4.0 months after enrollment. Wright and colleagues found that patients who, months before death, had decided to receive palliative chemotherapy were significantly more likely than patients not receiving chemotherapy to undergo mechanical ventilation or cardiopulmonary resuscitation in the last week of life. They were more likely to be referred to a hospice late (one week or less before death). All these outcomes have been associated with poorer quality of life for patients, worse distress for caregivers, and increased costs. Patients who received chemotherapy were also less likely than others to die in their preferred location, more likely to die in an intensive care unit, and more likely to be tube fed in the last week of life. Notably, receiving chemotherapy was not associated with longer survival. Late chemotherapy has already been associated with decreased use of hospice care. Wright and colleagues are the first to report an association between palliative chemotherapy and place of death. Previous research has focused on chemotherapy received days or weeks before death, but Wright and colleagues studied decisions made months before patients’ deaths. Whereas only 6.2% of cancer patients use chemotherapy two weeks before death, and 20-50% use it within 30 days of death, fully 62% use it within two months before death. Given the frequency of patients choosing to have chemotherapy months rather than days before death, Wright and colleagues argue reasonably that this earlier timeframe is actually a much more important time during which to understand decisions about treatment and their implications. Most cancer patients are likely to choose chemotherapy for the promise of improved survival or quality of life. Most patients in the new study said they would be willing to accept chemotherapy if it gave them just one extra week of life. A key implication of this research is the need to better identify patients who are likely to benefit from chemotherapy near the end of life. Many of Wright and colleagues’ participants may have chosen chemotherapy for the promise of even a single extra week of life, but whether they received even that is not clear. An important and perhaps more achievable improvement that should be pursued as a result of this research is to encourage oncologists to discuss with patients the broader implications of palliative chemotherapy when making decisions about treatment. For all patients, it is time to be clear about the full extent of possible harms. Clearly, the choice to start chemotherapy should not be the end of decision making. Patients nearing the end of life should be able to refine their decisions as they get more information and understand their ongoing likelihood of benefiting from various treatments. We learnt long ago that patients do not like the either/or requirement of hospice care in the United States (where patients often have to forgo cancer treatments to receive the benefits of a hospice). Nor should we accept that a course of chemotherapy effectively commits patients to a host of outcomes that they do not want. Especially perhaps near the end of life, the choice to accept chemotherapy should not lead oncologists and patients to abandon key care assessments and planning, including regular evaluation of the efficacy of chemotherapy, advance care planning, exploration of the benefits of hospice care, and pursuit of one’s preferred place of death. Future work should explore how a decision to start chemotherapy, even many months before death, comes to be associated with how and where someone dies. Perhaps chemotherapy and the associated outcomes in Wright and colleagues’ study are primarily the consequence of the zeal not to “give up.” Perhaps the associations are due, at least in part, to inadequate involvement of expert palliative care. Patients may well want, and we might help them to achieve, care near the end of life that is individualized, nuanced, and consistent with their wishes. Working with oncology teams, early palliative care can help patients in making such decisions and in pursuing treatments, or avoiding them, to live as long as possible, with the best possible quality of life. Anno VIII numero 43 Pagina 21 Climate change is a health emergency British Medical Journal It’s nearly 30 years since Eric Chivian and three other Harvard faculty members won the Nobel peace prize for their work as founders of International Physicians for the Prevention of Nuclear War. At its height IPPNW had a membership of 250ௗ000 doctors from 80 countries. Its leaders spoke directly to the world’s leaders and to the public, helping them to understand the terrible things that happen to people’s bodies and lives when nuclear bombs explode. As Chivian says in a BMJ essay, the aim was to help people grasp what a nuclear war would really be like, so that politicians and the public would do everything in their power to prevent such a war from happening. Twenty years or so ago, as nuclear war became a more distant threat, Chivian and others turned their attention to climate change. But here the challenge proved far greater and the international medical community far less effective. This has been, he says, “the greatest and most painful disappointment” of his life. Many of us share that disappointment as well as sharing responsibility for it. Chivian’s explanation for our failure is that climate change is far more complex than nuclear war and harder to grasp. “Our human brains are wired to see what is happening right in front of us right now,” he says. “We are not very good at seeing things that are not obvious, that happen incrementally, or that occur over large areas or in other parts of the world.” Added to this is the contrast between the absolute certainty of those who deny the existence of climate change and the moderation and constraint of the scientists documenting it. The report of the Intergovernmental Panel on Climate Change on the impact of climate change, published on 31 March, illustrates the point with its cautious tone. But there is no escaping its conclusions. It concludes, with more certainty than before, that human activity is driving climate change, that the effects are already being felt in all parts of the world, and that further global warming will bring increased scarcity of food and fresh water, extreme weather events, rises in the sea level, loss of biodiversity, loss of habitable land, mass human migration, and conflict and violence. Within that list of terrible things loss of biodiversity may be the one that causes us least concern. But Chivian encourages us to think again. The cone snail depends for its survival on tropical coral reefs that are threatened by ocean warming and acidification. Why should we care? Because cone snails produce a huge array of toxic peptides that could be used to treat chronic pain, resistant epilepsy, nerve injury, and myocardial infarction. Only a tiny proportion of these peptides has so far been studied in any detail. A letter published in the Times and signed by over 50 senior UK medical professionals, including me, said, “Never before have we known so much and done so little”. As for what we can do, there is new certainty here too. As summarised in a BMJ editorial, we can make clear the urgent need to stop investing in fossil fuels and to invest instead in alternative energy and more active forms of transport. The health benefits of such a change would be substantial. Responsibility to act rests especially with those of us who profess to care for people’s health—and even more with those of us in the world’s richest, most powerful nations. As Chivian says, “It is up to us. Who will do it if we do not?” Evidence based medicine: flawed system but still the best we’ve got British Medical Journal Evidence based medicine is so much part of the air we breathe: it can be hard to remember a time before it. An oral history, filmed for a joint JAMA and BMJ celebration last year, has now been published. As summarised in an editorial co-published by the two journals, the story features a satisfying array of heroes and detractors, forward progress and backlash. Why did evidence based medicine take off? In the video, and quoted in the editorial, David Sackett provides two main reasons: it was supported by senior clinicians who were secure in their practice and happy to be challenged, and it empowered younger doctors—and subsequently nurses and other clinicians—to question received wisdom and practice. Sackett and his generation also succeeded because they were natural iconoclasts. And now that evidence based medicine is part of the medical establishment and is itself an icon, it’s only right that it has become a target for the new iconoclasts. In a recent column Des Spence claimed that evidence based medicine was broken and that the research pond was polluted by fraud, sham diagnosis, short term data, poor regulation, surrogate endpoints, and clinically irrelevant outcomes. Spence said that evidence based medicine left no room for discretion and fuelled overdiagnosis and overtreatment. A good number of rapid responders agreed, some even saying he didn’t go far enough. Others defended the precepts of evidence based medicine and warned against throwing the baby out with the bathwater. We highlight a story that could be used to argue either way. Rita Redberg and colleagues describe the saga of the Wingspan intracranial stenting device. They tell us that its continued licensing and use in people with a previous stroke were based on a single, industry funded, uncontrolled study of 44 patients, while the only randomised trial showed clear evidence of increased deaths and strokes when the device was compared with medical treatment. The Wingspan has been licensed under a special regulatory programme for high risk devices in rare conditions. In an accompanying commentary, Hwang and colleagues highlight the generally poor quality of the evidence for such devices, mainly small and uncontrolled studies. Both sets of authors call for far greater regulatory scrutiny of the safety and effectiveness of medical devices. As with democracy and peer review (with apologies to Winston Churchill), evidence based medicine may be the worst system for clinical decision making, except for all those other systems that have been tried from time to time. It is only as good as the evidence and the people making the decisions. Anno VIII numero 43 Pagina 22 INTERVISTA AL GRUPPO DI LAVORO MEDICINA COMPLEMENTARE “Quello che ci viene riportato dalla tradizione ha sicuramente una giustificazione scientifica e, quando non la troviamo, non significa che on ci sia, ma che probabilmente non siamo ancora in grado di comprenderla” prof. Franco Francesco Vincieri - Università di Firenze Oggi incontriamo Achille Beretta e Stefano Rossetti, due soci SSFA che hanno proposto la costituzione del GdL “Medicina complementare”: potete spiegarci cosa si intende per medicina alternativa complementare? Le Medicine Alternative Complementari hanno una lunga storia; sono la risultante di conoscenze, attitudini e pratiche di base sulle teorie, credenze ed esperienze di culture differenti, usate per il mantenimento della salute, per la prevenzione ed il trattamento delle malattie. Il termine “Traditional Medicine” fa la sua prima comparsa su una rivista biomedica di lingua inglese nel 1952. Negli anni ‘70 il termine “Medicina Alternativa” si impose per definire tutti quei trattamenti non a base di farmaci, mentre negli anni ’80, a partire dall’impulso originato in Gran Bretagna, il nuovo termine di “medicina complementare” entrò nell’uso generale. Diverse sono le definizioni e le terminologie proposte e utilizzate: tra queste una, che in qualche modo cerca di comprenderle tutte, è quella fornita nel 2005 da un comitato ad hoc, costituito nell’ambito del Board on Health Promotion and Disease Prevention, negli Stati Uniti: “la medicina complementare ed alternativa comprende numerose modalità e pratiche terapeutiche, con le rispettive teorie e credenze, che si affiancano a quelle intrinseche del sistema sanitario dominante di una particolare società in un determinato periodo storico.” Il senso che si può cogliere è il valore multidimensionale delle scelte, una gamma di risorse per prevenire o curare una malattia o promuovere la salute ed il benessere. Pure nella loro diversità e notevole eterogeneità, queste discipline si riconoscono in alcuni princìpi base che le accomunano e ne sono tratto distintivo, di cui in particolare: - l'approccio globale alla persona ed alla sua condizione; - il miglioramento della qualità della vita; - la stimolazione delle risorse naturali della persona; - l'educazione a stili di vita salubri e rispettosi dell'ambiente. Achille Beretta Quale è la dimensione numerica di questo fenomeno? Negli ultimi anni, le terapie non convenzionali hanno raggiunto un’importante diffusione; nel 2005 circa 7 milioni 900 mila persone (il 13,6% della popolazione residente in Italia) hanno dichiarato di aver utilizzato metodi di cura non convenzionali nei tre anni precedenti l’intervista. In Italia la salute si conferma un “bisogno centrale” per il consumatore, nonostante il contesto economico che denota il perdurare dell’impatto negativo sul potere di acquisto dei cittadini. Nel periodo aprile 2013 – marzo 2014 il mercato degli integratori ha realizzato un valore di 1.995,6 milioni di euro per un totale di quasi 143 milioni di confezioni vendute. Le variazioni registrate rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente rilevano un incremento dei pezzi venduti pari al +3,1% che corrisponde ad una variazione positiva del fatturato del 4,2%. Il consumatore continua a prediligere la farmacia per l’acquisto di integratori alimentari: infatti il canale farmacia detiene una quota del 79,5% delle vendite a volume, seguita dagli iper+super (15,3%) e dalla parafarmacia (5,1%) che registra una flessione dello 0,7%, che non si riversa sul fatturato, sostenuto da un incremento del prezzo medio dell’1,9%. (dati FEDERSALUS 2014) Un tempo le chiamavano “altre” medicine ed erano conosciute da pochi, adesso cominciano ad essere esperienza di parte della popolazione. Qual è il cammino fatto e quello da fare dal punto di vista normativo e sperimentale da parte del legislatore e degli operatori del settore? L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha stilato delle linee guida al fine di spingere i governi a mettere in atto i seguenti principi: - fare in modo che siano offerte ai consumatori informazioni sufficienti sia sull’efficacia e la sicurezza dei prodotti che sulle controindicazioni; - creare e far conoscere i canali corretti utilizzabili dai consumatori per segnalare gli eventi avversi; - organizzare campagne di comunicazione per dotare i consumatori della capacità di discernere la qualità del servizio ricevuto; - assicurare che gli operatori siano propriamente qualificati e registrati; - incoraggiare l’interazione tra operatori “tradizionali” ed “alternativi”; - garantire la fruibilità per le terapie ed i prodotti non convenzionali per cui ci siano prove certe di efficacia. La tendenza, che emerge dalle analisi più recenti, è la predisposizione ad integrare/associare rimedi fitoterapici e/o integratori alimentari con i farmaci tradizionali. L’integrazione tra diversi sistemi medici è in atto da decenni in Cina e in India. In India, presso il “Ministero della salute e del welfare familiare” è collocato uno speciale dipartimento denominato Ayush, acronimo che riassume le discipline mediche complementari che, assie(Continua a pagina 23) Anno VIII numero 43 Pagina 23 ed ai derivati di origine botanica. Ciò non toglie che altri settori della medicina complementare possano essere successivamente aggiunti (per esempio, medicina ajurvedica, omeopatica, tradizionale cinese, altri). Parallelamente i nostri approfondimenti riguarderanno la sperimentazione clinica, le normative di riferimento (nazionali, europee, internazionali), l’ambito regolatorio e gli impatti sulla economia sanitaria. Stefano Rossetti me alla medicina scientifica, fanno parte del servizio sanitario nazionale. In Italia sono circa 200 i centri pubblici che offrono prestazioni di medicina complementare, di cui la massima parte si trova in Toscana. Il problema fondamentale in materia di medicina complementare è la “valutazione”, nonché l’assenza/carenza di una legislazione ufficiale a livello internazionale che ne regoli l’uso (e quindi ne definisca l’abuso), e ne controlli le spesso facili speculazioni. Il grande numero di pazienti che si affida alla medicina complementare pone quindi una questione che coinvolge tutti i protagonisti dello scenario sanitario. Sempre più cittadini sentono il bisogno di un approccio integrato alla salute che tenga conto del diritto di libera scelta terapeutica. Ne consegue la necessità di nuovi tipi di collaborazione ed alleanza terapeutica tra le diverse figure coinvolte (medici di medicina generale, specialisti ospedalieri, aziende sanitarie locali, personale parasanitario). Questo al fine di una corretta integrazione e di un’adeguata informazione sui vantaggi e sui limiti di tali discipline che devono “naturalmente” essere sottoposte a prove di efficacia. E’ necessario considerare non solo il mondo oggettivo della salute ma anche, e soprattutto, quello soggettivo poiché sarà sempre più parte integrante del processo terapeutico. Attualmente una delle necessità prioritarie della salute pubblica è quella di trovare strategie alternative per la prevenzione ed il controllo delle malattie croniche e dell’invecchiamento. Inoltre, numerosi sono ormai gli studi nazionali e internazionali che hanno dimostrato che le CAM possono comportare risparmi importanti per il sistema sanitario. Il ruolo dei professionisti della salute è quello di supportare e fornire opzioni che mettano in grado le persone di essere consapevoli e di fare le proprie scelte. E comunque sia, si dovrà affrontare la realtà di un paziente che, molto probabilmente, ha già cercato informazioni su internet e richiede il “il meglio” di quanto la scienza “tutta” offra. Vi è necessità di nuovi “paradigmi” nel pluralismo della scienza, di una visione che superi ogni dualismo e che veda le varie “forme” di medicina coesistere e completarsi a vicenda. Di estrema importanza è la creazione delle condizioni, scientifiche e normative, per un impiego e appropriato della medicina complementare che, se usate in modo corretto, possono contribuire a proteggere e migliorare la salute e il benessere dei cittadini. Perché un gruppo di lavoro di medicina complementare all’interno della SSFA? Il GdL sulla medicina complementare nasce nel settembre 2013 grazie anche al contributo di Giuseppe Assogna, Gabriela Crescini, Carlo Cristoforetti, Cristiana Giussani, Emilio Minelli, Alessandro Mugelli e Andrea Zangara. Il GdL fino ad ora, e siamo a meno di anno di vita, ha preferito focalizzare la sua attenzione ai prodotti appartenenti alle seguenti categorie: integratori alimentari, alimenti ai fini medici speciali (AFMS), Quali sono i prossimi obiettivi? I prossimi obiettivi che il GdL ha deciso di darsi sono: a. Portare a conoscenza di tutti i Soci SSFA l’esistenza di tale Gruppo di Lavoro e chiedere la partecipazione fattiva alle attività del GdL da parte di professionisti interessati a tali argomenti, tramite una lettera personalizzata e una serie d’interviste su temi di sostanziale rilevanza a vari personaggi istituzionali, industriali, e che verranno pubblicate sui prossimi numeri di SSFAoggi; b. Portare a conoscenza l’esistenza di tale Gruppo di Lavoro tramite una lettera personalizzata inviata ai presidenti di SIF, SIAR, SIFEIT, Federfarma con preghiera di diffonderla a tutti i Soci di tali società; c. Individuare la lista di tutte le principali aziende coinvolte nel settore e scrivere alle direzioni scientifiche e regolatorie una lettera personalizzata sugli scopi ed attività del GdL; d. Contattare i principali attori delle Istituzioni (Ministero della Salute, EFSA, ISS) per coinvolgerli in varie attività del GdL; e. Organizzare un evento che consenta un dibattito approfondito e multidisciplinare sulle principali tematiche del settore. A cura di Giovanni Abramo Anno VIII numero 43 Pagina 24 NOTIZIE DAI MASTER Molti soci SSFA collaborano attivamente nella definizione dei programmi, e come docenti, nei vari master che nel corso degli ultimi anni sono stati attivati presso diverse Università italiane. Per dare a tutti i Soci una panoramica completa delle attività in corso, abbiamo pensato di raccogliere tutte le informazioni nelle pagine seguenti. LA NUOVA EDIZIONE DEL MASTER BICOCCA Come di consueto da qualche anno, in Aprile è iniziata la 6° edizione del master in Ricerca e Sviluppo Preclinico e Clinico dei Farmaci, organizzato dall’Università di Milano Bicocca in collaborazione con SSFA. Il successo del master, consolidatosi nel tempo, anche quest’anno ha resistito nonostante l’introduzione da parte dell’Università di una tassa di 100 euro per la presentazione della domanda di ammissione. Sono pervenute 77 domande, un po’ da tutta Italia per 30 posti disponibili: 50 gli aspiranti studenti provenienti dagli atenei lombardi sono stati i più nume40 rosi, seguiti da un buon numero di quelli della Campania e, in ordine decrescente, della Toscana, del La30 zio e di altre regioni. La vera novità di 47 quest’anno, a parte la tassa per 20 l’ammissione, già presente in molti altri atenei italiani, è stata la modalità 17 10 13 13 di selezione: oltre al test scritto di 7 comprensione della lingua inglese e 3 0 alla valutazione dei titoli e del curriculum vitae, è stato introdotto il collo- Figura 1 BIOL BT CHIM FARM CTF STAT quio orale al fine di acquisire una conoscenza più dettagliata sui candidati. Dall’insieme di tutti i punteggi è emersa una graduatoria in cui sono presenti studenti abbastanza eterogenei per tipologia di laurea, provenienza geografica ed età. Rispetto agli anni scorsi il dato che emerge è la forte preponderanza degli studenti con laurea in Farmacia o CTF, che ha contribuito ad abbassare la percentuale dei biotecnologi, categoria tuttavia ancora dominante; la percentuale dei biologi è rimasta costante, mentre si è riscontrato un interesse anche da parte degli statistici (Figura 1). La metà circa degli iscritti proviene dal Nord Italia; la parte restante è divisa tra 50 il Sud e il Centro, con una leggera predominanza di 40 quelli provenienti dal Sud (Figura 2). 50 30 Riguardo all’età, la classe è prevalentemente composta da 20 soggetti con età 30 inferiore ai 35 anni, 20 pur rimanendo una 10 piccola percentuale di studenti oltre i 35 0 anni (Figura 3). Attualmente, circa NORD CENTRO SUD la metà degli iscritti Figura 2 (Continua a pagina 25) Anno VIII numero 43 è senza un’occupazione lavorativa; tra gli occupati, molti hanno situazioni non stabili, spesso nella ricerca di base, e solo il 20% ha già un impiego nel settore della ricerca clinica (Figura 4). La scelta di iscriversi al master è stata dettata per molti dalla necessità di avere una formazione necessaria per avere accesso al mondo della ricerca clinica, spesso precluso a chi non possiede un’esperienza pregressa nel settore, o dalla volontà di cambiare tipologia di lavoro. La preferenza per questo master. e non per altri simili presenti sul territorio italiano, in maggior parte trae origine dalle buone parole spese dagli amici o conoscenti che in passato lo avevano frequentato, e soprat- Pagina 25 60 50 40 57 30 30 20 13 10 0 Figura 3 <30 30-35 36-40 tutto dalla possibilità concreta, testimoniata sia dai buoni dati di ingresso nel 50 mondo del lavoro che dall’offerta variegata di aziende proposte dal 40 master, di poter accedere ad uno stage, considerato, 47 30 a ragione, una buona occasione per acquisire e20 sperienza e competenze 20 20 da spendere in futuro per una eventuale posizione 10 6,5 6,5 lavorativa. Gli ottimi dati ottenuti nelle scorse edizio0 ni, nonostante il periodo di NON OCC R OCC R OCC OCC crisi, sono stati in parte Figura 4 confermati anche nell’ediOCC CLIN PRECL FARM ALTRO zione che sta per terminare: ad oggi infatti il 23% degli studenti ha convertito lo stage in un contratto di lavoro a tempo determinato per un anno o di apprendistato, ancora prima della fine del master (Figura 5). Figura 5 Elena Bresciani La giornata inaugurale è continuata con le presentazioni di Luciano M. Fuccella sulla SSFA, di Domenico Criscuolo su IFAPP ed il progetto PharmaTrain, di Paolo Lucchelli sulla storia della medicina farmaceutica, di Domenico Barone sulla sperimentazione animale. Le lezioni sono state concluse da una molto apprezzata sessione interattiva, svolta dal dr Giuseppe Cristoferi con la collaborazione di alcuni studenti, che hanno “mimato” un colloquio di selezione, fornendo così preziosi suggerimenti da applicare e sottolineando gli errori da evitare in una occasione così importante nel percorso di ricerca di un lavoro. 50 % 40 49 30 20 23 10 11 17 0 e ro a nno la vo /s ta g TD 1 con ra tto a tto c ont contr a ttiv non no to Situazione lavorativa degli studenti della 5° edizione Anno VIII numero 43 Pagina 26 Master di II Livello su Sistemi di Qualità – GXP & ISO Ha avuto inizio lo scorso marzo presso la facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma la III edizione del master di II livello Sistemi di Qualità – GXP & ISO. La II edizione dello stesso master si era felicemente conclusa nel mese di febbraio ed era stata coronata, al termine della cerimonia di consegna dei diplomi, dalla Lectio Magistralis di Umberto Filibeck sul tema Eticità della Sperimentazione Clinica. Questa iniziativa didattica nasce della collaborazione tra Università Cattolica del Sacro Cuore e SSFA, si avvale di una convenzione con l’Agenzia Italiana per il Farmaco ed ha il patrocinio della divisione italiana della Society of Environmental Toxicology and Chemistry. Ne sono Direttore e Direttore Scientifico, rispettivamente, Giacomo Pozzoli e Sergio Caroli, mentre il coordinamento scientifico è affidato a Maria Mercede Brunetti. Il consiglio direttivo è formato da Maria Mercede Brunetti, Sergio Caroli, Francesco De Tomasi, Pierluigi Navarra e Valentine Sforza. Maria Cristina Greco, infine, è responsabile della segreteria didattico-scientifica. Ulteriori informazioni sono desumibili dal sito www.rm.unicatt.it/ master L’obiettivo, ormai consolidato, di questo master è fornire gli strumenti culturali più aggiornati per un’ approfondita conoscenza dei principali sistemi di qualità oggi disponibili, ognuno dei quali è stato sviluppato per soddisfare esigenze diverse, come tali, quindi, quasi mai sovrapponibili se non in minima parte, ma di regola reciprocamente collegati e spesso complementari. Il master consiste di undici moduli per un totale di 148 ore tra lezioni frontali ed esercitazioni. Ciascuno dei primi dieci moduli espone il quadro normativo, gli aspetti operativi e le maggiori problematiche relative a Buona Pratica di Laboratorio, Buona Pratica Clinica, Buona Pratica Clinica di Laboratorio, Buona Pratica di Fabbricazione, Buona Pratica di Distribuzione, Farmacovigilanza, Convalida dei Sistemi Computerizzati, Norme ISO, Regolamento REACH e Metodologie di Comunicazione e di Lavoro di Squadra. L’ultimo modulo è invece dedicato ad un questionario generale di valutazione dell’apprendimento. La presenza di circa 50 docenti altamente qualificati ed appartenenti ad Istituzioni pubbliche (Ministero della Salute, Istituto Superiore di Sanità, Agenzia Italiana del Farmaco e Università), ad organizzazioni sovranazionali (European Commission ed Organisation for Economic Co-operation and Development) ed a realtà aziendali nazionali e multinazionali con sede in Italia, garantisce l’accesso all’informazione più rilevante, aggiornata ed attendibile per le tematiche trattate. Questa edizione del master permette peraltro di ospitare partecipanti esterni come uditori per specifici moduli o singole lezioni. Al termine del percorso formativo previsto ed al superamento delle relative prove di valutazione gli studenti conseguiranno il titolo di master universitario di secondo livello in Sistemi di Qualità: GXP & ISO. Coloro che avranno partecipato in qualità di uditori riceveranno da parte dell’Università Cattolica un attestato di frequenza valido per gli usi consentiti. Infine, anche per questa edizione, durante la cerimonia di chiusura, sarà tenuta una Lectio Magistralis a cura di un relatore di consolidata esperienza nel campo della qualità delle attività di ricerca. Sergio Caroli Anno VIII numero 43 Pagina 27 MASTER DELLA SECONDA UNIVERSITA’ DI NAPOLI Nello scorso mese di marzo, con lo svolgimento del quinto modulo (della durata di una settimana) sugli aspetti regolatori dei farmaci, si è conclusa la parte didattica, con lezioni frontali, della prima edizione del master di secondo livello “Farmacovigilanza, farmacoepidemiologia ed attività regolatorie”. Il master ha ricevuto il patrocinio SSFA, e molti soci SSFA erano stati inclusi nel corpo dei docenti. Ho svolto diverse lezioni a questo master, sia nel primo che nel quinto modulo, ed ho potuto apprezzare l’interesse ed anche la competenza degli studenti, quasi tutti laureati in farmacia, e molti già al lavoro presso le ASL della Campania, principalmente nella rete regionale di farmacovigilanza. Ora gli studenti avranno l’opportunità di uno stage, che verrà svolto in diverse sedi sia istituzionali che industriali: sono state infatti scelte realtà quali l’Istituto Superiore di Sanità, la ASL 1 di Napoli, il centro di farmacosorveglianza e farmacoepidemiologia della seconda Università di Napoli, e poi aziende quali Novartis, Lundbeck, Bristol-Myers-Squibb ed Italfarmaco. Al termine di questa esperienza lavorativa “sul campo”, tutti gli studenti dovranno preparare una tesi, che verrà discussa in occasione della chiusura ufficiale del master. Un’esperienza molto positiva e costruttiva, che ci auguriamo venga riproposta nel prossimo anno accademico. Domenico Criscuolo MASTER UNIVERSITA’ DI CATANIA Il master in “Discipline regolatorie del farmaco”, attivo da diversi anni presso l’Università di Catania ed organizzato dal prof Filippo Drago, quest’anno presenta una importante novità. Le lezioni infatti, invece di essere svolte nell’arco di un biennio, sono concentrate in un solo anno accademico. Questa modifica è stata molto apprezzata dagli studenti, che vedono così accorciato ad un solo anno il percorso di formazione post-laurea, ed essere così più preparati ad entrare nel mondo del lavoro. Ho avuto occasione di svolgere alcune lezioni, nello scorso mese di febbraio, e di aver apprezzato l’interesse e l’impegno degli studenti. La classe quest’anno è composta da 20 studenti, in prevalenza laureati in farmacia: molti già lavorano presso farmacie oppure ASL, e la partecipazione al master è motivata dal desiderio di entrare nel mondo del farmaco. Le lezioni si svolgono nel pomeriggio, dalle 14 alle 18, per lasciare libero il mattino a chi svolge attività lavorativa. Domenico Criscuolo Anno VIII numero 43 Pagina 28 MASTER DI SECONDO LIVELLO UNIVERSITA’ DI CAMERINO SEDE DI ANCONA Il panorama italiano dei master Universitari di secondo livello si arricchisce di una novità: il Master in Metodologia Clinica e Biostatistica Applicata ai Clinical Trials, organizzato dal prof Fiorenzo Mignini (Facoltà di Farmacia), e con il patrocinio SSFA. A nostro parere, questo master, per l’orientamento didattico del programma, si rivolge soprattutto ai data managers, ed a coloro che hanno un peculiare interesse per la metodologia degli studi clinici, con particolare attenzione alla statistica ed alla gestione dei dati. Il master è stato da poco attivato, ed attualmente sono aperte le iscrizioni, per un minimo di 20 ed un massimo di 30 posti. Il master si svolgerà nella sede di Ancona, facilmente raggiungibile in treno ed aereo: si basa su nove moduli, svolti in tre giornate una volta al mese (dal giovedì alle ore 15 al sabato alle ore 13). Ogni modulo ha quindi 20 ore di lezioni frontali. Per ogni ulteriore informazione, visitate il sito www.masterclinicaltrials.it. Si ricorda che la scadenza delle iscrizioni è il 31 agosto 2014. Anno VIII numero 43 Pagina 29 IL LIBRO DI OGGI Dedico il libro di oggi a tutti coloro che si occupano di sviluppo di farmaci, ma….non hanno studiato anatomia umana! Una dedica un po’ singolare, ma lasciatemi raccontare un episodio. Tempo fa parlavo con una brillante project leader, che sta facendo un’ottima carriera in una CRO: ci trovammo a commentare un episodio di ictus cerebrale, ed io sottolineavo l’importanza della pervietà delle arterie carotidi. Lei non capiva, e si convinse di ciò solo quando le spiegai che la grande maggioranza di apporto arterioso al cervello è delegato alle sole arterie carotidi: quindi quando un ateroma oppure un trombo ne ostruisce anche solamente una, sono guai seri. Da quella simpatica conversazione trassi l’idea di ricordare a tutti, attraverso queste righe ed il libro che ora vado a commentare, l’importanza dell’anatomia umana. Per coloro che, come il sottoscritto, hanno studiato medicina, l’anatomia umana ha rappresentato il primo momento in cui ci siamo sentiti medici, dopo aver studiato fisica, chimica e chimica biologica. Alla Sapienza negli anni ’70 anatomia era il primo grande ostacolo: dopo due anni di lezioni, bisognava preparare l’esame sul mitico Testut, cinque tomi da mille pagine ciascuno: un vero esercizio di memoria, e di costanza. Tuttavia ricordo con molta passione quell’esame, perché devo riconoscere che quanto appreso mi è poi molto servito nei successivi esami di fisiologia, di patologia, e delle varie cliniche: ed è questo il motivo per cui parlo con tanta enfasi dell’importanza dell’anatomia umana. Non basta sapere di fisiologia e di patologia, le vere basi per capire le malattie, e quindi anche il meccanismo d’azione di un farmaco, risiede nell’anatomia. Ed oggi, che giustamente molte funzioni di sviluppo di un farmaco sono svolte da non medici, colgo questa occasione per suggerire, a tutti coloro che non l’hanno studiata, di guardare con curiosità all’anatomia umana: magari iniziando dal libro “Organi vitali” di Frank Gonzalez Crussì, professore emerito di patologia alla Northwestern University di Chicago. Nel film di fantascienza degli anni 60 “Viaggio allucinante”, un gruppo di scienziati-eroi, dopo un processo di miniaturizzazione che li ridusse a dimensioni microscopiche, intraprese un viaggio pericoloso, a bordo di un sottomarino, all’interno di un corpo umano vivente. Qualcosa di simile, ed altrettanto appassionante, ci offre questo libro molto singolare. E non sarà solo un percorso attraverso i mondi strabilianti della nostra anatomia, ma anche un itinerario fitto di sorprese, nella storia della cultura, accompagnata da una guida colta e brillante. Dice l’autore:” Mi è parso opportuno cercare di rendere il pubblico più consapevole del didentro del corpo. Non intendo con questo i meri fatti dell’anatomia (molte persone istruite già hanno una visione generale delle parti e delle funzioni dell’organismo), intendo la storia, i simbolismi, le meditazioni, le molte idee serie e fantastiche, ed anche il romanzesco ed il leggendario che attorniarono nel corso dei tempi i nostri organi interni”. Organi vitali è pubblicato da Adelphi e costa 18 euro. Domenico Criscuolo Anno VIII numero 43 ============ Pagina 30 IL GIURAMENTO DI IPPOCRATE - QUARTA PARTE ================ Addio al giuramento di Ippocrate, scompare dal nuovo codice dei medici Il nuovo codice deontologico dei medici cambia volto, modificando alcuni importanti elementi della professione. Uno su tutti: il giuramento d'Ippocrate (che però non è neppure citato). Se nel vecchio codice (2006) ancora in vigore si dice in modo chiaro e netto che "il medico deve prestare giuramento professionale", il nuovo testo recita: "L'iscrizione all'Albo vincola il medico ai principi del giuramento professionale e al rispetto delle norme del presente codice di deontologia medica". Resta solo il riferimento ai principi, ma non c'è più l'obbligo di formale giuramento. Per il momento si tratta di una bozza, ma nel testo messo a punto dal Comitato centrale della Federazione nazionale degli ordini dei medici (Fnomceo), e all'attenzione delle varie federazioni locali, ci sono tante novità. A volte piccole sfumature semantiche che stanno però sollevando il vento di protesta dei camici bianchi. Il testo contiene aperture sulla fecondazione assistita, una stretta sulle terapie alternative, la scomparsa di alcune parole chiave come libertà, indipendenza e dignità. Addio anche al termine 'paziente'. In futuro si chiamerà 'persona assistita'. Tra le modifiche più discusse e delicate ci sono quelle che riguardano i doveri del medico in materia di fecondazione assistita. Confrontando il vecchio e il nuovo testo le differenze, in effetti, saltano agli occhi. E' sparita la parte che recita: "E' fatto divieto al medico, anche nell'interesse del bene del nascituro, di attuare: forme di maternità surrogata; forme di fecondazione assistita al di fuori di coppie eterosessuali stabili; pratiche di fecondazione assistita in donne in menopausa non precoce; forme di fecondazione assistita dopo la morte del partner". Il nuovo testo mette invece nero su bianco che "i trattamenti di procreazione medicalmente assistita, quali atti esclusivamente medici, sono effettuati nelle condizioni e secondo le modalità previste dall'ordinamento vigente". L'articolo del nuovo codice che sta facendo più rumore è però il 22, che parla dell'obiezione di coscienza. Se oggi "il medico, al quale vengano richieste prestazioni che contrastino con la sua coscienza o con il suo convincimento clinico, può rifiutare la propria opera, a meno che questo comportamento non sia di grave e immediato nocumento per la salute della persona assistita e deve fornire al cittadino ogni utile informazione e chiarimento", con il nuovo testo "il rifiuto di prestazione professionale anche al di fuori dei casi previsti dalle leggi vigenti è consentito al medico quando vengano richiesti interventi che contrastino con i suoi convincimenti etici e tecnico-scientifici". Sparisce quindi il contrasto con la propria coscienza. Così come scompare pure la formula "grave e immediato" legata al nocumento per la salute della persona assistita. Contestato anche l'articolo 13, che fissa i doveri del medico nel campo delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche. La nuova formulazione prevede che il camice bianco è tenuto a seguire "le linee guida diagnostico-terapeutiche prodotte e accreditate da fonti autorevoli e indipendenti". E se non lo fa deve motivare le sue scelte. Un passaggio, questo, che preoccupa i camici bianchi, che temono una sorta di apertura a possibili sanzioni a danno di chi propone cure innovative e una limitazione della propria autonomia. Rispetto al vecchio codice nell'articolo sparisce la parola 'etica', sostituita con 'deontologia'. Il nuovo codice affronta pure la questione del testamento biologico. Se esiste una dichiarazione anticipata di trattamento, "espressa in forma scritta, sottoscritta e datata da persona capace", il medico deve "tenerne conto". A prescindere, quindi, dalle sue valutazioni, "dall'autonomia e dall'indipendenza che caratterizza la professione", così come recita il testo del 2006. Tra gli articoli incriminati c'è anche il numero 4. Se nel testo del 2006 si dice che "il medico deve attenersi alle conoscenze scientifiche e ispirarsi ai valori etici della professione, assumendo come principio il rispetto della vita, della salute fisica e psichica, della libertà e della dignità del- la persona", la nuova formulazione non parla più di "valori etici della professione" ma dice che sul piano tecnico operativo il medico è tenuto "ad adeguarsi alle più aggiornate evidenze scientifiche". Una domanda sorge spontanea: “C’é ancora bisogno di un Codice Deontologico?” Il Codice Deontologico è un corpo di regole, liberamente e democraticamente scelte dai medici, alle quali debbono uniformare il comportamento professionale. Il termine deontologia fu coniato da J. Bentham nel 1834 e deriva dal greco “to deon” (ciò che deve essere e che si deve fare) e “logos” (discorso, parola, scienza). Il Codice Deontologico non è una fonte primaria di diritto, ma ha un carattere extragiuridico, e impegna i membri del gruppo professionale al suo rispetto mediante un giuramento all’atto della iscrizione all’Ordine. Giuramento di Ippocrate In un’epoca di facili suicidi, procurati con il veleno, di infanticidi e di costumi licenziosi, è difficile ipotizzare che i medici ippocratici fossero ligi a principi morali così rigorosi. E allora perché si giurava ? Il giuramento ha in se una solennità rituale che distingue i sacerdoti ed i re dagli altri comuni cittadini, e anche i medici dell’epoca avevano necessità di distinguersi dai guaritori e dagli “abusivi”. In questa prospettiva il Codice Deontologico assume carattere di autoreferenzialità di fronte ai cittadini, e proprio per questo viene accusato di essere uno strumento di autonomia e di indipendenza di giudizio della categoria per sottrarsi al giudizio degli altri. Il rispetto del Codice, reso solenne dal giuramento, non fa altro che riaffermare che il fondamento della medicina è rappresentato dalla autonomia, dalla indipendenza e dalla libertà intellettuale del professionista. Anche se non si giura più sugli dei ed il giuramento è stato sottoposto ad una riformulazione in termini moderni, il suo significato “sociale” non è cambiato. Il problema è che è cambiata la medicina e i suoi attori principali : le malattie, i (Continua a pagina 31) Anno VIII numero 43 (Continua da pagina 30) pazienti, i medici in una società profondamente trasformata. Le professioni liberali tradizionali, ed in primis i medici, devono fare i conti con i cambiamenti del contesto sociale e politico i cui operano. Rapporto medico-paziente Il rapporto tra il medico e il paziente si configura sempre più spesso come un incontro o uno scontro di prospettive : il paziente si reca dal medico con una prediagnosi del suo malessere ed esce dalla consultazione con una diagnosi di malattia, posta dal medico secondo i canoni interpretativi della clinica. Se i due paradigmi coincidono si raggiunge facilmente un compromesso e un clima di soddisfacente comunicazione bidirezionale, in un rapporto armonioso tra le parti, altrimenti si determina un conflitto più o meno aperto. La difficoltà della medicina moderna è quella di riuscire a conciliare un approccio olistico al malato con un intervento specialistico. Oggi il medico ha virtualmente tre imperativi, contraddittori, ai quali dovrebbe rispondere: 1. i bisogni individuali del cittadino; 2. i risultati falsificabili della scienza medica; 3. le richieste di una società solidaristica ma fortemente individualistica. Solo il Codice Deontologico può rappresentare davvero la salvaguardia della natura fiduciaria della relazione tra medici e cittadini. Alcune associazioni di medici hanno avanzato la richiesta di rivedere il giuramento di Ippocrate, proponendo l'adozione di un nuovo codice deontologico. In particolare viene sottolineata la necessità di fornire ai medici precise linee guida di Pagina 31 comportamento di fronte ai problemi aperti dal progresso scientifico (come la clonazione), dalla privatizzazione dell'assistenza sanitaria, dalla aumentata ingerenza dei politici in materia di sanita' e ricerca e dal crescente ruolo delle industrie. Il nuovo codice, chiamato "carta della professionalità medica" e' stato elaborato da: American Board of Internal Medicine, American College of Physicians, American Society of Internal Medicine e European Federation of Internal Medicine e verra' pubblicato a breve sulla rivista The Lancet. Nel moderno “Giuramento di Ippocrate”, il medico si impegna, in quella che chiamano «alleanza terapeutica», a difendere la vita, di non compiere mai atti idonei a «promuovere la morte di una persona», di fondare i rapporti di cura sulla «fiducia e sulla reciproca informazione», e molto altro ancora. Un giuramento per le professioni economiche dovrebbe comprendere almeno i seguenti punti: «1. Non userò mai a mio vantaggio e contro gli altri le maggiori informazioni di cui disporrò. 2. Guarderò al mercato come un insieme di opportunità per crescere insieme, e non ad una lotta. 3. Non tratterò mai i lavoratori solo come un costo, come un capitale, una risorsa, al pari degli altri costi, capitali e risorse dell’economia. I lavoratori sono prima di tutto persone». I controlli non dovrebbero limitarsi agli aspetti formali e quantitativi (facili da verificare), da affidare a impiegati che esaminano il rispetto delle procedure. Si sa che i disonesti sono abilissimi a produrre rendiconti formalmente perfetti; se le procedure di controllo sono cavillose è più facile che venga preso nella rete chi dedica più tempo ai pazienti che alle relazioni. È ora di cambiare mentalità: bisogna entrare nel merito degli interventi per verificare l’appropriatezza delle scelte, la qualità delle prestazione, l’efficacia dei risultati. I principi e i valori che, sin dall’antichità, hanno governato la pratica professionale della medicina (attraverso i giuramenti e i codici deontologici) obbligavano il medico ad agire sempre per il massimo beneficio del paziente, vietando qualsiasi intervento che potesse arrecargli danno o che andasse contro i valori morali prevalenti nella società. Naturalmente, i contesti culturali erano diversi, quindi anche i criteri e i valori. L’etica medica antica metteva l’accento sul carattere e le virtù richieste al medico che esercitava l’arte. CONSIDERAZIONI FINALI Scritto nell’antichità, i suoi principi sono ritenuti sacri dai medici oggi giorno: curare il malato al meglio delle proprie ca(Continua a pagina 32) Anno VIII numero 43 Pagina 32 (Continua da pagina 31) che il giuramento di Ippocrate sia inadeguato ad affrontare le realtà di un mondo medico che ha visto enormi cambiamenti scientifici, economici, politici e sociali; un mondo di aborto legalizzato, di suicidio assistito e varie calamità non prevedibili al tempo di Ippocrate. Alcuni medici hanno iniziato a fare domande per quanto riguarda la rilevanza del giuramento: in un contesto di crescente specializzazione medica, dovrebbero i medici giurare un singolo giuramento? Con i governi e le organizzazioni sanitarie che richiedono informazioni ai pazienti: come può un medico mantenere la privacy di un paziente? Sono i medici obbligati moralmente a trattare i pazienti con nuove malattie mortali come l'AIDS o il virus Ebola? Alcuni medici sostengono che i principi sanciti nel giuramento non costituivano un nucleo comune di valori morali e che le origini pagane del giuramento rendono antitetiche le convinzioni di cristiani, ebrei e mussulmani. Altri notano che il Giuramento classico non fa menzione di tali problemi contemporanei come l'etica della sperimentazione, la cura in un team, o le responsabilità sociali e giuridiche di un medico. Inoltre la maggior parte dei moderni giuramenti non hanno menzione della pena, non vi è alcun pericolo della perdita dell’esercizio medico o anche della “faccia” per i potenziali trasgressori. Con tutto questo in mente, alcuni medici ve- dono il giuramento come poco più di un rituale pro-forma con poco valore oltre quello di difendere la tradizione." Il giuramento originale è pregno di un patto, è un trattato solenne e vincolante ", scrive il dr. David Graham su JAMA del 13/12/2000. Alcuni medici sostengono che quello che chiamano il “Giuramento Hypocritico" dovrebbe essere radicalmente modificato oppure abbandonato del tutto. Se da una parte l’etica ippocratica è forse considerata inattuale perché non riconosce completamente l’autonomia del paziente, dall’altra è in grado di insegnare un valore che la medicina moderna ha perduto: una componente imprescindibile del profilo del buon medico, accanto alle competenze strettamente scientifiche: è la dimensione umana ed etica che deve guidare la sua condotta. L’oblio della componente umanitaria della professione medica è dipeso dalla continua specializzazione e parcellizzazione della medicina in forza della quale al letto del paziente si avvicina un numero sempre maggiore di medici, senza che nessuno di essi instauri con lui un solido rapporto personale basato sulla fiducia. Raimondo Russo OFFICINEBIANCHE.IT pacità, preservare la privacy del paziente, insegnare i segreti della medicina per la prossima generazione, e così via . Il giuramento di Ippocrate, affermò nel 1996 il “Codice di Deontologia Medica della American Medical Association" è rimasto nella civiltà occidentale quale espressione di un comportamento ideale per il medico . La maggior parte dei laureandi medici pronunciano tale giuramento o qualche forma di esso, di solito una versione modernizzata. Ad esempio, il giuramento in questi ultimi decenni è aumentato: era solo nel 24 per cento delle scuole mediche degli Stati Uniti nel 1928 ed oggi in quasi il 100 per cento. Eppure, paradossalmente, anche se l'uso del moderno giuramento è fiorito, il suo contenuto è virato lontano da principi fondamentali del giuramento classico. Secondo un sondaggio in 150 scuole mediche USA e canadesi nel 1993, per esempio, solo il 14 per cento dei moderni giuramenti vieta l'eutanasia, l'11 per cento l’alleanza con una divinità, l’8 per cento l’aborto e solo il 3 per cento proibirebbe il contatto sessuale con i pazienti. Mentre il giuramento classico chiede " l'opposto " di piacere e di fama per coloro che trasgrediscano il giuramento, meno della metà dei giuramenti utilizzati oggi considerano il beneficiario essere ritenuto responsabile. In effetti, un numero crescente di medici sono convinti A TRUST ENGINE IN THE EARLY STAGE OF CLINICAL DEVELOPMENT Project Design Study Conduct (own site) Trial Monitoring PK /PD Analysis DM Statistics Medical Writing Regulatory Support CROSS, CROSS RESEARCH & CROSS METRICS PROPERLY MANAGE TRIAL UNCERTAINTY Uncertainty is intrinsic to early stage of clinical development. Phase I-II, linking bio-pharmaceutics & clinical pharmacology to medical sciences, are niches for specialized CROs. Since 1996 we have planned and performed trustful collaborations for Phase I and II clinical projects and provided services to most of the Italian pharmaceutical companies. THE ACQUIRED RELIABILITY IS BASED ON: s 18 years experience s 400 clinical trials performed s 140 molecules tested s 60 scientific publications Main Offices: 6850 Mendrisio - Switzerland - www.croalliance.com Anno VIII numero 43 Pagina 33 NOTIZIE BIAS Il 14 marzo 2014 si è tenuto l'ormai tradizionale seminario BIAS: anche quest’anno SAS Institute ha ospitato l’evento, che è stato dedicato agli standard proposti dal consorzio internazionale CDISC (Clinical Data Interchange Standards Consortium). Il titolo stesso del seminario “CDISC SDTM and ADaM: moving from theory to practice” metteva in evidenza l’intento del seminario: non la solita carrellata di esperienze aziendali o personali, a volte difficilmente replicabili, ma un’introduzione ragionata ed approfondita ai due principali standard proposti da CDISC (SDTM e ADaM), con particolare attenzione alle applicazioni pratiche. L’esigenza di organizzare un siffatto evento è nata dall’osservazione che la presentazione abbastanza diffusa ci ha convinto a dare al seminario il taglio descritto sopra. La giornata è iniziata con una breve introduzione sulla missione e la storia del consorzio CDISC a cura di Glauco Cappellini (Quintiles). Nicola Tambascia (Accovion) ha gettato successivamente le basi per il lavoro dell’intera giornata, delineando i concetti alla base dello standard SDTM (Study Data Tabulation Model). Nel suo intervento Nicola ha spiegato con estrema chiarezza i concetti di “Domain”, “Class”, “Controlled Terminology” e “Metadata”, alla base dello standard sviluppato per armonizzare la tabulazione dei dati raccolti durante uno studio clinico, facendo capire come devono essere interpretati e applicati in pratica. Angelo Tinazzi (Cytel) ha poi di dati in formato CDISC diventerà presto obbligatoria presso la FDA, e che altri enti si stanno muovendo in questa direzione (il Japan PMDA ha annunciato una fase pilota con l’uso di CDISC). L’adozione di standard internazionali per la raccolta e l’analisi dei dati ha permesso di semplificare lo scambio di dati negli studi clinici, riducendo costi e tempi di elaborazione e facilitando la validazione dei sistemi e dei dati stessi. Non ultima, la sensazione condivisa che in Italia la conoscenza di CDISC non sia ancora completato la sezione teorica relativa a SDTM, focalizzando l’attenzione anche sugli aspetti pratici della migrazione e della mappatura di dati originariamente non raccolti secondo gli standard CDISC. Alla ripresa dei lavori, Tineke Callant (SGS) ha introdotto lo standard per l’analisi dei dati (AdaM - Analysis Data Model), evidenziando come struttura dei dati, tracciabilità e metadati costituiscano il fondamento su cui tale modello è costruito. Mark Lambrecht (SAS), giocando in casa, ha illustrato la soluzio- ne sviluppata da SAS per CDISC (SAS Clinical Data Integration), evidenziandone la comodità di utilizzo e l’attenzione che SAS dedica ai più recenti progressi in ambito CDISC. Nella sezione finale dell’evento due esempi pratici dell’applicazione di CDISC SDTM e ADaM: Pantaleo Nacci (Novartis Vaccines & Diagnostics) ha illustrato l’approccio utilizzato nell’implementare SDTM presso la propria Azienda e David Izard (Accenture) ha presentato l’approccio al problema da parte di una CRO. L’evento si è concluso con una breve sessione di domande ai relatori, prima che il comitato BIAS comunicasse agli iscritti le prospettive future e la nuova gestione dei rapporti con SSFA e chiudesse l’evento con i doverosi ringraziamenti. Al seminario hanno partecipato circa 90 persone, relatori e rappresentanti degli sponsor compresi. L'interesse è stato elevato: ci auguriamo che la qualità degli interventi abbia soddisfatto le attese. Il comitato BIAS ringrazia tutti i partecipanti, gli sponsor, DDway e SAS Institute, e SSFA per il supporto organizzativo e logistico, sempre prezioso. Archiviato positivamente il seminario, il comitato BIAS sta organizzando il congresso annuale che, quest’anno, si svolgerà a Genova a fine ottobre, in concomitanza con il Festival della Scienza, con l’obiettivo di trovare un collegamento scientifico tra le nostre attività e quelle del Festival. Inoltre, crediamo che potrebbe essere un’occasione per i partecipanti di avvicinare i propri ragazzi al mondo della scienza. Fabio Montanaro Anno VIII numero 43 Pagina 34 L’uso dei farmaci in Italia rapporto relativo al periodo gennaio-settembre 2013 Il 6 febbraio 2014 ho partecipato, in AIFA, alla presentazione del rapporto sull’uso dei farmaci in Italia nei primi 9 mesi del 2013. Sono intervenuti: il prof. Luca Pani, direttore AIFA, il prof. Sergio Pecorelli, presidente AIFA, il dr. Claudio De Vincenti, sottosegretario alla sviluppo economico, la dr.ssa Marcella Marletta, direttore dispositivi medici, servizio farmaceutico e sicurezza delle cure, Ministero della Salute, e il dr Massimo Scaccabarozzi, presidente Farmindustria. Molti i temi illustrati e dibattuti: l’andamento della spesa, i farmaci più utilizzati, i medicinali a brevetto scaduto ed equivalenti, l’appropriatezza prescrit- Prof. Luca Pani e dr.ssa Marcella Marletta tiva, la sostenibilità, l’aderenza terapeutica: la maggior parte dei dati illustrati è contenuta in un volume consegnato a tutti i partecipanti e presente anche sul sito AIFA. La spesa farmaceutica complessiva, nei primi 9 mesi, è stata di 19,5 miliardi di euro, di cui il 74,7% rimborsati dal SSN, con un dato interessante: aumentano i consumi mentre si osserva una riduzione della spesa farmaceutica territoriale a carico del SSN, effetto dovuto, principalmente, alla riduzione dei prezzi dei farmaci. E’ cresciuta del 2,1% la spesa per compartecipazioni a carico del cittadino. A livello regionale si conferma la differenza nord-sud con valori bassi al nord ( provincia autonoma di Bolzano), e con valori superiori alla media nazionale nel mezzogiorno (principalmente Sicilia). Si profila, quindi, un andamento della spesa farmaceutica simile a quello del 2012, con un aumento della spesa ospedaliera del 3,3% e con un aumento della spesa privata del 3,9%, ma con una diminuzione della spesa in farmacia del 3,9 % rispetto al 2012. Tra i farmaci più utilizzati si confermano, in prima linea, sia per consumo che per spesa, i cardiovascolari e tra di essi spiccano gli ACE-inibitori e le statine; seguono i farmaci per l’apparato gastroenterico e per il metabolismo, tra di essi gli inibitori della pompa protonica, mentre le più recenti terapie innovative per il diabete di tipo II sono responsabili di un aumento di spesa per il SSN; in terza posizione troviamo i farmaci del sangue e degli organi ematopoietici, con le eparine che si distinguono per la spesa maggiore mentre gli antiaggreganti piastrinici hanno il numero maggiore di prescrizioni. Al quarto posto si collocano i farmaci per il SNC, ed in particolare gli antidepressivi; in aumento anche il consumo dei farmaci antidolorifici ad azione centrale. I farmaci per l’apparato respiratorio si attestano al quinto posto e vedono nelle associazioni dei beta-2 agonisti i più usati per il trattamento della BPCO e dell’asma. Un rilievo particolare merita l’aumento del consumo degli antibiotici rispetto all’anno precedente (+5,4%), incentrato sulle penicilline, se- Il dr. Paolo Siviero e, sullo sfondo, la proiezione della copertina del volume “L’uso dei Farmaci in Italia” guite da macrolidi e fluorochinoloni, e caratterizzato da una notevole variabilità regionale che vede Campania, Puglia, Calabria all’estremo alto dei consumi rispetto al nord ( provincia autonoma di Bolzano, Liguria, Friuli Venezia Giulia) che presentano volumi più contenuti. I medicinali a brevetto scaduto ed equivalenti mostrano un incremento dell’uso del 7,7% rispetto al 2012 e costituiscono il 65% dei consumi ed il 46% della spesa, con un aumento del 4,9%. Questa tendenza va avvicinando l’Italia alle quote presenti negli altri paesi europei. L’appropriatezza prescrittiva è un tema importante ma ancora da approfondire. La sostenibilità è una questione rilevante per l’arrivo dei nuovi farmaci biotecnologici e condizionerà l’impiego di nuovi mezzi di valutazione e di assegnazione dei prezzi. L’aderenza terapeutica si è manifestata in crescita per i farmaci utilizzati per il sistema cardiovascolare. Francesco De Tomasi Anno VIII numero 43 Pagina 35 GLUCORTICOIDI ORALI E RISCHIO AUMENTATO DI PANCREATITE ACUTA ASSOCIATION OF ORAL GLUCOCORTICOID USE WITH AN INCREASED RISK OF ACUTE PANCREATITIS: A POPULATION-BASED NESTED CASE-CONTROL STUDY Sadr-Azodi O, Mattsson F, Bexlius TS, et al. JAMA Intern Med, pubblicato on line il 25 febbraio 2013 Questo ampio studio caso-controllo indica che l'uso corrente di glucocorticoidi orali aumenta il rischio di pancreatite acuta. I pazienti, in particolare quelli a maggior rischio di pancreatite acuta, come quelli con consumo di alcol elevato o calcoli biliari, dovrebbero essere strettamente monitorati durante il primo mese di uso di questi farmaci. IMPORTANZA L’uso di glucocorticoidi orali è stato suggerito come causa di pancreatite acuta in diversi case report. Tuttavia, nessuno studio epidemiologico ha esaminato questa associazione. OBIETTIVO Condurre uno studio caso-controllo a livello nazionale, per analizzare la potenziale associazione tra uso di glucocorticoidi per via orale e pancreatite acuta. DISEGNO In questo studio caso-controllo con base di popolazione sono stati identificati tutti gli individui di età compresa tra 40 e 84 anni che avevano sviluppato un primo episodio di pancreatite acuta tra il 2006 e il 2008 in Svezia. Studio con base di popolazione, a livello nazionale, basato sui registri. PARTECIPANTI In totale, 6161 casi con un primo episodio di pancreatite acuta e 61.637 controlli sono stati inclusi nelle analisi finali. I casi erano tutti i pazienti con diagnosi di un primo episodio di pancreatite acuta durante il periodo di studio, definito dal codice diagnostico K85 della International Statistical Classification of Diseases, 10th Revision (ICD-10). I controlli sono stati selezionati in modo casuale dalla popolazione a rischio di sviluppare pancreatite acuta. Per ogni caso, sono stati selezionati dalla popolazione generale in modo casuale 10 controlli appaiati per età, sesso e periodo di calendario. L’uso di glucocorticoidi orali è stato valutato dal registro svedese dei farmaci prescritti. Gli attuali utilizzatori, gli utilizzatori recenti e gli ex utilizzatori sono stati definiti rispettivamente come pazienti che avevano la loro prescrizione dei glucocorticoidi entro 30 giorni, da 31 a 180 giorni e oltre 180 giorni prima della data indice. END POINT PRIMARI E’ stata effettuata un’analisi di regressione logistica per calcolare gli odds ratio (OR) con intervalli di confidenza al 95% per l'associazione tra uso di glucocorticoidi per via orale e pancreatite acuta. L’aggiustamento multivariato è stato fatto per potenziali confondenti tra cui, tra gli altri, l'abuso di alcool, il diabete e l'uso di farmaci concomitanti. RISULTATI Lo studio ha incluso 6161 casi di pancreatite acuta e 61.637 controlli. Il rischio di pancreatite acuta era aumentato tra gli utilizzatori attuali di glucocorticoidi orali rispetto ai non utilizzatori (OR 1,53; IC 95% 1,27-1,84). Tale rischio era più alto nel periodo compreso tra 4 e 14 giorni dopo la dispensazione dei farmaci (OR 1,73; 1,31-2,28) e successivamente diminuiva. Non c'era alcuna associazione tra uso di glucocorticoidi orali e pancreatite acuta subito dopo la dispensazione dei farmaci. Non c'era alcun aumento del rischio di pancreatite acuta tra gli utilizzatori recenti o passati di glucocorticoidi rispetto ai non utilizzatori. CONCLUSIONI L’uso attuale di glucocorticoidi orali è associato a un aumentato rischio di pancreatite acuta. A cura di Raimondo Russo we take you there Phidea è una CRO di eccellenza, che garantisce affidabilità, qualità e flessibilità. L’esperienza ci ha insegnato che ogni progetto è unico, per questo abbiamo sviluppato i mezzi e le capacità per portare il vostro prodotto con successo, sino alla meta. phideagroup.com ISO 9001:2008 for EA 35 Cert. N. 501008945 Anno VIII numero 43 Pagina 36 GLUCOCORTICOIDI ORALI ED EFFETTI AVVERSI PSICHIATRICI ORAL GLUCOCORTICOID-INDUCED PSYCHIATRIC SIDE-EFFECTS: FOCUS ON CLINICAL SPECIFICITIES, INCIDENCE, RISK FACTORS AND TREATMENT Ricoux A, Guitteny-Collas M, Sauvaget A, et al. Rev Med Interne La terapia con corticosteroidi orali è prescritta per varie indicazioni e comprende un gran numero di specialità mediche utilizzate in pazienti sia ricoverati in ospedale che trattati ambulatorialmente. Gli effetti indesiderati neuropsichiatrici si verificano a prescindere dalla condizione da trattare e, pertanto, riguardano tutte le specializzazioni mediche. I glucocorticoidi orali sono stati utilizzati per diversi decenni e possono essere responsabili di effetti collaterali psichiatrici. Questa revisione discute i dati più rilevanti delle specificità cliniche, l'incidenza, i fattori di rischio e i farmaci per la prevenzione e la cura di questi episodi. E’ stata condotta una revisione della letteratura, utilizzando il database PubMed. Sono stati scelti e discussi gli articoli e gli studi con il più alto standard di evidenze. La comparsa di sintomi psichiatrici è piuttosto frequente. L'intensità variabile delle caratteristiche cliniche va da segni minori (impregnazione) a episodi psicotici acuti che possono verificarsi nel 5-30% dei pazienti. I sintomi o i disturbi affettivi sono le caratteristiche cliniche più importanti. Può verificarsi delirium e il rischio di suicidio potrebbe essere aumentato. I fattori predittivi significativi sono dosaggio di prednisone oltre 40 mg/die, specie se la dose è aggiustata per il peso, e storia di disturbi psichiatrici. Quando la riduzione del dosaggio di glucocorticoidi non è sufficiente a controllare la sintomatologia, la terapia farmacologica si basa principalmente su antipsicotici atipici quali olanzapina. Gli studi sulle complicanze neuropsichiatriche dei glucocorticoidi presentano risultati diversi ed eterogenei. Futuri studi clinici prospettici dovrebbero basarsi su una stretta collaborazione tra i medici e sulla consulenza degli psichiatri. Questa cooperazione è necessaria per una gestione ottimizzata dei pazienti che ricevono glucocorticoidi. A cura di Raimondo Russo The cost-effectiveness of periodic safety update reports for biologicals in Europe. Bouvy JC, Ebbers HC, Schellekens H, Koopmanschap MA Clin Pharmacol Ther May 2013; 93(5) :433-42 Abstract We analyzed the cost-effectiveness of all Periodic Safety Update Reports (PSURs) submitted for biologicals in Europe from 1995 to 2009 by comparing two regulatory scenarios: full regulation (PSUR reporting) and limited regulation (no PSUR reporting, but all other parts of the pharmacovigilance framework remain in place). During this period, PSUR reporting resulted in the detection of 2 out of a total of 24 urgent safety issues for biologicals: (i) distant spread of botulinum toxin and (ii) edema/fluid collection associated with off-label use of dibotermin-alfa. We used Markov-chain life tables to calculate costs and health effects of PSURs. The incremental cost-effectiveness ratio (ICER) of full regulation (PSUR reporting) vs. limited regulation (no PSUR reporting) for the base-case scenario was \[euro]342,110 per quality-adjusted life year (QALY) gained. It is possible to assess the cost-effectiveness of regulatory requirements using the same methods as those used in assessing the cost-effectiveness of medical interventions. A cura di Raimondo Russo I BENEFICI DELLA CERTIFICAZIONE QUALITÀ - ISO 9001 FARMACOVIGILANZA Il Regolamento 520/2012 della Commissione Europea indica i Requisiti minimi del Sistema di Qualità per lo svolgimento dellʼattività di farmacovigilanza e la Guideline EMA on Pharmacovigilance Practices richiama espressamente la norma ISO 9001 tra gli standard per la costruzione del Sistema. RIDUZIONE DELLE FIDEiUSSIONI NELLE GARE OSPEDALIERE Il codice degli appalti pubblici (D. Lgs 163/06) ha previsto incentivi per aziende in possesso della certificazione ISO 9001. In particolare, lʼarticolo 75 del Decreto riconosce alle aziende in possesso della certificazione del Sistema Qualità ai sensi della norma ISO 9001 una riduzione del 50% sullʼimporto delle fideiussioni a garanzia dell'offerta. CERTIQUALITY IL PARTNER QUALIFICATO PER LA CERTIFICAZIONE WWW.CERTIQUALITY.IT Anno VIII numero 43 Pagina 37 No differences between men and women in adverse drug reactions related to psychotropic drugs: a survey from France, Italy and Spain. D'Incau P, Lapeyre-Mestre M, Carvajal A, Donati M, Salado I, Rodriguez L, Sáinz M, Escudero A, Conforti A Fundam Clin Pharmacol Apr 2013; Abstract A large number of studies have suggested that being a woman represents a potential risk factor for the development of adverse drug reactions (ADRs). The aim of this study is to further explore the differences between men and women with regard to reported ADRs, particularly those associated with psychotropic drugs. We used spontaneous reports of suspected ADRs collected by Midi-Pyrénées (France), Veneto (Italy) and Castilla y León (Spain) Regional Pharmacovigilance Centres (January 2007-December 2009). All the reports including a psychotropic medication were selected in a first step; age distribution, seriousness and type of ADRs were compared between men and women. Reports of non-psychotropic drugs were similarly identified and treated. The absolute number of reports and the proportion, considering population, were higher in women than in men. This was observed for all reports, but was particularly higher for psychotropic drugs (592 vs. 375; p < 0.001) than for non-psychotropic drugs (5193 vs. 4035; p < 0.001). Antidepressants were the most reported (women, 303; men, 141; p < 0.001); the reporting rates (number of reports divided by exposed patients in the same period, estimated through sales data) for these drugs, however, were not significantly different between women (0.87 cases per 10 000 treated persons per year) and men (0.81 cases per 10 000 treated persons per year). Although there was a higher number of reports of ADRs in women, ADR reporting rates might be similar as highlighted by the case of antidepressants. Antidepressant ADRs in fact were similarly reported in men and in women. Gender differences are sometimes subtle and difficult to explore. International networks, as the one established for this study, do contribute to better analyze problems associated with medications. A cura di Raimondo Russo Evaluation of awareness about pharmacovigilance and adverse drug reaction monitoring in resident doctors of a tertiary care teaching hospital. Pimpalkhute SA, Jaiswal KM, Sontakke SD, Bajait CS, Gaikwad A Indian J Med Sci ; 66(3-4) :55-61 Abstract Adverse drug reactions (ADRs) are associated with significant morbidity and mortality and have a major impact on public health. Pharmacovigilance helps in early detection of ADRs and identification of risk factors. Underreporting of ADRs can be improved by imparting knowledge regarding pharmacovigilance to healthcare professionals. This study was aimed at investigating the knowledge and attitude of resident doctors about ADR reporting and suggesting possible ways of improving ADR reporting. Materials and Methods: This study was a cross-sectional, questionnaire-based survey conducted in a tertiary care teaching hospital. The respondents were resident doctors. Study instrument was a self-developed, pre-validated, semi-structured questionnaire consisting of open- and close-ended items. Results: A total of 84 questionnaires were considered for analysis, giving a response rate of 93.33%. In all, 64.28% of the respondents were aware about pharmacovigilance, 52.38% were aware of ADR reporting system in India, 83.33% opined that only serious ADR with any medicine should be reported, and 35.72% believed that ADRs should be reported only for newly marketed agents. Although 67.85% of respondents observed an ADR, only 25% reported it; 44.04% were aware about the complete procedure of ADR reporting. General attitude of the respondents about ADR reporting was as follows: ADR reporting should be compulsory (15.19%), voluntary (41.66%), remunerated (3.57%), identity of prescriber should be concealed (21.42%), and identity of reporter should be concealed (29.7%). Conclusion: Increasing awareness about pharmacovigilance will be helpful in improving the status of ADR reporting. Other measures such as making ADR reporting guidelines available in the form of booklets and displaying posters can also play a useful role. A cura di Raimondo Russo Anno VIII numero 43 Pagina 38 Alterazioni nella percezione dei colori indotta da farmaci Le alterazioni nella percezione dei colori possono derivare da disturbi oculari, neurologici o metabolici. Talvolta, possono essere indotte dai farmaci. Sulla rivista Prescrire è stato pubblicato un articolo che focalizza l’attenzione su questa problematica. Eccone una sintesi. x Disturbi transitori della percezione dei colori sono stati segnalati con sildenafil. In una revisione e meta-analisi di 14 trial clinici effettuati su 3780 pazienti, i disturbi della visione si sono manifestati nel 3% dei pazienti trattati ad una dose di 25-100 mg versus 0,8% nel gruppo esposto a placebo. I colori percepiti tendono verso tinte blu o blu-verdastro (la cosiddetta “visione blu”). Questi disturbi si manifestano di solito 1 -2 ore dopo l’assunzione del sildenafil, sono reversibili e scompaiono solitamente nell’arco di 3-6 ore. Gli effetti del sildenafil sulla retina sono dose-dipendenti e sono legati all’effetto inibitorio del sildenafil sulle fosfodiesterasi presenti nella retina. Non è stata riscontrata associazione tra inibitori della fosfodiesterasi e danni oculari di grado severo; tuttavia, è bene rivolgere una particolare attenzione ai pazienti con problemi degenerativi della retina che intendono assumere tali farmaci. Alterazioni della visione sono state riportate anche per il vardenafil e per il tadalafil che provoca cianopsia (visione blu), anche se con frequenza minore rispetto al sildenafil. x La digossina presenta un intervallo terapeutico ristretto. Un segno precoce del sovradosaggio è rappresentato dall’alterata visione dei colori, con una predominanza di giallo (più raramente verde, rosso, marrone, blu o bianco). Quando si manifestano sintomi di sovradosaggio è necessario misurare i livelli ematici di digossina, aggiustare la dose e monitorare attentamente il paziente. x L’acido tranexamico, un agente antifibrinolitico, può causare danni retinici associati a disturbi visivi, tra i quali l’alterata percezione dei colori. Questi disturbi spesso si risolvono nell’arco di pochi giorni dalla sospensione del farmaco, ma raramente può persistere qualche disturbo in condizioni di poca luce. Visione a tinte gialle è stata invece riscontrata con l’utilizzo di due diuretici: l’idroclorotiazide e la furosemide. x L’interferone alfa può provocare danni alla retina. Sono stati descritti, anche se rari, casi di diminuzione severa ed irreversibile dell’acutezza visiva e alterazione del campo visivo. La frequenza di disturbi oculari sintomatici/asintomatici nei pazienti che ricevevano interferone alfa (pegilato e non) è stata stimata tra il 20% e l’80% nei primi tre mesi di trattamento. x La didanosina, un farmaco antiretrovirale, può danneggiare la retina e il nervo ottico. Sono consigliati follow-up oculistici annuali. x L’etambutolo può causare neuropatia ottica con un’incidenza tra l’1% e il 18%, in base alla dose giornaliera assunta, durante cicli di trattamento della durata > 2 mesi. Questi disturbi possono riguardare l’acutezza della visione, il campo visivo e la percezione dei colori soprattutto del rosso e del verde; di solito regrediscono nell’arco di settimane o mesi anche se a volte i danni sono irreversibili. Anche l’isoniazide sembra causare neuropatia ottica. x I chinoloni, l’acidonalidixico e la flumechina hanno effetti collaterali di tipo neurosensoriali, tra i quali visione offuscata e cianopsia transitoria. Casi di neuropatia ottica sono stati imputati al linezolid, un farmaco in grado di determinare neuropatia periferica quando utilizzato per trattamenti che durano oltre 28 giorni. Il meccanismo può essere legato all’inibizione della sintesi proteica mitocondriale. Inoltre al metronidazolo sono stati correlati casi di neuropatia ottica, che porta ad alterazione della visione a colori, riduzione dell’acutezza visiva e scotomi. Un deficit residuo può talvolta permanere anche dopo la sospensione del farmaco. Gli antifungini imidazolici, come il voriconazolo, possono alterare la visione dei colori. x La clorochina può danneggiare la retina, soprattutto nei trattamenti a lungo termine e ad alte dosi. Questi danni si manifestano con visione offuscata, difficoltà nel mettere a fuoco, alterazione della percezione dei colori e diminuzione severa dell’acutezza visiva. Questi disturbi possono permanere o addirittura peggiorare una volta sospeso il farmaco. L’overdose da chinina può provocare tossicità a livello oculare. In uno studio su 165 pazienti con sovradosaggio acuto di chinina, il 42% ha manifestato disturbi visivi, quali visione offuscata, alterazione della visione dei colori e dei campi visivi e cecità. Deficit residui possono persistere anche dopo la sospensione del farmaco. I meccanismi eziologici coinvolti includono un danno vascolare e un’azione tossica diretta sulla retina. x La deferoxamina può causare disturbi visivi, specialmente se usato a dosi elevate e per lunghi periodi. Questi disturbi includono cataratta, neuropatia ottica e alterazioni della visione periferica, di quella notturna e dei colori e di norma si risolvono. x FANS, quali l’indometacina ed i suoi derivati, possono provocare neuropatia ottica e alterata visione dei colori. L’idrossiclorochina viene usata a volte nella terapia dell’artrite reumatoide, e come la clorochina può causare retinopatia e alterata percezione dei colori. x Alterata percezione dei colori è stata associata alla carbamazepina ed è dovuta principalmente al danno retinico. Le fenotiazine possono causare disturbi della pigmentazione retinica, fenomeno dipendente dalla dose e dalla durata. Disturbi della percezione dei colori sono stati descritti anche come visione a tinte marroni dovute alla tioridazina ed il fenomeno può anche peggiorare dopo la sospensione del farmaco. Gli inibitori delle mono-amino-ossidasi possono causare danni oculari irreversibili. x L’isotretinoina può indurre alterazioni in tutte le mucose ed epiteli compresi i componenti dell’occhio. Sono state descritte molte reazioni avverse oculari tra cui rare alterazioni nella percezione dei colori risoltesi poi alla sospensione del farmaco. x Il dimenidrinato è un antistaminico che altera la distinzione dei colori. x Il disulfiram invece può causare neuropatia periferica, neuropatia e atrofia ottica. E’ stata descritta un’alterazione della percezione dei colori che persisteva anche fino a due anni dopo la sospensione del farmaco. A cura di Raimondo Russo Anno VIII numero 43 Pagina 39 CONTRIBUTO DEI PAZIENTI ALLA RILEVAZIONE DI SEGNALI DI SAFETY HOW DO PATIENTS CONTRIBUTE TO SIGNAL DETECTION? A RETROSPECTIVE ANALYSIS OF SPONTANEOUS REPORTING OF ADVERSE DRUG REACTIONS IN THE UK’S YELLOW CARD SCHEME Hazell L, Cornelius V, Hannaford P, et al. Drug Safety, pubblicato on line il 27 febbraio 2013 CONTESTO Nel 2005, la segnalazione spontanea delle reazioni avverse da farmaci (ADR) allo Yellow Card Scheme (YCS) del Regno Unito è stata estesa per includere i report dei pazienti. In questo articolo si indaga l'impatto potenziale delle segnalazioni fatte dai pazienti sulla farmacovigilanza. OBIETTIVI Lo scopo di questo studio è stato quello di indagare il contributo relativo delle segnalazioni dei pazienti alla rilevazione del segnale attraverso l'analisi di disproporzionalità. METODI Sono stati analizzati i dati da tutte le segnalazioni presentate direttamente allo YCS tra l'ottobre 2005 e il settembre 2007. Sono stati creati tre set di dati di coppie farmaco-ADR: uno per i report dai pazienti, uno per i report dagli operatori sanitari (HCP) e uno per tutti i report combinati. E’ stato utilizzato il metodo del Proportional Reporting Ratio (PRR) per identificare i segnali di disproporzionalità (SDR) per ogni set di dati. Sono stati confrontati i numeri di DSP identificati dalle segnalazioni dei pazienti e degli HCP, così come il tipo di ADR e farmaco sospetto coinvolto. E’ stata condotta un’analisi di sensibilità per esaminare come la combinazione tra le segnalazioni di pazienti e HCP possa influenzare gli SDR individuati. RISULTATI I dati ricevuti riguardavano 5180 report di pazienti e 20.949 report di HCP, per 16.566 e 28.775 coppie farmacoADR, rispettivamente, con 4340 coppie (10,6%) riscontrate in entrambi i set di dati. Una percentuale significativamente più elevata di SDR individuati da report di HCP riguardava reazioni classificate come gravi dalla Medicines and Healthcare products Regulatory Agency (MHRA) rispetto ai report dei pazienti (n 931, 48,0% vs n 185, 28,5%), o coinvolgeva farmaci di recente commercializzazione (n 596, 30,7% vs n 71, 10,9%). La percentuale di SDR valutati come non elencati nel Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto (RCP) era simile nei gruppi (~15%, sulla base di un campione casuale). Dopo aver combinato i report di pazienti e HCP, 278 (~11%) degli SDR identificati nell’analisi separata non rispondevano più ai criteri di SDR, comprese 12 ADR gravi non incluse nel RCP. D'altra parte, l'insieme di dati combinati identificava ulteriori 508 SDR che non erano stati identificati quando le segnalazioni di pazienti e HCP erano state analizzate separatamente. Circa il 10% (n 47) di questi SDR supplementari sono stati valutati come reazioni avverse gravi che non erano elencate nel RCP. CONCLUSIONI Anche se questo studio è limitato all’esperienza del Regno Unito, nel complesso i risultati suggeriscono che le segnalazioni dei pazienti possono fornire un contributo positivo complementare a quella degli operatori sanitari. Le segnalazioni dei pazienti possono contribuire in modo importante alla sicurezza dei farmaci, individuando diversi SDR non desunti dai soli report degli HCP. La combinazione delle segnalazioni di pazienti e operatori sanitari, tuttavia, quando utilizzata ai fini della rilevazione del segnale mediante analisi di disproporzionalità, può causare la perdita di alcune informazioni. Una possibile strategia è quella di condurre tali analisi utilizzando i report di pazienti e operatori sanitari insieme e separatamente per ogni gruppo. A cura di Raimondo Russo www.pharmades.it Pharma D&S APPROACH to the FUTURE based on EXPERIENCE, INNOVATION and FLEXIBILITY Clinical Trials Clinical Trials Pharmacovigilance Pharmacovigilance Regulatory Affairs Regulatory Affairs Via dei Pratoni 16 - 50018 Scandicci (FI) - +39 055 7224179 - [email protected] Anno VIII numero 43 Pagina 40 NUOVI SOCI BASSANINI STEFANIA NOVARTIS FARMA BERNAREGGI MICAELA JANSSEN-CILAG CICERONE MARINA Comitato Etico Policlinico Gemelli CILIA EMANUELE CSS-MENDEL DEL FIACCO MATTEO ALCON DI LAURO ESTHER JANSSEN-CILAG GATTI BRUNELLA JANSSEN-CILAG LEONARDO ROSALIA JANSSEN-CILAG MERCADANTE DOMENICO DI RENZO PORPIGLIA PASQUALE ALBERTO NOVARTIS FARMA PREVITALI EMANUELA Libero Professionista RAICHUK IULIIA ALCON RANDAZZO NAOMI ALCON Ecco gli undici consiglieri durante la prima riunione dello scorso 6 maggio 2014. Seduti al tavolo (da sinistra): Luigi GODI, Anna PICCOLBONI, Marco ROMANO, Salvatore BIANCO. In piedi (da sinistra): Giuseppe ASSOGNA Sergio CAROLI Rossana BENETTI Marie-Georges BESSE Gianni DE CRESCENZO Domenico CRISCUOLO Simona COLAZZO Hanno collaborato a questo numero: Giovanni Abramo - [email protected] Domenico Barone - [email protected] Salvatore Bianco - [email protected] Elena Bresciani - [email protected] Sergio Caroli - [email protected] Domenico Criscuolo - [email protected] Francesco De Tomasi - [email protected] Roberto Di Virgilio - [email protected] Luciano M. Fuccella - [email protected] Luigi Godi - [email protected] GiovanBattista Leproux - [email protected] Fabio Montanaro - [email protected] Raimondo Russo - [email protected] CONSIGLIO DIRETTIVO Presidente: Marco Romano Vice—presidente: Anna Piccolboni Segretario: Salvatore Bianco Tesoriere: Luigi Godi Consiglieri: Giuseppe Assogna, Rossana Benetti, Marie-Georges Besse, Sergio Caroli, Simona Colazzo, Domenico Criscuolo, Gianni De Crescenzo. Direttore Responsabile: Domenico Criscuolo Comitato editoriale: Giovanni Abramo, Domenico Criscuolo, Gianni De Crescenzo, Francesco De Tomasi, Luciano M. Fuccella, Marco Romano Segreteria editoriale: Sabrina Lucioni Segreteria Organizzativa: Viale Abruzzi 32—20131 MILANO Tel. 02-29536444 Fax. 02-89058506 E-mail [email protected] SSFA oggi Stampa: MEDIA PRINT, Livorno Registrazione del Tribunale di Milano, N. 319 del 14/05/2007 “Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - DCB PRATO” Numero progressivo 43 Periodicità: bimestrale WWW.SSFA.IT