SOCIETA’
DI SCIENZE
FARMACOLOGICHE
APPLICATE
SSFAoggi
SOCIETY FOR APPLIED
PHARMACOLOGICAL
SCIENCES
Notiziario di Medicina Farmaceutica
Bimestrale della Società di Scienze Farmacologiche Applicate
Giugno 2014
numero
Fondata nel 1964
43
Sommario:
LE ELEZIONI DEL CONSIGLIO PER IL TRIENNO 2014 – 2016
Editoriale
1 Durante il Congresso SSFA di Roma, e precisamente in occasione dell’Assemblea dei
Soci che ha chiuso i due giorni di lavori, si sono formalmente concluse le votazioni per il
SSFA incontra AIFA
2 rinnovo del Consiglio.
Lo scrutinio delle schede elettorali si è svolto il giorno 8 aprile 2014 nello studio del notaio
XIII Congresso Nazionale SSFA
Prima sessione
4 dr. Francesco Gallizia in Milano. Scrutatori sono stati la segretaria Sabrina Lucioni ed il
sottoscritto. Questa tornata elettorale ha visto una buona partecipazione dei Soci al voto:
è certamente un fatto molto positivo, che riflette un maggior interesse verso la scelta dei
XIII Congresso Nazionale SSFA
Seconda sessione
6 Consiglieri, che dovranno guidare le attività della SSFA nel prossimo triennio. Le informazioni qui riportate sono disponibili dallo scorso 8 aprile sul sito SSFA: in ogni caso, le ripetiamo. I Soci votanti sono stati 206 (di cui per posta 150, ed in Assemblea 56): non ci sono
XIII Congresso Nazionale SSFA
Terza sessione
9 state schede nulle, mentre è stata inserita una scheda bianca. Quindi le schede valide
sono 205.
XIII Congresso Nazionale SSFA
Quarta sessione
10 Hanno ricevuto voti come Consiglieri i seguenti candidati:
1. Anna PICCOLBONI
98 voti
XIII Congresso Nazionale SSFA
2. Gianni DE CRESCENZO
80 voti
Tavola Rotonda
11
Oggi parliamo di…………
12
3. Luigi GODI
79 voti
4. Marie-Georges BESSE
70 voti
Clinical monitor UNI
15
5. Marco ROMANO
66 voti
17° Congresso IFAPP
16
6. Domenico CRISCUOLO
56 voti
Seminario FE&MA
17
7. Salvatore BIANCO
53 voti
The Lancet
18
8. Rossana BENETTI
46 voti
9. Giuseppe ASSOGNA
38 voti
British Medical Journal
20
10. Simona COLAZZO
33 voti
GdL Medicina Complementare
22
11. Sergio CAROLI
29 voti
Notizie dai Master
24
Il libro di oggi
29
Il giuramento di Ippocrate
30
Notizie BIAS
33
L’uso dei farmaci in Italia
34
ADR
35
Nuovi Soci
40
Seguono altri candidati con un numero minore di voti.
Ha ricevuto voti come Revisore dei conti:
Simona SGARBI
129 voti
Il giorno 6 maggio il nuovo Consiglio è stato convocato ed ha deliberato l’attribuzione delle
seguenti cariche:
Presidente
Marco Romano
Vice Presidente
Anna Piccolboni
Tesoriere
Luigi Godi
Segretario
Salvatore Bianco
Il prossimo numero di SSFA oggi ospiterà una formale presentazione dei Consiglieri eletti
alle quattro cariche sociali.
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Domenico Criscuolo
Anno VIII numero 43
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SSFA incontra AIFA
Lo scorso 7 Marzo 2014 una delegazione SSFA, costituita dal Presidente Gianni De Crescenzo, dal Segretario Luigi
Godi, da Francesco De Tomasi (Master
Università Cattolica) e da Luciano M.
Fuccella (Master Università di Milano
Bicocca) ha incontrato a Roma il Direttore Generale di AIFA, prof. Luca Pani,
accompagnato dalla dr.ssa Donatella
Gramaglia e dal dr. Michele Marangi.
All’ordine del giorno dell’incontro tre argomenti:
1) il tema della relazione del prof. Luca
Pani al XIII Congresso Nazionale SSFA,
ossia “Il parere di AIFA”, nella sessione
“Immagine dell’industria farmaceutica”;
2) la situazione dei Comitati Etici dopo il
Decreto Ministeriale;
3) la proposta, pervenuta da PharmaTrain, di realizzare in Italia un corso di
formazione e di aggiornamento (CPD)
per gli addetti alla ricerca clinica.
In merito al primo punto all’ordine del
giorno, il prof. Pani ha confermato la sua
partecipazione al Congresso ed assieme
alla dr.ssa Gramaglia ed al dr. Marangi
provvederà ad inviare quanto prima una
sinossi della sua relazione.
In merito al secondo punto all’ordine del
giorno, la dr.ssa Gramaglia ha fatto presente che, nonostante i termini per la
riorganizzazione dei Comitati Etici siano
già scaduti da qualche mese, alcune
regioni (Marche,
Calabria, Molise
e la provincia
autonoma di
Bolzano) non
hanno ancora
deliberato in
materia. Al momento comunque si è avuta
una sensibile
diminuzione del
numero dei Comitati Etici (circa
83), il che presuppone per una
futura attività più
omogenea ed il
rispetto dei tempi.
Sul terzo punto
all’ordine del
giorno, forse il
più importante, si
sono illustrati ad
AIFA obiettivi ed
attività del progetto Pharma
Train e si è prospettata una
collaborazione
con AIFA in linea
con i programmi
di armonizzazione e validazione
europee della
formazione del
personale coinvolto nella speri(Continua a pagina 3)
Anno VIII numero 43
(Continua da pagina 2)
mentazione con farmaci.
Il programma Pharma Train si propone
di giungere alla attribuzione del titolo di
“Specialist in Medicines Development
(SMD)”, con aggiornamento continuo
affidato a società scientifiche nazionali
(ad es. SSFA, in collaborazione con SIF
e/o SIFO) insieme ad università, mediante programmi triennali o quinquennali e con verifiche annuali. In un mondo
in continua evoluzione quale quello della
scoperta e dello sviluppo dei farmaci,
dove in misura crescente si assiste alla
esternalizzazione della ricerca preclinica e clinica, è indispensabile non
solo assicurare la presenza di professionisti con approfondita preparazione conseguita con appropriate tecniche di insegnamento garantendo anche un aggiornamento continuo (CPD: Continuing
Professional Development), ma anche
assicurare che gli sperimentatori clinici
siano partecipi di questo processo di
aggiornamento professionale.
E’ evidente che il conseguimento di un
programma internazionale del genere
aumenta anche sensibilmente le occasioni di lavoro in quanto chi ha conseguito il titolo post-laurea potrà facilmente
trovare occupazione in tutti i paesi che
prendono parte al programma stesso.
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La SSFA, società scientifica dei ricercatori del
farmaco, festeggia nel
2014 i suoi primi 50 anni
di vita: nel corso di questo
periodo rappresentanti
SSFA si sono distinti per aver attivato
con successo corsi di aggiornamento su
tutte le attività legate al mondo del farmaco (dalla sperimentazione preclinica
alla sperimentazione clinica, dagli affari
regolatori alla farmacovigilanza, alla
farmacoeconomia ed alla qualità). Riteniamo pertanto di avere non solo le competenze necessarie per attivare un percorso di verifica periodica, ma anche il
know-how per gestire questo processo,
che è già presente presso i diversi
master in cui sono attivi docenti SSFA.
Naturalmente in questo processo di implementazione di un programma di CPD,
SSFA ritiene importante poter contare
sulla collaborazione di autorevoli rappresentanti di altre istituzioni come ad esempio AIFA, ISS, Ministero della Salute
e di altre società scientifiche (ad esempio SIF, SIFO, SIAR). Sarebbe opportuno costituire un comitato CPD con tali
rappresentanti, che abbiano mandato di
delega come esperti validati, i quali svolgerebbero la funzione di tutor per coloro
che partecipino al programma di CPD.
Il prof. Pani ha dato la disponibilità di
AIFA alla massima collaborazione in tale
progetto nell’ambito delle attività di educazione e formazione del personale addetto alla ricerca clinica.
Verranno concessi a tale iniziativa spazi
sul sito AIFA, dove dovranno essere
riportati (sia in lingua italiana che in lingua inglese) una nota introduttiva per poi
rimandare ai siti istituzionali di SSFA,
SIF e SIFO per i dettagli operativi. AIFA
non concederà né speciali finanziamenti
né alcuna attività operativa (intesa come
IT) da parte di esponenti dell’Agenzia.
Gli aspetti tecnici saranno successivamente vagliati dagli addetti ai lavori.
Luigi Godi
About Chiltern:
Established in 1982, Chiltern is a leading global clinical CRO with extensive experience in
the management of Phase I-IV clinical trials across a broad range of therapeutic areas,
functional service provision and contract staffing solutions. Chiltern has conducted trials
in more than 40 countries, employs more than 1,600 people globally and offers services in
Early Phase, Global Clinical Development, Late Phase, Biometrics, Medical and Regulatory
Affairs and Resourcing Solutions. Chiltern prides itself as a development partner that offers flexibility, responsiveness and
quality delivery.
Chiltern International srl
Via Nizzoli, 6
20147 Milano
Tel +39 02 8978941
Fax +39 02 37050170
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TREDICESIMO CONGRESSO NAZIONALE SSFA
Roma, 31 marzo-1 aprile 2014
Il nostro Congresso Nazionale ha avuto
un buon successo: sono intervenuti, fra
iscritti, relatori e moderatori, circa 150
colleghi che hanno contribuito, con interessanti presentazioni e con un vivace
dibattito, all’ottima riuscita delle due giornate di lavori. Il motto del congresso era
“I 50 anni di SSFA e la ricerca in Italia”:
abbiamo voluto coniugare le celebrazioni dei primi 50 anni di vita della nostra
associazione, con lo stato della ricerca
nel nostro Paese, e soprattutto sulle
prospettive di una futura crescita, che
tutti auspichiamo. Eccovi, come promesso nel numero scorso, una sintesi degli
interventi.
PRIMA SESSIONE
Il tema della prima sessione del congresso, e non poteva essere altrimenti data la
vocazione della SSFA, è stata incentrata
sul Nuovo Regolamento Europeo. I lavori
della sessione sono stati articolati in quattro presentazioni che hanno permesso di
analizzare il regolamento e le sue implicazioni da differenti punti di vista, tutti di estrema importanza.
Il prof Vincenzo Salvatore, docente di
Diritto dell’Unione Europea presso
l’Università dell’Insubria, è intervenuto
sul tema “il perché di un nuovo regolamento europeo sulle sperimentazioni
cliniche”. L’esperienza quasi decennale
del prof Salvatore presso l’ufficio legale
dell’EMA ha contribuito a rendere ancora più significativa la Sua partecipazione. Dopo aver evidenziato il fatto che
era necessario per l’Unione Europea
intervenire per salvaguardare il ruolo
giocato dai Paesi Membri nella sperimentazione clinica vista la progressiva
riduzione degli studi registrati in Europa
negli ultimi anni, il professore ha rapidamente passato in rassegna le principali
novità introdotte con il regolamento .
Interessante , a tale proposito, il distinguo messo in luce tra il ruolo dell’EMA
che sancirà la necessità di acquisire
nuove evidenze ed il ruolo degli Stati
Membri che fungeranno da valutatori
delle diverse proposte di studi e delle
modalità della loro esecuzione. Da que-
sta premessa il professore ha insistito
sull’importanza del Portale Unico che
assorbirà EudraCT, sui diversi ruoli del
Pease rapporteur e dei Paesi interessati,
del flusso che sarà seguito per la valutazione delle diverse proposte con la loro
sottomissione attraverso il PU, l’analisi
della parte I “generale” e della parte II
“nazionale”. Particolare attenzione il
professore ha dedicato ad una delle
ragioni principali di cambiamento ovvero
la necessità di una maggiore trasparenza per l’acquisizione di informazioni sulle
sperimentazioni cliniche che dovrà essere garantita con i soli limiti determinati
dalla protezione di dati personali, di dati
commerciali sensibili e che non interferiscano con il compito di monitoraggio
accurato degli studi che gli Stati membri
devono esercitare. In merito il Professore ha parlato di passaggio da un accesso reattivo alle informazioni ad una loro
messa a disposizione proattiva da parte
della Agenzia Europea. Cosa debba costituire una informazione commerciale
sensibile e quindi non accessibile al
pubblico rimane uno dei punti critici sul
quale non si è ancora arrivati ad una
definizione condivisa. Altro aspetto importante ed innovativo è il concetto di co
-sponsorizzazione introdotto dal nuovo
regolamento, per il quale sarà possibile
che più sponsor possano proporre uno
stesso studio clinico, previa chiara definizione delle responsabilità di ciascuno
sponsor. Infine è stato esaminato dal
relatore anche l’aspetto assicurativo che
sarà “proporzionato al rischio”. Mentre
infatti dovrà essere garantita una copertura assicurativa per gli studi clinici, tale
copertura non sarà obbligatoria per i
cosidetti studi clinici a basso livello di
intervento.
L’intervento del dr Carlo Tomino, Responsabile dell’Ufficio Sperimentazione
Clinica dell’AIFA, è stato incentrato sulla
Posizione AIFA.
Il dr Tomino ha confermato, mostrando i
dati dell’Osservatorio della Sperimentazione Clinica, il trend in decrescita del
numero degli studi clinici che interessano centri italiani.
Dopo aver ripercorso le principali novità
introdotte ed avere ricordato che, a differenza di quanto in atto con la direttiva
2001/20/EC, il nuovo Regolamento ha
carattere vincolante per tutti gli Stati
Membri, sono stati affrontati alcuni punti
di particolare rilevanza: la scelta del Paese Rapporteur è fatta dallo sponsor,
sono definiti criteri di silenzio/assenso
per la risposta da parte degli Stati Membri interessati. Il relatore ha evidenziato
che entrambi questi punti hanno suscitato discussioni perchè potrebbero determinare, da una parte una concentrazione dei Paesi che fungono da rapporteur
e, dall’altra, una scarsa partecipazione
dei Paesi Membri che avessero difficoltà
con le tempistiche imposte. Altro punto
importante del documento messo in risalto è il ruolo dei Comitati Etici .
La valutazione etica avverrà a livello
centrale e gli Stati Membri saranno liberi di intervenire o meno . Nel caso in cui i
CE vogliano intervenire dovranno comunque farlo attraverso il Portale Unico.
E’ inoltre stato sottolineato che
l’interazione comporterà la necessità di
riunioni molto più frequenti (settimanali)
dei Comitati Etici. E’ stato fatto notare
che la cosa appare molto problematica
per il sistema italiano dovendo giudicare
anche alla luce di quanto è avvenuto
con la recente riorganizzazione dei comitati etici in Italia (DM 8/2/2013). Sono
poi state illustrate le tempistiche previste
dal documento che appaiono tutte estremamente sfidanti per il carico di lavoro
che impongono e che richiederanno
un’organizzazione ad hoc.
La copertura assicurativa, necessaria
per tutte le sperimentazioni che non siano quelle a basso livello di intervento e
la cui organizzazione e copertura è demandata a ciascun Paese Membro, sarà
un altro punto critico richiedendo, per
l’Italia, un lavoro “ex novo”.
Il dr Tomino ha chiuso il Suo intervento
sottolineando che le sfide che il nuovo
regolamento impone sono molte e complesse, ha auspicato che l’Italia sappia
cogliere l’opportunità di valorizzare la
(Continua a pagina 5)
Anno VIII numero 43
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sperimentazione clinica non solo come
valore insostituibile per la salute pubblica ma anche come opportunità di sviluppo economico come messo in evidenza
dal Governo inglese in un documento
recentemente reso pubblico.
I lavori sono poi continuati con
l’Intervento del dr Maurizio Agostini, direttore della Direzione TecnicoScientifica di Farmindustria, che ha espresso la posizione di Farmindustria. Il
dr Agostini ha esordito elencando le
opportunità che il regolamento offre in
termini di semplificazione: una tempistica certa legata alla procedura del silezio
-assenso e la possibilità di un coinvolgimento allargato a tutti i Paesi Membri. Il
regolamento sarà sottoposto alla valutazione del Parlamento Europeo, il 3 o 4
Aprile e diventerebbe operativo due anni
dopo la pubblicazione sulla Gazzetta
Ufficiale e comunque sei mesi dopo
l’attivazione del Portale Unico e della
Banca Dati ( dove saranno riversati e
conservati tutti i dati delle sperimentazio-
ni cliniche). Dopo aver illustrato le tempistiche per ogni fase di approvazione
(tabella) delle nuove sperimentazioni, il
relatore ha evidenziato il fatto che,
nell’ambito degli aspetti assicurativi, è
stata abolita la previsione di un meccanismo di indennizzo nazionale (ex art.73)
ribadendo che gli aspetti assicurativi
rimangono un’area critica per la quale
sarà necessaria ulteriore chiarezza, soprattutto in ambito nazionale.
Sono anche stati illustrati gli interventi
sanzionatori previsti. E’ poi stato posto
l’accento sull’opportunità di creare un
network per i Comitati Etici per accelerare il loro coinvolgimento e favorire una
valutazione etica approfondita e condivisa da tutti gli Stati Membri interessati.
Altra considerazione rilevante espressa
è che, ove fosse applicato il tempo massimo concesso per l’approvazione, il
processo approvativo Europeo risulterebbe tra i più lunghi a livello internazionale. Sono stati mostrati dati che evidenziano come, a fianco alla riduzione di
studi clinici, si assista anche ad un decli-
no del numero degli addetti alla sperimentazione, il che costituisce un grave
danno al nostro Paese considerando
l’alto livello professionale e la qualità di
quanti operano in questo settore.E’ stato
avanzato il suggerimento di avere sia un
contratto standard sia requisiti assicurativi standard applicabili in tutti i centri
clinici per superare rigidità di sistema
che chi si occupa di ricerca clinica in
Italia ben conosce. Il dr Agostini, dopo
aver illustrato delle iniziative che Farmindustria ha recentemente attivato con
alcune Regioni a favore della sperimentazione clinica (definizione di un contratto unico regionale con le regioni Lombardia, Veneto, Toscana e Liguria) ha
chiuso il suo intervento articolando una
proposta di collaborazione che prevede
la formazione immediata di una task
force nella quale siano rappresentati tutti
i protagonisti della sperimentazione clinica (AIFA, ISS, Regioni, CE, farmacologi,
clinici e Farmindustria) che sia in grado,
entro due mesi, di fare una mappatura
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Tempi autorizzativi
Proposta di Regolamento
Procedura di autorizzazione
Min (giorni)
Max (giorni)
(con clock stop)
Sperimentazione clinica
60
(10+45+5)
106
(25+76+5)
Sperimentazione clinica di terapie
avanzate
110
(10+95+5)
156
(25+126+5)
Emendamento sostanziale
49
(6+38+5)
95
(21+69+5)
Emendamento sostanziale di una
SC di terapie avanzate
99
(6+88+5)
145
(21+119+5)
Aggiunta di uno Stato membro
52
83
6
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(Continua da pagina 5)
della situazione italiana e di elaborare un
piano di intervento per adeguarsi ai requisiti previsti. Entro un anno dalla pubblicazione del regolamento la task force
dovrebbe proporre linee guida e un piano di formazione da rendere operativi su
tutto il territorio nazionale per portare tra
due anni, ovvero al momento della definitiva operatività del nuovo regolamento,
il sistema ad essere completamente
allineato e pronto a lavorare nel rispetto
della nuova normativa, e rendere quindi
l’Italia realmente competitiva nel panorama internazionale.
La sessione si è conclusa con l’intervento del professor Alessandro Mugelli,
Direttore del Dipartimento di Neuroscienze, Psicologia, Area del Farmaco e Salute del Bambino dell’Università di Firenze,
il quale nel Suo ruolo anche di Presidente del Comitato Etico per la Sperimentazione Clinica -Regione Toscana ha portato la posizione dei Comitati Etici.
Il professore ha condiviso la opportunità,
fornita dall’introduzione di una nuova
normativa, di non appesantire l’aspetto
burocratico della sperimentazione clinica
che nulla aggiunge alla qualità della ricerca e, semmai, ne rappresenta un
ostacolo.
Nel contempo ha però anche espresso
perplessità sulle modalità, carenti, per il
coinvolgimento dei CE così come attualmente previste nel Regolamento.
Già nel documento di revisione della
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Direttiva 2001/20/CE, reso pubblico dalla
Comunità Europea nel 2011, si auspicava una maggiore attenzione ai problemi
etici piuttosto che sugli aspetti economici
e regolatori. Nel medesimo documento
si auspicava un maggior coinvolgimento
dei CE e la creazione di una piattaforma
comune per favorire gli scambi tra i diversi comitati dei diversi Stati Membri
nonchè una difficoltà per i CE di esprimere un parere sui moduli di consenso
informato senza una adeguata conoscenza del protocollo di studio relativo. Il
professore ha sottolineato come il Regolamento non definisca quale organismo
sia demandato alla valutazione degli
aspetti etici della sperimentazione, lasciando a ciascuno Stato Membro la
responsabilità di decidere quale sia
l’organo responsabile di questa funzione. Viene poi rimarcato che il nuovo
regolamento,
favorendo
un’approvazione centrale, rischi di compromettere un completo allineamento
con la Dichiarazione di Helsinki la quale
prevede la protezione di tutti i soggetti
coinvolti nella sperimentazione clinica. Si
auspica quindi che il Regolamento includa in modo diretto ed inequivocabile la
necessità di una valutazione , preliminare all’approvazione della ricerca, degli
aspetti etici della ricerca stessa e che
tale valutazione debba essere condotta
da un comitato del quale dovrebbe essere ben definita la composizione.
Il professore ha infine concluso il Suo
intervento chiarendo che il regolamento
sancisce comunque la necessità di una
approvazione data da un ragionevole
numero di persone indipendenti , includendo anche non esperti di settore, che
valutino congiuntamente il protocollo e
che il regolamento non limita tale approvazione ai soli aspetti etici accettando
quindi l’inscindibilità tra scienza ed etica.
E’ ragionevole dunque pensare che i
Comitati Etici mantengano la loro funzione ma l’essere pronti al recepimento del
Regolamento nei tempi previsti dalla
Comuniità Europea rimane una sfida
aperta.
GiovanBattista Leproux
SECONDA SESSIONE
Questa sessione, moderata da Francesco De Tomasi e da Marco Corsi, si prefiggeva di delineare l’immagine
dell’industria farmaceutica attraverso il
parere di tre figure professionali molto
spiccate: l’editorialista di un peer reviewed journal ( prof. Achille Patrizio Caputi), il Direttore Generale di AIFA (prof.
Luca Pani) , un noto farmacologo ( prof.
Luciano Caprino). La sessione è stata
modificata nella sequenza degli interventi perchè il prof. Pani, volendo onorare
l’impegno di esprimere il proprio parere
e dovendo, nel primo pomeriggio, partire
per Londra per impegni istituzionali, ha
chiesto di anticipare la sua relazione.
Il prof. Luca Pani ha percorso veloce(Continua a pagina 7)
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(Continua da pagina 6)
mente le tappe delle conquiste scientifiche degli ultimi 200 anni partendo dalle
osservazioni di Pasteur nel 1859 per
giungere agli interventi farmacologici più
recenti come l’approvazione, da parte di
EMA, di Glybera, primo prodotto di terapia genica, riconoscendo il ruolo fondamentale dell’industria farmaceutica ed il
valore della sperimentazione clinica. In
questo suo percorso il prof. Pani ha individuato e delineato un nuovo modo di
valutazione della performance degli studi clinici, che, di conseguenza si ripercuote su una nuova impostazione degli
approcci preclinici e clinici per arrivare a
rendere disponibile il farmaco, possibilmente in tempi anticipati rispetto al passato, soprattutto per farmaci con elevato
bisogno medico insoddisfatto, riconoscendo un moderato grado di incertezza
sull’efficacia ma non sul rischio. Questo
percorso, che delinea il coinvolgimento
del paziente nella ricerca e sviluppo di
un farmaco fin dalle prime fasi, si svolge
nel programma di ricerca, sviluppo dei
quesiti di ricerca, selezione degli esiti e
dei comparatori, reclutamento, traslazione e diffusione dei risultati. In tutto questo nuovo processo, in parte già iniziato,
importante sarà il dialogo con le agenzie
regolatorie. Ha poi, ha focalizzato la sua
analisi sulla situazione italiana ricollegandosi ai risultati del XII rapporto nazionale sull’uso dei farmaci nel 2012,
anno in cui, nonostante il persistere della crisi globale, il numero degli studi clinici è rimasto invariato con una tenuta del
numero degli studi delle fasi precoci e
con una consistente presenza di studi
clinici no profit, particolarmente sostenuti
da AIFA, ed in aumento anche gli studi
di tipo osservazionale. L’area oncologia,
l’area neuropsichiatria, l’area cardiovascolare, per le eccellenze italiane in questi settori, sono in grado di attrarre più
ricerca in Italia. Il prof. Pani ha concluso
il suo intervento con un accenno al nuovo regolamento europeo, alle prossime
tappe ed agli effettivi cambiamenti, affermando come sia importante il ruolo di
AIFA a livello regolatorio internazionale
per attrarre investimenti sul territorio
nazionale e come un rapido processo di
riorganizzazione dei comitati etici sia la
premessa per non perdere competitività
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a livello internazionale. Ponendo infine
la domanda se, per un nuovo modello di
business scientifico, l’industria e gli altri
attori siano pronti. Vi è stato anche tempo per alcune domande, in genere di
approfondimento delle modifiche annunciate; in particolare vi è stata una domanda sull’osservatorio degli studi clinici. La risposta ha confermato che è stato
necessario molto tempo per poter trovare una piattaforma capace di dialogare
con EMA, ma che ora l’attività e la funzione dell’osservatorio è ripresa.
La sessione è proseguita con l’intervento del prof. Achille Patrizio Caputi,
che ha iniziato la sua presentazione
citando Stephen Carney, che individua
nell’attuale situazione di crisi un momento di particolare tensione per le industrie
farmaceutiche messe alla prova dalla
riduzione del numero di nuove molecole
che arrivano al mercato, dalle richieste
sempre più onerose delle autorità regolatorie , dalle richieste degli stessi pazienti ed infine dalle attese degli investitori. Ma, secondo il suo parere, la situazione è molto più complessa perché
esiste una differenza tra i benefici attesi
o prospettati ed i rischi potenziali o manifesti dei nuovi farmaci, così come risultano dalle sperimentazioni. Spesso,
poi, l’orientamento degli sponsor in merito agli obiettivi di una ricerca è verso
priorità utili a se stessi, piuttosto che ai
pazienti, comportamento che distorce
dall’ottenimento di un risultato imparziale. Il prof. Caputi riporta una serie di
pubblicazioni che evidenziano come tra
il 1999 ed il 2005 su 122 nuovi farmaci
solo il 10% dimostrarono una superiorità
statisticamente significativa su obiettivi
clinici primari, rispetto ai farmaci esistenti. Per dimostrare un’efficacia superiore
dei nuovi farmaci sono necessari studi
comparativi, spesso a lungo termine,
valutati criticamente anche alla luce dei
dati di prescrizione. Esiste un’ulteriore
condizione che ci induce a riflettere:
un’alta percentuale di lavori pubblicati
dalle riviste scientifiche è sostenuta dalle
industrie farmaceutiche direttamente o
tramite l’acquisto di ristampe da consegnare ai medici per rafforzare il messaggio sui farmaci da loro prodotti e, d’altra
parte, gli editori traggono enormi profitti
da questa pratica; in sintesi si tratta di
un reale conflitto di interessi. Sarebbe
opportuno indagare su questa attitudine
e qualcosa in tal senso è stata fatta: una
indagine ha messo in luce che più dell’
80% delle ristampe non viene letto, il
margine di guadagno per gli editori sulle
ristampe è di circa l’80 %. Le testate più
richieste dalle industrie farmaceutiche
sono: Lancet, Lancet Neurology, Lancet
Oncology, BMJ, Gut, Heart, Journal of
Neurology, Neurosurgery &Psychiatry,
che vengono scelte per la loro notorietà
e per i nomi di illustri autori, che conferiscono maggiore credibilità agli articoli,
con la finalità di promuovere i farmaci
oggetto degli studi. Si pone a questo
punto un drastico quesito: le riviste
scientifiche debbono evitare di pubblicare ricerche commissionate dall’industria?
Alcuni rispondono di si, altri rispondono
di no ed i sostenitori di ciascuna delle
tesi portano un elenco di buone ragioni.
Per superare queste condizioni è necessario trovare il giusto equilibrio tra benefici e rischi di un nuovo trattamento ponendo accurata attenzione sia ai rischi
che ai benefici documentati al momento
dell’approvazione del farmaco, e mantenendo attiva la sorveglianza quando il
farmaco viene impiegato su popolazioni
più ampie e con più patologie. Gli studi
clinici randomizzati offrono un’eccellente
opportunità per valutare i danni di un
intervento medico quando impiegano
disegni sperimentali robusti, disponibili
nella ricerca clinica. Bisogna, quindi,
cambiare rotta, evitando studi che ignorino o sottovalutino gli eventi avversi e
tenendo in gran conto il principio: “ primum non nocere”. Il prof. Caputi, conclude il suo corposo intervento ancora con
una citazione, questa volta di Rosina
Salerno (WHO), “ Siccome siamo in un
periodo di crisi economica ci dobbiamo
chiedere quale tipo di salute pubblica il
sistema è in grado di sostenere”.
Il prof. Luciano Caprino ha concluso la
sessione illustrando le “Conquiste della
farmacologia negli ultimi 50 anni”. Dagli
anni 50, infatti, la farmacologia compie
un passo di straordinaria portata e questo modifica in maniera radicale la terapia medica. Nuove metodologie di ricerca di base e clinica consentono di individuare, meglio e con maggior sicurezza,
(Continua a pagina 8)
Anno VIII numero 43
(Continua da pagina 7)
nuove classi di farmaci potenti che vanno dagli antiipertensivi, agli antibiotici,
agli psicofarmaci, fino agli antitumorali e,
più recentemente ai farmaci biologici. Un
passo importante è stato fatto con la
scoperta e l’identificazione dei recettori.
Nella sua carrellata, egli si sofferma sulla nascita dei farmaci antiipertensivi che
vanno a modificare gli atteggiamenti
medici più svariati (terapia psichica, riposo assoluto, dieta latteo-vegetativa, iposodica, qualche lassativo) con l’impiego,
dal 1952 in poi, di reserpina, guanetidina, clorotiazide, clonidina: farmaci attivi
a diversi livelli, individuati parallelamente
alle scoperte sul sistema di controllo
della pressione arteriosa sia a livello
centrale che a livello periferico. Nel 1968
vengono individuati i beta bloccanti, una
categoria molto folta: in contemporanea
vengo scoperti i calcio antagonisti e,
successivamente, negli anni 70 gli ACE
inibitori ed i sartani. Nella classe degli
antibiotici, il prof. Caprino ha tenuto a
ricordare come ben prima di Fleming sia
stato un medico della marina militare
italiana, il dr. Vincenzo Tiberio, molisano, laureatosi a Napoli, a scoprire, nel
1893, il potere antibiotico di alcune muffe, di cui pubblicò i risultati nel 1895, ma
la sua scoperta non fu pubblicizzata.
Fleming nel 1943 utilizzò la penicillina
per curare alcuni soldati americani. Una
serie numerosa di vari tipi di antibiotici
seguì negli anni successivi ed il contributo di ricercatori italiani non mancò,
come avvenne con la scoperta di Brotzu
a Cagliari, che portò ad individuare le
cefalosporine. Altra importante classe di
farmaci, scoperti dagli anni 50 fino ai
70, è rappresentata dagli antipsicotici,
dagli antidepressivi, dagli ansiolitici, per
poi arrivare agli anni 90 con gli antipsicotici atipici, come olanzepina e risperidone. Il prof. Caprino, si è soffermato
anche su altre classi di farmaci come
quelli “contro il mal di mare” ( scopolamina, dimedrinato, difenidramina); quelli
“contro il rischio di patologie” (statine ed
antiaggreganti piastrinici); “i farmaci antiulcera” che hanno definitivamente rivoluzionato il precedente impiego della
chirurgia (dalla cimetidina, alla ranitidina
e poi all’omeprazolo); i farmaci anti
AIDS, che hanno permesso di ridurre la
Pagina 8
mortalità e di
consentire una
lunga sopravvivenza
in
condizioni
accettabili; i
farmaci antidiabetici (dalle
sulfaniluree, ai
biguanidi, ai
glitazonici, fino
agli incretinomimetici) ; i
farmaci anticoagulanti
(dall’eparina,
1916, al warfarin,
1948,
alle eparine a
basso peso
molecolare,
1980, e, più
recentemente,
ai NAO, nuovi
anticoagulanti
orali,
come
rivaroxaban,
apixaban,
dabigatran,
2009-2013). I
farmaci biotecnologici, nati
dalla tecnica
del DNA ricombinante a
partire dal 1972, hanno avuto una costante e rapida espansione che ha per-
Foto del dr. Vincenzo Tiberio
messo di produrre molte sostanze utilizzate in clinica come l’insulina, l’ormone
della crescita, l’ormone follicolo stimolante, le interleuchine, l’eritropoietina.
Dal 1998 in poi, inoltre, la possibilità di
costruire anticorpi monoclonali ha consentito l’uso di terapie “mirate” nella cui
categoria si inseriscono gli ultimi farmaci
antitumorali (quali ad esempio, trastuzumab, cetuximab e tanti altri che vengono
proposti per il trattamento di specifiche
patologie tumorali). Nel concludere la
sua presentazione, ha parlato del recente “scandalo” Avastin–Lucentis citando i
risultati dello studio CATT per
l’equivalenza dei due farmaci, sia sul
piano dell’efficacia che della sicurezza,
nel trattamento della degenerazione
maculare ed, infine, ha presentato il suo
volume “ Il farmaco: 7000 anni di storia,
(Continua a pagina 9)
Anno VIII numero 43
(Continua da pagina 8)
dal rimedio empirico alle biotecnologie”,
pubblicazione edita in italiano ed in inglese (già recensita sul numero 32 di
SSFAoggi) e reperibile sul sito AIFA, da
cui è possibile scaricarla gratuitamente.
Francesco De Tomasi
TERZA SESSIONE
La terza sessione del Congresso “Crisi
finanziaria e suo impatto sulla ricerca” è
stata moderata da Luciano M. Fuccella e
da Luigi Godi. Ai relatori era stato richiesto di centrare gli interventi sul tema
della crisi finanziaria e del suo impatto
sulla ricerca clinica che si svolge presso
le relative istituzioni, sulle attività messe
in atto per contrastare la crisi finanziaria
del settore ed identificare quali possano
essere gli strumenti migliori affinché ciò
non influisca significativamente sulla
entità e qualità della ricerca clinica in
Italia, senza dimenticare di focalizzare
l'attenzione anche sugli aspetti occupazionali.
Il prof. Massimo Fini, Direttore Scientifico dell’IRCCS San Raffaele Pisana di
Roma, ha evidenziato come i 48 IRCCS
presenti sul territorio nazionale, a fronte
del mancato raggiungimento da parte
dell’Italia (così come negli altri stati
membri) della quota del 3% del PIL investito in ricerca, come sancito dal Consiglio Europeo nel 2002 (media europea
2,2%), hanno incrementato i propri risultati : + 99,5% del numero di pubblicazioni (10.834 nel 2012), incremento del
numero di addetti alla R&S (9.575 nel
2012), mantenendo gli autori italiani il
primo posto nella ricerca scientifica sia
per quanto riguarda il numero di articoli
per ricercatore (0,7/anno nell’ultimo quadriennio) che per citazioni/ricercatore
(6,6/anno nell’ultimo quadriennio). Non
vanno di pari passo purtroppo i fondi
dedicati alla ricerca e sviluppo presso gli
IRCCS: infatti la quota di finanziamento
medio per IRCCS è passata da 5 milioni
di euro nel 2000 a 3,15 milioni di euro
nel 2013, con un decremento del 37%,
con una ulteriore diminuzione a 2,23
milioni di euro se si considera anche il
tasso di inflazione. Altro dato preoccupante è anche l’incapacità degli istituti di
ricerca (pubblici e privati) di utilizzare
Pagina 9
totalmente le quote di finanziamento che
arrivano dall’UE: l’Italia è stata in grado
di utilizzare solo il 62,9% dei finanziamenti ottenuti nell’ambito del 7° programma quadro. Nel secondo intervento, il prof. Francesco Rossi (Rettore della Seconda Università di Napoli e Presidente della Società Italiana di Farmacologia), ha ribadito lo stato di sofferenza
della ricerca in Italia, e come in Europa
solo alcuni Paesi (Finlandia, Svezia e
Danimarca) siano in grado di superare
stabilmente la quota del 3% del PIL. La
quota di finanziamenti per la ricerca in
Italia deriva solo per il 44,2% dalle imprese e questo dato ci pone all’ultimo
posto tra i Paesi cosiddetti industrializzati. Gli ultimi anni hanno poi visto decrescere il numero di sperimentazioni cliniche (-23% dal 2008), il numero di addetti
alla R&S (-11.500 negli ultimi 6 anni), la
quota di investimenti totali (-2,5%) e del
profitto del settore (-30% dal 2007).
Nonostante ciò, i ricercatori italiani
(secondo i dati de “The SCImago
Journal & Country Rank”) sono al 6°
posto nella classifica mondiale per numero di pubblicazioni ed al 2° posto
nella classifica europea. Al fine di promuovere la ricerca clinica, la SIF ha creato una rete tra tutti i centri nazionali di
farmacologia clinica (25 in totale) al fine
di espletare attività di monitoraggio terapeutico del farmaco, di effettuare informazione (il trial clinico del mese nel sito
internet SIF, il “Research Day”) e formazione tra gli addetti ai lavori e non
(summer school of clinical pharmacology, attiva presenza a master universitari). Tuttavia la SIF vede nella sinergia
e coesione tra le società scientifiche e
l’industria farmaceutica la sfida per il
progetto Horizon 2020, il nuovo programma di finanziamento integrato destinato alla ricerca approvato dal parlamento europeo e consistente in 78,6
miliardi di euro per il periodo 2014-2020.
Domenico Criscuolo (Presidente della
biotech Genovax) ha invece incentrato il
suo intervento sulla realtà emergente
delle biotech rosse (dedicate alla salute)
in Italia. L’Italia è stata all’avanguardia
nel campo della ricerca farmaceutica
con alcuni grandi ricercatori quali Carlo
Erba, Giovanni Battista Schiapparelli,
Achille Sclavo e Roberto Giorgio Lepetit:
tutti ricercatori prima ed imprenditori poi,
che hanno contribuito alla scoperta di
caposaldi terapeutici nel trattamento
della tubercolosi con la rifampicina
(Lepetit) e nell'oncologia con
l’adriamicina (Farmitalia). Delle numerose aziende farmaceutiche presenti negli
anni ’60 (oltre 300), oggi ne sono rimaste molto poche con capitale ancora
nelle mani di imprenditori italiani; contemporaneamente però le aziende biotech sono cresciute notevolmente, tanto
che l’Italia (con circa 250 aziende e
6,233 addetti in R&S) si pone al 3° posto
tra le nazioni Europee, pur mancando da
noi ancora una visione strategica delle
società di capital venture specializzate
nel settore ed una sensibilità politica ed
istituzionale. Per cercare di risolvere
queste problematiche sono stati creati i
parchi scientifici, presenti soprattutto al
centro-nord Italia, istituzioni che, in maniera spontanea o indotta, promuovono
e realizzano l'aggregazione spaziale
delle attività innovative, in relazione all'esistenza di economie esterne di localizzazione, interfacciando conoscenze
scientifiche e manageriali. Anche grandi
aziende farmaceutiche, captando la potenzialità dell’innovazione scientifica
derivante da tali parchi, si stanno affacciando a queste ormai concrete realtà. Il
biotech rappresenta pertanto una nuova
opportunità per ritrovare le origini e riconquistare il ruolo di leadership nel
mondo della ricerca. Tuttavia, per convincere le aziende ad incrementare i loro
investimenti nella ricerca, si dovrebbe
sensibilizzare maggiormente la classe
politica, come è stato recentemente fatto
in Turchia con la legge “Technopolis” ed
il “R & D Act” che prevede esenzione
dalla tassazione dei profitti derivanti da
attività di R&S e delle persone fisiche ivi
impegnate fino al 2023, ed ulteriori benefici fiscali per le aziende che svolgono
in Turchia almeno due fasi di sviluppo di
nuovi farmaci.
Nella discussione che è seguita si è ovviamente anche accennato ad altri fattori, non solo strettamente economici, che
possono avere contribuito a generare i
fenomeni oggetto della sessione. E' esperienza generale che il mondo farmaceutico stia profondamente mutando: le
(Continua a pagina 10)
Anno VIII numero 43
(Continua da pagina 9)
big pharma tendono a ridurre o addirittura smantellare i laboratori di ricerca interni ed a cercare nelle piccole realtà
progetti scientificamente d'avanguardia
da sviluppare, non avendo quelle piccole
strutture le risorse economiche per farlo.
Si sta cioè passando da Research &
Development a Search & Development.
La sperimentazione clinica è ormai quasi
totalmente esternalizzata e ci si sta sempre più orientando anche verso le patologie rare, come sembrano dimostrare
anche i dati riferiti in un recente articolo
di Giuseppe Recchia e Barbara Grassi
(Quaderni della SIF – dicembre 2013),
dal quale si rileva un fatto interessante:
è vero che il numero delle sperimentazioni cliniche è diminuito, ma in modo
ancor più marcato (50-70%) è diminuito
il numero dei pazienti arruolati nei vari
paesi.
E' evidente che qualcosa di irreversibile
si è messo in moto e sarà quindi necessario, anche in previsione dell'arrivo del
regolamento europeo, eliminare tutti
quei fattori che ancora penalizzano l'Italia. Sempre nello stesso articolo è riportato un agghiacciante grafico della A.T.
Kearney, riportante “ l'Attractiveness
Index”, cioè l'attrattività della sperimen-
Pagina 10
tazione clinica nei 25 principali paesi del
mondo: l'Italia non vi figura nemmeno! Il
grafico si riferisce al 2010: ci auguriamo
che nel frattempo qualcosa sia cambiato
a nostro favore.
Luigi Godi e Luciano M. Fuccella
QUARTA SESSIONE
La quarta sessione, che ha aperto i lavori della seconda giornata, era dedicata
ad un tema molto controverso, che purtroppo è stato anche caratterizzato da
episodi violenti, quali l’irruzione di alcuni
manifestanti nello stabulario dell’Istituto
di Farmacologia dell’Università di Milano
e la liberazione di alcuni animali da esperimento, i quali sicuramente saranno
subito deceduti, o per lo spavento di
questo episodio, oppure perché, essendo sempre stati in cattività, non erano
adatti ad una vita diversa. Ho avuto il
piacere di moderare questa sessione
insieme al prof Pierluigi Navarra: la sessione è stata molto informativa, ed ha
contribuito a fare il punto sulla sperimentazione animale, ancor oggi indispensabile nel processo di sviluppo preclinico di
ogni nuovo farmaco.
La prima relazione è stata svolta da Domenico Barone (SSFA), che ha ripercor-
so la storia della sperimentazione animale, partendo da Ippocrate e Galeno,
per poi soffermarsi sulle grandi conquiste della fisiologia umana, tutte ottenute
con studi sull’animale. Dalla fisiologia si
è poi passati alla patologia, ed alla scoperta di nuovi farmaci: tutti identificati e
messi a punto grazie alla sperimentazione animale.
La seconda relazione è stata svolta dal
prof Salvatore Cuzzocrea (Università di
Messina) il quale ha illustrato il ruolo
dell’Accademia negli studi di fisiologia e
patologia, grazie alla sperimentazione
animale. Ha inoltre ricordato che la grande maggioranza degli studi vengono
svolti in topi e cavie, e non in cani oppure gatti come spesso viene fatto credere.
Il motivo dell’uso prevalente di topi nella
sperimentazione animale e dovuto a
ragioni pratiche e scientifiche. I topi sono
facili da maneggiare, si riproducono velocemente, e poi sono geneticamente
molto simili all’uomo, avendo oltre l’80%
dei geni in comune. Infine, altro aspetto
da tener presente, un topo pesa mediamente 12-15 grammi, quindi per lo studio di nuove molecole sono necessari
solamente pochi microgrammi per animale.
La terza relazione, per rispettare il principio di un dialogo aperto a tutti gli attori,
è stata svolta dalla dr.ssa Isabella De
Angelis (Presidente IPAM – Italian Platform for Alternative Methods) la quale,
con molta pacatezza e certamente con
un atteggiamento costruttivo, ha ricordato che la missione del suo Istituto è quella di lavorare insieme ai ricercatori per la
messa a punto di metodi alternativi che
possano ridurre l’uso di animali. Lei ha
citato diversi esempi in cui questo obiettivo è stato raggiunto: in realtà, ha poi
ammesso, si tratta principalmente di test
acuti, poiché è difficile ipotizzare
l’abbandono della sperimentazione animale in test prolungati come la tossicità
cronica.
A conclusione della sessione, i moderatori hanno ringraziato i tre relatori sia per
l’ampia e documentata evidenza portata
a supporto delle loro tesi, sia per aver
saputo condurre un dibattito sereno su
un tema che a volte viene svolto con
irruenza e senza le necessarie compe(Continua a pagina 11)
Anno VIII numero 43
Pagina 11
(Continua da pagina 10)
tenze.
Domenico Criscuolo
ministrazioni. Barbara de Cristofano ha
poi discusso il ruolo del market access.
Si tratta di un ruolo diventato cruciale, in
quanto le Regioni hanno normative e
meccanismi di accesso al farmaco spesso disomogenei tra di loro. Le figure che
emergono in questo campo devono avere una competenza sia scientifica che
economico / amministrativa, data la tipologia degli interlocutori, che sono spesso
amministratori. Lara Pippo ha infine
parlato delle attività note come “Health
Technology Assessment”. Questa branca della ricerca farmaceutica sta acquistando un’importanza notevole proprio in
considerazione della crescente attenzione dei decisori sugli aspetti del rapporto
tra spesa e beneficio per la comunità. La
natura degli studi HTA li pone in una
posizione particolare: per le ricerche
HTA servono competenze medico scientifiche unite a specifiche competenze
farmaco-economiche.
L’emergere di queste
nuove figure professionali
è la conseguenza di un
profondo cambiamento
della struttura stessa delle aziende farmaceutiche,
ed ha un senso solo nel
contesto di un successo
del cambiamento stesso.
Si tratta del passaggio da
strutture aziendali / processi di lavoro
“sequenziali” o “a silos” a
strutture integrate dove
molteplici reparti partecipano allo sviluppo di un
Tavola Rotonda sulle nuove professionalità nel mondo farmaceutico.
Il mondo farmaceutico italiano sta attraversando profondi cambiamenti che da
un lato riflettono i fenomeni di globalizzazione e dall'altro rappresentano una
risposta alla più specifica crisi economica italiana. In questo contesto mobile i
giovani professionisti che si affacciano al
mondo del lavoro possono trovarsi spaesati: per questo SSFA ha deciso di organizzare una tavola rotonda dedicata
proprio alle nuove professionalità nel
mondo farmaceutico. Giovanni Fiori introduce la tavola rotonda sottolineando
l’emergere di nuove professionalità come ad esempio quelle necessarie alla
conduzione degli studi di “real life”.
Il primo relatore, il dr. Leonardo Frezza
(Frezza e partners), società di ricerca di
personale, ha tracciato un quadro delle
professionalità emergenti richieste dalle
aziende. Egli ha sottolineato come i ruoli
emergenti siano quelli in particolare dedicati agli aspetti di valutazione economica dei trattamenti e di accesso al mercato. Si tratta di ruoli caratterizzati da
un'elevata trasversalità ossia che operano in cooperazione con diverse funzioni
aziendali. Infine ha sottolineato il crescente ruolo delle CRO come datori di
lavoro.
Viviana Ruggieri ha illustrato come sia
modificato il ruolo e la funzione del regolatorio. Accanto all’interazione con gli
interlocutori tradizionali
(Ministero della Salute, A conclusione dei lavori della priIstituto Superiore di Sanima giornata, Paolo E. Lucchelli,
tà, Agenzia Italiana del
Farmaco) è sempre più socio “storico” di SSFA, Pastnecessario rapportarsi President e socio onorario, ha
efficacemente con gli inripercorso i momenti più signifiterlocutori a livello regionale e locale. Ella ha sot- cativi dei primi 50 anni della
tolineato come il contesto SSFA.
italiano sia caratterizzato
da una forte frammentazione amministrativa, con E’ stato un momento di grande
la conseguente necessità commozione, ma anche un segnaper le aziende di avere le di continuità.
personale in grado di interagire con le diverse am-
Grazie Paolo!
progetto.
In conclusione, tra le professionalità
emergenti hanno particolare importanza
quelle che attengono alle tematiche di
accesso al mercato, HTA e regolatorio.
Queste professioni sono caratterizzate
da competenze trasversali in campi
diversi (medico / scientifico; economico /
amministrativo) e da notevoli capacità di
interfaccia sia all'interno che all'esterno
dell'azienda, da elevata flessibilità e da
un continuo aggiornamento. E' una grande sfida portata allo sviluppo delle persone ma allo stesso tempo un'opportunità di realizzazione professionale.
Salvatore Bianco
Le presentazioni autorizzate
sono disponibili sul sito
WWW.SSFA.IT
Anno VIII numero 43
Pagina 12
Chrysemys picta bellii un modello di rettile per lo studio della salute umana, dell’ecologia, del clima e dell’evoluzione
Oggi parliamo di….….
Narra la mitologia greca che la ninfa
Chelone (ȋİȜȫȞȘ), non essendosi presentata alle nozze di Zeus ed Era alle
quali era stata invitata, per punizione fu
precipitata da Hermes in un fiume, insieme alla sua casa, e trasformata in un
rettile condannato a portarsi per sempre
la casa sulle spalle. Tuttora, Chelone, in
greco, significa tartaruga e Chelonia è
l’ordine che comprende i rettili comunemente noti come tartarughe o testuggini. Il paleontologo e biologo americano,
Alfred Romer (1894-1973), studioso
dell’evoluzione dei vertebrati, sosteneva
che “I Chelonia sono i rettili più strani e
conservativi, che noi consideriamo animali comuni perché sono tuttora viventi,
ma che, se fossero estinti, sarebbero
per noi motivo di grande stupore.” La
tassonomia ci dice che l’ordine dei Chelonia (o Testudines (C. N. Linnaeus,1758)) comprende specie acquatiche, le tartarughe (turtle), e specie terrestri, le testuggini (tortoise), suddivise
in 75 generi e 220 specie. Questi animali sono un vero e proprio enigma
vivente: comparsi 210 milioni di anni or
sono, alla fine del triassico, sono i rettili
viventi più antichi, anche più dei dinosauri estinti, e si sono mantenuti morfologicamente conservativi fino ai nostri
giorni, tanto che, persino quelli più antichi, sono riconoscibili già a prima vista.
Tartarughe e testuggini sono, infatti,
caratterizzate da aspetti morfologici e
fisiologici tipici ed esclusivi dei Chelonia. Oltre al caratteristico guscio, vivono molto a lungo, spesso sono sessualmente attive ancora in età molto avanzata, il sesso è determinato dalla temperatura di incubazione delle uova, sono i tetrapodi più resistenti all’ipossia e
gli individui di alcune specie hanno la
capacità di congelare fin quasi a diventare solidi, di scongelarsi e di sopravvivere, riportando solo trascurabili danni
tissutali. Come vedremo, il genoma di
Chrysemis picta contiene molte informazioni sulle basi genetiche di queste
caratteristiche e di altri adattamenti unici di questo straordinario ordine di ver-
tebrati. Chrysemis picta (Genere:
Crysemys, Specie: Chrysemys picta) è
la più diffusa e comune tartaruga del
Nord America, presente dalle coste
atlantiche a quelle dell’Oceano Pacifico.
In natura, si trova in gran parte del sud
del Canada, negli Stati Uniti e nel Messico e conta 4 sottospecie regionali,
differenti per aspetto, habitat e dieta
alimentare, sebbene i confini delle loro
aree distributive si sovrappongano e,
alle periferie, vivano popolazioni ibride.
C. picta bellii è la sottospecie più diffusa
e colorata; le altre sono C. picta dorsalis, C. picta marginata e C. picta picta.
Quest’ultima, come indica il nome, presenta tutte le caratteristiche morfologiche distintive della specie. C. picta bellii, (chiamata anche western painted
turtle, che in seguito chiameremo C.
picta) è la sottospecie col guscio più
ricco di colori e con un vistoso disegno
rosso sul piastrone ventrale. Il carapace
(corazza o guscio dorsale) come nelle
altre sottospecie, è scuro, liscio e, negli
individui adulti, misura 10-25 cm nella
femmina (p. m. 500 g) e 7-15 cm nel
maschio (p. m. 300 g). Il colore della
pelle va dall’olivastro al nero, con strisce rosse, arancioni o gialle su collo,
arti e coda. Una grande striatura gialla
si estende da un occhio all’altro e le
zampe sono palmate, con artigli. I maschi raggiungono la maturità sessuale a
2-9 anni di età e le femmine, più tardive,
a 6-16 anni; in natura possono vivere
più di 40 anni. Sono rettili onnivori che,
in età adulta, si cibano prevalentemente
di piante e piccoli animali, sia vivi che
morti. Abitano acque fresche, basse,
ferme o in lento movimento, come paludi e acquitrini, ricche di vegetazione,
con tronchi e rami spezzati e rocce emergenti dall’acqua, sulle quali salgono
e sostano per scaldarsi al sole, e in
fondi fangosi, melmosi, soffici e ricchi di
vegetazione, dove si nascondono, cacciano, nidificano e vanno in ibernazione,
durante l’inverno. Sopravvivono anche
in acque salmastre, vicine alla costa e
ben soleggiate. Intrappolata sotto il
ghiaccio, nel fango o in acque prive di
ossigeno. C. picta va in ibernazione e
smette di respirare, ma grazie ad adattamenti del sangue e del cervello, del
cuore e del carapace, supera indenne il
lungo periodo trascorso in assoluta anossia. Per sopravvivere durante
l’inverno, questi animali devono non
solo preservare le funzioni vitali in un
ambiente privo di ossigeno, ma anche
resistere, durante i gelidi mesi invernali,
in un habitat climaticamente inospitale.
Sono due le principali risposte fisiologiche adattative alla base della loro capacità di sopravvivere, per così lunghi
periodi, in condizioni estreme. La prima
è la depressione coordinata dei processi metabolici endocellulari, in particolare
di quelli della via glicolitica che produce
ATP (in anaerobiosi, una molecola di
glucosio è scissa in due molecole di
acido piruvico, per generare 2 molecole
di ATP e 2 di NADH, a più alta energia);
a ciò si aggiunge la depressione di processi cellulari, come le pompe ioniche,
che consumano ATP. Così, sia il tasso
di deplezione del substrato (glucosio),
che il tasso di produzione, in anaerobiosi, di acido lattico sono notevolmente
rallentati. La seconda risposta fisiologica adattativa consiste nello sfruttamento delle ampie capacità tampone, proprie del carapace e dello scheletro di C.
picta, di neutralizzare grandi quantità di
acido lattico che, eventualmente, si
accumulassero durante l’ibernazione. In
questa funzione sono coinvolti due
meccanismi distinti propri del carapace:
il rilascio di tamponi carbonato e
l’uptake di acido lattico: così, l’acido è
sequestrato e il pH acido viene tamponato. Questi meccanismi, quello metabolico e quello di tamponamento del pH
acido/uptake di acido lattico, permetto(Continua a pagina 13)
Anno VIII numero 43
(Continua da pagina 12)
no a C. picta di sopravvivere per 3-4
mesi in completa anossia e con livelli
ematici di acido lattico pari a 150 mmoli/
Lt o più. All’inizio della primavera, quando la temperatura dell’acqua sale a 1517 °C, queste tartarughe escono
dall’ibernazione e, allorchè la temperatura corporea raggiunge i 17 °C, nel maschio inizia la produzione di sperma. Nel
corteggiamento rituale, il maschio si
pone di fronte alla femmina, ondeggia le
lunghe zampe artigliate attorno alla testa
e poi gliele strofina sul muso e sul collo;
se la femmina è ricettiva, contraccambia
il corteggiamento accarezzandogli le
zampe anteriori. Dopo l’accoppiamento,
che avviene tra la primavera avanzata
ed il solstizio d’estate, la femmina lascia
l’ambiente acquatico per cercare un
luogo adatto alla preparazione del nido;
spesso torna per vari anni a nidificare
nello stesso luogo. La temperatura ambientale può influire sul momento scelto
dalla femmina per nidificare. Quando la
temperatura corporea raggiunge i 29-30
°C, essa scava, con le zampe posteriori,
un nido sotterraneo di 8-14 cm, nel quale deposita 4-12 uova che copre con
strati di terra e fango. Dopo 72-80 giorni
di incubazione, a fine estate o a inizio
autunno, le uova si schiudono. Il sesso
delle tartarughe neonate è determinato
dalla temperatura raggiunta dal nido
durante il terzo centrale del periodo di
incubazione, una finestra temporale
compresa tra il 24°-27° e il 48°-54° giorno dalla deposizione delle uova. Studi,
in laboratorio e sul campo a temperature
costanti e fluttuanti, hanno dimostrato
che, da uova incubate a 30 e 32 °C costanti, nascono solo femmine, mentre da
uova incubate a 22, 24 o 26 °C nascono
solo maschi. Da uova incubate a 20 e a
28 °C nascono tartarughe di ambedue i
sessi. Le temperature soglia, che producono nidiate col 50% di maschi, sono
stimate a 20 e a 27.5 °C. Non tutte le
tartarughe neonate lasciano il nido subito dopo la nascita, per dirigersi verso i
vicini stagni, paludi o acquitrini: alcune,
soprattutto nelle popolazioni nordiche
(Nebraska, nord dell’Illinois, New Jersey
e sud del Canada) rimangono nel nido
per tutto il primo inverno di vita ed emergono la primavera successiva, quando il
fango ghiacciato che ospita il nido si
scioglie. Per resistere a temperature
Pagina 13
invernali (-10 °C ed oltre) ben inferiori al
punto di congelamento, le tartarughe
neonate entrano in uno stato di “superraffreddamento”, nel quale la sopravvivenza è possibile solo grazie a meccanismi adattativi dei liquidi corporei e della
cute: i primi, privi dei nuclei di condensazione (nucleating agents) che promuovono il passaggio dalla fase liquida
a quella solida, rimangono allo stato
liquido, mentre la cute si oppone alla
penetrazione dei cristalli di ghiaccio dal
terreno ghiacciato ai compartimenti corporei. Grazie a questi adattamenti e
sensibilità alla temperatura, esclusivi di
C. picta e di poche altre specie, queste
tartarughe sono state studiate per decifrare le basi evoluzionistiche dell’adattamento ad ambienti estremi e le implicazioni ecologiche dei cambiamenti climatici. C. picta rappresenta un clade - gruppo di organismi che originano da un
unico antenato ancestrale - la cui biologia e posizione filogenetica forniscono
la chiave per comprendere gli aspetti
fondamentali dell’evoluzione dei vertebrati. Queste caratteristiche fanno, di C.
picta, un modello animale ideale per
studi evoluzionistici. Ricerche ad ampio
raggio di ecologia e fisiologia forniscono
il contesto nel quale collocare le nuove
scoperte fatte dalla genetica dell’evoluzione, dalla genomica, dalla biologia
evolutiva dello sviluppo e dall’ecologia
dello sviluppo. Tali scoperte sono state
possibili grazie alle attuali risorse tecnologiche, quali la library cromosomica
batterica artificiale (BAC library) di C.
picta, che consente di produrre librerie
genomiche con frammenti relativamente
grandi di DNA, usate nel sequenziamento genico, e lo sviluppo di altre librerie,
come le sequenze genomiche, le library
di cDNA e le EST (Expressed Sequence
Tags), che rappresentano porzioni di
mRNA usate per individuare geni espressi, tramite un'analisi sistematica del
trascrittoma. Questo approccio integrato
permetterà di progredire nella comprensione, dal punto di vista evoluzionistico,
della labilità dei tratti biologici trovati
non solo tra i rettili, ma diffusamente
anche tra i vertebrati. Inoltre, poiché
uomini e rettili condividono un comune
capostipite ancestrale e data la maggior
facilità di usare, in biologia sperimentale,
vertebrati privi di placenta rispetto a embrioni di mammifero, C. picta è un mo-
dello animale emergente nella ricerca
biomedica. Queste tartarughe sono state
studiate anche per capire molte risposte
biologiche
allo
svernamento
e
all’anossia, come potenziali sentinelle
per rivelare la presenza di xenobiotici
ambientali e come modello per decifrare
l’ecologia e l’evoluzione dello sviluppo
sessuale e della riproduzione. Esse costituiscono un modello animale senza
valide alternative per lo studio dei meccanismi naturali che proteggono cervello
e cuore dai danni indotti dall’ipossia.
Infarto del miocardio e ischemia cerebrale sono la prima e la terza causa di
morte negli USA ed in Europa e, mentre
le terapie convenzionali allungano la
durata della vita umana, i progressi nel
migliorarle ulteriormente sono molto
limitati e lenti. L’analisi genomica indica
che C. picta spesso espleta le sue estreme funzioni fisiologiche utilizzando, almeno in parte, percorsi molecolari conservati a livello amniotico; l’analisi funzionale di tali pathway, in questa ed in
altre specie di tartarughe con funzioni
fisiologiche variabili, può quindi fornire
informazioni importanti per la prevenzione di gravi patologie umane. In conclusione, C. picta è un eccellente sistema
modello di rettile, per studi sulla salute
umana e sull’importanza dei fattori ambientali, ecologici ed evoluzionistici.
L’analisi delle sequenze genomiche di
C. picta ha permesso di identificare vari
geni coinvolti nella sua esclusiva fisiologia. Poichè alcuni di questi geni sono
implicati anche in patologie umane,
un’ulteriore e più approfondita analisi di
queste pathway in C. picta potrà contribuire ad una migliore comprensione ed
a più efficaci strategie terapeutiche per
la loro cura. Il genoma di C. picta è stato
posto in un contesto di evoluzione comparata e si è focalizzata l’analisi sulle
caratteristiche genomiche associate alla
perdita dei denti, alle funzioni immunitarie, alla longevità, al differenziamento e
alla determinazione del sesso ed alle
capacità fisiologiche di questa specie di
affrontare condizioni estreme di anossia
e di congelamento dei tessuti. L’analisi
filogenetica ha confermato che questa
tartaruga appartiene ad una specie sorella degli arcosauri (uccelli e coccodrilli
viventi e dinosauri estinti) e ha evidenziato un tasso straordinariamente lento
(Continua a pagina 14)
Anno VIII numero 43
Pagina 14
(Continua da pagina 13)
dell’evoluzione delle sue sequenze geniche. La capacità di affrontare un’ anossia totale ed il congelamento è associata
a network di geni comuni nei vertebrati
ed ha permesso di identificare geni candidati per future analisi funzionali. La
perdita dei denti condivide, con gli uccelli, un comune pattern di pseudogenization (selezione negativa: un allele, in
precedenza funzionale, diventato inutile
o dannoso, viene rimosso dalla selezione naturale) e di degradazione dei geni
specifici per i denti. I geni associati al
differenziamento sessuale riflettono,
generalmente, la filogenesi piuttosto che
la convergenza nella funzionalità della
determinazione sessuale. Tra le famiglie
di geni che dimostrano un’ eccezionale
espansione o mostrano firme molecolari
di una forte selezione naturale, quelle
che presiedono alle funzioni immunitaria
e muscoloscheletrica sono consistentemente sovra-rappresentate. Le firme
molecolari sono piccole molecole endogene di RNA (microRNA) di 20-22 nucleotidi, non codificante, a singolo filamento, con varie funzioni, tra le quali la regolazione
trascrizionale
e
posttraslazionale dell’espressione genica.
L’analisi genomica indica che network
regolatori comuni ai vertebrati, alcuni dei
quali trovano analoghi nelle patologie
umane, sono spesso coinvolti nelle straordinarie capacità fisiologiche di C. picta. Quando queste pathways regolatorie
saranno analizzate a livello funzionale,
questa tartaruga potrà offrire ulteriori,
importanti informazioni e spunti nello
studio e nella cura di numerose patologie umane. Ma la capacità di C. picta di
riprodursi è seriamente minacciata dai
cambiamenti climatici globali, in particolare dall’aumento della temperatura ambientale. La fenologia è il ramo
dell’ecologia che studia, classifica e
registra i rapporti tra i fattori meteoclimatici ambientali (temperatura, umidità,
fotoperiodo, vento) ed i fenomeni biologici periodici rilevanti del ciclo vitale di
piante (germogliamento, fioritura, nascita e caduta delle foglie, maturazione dei
frutti) e di animali (migrazioni, accoppiamento, deposizione e schiusa delle uova
di anfibi, rettili e uccelli, cicli di sviluppo
degli insetti). A questo riguardo, sono
particolarmente interessanti gli studi sui
pecilotermi, tra cui C. picta e i rettili in
generale, animali particolarmente sensibili alla temperatura ambientale in quanto privi di meccanismi biogeni di regolazione autonoma della temperatura corporea (eterotermi), e come i fenomeni
biologici che li riguardano sono influenzati dalle variazioni climatiche stagionali
ed inter-annuali e da altri fattori ambientali. La plasticità fenologica, cioè la capacità di alterare la fenologia, è stata
proposta come meccanismo grazie al
quale le popolazioni animali e vegetali si
proteggono dai cambiamenti climatici
per affrontare gli eventi periodici del loro
ciclo vitale in condizioni ambientali più
favorevoli. Lo studio della capacità potenziale di C. picta di affrontare tali effetti
anticipando un parametro della fenologia, cioè la data di nidificazione, è stato
condotto in un modello sperimentale che
integra cambiamenti climatici, data di
deposizione delle uova, effetti degli andamenti termici stagionali sul differenziamento sessuale e, quindi, sul rapporto
numerico tra i sessi delle tartarughe
neonate. I risultati di questo studio dimostrano che le femmine di C. picta non
saranno, purtroppo, in grado di proteggere la loro progenie dalle conseguenze
negative dei cambiamenti climatici, col
solo adeguamento della data di nidificazione alla temperatura ambientale. E’,
perciò, prevedibile che, in un non auspicabile futuro, le nidiate di C. picta saranno di sole femmine. Non solo, questi
risultati fanno realisticamente prevedere
che molte nidiate non arriveranno neppure alla schiusa delle uova. Poichè la
maggior parte delle specie che vivono
nelle zone temperate sono esposte agli
stessi andamenti termici stagionali esaminati da questo studio su C. picta, il
risultato che il solo adeguamento della
fenologia primaverile non sarà sufficiente, in questa specie, a contrastare gli
effetti dei cambiamenti climatici, può
trovare una ben più ampia applicazione.
Domenico Barone
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Anno VIII numero 43
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Clinical Monitor: la norma sulla qualificazione della professione
Lo scorso 10 marzo 2014 il gruppo di
lavoro “Figure professionali operanti nel
campo del monitoraggio delle sperimentazioni cliniche dei medicinali (Clinical
Monitor)” si è nuovamente riunito, a Milano, presso la sede dell’UNI, Ente Nazionale di Unificazione, per la finalizzazione dell’iter di elaborazione del testo
della norma volontaria sulla figura professionale del Clinical Monitor. Oltre al
Coordinatore, dr. Paolo Primiero
(Presidente Assomonitor) ed al rappresentante della segreteria tecnica UNI,
ing. Marco Cibien, erano presenti il dr.
Giuseppe Caruso (Farmindustria), il dr.
Umberto Filibeck (consulente Assomonitor), la dr.ssa Silvia Sacchi (AICRO) e
Luigi Godi (SSFA). Frutto dell’attività del
GdL, costituito in seno alla commissione
“Attività professionali non regolamentate”, la norma, coerentemente con le altre
norme UNI in tema di
professioni non regolamentate ed in conformità
al quadro europeo delle
qualifiche
(European
Qualification Framework
– EQF), definisce i requisiti che fanno parte
del bagaglio professionale di chi opera nel
settore della sperimentazione clinica dei medicinali come Clinical Monitor, in termini di conoscenza, abilità e competenza. Il testo è stato
completato e, dopo le
necessarie approvazioni
da parte delle commissioni competenti UNI,
sarà sottoposto alla prevista fase di inchiesta
pubblica, probabilmente
entro i prossimi 3 – 4
mesi.
La figura professionale
del Clinical Monitor presenta una sua
peculiarità, dovuta in buona parte alla
natura di un’attività che, pur essendo di
nicchia (sono infatti non più di un migliaio i professionisti in Italia, anche se man-
ca un reale censimento in proposito),
finisce per avere un riflesso indiretto su
tutta la popolazione esposta ai farmaci.
Il monitoraggio rappresenta un passaggio ineludibile e previsto da specifiche
norme e leggi del settore.
Lo schema dei compiti, delle attività e
delle relative responsabilità del Clinical
Monitor, descritto all’interno delle Norme
di Buona Pratica Clinica (Good Clinical
Practice), recepite ed introdotte in Italia
con il decreto ministeriale del 15 luglio
1997, ha rappresentato un solido punto
di riferimento per i membri del GdL, così
come le disposizioni contenute nel decreto ministeriale 15 Novembre 2011
che definiscono i requisiti minimi per
l’esercizio dell’attività dei soli Clinical
Monitor che operano per le Organizzazioni di Ricerca a Contratto (CRO –
Contract Research Organization). Tutta-
via la norma UNI, non confliggendo in
alcun modo, nei suoi contenuti, con gli
aspetti di cogenza vigenti sul territorio
nazionale, introduce l’elemento di novità
di un percorso di valutazione di terza
parte, attraverso lo strumento della certificazione, per tutti quei soggetti che,
volontariamente, intendano rafforzare il
proprio profilo professionale sul mercato
del lavoro. Inoltre, il riferimento al quadro europeo delle qualifiche, incentrato
su conoscenze, abilità e competenze,
viene incontro alla domanda internazionale, nel senso della qualificazione di
questa attività professionale, creando le
migliori condizioni per una maggiore
mobilità internazionale per tutti i Clinical
Monitor. La norma si pone, quindi, come
un punto di riferimento rivolto al mercato
nel processo di razionalizzazione e ottimizzazione, nella direzione della qualità
del sistema monitoraggio: un’ opportunità da valorizzare per chi opera in questo
delicato settore.
Luigi Godi
Il gruppo di lavoro.
da sinistra: Silvia Sacchi, Giuseppe Caruso, Marco Cibien, Paolo Primiero, Luigi Godi, Umberto Filibeck
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17° CONGRESSO MONDIALE IFAPP
Si è svolto a Berlino, il 20 e 21 marzo
scorsi, il 17° congresso mondiale IFAPP
chiamato “International Conference on
Pharmaceutical Medicine”. Come è consuetudine, il congresso è stato svolto in
collaborazione con la società locale di
medicina farmaceutica, la DGPharMed
tedesca, il cui presidente, Axel Mescheder è stato oggetto di una intervista pubblicata sul numero 39 di SSFAoggi. Circa trecento delegati sono intervenuti alle
due giornate di intenso ed appassionante dibattito: come era prevedibile, la
grande maggioranza erano colleghi tedeschi. Però erano presenti almeno uno,
o spesso diversi, delegati di 33 Paesi,
contribuendo a dare al convegno un
respiro globale. Il motto del congresso
era “Smart development for better
drugs”: quattro parole che hanno inteso
mettere a fuoco due aspetti che negli
ultimi anni hanno attirato l’attenzione di
tutti gli addetti ai lavori, e cioè un approccio più moderno ed efficiente allo
sviluppo dei farmaci, e la necessità di
portare sul mercato farmaci migliori di
quelli che i pazienti oggi hanno a disposizione. In qualità di delegato IFAPP per
l’Italia, ho partecipato alle teleconferenze mensili, svolte durante tutto il 2013,
per la messa a punto del programma: ed
ho avuto anche l’onore, condiviso con il
prof Vincenzo Salvatore, di moderare la
sessione inaugurale del congresso, dedicata alla disamina del nuovo regolamento europeo e del contesto europeo
in cui si svolgono le sperimentazioni
cliniche.
Il prof Vincenzo Salvatore, con la sua
brillante oratoria, ha illustrato i punti più
importanti del nuovo regolamento europeo, sottolineando l’auspicio che i cambiamenti previsti, che saranno adottati a
breve, possano stimolare una ripresa del
numero degli studi clinici in tutti i paesi
EU. Personalmente ho trovato molto
interessante la seconda relazione, affidata alla dr.ssa Petra Knupfer, presidente del comitato etico tedesco della regione del Baden-Wurtemberg. Ella si è posta una domanda molto importante, e
forse anche imbarazzante: i comitati etici
in Europa si comportano allo stesso
modo? La domanda è molto rilevante,
sia perché oggi i comitati etici sono investiti di grandi responsabilità, sia perché
tali responsabilità saranno ancora maggiori con l’adozione del nuovo regolamento europeo. La sua ovvia risposta è
stata un secco NO. Anzi, facendo tesoro
Il nuovo presidente, Gustavo Kesselring
della sua esperienza del modo di lavorare del comitati etici tedeschi, ci ha raccontato come il modo di operare sia
quanto mai variabile. Si va da comitati
etici in cui tutti i membri ricevono tutti i
documenti, e partecipano in modo informato alla discussione sui protocolli, a
comitati etici in cui la presentazione dello studio è affidata ad un solo relatore, e
tutti gli altri – più o meno svogliatamente
– seguono il dibattito ed accettano il
parere del relatore, fino a casi in cui tutto
il lavoro grava solo sulle spalle del presidente del CE, con scarsa o nulla collaborazione da parte di tutti gli altri membri. La sua ovvia conclusione è che questo sistema non sia più accettabile, e
che dovrebbe essere raccomandato alle
agenzie regolatorie nazionali lo svolgimento di periodiche ispezioni ai CE, per
verificarne lo stile di lavoro, ed il coinvolgimento partecipe di tutti i membri. Terzo ed ultimo relatore è stato il prof Jean-
Marie Boeymaens, della libera università
di Bruxelles, persona molto competente
nella messa a punto di programmi di
formazione per gli sperimentatori, e che
collabora attivamente al progetto PharmaTrain, proprio nel sotto-progetto
CLIC (Clinical Investigators Course).
Ebbene anche lui ha messo il dito in una
piaga aperta da molti anni:
in EU non esiste alcun
obbligo di formazione, e di
CPD, per gli sperimentatori
clinici i quali si trovano a
svolgere protocolli molto
impegnativi, ma che a volte non hanno le conoscenze per affrontarli correttamente, soprattutto dal punto di vista del rispetto delle
norme vigenti. Come potete immaginare, le tre relazioni sono state seguite da
un vivace dibattito, ricco
anche di esempi di vita
vissuta, che hanno rafforzato le osservazioni messe
in luce nelle presentazioni.
L’attività scientifica è poi
proseguita con diverse
sessioni, sempre su temi di respiro internazionale, quali lo sviluppo dei farmaci
orfani, la delocalizzazione degli studi
clinici, la formazione del personale addetto alle sperimentazioni cliniche, ed
altro. Nel chiudere il congresso il nuovo
presidente IFAPP, il brasiliano Gustavo
Kesselring (la sua intervista è pubblicata
sul numero 42) si è complimentato con
la società tedesca per l’ottima organizzazione, ed ha dato appuntamento a
tutti al 18° ICPM, che si svolgerà a Sao
Paulo (Brasile) nel marzo 2016. Una mia
nota conclusiva: anche quest’anno ero
l’unico italiano a portare la bandiera
SSFA in questo evento internazionale:
sarei veramente lieto che fra due anni, a
Sao Paulo, ci fosse con me qualche
altro collega italiano.
Domenico Criscuolo
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Come valorizzare i dati di real world in un rapporto di HTA
Il
Gruppo
di
Lavoro
SSFA
"Farmacoeconomia e Market Access", in
collaborazione con SIFEIT, ha organizzato un seminario pomeridiano intitolato
“Come valorizzare i dati di real world in
un rapporto di HTA”. L’evento si è svolto
lo scorso 13 marzo a Roma, nella sede
dell’Università Cattolica, e ha visto la
presenza di circa 50 iscritti.
Questo seminario fa parte di una serie di
nuove iniziative finalizzate a diffondere
ed approfondire i temi dell’economia
sanitaria e dell’accesso alle terapie. In
particolare, l’obiettivo di questo pomeriggio di studio era chiarire in che modo gli
studi di real world possano essere usati
per migliorare le conoscenze epidemiologiche, identificare i bisogni di nuovi
trattamenti, valutare ed ottimizzare il
profilo di costo-efficacia delle nuove terapie, influendo così sullo sviluppo e
l’accesso al mercato dei farmaci. I migliori esperti italiani di questo tema hanno portato il loro contributo di conoscenze ed esperienze.
Dopo una breve introduzione da parte di
Giuseppe Assogna (presidente SIFEIT)
e del sottoscritto (portavoce del gruppo
di lavoro SSFA), ha aperto le relazioni il
Prof. Luciano Caprino (Farmacologia Università La Sapienza, Roma) che ha
descritto il ruolo degli studi di outcome
research nella valutazione del valore
delle terapie, in particolare, individuando
nella farmacoeconomia “la terza dimensione” della farmacologia
(le altre due sono
l’efficacia e la sicurezza).
Questi studi si propongono
di aiutare il medico e le
autorità sanitarie a selezionare i farmaci correlando il
beneficio al costo; di non
ridurre
contemporaneamente
il
livello
dell’assistenza terapeutica;
di considerare che il farmaco non è solo un costo, ma
anche un investimento di
carattere socio-economico.
E’ stata poi la volta di Giovanni Fiori (Medidata) che
ci ha aiutato a capire che
cosa sono i dati di real world, come vengono classificati (in base al tipo di esito
o alla fonte dei dati), quali sono gli aspetti metodologici più rilevanti da considerare e, da un punto di vista normativo
e regolatorio, quali sono i dubbi e le incertezze ancora presenti. Temi particolarmente “caldi” sono quelli del consenso al trattamento dei dati e delle condizioni per l’autorizzazione generale espressa dal Garante della Privacy. Il
prof. Americo Cicchetti (Università Cattolica, Roma) ha inserito i temi della ricerca di evidenze in un percorso di guidato
di adaptive pathway/licensing. Si tratta di
un’ipotesi di nuovo processo di autorizzazione dei farmaci, che inizia con
l’approvazione (temporanea) di un medicinale in una popolazione ristretta di
pazienti, prosegue con ulteriori fasi di
ricerca di evidenze e arriva all’eventuale
estensione, in funzione dei dati raccolti,
a popolazioni di pazienti più ampie. Su
questi contenuti è in corso un vivace
dibattito a livello internazionale, sia nel
mondo accademico, sia negli enti regolatori (EMA e FDA), con il coinvolgimento di tutti i soggetti che hanno un ruolo
nell’assicurare l'accesso dei pazienti ai
farmaci innovativi (industria compresa).
Il prof. Lorenzo Mantovani (Università
Federico II, Napoli) ci ha portato alcuni
esempi di studi che ha condotto nel
campo della farmacoeconomia, della
farmacoepidemiologia e dell’outcome
research. I risultati di queste ricerche
dimostrano che gli studi registrativi non
sempre trovano diretta applicabilità e
trasferibilità nella pratica clinica. Pertanto, efficacia, effectiveness ed efficienza
non sono sinonimi ma, in un mondo
complesso, le risposte ai quesiti essenziali della ricerca (Will it work? Does it
work? Is it worth?) si integrano e forniscono la base per decisioni abbastanza
buone che soddisfino le necessità (good
enough, that satisfice). Il dott. Claudio
Pisanelli (Farmacista - Ospedale S. Filippo Neri, Roma) ci ha riportato su un terreno molto pragmatico, rappresentando
il punto di vista di chi quotidianamente
lavora in una struttura sanitaria pubblica.
La produzione di evidenze non va di pari
passo con la produzione di tecnologie
sanitarie (farmaci, dispositivi, tecnologie
biomediche, reagenti, diagnostici ) e la
sfida per il decisore sta nel conciliare
l’introduzione di numerose innovazioni
con la necessità di contenere o addirittura ridurre le risorse consumate.
E’ stato un pomeriggio veramente molto
interessante, con relazioni di alto profilo!
Le presentazioni hanno fornito molti
spunti per una vivace discussione, contribuendo a rendere piacevole il seminario. Seguite le prossime attività di questo
gruppo!
Roberto Di Virgilio
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Health post-2015: evidence and power
The Lancet
On Sept 25, 2013, the UN General Assembly held a special session devoted to progress on the Millennium Development Goals
(MDGs) and the post-2015 development agenda. Building on more than a year of consultation, advocacy, and lobbying, the debate provides an opportunity to take stock of health-related proposals. Described as a generational opportunity, to what extent is
evidence of the burden of ill health and early death setting the agenda? The Global Burden of Disease Study 2010 arguably presents the best comparable estimates on the causes of death and disability and their underlying risk factors. Non-communicable
diseases (NCDs) accounted for two of every three deaths globally in 2010, and projections indicate that by 2030 NCDs will be the
most common cause of death in Africa. Do the priorities and targets currently under discussion reflect the most rational use of
this evidence? For the health goals, a multistakeholder consultation in Gaborone, Botswana, in March, 2013, was complemented
by the commissioned involvement of civil society, academia, and a global online consultation. The resulting evidence-informed,
health thematic report proposed a framework for accelerating the MDG agenda, ensuring universal health coverage and access,
and reducing the burden of NCDs. This report was submitted to the UN Secretary-General's High-Level Panel of Eminent Persons on the Post-2015 Development Agenda (HLP), which produced its own report. As The Lancet noted, the HLP's proposed
health goal—ensuring healthy lives—had a “weak” commitment to NCDs. For example, GBD 2010 and other data highlight the
burden attributable to tobacco smoking, alcohol use, and poor diet. Yet these risks warrant no more than a cursory mention in the
HLP report under a catch-all and vague target to “reduce the burden of NCDs”. In July, 2013, the UN Secretary-General published A Life of Dignity for All to inform discussions in the General Assembly debate. This report drew on a range of inputs including the HLP, the Sustainable Development Solutions Network, and the UN Global Compact and emphasised the importance of
dealing with the unfinished MDG agenda. The burden of NCDs is briefly mentioned, with a particular focus on mental illness and
road accidents, while the report's call to “promote healthy behaviours” did not include any NCD-related specifics, such as promoting healthy diets and moderating alcohol consumption. The Secretary-General's report will have far-reaching implications for the
post-2015 development agenda and it is therefore vital that the priorities are reflective of both current and future health needs.
Yet the proposals do not seem to fully address what is needed to reduce major disease burdens. How did this happen? We believe Steven Lukes' classic analysis of the “three faces of power” might be at play. First, power as decision making suggests that
those at the table compete to ensure their interests and concerns are reflected in an agenda. A review of the institutions involved
in the health thematic consultation reveals the institutional path dependency within the global health community: institutions
funded to push specific, often MDG-related, health issues. For example, of the 99 submitted papers reviewed for the health thematic report, 15 were from civil society organisations that promote sexual and reproductive health and rights and five were from
NCD-focused civil society groups. Second, power as non-decision-making focuses on how certain issues are kept off the agenda
by resourceful interest groups. The absence of any overt mention in the HLP's report of some leading global health risk factors—
tobacco, alcohol, and poor diet—are an example of Lukes' second dimension of power. Global health has witnessed this aspect
of power in relation to NCDs in the past. An independent committee of experts convened by WHO found that the tobacco industry
deployed elaborate and secretive tactics over many years to divert the focus of WHO from NCDs. Recent publications reveal that
the tobacco and food industries share common strategies and tactics to influence health policy. Lukes identified “thought control”
as the third and most insidious face of power. Here the existing order of things is accepted, even when it is not in people's interests. This face reveals itself less in the goal architecture (the what) of the post-2015 agenda but rather in the lack of concern with
the proposed means (the how) to realise ambitious health outcomes in the next 15 years. Although welcome attention is given to
equity and human rights, the frames seem apolitical to date.
Addressing the global burden of disease, and promoting healthy lives, cannot be a function of the health system alone; it requires
concerted cross-sectoral action supported by a range of global functions and global public goods. Legal and structural changes
are required to reduce unhealthy exposure (eg, to tobacco) and maximise opportunities for healthy lifestyle choices. Holding
countries to account for outcomes (eg, disease prevalence) is important, but the means of doing so are equally if not more so.
For example, the Sustainable Development Solutions Network devotes one of three health-related indicators to NCDs, but it focuses exclusively on personal behaviour change as opposed to structural interventions.The HIV response has much to offer in
relation to “the how”. People living with and affected by HIV took centre stage: they organised mass social movements that linked
demands for change at national and global levels, they dismantled structural and social barriers, they articulated norms and standards in human rights terms and thereby removed the “discretionary” from development, and provided a framework of accountability which included monitoring of legal and policy environments. The movement also demanded that everyone enjoy the right
to health, including the most marginalised and vulnerable populations, making it hard to claim “progress” by reference to national
averages. The international community faces a historic opportunity to ensure that health priorities truly reflect the health needs of
current and future generations. If it is going to have any chance of success, it needs to pay more attention to the voices of those
affected, to evidence-driven priorities, and to the politics of change.
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The Lancet
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A new direction for hepatitis C
The publication of the first WHO Guidelines for the Screening, Care and Treatment of Persons with Hepatitis C Infection brings hepatitis C
virus (HCV) into the limelight. It is estimated that 185 million people globally are infected with HCV causing 499 000 deaths annually. More
than 90% of people with HCV can be cured. These recommendations create a new framework for policy makers, government officials, health
workers, and patients. The emphasis of the guidelines is on low-income and middle-income countries that have disproportionately high rates
of HCV, but implementation should be global. The guidelines recommend population-wide HCV serology testing for all groups with a history of
high HCV rates, and for those with increased exposure through behaviour and other risk factors. Nucleic acid testing is recommended after a
positive HCV result, to detect HCV RNA before treatment. For people infected with HCV, alcohol assessment is the first stage of care. For
those with moderate to high alcohol intake, behavioural support and intervention should be offered to reduce alcohol consumption. Liver fibrosis and cirrhosis should also be assessed with the aspartate aminotransferase to platelet ratio index or FIB4 tests. Assessment for antiviral
treatment should be undertaken for all people infected with HCV. Many new drugs for treatment are in development, and several emerging
compounds are due to be licensed imminently. But it is too early for the guidelines to recommend combinations. The cost and pricing of drugs
is contentious. Critics have singled out Gilead's Sovaldi (sofosbuvir), at US$ 84 000 for a 12 week course, as unaffordable for most of the 3·2
million people infected with HCV in the USA. By contrast, a 48 week course of pegylated-interferon and ribavirin treatment in Egypt costs US$
2000. Government agencies and health-care providers need to work together with drug companies on new licensing agreements to make
sure that treatment is within reach of all, so that people living with HCV are properly screened, cared for, and treated.
Condemning the death penalty
The Lancet
On Jan 5, 2008, The Lancet published an editorial to mark the UN's moratorium of the death penalty. We noted that the US state of New Jersey had recently suspended all executions, several countries seemed likely to follow suit, and hopes were high that the practice would soon
be consigned to “the dustbin of history”. Which is why Amnesty International's report Death Sentences and Executions 2013, published on
March 27, noting a 14% increase in executions in 2013, is of particular concern. Overall, the worldwide trend for abolition continues. Rates of
executions have decreased steadily in the past decade. No executions occurred in Europe and Central Asia or in 173 UN member states
worldwide. In the USA, as evidence accumulates for racial disparities, miscarriages of justice, and the sentencing of several people who had
mental illness, four states have stopped the death penalty since 2008, most recently Maryland in 2013. Despite these positive signs, at least
778 people were executed in 2013, 96 more than in 2012, a rise driven mainly by increases in Iran and Iraq. The number of death sentences
given out also increased by 10% worldwide. Indonesia, Kuwait, Nigeria, and Vietnam resumed executions after none were recorded for up to
8 years. China is highly secretive about its use of capital punishment, but Amnesty International estimates that it executes thousands of people every year. And on March 24, an Egyptian court defiantly sentenced 528 people to death—the trial lasted 1 hour, and three-quarters of
defendants were not present. As a first step towards abolition, greater transparency is needed, particularly from China and countries in the
Arab world. An EU restriction of exports of sodium thiopental is thought to have hindered executions by lethal injection in the USA and Vietnam. Lawful efforts by the medical community to obstruct capital punishment should be supported. At least 23 392 people were living with a
death sentence at the end of 2013. The death penalty is an outmoded practice and focus should be on its eradication.
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Pagina 20
Chemotherapy near the end of life
A difficult decision with potentially unexpected implications
British Medical Journal
Even as cancer treatments become more effective, we can still wonder about the symbolic meaning behind decisions to pursue
chemotherapy near the end of life. Although most patients with metastatic cancer choose to receive palliative chemotherapy,
evidence suggests that most do not clearly understand its intent. In decision making about chemotherapy, doctors are supposed
to describe, and patients are supposed to understand, the direct outcomes of the proposed treatment (for example, clinical response rates and side effects).
However, the broader implications of such decisions can be just as important. In a paper by Wright , choosing palliative chemotherapy was associated with a whole set of outcomes that may not have been known, expected, or discussed by patients, their
family caregivers, and their oncologists. Wright and colleagues studied the outcomes of a cohort of 386 cancer patients who died
during the Coping with Cancer Study, a federally funded cohort study of terminally ill cancer patients and their informal caregivers. Wright and colleagues’ participants were patients at eight US outpatient oncology clinics who had advanced cancer refractory to one or more chemotherapy regimens and were identified by their oncologists as terminally ill at study enrollment. They
were categorized as receiving (56%) or not receiving chemotherapy at enrollment, and the outcomes were compared using propensity scoring to balance the groups for important confounding factors.
Study participants died a median of 4.0 months after enrollment. Wright and colleagues found that patients who, months before
death, had decided to receive palliative chemotherapy were significantly more likely than patients not receiving chemotherapy to
undergo mechanical ventilation or cardiopulmonary resuscitation in the last week of life. They were more likely to be referred to a
hospice late (one week or less before death). All these outcomes have been associated with poorer quality of life for patients,
worse distress for caregivers, and increased costs. Patients who received chemotherapy were also less likely than others to die
in their preferred location, more likely to die in an intensive care unit, and more likely to be tube fed in the last week of life. Notably, receiving chemotherapy was not associated with longer survival. Late chemotherapy has already been associated with decreased use of hospice care. Wright and colleagues are the first to report an association between palliative chemotherapy and
place of death. Previous research has focused on chemotherapy received days or weeks before death, but Wright and colleagues studied decisions made months before patients’ deaths. Whereas only 6.2% of cancer patients use chemotherapy two
weeks before death, and 20-50% use it within 30 days of death, fully 62% use it within two months before death.
Given the frequency of patients choosing to have chemotherapy months rather than days before death, Wright and colleagues
argue reasonably that this earlier timeframe is actually a much more important time during which to understand decisions about
treatment and their implications. Most cancer patients are likely to choose chemotherapy for the promise of improved survival or
quality of life. Most patients in the new study said they would be willing to accept chemotherapy if it gave them just one extra
week of life. A key implication of this research is the need to better identify patients who are likely to benefit from chemotherapy
near the end of life. Many of Wright and colleagues’ participants may have chosen chemotherapy for the promise of even a single extra week of life, but whether they received even that is not clear. An important and perhaps more achievable improvement
that should be pursued as a result of this research is to encourage oncologists to discuss with patients the broader implications
of palliative chemotherapy when making decisions about treatment. For all patients, it is time to be clear about the full extent of
possible harms. Clearly, the choice to start chemotherapy should not be the end of decision making.
Patients nearing the end of life should be able to refine their decisions as they get more information and understand their ongoing
likelihood of benefiting from various treatments. We learnt long ago that patients do not like the either/or requirement of hospice
care in the United States (where patients often have to forgo cancer treatments to receive the benefits of a hospice).
Nor should we accept that a course of chemotherapy effectively commits patients to a host of outcomes that they do not want.
Especially perhaps near the end of life, the choice to accept chemotherapy should not lead oncologists and patients to abandon
key care assessments and planning, including regular evaluation of the efficacy of chemotherapy, advance care planning, exploration of the benefits of hospice care, and pursuit of one’s preferred place of death. Future work should explore how a decision to
start chemotherapy, even many months before death, comes to be associated with how and where someone dies. Perhaps chemotherapy and the associated outcomes in Wright and colleagues’ study are primarily the consequence of the zeal not to “give
up.”
Perhaps the associations are due, at least in part, to inadequate involvement of expert palliative care.
Patients may well want, and we might help them to achieve, care near the end of life that is individualized, nuanced, and consistent with their wishes. Working with oncology teams, early palliative care can help patients in making such decisions and in pursuing treatments, or avoiding them, to live as long as possible, with the best possible quality of life.
Anno VIII numero 43
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Climate change is a health emergency
British Medical Journal
It’s nearly 30 years since Eric Chivian and three other Harvard faculty members won the Nobel peace prize for their work as
founders of International Physicians for the Prevention of Nuclear War. At its height IPPNW had a membership of 250ௗ000 doctors from 80 countries. Its leaders spoke directly to the world’s leaders and to the public, helping them to understand the terrible
things that happen to people’s bodies and lives when nuclear bombs explode. As Chivian says in a BMJ essay, the aim was to
help people grasp what a nuclear war would really be like, so that politicians and the public would do everything in their power to
prevent such a war from happening. Twenty years or so ago, as nuclear war became a more distant threat, Chivian and others
turned their attention to climate change. But here the challenge proved far greater and the international medical community far
less effective. This has been, he says, “the greatest and most painful disappointment” of his life. Many of us share that disappointment as well as sharing responsibility for it. Chivian’s explanation for our failure is that climate change is far more complex
than nuclear war and harder to grasp. “Our human brains are wired to see what is happening right in front of us right now,” he
says. “We are not very good at seeing things that are not obvious, that happen incrementally, or that occur over large areas or in
other parts of the world.” Added to this is the contrast between the absolute certainty of those who deny the existence of climate
change and the moderation and constraint of the scientists documenting it. The report of the Intergovernmental Panel on Climate
Change on the impact of climate change, published on 31 March, illustrates the point with its cautious tone. But there is no escaping its conclusions. It concludes, with more certainty than before, that human activity is driving climate change, that the effects are already being felt in all parts of the world, and that further global warming will bring increased scarcity of food and fresh
water, extreme weather events, rises in the sea level, loss of biodiversity, loss of habitable land, mass human migration, and
conflict and violence. Within that list of terrible things loss of biodiversity may be the one that causes us least concern. But
Chivian encourages us to think again. The cone snail depends for its survival on tropical coral reefs that are threatened by ocean
warming and acidification. Why should we care? Because cone snails produce a huge array of toxic peptides that could be used
to treat chronic pain, resistant epilepsy, nerve injury, and myocardial infarction. Only a tiny proportion of these peptides has so far
been studied in any detail. A letter published in the Times and signed by over 50 senior UK medical professionals, including me,
said, “Never before have we known so much and done so little”. As for what we can do, there is new certainty here too. As summarised in a BMJ editorial, we can make clear the urgent need to stop investing in fossil fuels and to invest instead in alternative
energy and more active forms of transport. The health benefits of such a change would be substantial. Responsibility to act rests
especially with those of us who profess to care for people’s health—and even more with those of us in the world’s richest, most
powerful nations. As Chivian says, “It is up to us. Who will do it if we do not?”
Evidence based medicine: flawed system but still the best we’ve got
British Medical Journal
Evidence based medicine is so much part of the air we breathe: it can be hard to remember a time before it. An oral history,
filmed for a joint JAMA and BMJ celebration last year, has now been published. As summarised in an editorial co-published by
the two journals, the story features a satisfying array of heroes and detractors, forward progress and backlash. Why did evidence
based medicine take off? In the video, and quoted in the editorial, David Sackett provides two main reasons: it was supported by
senior clinicians who were secure in their practice and happy to be challenged, and it empowered younger doctors—and subsequently nurses and other clinicians—to question received wisdom and practice. Sackett and his generation also succeeded because they were natural iconoclasts. And now that evidence based medicine is part of the medical establishment and is itself an
icon, it’s only right that it has become a target for the new iconoclasts. In a recent column Des Spence claimed that evidence
based medicine was broken and that the research pond was polluted by fraud, sham diagnosis, short term data, poor regulation,
surrogate endpoints, and clinically irrelevant outcomes. Spence said that evidence based medicine left no room for discretion
and fuelled overdiagnosis and overtreatment. A good number of rapid responders agreed, some even saying he didn’t go far
enough. Others defended the precepts of evidence based medicine and warned against throwing the baby out with the bathwater. We highlight a story that could be used to argue either way. Rita Redberg and colleagues describe the saga of the Wingspan
intracranial stenting device. They tell us that its continued licensing and use in people with a previous stroke were based on a
single, industry funded, uncontrolled study of 44 patients, while the only randomised trial showed clear evidence of increased
deaths and strokes when the device was compared with medical treatment. The Wingspan has been licensed under a special
regulatory programme for high risk devices in rare conditions. In an accompanying commentary, Hwang and colleagues highlight
the generally poor quality of the evidence for such devices, mainly small and uncontrolled studies. Both sets of authors call for far
greater regulatory scrutiny of the safety and effectiveness of medical devices. As with democracy and peer review (with apologies to Winston Churchill), evidence based medicine may be the worst system for clinical decision making, except for all those
other systems that have been tried from time to time. It is only as good as the evidence and the people making the decisions.
Anno VIII numero 43
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INTERVISTA AL GRUPPO DI LAVORO MEDICINA COMPLEMENTARE
“Quello che ci viene riportato dalla
tradizione ha sicuramente una giustificazione scientifica e, quando non la
troviamo, non significa che on ci sia,
ma che probabilmente non siamo
ancora in grado di comprenderla”
prof. Franco Francesco Vincieri - Università di Firenze
Oggi incontriamo Achille Beretta e
Stefano Rossetti, due soci SSFA che
hanno proposto la costituzione del
GdL “Medicina complementare”:
potete spiegarci cosa si intende per
medicina alternativa complementare?
Le Medicine Alternative Complementari
hanno una lunga storia; sono la risultante di conoscenze, attitudini e pratiche di
base sulle teorie, credenze ed esperienze di culture differenti, usate per il mantenimento della salute, per la prevenzione ed il trattamento delle malattie. Il termine “Traditional Medicine” fa la sua
prima comparsa su una rivista biomedica di lingua inglese nel 1952. Negli anni
‘70 il termine “Medicina Alternativa” si
impose per definire tutti quei trattamenti
non a base di farmaci, mentre negli anni
’80, a partire dall’impulso originato in
Gran Bretagna, il nuovo termine di
“medicina complementare” entrò nell’uso
generale. Diverse sono le definizioni e le
terminologie proposte e utilizzate: tra
queste una, che in qualche modo cerca
di comprenderle tutte, è quella fornita
nel 2005 da un comitato ad hoc, costituito nell’ambito del Board on Health
Promotion and Disease Prevention, negli Stati Uniti: “la medicina complementare ed alternativa comprende numerose
modalità e pratiche terapeutiche, con le
rispettive teorie e credenze, che si affiancano a quelle intrinseche del sistema
sanitario dominante di una particolare
società in un determinato periodo storico.” Il senso che si può cogliere è il valore multidimensionale delle scelte, una
gamma di risorse per prevenire o curare
una malattia o promuovere la salute ed il
benessere. Pure nella loro diversità e
notevole eterogeneità, queste discipline
si riconoscono in alcuni princìpi base
che le accomunano e ne
sono tratto distintivo, di
cui in particolare:
- l'approccio globale alla
persona ed alla sua condizione;
- il miglioramento della
qualità della vita;
- la stimolazione delle
risorse naturali della persona;
- l'educazione a stili di vita
salubri e rispettosi
dell'ambiente.
Achille Beretta
Quale è la dimensione numerica di
questo fenomeno?
Negli ultimi anni, le terapie non convenzionali hanno raggiunto un’importante
diffusione; nel 2005 circa 7 milioni 900
mila persone (il 13,6% della popolazione
residente in Italia) hanno dichiarato di
aver utilizzato metodi di cura non convenzionali nei tre anni precedenti
l’intervista. In Italia la salute si conferma
un “bisogno centrale” per il consumatore, nonostante il contesto economico
che denota il perdurare dell’impatto negativo sul potere di acquisto dei cittadini.
Nel periodo aprile 2013 – marzo 2014 il
mercato degli integratori ha realizzato un
valore di 1.995,6 milioni di euro per un
totale di quasi 143 milioni di confezioni
vendute. Le variazioni registrate rispetto
allo stesso periodo dell’anno precedente
rilevano un incremento dei pezzi venduti
pari al +3,1% che corrisponde ad una
variazione positiva del fatturato del
4,2%. Il consumatore continua a prediligere la farmacia per l’acquisto di integratori alimentari: infatti il canale farmacia
detiene una quota del 79,5% delle vendite a volume, seguita dagli iper+super
(15,3%) e dalla parafarmacia (5,1%) che
registra una flessione dello 0,7%, che
non si riversa sul fatturato, sostenuto da
un incremento del prezzo medio
dell’1,9%. (dati FEDERSALUS 2014)
Un tempo le chiamavano “altre” medicine ed erano conosciute da pochi,
adesso cominciano ad essere esperienza di parte della popolazione.
Qual è il cammino fatto e quello da
fare dal punto di vista normativo e
sperimentale da parte del legislatore
e degli operatori del settore?
L’OMS (Organizzazione Mondiale della
Sanità) ha stilato delle linee guida al fine
di spingere i governi a mettere in atto i
seguenti principi:
- fare in modo che siano offerte ai consumatori informazioni sufficienti sia
sull’efficacia e la sicurezza dei prodotti
che sulle controindicazioni;
- creare e far conoscere i canali corretti
utilizzabili dai consumatori per segnalare
gli eventi avversi;
- organizzare campagne di comunicazione per dotare i consumatori della capacità di discernere la qualità del servizio
ricevuto;
- assicurare che gli operatori siano propriamente qualificati e registrati;
- incoraggiare l’interazione tra operatori
“tradizionali” ed “alternativi”;
- garantire la fruibilità per le terapie ed i
prodotti non convenzionali per cui ci
siano prove certe di efficacia.
La tendenza, che emerge dalle analisi
più recenti, è la predisposizione ad
integrare/associare rimedi fitoterapici e/o
integratori alimentari con i farmaci tradizionali.
L’integrazione tra diversi sistemi medici
è in atto da decenni in Cina e in India.
In India, presso il “Ministero della salute
e del welfare familiare” è collocato uno
speciale dipartimento denominato Ayush, acronimo che riassume le discipline mediche complementari che, assie(Continua a pagina 23)
Anno VIII numero 43
Pagina 23
ed ai derivati di origine botanica. Ciò non
toglie che altri settori della medicina
complementare possano essere successivamente aggiunti (per esempio, medicina ajurvedica, omeopatica, tradizionale
cinese, altri). Parallelamente i nostri approfondimenti riguarderanno la sperimentazione clinica, le normative di riferimento (nazionali, europee, internazionali), l’ambito regolatorio e gli impatti sulla
economia sanitaria.
Stefano Rossetti
me alla medicina scientifica, fanno parte
del servizio sanitario nazionale. In Italia
sono circa 200 i centri pubblici che offrono prestazioni di medicina complementare, di cui la massima parte si trova in
Toscana. Il problema fondamentale in
materia di medicina complementare è la
“valutazione”, nonché l’assenza/carenza
di una legislazione ufficiale a livello internazionale che ne regoli l’uso (e quindi
ne definisca l’abuso), e ne controlli le
spesso facili speculazioni. Il grande numero di pazienti che si affida alla medicina complementare pone quindi una questione che coinvolge tutti i protagonisti
dello scenario sanitario. Sempre più
cittadini sentono il bisogno di un approccio integrato alla salute che tenga conto
del diritto di libera scelta terapeutica.
Ne consegue la necessità di nuovi tipi di
collaborazione ed alleanza terapeutica
tra le diverse figure coinvolte (medici di
medicina generale, specialisti ospedalieri, aziende sanitarie locali, personale
parasanitario). Questo al fine di una corretta integrazione e di un’adeguata informazione sui vantaggi e sui limiti di tali
discipline che devono “naturalmente”
essere sottoposte a prove di efficacia. E’
necessario considerare non solo il mondo oggettivo della salute ma anche, e
soprattutto, quello soggettivo poiché
sarà sempre più parte integrante del
processo terapeutico. Attualmente una
delle necessità prioritarie della salute
pubblica è quella di trovare strategie
alternative per la prevenzione ed il controllo delle malattie croniche e
dell’invecchiamento. Inoltre, numerosi
sono ormai gli studi nazionali e internazionali che hanno dimostrato che le
CAM possono comportare risparmi importanti per il sistema sanitario. Il ruolo
dei professionisti della salute è quello di
supportare e fornire opzioni che mettano
in grado le persone di essere consapevoli e di fare le proprie scelte. E comunque sia, si dovrà affrontare la realtà di
un paziente che, molto probabilmente,
ha già cercato informazioni su internet e
richiede il “il meglio” di quanto la scienza
“tutta” offra. Vi è necessità di nuovi
“paradigmi” nel pluralismo della scienza,
di una visione che superi ogni dualismo
e che veda le varie “forme” di medicina
coesistere e completarsi a vicenda. Di
estrema importanza è la creazione delle
condizioni, scientifiche e normative, per
un impiego e appropriato della medicina
complementare che, se usate in modo
corretto, possono contribuire a proteggere e migliorare la salute e il benessere
dei cittadini.
Perché un gruppo di lavoro di medicina complementare all’interno della
SSFA?
Il GdL sulla medicina complementare
nasce nel settembre 2013 grazie anche
al contributo di Giuseppe Assogna, Gabriela Crescini, Carlo Cristoforetti, Cristiana Giussani, Emilio Minelli, Alessandro Mugelli e Andrea Zangara. Il GdL
fino ad ora, e siamo a meno di anno di
vita, ha preferito focalizzare la sua attenzione ai prodotti appartenenti alle seguenti categorie: integratori alimentari,
alimenti ai fini medici speciali (AFMS),
Quali sono i prossimi obiettivi?
I prossimi obiettivi che il GdL ha deciso
di darsi sono:
a. Portare a conoscenza di tutti i Soci
SSFA l’esistenza di tale Gruppo di Lavoro e chiedere la partecipazione fattiva
alle attività del GdL da parte di professionisti interessati a tali argomenti, tramite una lettera personalizzata e una
serie d’interviste su temi di sostanziale
rilevanza a vari personaggi istituzionali,
industriali, e che verranno pubblicate sui
prossimi numeri di SSFAoggi;
b.
Portare a conoscenza l’esistenza
di tale Gruppo di Lavoro tramite una
lettera personalizzata inviata ai presidenti di SIF, SIAR, SIFEIT, Federfarma
con preghiera di diffonderla a tutti i Soci
di tali società;
c.
Individuare la lista di tutte le principali aziende coinvolte nel settore e scrivere alle direzioni scientifiche e regolatorie una lettera personalizzata sugli scopi
ed attività del GdL;
d.
Contattare i principali attori delle
Istituzioni (Ministero della Salute, EFSA,
ISS) per coinvolgerli in varie attività del
GdL;
e.
Organizzare un evento che consenta un dibattito approfondito e multidisciplinare sulle principali tematiche del
settore.
A cura di Giovanni Abramo
Anno VIII numero 43
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NOTIZIE DAI MASTER
Molti soci SSFA collaborano attivamente nella definizione dei programmi, e come docenti, nei vari master che nel corso degli
ultimi anni sono stati attivati presso diverse Università italiane. Per dare a tutti i Soci una panoramica completa delle attività in
corso, abbiamo pensato di raccogliere tutte le informazioni nelle pagine seguenti.
LA NUOVA EDIZIONE DEL MASTER BICOCCA
Come di consueto da qualche anno, in Aprile è iniziata la 6° edizione del master in Ricerca e Sviluppo Preclinico e Clinico dei
Farmaci, organizzato dall’Università di Milano Bicocca in collaborazione con SSFA. Il successo del master, consolidatosi nel
tempo, anche quest’anno ha resistito nonostante l’introduzione da parte dell’Università di una tassa di 100 euro per la presentazione della domanda di ammissione.
Sono pervenute 77 domande, un po’
da tutta Italia per 30 posti disponibili:
50
gli aspiranti studenti provenienti dagli
atenei lombardi sono stati i più nume40
rosi, seguiti da un buon numero di
quelli della Campania e, in ordine
decrescente, della Toscana, del La30
zio e di altre regioni. La vera novità di
47
quest’anno, a parte la tassa per
20
l’ammissione, già presente in molti
altri atenei italiani, è stata la modalità
17
10
13
13
di selezione: oltre al test scritto di
7
comprensione della lingua inglese e
3
0
alla valutazione dei titoli e del curriculum vitae, è stato introdotto il collo- Figura 1 BIOL
BT
CHIM FARM CTF
STAT
quio orale al fine di acquisire una
conoscenza più dettagliata sui candidati. Dall’insieme di tutti i punteggi è emersa una graduatoria in cui sono presenti studenti
abbastanza eterogenei per tipologia di laurea, provenienza geografica ed età. Rispetto agli anni scorsi il dato che emerge è la
forte preponderanza degli studenti con laurea in Farmacia o CTF, che ha contribuito ad abbassare la percentuale dei biotecnologi, categoria tuttavia ancora dominante; la percentuale dei biologi è rimasta costante, mentre si è riscontrato un interesse anche
da parte degli statistici (Figura 1).
La metà circa degli
iscritti proviene dal
Nord Italia; la parte
restante è divisa tra
50
il Sud e il Centro,
con una leggera
predominanza
di
40
quelli provenienti
dal Sud (Figura 2).
50
30
Riguardo all’età, la
classe è prevalentemente composta da
20
soggetti con età
30
inferiore ai 35 anni,
20
pur rimanendo una
10
piccola percentuale
di studenti oltre i 35
0
anni (Figura 3).
Attualmente, circa
NORD
CENTRO
SUD
la metà degli iscritti
Figura 2
(Continua a pagina 25)
Anno VIII numero 43
è senza un’occupazione lavorativa; tra gli
occupati, molti hanno situazioni non stabili,
spesso nella ricerca di base, e solo il 20%
ha già un impiego nel settore della ricerca
clinica (Figura 4). La scelta di iscriversi al
master è stata dettata per molti dalla necessità di avere una formazione necessaria
per avere accesso al mondo della ricerca
clinica, spesso precluso a chi non possiede
un’esperienza pregressa nel settore, o dalla volontà di cambiare tipologia di lavoro.
La preferenza per questo master. e non per
altri simili presenti sul territorio italiano, in
maggior parte trae origine dalle buone parole spese dagli amici o conoscenti che in
passato lo avevano frequentato, e soprat-
Pagina 25
60
50
40
57
30
30
20
13
10
0
Figura 3
<30
30-35
36-40
tutto dalla possibilità concreta, testimoniata sia dai
buoni dati di ingresso nel
50
mondo del lavoro che
dall’offerta variegata di
aziende proposte dal
40
master, di poter accedere
ad uno stage, considerato,
47
30
a ragione, una buona occasione per acquisire e20
sperienza e competenze
20
20
da spendere in futuro per
una eventuale posizione
10
6,5
6,5
lavorativa. Gli ottimi dati
ottenuti nelle scorse edizio0
ni, nonostante il periodo di
NON
OCC R OCC R
OCC
OCC
crisi, sono stati in parte
Figura 4
confermati anche nell’ediOCC
CLIN
PRECL
FARM
ALTRO
zione che sta per terminare: ad oggi infatti il 23% degli studenti ha convertito lo stage in un contratto di lavoro a tempo determinato per un anno o di apprendistato, ancora prima della fine del
master (Figura 5).
Figura 5
Elena Bresciani
La giornata inaugurale è continuata con le
presentazioni di Luciano M. Fuccella sulla
SSFA, di Domenico Criscuolo su IFAPP ed
il progetto PharmaTrain, di Paolo Lucchelli
sulla storia della medicina farmaceutica, di
Domenico Barone sulla sperimentazione
animale. Le lezioni sono state concluse da
una molto apprezzata sessione interattiva,
svolta dal dr Giuseppe Cristoferi con la
collaborazione di alcuni studenti, che hanno “mimato” un colloquio di selezione, fornendo così preziosi suggerimenti da applicare e sottolineando gli errori da evitare in
una occasione così importante nel percorso di ricerca di un lavoro.
50
%
40
49
30
20
23
10
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Situazione lavorativa degli studenti della 5° edizione
Anno VIII numero 43
Pagina 26
Master di II Livello su
Sistemi di Qualità – GXP & ISO
Ha avuto inizio lo scorso marzo presso la facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma la III
edizione del master di II livello Sistemi di Qualità – GXP & ISO. La II edizione dello stesso master si era felicemente conclusa
nel mese di febbraio ed era stata coronata, al termine della cerimonia di consegna dei diplomi, dalla Lectio Magistralis di Umberto Filibeck sul tema Eticità della Sperimentazione Clinica.
Questa iniziativa didattica nasce della collaborazione tra Università Cattolica del Sacro Cuore e SSFA, si avvale di una convenzione con l’Agenzia Italiana per il Farmaco ed ha il patrocinio della divisione italiana della Society of Environmental Toxicology and Chemistry. Ne sono Direttore e Direttore Scientifico, rispettivamente, Giacomo Pozzoli e Sergio Caroli, mentre il coordinamento scientifico è affidato a Maria Mercede Brunetti. Il consiglio direttivo è formato da Maria Mercede Brunetti, Sergio Caroli,
Francesco De Tomasi, Pierluigi Navarra e Valentine
Sforza. Maria Cristina Greco, infine, è responsabile
della segreteria didattico-scientifica. Ulteriori informazioni sono desumibili dal sito www.rm.unicatt.it/
master
L’obiettivo, ormai consolidato, di questo master è
fornire gli strumenti culturali più aggiornati per un’
approfondita conoscenza dei principali sistemi di
qualità oggi disponibili, ognuno dei quali è stato sviluppato per soddisfare esigenze diverse, come tali,
quindi, quasi mai sovrapponibili se non in minima
parte, ma di regola reciprocamente collegati e spesso complementari.
Il master consiste di undici moduli per un totale di
148 ore tra lezioni frontali ed esercitazioni. Ciascuno
dei primi dieci moduli espone il quadro normativo, gli
aspetti operativi e le maggiori problematiche relative
a Buona Pratica di Laboratorio, Buona Pratica Clinica, Buona Pratica Clinica di Laboratorio, Buona Pratica di Fabbricazione, Buona Pratica di Distribuzione,
Farmacovigilanza, Convalida dei Sistemi Computerizzati, Norme ISO, Regolamento REACH e Metodologie di Comunicazione e di Lavoro di Squadra.
L’ultimo modulo è invece dedicato ad un questionario generale di valutazione dell’apprendimento.
La presenza di circa 50 docenti altamente qualificati ed appartenenti ad Istituzioni pubbliche
(Ministero della Salute, Istituto Superiore di Sanità,
Agenzia Italiana del Farmaco e Università), ad organizzazioni sovranazionali (European Commission ed Organisation for Economic Co-operation and Development) ed a realtà
aziendali nazionali e multinazionali con sede in Italia, garantisce l’accesso all’informazione più rilevante, aggiornata ed attendibile per le tematiche trattate. Questa edizione del master permette peraltro di ospitare partecipanti esterni come uditori per specifici moduli o singole lezioni. Al termine del percorso formativo previsto ed al superamento delle relative prove di valutazione gli
studenti conseguiranno il titolo di master universitario di secondo livello in Sistemi di Qualità: GXP & ISO. Coloro che avranno
partecipato in qualità di uditori riceveranno da parte dell’Università Cattolica un attestato di frequenza valido per gli usi consentiti.
Infine, anche per questa edizione, durante la cerimonia di chiusura, sarà tenuta una Lectio Magistralis a cura di un relatore di
consolidata esperienza nel campo della qualità delle attività di ricerca.
Sergio Caroli
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MASTER DELLA SECONDA UNIVERSITA’ DI NAPOLI
Nello scorso mese di marzo, con lo svolgimento del quinto modulo (della durata di una settimana) sugli aspetti regolatori dei
farmaci, si è conclusa la parte didattica, con lezioni frontali, della prima edizione del master di secondo livello
“Farmacovigilanza, farmacoepidemiologia ed attività regolatorie”. Il master ha ricevuto il patrocinio SSFA, e molti soci SSFA erano stati inclusi nel corpo dei docenti. Ho svolto diverse lezioni a questo master, sia nel primo che nel quinto modulo, ed ho potuto
apprezzare l’interesse ed anche la competenza degli
studenti, quasi tutti laureati in farmacia, e molti già al
lavoro presso le ASL della Campania, principalmente
nella rete regionale di farmacovigilanza. Ora gli studenti avranno l’opportunità di uno stage, che verrà
svolto in diverse sedi sia istituzionali che industriali:
sono state infatti scelte realtà quali l’Istituto Superiore
di Sanità, la ASL 1 di Napoli, il centro di farmacosorveglianza e farmacoepidemiologia della seconda
Università di Napoli, e poi aziende quali Novartis,
Lundbeck, Bristol-Myers-Squibb ed Italfarmaco. Al
termine di questa esperienza lavorativa “sul campo”,
tutti gli studenti dovranno preparare una tesi, che
verrà discussa in occasione della chiusura ufficiale
del master. Un’esperienza molto positiva e costruttiva, che ci auguriamo venga riproposta nel prossimo
anno accademico.
Domenico Criscuolo
MASTER UNIVERSITA’ DI CATANIA
Il master in “Discipline regolatorie del farmaco”, attivo da diversi anni presso l’Università di Catania ed organizzato dal prof Filippo Drago, quest’anno presenta una importante novità. Le lezioni infatti, invece di essere svolte nell’arco di un biennio, sono concentrate in un solo anno accademico.
Questa modifica è stata molto apprezzata dagli studenti, che vedono così accorciato ad un solo anno il percorso di formazione
post-laurea, ed essere così più preparati ad entrare nel mondo del lavoro. Ho avuto occasione di svolgere alcune lezioni, nello
scorso mese di febbraio, e di aver apprezzato l’interesse e l’impegno degli studenti. La classe quest’anno è composta da 20
studenti, in prevalenza laureati in farmacia: molti già lavorano presso farmacie oppure ASL, e la partecipazione al master è motivata dal desiderio di entrare nel mondo del farmaco. Le lezioni si svolgono nel pomeriggio, dalle 14 alle 18, per lasciare libero il
mattino a chi svolge attività lavorativa.
Domenico Criscuolo
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MASTER DI SECONDO LIVELLO
UNIVERSITA’ DI CAMERINO
SEDE DI ANCONA
Il panorama italiano dei master Universitari di secondo livello si arricchisce di
una novità: il Master in Metodologia Clinica e Biostatistica Applicata ai Clinical
Trials, organizzato dal prof Fiorenzo Mignini (Facoltà di Farmacia), e con il patrocinio SSFA. A nostro parere, questo master, per l’orientamento didattico del programma, si rivolge soprattutto ai data managers, ed a coloro che hanno un peculiare interesse per la metodologia degli studi clinici, con particolare attenzione
alla statistica ed alla gestione dei dati. Il master è stato da poco attivato, ed attualmente sono aperte le iscrizioni, per un minimo di 20 ed un massimo di 30
posti.
Il master si svolgerà nella sede di Ancona, facilmente raggiungibile in treno ed
aereo: si basa su nove moduli, svolti in tre giornate una volta al mese (dal giovedì alle ore 15 al sabato alle ore 13). Ogni modulo ha quindi 20 ore di lezioni frontali.
Per ogni ulteriore informazione, visitate il sito www.masterclinicaltrials.it. Si ricorda che la scadenza delle iscrizioni è il 31 agosto
2014.
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IL LIBRO DI OGGI
Dedico il libro di oggi a tutti coloro che si occupano di sviluppo di farmaci, ma….non
hanno studiato anatomia umana! Una dedica un po’ singolare, ma lasciatemi raccontare un episodio. Tempo fa parlavo con una brillante project leader, che sta facendo
un’ottima carriera in una CRO: ci trovammo a commentare un episodio di ictus cerebrale, ed io sottolineavo l’importanza della pervietà delle arterie carotidi. Lei non capiva, e si convinse di ciò solo quando le spiegai che la grande maggioranza di apporto
arterioso al cervello è delegato alle sole arterie carotidi: quindi quando un ateroma
oppure un trombo ne ostruisce anche solamente una, sono guai seri. Da quella simpatica conversazione trassi l’idea di ricordare a tutti, attraverso queste righe ed il libro che
ora vado a commentare, l’importanza dell’anatomia umana. Per coloro che, come il
sottoscritto, hanno studiato medicina, l’anatomia umana ha rappresentato il primo momento in cui ci siamo sentiti medici, dopo aver studiato fisica, chimica e chimica biologica. Alla Sapienza negli anni ’70 anatomia era il primo grande ostacolo: dopo due anni
di lezioni, bisognava preparare l’esame sul mitico Testut, cinque tomi da mille pagine
ciascuno: un vero esercizio di memoria, e di costanza. Tuttavia ricordo con molta passione quell’esame, perché devo riconoscere che quanto appreso mi è poi molto servito
nei successivi esami di fisiologia, di patologia, e delle varie cliniche: ed è questo il motivo per cui parlo con tanta enfasi dell’importanza dell’anatomia umana. Non basta sapere di fisiologia e di patologia, le vere basi per capire le malattie, e quindi anche il meccanismo d’azione di un farmaco, risiede
nell’anatomia. Ed oggi, che giustamente molte funzioni di sviluppo di un farmaco sono svolte da non medici, colgo questa occasione per suggerire, a tutti coloro che non l’hanno studiata, di guardare con curiosità all’anatomia umana: magari iniziando dal
libro “Organi vitali” di Frank Gonzalez Crussì, professore emerito di patologia alla Northwestern University di Chicago.
Nel film di fantascienza degli anni 60 “Viaggio allucinante”, un gruppo di scienziati-eroi, dopo un processo di miniaturizzazione
che li ridusse a dimensioni microscopiche, intraprese un viaggio pericoloso, a bordo di un sottomarino, all’interno di un corpo
umano vivente. Qualcosa di simile, ed altrettanto appassionante, ci offre questo libro molto singolare. E non sarà solo un percorso attraverso i mondi strabilianti della nostra anatomia, ma anche un itinerario fitto di sorprese, nella storia della cultura, accompagnata da una guida colta e brillante. Dice l’autore:” Mi è parso opportuno cercare di rendere il pubblico più consapevole del
didentro del corpo. Non intendo con questo i meri fatti dell’anatomia (molte persone istruite già hanno una visione generale delle
parti e delle funzioni dell’organismo), intendo la storia, i simbolismi, le meditazioni, le molte idee serie e fantastiche, ed anche il
romanzesco ed il leggendario che attorniarono nel corso dei tempi i nostri organi interni”.
Organi vitali è pubblicato da Adelphi e costa 18 euro.
Domenico Criscuolo
Anno VIII numero 43
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Pagina 30
IL GIURAMENTO DI IPPOCRATE
- QUARTA PARTE ================
Addio al giuramento di Ippocrate,
scompare dal nuovo codice dei medici
Il nuovo codice deontologico dei medici
cambia volto, modificando alcuni importanti elementi della professione. Uno su
tutti: il giuramento d'Ippocrate (che però
non è neppure citato). Se nel vecchio
codice (2006) ancora in vigore si dice in
modo chiaro e netto che "il medico deve
prestare giuramento professionale", il
nuovo testo recita: "L'iscrizione all'Albo
vincola il medico ai principi del giuramento professionale e al rispetto delle
norme del presente codice di deontologia medica". Resta solo il riferimento ai
principi, ma non c'è più l'obbligo di formale giuramento. Per il momento si tratta di una bozza, ma nel testo messo a
punto dal Comitato centrale della Federazione nazionale degli ordini dei medici
(Fnomceo), e all'attenzione delle varie
federazioni locali, ci sono tante novità. A
volte piccole sfumature semantiche che
stanno però sollevando il vento di protesta dei camici bianchi. Il testo contiene
aperture sulla fecondazione assistita,
una stretta sulle terapie alternative, la
scomparsa di alcune parole chiave come libertà, indipendenza e dignità. Addio
anche al termine 'paziente'. In futuro si
chiamerà 'persona assistita'. Tra le modifiche più discusse e delicate ci sono
quelle che riguardano i doveri del medico in materia di fecondazione assistita.
Confrontando il vecchio e il nuovo testo
le differenze, in effetti, saltano agli occhi.
E' sparita la parte che recita: "E' fatto
divieto al medico, anche nell'interesse
del bene del nascituro, di attuare: forme
di maternità surrogata; forme di fecondazione assistita al di fuori di coppie eterosessuali stabili; pratiche di fecondazione
assistita in donne in menopausa non
precoce; forme di fecondazione assistita
dopo la morte del partner". Il nuovo testo
mette invece nero su bianco che "i trattamenti di procreazione medicalmente
assistita, quali atti esclusivamente medici, sono effettuati nelle condizioni e secondo le modalità previste dall'ordinamento vigente". L'articolo del nuovo codice che sta facendo più rumore è però il
22, che parla dell'obiezione di coscienza. Se oggi "il medico, al quale vengano
richieste prestazioni che contrastino con
la sua coscienza o con il suo convincimento clinico, può rifiutare la propria
opera, a meno che questo comportamento non sia di grave e immediato nocumento per la salute della persona assistita e deve fornire al cittadino ogni
utile informazione e chiarimento", con il
nuovo testo "il rifiuto di prestazione professionale anche al di fuori dei casi previsti dalle leggi vigenti è consentito al
medico quando vengano richiesti interventi che contrastino con i suoi convincimenti etici e tecnico-scientifici". Sparisce
quindi il contrasto con la propria coscienza. Così come scompare pure la
formula "grave e immediato" legata al
nocumento per la salute della persona
assistita. Contestato anche l'articolo 13,
che fissa i doveri del medico nel campo
delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche. La nuova formulazione prevede che
il camice bianco è tenuto a seguire "le
linee guida diagnostico-terapeutiche
prodotte e accreditate da fonti autorevoli
e indipendenti". E se non lo fa deve motivare le sue scelte. Un passaggio, questo, che preoccupa i camici bianchi, che
temono una sorta di apertura a possibili
sanzioni a danno di chi propone cure
innovative e una limitazione della propria
autonomia. Rispetto al vecchio codice
nell'articolo sparisce la parola 'etica',
sostituita con 'deontologia'.
Il nuovo codice affronta pure la questione del testamento biologico. Se esiste
una dichiarazione anticipata di trattamento, "espressa in forma scritta, sottoscritta e datata da persona capace", il
medico deve "tenerne conto". A prescindere, quindi, dalle sue valutazioni,
"dall'autonomia e dall'indipendenza che
caratterizza la professione", così come
recita il testo del 2006. Tra gli articoli
incriminati c'è anche il numero 4. Se nel
testo del 2006 si dice che "il medico
deve attenersi alle conoscenze scientifiche e ispirarsi ai valori etici della professione, assumendo come principio il rispetto della vita, della salute fisica e
psichica, della libertà e della dignità del-
la persona", la nuova formulazione non
parla più di "valori etici della professione" ma dice che sul piano tecnico operativo il medico è tenuto "ad adeguarsi alle
più aggiornate evidenze scientifiche".
Una domanda sorge spontanea: “C’é
ancora bisogno di un Codice Deontologico?”
Il Codice Deontologico è un corpo di
regole, liberamente e democraticamente
scelte dai medici, alle quali debbono
uniformare il comportamento professionale. Il termine deontologia fu coniato da
J. Bentham nel 1834 e deriva dal greco
“to deon” (ciò che deve essere e che si
deve fare) e “logos” (discorso, parola,
scienza). Il Codice Deontologico non è
una fonte primaria di diritto, ma ha un
carattere extragiuridico, e impegna i
membri del gruppo professionale al suo
rispetto mediante un giuramento all’atto
della iscrizione all’Ordine.
Giuramento di Ippocrate
In un’epoca di facili suicidi, procurati con
il veleno, di infanticidi e di costumi licenziosi, è difficile ipotizzare che i medici
ippocratici fossero ligi a principi morali
così rigorosi. E allora perché si giurava ?
Il giuramento ha in se una solennità rituale che distingue i sacerdoti ed i re dagli
altri comuni cittadini, e anche i medici
dell’epoca avevano necessità di distinguersi dai guaritori e dagli “abusivi”. In
questa prospettiva il Codice Deontologico assume carattere di autoreferenzialità
di fronte ai cittadini, e proprio per questo viene accusato di essere uno strumento di autonomia e di indipendenza di
giudizio della categoria per sottrarsi al
giudizio degli altri. Il rispetto del Codice,
reso solenne dal giuramento, non fa
altro che riaffermare che il fondamento
della medicina è rappresentato dalla
autonomia, dalla indipendenza e dalla
libertà intellettuale del professionista.
Anche se non si giura più sugli dei ed il
giuramento è stato sottoposto ad una
riformulazione in termini moderni, il suo
significato “sociale” non è cambiato. Il
problema è che è cambiata la medicina
e i suoi attori principali : le malattie, i
(Continua a pagina 31)
Anno VIII numero 43
(Continua da pagina 30)
pazienti, i medici in una società profondamente trasformata. Le professioni
liberali tradizionali, ed in primis i medici,
devono fare i conti con i cambiamenti
del contesto sociale e politico i cui operano.
Rapporto medico-paziente
Il rapporto tra il medico e il paziente si
configura sempre più spesso come un
incontro o uno scontro di prospettive : il
paziente si reca dal medico con una prediagnosi del suo malessere ed esce
dalla consultazione
con una diagnosi di
malattia, posta dal
medico secondo i
canoni interpretativi
della clinica. Se i due
paradigmi coincidono
si raggiunge facilmente un compromesso e
un clima di soddisfacente comunicazione
bidirezionale, in un
rapporto armonioso
tra le parti, altrimenti
si determina un conflitto più o meno aperto. La difficoltà della
medicina moderna è
quella di riuscire a
conciliare un approccio olistico al malato
con un intervento
specialistico. Oggi il
medico ha virtualmente tre imperativi,
contraddittori, ai quali
dovrebbe rispondere:
1. i bisogni individuali
del cittadino;
2. i risultati falsificabili
della scienza medica;
3. le richieste di una
società solidaristica
ma fortemente individualistica.
Solo il Codice Deontologico può rappresentare davvero la salvaguardia della
natura fiduciaria della relazione tra medici e cittadini.
Alcune associazioni di medici hanno avanzato la richiesta di rivedere il giuramento di Ippocrate, proponendo l'adozione di un nuovo codice deontologico. In
particolare viene sottolineata la necessità
di fornire ai medici precise linee guida di
Pagina 31
comportamento di fronte ai problemi aperti dal progresso scientifico (come la clonazione), dalla privatizzazione dell'assistenza sanitaria, dalla aumentata ingerenza
dei politici in materia di sanita' e ricerca e
dal crescente ruolo delle industrie. Il nuovo codice, chiamato "carta della professionalità medica" e' stato elaborato da:
American Board of Internal Medicine,
American College of Physicians, American Society of Internal Medicine e European Federation of Internal Medicine e
verra' pubblicato a breve sulla rivista The
Lancet. Nel moderno “Giuramento di Ippocrate”, il medico si impegna, in quella
che chiamano «alleanza terapeutica», a
difendere la vita, di non compiere mai atti
idonei a «promuovere la morte di una
persona», di fondare i rapporti di cura
sulla «fiducia e sulla reciproca informazione», e molto altro ancora. Un giuramento
per le professioni economiche dovrebbe
comprendere almeno i seguenti punti: «1.
Non userò mai a mio vantaggio e contro
gli altri le maggiori informazioni di cui disporrò. 2. Guarderò al mercato come un
insieme di opportunità per crescere insieme, e non ad una lotta. 3. Non tratterò
mai i lavoratori solo come un costo, come
un capitale, una risorsa, al pari degli altri
costi, capitali e risorse dell’economia. I
lavoratori sono prima di tutto persone». I
controlli non dovrebbero limitarsi agli aspetti formali e quantitativi (facili da verificare), da affidare a impiegati che esaminano il rispetto delle procedure. Si sa che
i disonesti sono abilissimi a produrre rendiconti formalmente
perfetti; se le procedure di controllo sono
cavillose è più facile
che venga preso nella
rete chi dedica più
tempo ai pazienti che
alle relazioni. È ora di
cambiare mentalità:
bisogna entrare nel
merito degli interventi
per
verificare
l’appropriatezza delle
scelte, la qualità delle
prestazione, l’efficacia
dei risultati. I principi e
i valori che, sin
dall’antichità, hanno
governato la pratica
professionale della
medicina (attraverso i
giuramenti e i codici
deontologici) obbligavano il medico ad
agire sempre per il
massimo beneficio del
paziente,
vietando
qualsiasi intervento
che potesse arrecargli
danno o che andasse
contro i valori morali
prevalenti nella società. Naturalmente, i
contesti culturali erano diversi, quindi
anche i criteri e i valori. L’etica medica
antica metteva l’accento sul carattere e le
virtù richieste al medico che esercitava
l’arte.
CONSIDERAZIONI FINALI
Scritto nell’antichità, i suoi principi sono
ritenuti sacri dai medici oggi giorno: curare il malato al meglio delle proprie ca(Continua a pagina 32)
Anno VIII numero 43
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(Continua da pagina 31)
che il giuramento di Ippocrate sia inadeguato ad affrontare le realtà di un mondo
medico che ha visto enormi cambiamenti
scientifici, economici, politici e sociali; un
mondo di aborto legalizzato, di suicidio
assistito e varie calamità non prevedibili
al tempo di Ippocrate. Alcuni medici hanno iniziato a fare domande per quanto
riguarda la rilevanza del giuramento: in
un contesto di crescente specializzazione medica, dovrebbero i medici giurare
un singolo giuramento? Con i governi e
le organizzazioni sanitarie che richiedono informazioni ai pazienti: come può un
medico mantenere la privacy di un paziente? Sono i medici obbligati moralmente a trattare i pazienti con nuove
malattie mortali come l'AIDS o il virus
Ebola? Alcuni medici sostengono che i
principi sanciti nel giuramento non costituivano un nucleo comune di valori morali e che le origini pagane del giuramento rendono antitetiche le convinzioni di
cristiani, ebrei e mussulmani. Altri notano che il Giuramento classico non fa
menzione di tali problemi contemporanei
come l'etica della sperimentazione, la
cura in un team, o le responsabilità sociali e giuridiche di un medico. Inoltre la
maggior parte dei moderni giuramenti
non hanno menzione della pena, non vi
è alcun pericolo della perdita
dell’esercizio medico o anche della
“faccia” per i potenziali trasgressori. Con
tutto questo in mente, alcuni medici ve-
dono il giuramento come poco più di un
rituale pro-forma con poco valore oltre
quello di difendere la tradizione." Il giuramento originale è pregno di un patto, è
un trattato solenne e vincolante ", scrive
il dr. David Graham su JAMA del
13/12/2000. Alcuni medici sostengono
che quello che chiamano il “Giuramento
Hypocritico" dovrebbe essere radicalmente modificato oppure abbandonato
del tutto. Se da una parte l’etica ippocratica è forse considerata inattuale perché
non
riconosce
completamente
l’autonomia del paziente, dall’altra è in
grado di insegnare un valore che la medicina moderna ha perduto: una componente imprescindibile del profilo del
buon medico, accanto alle competenze
strettamente scientifiche: è la dimensione umana ed etica che deve guidare la
sua condotta. L’oblio della componente
umanitaria della professione medica è
dipeso dalla continua specializzazione e
parcellizzazione della medicina in forza
della quale al letto del paziente si avvicina un numero sempre maggiore di medici, senza che nessuno di essi instauri
con lui un solido rapporto personale basato sulla fiducia.
Raimondo Russo
OFFICINEBIANCHE.IT
pacità, preservare la privacy del paziente, insegnare i segreti della medicina per
la prossima generazione, e così via . Il
giuramento di Ippocrate, affermò nel
1996 il “Codice di Deontologia Medica
della American Medical Association" è
rimasto nella civiltà occidentale quale
espressione di un comportamento ideale
per il medico . La maggior parte dei laureandi medici pronunciano tale giuramento o qualche forma di esso, di solito
una versione modernizzata. Ad esempio, il giuramento in questi ultimi decenni
è aumentato: era solo nel 24 per cento
delle scuole mediche degli Stati Uniti nel
1928 ed oggi in quasi il 100 per cento.
Eppure, paradossalmente, anche se
l'uso del moderno giuramento è fiorito, il
suo contenuto è virato lontano da principi fondamentali del giuramento classico.
Secondo un sondaggio in 150 scuole
mediche USA e canadesi nel 1993, per
esempio, solo il 14 per cento dei moderni giuramenti vieta l'eutanasia, l'11 per
cento l’alleanza con una divinità, l’8 per
cento l’aborto e solo il 3 per cento proibirebbe il contatto sessuale con i pazienti.
Mentre il giuramento classico chiede "
l'opposto " di piacere e di fama per
coloro che trasgrediscano il giuramento,
meno della metà dei giuramenti utilizzati
oggi considerano il beneficiario essere
ritenuto responsabile. In effetti, un numero crescente di medici sono convinti
A TRUST ENGINE IN THE EARLY STAGE OF CLINICAL DEVELOPMENT
Project
Design
Study
Conduct
(own site)
Trial
Monitoring
PK /PD
Analysis
DM
Statistics
Medical
Writing
Regulatory
Support
CROSS, CROSS RESEARCH & CROSS METRICS PROPERLY MANAGE TRIAL UNCERTAINTY
Uncertainty is intrinsic to early stage of clinical development. Phase I-II, linking bio-pharmaceutics & clinical pharmacology to medical sciences, are niches for specialized CROs. Since 1996 we have planned and performed trustful collaborations for Phase I and II clinical projects and provided services to most of the Italian pharmaceutical companies.
THE ACQUIRED RELIABILITY IS BASED ON:
s 18 years experience s 400 clinical trials performed s 140 molecules tested s 60 scientific publications
Main Offices: 6850 Mendrisio - Switzerland - www.croalliance.com
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Pagina 33
NOTIZIE BIAS
Il 14 marzo 2014 si è tenuto l'ormai tradizionale seminario BIAS: anche
quest’anno SAS Institute ha ospitato
l’evento, che è stato dedicato agli standard proposti dal consorzio internazionale CDISC (Clinical Data Interchange
Standards Consortium). Il titolo stesso
del seminario “CDISC SDTM and ADaM:
moving from theory to practice” metteva
in evidenza l’intento del seminario: non
la solita carrellata di esperienze aziendali o personali, a volte difficilmente replicabili, ma un’introduzione ragionata
ed approfondita ai due principali standard proposti da CDISC (SDTM e ADaM), con particolare attenzione alle
applicazioni pratiche. L’esigenza di organizzare un siffatto evento è nata
dall’osservazione che la presentazione
abbastanza diffusa ci ha convinto a dare
al seminario il taglio descritto sopra.
La giornata è iniziata con una breve introduzione sulla missione e la storia del
consorzio CDISC a cura di Glauco Cappellini (Quintiles). Nicola Tambascia
(Accovion) ha gettato successivamente
le basi per il lavoro dell’intera giornata,
delineando i concetti alla base dello
standard SDTM (Study Data Tabulation
Model). Nel suo intervento Nicola ha
spiegato con estrema chiarezza i concetti di “Domain”, “Class”, “Controlled
Terminology” e “Metadata”, alla base
dello standard sviluppato per armonizzare la tabulazione dei dati raccolti durante
uno studio clinico, facendo capire come
devono essere interpretati e applicati in
pratica. Angelo Tinazzi (Cytel) ha poi
di dati in formato CDISC diventerà presto obbligatoria presso la FDA, e che
altri enti si stanno muovendo in questa
direzione (il Japan PMDA ha annunciato
una fase pilota con l’uso di CDISC).
L’adozione di standard internazionali per
la raccolta e l’analisi dei dati ha permesso di semplificare lo scambio di dati negli
studi clinici, riducendo costi e tempi di
elaborazione e facilitando la validazione
dei sistemi e dei dati stessi. Non ultima,
la sensazione condivisa che in Italia la
conoscenza di CDISC non sia ancora
completato la sezione teorica relativa a
SDTM, focalizzando l’attenzione anche
sugli aspetti pratici della migrazione e
della mappatura di dati originariamente
non raccolti secondo gli standard
CDISC. Alla ripresa dei lavori, Tineke
Callant (SGS) ha introdotto lo standard
per l’analisi dei dati (AdaM - Analysis
Data Model), evidenziando come struttura dei dati, tracciabilità e metadati costituiscano il fondamento su cui tale modello è costruito. Mark Lambrecht (SAS),
giocando in casa, ha illustrato la soluzio-
ne sviluppata da SAS per CDISC (SAS
Clinical Data Integration), evidenziandone la comodità di utilizzo e l’attenzione
che SAS dedica ai più recenti progressi
in ambito CDISC. Nella sezione finale
dell’evento due esempi pratici
dell’applicazione di CDISC SDTM e ADaM: Pantaleo Nacci (Novartis Vaccines
& Diagnostics) ha illustrato l’approccio
utilizzato nell’implementare SDTM presso la propria Azienda e David Izard
(Accenture) ha presentato l’approccio al
problema da parte di una CRO. L’evento
si è concluso con una breve sessione di
domande ai relatori, prima che il comitato BIAS comunicasse agli iscritti le prospettive future e la nuova gestione dei
rapporti con SSFA e chiudesse l’evento
con i doverosi ringraziamenti.
Al seminario hanno
partecipato circa 90
persone, relatori e
rappresentanti degli
sponsor compresi.
L'interesse è stato
elevato: ci auguriamo che la qualità
degli interventi abbia
soddisfatto le attese.
Il comitato BIAS ringrazia tutti i partecipanti, gli sponsor,
DDway e SAS Institute, e SSFA per il
supporto organizzativo e logistico, sempre prezioso.
Archiviato positivamente il seminario, il
comitato BIAS sta
organizzando il congresso annuale che,
quest’anno, si svolgerà a Genova a fine
ottobre, in concomitanza con il Festival
della Scienza, con l’obiettivo di trovare
un collegamento scientifico tra le nostre
attività e quelle del Festival. Inoltre, crediamo che potrebbe essere
un’occasione per i partecipanti di avvicinare i propri ragazzi al mondo della
scienza.
Fabio Montanaro
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L’uso dei farmaci in Italia
rapporto relativo al periodo gennaio-settembre 2013
Il 6 febbraio 2014 ho partecipato, in AIFA, alla presentazione del rapporto
sull’uso dei farmaci in Italia nei primi 9
mesi del 2013. Sono intervenuti: il prof.
Luca Pani, direttore AIFA, il prof. Sergio
Pecorelli, presidente AIFA, il dr. Claudio
De Vincenti, sottosegretario alla sviluppo
economico, la dr.ssa Marcella Marletta,
direttore dispositivi medici, servizio farmaceutico e sicurezza delle cure, Ministero della Salute, e il dr Massimo Scaccabarozzi, presidente Farmindustria.
Molti i temi illustrati e dibattuti:
l’andamento della spesa, i farmaci più
utilizzati, i medicinali a brevetto scaduto
ed equivalenti, l’appropriatezza prescrit-
Prof. Luca Pani e dr.ssa Marcella Marletta
tiva, la sostenibilità, l’aderenza terapeutica: la maggior parte dei dati illustrati è
contenuta in un volume consegnato a
tutti i partecipanti e presente anche sul
sito AIFA.
La spesa farmaceutica complessiva, nei
primi 9 mesi, è stata di 19,5 miliardi di
euro, di cui il 74,7% rimborsati dal SSN,
con un dato interessante: aumentano i
consumi mentre si osserva una riduzione della spesa farmaceutica territoriale a
carico del SSN, effetto dovuto, principalmente, alla riduzione dei prezzi dei farmaci. E’ cresciuta del 2,1% la spesa per
compartecipazioni a carico del cittadino.
A livello regionale si conferma la differenza nord-sud con valori bassi al nord
( provincia autonoma di Bolzano), e con
valori superiori alla media nazionale nel
mezzogiorno (principalmente Sicilia). Si
profila, quindi, un andamento della spesa farmaceutica simile a quello del 2012,
con un aumento della spesa ospedaliera
del 3,3% e con un aumento della spesa
privata del 3,9%, ma con una diminuzione della spesa in farmacia del 3,9 %
rispetto al 2012.
Tra i farmaci più utilizzati si confermano,
in prima linea, sia per consumo che per
spesa, i cardiovascolari e tra di essi
spiccano gli ACE-inibitori e le statine;
seguono i farmaci per l’apparato gastroenterico e per il metabolismo, tra di essi
gli inibitori della pompa protonica, mentre le più recenti terapie innovative per il
diabete di tipo II sono responsabili di un
aumento di spesa per il SSN; in terza
posizione troviamo i farmaci del sangue
e degli organi ematopoietici, con le eparine che si distinguono per la spesa
maggiore mentre gli antiaggreganti piastrinici hanno il numero maggiore di prescrizioni. Al quarto posto si collocano i
farmaci per il SNC, ed in particolare gli
antidepressivi; in aumento anche il consumo dei farmaci antidolorifici ad azione
centrale. I farmaci per l’apparato respiratorio si attestano al quinto posto e vedono nelle associazioni dei beta-2 agonisti i più usati per il trattamento della
BPCO e dell’asma. Un rilievo particolare
merita l’aumento del consumo degli antibiotici rispetto all’anno precedente
(+5,4%), incentrato sulle penicilline, se-
Il dr. Paolo Siviero e, sullo sfondo, la proiezione della copertina del volume “L’uso dei
Farmaci in Italia”
guite da macrolidi e fluorochinoloni, e
caratterizzato da una notevole variabilità
regionale che vede Campania, Puglia,
Calabria all’estremo alto dei consumi
rispetto al nord ( provincia autonoma di
Bolzano, Liguria, Friuli Venezia Giulia)
che presentano volumi più contenuti.
I medicinali a brevetto scaduto ed equivalenti mostrano un incremento dell’uso
del 7,7% rispetto al 2012 e costituiscono
il 65% dei consumi ed il 46% della spesa, con un aumento del 4,9%. Questa
tendenza va avvicinando l’Italia alle quote presenti negli altri paesi europei.
L’appropriatezza prescrittiva è un tema
importante ma ancora da approfondire.
La sostenibilità è una questione rilevante per l’arrivo dei nuovi farmaci biotecnologici e condizionerà l’impiego di nuovi
mezzi di valutazione e di assegnazione
dei prezzi. L’aderenza
terapeutica si è manifestata in crescita per i
farmaci utilizzati per il
sistema cardiovascolare.
Francesco De Tomasi
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GLUCORTICOIDI ORALI E RISCHIO AUMENTATO DI PANCREATITE ACUTA
ASSOCIATION OF ORAL GLUCOCORTICOID USE WITH AN INCREASED RISK OF ACUTE
PANCREATITIS: A POPULATION-BASED NESTED CASE-CONTROL STUDY
Sadr-Azodi O, Mattsson F, Bexlius TS, et al. JAMA Intern Med, pubblicato on line il 25 febbraio 2013
Questo ampio studio caso-controllo indica che l'uso corrente di glucocorticoidi orali aumenta il rischio di pancreatite acuta. I pazienti, in particolare quelli a maggior rischio di pancreatite acuta, come quelli con consumo di alcol elevato o calcoli biliari, dovrebbero essere strettamente monitorati durante il primo mese di uso di questi farmaci.
IMPORTANZA L’uso di glucocorticoidi orali è stato suggerito come causa di pancreatite acuta in diversi case report. Tuttavia,
nessuno studio epidemiologico ha esaminato questa associazione.
OBIETTIVO Condurre uno studio caso-controllo a livello nazionale, per analizzare la potenziale associazione tra uso di glucocorticoidi per via orale e pancreatite acuta.
DISEGNO In questo studio caso-controllo con base di popolazione sono stati identificati tutti gli individui di età compresa tra 40 e
84 anni che avevano sviluppato un primo episodio di pancreatite acuta tra il 2006 e il 2008 in Svezia. Studio con base di popolazione, a livello nazionale, basato sui registri.
PARTECIPANTI In totale, 6161 casi con un primo episodio di pancreatite acuta e 61.637 controlli sono stati inclusi nelle analisi
finali. I casi erano tutti i pazienti con diagnosi di un primo episodio di pancreatite acuta durante il periodo di studio, definito dal
codice diagnostico K85 della International Statistical Classification of Diseases, 10th Revision (ICD-10). I controlli sono stati selezionati in modo casuale dalla popolazione a rischio di sviluppare pancreatite acuta. Per ogni caso, sono stati selezionati dalla
popolazione generale in modo casuale 10 controlli appaiati per età, sesso e periodo di calendario. L’uso di glucocorticoidi orali è
stato valutato dal registro svedese dei farmaci prescritti. Gli attuali utilizzatori, gli utilizzatori recenti e gli ex utilizzatori sono stati
definiti rispettivamente come pazienti che avevano la loro prescrizione dei glucocorticoidi entro 30 giorni, da 31 a 180 giorni e
oltre 180 giorni prima della data indice.
END POINT PRIMARI E’ stata effettuata un’analisi di regressione logistica per calcolare gli odds ratio (OR) con intervalli di confidenza al 95% per l'associazione tra uso di glucocorticoidi per via orale e pancreatite acuta. L’aggiustamento multivariato è stato
fatto per potenziali confondenti tra cui, tra gli altri, l'abuso di alcool, il diabete e l'uso di farmaci concomitanti.
RISULTATI Lo studio ha incluso 6161 casi di pancreatite acuta e 61.637 controlli. Il rischio di pancreatite acuta era aumentato tra
gli utilizzatori attuali di glucocorticoidi orali rispetto ai non utilizzatori (OR 1,53; IC 95% 1,27-1,84). Tale rischio era più alto nel
periodo compreso tra 4 e 14 giorni dopo la dispensazione dei farmaci (OR 1,73; 1,31-2,28) e successivamente diminuiva. Non
c'era alcuna associazione tra uso di glucocorticoidi orali e pancreatite acuta subito dopo la dispensazione dei farmaci. Non c'era
alcun aumento del rischio di pancreatite acuta tra gli utilizzatori recenti o passati di glucocorticoidi rispetto ai non utilizzatori.
CONCLUSIONI L’uso attuale di glucocorticoidi orali è associato a un aumentato rischio di pancreatite acuta.
A cura di Raimondo Russo
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Anno VIII numero 43
Pagina 36
GLUCOCORTICOIDI ORALI ED EFFETTI AVVERSI PSICHIATRICI
ORAL GLUCOCORTICOID-INDUCED PSYCHIATRIC SIDE-EFFECTS: FOCUS ON CLINICAL SPECIFICITIES, INCIDENCE, RISK FACTORS AND TREATMENT
Ricoux A, Guitteny-Collas M, Sauvaget A, et al. Rev Med Interne
La terapia con corticosteroidi orali è prescritta per varie indicazioni e comprende un gran numero di specialità mediche utilizzate in pazienti sia
ricoverati in ospedale che trattati ambulatorialmente. Gli effetti indesiderati neuropsichiatrici si verificano a prescindere dalla condizione da
trattare e, pertanto, riguardano tutte le specializzazioni mediche.
I glucocorticoidi orali sono stati utilizzati per diversi decenni e possono essere responsabili di effetti collaterali psichiatrici. Questa revisione
discute i dati più rilevanti delle specificità cliniche, l'incidenza, i fattori di rischio e i farmaci per la prevenzione e la cura di questi episodi. E’
stata condotta una revisione della letteratura, utilizzando il database PubMed. Sono stati scelti e discussi gli articoli e gli studi con il più alto
standard di evidenze. La comparsa di sintomi psichiatrici è piuttosto frequente. L'intensità variabile delle caratteristiche cliniche va da segni
minori (impregnazione) a episodi psicotici acuti che possono verificarsi nel 5-30% dei pazienti. I sintomi o i disturbi affettivi sono le caratteristiche cliniche più importanti. Può verificarsi delirium e il rischio di suicidio potrebbe essere aumentato. I fattori predittivi significativi sono dosaggio di prednisone oltre 40 mg/die, specie se la dose è aggiustata per il peso, e storia di disturbi psichiatrici. Quando la riduzione del dosaggio
di glucocorticoidi non è sufficiente a controllare la sintomatologia, la terapia farmacologica si basa principalmente su antipsicotici atipici quali
olanzapina. Gli studi sulle complicanze neuropsichiatriche dei glucocorticoidi presentano risultati diversi ed eterogenei. Futuri studi clinici prospettici dovrebbero basarsi su una stretta collaborazione tra i medici e sulla consulenza degli psichiatri. Questa cooperazione è necessaria
per una gestione ottimizzata dei pazienti che ricevono glucocorticoidi.
A cura di Raimondo Russo
The cost-effectiveness of periodic safety update reports for biologicals in Europe.
Bouvy JC, Ebbers HC, Schellekens H, Koopmanschap MA
Clin Pharmacol Ther May 2013; 93(5) :433-42
Abstract
We analyzed the cost-effectiveness of all Periodic Safety Update Reports (PSURs) submitted for biologicals in Europe from 1995 to 2009 by
comparing two regulatory scenarios: full regulation (PSUR reporting) and limited regulation (no PSUR reporting, but all other parts of the pharmacovigilance framework remain in place).
During this period, PSUR reporting resulted in the detection of 2 out of a total of 24 urgent safety issues for biologicals: (i) distant spread of
botulinum toxin and (ii) edema/fluid collection associated with off-label use of dibotermin-alfa.
We used Markov-chain life tables to calculate costs and health effects of PSURs. The incremental cost-effectiveness ratio (ICER) of full regulation (PSUR reporting) vs. limited regulation (no PSUR reporting) for the base-case scenario was \[euro]342,110 per quality-adjusted life year
(QALY) gained. It is possible to assess the cost-effectiveness of regulatory requirements using the same methods as those used in assessing
the cost-effectiveness of medical interventions.
A cura di Raimondo Russo
I BENEFICI DELLA CERTIFICAZIONE QUALITÀ - ISO 9001
FARMACOVIGILANZA
Il Regolamento 520/2012 della Commissione Europea indica i Requisiti minimi del Sistema
di Qualità per lo svolgimento dellʼattività di farmacovigilanza e la Guideline EMA
on Pharmacovigilance Practices richiama espressamente la norma ISO 9001 tra gli standard
per la costruzione del Sistema.
RIDUZIONE DELLE FIDEiUSSIONI NELLE GARE OSPEDALIERE
Il codice degli appalti pubblici (D. Lgs 163/06) ha previsto incentivi per aziende in possesso
della certificazione ISO 9001.
In particolare, lʼarticolo 75 del Decreto riconosce alle aziende in possesso della certificazione
del Sistema Qualità ai sensi della norma ISO 9001 una riduzione del 50% sullʼimporto
delle fideiussioni a garanzia dell'offerta.
CERTIQUALITY
IL PARTNER QUALIFICATO PER LA CERTIFICAZIONE
WWW.CERTIQUALITY.IT
Anno VIII numero 43
Pagina 37
No differences between men and women in adverse drug reactions related to psychotropic drugs: a survey from
France, Italy and Spain.
D'Incau P, Lapeyre-Mestre M, Carvajal A, Donati M, Salado I, Rodriguez L, Sáinz M, Escudero A, Conforti A Fundam Clin Pharmacol Apr 2013;
Abstract
A large number of studies have suggested that being a woman represents a potential risk factor for the development of adverse
drug reactions (ADRs). The aim of this study is to further explore the differences between men and women with regard to reported ADRs, particularly those associated with psychotropic drugs.
We used spontaneous reports of suspected ADRs collected by Midi-Pyrénées (France), Veneto (Italy) and Castilla y León
(Spain) Regional Pharmacovigilance Centres (January 2007-December 2009). All the reports including a psychotropic medication were selected in a first step; age distribution, seriousness and type of ADRs were compared between men and women. Reports of non-psychotropic drugs were similarly identified and treated.
The absolute number of reports and the proportion, considering population, were higher in women than in men. This was observed for all reports, but was particularly higher for psychotropic drugs (592 vs. 375; p < 0.001) than for non-psychotropic drugs
(5193 vs. 4035; p < 0.001). Antidepressants were the most reported (women, 303; men, 141; p < 0.001); the reporting rates
(number of reports divided by exposed patients in the same period, estimated through sales data) for these drugs, however, were
not significantly different between women (0.87 cases per 10 000 treated persons per year) and men (0.81 cases per 10 000
treated persons per year).
Although there was a higher number of reports of ADRs in women, ADR reporting rates might be similar as highlighted by the
case of antidepressants. Antidepressant ADRs in fact were similarly reported in men and in women.
Gender differences are sometimes subtle and difficult to explore.
International networks, as the one established for this study, do contribute to better analyze problems associated with medications.
A cura di Raimondo Russo
Evaluation of awareness about pharmacovigilance and adverse drug reaction monitoring in
resident doctors of a tertiary care teaching hospital.
Pimpalkhute SA, Jaiswal KM, Sontakke SD, Bajait CS, Gaikwad A Indian J Med Sci ; 66(3-4) :55-61
Abstract
Adverse drug reactions (ADRs) are associated with significant morbidity and mortality and have a major impact on public health.
Pharmacovigilance helps in early detection of ADRs and identification of risk factors. Underreporting of ADRs can be improved
by imparting knowledge regarding pharmacovigilance to healthcare professionals. This study was aimed at investigating the
knowledge and attitude of resident doctors about ADR reporting and suggesting possible ways of improving ADR reporting. Materials and Methods: This study was a cross-sectional, questionnaire-based survey conducted in a tertiary care teaching hospital.
The respondents were resident doctors. Study instrument was a self-developed, pre-validated, semi-structured questionnaire
consisting of open- and close-ended items. Results: A total of 84 questionnaires were considered for analysis, giving a response
rate of 93.33%. In all, 64.28% of the respondents were aware about pharmacovigilance, 52.38% were aware of ADR reporting
system in India, 83.33% opined that only serious ADR with any medicine should be reported, and 35.72% believed that ADRs
should be reported only for newly marketed agents. Although 67.85% of respondents observed an ADR, only 25% reported it;
44.04% were aware about the complete procedure of ADR reporting.
General attitude of the respondents about ADR reporting was as follows: ADR reporting should be compulsory (15.19%), voluntary (41.66%), remunerated (3.57%), identity of prescriber should be concealed (21.42%), and identity of reporter should be concealed (29.7%). Conclusion: Increasing awareness about pharmacovigilance will be helpful in improving the status of ADR reporting.
Other measures such as making ADR reporting guidelines available in the form of booklets and displaying posters can also play
a useful role.
A cura di Raimondo Russo
Anno VIII numero 43
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Alterazioni nella percezione dei colori indotta da farmaci
Le alterazioni nella percezione dei colori possono derivare da disturbi oculari, neurologici o metabolici. Talvolta, possono essere indotte dai
farmaci. Sulla rivista Prescrire è stato pubblicato un articolo che focalizza l’attenzione su questa problematica.
Eccone una sintesi.
x Disturbi transitori della percezione dei colori sono stati segnalati con sildenafil. In una revisione e meta-analisi di 14 trial clinici effettuati
su 3780 pazienti, i disturbi della visione si sono manifestati nel 3% dei pazienti trattati ad una dose di 25-100 mg versus 0,8% nel gruppo esposto a placebo. I colori percepiti tendono verso tinte blu o blu-verdastro (la cosiddetta “visione blu”). Questi disturbi si manifestano di solito 1
-2 ore dopo l’assunzione del sildenafil, sono reversibili e scompaiono solitamente nell’arco di 3-6 ore. Gli effetti del sildenafil sulla retina sono
dose-dipendenti e sono legati all’effetto inibitorio del sildenafil sulle fosfodiesterasi presenti nella retina. Non è stata riscontrata associazione
tra inibitori della fosfodiesterasi e danni oculari di grado severo; tuttavia, è bene rivolgere una particolare attenzione ai pazienti con problemi
degenerativi della retina che intendono assumere tali farmaci. Alterazioni della visione sono state riportate anche per il vardenafil e per il tadalafil che provoca cianopsia (visione blu), anche se con frequenza minore rispetto al sildenafil.
x La digossina presenta un intervallo terapeutico ristretto. Un segno precoce del sovradosaggio è rappresentato dall’alterata visione dei
colori, con una predominanza di giallo (più raramente verde, rosso, marrone, blu o bianco). Quando si manifestano sintomi di sovradosaggio è
necessario misurare i livelli ematici di digossina, aggiustare la dose e monitorare attentamente il paziente.
x L’acido tranexamico, un agente antifibrinolitico, può causare danni retinici associati a disturbi visivi, tra i quali l’alterata percezione dei
colori. Questi disturbi spesso si risolvono nell’arco di pochi giorni dalla sospensione del farmaco, ma raramente può persistere qualche disturbo in condizioni di poca luce. Visione a tinte gialle è stata invece riscontrata con l’utilizzo di due diuretici: l’idroclorotiazide e la furosemide.
x L’interferone alfa può provocare danni alla retina. Sono stati descritti, anche se rari, casi di diminuzione severa ed irreversibile
dell’acutezza visiva e alterazione del campo visivo. La frequenza di disturbi oculari sintomatici/asintomatici nei pazienti che ricevevano interferone alfa (pegilato e non) è stata stimata tra il 20% e l’80% nei primi tre mesi di trattamento.
x La didanosina, un farmaco antiretrovirale, può danneggiare la retina e il nervo ottico. Sono consigliati follow-up oculistici annuali.
x L’etambutolo può causare neuropatia ottica con un’incidenza tra l’1% e il 18%, in base alla dose giornaliera assunta, durante cicli di trattamento della durata > 2 mesi. Questi disturbi possono riguardare l’acutezza della visione, il campo visivo e la percezione dei colori soprattutto del rosso e del verde; di solito regrediscono nell’arco di settimane o mesi anche se a volte i danni sono irreversibili. Anche l’isoniazide sembra causare neuropatia ottica.
x I chinoloni, l’acidonalidixico e la flumechina hanno effetti collaterali di tipo neurosensoriali, tra i quali visione offuscata e cianopsia transitoria. Casi di neuropatia ottica sono stati imputati al linezolid, un farmaco in grado di determinare neuropatia periferica quando utilizzato per
trattamenti che durano oltre 28 giorni. Il meccanismo può essere legato all’inibizione della sintesi proteica mitocondriale. Inoltre al metronidazolo sono stati correlati casi di neuropatia ottica, che porta ad alterazione della visione a colori, riduzione dell’acutezza visiva e scotomi. Un
deficit residuo può talvolta permanere anche dopo la sospensione del farmaco. Gli antifungini imidazolici, come il voriconazolo, possono alterare la visione dei colori.
x La clorochina può danneggiare la retina, soprattutto nei trattamenti a lungo termine e ad alte dosi. Questi danni si manifestano con visione offuscata, difficoltà nel mettere a fuoco, alterazione della percezione dei colori e diminuzione severa dell’acutezza visiva. Questi disturbi
possono permanere o addirittura peggiorare una volta sospeso il farmaco. L’overdose da chinina può provocare tossicità a livello oculare. In
uno studio su 165 pazienti con sovradosaggio acuto di chinina, il 42% ha manifestato disturbi visivi, quali visione offuscata, alterazione della
visione dei colori e dei campi visivi e cecità. Deficit residui possono persistere anche dopo la sospensione del farmaco. I meccanismi eziologici coinvolti includono un danno vascolare e un’azione tossica diretta sulla retina.
x La deferoxamina può causare disturbi visivi, specialmente se usato a dosi elevate e per lunghi periodi. Questi disturbi includono cataratta, neuropatia ottica e alterazioni della visione periferica, di quella notturna e dei colori e di norma si risolvono.
x FANS, quali l’indometacina ed i suoi derivati, possono provocare neuropatia ottica e alterata visione dei colori. L’idrossiclorochina viene
usata a volte nella terapia dell’artrite reumatoide, e come la clorochina può causare retinopatia e alterata percezione dei colori.
x Alterata percezione dei colori è stata associata alla carbamazepina ed è dovuta principalmente al danno retinico. Le fenotiazine possono
causare disturbi della pigmentazione retinica, fenomeno dipendente dalla dose e dalla durata. Disturbi della percezione dei colori sono stati
descritti anche come visione a tinte marroni dovute alla tioridazina ed il fenomeno può anche peggiorare dopo la sospensione del farmaco. Gli
inibitori delle mono-amino-ossidasi possono causare danni oculari irreversibili.
x L’isotretinoina può indurre alterazioni in tutte le mucose ed epiteli compresi i componenti dell’occhio. Sono state descritte molte reazioni
avverse oculari tra cui rare alterazioni nella percezione dei colori risoltesi poi alla sospensione del farmaco.
x Il dimenidrinato è un antistaminico che altera la distinzione dei colori.
x Il disulfiram invece può causare neuropatia periferica, neuropatia e atrofia ottica. E’ stata descritta un’alterazione della percezione dei
colori che persisteva anche fino a due anni dopo la sospensione del farmaco.
A cura di Raimondo Russo
Anno VIII numero 43
Pagina 39
CONTRIBUTO DEI PAZIENTI ALLA RILEVAZIONE DI SEGNALI DI SAFETY
HOW DO PATIENTS CONTRIBUTE TO SIGNAL DETECTION? A RETROSPECTIVE ANALYSIS
OF SPONTANEOUS REPORTING OF ADVERSE DRUG REACTIONS IN THE UK’S YELLOW
CARD SCHEME
Hazell L, Cornelius V, Hannaford P, et al. Drug Safety, pubblicato on line il 27 febbraio 2013
CONTESTO Nel 2005, la segnalazione spontanea delle reazioni avverse da farmaci (ADR) allo Yellow Card Scheme (YCS) del
Regno Unito è stata estesa per includere i report dei pazienti. In questo articolo si indaga l'impatto potenziale delle segnalazioni
fatte dai pazienti sulla farmacovigilanza.
OBIETTIVI Lo scopo di questo studio è stato quello di indagare il contributo relativo delle segnalazioni dei pazienti alla rilevazione del segnale attraverso l'analisi di disproporzionalità.
METODI Sono stati analizzati i dati da tutte le segnalazioni presentate direttamente allo YCS tra l'ottobre 2005 e il settembre
2007. Sono stati creati tre set di dati di coppie farmaco-ADR: uno per i report dai pazienti, uno per i report dagli operatori sanitari
(HCP) e uno per tutti i report combinati. E’ stato utilizzato il metodo del Proportional Reporting Ratio (PRR) per identificare i segnali di disproporzionalità (SDR) per ogni set di dati. Sono stati confrontati i numeri di DSP identificati dalle segnalazioni dei pazienti e degli HCP, così come il tipo di ADR e farmaco sospetto coinvolto. E’ stata condotta un’analisi di sensibilità per esaminare
come la combinazione tra le segnalazioni di pazienti e HCP possa influenzare gli SDR individuati.
RISULTATI I dati ricevuti riguardavano 5180 report di pazienti e 20.949 report di HCP, per 16.566 e 28.775 coppie farmacoADR, rispettivamente, con 4340 coppie (10,6%) riscontrate in entrambi i set di dati. Una percentuale significativamente più elevata di SDR individuati da report di HCP riguardava reazioni classificate come gravi dalla Medicines and Healthcare products Regulatory Agency (MHRA) rispetto ai report dei pazienti (n 931, 48,0% vs n 185, 28,5%), o coinvolgeva farmaci di recente commercializzazione (n 596, 30,7% vs n 71, 10,9%). La percentuale di SDR valutati come non elencati nel Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto (RCP) era simile nei gruppi (~15%, sulla base di un campione casuale). Dopo aver combinato i report di pazienti e HCP, 278 (~11%) degli SDR identificati nell’analisi separata non rispondevano più ai criteri di SDR, comprese 12 ADR
gravi non incluse nel RCP. D'altra parte, l'insieme di dati combinati identificava ulteriori 508 SDR che non erano stati identificati
quando le segnalazioni di pazienti e HCP erano state analizzate separatamente. Circa il 10% (n 47) di questi SDR supplementari
sono stati valutati come reazioni avverse gravi che non erano elencate nel RCP.
CONCLUSIONI Anche se questo studio è limitato all’esperienza del Regno Unito, nel complesso i risultati suggeriscono che le
segnalazioni dei pazienti possono fornire un contributo positivo complementare a quella degli operatori sanitari. Le segnalazioni
dei pazienti possono contribuire in modo importante alla sicurezza dei farmaci, individuando diversi SDR non desunti dai soli
report degli HCP. La combinazione delle segnalazioni di pazienti e operatori sanitari, tuttavia, quando utilizzata ai fini della rilevazione del segnale mediante analisi di disproporzionalità, può causare la perdita di alcune informazioni. Una possibile strategia è
quella di condurre tali analisi utilizzando i report di pazienti e operatori sanitari insieme e separatamente per ogni gruppo.
A cura di Raimondo Russo
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Pagina 40
NUOVI SOCI
BASSANINI STEFANIA
NOVARTIS FARMA
BERNAREGGI MICAELA
JANSSEN-CILAG
CICERONE MARINA
Comitato Etico Policlinico Gemelli
CILIA EMANUELE
CSS-MENDEL
DEL FIACCO MATTEO
ALCON
DI LAURO ESTHER
JANSSEN-CILAG
GATTI BRUNELLA
JANSSEN-CILAG
LEONARDO ROSALIA
JANSSEN-CILAG
MERCADANTE DOMENICO
DI RENZO
PORPIGLIA PASQUALE ALBERTO
NOVARTIS FARMA
PREVITALI EMANUELA
Libero Professionista
RAICHUK IULIIA
ALCON
RANDAZZO NAOMI
ALCON
Ecco gli undici consiglieri durante la prima riunione dello
scorso 6 maggio 2014.
Seduti al tavolo (da sinistra):
Luigi GODI,
Anna PICCOLBONI,
Marco ROMANO,
Salvatore BIANCO.
In piedi (da sinistra):
Giuseppe ASSOGNA
Sergio CAROLI
Rossana BENETTI
Marie-Georges BESSE
Gianni DE CRESCENZO
Domenico CRISCUOLO
Simona COLAZZO
Hanno collaborato a questo numero:
Giovanni Abramo - [email protected]
Domenico Barone - [email protected]
Salvatore Bianco - [email protected]
Elena Bresciani - [email protected]
Sergio Caroli - [email protected]
Domenico Criscuolo - [email protected]
Francesco De Tomasi - [email protected]
Roberto Di Virgilio - [email protected]
Luciano M. Fuccella - [email protected]
Luigi Godi - [email protected]
GiovanBattista Leproux - [email protected]
Fabio Montanaro - [email protected]
Raimondo Russo - [email protected]
CONSIGLIO DIRETTIVO
Presidente: Marco Romano Vice—presidente: Anna Piccolboni Segretario: Salvatore Bianco Tesoriere: Luigi Godi
Consiglieri: Giuseppe Assogna, Rossana Benetti, Marie-Georges Besse, Sergio Caroli, Simona Colazzo, Domenico Criscuolo, Gianni De Crescenzo.
Direttore Responsabile: Domenico Criscuolo Comitato editoriale: Giovanni Abramo, Domenico Criscuolo, Gianni De Crescenzo, Francesco De Tomasi, Luciano M. Fuccella, Marco Romano
Segreteria editoriale: Sabrina Lucioni Segreteria Organizzativa: Viale Abruzzi 32—20131 MILANO Tel. 02-29536444 Fax. 02-89058506 E-mail [email protected]
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Registrazione del Tribunale di Milano, N. 319 del 14/05/2007
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