Ciao a tutti..!! noi siamo ragazzi della 3° i delle Mazzini di villa Corridi
(Livorno)
La nostra è l'ultima classe della scuola e noi ne siamo, in
fondo, un po' orgogliosi, anche perché questo ci ha dato
l'opportunità di lavorare in modo diverso, a volte più faticoso,
a volte più divertente, sicuramente più interessante.
Quest'anno, ad esempio, abbiamo deciso con la nostra insegnante di Lettere di affrontare
l'argomento del Risorgimento, approfondendo gli aspetti che riguardavano più da vicino la
nostra città in quel periodo storico (Livorno, infatti, anche se non sono in molti a
conoscerlo, ha avuto un posto di rilievo durante il Risorgimento, assumendo posizioni
coraggiose ed autonome rispetto ad altre città anche toscane).
Inoltre ci è piaciuto puntare l'attenzione soprattutto sul contributo dato dalla gente comune
e in particolare delle donne alla causa risorgimentale: quando si studia la Storia.
Per realizzare il nostro progetto abbiamo utilizzato vari
metodi, alternativi al solito studio sui libri o alle semplici
spiegazioni dei professori. Il più importante è stato
quello delle indagini sul territorio: in una uscita ci siamo
documentati sui Livornesi caduti durante il Risorgimento,
poi presso la "Porta San Marco" abbiamo raccolto
informazioni su uno dei momenti-chiave della difesa di
Livorno nel 1849.
Abbiamo lavorato anche a scuola, naturalmente, studiando il periodo storico che
ci interessava, rielaborando le informazioni che avevamo raccolto nelle uscite,
facendo ricerche ed infine realizzando una specie di ipertesto multimediale
sull'argomento. In tutte queste fasi abbiamo alternato i momenti di lavoro
individuale alle attività di coppia e di gruppo. Come strumenti,abbiamo
adoperato, abbiamo usato anche la fotocopiatrice (per foto e testi presi da
vecchi libri, dal nostro libro di storia e da documenti riportanti alcune
testimonianze di importanti livornesi) la
fotocamera digitale, utilizzati durante le uscite, ma soprattutto il computer,
indispensabile per immagazzinare tutti i dati che siamo riusciti a recuperare e per
realizzare la parte informatica del nostro lavoro, che si è concluso con la
realizzazione di un CD.
Questa attività ci è servita per riscoprire luoghi e monumenti della
città che conoscevamo appena (a volte guardiamo le cose che ci
stanno intorno con superficialità, senza apprezzarle e senza capirne
il significato e le origini); ma
soprattutto è stata importante per arricchire le nostre conoscenze e per farci
capire che anche Livorno ha partecipato significativamente al Risorgimento
Italiano. Le vicende del Maggio 1849 hanno mostrato come, mentre altre e più
importanti città italiane chinavano la testa davanti al più forte, Livorno non ha
esitato a difendere la libertà sebbene fosse un'impresa disperata. Credevamo
che la nostra fosse solo una città bella, ma senza storia. Invece è stata una
sorpresa vedere come possiamo andare orgogliosi non solo del suo mare, ma anche
dello spirito fiero e indipendente dei nostri antenati.
Infatti, forse anche per la loro origine (i primi abitanti erano esuli provenienti da
tutta Italia e dall'Europa, perseguitati per motivi politici o religiosi, ma anche
persone che avevano avuto a che fare con la giustizia...)
Cosimo I Granduca di Toscana incaricò il
Buontalenti di costruire una città ideale.
La data di Livorno risale al 28 Marzo 1577.
Livorno era un piccolo borgo di mare,ma diventò
una città portuale dove arrivava gente di ogni
luogo,religione e cultura che fornivano lievito per
la maturazione culturale e intellettuale della città.
Lo scorso anno(2006) Livorno ha compiuto 400 anni….
Per ricordare questo importante momento il Comune di Livorno ha
organizzato varie manifestazioni per tutta la città tra le quali anche un
concorso teatrale rivolto a tutte le scuole cittadine a cui la nostra classe ha
partecipato il tema proposto era proprio la storia di Livorno ed ha vinto.
Il nostro spettacolo aveva come ambiente proprio la classe…gli alunni ,come
poeti, scrivevano in rima la storia dalle origini ai giorni nostri. Le poesie si
soffermavano su diversi temi diversi temi:
la nascita di Livorno le leggi livornine e soprattutto Garibaldi….
In onore di Garibaldi,
tante piazze ci sono,
aRoma, a Firenze e in ogni luogo,
perché di lui,
tutto il mondo parla ma Garibaldi anche a Livorno sbarca,
e e i livornesi son pronti a seguire
la la sua bandiera
superando ogni barriera.
Lo spettacolo è stato così piacevole e carino che ha vinto il primo premio ed
è stato poi riproposto all’attenzione di tutta la città durante il Settembre
Pedagogico.
L’arrivo di Mazzini a Livorno nel febbraio 1849
L’arrivo di Mazzini a Livorno, del quale il Governo granducale fino dal 31 gennaio temeva le
conseguenze, avvenne all’alba dell’8 febbraio.
Così descrisse l’avvenimento il Corriere livornese del giorno seguente:
All’alba coll’Ellesponto giungeva fra noi Giuseppe Mazzini, l’Uomo odiato da tutti i Governi d’Italia
perché puro e incontaminato, e per non aver mai curvato la fronte a taluni liberali d’occasione e di
professione. Le campane davano il segnale del suo arrivo nella nostra città, ed il popolo accalcavasi
per le vie che doveva percorrere; cento bandiere sventolavano, e le finestre si ornavano di tappeti,
una guardia d’onore composta di bersaglieri e di Guardia Nazionale comandata dagli ufficiali Sgarallino
e Guerrazzi stabilivasi all’uscio del cittadino Notary, ove il Mazzini ha preso dimora. A mezzogiorno
tutti i Circoli di Livorno con bandiere e cartelloni su cui era scritto "Dio e il Popolo", "Viva Mazzini e
La Cecilia, nostri Deputati alla Costituente Italiana", si adunavano in piazza; vi concorreva pure lo
Stato Maggiore della Guardia Nazionale, vari drappelli della stessa milizia, e dell’artiglieria cittadina
ed una fitta moltitudine di popolo di ogni età e di ogni classe. Il numeroso e brillante corteo moveva
per via Borra a casa Notary. Lo Stato Maggiore della Guardia Nazionale e tutti i presidenti dei
Circoli si sono recati a complimentare l’illustre italiano, che sceso poscia con loro e preceduto dalla
banda civica e dalla fanfara dell’artiglieria si è diretto dal Governatore intrattenendosi a colloquio con
l’gregio Pigli e poscia è comparso insieme a lui sulla terrazza.
Fragorosi applausi salutarono Mazzini che parlò cercando di rasserenare gli animi, come riferì nel
seguito il Corriere livornese:
In Livorno arrivai esule nel 1830 e mi strinsi fratello con quegli uomini che voi innalzaste al potere,
conobbi pure Carlo Bini, egregio e distinto italiano, e lo ricordo con dolore perché non è più. Livorno
ebbe i miei pensieri sempre, e son lieto oggi di rivederla come la più patriottica città d’Italia. I plausi
che a me fate, dirigeteli ai principii ch’io professai, giammai all’uomo. Io debbo farvi una
comunicazione a nome del Governo. Il Granduca e tutta la famiglia sono fuggiti (e qui voci di gioia e di
festa, e il grido di ventimila cittadini, che tanti ne conteneva la piazza, hanno ripetuto – "Buon viaggio
un ostacolo di meno per l’indipendenza d’Italia"); e alle voci di "Viva la Repubblica!", "Proclamiamo la
Repubblica!", Mazzini ha risposto Io repubblicano per tutta la mia vita, vi esorto ad attendere
l’iniziativa da Roma. La Nazione per mezzo dei rappresentanti del popolo eletti col suffragio universale
e con libero mandato farà conoscere le sue volontà…
Una lettera dell’8 maggio 1849
Tra i tanti diari e documenti che riferiscono sui fatti accaduti a Livorno nel maggio del 1849, quando
la città si ribellò e resistette agli austriaci, c’è anche la lettera di un toscano sconosciuto che l’8
maggio scrisse a Luciano Bratolommei, fratello di Giampaolo e quindi cognato di Angelica Palli,
riferendo con angoscia le notizie che gli erano giunte da Pisa dove si trovavano i reparti austriaci,
toscani e modenesi al comando del generale Constantino d’Aspre ormai pronti ad attaccare Livorno:
A Luciano Bartolommei
Ora ti scrivo con l’animo veramente esacerbato: i Tedeschi in numero di 14 mila sono a Pisa, se ne
aspettano altri 8 mila. Mio padre fu ieri a Pisa e gli ha veduti. Hanno con loro più di cento pezzi di
cannoni grossissimi, equipaggi di ponti, pezzi, officine, insomma tutto il necessario per una vera
armata di campagna. D’Aspre alloggia al palazzo del Granduca, ha sotto i suoi ordini il principe
Alberto, il generale Walmoden (Nota: Ludovico Walmoden, vecchio generale austriaco quasi
ottantenne) e altri generali tra i quali uno di artiglieria. D’Aspre ha pubblicato un proclama con cui
annunzia che egli viene in Toscana a stabilire l’ordine e la sicurezza sia pubblica che privata, ch’egli
garantisce della disciplina delle sue truppe e spera che i toscani vogliano vedere in lui un amico, un
alleato. Lascia il governo toscano a Serristori, ma egli stesso, d’Aspre, prende il comando delle
truppe toscane le quali marceranno in avanguardia sopra Livorno. Nella colonna di attacco sarà in
testa il reggimento Estense (il duca di Modena è già a Pisa) e dietro i tedeschi. Una deputazione di
negozianti livornesi, tra i quali mio zio Manteri, andarono ieri da d’Aspre per rappresentargli che
essendo pochi i "tristi" in Livorno essi lo pregavano di risparmiare per quanto potesse il materiale della
città. Il generale tedesco si mostrò benissimo informato delle cose di Livorno, disse loro che domani
mattina si sarebbe presentato a Livorno tirando subito due o tre cannonate, che aspettava domani per
avere almeno 20 mila uomini sotto le mura e così sperava che intimoriti i Livornesi si sarebbero subito
arresi. Promise che avrebbe agito più che umanamente, non negò che il solo tiro fatto da una finestra
avrebbe bastato perché quella casa fosse spianata dalle sue artiglierie. Le truppe toscane pare che
saranno mandate poi in Ungheria! Ma a quei vili sta bene. Si parla di una leva in massa da farsi in
Livorno per mandarsi parimenti in Ungheria. Le truppe toscane si erano di già affratellate coi
tedeschi ed era veramente doloroso il vedere i nostri abbracciati ai tedeschi, i primi con la medaglia
della guerra dell’Indipendenza 1848 e i secondi con la medaglia "Italia Vinta". La città di Pisa gli ha
accolti con moltissima dignità. Domani è dunque la fine di Livorno. Quantunque tristi ho creduto darti
questi ragguagli che mi ha riferiti Papà.
La partecipazione delle donne alla difesa della città nel maggio 1849
Anche le donne parteciparono alla difesa di Livorno nel maggio del 1849 in particolare modo quelle dei
quartieri popolari dove più forte erano i sentimenti democratici. Tale partecipazione viene ricordata in
alcuni sonetti scritti in vernacolo da Vittorio Matteucci. In uno di questi si dice:
Gruppi di donne con bandiera rossa
correvan da San Marco a Fiorentina
dov’era più la strage e la rovina
chiamavano e’ fratelli alla riscossa.
Le nostre mamme, ‘nsieme all’infermiere,
cercavano ‘e feriti ‘n delle file,
all’assetati davano da bere.
Molte donne livornesi soffrirono nei giorni tragici e confusi dell’aprile-maggio 1849 che precedettero e
seguirono l’entrata a Livorno delle truppe austriache, anche della mancanza di notizie sui propri
congiunti, perché impegnati senza sosta nelle varie attività di difesa o perché arrestati o costretti ad
allontanarsi dalla città senza avere avuto il tempo di darne comunicazione alla famiglia.Tra queste
donne vi fu la moglie di Antonio Petracchi, navicellaio e maggiore della Guardia Civica, che abitava col
marito nel quartiere "Venezia". A seguito del colpo di stato messo in atto a Firenze dai moderati il 12
aprile 1849, il Petracchi, che comandava il battaglione "Bande Nere, ripiegò con i suoi verso Pistoia.
Il 17 aprile seguente, costretto a deporre le armi, venne arrestato dalle truppe regolari e trasferito
prigioniero nella capitale toscana. La sua famiglia rimase per qualche tempo all’oscuro di quanto gli era
accaduto. Quando ormai Livorno era in mano agli austriaci, la moglie del Petracchi, Teresa, disperata
e ansiosa di avere notizie del marito scrisse a Gian Paolo Bartolommei chiedendogli un aiuto. Questi,
partecipe dello stato d’animo della donna, interessò direttamente della questione Luigi Fabbri
Gonfaloniere di Livorno.
I fatti del maggio 1849 nei ricordi di Giovanni Fattori e Renato Fucini
Tra i cittadini di Livorno che assistettero ai fatti del 10-11 maggio 1849 c’era Giovanni Fattori, il
futuro capofila dei "macchiaioli" toscani. Data la giovane età, egli fu trattenuto dai familiari nella
casa di Via del Corso e non poté partecipare alla difesa. Arrampicato sul tetto dello stabile in cui
abitava, riuscì ad osservarne le fasi più emozionanti e trasse anche da queste lo spunto per suoi
quadri risorgimentali che lo resero celebre nell’età matura. Conservò di quell’avvenimento un ricordo
vivissimo, vantandosi per tutta la vita, malgrado la sua ben nota modestia, di essere di Livorno, la
città che aveva osato prendere a cannonate gli austriaci.
Un altro artista di talento, lo scrittore e poeta Renato Fucini, ricordò con parole di viva commozione i
momenti dello scontro, che visse, sia pure indirettamente, in età infantile dal paese di Montecalvoli
con il padre David, medico condotto. I due Fucini, assieme ad altri amici, erano saliti in vetta alla
collina per udire i colpi dei cannoni.
Racconta nelle sue memorie il Fucini:
Seduti qua e là, coi gomiti sulle ginocchia e la fronte tra le mani, aspettavamo taciturni e sospirosi la
voce funesta del cannone. E quella voce non tardò a farsi sentire. Al rumore della prima cannonata
che arrivò sorda lungo la marina, un lampo di speranza brillò sul pallore di quelle facce desolate. Tutti
si buttarono in ginocchio a baciare la terra esclamando "Italia, Italia mia!" e rialzatisi, si fusero in
gruppo stretto, abbracciandosi piangendo e raccomandandosi a Dio per la salvezza di Livorno. Non so
quanto ci trattenemmo lassù; ma certo non partimmo prima che il cannone avesse smesso di far
sentire la sua voce. Alle grida di gioia che si erano alzate via via che i colpi si facevano più fitti
(dando così speranze di resistenza vittoriosa degli assediati) ai gesti disperati e alle furibonde
imprecazioni quando quei colpi si diradavano, tenne dietro un cupo silenzio allorché tutto tacque.
Livorno era vinta; un’orda di migliaia di austriaci, armati di cannoni e dei migliori fucili del tempo,
avevano sopraffatto quella eroica popolazione...
Enrico Bartelloni
Enrico Bartelloni, certamente uno dei maggiori esponenti livornesi del Risorgimento, fucilato dagli
austriaci il 17 maggio 1849, non si accontentava di fare sentire la propria voce a Livorno come guida
dei democratici insieme a Francesco Domenico Guerrazzi, ma lui, bottaio, prendeva la penna e con
coraggio sosteneva le proprie idee anche fuori della città. La lettera di seguito riportata, al di là
degli errori di grammatica perdonabilissimi se rapportati ai nobili sentimenti dell’Autore, testimonia la
schiettezza del popolano e quanta passione egli mettesse nel seguire i propri ideali. La lettera, senza
data, è diretta a Giuseppe Montanelli che alloggiava presso la "Locanda della Luna" a Firenze. Fu
scritta probabilmente tra i primi di ottobre e la fine di novembre del 1848 e si riferisce alla
formazione del governo presieduto dal Montanelli del quale faceva parte anche il Guerrazzi.
Egli era un repubblicano e capitano dei volontari. Sostenne strenuamente l’opposizione armata
all’ingresso degli Austriaci in città. Sopraffatta ogni resistenza, cercò la morte schernendo gli sbirri.
Il piombo di un plotone lo sublimò fra i martiri purissimi del Risorgimento italiano.
Francesco Domenico Guerrazzi
Francesco Domenico Guerrazzi (Livorno 12 agosto 1804 – Cecina 25 settembre 1873) è stato un
politico e scrittore toscano, impegnato nel movimento risorgimentale.Nel 1824 si laureò in legge
all‘Università di Pisa e iniziò ad esercitare la professione di avvocato a Livorno, ma prestò lasciò la
professione per darsi alla politica e alla letteratuta. Influenzato da Byron, scrisse le Stanze nel 1825
e il romanzo La battaglia di Benevento nel 1827 che lo rese celebre.Guerrazzi divenne amico di
Giuseppe Mazzini e insieme a lui e a Carlo bini nel gennaio 1829 fondò a Livorno il quotidiano
Indicatore livornese, del quale fu il direttore. Il giornale, però, fu chiuso dalle autorità del
Granducato di Toscana nel febbraio 1830, dopo 48 numeri, e lo stesso Guerrazzi fu relegato a
Montepulciano per sei mesi a causa di una sua orazione in memoria di Cosimo Del Fante. Durante il
confino iniziò a scrivere il suo romanzo storico, L'assedio di Firenze. Per la sua attività nella giovine
Italia fu imprigionato diverse volte: nel 1833 fu rinchiuso per tre mesi nel Forte Stella di
Portoferraio.Nel 1848 divenne ministro del governo toscano e tentò di esercitare una certa influenza
approfittando del momento di difficoltà del granduca. L'8 febbraio 1849, dopo la fuga del granduca
Leopoldo II, Guerrazzi formò un triumvirato con Giuseppe Mazzini e Giuseppe Montanelli, poi il 27
marzo fu nominato dittatore. Alla restaurazione del governo granducale, rifiutò di fuggire e fu
condannato a 15 anni di carcere. In quegli anni scrisse la sua autodifesa (intitolata Apologia),
pubblicata nel 1852.Dopo circa tre anni la pena fu commutata nell’esilio in Corsica, ma nel 1853 fuggì
e risedette fino al 1862 a Genova (la città gli ha dedicato una via). Dal 1862 al 1870 fu deputato al
parlamento italiano.Altre sue opere furono Isabella Orsini (1845) e Beatrice Cenci (1854). Le sue
lettere furono raccolte e pubblicate da Giosuè Carducci nel 1880.
Piazza Guerrazzi
Rassegnatissimi ma dignitosi i cavalli degli «omnibus,> trascinano i viaggiatori dinanzi allo
sguardo corrucciato del Guerrazzi. I viaggiatori, per la verità, non sono numerosi anche
perchè, a piedi, si impiega lo stesso tempo. Si guardi con che calma quel concittadino, col
corbello sulle spalle, attraversa dinanzi ai destrieri in coppia i quali sembrano concordare sul
detto: «In due si soffre meglio». Sullo sfondo il Cisternino, una pregevole opera leopoldina
(1832) effettuata su progetti del celebre architetto Poccianti. Ai tempi della foto, primissimi
anni del secolo, il Cisternino (nato come deposito ausiliario) che avrebbe dovuto distribuire le
acque delle sorgenti di Colognole non andò mai in funzione, probabilmente per un errore di
livellazione rivelatosi durante la costruzione della grande volta sul Fosso Reale (piazza della
Repubblica). Attualmente il tutto forma la Casa della Cultura. Il Cisternino era destinato
anche ad abbellire la piazza dedicata al celebre e controverso (soprattutto dai «moderati»
fiorentini) personaggio della storia livornese. Livorno attende ancora un «qualcosa,> che
renda giustizia a Guerrazzi, un politico di primo piano e un grande scrittore. Giuseppe Mazzini
giudicava i suoi libri «battaglie». E, in effetti, erano battaglie per la libertà e il progresso
del nostro Paese. Una delle grosse “sfortune” di Guerrazzi fu che la storia (generalmente
scritta dai vincitori) della sua vita e delle sue opere venne fatta conoscere da coloro che lo
avevano vinto e anche umiliato.
Garibaldi, l'eroe più popolare del
Risorgimento italiano che fu uno dei fattori
principali dell'unità d'Italia, nacque a Nizza il 4
Luglio 1807 da Domenico, di Chiavari, e Rosa
Raimondi, di Loano. Il padre possedeva una
tartana, con la quale praticava il cabotaggio.
Egli tuttavia avrebbe voluto avviare Giuseppe,
suo secondogenito, per una carriera come
avvocato o medico, o anche prete. Il figlio,
però, amava poco gli studi e prediligeva gli
esercizi fisici e la vita sul mare.
Tra le importanti imprese di Garibaldi ricordiamo:
-Nel 1833 fu messa a parte da Giovan Battista
cuneo dell’esistenza dell’attività rivoluzionaria della
mazziniana GIOVINE ITALIA,a cui si affiliò appena
rientrato a Marsiglia.
-Partecipò al tentativo insurrezionale in Savoia
-Nuovamente imbarcatosi per il Mar Nero, fu al
servizio del Bey di Tunisi,prima di ottenere il
comando in seconda di un brigantino diretto a Rio
de Janeiro(1835)dove aderì al movimento degli esuli
mazziniani e alla massoneria .
Garibaldi che nel 1860 era a Genova, da tempo sognava di
porre mano alla spedizione, prima però voleva essere ben
sicuro di aver favorevole la popolazione. Vittorio Emanuele
ufficialmente gli negò il suo aiuto, ma fece finta di ignorare
una spedizione di volontari. Cavour, invece, era
assolutamente contrario, perché temeva complicazioni
internazionali,e perché conosceva lo spirito repubblicano di
Garibaldi. L'eroe raccolse intorno a sé, senza fatica, un
migliaio di volontari (per questo furono chiamati "i Mille") di
tutte le età. Visto che il governo piemontese non dava aiuti
ufficiali, i garibaldini simularono un colpo di mano e si
impossessarono, del porto di Genova, di due battelli a vapore
della compagnia Ribattino: il Piemonte e il Lombardo, e li
condussero fuori dal porto verso lo scoglio di Quarto, dove li
Anche molti
livornesi
parteciparono alla
spedizione dei
mille…
Garibaldini
livornesi che
parteciparono
alla campagna
nell’Agro romano
del 1867 e al
combattimento
di Mentana
Un primo contingente di 35 volontari con a capo Jacopo Sgarallino lasciò il porto labronico
il 1° di maggio con il piroscafo Etruria per recarsi a Genova e quindi a Quarto dove
imbarcò con il grosso del contingente sul piroscafo Lombardo il cui comandante era Nino
Bixio e il direttore di macchina Giuseppe Orlando.
Un secondo contingente di 77 volontari agli ordini di Andrea Sgarallino lasciò Livorno il 2
di maggio seguente sulla tartana Adelina. Questo gruppo sbarcò a Talamone il 5 maggio e
si riunì ad altri volontari per compiere nello Stato Pontificio una diversione che aveva lo
scopo di ingannare il governo borbonico. Quando anche il Lombardo e il Piemonte
gettarono le ancore a Talamone i volontari vennero riuniti e riordinati in nuove compagnie
ad una delle quali fu assegnato il nome Livorno. Al termine tutti diressero verso la
Sicilia. Andrea Sgarallino portò con sé la bandiera che aveva salvato a Curtatone e
Montanara e l’affidò come portabandiera al livornese Cesare Gattai, uno dei più giovani
partecipanti all’impresa che morì successivamente a Calatafimi. Quella bandiera tornò
integra a Livorno.
Organizzati e guidati dal livornese Vincenzo Malenchini, che aveva combattuto in
Lombardia nel 1848, altri 1200 volontari toscani, dei quali ben 800 livornesi, partirono il
19 giugno 1860 dal Calambrone per raggiungere Garibaldi in Sicilia, come ricorda ancora
un cippo eretto in questa località. Malenchini aveva creato per l’occasione un centro di
reclutamento in una trattoria di via della Rondinella. Infine un’ultima spedizione di circa
2.000 uomini, diretta anch’essa in Sicilia, vide la partecipazione, tra i tanti, di Giovanni
Guarducci che era stato a capo della difesa della città nel maggio del 1849.
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Garibaldi, l`eroe più popolare del Risorgimento italiano che fu uno