Capitolo 9: Attualità e prospettive dei polimeri: ricerca, tecnologia, industria. 9.1) Dal concetto di commodities e specialties a quello di materiali multifunzionali e intelligenti. Le ragioni che hanno portato le plastiche a sostituire in molte applicazioni materiali più tradizionali e a sviluppare polimeri speciali a funzioni d’uso, capaci quindi di trovare utilizzo in nuovi settori, dove altri tipi di materiali per le loro intrinseche caratteristiche, non hanno possibilità d’impiego, sono state così sintetizzate dall’Autore: "The synthetic polymers have been able to substitute more and more traditional materials for application in many sector. The reasons are mostly related to the fact that in the case of polymers it has been possible to introduce: -Innovations of product (performance, durability, lightness, photo-biodegradability, biocompatibility, recyclability, ecc.); - Innovations of process, related to all steps of the global “life-cycle”, aimed at: a) save and recover energy, b) set up more clean and safe technologies, c) increase of the production speed, d) making easier the processability; - Products “Market Oriented”, that is, designed to satisfy a broad range of demands from customers (Clients Oriented Production); - New concepts such as Molecular Design, Formulation and Process Design and Design for Recycling" [65-a]. Il mercato dei polimeri (comprende termoplastici, termoindurenti, elastomeri gomme e fibre) si articola su tre grandi famiglie di prodotti: - polimeri tradizionali (standard plastics); - tecnopolimeri (engineering plastics); - polimeri speciali ad elevate prestazioni (high performance plastics). I polimeri speciali, in quanto prodotti di nicchia, sono caratterizzati da alti costi unitari e da bassi volumi di produzione; il contrario vale per i polimeri di massa. Il tipo di correlazione costo-volume di produzione, in dipendenza delle caratteristiche dei polimeri, segue un andamento che è qualitativamente rappresentato nella figura 85. In relazione allo sviluppo di queste classi di polimeri, relativamente agli ultimi 221 25 anni, in una recente pubblicazione della Federchimica dal titolo “Grandi polimeri: evoluzione tecnologica ed opportunità di ricerca” è riportato: "La ricerca di materiali completamente nuovi con elevate prestazioni ha subito negli ultimi anni una notevole battuta di arresto in quanto le previsioni di crescita, estremamente promettenti, del mercato dei tecnopolimeri sono risultate errate, e la quota di mercato che avrebbero dovuto conquistare (secondo le previsioni fatte negli anni ‘70) è risultata nella realtà assolutamente marginale. Il mancato decollo nei consumi di questi materiali non ha permesso il conseguente abbassamento del loro costo di produzione, costringendoli ad una situazione di ulteriore svantaggio rispetto ai polimeri tradizionali, che invece hanno subito in questi anni ulteriori abbassamenti dei loro prezzi" (figura 86) [45-b]. Bisogna considerare, però, che per particolari nicchie di mercato ad elevato tasso tecnologico, i tecnopolimeri hanno trovato largo impiego rimpiazzando, per le loro caratteristiche e proprietà, metalli, ceramiche, vetro e legno. Pertanto per questa classe di polimeri, pur non verificandosi le aspettative di previsione, si è registrata, comunque, una crescita nella loro produzione così come viene illustrato nella figura 87 per alcuni tecnopolimeri di natura termoplastica [90]. Alcune interessanti applicazioni di polimeri a più alto valore aggiunto (tecnopo- Fig. 85: Correlazione tra prezzo unitario e prestazioni (in ordinata) e volume di produzione e di consumo (in ascissa), nel caso di polimeri sintetici. 222 Fig. 86: Previsioni della composizione del mercato fatte nel 1975 per il 1995 e realtà 1995 per le varie famiglie di polimeri [Rif. 45-b]. limeri o polimeri speciali), in settori trainanti ed in nicchie ad elevata tecnologia, sono qui di seguito descritte. Nelle telecomunicazioni il materiale polimerico più utilizzato è l’ABS. "Il materiale di elezione è l’ABS, poiché i requisiti dell’applicazione sono contemporaneamente quelli dell’elevata elasticità e di prestazioni meccaniche di alto livello. In termini quantitativi, la produzione si è attestata tra le 17.000 e le 20.000 tonn. annue. In questo ambito Enichem propone il grado di ABS “Sinkral L320S” classificabile ad alta fluidità, antistatico" [91]. Ad esemplificazione di questo tipo di applicazione nella tavola LI è riportata la riproduzione di un telefono cordless realizzato per l’appunto in ABS. I materiali polimerici impiegati nel campo della telefonia mobile sono progettati “ad hoc” al fine di rispondere a particolari sollecitazioni. "I requisiti cui devono sottostare i polimeri in questa applicazione sono assai severi; gli spessori dei gusci si sono ridotti all’estremo,…..,mentre la resistenza meccanica deve essere …. notevolissima, a causa delle alte probabilità di urto e di caduta …… Vi è poi da considerare un accessorio indispensabile come il carica batteria, i cui requisiti applicativi sono ancora più stringenti. Infatti a causa del contatto elettrico, bisogna aggiungere anche un buon livello di stabilità termica e di autoestinguenza" [91]. Tra i materiali di uso consolidato vanno annoverate le leghe policarbonato/ABS prodotte dall’Enichem e alcuni prodotti della Bayer, a base di poliuretani, commercializzati come “Bayblend”. Altri materiali che trovano impiego in questo settore sono le leghe policarbonato/acrilonitrile-stirene-acrilonitrile terpolimero (PC/ASA). Un componente, minuscolo, ma molto importante dei telefoni mobili è rappresentato dal display, la cui caratteristica fondamentale è quella di conservare inalte223 Fig. 87: Crescita nella produzione dei principali tecnopolimeri termoplastici [Rif. 90]. rata nel tempo la sua “leggibilità”. Per questo tipo di applicazione viene usato il polimetilmetacrilato che resiste molto bene sia al graffio che all’invecchiamento fisico-chimico ambientale (tavola LII) [91]. Leghe PC/ASA, sono utilizzate anche nel campo delle telecomunicazioni per la costruzione delle antenne paraboliche (tavola LIII) [91]. Il settore automobilistico, come emerge dai dati della figura 88, vede, oltre all’utilizzo di polimeri commodities quali il PVC, il PE e il PP, anche l’impiego di tecnopolimeri e di polimeri speciali tra i quali spiccano le poliammidi (PA), il polibutilenetereftalato (PBT), l’ABS, i poliuretani (PUR) ed altri materiali ottenuti con tecnologie particolari quali gli “sheet molding compounds” (SMC) ed i “bulk molding compounds” (BMC) [92]. La General Motors e la Montell hanno sviluppato un materiale appartenente alla categoria dei “nanocompositi” da usare nella costruzione di pannelli (tavola LIV) [92]. Materiali compositi a matrice poliuretanica, rinforzati con fibre naturali di origine vegetale (lino, canapa, sisal, ecc.), sono in fase di utilizzo per la costruzione di pannelli per auto. La Henneke (Bayer) ha messo a punto un processo finalizzato alla realizzazione di pannelli interni delle portiere che prevede l’utilizzo di un materiale ibrido, composto da un 35-45% di poliuretano e dal 65% di fibre naturali (un misto di lino, sisal e canapa). Questo nuovo materiale presenta un buon inter224 Fig. 88: Previsione di consumo di materiali polimerici nel settore auto in Europa nel 2000 [Rif. 91]. vallo di propriètà meccaniche, alta resistenza all’impatto ed elevata permeabilità [93]. Circa le grandi possibilità di utilizzo dei materiali polimerici nel settore auto A. Warmington scrive: "Legislative trends offer plastics some of their greatest opportunities in the automative sector. The CO2 reduction agreement means that, for the first time since the 1973 oil crisis, manufacturers will real have to take weight reduction into consideration..... To reduce emissions from 185 g/km to 140, petrol-fuelled cars must fall in weight by 300 kg, diesel and hybrid engine by 150 kg. This implies new designs of cars and an extended use of light materials" [92]. Lo scenario futuro del settore dei trasporti lascia intravedere anche lo sviluppo di autovetture elettriche a cella combustibile basate sull’utilizzo di tecnologie energetiche innovative caratterizzate da alta efficienza e basso impatto ambientale. Questo richiede, in particolare, la messa a punto di nuovi sistemi per la produzione, il trasporto e l’accumulo di energia. In questo contesto l’utilizzo di membrane polimeriche, quali componenti in celle a combustibile alimentate ad idrogeno puro o idrogeno da combustibili processati, rappresenta una interessante e sofisticata applicazione per la quale si richiedono importanti innovazioni di processo e di prodotto (tavola LV) [94]. Il quadro di sviluppo industriale vede le aziende impegnate principalmente nella 225 individuazione di nuove applicazioni per polimeri già in produzione. Questi sforzi richiedono risorse finanziarie prevalentemente per attività finalizzate alla messa a punto di nuovi processi capaci di modificare le caratteristiche e le proprietà di polimeri già consolidati sul mercato, attraverso tecnologie innovative e sostenibili. L’obiettivo è comunque quello di realizzare materiali innovativi che vadano ad incontrare una domanda, sempre più sofisticata e stringente, espressa dagli utilizzatori e questo in linea con lo sviluppo storico-culturale e scientifico della scienza dei materiali delineato nelle figure 89 e 90 [95, 7]. I processi di lavorazione e di trasformazione, durante i quali è possibile fare avvenire reazione chimiche che portino alla modificazione di polimeri termoplastici oppure termoindurenti, rappresentano una delle strade da percorrere per la messa a punto di materiali innovativi partendo da polimeri già in commercio. Alcuni processi di “reactive blending”, che hanno permesso di realizzare nuovi sistemi a matrice poliammidica, polipropilenica, poliestere insature e resine epossidiche con Fig. 89: Le “Ere” dei materiali attraverso i secoli [Rif. 95]. 226 elevata resistenza all’impatto, si sono dimostrati di grande interesse speculativo e applicativo [96, 101]. L’importanza del “reactive processing” viene così sottolineata da R. J. Kumpf et al.: "The Key to success for performing chemical reactions and modifications in polymer processing equipment is a sound understanding of the chemical reactions being conducted and the kinetics associated with these reactions, and the proper choice and design of equipment to accommodate the chemical reaction requirements…….Often, chemical reactions can be combined with compounding steps in efforts to “Streamline” the overall process, leading to economic advantages …… Twin-screw polymer reactor have gained wide acceptance for conducting polymerization reactions and polymer modifications because of their ability to integrate subsequent compounding steps" [90]. Esempi di processi reattivi sono illustrati nelle figure 91 e 92. In particolare nelle figure 91-a e 91-b sono riportati, rispettivamente, gli schemi che permettono l’ottenimento in situ di copolimeri a blocchi segmentati, policarbonato-polieteresolfone, e di copolimeri due blocchi, poli(p-fenilene ossido) – poliammide [90]. Nelle figure 92-a e 92-b sono descritte le reazioni che, mediante l’utilizzo di un estrusore a vite singola, portano alla formazione, rispettivamente, di un copolimero aggraffato poliammide-stireneacrilonitrile e di un copolimero tra polieterosolfo- Fig. 90: L’evoluzione della scienza dei materiali nel tempo: si è passati dai materiali strutturali a quelli funzionali e quindi a quelli multifunzionali ed intelligenti [Rif. 95]. 227 Fig. 91: Esempi di processi reattivi: a) il policarbonato (PC) reagisce con il polieteresolfone (PES) dando luogo alla formazione di copolimeri a blocchi segmentati; b) il poli(p-fenilene ossido) (PPO) reagendo con una poliammide (nylon 6,6) forma un copolimero a due blocchi [Rif. 90]. 228 Fig. 92: Schemi di reazioni realizzate “in situ” mediante “reactive processing”: a) la poliammide si combina con il SAN formando un copolimero ad innesto; b) il polieterosolfone reagendo con il policarbonato da luogo alla formazione di copolimeri, che, a seconda delle condizioni di reazione, possono essere di tipo random oppure a blocchi [Rif. 90]. 229 ne e policarbonato. In quest’ultimo caso è possibile, modificando i parametri della reazione, ottenere una serie di copolimeri la cui struttura molecolare può variare con gradualità controllata, passando dal tipo random a quella a blocchi [90]. Il percorso evolutivo schematicamente illustrato nelle figure 89 e 90 prevede che i nuovi materiali debbano avere la capacità di esplicare contemporaneamente funzioni diverse ed essere, inoltre, “intelligenti”, cioè in grado di recepire e fornire informazioni reagendo in maniera reversibile alle sollecitazioni fisiche, chimiche, termomeccaniche ed ambientali e questo in accordo con la definizione data da Allan S. Hoffman: "One can define “intelligent” polymers as those polymers which respond with large property changes to small physical or chemical stimuli" [102]. Due interessanti esempi di sistemi intelligenti, dove i polimeri giocano un ruolo determinante, sono riportati nelle tavole LVI e LVII. Nella tavola LVI è illustrato un “Active Fiber Composite System”, sviluppato presso il Massachussetts Institute of Technology (MIT), dove fibre ceramiche, con caratteristiche piezoelettriche, sono allineate in una matrice polimerica. Le caratteristiche, le proprietà e le possibili applicazioni di questi dispositivi sono così descritte da David Rotman: "These compounds convert mechanical stresses, such us vibrations, into electric signal (which can be harmlessly shunted), or, conversely, change shape or size in response to electricity …….That could mean smart helicopter rotors or airplane wings that twist on command, changing shapes to reduce vibrations and noises" [103]. La scoperta di una nuova famiglia di polimeri denominati poli(fluorofenil tiofeni) (FPT) ha permesso a Johns Hopkins et al. di realizzare degli elettrodi in plastica (tavola LVII). In questo sistema il 3, 4, 5 TFPT agisce da anodo mentre l’altro componente della famiglia il 3,5 DFPT da catodo. Tra questi due elettrodi, a sandwich, è situato un elettrolita costituito da un gel di poliacrilonitrile; il tutto è supportato da lamine in teflon. Questa batteria è capace di erogare tre volts per cella e può essere più volte ricaricata [104-a]. Studi sul comportamento fotofisico di ibridi (compositi e miscele), aventi come componenti polimeri con una struttura molecolare π- coniugata e fullureni (opportunamente modificati e funzionalizzati), hanno mostrato che questi sistemi hanno concrete possibilità di essere utilizzati per la realizzazione di fotodiodi e celle solari [104-b]. "the experiments clearly evidenced an ultrafast, reversibile, metastable photoinduced electron transfer from conjugated polymers onto the C60 in solid films. Schematic description of this phenomenon is displayed in figure 93. Using this molecular effect at the interface between bilayers consisting of semiconducting polymer [poly(2-methoxy, 5-(2I-ethyl-hexoxy)-p-phenylene) vinylene, hereafter referred to as MEH-PPV] and C60 films, diodes were demonstrated with rectification ratios on the order of 104 which exhibited a photovoltaic effect. Soon after … functionalised, highly soluble fullerenes were available. The superior solubility of these fullerenes compared to C60 enabled the fabri- 230 cation of highly fullerene concentrated composites….. Monochromatic power conversion efficiency of solar cells made from MEH-PPV/fullererne composites was subsequently increased by two orders of magnitude to approximately 3% " [104-b]. Sulle potenzialità applicative dei sistemi ibridi tra polimeri π-coniugati e fullureni così si sono espressi recentemente C. J. Brabec et al. nel loro già citato articolo “Plastic solar cell: from basic research to devices”: "The discovery of an ultrafast, reversible, metastable photoinduced electron transfer in conjugated polymer/fullerene composites has opened a large area of scientific and technological interest. In this report we limited the topic on the utilization of the photoinduced electron transfer for photodiodes and photovoltaic devices. However, the application potential of conjugated polymer/fullurene composites is much larger. Some examples for future research topics are shown in figure 94" [104-b]. Fig. 93: Illustrazione schematica del “Photoinduced Electron Transfer” da un polimero semiconduttore, con una struttura molecolare π-coniugata, ad una molecola di “Buckminsterfullerene”, C60 [Rif. 104-b]. 231 Fig. 94: Possibili campi di impiego di sistemi ibridi, basati su polimeri π-coniugati e fullerene, che sfruttano il processo di “ultrafast, reversibile, photoinduced electron transfer” [Rif. 104-b]. Alcuni materiali polimerici sono idonei, per le loro particolari caratteristiche, ad essere utilizzati come “Shape-Memory Plastics” (SMP), le cui modalità di funzionamento operativo sono così descritte da Gandhi e Thompson: "In the injection molding process, the plastics is initially heated, melted and injected into a mold, which is maintained at a specified temperature. Upon cooling, a hard molded plastic is obtained ……. When the molded plastic is heated up to shape recovery temperature the product manifests itself in a soft rubbery state. Is this soft state, the product can be easily subjected to large deformation by the application of appropriate force field. The deformed product in the rubbery state can be cooled in order to retain the same geometric configuration even in the absence of the applied force field. This process is usually referred to a secondary molding. Where it is heated again to the shape recovery temperature, the secondary molded product becomes rubbery and recovers the geometric configuration obtained by primary molding. This is accomplished by the release of the residual strain energy. When the product in this state is cooled to room temperature , the recovered product solidifies while maintaining its shape after the primary molding……. By employing external stimuli, it is possible to reversibly transform the product from its primary molded shape and vice-versa" [95]. Le plastiche con caratteristiche di “shape-memory” potrebbero trovare utilizzo nella fabbricazione di giocattoli, articoli sportivi, materiali per l’imballaggio, com232 ponenti per auto, sensori, apparecchiature per la dilatazione di vasi sanguigni ecc. [95]. Presso i laboratori della Nylstar (società nata da una joint venture, SNIA-RHODIA, di cui si è già scritto precedentemente) è stato messo a punto un processo, fortemente innovativo, attraverso il quale è stato possibile realizzare fibre cave di tipo poliammidico. Queste fibre, commercializzate come "Meryl Nexten", grazie alle loro caratteristiche e all’aria contenuta al loro interno, hanno trovato utilizzo nella realizzazione di tessuti, che pesano il 30% in meno rispetto a quelli di uguale spessore, e di capi "intelligenti" che assicurano un microclima costante, qualunque sia la temperatura esterna. Queste fibre sono state, recentemente, così pubblicizzate: "E’ ovvio che con queste caratteristiche Meryl Nexten abbia subito attirato l’attenzione degli stilisti più attenti nello studio dei materiali ….. facendo un’incursione anche nell’alta moda …… Una fibra meravigliosa che si abbina perfettamente a tutte le altre e che consente di realizzare capi leggeri, di grande comfort, che non si stropicciano, caratterizzati da un piacevole look naturale….. Meryl Nexten.....è elastica, leggera, confortevole, versatile.....è molto apprezzata anche in maglieria dove …… è un volume senza peso che conferisce alla maglia un effetto aerato e una piacevole freschezza [105-a]. L’utilizzo di materiali polimerici intelligenti nel campo del tessile fu preannunciato da Gandhi e Thompson, nel loro già citato libro, che a questo proposito ebbero a scrivere: "The clothing industry and the housing industry would both benefit from materials whose thermal conductivity and porosity vary as a function of temperature ad humidity. Thus, clothes fabricated in these materials (vedere anche il caso del Gore Tex, già precedentemente illustrato N.d.A.) would enable the individual to optimally maintain a state of comfort commensurate with the ambient conditions. They would be neither too hot nor too cool" [95]. Nel settore biomedicale la domanda di materiali intelligenti e multifunzionali è sempre più stringente. Utilizzando processi innovativi è stato possibile sviluppare membrane asimmetriche in poliacrilonitrile (figura 95) che hanno trovato impiego nel campo della emodialisi: "Haemodialysis treatment, …, involves a number of unwanted side-effects, .. The filtration not only eliminates toxic elements but also those useful to the body. Membranes in biohybrid system must fulfil a triple function. They must permit transport of nutrients, cellular products and oxygen, protect donor cells (whether animal or human) from the recipient’s immune system, and ensure that specific cells from the natural organ remain present" [105-b]. Specifiche esigenze, connesse alla domanda di conservazione “igienica e sostenibile” degli alimenti, richiedono lo sviluppo di imballaggi “funzionali”, capaci di: "adattare le prestazioni della confezione alle esigenze particolari di uno specifico prodotto alimentare: l’imballaggio e l’alimento non sono più visti come due entità separate, ma come elementi che possono interagire, perseguendo sempre e comunque l’obiettivo di migliorare l’accettabilità del prodotto confezionato" [106]. 233 Fig. 95: Micrografia elettronica a scansione di una sezione trasversale di una membrana polimerica asimmetrica in poliacrilonitrile utilizzata nella realizzazione di organi bioibridi [Rif. 105-b]. Gli imballaggi funzionali possono essere “attivi” e “intelligenti”. Un imballaggio si definisce attivo se interagisce con "l’atmosfera interna di una confezione variando la composizione quali-quantitativa dello spazio di testa, con il prodotto in essa contenuto, mediante il rilascio da parte dei materiali di antimicrobici, antiossidanti o altre sostanze utili per migliorare la qualità" [106]. Un imballaggio intelligente "indica un tecnica di packaging che prevede l’impiego di un indicatore, interno o esterno alla confezione, capace di rappresentare attivamente la storia del prodotto e quindi il suo livello di qualità" [106]. Il settore degli imballaggi funzionali rappresenta per le plastiche un interessante campo di impiego ad elevato contenuto tecnologico. Sistemi polimerici capaci di assorbire quantità di acqua pari a 100-500 volte il loro peso (polimeri superassorbenti) sono già utilizzati quali “assorbitori di umidità” per rimuovere l’acqua che eventualmente può accumularsi nelle confezioni a causa di un fenomeno di traspirazione di prodotti ortofrutticoli freschi, a seguito della fusione del ghiaccio durante il trasporto di prodotti ittici, oppure per effetto della essudazione di liquidi da carne fresca e nel caso della conservazione di alimenti ad elevata umidità relativa. 234 Alcuni assorbitori di umidità, già in commercio, utilizzano dei poliacrilati oppure degli amidi sulle cui macromolecole sono stati opportunamente innestati dei polimeri sintetici. Questi dispositivi, in genere, constano di due strati realizzati in polimero termoplastico microporoso tra i quali viene interposto un polimero superassorbente in forma granulare [106]. Altri polimeri vengono usati come “regolatori di umidità” con l’obiettivo di ridurre l’attività dell’acqua nell’ambiente in cui si trova imballato un prodotto alimentare e questo per ridurre la possibilità di crescite microbiche (muffe e batteri) e quindi prolungare la conservabilità dell’alimento. Un dispositivo, già in commercio, è basato su di un struttura caratterizzata da due film di polivinilalcol (un polimero che è permeabile al vapore d’acqua) contenente una sostanza a basso peso molecolare, il glicole propilenico, che esplica un effetto barriera. "L’abbassamento di attività dell’acqua alla superficie del prodotto è rapida ed efficace, per l’elevata differenza di umidità relativa tra prodotto (99%) e glicole (circa 0.0%). Questa forma di active packaging viene commercializzata in Giappone per uso domestico, per l’avvolgimento di pesce fresco, filetti di pesce, carne, pollame e garantisce un prolungamento della conservazione refrigerata di 3-4 giorni" [106]. Sistemi che utilizzano polimeri sono impiegati nel packaging attivo quali “assorbitori di etilene” nel caso di confezioni contenenti prodotti ortofrutticoli. L’etilene è una sostanza (un ormone vegetale) che questi prodotti producono per promuovere il processo di maturazione che inevitabilmente prosegue fino alla marciscenza. Pertanto nella conservazione delle derrate ortofrutticole è indispensabile provvedere alla creazione di un atmosfera controllata al fine di modulare la concentrazione dell’etilene. Alcuni dispositivi utilizzano una matrice in polimero termoplastico (polietilene oppure polipropilene) all’interno della quale sono disperse, in forma particellare, sostanze assorbenti attive nei confronti dell’etilene. La rimozione dell’etilene blocca i fenomeni collegati alla maturazione consentendo di mantenere più a lungo la qualità dei prodotti imballati. La possibilità di usare nel futuro materiali polimerici in dispositivi per un imballaggio funzionale sempre più “attivo” e “intelligente” richiede la implementazione di sforzi di ricerca e sviluppo ai quali dovranno partecipare esperti in discipline diverse che vanno dalla chimica, all’ingegneria, dalla biologia alla microbiologia oltre che ad esperti di materiali e in progettazione di macchine di lavorazione e trasformazione, capaci, con le loro attività e competenze di coprire tutte le fasi che fanno parte della complessa filiera del packaging. In questo contesto si inserisce, a pieno titolo, una interessante innovazione di processo e di prodotto, sviluppata recentemente dalla SIDEL, la quale ha messo a punto una linea che vede la presenza in serie, nella filiera della produzione di bottiglie in PET, di una apparecchiatura per il trattamento barriera e di una macchina per il soffiaggio (tavola LVIII) [107]. Il trattamento barriera “Actis”, che sfrutta la tecnologia del plasma freddo, per la prima volta utilizzata nel campo dell’imballaggio, prevede: 235 1) l’introduzione nelle bottiglie di PET di gas acetilene; 2) la conversione del gas acetilene in plasma. Le particelle allo stato di plasma, dotate di grande attività ed energia, urtando contro le pareti interne della bottiglia, provocano la formazione di uno strato superficiale di carbone amorfo altamente idrogenato che conferisce al PET una barriera che risulta essere 30 volte più efficace per l’ossigeno, 7 volte per l’anidride carbonica e 6 volte per le aldeidi. Queste caratteristiche permettono alle bottiglie, così trattate, di essere utilizzate anche per contenere bevande molto delicate come la birra. Il processo è schematizzato nella tavola LIX [108]. Film a base di nylon, per le particolari caratteristiche meccaniche e di impermeabilità all’ossigeno, troveranno, in combinazione con altri polimeri o materiali diversi (attraverso processi di miscelazione, coestrusione ecc.) un sempre maggiore utilizzo nel campo dell’imballaggio alimentare per atmosfera controllata e comunque attivo. La capacità produttiva italiana di film di nylon (“biorientati” e “cast”) è destinata ad aumentare. Infatti recentemente la Caffaro Flexible Packaging, una società del gruppo SNIA, che produce attualmente presso i suoi stabilimenti di Ceriano Laghetto (Milano) e Pisticci (Matera) circa 60.000 tonnellate l’anno di nylon, e PET e ha oltre il 50 % della quota di mercato europea della pellicola di nylon, ha deciso di accrescere la capacità produttiva di questo prodotto del 50%, portandola dalle attuali 16 mila a 24 mila tonnellate l’anno [Rif. 108-b]. 236 9.2) L’industria delle plastiche in un contesto di sviluppo sostenibile. 9.2.1) Il riciclo dei materiali a fine vita: da problema ambientale ad occasione di sviluppo industriale. Dopo alcuni gravi incidenti, quale quello che si verificò il 10 luglio 1976 agli impianti di produzione di triclorofenolo della “Icmesa”, che provocò lo sviluppo di una nube tossica e la ricaduta di diossina nel territorio di Seveso, e quello avvenuto, negli anni ottanta, a Bhopal in India, quando una nube di gas tossica, fuoriuscita dagli impianti chimici della Union Carbide, uccise migliaia di persone (questo evento rappresenta il più grave incidente industriale nella storia dell’umanità), l’industria chimica è stata costretta, suo malgrado, a investire sempre di più in ricerche finalizzate a ridurre l’impatto ambientale, aumentare la sicurezza e la salute sia all’interno che all’esterno delle fabbriche (come viene evidenziato dai dati riportati nelle figure 96 e 97 [109]. Il costoso processo di adeguamento dell’industria chimica ai principi della sostenibilità ambientale registrò una notevole accelerazione a seguito della conferenza di Rio de Janeiro (1987) che si concluse con l’approvazione del rapporto (noto come rapporto Brundtland) della Commissione Mondiale per l’Ambiente e lo Sviluppo delle Nazioni Unite. In tale rapporto il concetto di sostenibilità veniva Fig. 96: L’evoluzione delle spese per l’ambiente dell’industria chimica (in miliardi di lire) [Rif. 109]. 237 così definito: "Quello sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere le capacità delle generazioni future di soddisfare i propri". Questa definizione in un recente articolo, è stata così commentata da U. Colombo: "….. sono convinto che la chimica, con la sua ricerca e la sua industria, ha un ruolo essenziale da giocare per rendere sostenibile lo sviluppo. La definizione ……. di sviluppo sostenibile –che congloba economia e ambiente, presente e futuro, tecnologia o organizzazione, natura e società- ha avuto notevole successo, anche se sono via via emerse critiche e accuse di eccessiva semplificazione, perché non tiene in sufficiente conto gli aspetti degli squilibri ambientali, economici e sociali del pianeta, della demografia, della cultura, della politica.. Il dibattito che ne è seguito ha solo in parte risposto a queste critiche, data la difficoltà di fare analisi e valutazioni obiettive nel corso di un processo del quale si hanno conoscenze incomplete e le cui prospettive sono incerte, in mancanza di adeguati strumenti per misurare la sostenibilità e di politiche per implementarla" [110]. In questo contesto generale anche l’industria dei polimeri è stata forzata ad elaborare e perseguire delle strategie “environmentally responsible and accountable for the products and processes in its purview worldwide” [111]. Fig. 97: L’industria chimica è impegnata ad essere sempre più “sostenibile” come si evince dalla riduzione dell’emissione di CO2 nell’ambiente (i dati in figura si riferiscono all’Italia) [Rif. 109]. 238 Fig. 98: Le varie fasi relative alla valutazione del ciclo di vita di un prodotto secondo il modello “lifecycle assment” [Rif. 111]. Questo prevede l’adozione di modelli di sviluppo tra i quali uno dei più interessanti è quello basato sul “life cycle assessment” proposto dalla SETAC (the Society of Environmental Toxicology and Chemistry-USA). Secondo questo modello la valutazione completa del ciclo di vita di un prodotto, di un processo e più in generale di una qualunque attività produttiva, prevede tre fasi, separate ma strettamente interconnesse tra loro (figura 98) [111]. i) Inventario del ciclo di vita (inventory) Quantifica il fabbisogno di energia e di materie prime, le emissioni in aria, gli effluenti, i rifiuti solidi e ogni altro tipo di prodotto immesso nell’atmosfera. ii) Analisi dell’impatto del ciclo di vita (impact analysis) Analizza il peso dell’impatto ambientale dei fattori identificati nella fase di inventario valutandone gli effetti in termini di considerazioni ecologiche, di salute umana, di modificazione dell’habitat, di inquinamento acustico ecc.. iii) Analisi per il miglioramento del ciclo di vita (improvement analysis) Valuta sistematicamente i bisogni e le opportunità necessarie a ridurre il peso che i vari stadi operativi del ciclo di vita (figura 99), identificati durante la fase di inventario, hanno sull’ambiente e sulla sostenibilità dell’intera attività. Quest’analisi, spesso, porta all’introduzione di misure che comportano la modifica della progettazione del prodotto, della natura delle materie prime utilizzate, del processo industriale, del consumatore e del sistema di managent degli scarti (riutilizzo, ciclico, recupero energetico ecc.) [111, 112]. 239 Fig. 99: I possibili stadi del ciclo di vita di un prodotto [Rif. 112]. Fig. 100: Composizione media dei residui urbani (1996) [Rif. 113]. 240 Il problema del management degli scarti industriali ed urbani (figura 100) e quindi quello delle plastiche a fine vita, rappresenta al giorno d’oggi un problema di grande rilevanza ambientale, ciò anche a causa di una serie di direttive in base alle quali attraverso la raccolta differenziata dei rifiuti nei prossimi anni e non oltre il 2010, facendo riferimento al settore dell’imballaggio in plastica, non più del 10% in peso potrà essere smaltito in discariche a cielo aperto. La rimanente parte deve essere bruciata (~ 20%) oppure riciclata (~ 60%) mentre attraverso opportune misure di prevenzione dovrà essere possibile ridurre del 10% il materiale di imballaggio da trattare come scarto a fine vita (figura 101) [112, 113]. La messa a punto di nuovi processi e tecnologie finalizzate al recupero e al riciclo di polimeri da oggetti e prodotti alla fine del loro ciclo di utilizzo, rappresenterà un fattore critico per lo sviluppo di nuove plastiche, elastomeri fibre e compositi: "Il progettista del componente o del sistema dovrà, in misura sempre maggiore, adeguarsi ad un criterio che veda integrato nel progetto il riciclo del materiale alla fine del ciclo di vita" [114]. Una plastica può essere riciclata e quindi utilizzata, attraverso un processo di separazione, compatibilizzazione, fusione e quindi rilavorazione (riciclo primario e secondario), oppure può essere riciclata attraverso procedure di pirolisi, idroge- Fig. 101: Il management delle plastiche a fine vita, relativamente al settore dell’imballaggio prevede per il 2010 che solo il 10% potrà essere smaltito nelle discariche a cielo aperto (Landfill). Mentre il 60% dovrà essere recuperato e riciclato (recycling), il 20% dovrà essere bruciato per il recupero energetico (incineration) ed il 10% rappresenterà la quota di materiale che, in base ad azioni di prevenzione, dovrà essere ridotta all’origine (prevention) [Rif. 111, 112]. 241 Fig. 102: Distribuzione (%) delle industrie operanti nel campo del riciclo delle plastiche in Europa occidentale (anno 1999) [Rif. 115]. nazione, gassificazione e di idrolisi chimica che di norma portano a prodotti aventi una struttura chimica diversa da quella della plastica di partenza (riciclo terziario) [112]. Il riciclo delle plastiche è divenuto un “business” industriale; infatti l’imposizione della raccolta differenziata e il necessario recupero di manufatti in plastica, specialmente quelli provenienti dal settore dell’imballaggio sia esso primario, secondario o terziario, ha nucleato nuove tipologie di attività produttive connesse per l’appunto al riutilizzo di questi materiali. Questo fenomeno è ben evidenziato attraverso la figura 102 dove è riportata la distribuzione percentuale delle industrie, operanti nel campo del riciclo delle plastiche, attive in Europa occidentale nel 1999 [115]. Dai dati di questa figura emerge che la Germania è il paese dove è operativo il maggior numero di industrie (generalmente piccole-medie) che esplicano la loro attività produttiva nell’ambito del recupero e riciclo delle plastiche. L’Italia, con il 18% di realtà produttive nel settore, è al secondo posto precedendo il Regno Unito/Irlanda (~12%), la Francia (~10%) e il Benelux (~10%). Che il recupero e riciclo di plastiche rappresenti un processo di grande rilevanza economico-sociale-ambientale si ricava dalla figura 103 dove viene illustrata la crescita del polietilene tereftalato (PET) recuperato in Europa, relativamente al periodo 1995-2000. L’andamento della curva evidenzia un trend di crescita abbastanza vistoso; infatti mentre nel 1995 si recuperavano solo 45.000 tonnellate di PET, nel 1999 questo valore è salito a circa 200.000 tonnellate [116, 117]. Le percentuali di riutilizzo complessivo dei rifiuti di imballaggio rispetto a quanti ne vengono immessi al consumo, per le varie tipologie di materiali, sono messe a confronto nella tabella 31 [117-b]. 242 Fig. 103: L’andamento del recupero di PET (cifre in tonnellate) in Europa, relativamente al periodo 1995-2000 [Rif. 116]. Al 2002, sulla base del decreto emanato dal Governo Italiano (decreto Ronchi del 1997), la quota parte di rifiuti da imballaggio riutilizzata nelle varie forme (riciclo, riciclo chimico, oppure recupero energetico) dovrebbe essere pari al 50%. Dai dati riportati nella tabella 31 si ricava che, relativamente all’anno 1999, l’acciaio e la plastica sono ancora lontani dal raggiungimento di questo traguardo. Attualmente "l’Italia ricicla circa 750mila tonnellate l’anno di plastica, ma dalle raccolte differenziate ne arrivano non più di 150mila, pari a circa il 25%, e altre 500mila tonnellate provengono dalle raccolte di plastica ottenute dai circuiti industriali, commerciali e agricoli" [117-b]. Tabella 31 Percentuali di riutilizzo complessivo dei rifiuti di imballaggio rispetto a quanti ne vengono immessi al consumo Acciaio Alluminio Carta Legno Plastica Vetro Totale 1998 5,9 12,3 39,9 48,8 17,1 36,8 35,5 1999 9,4 25,6 42,1 37,9 20,5 39,6 35,6 2000 25,5 29,5 46,4 42,4 33,2 41 41,3 2001 38,3 45,6 50 45,8 39,7 45 45,9 2002 50,4 51,3 51,8 50,3 51,3 50 51 243 Il fatturato globale relativo al sistema del recupero e della rigenerazione dei materiali è stimato essere all’incirca pari a 10mila miliardi di lire. Nell’ambito del sistema recupero e riutilizzo, la raccolta degli imballaggi usati rappresenta di gran lunga il più importante segmento. In questo contesto è auspicabile che nel prossimo futuro si possa pervenire ad un modello di riciclo delle plastiche che permetta di ottenere dei materiali con caratteristiche vicine a quelle dei materiali di partenza e che pertanto possano essere anche riutilizzati per lo stesso impiego dai quali essi sono stati recuperati. L’obiettivo è quello di superare il concetto di “cascata” secondo il quale materiali riciclati hanno proprietà che decadono sempre di più all’aumentare dei cicli di lavorazione e utilizzo [112]. Su questa problematica che è ambientale ma anche scientifica e tecnologica, il supporto di una robusta attività di ricerca, pubblica e privata, sembra al momento necessaria. 9.2.2) “Case history” di adeguamento sostenibile: il polipropilene ed il polivinilcloruro. Un interessante caso di adeguamento sostenibile è quello, tutto italiano, che riguarda proprio la plastica dalla cui invenzione ha tratto lo spunto il presente volume e cioè il polipropilene isottatico. Attraverso un percorso, già in parte descritto, fatto di continue ed importanti innovazioni di processo e di prodotto, questo polimero ha, dal momento della sua scoperta ad oggi, continuato a guadagnare quote di mercato rispetto ad altri materiali competitivi. Questo andamento è illustrato nella figura 104 [118]. In relazione alla maggiore sostenibilità dell’intero processo produttivo del polipropilene isotattico, A. Addeo e P. Galli hanno scritto: "The first production process of isotactic polypropylene (Montecatini had realized the first industrial plant in the world in 1957 in Ferrara) was excessively complex, of difficult management and expensive; it involved high risks of pollution and was limited in terms of versality and product property range. About ten years after its realization, the need was recognised of reviewing the process on more rational bases. Having understood that the industrial development and the success of the dual concept process/product completely and intimately depended on the catalytic system applied, Montedison started a research program focused on the comprehension of the basic principles of catalysis and of polymerization mechanisms. The result of this strong and expensive research effort led to the development of a catalytic system which (through subsequent stages) attained a huge simplification of the technology with the consequent dramatic reduction of investment and operational costs and practically without environmental impact in terms of emission and energy consumption. The new process, called “Spheripol, is today considered the best technology available in the world for the production of homopolymer polypropylene and random copolymers. The Spheripol process made up the model for other polyolefin technologies developed by Himont, such as the Spherilene (polyethylene), the Catalloy (polyolefinic alloys), and 244 the Hivalloy (engineering technopolymers) process. All these new technologies advantageously allow the realization of simple and compact plants……which are non-polluting ……and low energy consuming" [118]. L’evoluzione “sostenibile” del processo di produzione del polipropilene viene evidenziata dai dati della figura 105 dai quali si ricava che il consumo di energia, passando dalla prima fase produttiva (low yield slurry) a quella attuale denominata “spheripol”, è drasticamente ridotto così come il consumo di vapore e di acqua di raffreddamento [118]. Nella tavola LX è riportata una fotografia dove sono visibili alcuni dei principali artefici, che nell’ambito del Centro Ricerche G. Natta di Ferrara, contribuirono alla messa a punto di nuovi processi e tecnologie di materiali a base di polipropilene isotattico. Il caso del polipropilene rappresenta anche un importante esempio di come sia stato possibile, attraverso un poderoso impegno in ricerca e sviluppo, spesso utilizzando la collaborazione di centri di ricerca accademici e del CNR (vedasi caso dell’Istituto di Ricerca e Tecnologia delle Materie Plastiche del CNR), migliorare le prestazioni di una poliolefina che, partita come una “commodity”, si è negli anni trasformata in un polimero speciale molto versatile, le cui proprietà possono essere realmente mirate all’uso e alla domanda dei consumatori. Fig. 104: Il consumo di polipropilene, sin dalla sua scoperta, continua a crescere. In molte applicazioni sostituisce altri polimeri. In figura le frecce indicano i periodi temporali durante i quali sono state introdotte fondamentali innovazioni di processo, di prodotto e di sostenibilità [Rif. 118]. 245 Un caso emblematico di sicurezza, di impatto ambientale e di nocività per la salute dei lavoratori è stato quello relativo al ciclo produttivo del policloruro di vinile (PVC), un polimero che si ottiene per polimerizzazione del cloruro di vinile monomero (CVM) il quale ultimo fu sintetizzato per la prima volta in laboratorio dal chi- Fig. 105a Fig. 105b Fig. 105: L’evoluzione, verso una maggiore “sostenibilità”, del processo di produzione del polipropilene isotattico e dei suoi compounds, leghe e copolimeri: a) consumo energetico e b) consumo di vapore (steam) e di acqua di raffreddamento (cooling water), in relazione alle innovazioni di processo introdotte negli anni [118]. 246 mico francese Regnault. Nel 1913 il chimico tedesco F. Klatte (figura 106), della “Chemische Fabrik Griesheim Elektron” (ora Hoechst), brevettò un procedimento di interesse industriale che permetteva di sintetizzava il CVM a partire da acido cloridrico gassoso ed acetilene in presenza di cloruri metallici. Sempre nel 1913 Ostromislensky depositava i primi brevetti sulla polimerizzazione del CVM a PVC. "However, a general lack of understanding of basic mechanism of polymerisation hindered further progress. Early polyvinyl chloride, for example, had a pronounced tendency to decompose with evolution acid hydrogen chloride when it was milled. Furthemore the commercialisation of thes early polymers was difficult by the stiff competition from the well established cellulosics" [26]. Nel 1927 la Union Carbon Carbide Chemicals mise a punto un processo per la Fig. 106: Fritz Klatte nel laboratorio del “Griesheim-Elektron’s Works” (successivamente divenuta “Hoechst”) nei pressi di Francoforte (anno 1920). Brevettò il processo industriale per la produzione del cloruro di vinile e della sua polimerizzazione a PVC [Rif. 26]. 247 sintesi di copolimeri a base di cloruro e acetato di vinile che vennero prodotti su scala industriale a partire dal 1933. Contemporaneamente la I.G.Farben depositava i primi due brevetti di interesse applicativo sulla polimerizzazione del CVM a PVC, utilizzando un processo in emulsione. La scoperta, fatta da W. L. Semon (figura 107), del processo di plastificazione del PVC, ad elevato peso molecolare, aprì la strada all’industrializzazione di questo polimero che fu avviata, intorno alla seconda metà degli anni ‘30, allorquando la Goodrich immise sul mercato il primo PVC plasticizzato denominato “koroseal” [119]. Agli inizi degli anni ‘40 fu sviluppato e commercializzato un tipo di PVC “rigido”, idoneo ad essere impiegato nella fabbricazione di tubi per condutture idriche e per scarichi fognari [8-d]. Questo tipo di utilizzo è illustrato nella figura 108 dove è riportata la riproduzione fotografica di un raccordo triplo per tubazioni risalente al 1958. "con altri 23 milioni di tonnellate consumate al mondo, il PVC rappresenta un cardine imprescindibile della società industriale moderna; infatti grazie alle sue elevate prestazioni, al costo contenuto e alla versatilità di impiego, costituisce una risorsa fondamentale in numerosi settori dell’attività umana" [120]. Fig. 107: Il chimico Waldo Lonsbury Semon nei laboratori della Goodrich (USA-1937). Nel 1926 sviluppò un processo attraverso cui fu possibile plasticizzare il PVC ad elevato peso molecolare. Questa scoperta ampliò enormemente i settori di utilizzo del PVC [Rif. 119]. 248 Fig. 108: Raccordo triplo per tubazioni di cloruro di polivinile rigido (~1958) [Rif. 8-d]. L’industria italiana di PVC si caratterizza (anno 1998) per i seguenti elementi fondamentali: a) Un fatturato di circa 10mila miliardi di lire; b) 1.200 aziende con 25mila addetti; c) una produzione di circa 600 mila tonn/a [121]. I principali settori applicativi in Europa, con le rispettive previsioni di crescita annua al 2002, sono indicati nella figura 109 [121]. Dai dati di questa figura emerge che i campi di applicazione dominanti sono quelli dei profilati per infissi e dei tubi e raccordi. Il PVC è il materiale “leader” assoluto nel campo dei tubi, condutture e raccordi, dove è presente anche con prodotti con caratteristiche fortemente innovative. Ad esempio la Società Atofina ha sviluppato un PVC-surclorato (65-67% di cloro) con il quale ha realizzato tubazioni capaci di resistere a fluidi caldi con applicazioni molto interessanti nel settore idrotermosanitario (tavola LXI). Sempre l’Atofina è riuscita a produrre tubi per scarichi civili e fognature, ottenuti per coestrusione, che presentano uno strato interno espanso a base di PVC riciclato, realizzando così una riduzione del peso che si aggira intorno al 30% [122]. L’andamento dei consumi di PVC in Europa Occidentale e in Italia ed alcuni dei principali indicatori dell’industria italiana del PVC (produzione, import, export, consumo) sono riportati, rispettivamente, nella figura 110 e nella tabella 32 [123]. Dai dati della tabella 32 emerge che nel campo dei compounds in PVC l’Italia esporta più di quello che importa e questo a dimostrazione della vitalità e della 249 Fig. 109: Le applicazioni del PVC in Europa: previsioni di crescita annua al 2002 (%) [Rif. 122,123]. Fig. 110: Consumi di PVC in Europa Occidentale e in Italia [Rif. 123]. competitività in questo campo dell’industria italiana del PVC. Fa parte integrante della storia dell’industria del PVC, ma anche della storia dell’industria chimica nella sua visione più ampia, la tragica scoperta nei primi anni ‘70 dell’azione cancerogena del cloruro di vinile monomero. "Fino agli inizi degli anni ’70 non si conosceva la pericolosità del CVM e la produzione del PVC era effettuata in modo tale che i lavoratori venivano esposti a concentrazioni elevate del monomero; in modo particolare, nella pulizia degli autoclavi di polime250 rizzazione gli addetti operavano in condizioni di elevata esposizione. La svolta avvenne dopo che, nel 1974 -dopo una serie di decessi di lavoratori addetti alla produzione di PVC- fu riconosciuto che l’esposizione al CVM poteva provocare una grave forma di tumore: l’angiosarcoma al fegato" [120]. Tabella 32 Il PVC in Italia: indicazioni di import, export e consumi (Kt). PRODUZIONI IMPORT EXPORT CONSUMO 586 520 181 950 - - - 317 350 10 70 290 - - - 770 PVC ADDITIVI COMPOUND PRIMA TRASFORMAZIONE A seguito della scoperta della cancerogenicità del CVM, l’industria del PVC attraversò una grave crisi, dalla quale uscì solo quando, attraverso ingenti sforzi, i produttori riuscirono ad introdurre innovazioni sostanziali al ciclo produttivo in termini di protezione, sicurezza dell’ambiente e della salute, tali da escludere qualsiasi tipo di rischio. Particolarmente rilevante ed interessante, anche dal punto di vista storico, appare quello che Semon, uno dei principali protagonisti dello sviluppo del PVC, insieme a Stahl, scrisse circa le azioni che la FB-Goodrich americana, sotto la spinta di una opinione pubblica fortemente preoccupata e critica verso il management delle imprese produttrici di PVC, intraprese al fine di ovviare ai gravissimi problemi derivanti dalla nocività del CVM. "In January 1974 it was found that three BFG employees who had worked for many years in our Louisville plant where the gaseous vinyl chloride monomer is polymerized to PVC had died from a rare form of liver cancer, angiosarcoma …… Since the angiosarcoma finding, our actions to safeguard the healt of our workers and reduce VCM exposure has received top priority …. We set up task forces to reduce exposure to the lowest possible level using all available and most advanced technology. We undertook the most intensive research and development program in our history to develop new technology. We committed capital expenditures of tens of millions of dollars over a 3- years period … one hundred thirty-five scientists and technicians spent over a year working on solutions. Their findings led to numerous changes in our PVC manufacturing process and products" [119]. Il processo produttivo del PVC fu sostanzialmente modificato. In particolare le 251 innovazioni introdotte furono mirate al raggiungimento dei seguenti obiettivi primari: a) protezione degli addetti al ciclo di lavorazione del PVC nei confronti della esposizione al CVM; b) definizione di rigide regole e “standards” stabilite dai governi; c) drastica riduzione dell’emissione di VCM nell’ambiente circostante gli impianti; d) rimozione del monomero, non reagito, dal PVC a valle del ciclo di produzione (una certa quantità di CVM normalmente restava intrappolata nella resina durante la polimerizzazione; la rimozione delle molecole di CVM era estremamente difficoltosa, pertanto gli articoli in PVC potevano risultare particolarmente inquinati). In relazione a quest’ultimo punto la BF-Goodrich "has developed new polymerization recipes which give uniformly porous resin particles which allows easier removal of the monomer. In addition this makes high quality PVC resin with little or no hard particles, thus reducing or eliminating undesirable imperfections in the finished products. The residual monomer content in PVC resins and compounds leaving our plants is now so low that we are confident processors and users will meet all of to day’s health and government standards" [119]. I processi di produzione CVM/PVC operativi, sono a ciclo chiuso. Infatti tutti gli stadi relativi alla filiera produttiva avvengono in una specie di scatola nella quale vi entrano prima le materie prime (cloro, etilene, ossigeno, acido cloridrico) quindi vi avvengono le reazioni chimiche che portano alla formazione degli intermedi (dicloroetano, cloruro di vinile monomero) e successivamente del polimero. Il ciclo produttivo è inoltre completamente automatizzato, pertanto gli addetti non vengono più a contatto con il CVM ed altri intermedi. Particolarmente interessanti dal punto di vista impiantistico-chimico-ambientale appaiono alcune delle innovazioni introdotte dalla FB-Goodrich che Semon e Stahl, nel loro già citato articolo così descrivono: "One … is an improved method of continuously stripping and recovering VCM from the slurry of resin produced by suspension polymerisation. Also, our high pressure reactor cleaner technology eliminates or reduces the number of times polymerisation reactors must be manually cleaned. Another development is our “clean reactor” technology which virtually eliminates worker exposure to CVM …." [119]. Pertanto è possibile concludere che utilizzando i moderni processi si è in grado di produrre del PVC con un contenuto di CVM che è inferiore 1 ppm. Nel caso di PVC per usi alimentari e medicali il contenuto di CVM può scendere anche al di sotto di 0,5 ppm. Attraverso le innovazioni di processo introdotte: "si è raggiunta la certezza che le condizioni di lavoro, negli impianti attuali di produzione di CVM/PVC, siano sicure e confrontabili con quelle che ci sono nella lavorazione delle altre sostanze chimiche" [123]. 252 Nel 1994 è stato pubblicato in USA il rapporto dal titolo “Polymer Science and Engineering: the Shifting Research Frontiers” che nel 1992 il Board on Chemical Sciences and Technology of the National Research Council aveva commissionato ad un apposito comitato. Nel rapporto conclusivo particolare attenzione veniva riservata alle problematiche ambientali: "Growing national concern about protecting the Earth’s resources…. presents both challenges and opportunities for polymer science and engineering. Increasingly, technical progress in polymer science and engineering is driven by environmental considerations. For example, the environmental impact of using polymeric materials depends in part on how they are disposed of at the end of their useful life. Clearly, no single pathway of disposed is optimal for all materials, and researchers are looking at several alternatives: direct recycling, degradation and incineration with heat recovery, as opposed to land fill disposal" [124]. Inoltre nel rapporto era sottolineata la necessità di procedere alla ottimizzazione dei sottoprodotti, che derivano sia dagli scarti di lavorazione che dall’aumento della “useful life” dei materiali, attraverso un miglioramento delle loro proprietà. Un altro aspetto di grande rilevanza ambientale è legato alla riduzione dei livelli di emissione, argomento quest’ultimo che di fatto è diventato uno dei principali obiettivi delle imprese che producono polimeri. In relazione alla grande rilevanza delle problematiche ambientali connesse al ciclo vitale dei prodotti in plastica il “Committee on Polymer Science and Engineering” raccomandava la istituzione di un comitato “ad hoc” con il compito di: "Analysis of the environmental issues faced by materials, including polymers and scientific, engineering and economic analysis of the production, processing, use, recycling and end-use disposal of polymer materials as a guide to environmental policy making" [124]. L’istituzione, in Italia, di un “organismo” governativo che in maniera strategica analizzi le problematiche di sostenibilità connesse al ciclo produttivo di sistemi polimerici è fortemente auspicabile. Affinché questo “organismo” (osservatorio) abbia concrete possibilità di incidere sulle politiche ambientali del paese è necessario che in esso siano rappresentate tutte le componenti interessate (industria, distribuzione, servizi, ricerca). Infatti solo attraverso la concentrazione di sforzi congiunti, derivanti dalla confluenza di competenze diverse è possibile sviluppare sinergie utili alla soluzione di problematiche ambientali di grande complessità tecnologica con rilevanti aspetti sociali ed economici in un contesto che è sempre di più regolato da vincoli, restrizioni e regolamentazioni imposti a livello sopra-nazionale (ad esempio Unione Europea). 253 9.3) Industria e ricerca: quali scenari per il 2000. Per un’industria, che intenda essere parte attiva di un sistema globale, dove gli elementi primari di successo sono legati ad un alto tasso di internazionalizzazione e di competitività, la capacità di introdurre innovazioni sostenibili è comunque un elemento di grande rilevanza. Lo scenario internazionale è caratterizzato, infatti, non solo da un elevato tasso di globalizzazione dei mercati, ma anche da una generale pervasività e mondializzazione dell’innovazione tecnologica. In questo sistema “planetario” dell’economia e dell’innovazione (figura 111), la competitività e l’attitudine alla cooperazione internazionale di un paese saranno sempre di più legate alla capacità che avranno il mondo della ricerca scientifica (sia essa pubblica che privata) e quello della produzione e dei servizi di incontrarsi e collaborare tra loro in maniera integrata e sinergica attraverso quello che può essere definito il "ciclo virtuoso dell’innovazione" (figura 112) [125]. Il fatto che il Fig. 111: La competitività, la cooperazione internazionale, e la sostenibilità in un contesto di globalizzazione dei mercati e dell’innovazione richiedono una sempre maggiore collaborazione tra industria e ricerca [Rif. 125]. 254 mercato sia al vertice di questo ciclo non è casuale; infatti è ben noto che la tipologia delle innovazioni da introdurre ed adottare è scelta e dettata sempre di più dai consumatori (consumer oriented production). Questo concetto produttivo, “Market Oriented”, comporta necessariamente un continuo sviluppo di know-how idonei ad essere trasformati rapidamente in innovazioni finalizzate a rispondere, in tempi brevi, ad una domanda espressa direttamente da coloro i quali poi ne beneficieranno. Un esempio di questo tipo di evoluzione, già precedentemente illustrato, è rappresentato dal settore dei materiali dove, relativamente a particolari applicazioni di “nicchia” ad elevato valore aggiunto, è sempre più stringente la richiesta di sistemi multifunzionali ed intelligenti, capaci di esibire una combinazione, di proprietà, funzioni d’uso e di dare e ricevere informazioni; materiali in grado quindi di interagire con il mondo circostante. L’introduzione di innovazioni tecnologiche ad elevato valore aggiunto, in un sistema paese può produrre effetti benefici non solo sull’economia, in generale, ma anche sul tasso di occupazione, come è stato evidenziato attraverso uno studio effettuato dall’OECD (IST./ESA-DIVISION 1996) i cui risultati, riferiti ai paesi che fanno parte del G7, sono rappresentati nella figura 113. Dall’esame di questa figura si ricava che, riportando in grafico l’intensità di ricerca e sviluppo delle innovazioni introdotte in funzione della crescita di occupazione, si ottiene una retta di regressione. In particolare si osserva che, nei settori ad alto contenuto tecnologico le innovazioni hanno causato una crescita occupazionale. Al contrario, per i settori che hanno innovato attraverso processi a basso tasso di ricerca tecnologica e di sviluppo si verifica un calo nell’occupazione. Fig. 112: Il ciclo virtuoso dell’innovazione e delle sinergie necessario ad un sistema paese per essere competitivo [Rif. 125]. 255 Fig. 113: Correlazione tra intensità di RTD e crescita dell’occupazione nel caso di industrie appartenenti ai paesi del G7: ❍ bassa tecnologia; ● media tecnologia; ❑ alta tecnologia. Le industrie ad elevato tasso di RTD producono maggiore occupazione [Rif. 125, 126]. In un contesto internazionale, dove il mercato predomina e richiede continue innovazioni, un sistema paese per essere competitivo deve dotarsi di un meccanismo di trasferimento estremamente rapido ed efficace a cui deve necessariamente corrispondere un rafforzamento delle interazioni tra gli operatori della ricerca e del mondo industriale, anche attraverso lo sviluppo di cooperazioni internazionali [127]. Il dialogo tra il mondo della ricerca accademica e il mondo produttivo industriale in generale non è facile: spesso i linguaggi utilizzati sono diversi. Gran parte dei ricercatori accademici, pur pubblicando le loro ricerche su riviste scientifiche di alto prestigio, incontrano difficoltà nel riuscire ad enucleare dai loro risultati, quelli che in linea di principio potrebbero essere interessanti per possibili applicazioni pratiche. E’ necessario quindi che questa barriera venga superata e che specialmente nell’ambito dei centri di ricerca pubblici si provveda ad una appropriata “valorizzazione dei risultati”, azione questa che è preliminare, ma indispensabile a valide e mirate azioni di disseminazione e di trasferimento. Il processo di globalizzazione dei mercati e delle innovazioni può rappresentare un’interessante occasione per l’industria dei polimeri italiana purchè essa riesca a comprendere le tendenze generali di sviluppo e le necessarie specializzazioni di nicchia che si sviluppano, considerando che non ha più senso limitare la produzione ad un mercato nazionale che è sempre più aperto alla concorrenza internazionale. 256 In relazione al concetto generale “la competitività dell’industria chimica in Italia: Nicchie e Globalizzazione” sul rapporto 98/99 della Federchimica è scritto: "Si pone di conseguenza il problema centrale della crescita e della competitività. Per le imprese chimiche italiane la soluzione di questo problema è quasi sempre strettamente legata alla capacità globale di giocare a livello globale la strategia di nicchia e di specializzazione finora vincente sul mercato interno ……. …Le attività dedicate alla ricerca e allo sviluppo da parte delle imprese chimiche sono purtroppo insufficienti a sostenere lo sviluppo competitivo dell’industria in Italia, che invece è alta intensità di conoscenza; a ciò si aggiunge la strutturale lontananza del mondo accademico dal mercato per cui la massa critica necessaria per affrontare le frontiere scientifiche della chimica stenta a trasformarsi nel nostro paese in opportunità di affari" [128]. In questo quadro le industrie del settore sono costrette a sviluppare una politica di ricerca al fine di crescere acquisendo nuove quote di mercato. Sull’argomento Giorgio Squinzi, Presidente della Federchimica, nel concludere la sua introduzione al già citato rapporto 98/99 auspica: "….una nuova politica europea dove la competitività industriale assume priorità rispetto alle politiche comunitarie. Altrimenti le imprese chimiche, e quelle italiane in particolare non potranno avvantaggiarsi del mercato globale europeo" [128]. Processi di modernizzazione, di miglioramento della qualità, di riduzione del consumo di risorse, di innovazioni nei prodotti, nell’organizzazione, nel management, nel marketing e nelle infrastrutture, rappresentano i presupposti necessari per la competitività e la sostenibilità dell’industria dei polimeri la quale, pertanto, dovrà, come del resto tutte quelle del settore della chimica: "... impegnarsi nelle ricerche più lungimiranti, quelle cioè che saranno al centro del cosiddetto “core business” dell’industria chimica nel ventunesimo secolo: l’area di confluenza fra chimica ed energia, quella fra chimica ed biologia, quella fra chimica e informatica, i nuovi materiali a elevate prestazioni funzionali, che costituiscono l’interfaccia più promettente tra la chimica e i settori high tech protagonisti dell’attuale rivoluzione tecnologica" [110]. In questo contesto si assisterà all’accentuarsi del processo, peraltro già in atto, di specializzazione e concentrazione, anche mediante acquisizioni, joint-venture e fusioni, su prodotti e tecnologie di forza. "La posizione scientifica e tecnologica di ciascuna impresa, il patrimonio brevettuale, il know-how di prodotto e di processo, rappresentano un fondamentale fattore di successo. Questo implica un cambiamento di mentalità che non è agevole per l’industria chimica in nessun paese, neppure nei più avanzati, perché richiede continua evoluzione scientifico-tecnologica, mutamenti strutturali ed organizzativi, elevati investimenti, crescente capacità di reggere alla concorrenza globale" [110]. Aziende, quale ad esempio la DuPont De Nemours con competenze tecniche, scientifiche e di mercato in settori diversi, quali ad esempio quello delle “Scienze della vita” (prodotti farmaceutici, prodotti per l’agricoltura e per il comparto agroalimentare) e quello dei “Materiali” (prodotti chimici, intermedi, polimeri, fibre 257 elastomeri, compositi, ecc.) troveranno nuove forme organizzative al fine di sfruttare la coesistenza sinergica di entrambe le attività [129]. "DuPont crede che l’incontro tra scienza dei materiali e biologia possa fornire nuove possibilità per soddisfare, con prodotti innovativi e nuove applicazioni, i bisogni dei consumatori in numerosi mercati………….………….………….………….………….... La creazione di una piattaforma tecnologica basata sulle scienze della vita utilizzabile anche nel settore dei materiali, in agricoltura, nel campo alimentare e in quello farmaceutico, offre potenzialmente importanti vantaggi competitivi. Le nuove tecnologie sviluppate per le scienze biologiche saranno difficilmente applicate ai materiali se non ci sarà stretta collaborazione tra scienziati ed utilizzatori di questi materiali….. Le conoscenze derivate dalle scienze della vita possono essere applicate alle scienze dei materiali in un modo economicamente vantaggioso" [130]. Il secolo ventesimo passerà alla storia come il secolo della plastica, così come il diciannovesimo fu quello dell’acciaio e del carbone. Nel ventunesimo secolo, secondo alcuni analisti, le plastiche potrebbero raggiungere uno stadio di maturità con conseguenti andamenti ciclici, con alti e bassi, nella produzione, nei consumi e nell’occupazione. Al fine di allontanare il più possibile nel tempo questo evento l’industria della plastica dovrà orientare la sua produzione sempre di più verso prodotti “customized”, in linea con l’andamento rappresentato nella figura 114, dove viene evidenziato il processo evolutivo della tipologia della produzione/consumo dal 1900 al 2000 e oltre. La “Customization” della produzione riguarderà sia le plastiche di tipo commodities (processo di nobilitazione) che quelle ad elevato valore aggiunto (ad esempio i tecnopolimeri termoplastici che rappresentano il 3,4% dei consumi, in volume, ma circa il 10.7% in valore, e per i quali si prevede una notevole crescita (per anno) che in Europa sarà caratterizzata dai seguenti numeri: poliossimetilene, 3,9%; poliammidi, 4,1%; policarbonato, 7,9%; polibutilenetereftalato, 7,0%) [131]. Fig. 114: Evoluzione della tipologia della Produzione/Consumo dal 1900 al 2000. 258 L’industria dei polimeri del terzo millennio si caratterizzerà per una cultura di impresa finalizzata all’implementazione dei rapporti tra scienza, ricerca, applicazione, produzione e mercato e questo sia al suo interno che favorendo il dialogo con il mondo della ricerca pubblica (Università ed Enti Pubblici di Ricerca). A quest’ultimo sarà demandato un ruolo di grande rilevanza per il sistema paese che prevede da una parte il sostegno al processo di “customization” delle produzioni di massa, dall’altra lo sviluppo di studi e ricerche su argomenti di “frontiera” non ancora maturi per essere oggetto di attenzione da parte delle industrie del settore. La necessità di incrementare e migliorare le collaborazioni tra scienza-tecnologia e industria ha trovato ampio spazio, a dimostrazione della sua importanza ed attualità, nei presupposti di base del già citato rapporto “Polymer Science and Engineering Shifting Research Frontiers” pubblicato in USA nel 1994. "First it is essential that a strong basic research community be sustained. Short-term or product research will not be sufficient to prepare for future challenges. Second, strong ties between basic research and applications need to be maintained in order to reap maximum commercial benefits. Thus industry must continue polymer research and maintain communications with academic scientists and engineering. Finally, the committee believes that success in developing the next generation of commercial polymers will depend upon strong and extensive collaborative research at the interface between polymers and other areas of science and engineering" [124]. Le collaborazioni tra Enti Pubblici di Ricerca (EPR) ed Industria, in Italia, sono, tranne poche eccezioni, di tipo sporadico e comunque nel loro insieme scarsamente rilevanti. Una auspicabile inversione di questa tendenza è legata ad una serie di azioni, alcune delle quali sono qui di seguito indicate. a) Una ridefinizione (forse sarebbe più opportuno parlare di “definizione”) del ruolo degli EPR che deve portare ad una chiara scelta degli spazi operativi sulla base di una strategia determinata dai bisogni e dagli interessi del sistema paese. A questo fa seguito una necessaria concentrazione delle attività su problematiche di grande impatto sociale-economico-industriale sulle quali impegnare adeguate ed appropriate risorse. b) Riorganizzazione della rete scientifica degli EPR imperniata su un numero dis creto di organi caratterizzati da una effettiva capacità di esplicitare un potenziale di ricerca e formazione altamente competitivo a livello internazionale. c) Superamento del concetto di “network” nazionale a favore di una intrinseca internazionalizzazione delle capacità di ricerca che favorisca la creazione di reti transnazionali nell’ambito dell’Unione Europea. d) Una generale rivisitazione e orientazione delle attività degli organi afferenti alla rete degli EPR verso il “problem solving” senza per questo scadere nella ricerca applicata e di sviluppo. 259 e) Il potenziamento, in alcuni settori la creazione, di una rete di strutture di ricerca industriale capace, da una parte di soddisfare la domanda di supporto tecnico-scientifica espressa dall’universo delle piccole e medie imprese (presenti in gran numero sul territorio nazionale) e dall’altra di collaborare con i centri di ricerca accademici e degli EPR su tematiche di grande rilevanza scientifica e tecnologica. Relativamente a quest’ultimo punto, con rammarico, si osserva nel nostro paese la sistematica chiusura di centri di ricerca industriali o al meglio il loro drastico ridimensionamento in termini di finanziamento e di addetti a dimostrazione del fatto che le grandi aziende produttrici di polimeri tendono a contrarre decisamente sul territorio nazionale le loro attività di ricerca e sviluppo. Questa tendenza appare tanto più grave nel momento in cui joint-venture tra aziende italiane e straniere prevedono la chiusura di centri di ricerca in Italia a favore del potenziamento di strutture dislocate in altri paesi. Recentemente Frank E. Karasz e E. Elif Gürel in un loro interessante lavoro dal titolo “Recent Trends in Polymer Research and Education in the U.S.”, presentato al Convegno “I Materiali Polimerici per il 21° Secolo”, organizzato dall’IRTeMP (CNR) (settembre 1999), hanno, in maniera molto efficace, descritto l’atteggiamento dell’industria dei polimeri USA nei confronti della ricerca: "…the most important and yet most obvious change is the commoditization of the major polymer groups –polyethylenes, polypropylene, PVC, polystyrenes- in the last fifteen years. This has led to a substantial decrease, if not elimination, of industrial research operations which are not specifically aimed at improvements in these materials. Indeed, some of the largest manufacturers of these plastics have achieved financial success without the encumbrance of any research department -at least in the traditional sense- at all………….. Together with serious attempts to focus remaining research on specific (but often incremental) improvements is the drive to reduce development times. It is well know that in the past the time from the first synthesis of a new resin, to its commercialization was often 20 years, sometimes longer" [132]. Da quanto sopra riportato sembrerebbe che si possa trarre la conclusione che, negli USA, anche in presenza di una importante, efficace ed efficiente rete di centri di ricerca industriale, negli ultimi anni le industrie dei polimeri hanno evitato di impegnarsi in ricerche a medio-lungo periodo, limitandosi a consolidare sul mercato prodotti già noti attraverso attività finalizzate principalmente al miglioramento dei processi e all’ampliamento della gamma delle prestazioni. Nel nostro paese l’Industria, l’Università e gli Enti Pubblici di Ricerca potranno attivare importanti sinergie, a livello di ricerca scientifica e tecnologica, capaci di sviluppare significative innovazioni, solo se le condizioni al contorno saranno profondamente rivisitate e rimodulate in termini di finanziamento, di numero di addetti e di nuove modalità di collaborazioni che prevedano, ad esempio, la possibilità di favorire la mobilità dei ricercatori da ente ad ente e l’implementazione di percorsi formativi. Questo è in linea con quanto scrive N. Boniardi a proposito dei rap260 porti tra strutture pubbliche e private: "Contemporaneamente, per quanto riguarda le attività di Ricerca e Sviluppo svolte nelle imprese, si possono riscontrare più recenti e peculiari caratteristiche quali una forte specializzazione e un approccio sempre più interdisciplinare e intersettoriale; una maggiore tendenza ad interagire con istituzioni pubbliche di ricerca che siano in grado di esprimere spunti innovativi e, infine, la concentrazione delle risorse su aree ben definite e che godano di condizioni più favorevoli per instaurare rapporti di collaborazione con centri di eccellenza. Occorre dunque prima di tutto potenziare la ricerca italiana mediante un incisivo ruolo delle strutture pubbliche, unitamente ad una più chiara identificazione della domanda proveniente dalle industrie" [133]. L’industrializzazione e la commercializzazione di un nuovo polimero è la risultante di una collaborazione sempre più stretta tra i produttori, le industrie di trasformazione e quelle di costruzione di macchine per la lavorazione. Il suo successo applicativo, è determinato da una combinazione sinergica di una molteplicità di fattori tra i quali spiccano, per la loro rilevanza: il costo, le proprietà, la struttura e la composizione, le prestazioni, le modalità di sintesi e lavorazione e la sostenibilità ambientale (riferita a tutto le fasi del ciclo di vita del prodotto) (figura 115). Allo sviluppo di un nuovo prodotto si arriva, generalmente, dopo anni di attività di ricerca che vedono la concentrazione di grandi sforzi in termini di risorse ed addetti. Di norma solo un ristretto numero di ricerche portano a risultati sfruttabili industrialmente. E’ per queste ragioni che la collaborazione tra industria – università ed enti pubblici di ricerca deve partire dal momento della selezione e scelta delle tematiche. I rapporti tra Industria e Università e EPR, necessariamente di tipo dinamico, non generico, incentrate su ricerche finalizzata al raggiungimento di precisi obiettivi, devono essere articolati ed organizzati in maniera tale da sfruttare sinergie derivan- Fig. 115: I principali fattori di successo e di penetrazione di un nuovo materiale. 261 ti da competenze complementari. In particolare essi devono prevedere una fase iniziale caratterizzata da una ricerca di tipo prevalentemente esplorativa (che va dal know-how al know-why fino al problem-solving) svolta prevalentemente dai centri di ricerca accademici (Università ed EPR). Qualora i risultati ottenuti in questa prima fase fossero incoraggianti allora, attraverso un opportuno ed idoneo trasferimento si avvierà la seconda fase principalmente presso i laboratori di ricerca industriale che sarà incentrata su attività di ricerca applicata e di sviluppo e quindi di industrializzazione e di marketing. Nel prossimo futuro materiali e dispositivi polimerici innovativi, tale da riscontrare successo nel mercato dei prodotti di nicchia, saranno sempre più spesso il risultato di una concentrazione di sforzi di ricerca su tematiche di frontiera che, essendo considerate dall’industrie fortemente a rischio, dovranno essere affrontate, almeno in una prima fase esplorativa e speculativa da reti di laboratori appartenenti alle Università e agli EPR, sulla base di finanziamenti prevalentemente pubblici, prevedendo da parte delle aziende interessate una quota parte di cofinanziamento. Karasz e Gürel, nella loro analisi circa il futuro della ricerca e dell’industria sui polimeri hanno individuato alcune tematiche, che a loro giudizio, appaiono di grande interesse anche per le potenziali ricadute applicative. "…., the discovery of metallic-like electrical conductivity in partially oxidized or reduced (“doped”) polyacetylene about 20 years ago stimulated very intense academic and industrial research efforts focused on the non-traditional electrical properties of polymers. …… Conducting polymer research did give impetus to research in closely related topics – non-linearly optically active polymers, for example –and currently there is also a great deal of interest in electro-luminescent macromolecules. …… Another “hot” topic is the area of nanostructures. This somewhat ill- defined noun is usually held to comprise materials possessing an organized, regular, perhaps self-assembling, structure on the 1-100 nm scale. …… The interest perhaps stems from a belief that such structures will exhibit either new or improved properties –any properties- compared to traditional bulk materials. A similar kind of expectation halo has recently settled on dendrimers and hyper-branched polymers. …… There is probably far less doubt about the future of “bioengineering polymers” …… almost any polymers research which is perceived to have biological relevance is a strong focus of attention. Another topic (…) is that of “multi-functional” polymers, often in the context of “smart” polymer systems. ….., “multi-functional” polymers are designed to exhibit two or more desirable properties within one macromolecular structure. …… Often the target in such “designer polymers” are materials to be used in sensors. Recent advances in sophisticated polymerization catalyst have merited the inclusion of this area as a “hot topic”. … … The widespread emphasis on environmental concerns has put pressure on many facets of the industrial and academic polymer community. One result has been a drive to eliminated noxious solvent at all levels …… by substitution of less pernicious solvent and ultimately, to eliminate solvents altogether" [132]. Altre aree di valenza speculativa ma con interessanti risvolti applicativi sono 262 state identificate nel rapporto commissionato dal “Board on Chemical Sciences and Technology” of the National Council (USA) . Le più significative sono qui di seguito riportate: √ studi interdisciplinari sulle superfici e le interfacce dei polimeri con particolare riguardo alla comprensione delle reazioni chimiche che avvengono alla superficie; √ ricerche finalizzate alla fabbricazione di strutture molto piccole (film sottili, materiali nanofasici) con dimensioni paragonabili a quelle delle caratteristiche morfologiche dei polimeri; √ nuove procedure di sintesi attraverso le quali sia possibile controllare la struttura molecolare dei polimeri (nuovi catalizzatori, biosintesi e sintesi “environmental benign”); √ nuovi metodi di lavorazione e trasformazione [computer-assisted design (CAD), computer assisted process (CAP) e on line process control]; √ nuovi metodi di caratterizzazione dei polimeri (“including new techniques in microscopy and magnetic resonance imaging”); √ sviluppo di teorie per il “modelling” di processi molto complessi, di produzione, del comportamento meccanico e di cedimento strutturale, di calcolo delle proprietà termodinamiche e tempo-dipendenti e di progettazione di molecole “capable of highly specific molecular recognition” [124]. Sulla validità attuale, che ovviamente riguarda anche il nostro paese, dei temi individuati sia da Karasz e Gürel che dal “Committee on Polymer Science and Engineering” non può che esserci un’ampia convergenza ed identità di veduta. Dalla scoperta della prima plastica di sintesi, la Bakelite, avvenuta nel 1907 ad opera di Leo Hendrik Baekeland, l’industria delle materie plastiche ha rappresentato un elemento di grande rilevanza per l’economia dei paesi industrializzati e un fattore determinante per il loro sviluppo contribuendo attraverso la versatilità la facilità di produzione e il basso costo dei suoi prodotti, a migliorare tra l’altro anche le condizioni di vita degli abitanti dei paesi poveri e in via di sviluppo. La vasta gamma di polimeri sintetizzati e commercializzati ha aperto nuove aree di attività; interi comparti dell’economia non avrebbero mai potuto svilupparsi se l’industria della plastica non avesse lanciato sul mercato prodotti con caratteristiche innovative e spesso uniche. Si pensi ai comparti dell’imballaggio alimentare, dei trasporti, dell’arredamento, dei tessili, degli elettrodomestici, dell’agricoltura protetta, dell’aero-spaziale ecc.. Qualora l’industria delle plastiche non avesse messo a loro disposizione nuovi prodotti e materiali questi comparti sicuramente non avrebbero potuto avere lo sviluppo che, specialmente a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, hanno fatto registrare. L’utilizzo di oggetti realizzati in materiali polimerici ha sostanzialmente modificato le nostre abitudini e il nostro modo di vivere; sarebbe difficile, al giorno d’og263 gi, immaginare un mondo senza le plastiche; molte delle cose che ci circondano e che abitualmente siamo soliti usare sono realizzate attraverso l’impiego di queste sostanze, che peraltro trovano applicazione, come fibre, gomme, compositi, leghe, film anche in sofisticate applicazioni in settori ad alto tasso di contenuto scientifico e tecnologico. La rilevanza dell’industria della plastica fu messa molto efficacemente in risalto da W.E. Nelson il quale, nel non lontano 1976 scrisse: "Indeed it could be said that a country’s prosperity can be measured by its plastics production in much the same way as sulfuric acid production was quoted as index in the early years of this century" [134]. Il consumo mondiale di plastiche, come emerge dall’andamento delle curve riportate nella tavola LXII, è in crescita [135]. In questo contesto generale l’industria della plastica italiana si caratterizza per i seguenti indicatori : i) una produzione (1998) pari a 3.960.000 tonnellate; ii) un consumo globale uguale a 6.295.000 tonnellate, a cui corrisponde un consumo pro capite (1998) di 109 tonnellate; iii) un fatturato di 10.000 miliardi nel settore della produzione di polimeri; iv) un fatturato di 27.000 miliardi per il comparto della trasformazione, che è rappresentato da 5.500 aziende con circa 130.000 addetti; v) un’industria di trasformazione che presenta un saldo attivo degli scambi commerciali con l’estero che si aggira intorno ai 4.500 miliardi; vi) un fatturato del comparto dei costruttori di macchine di lavorazione (secondo in Europa dopo quello della Germania) che è all’incirca pari a 6.000 mil iardi di lire, a cui corrisponde un saldo attivo della bilancia commerciale di circa 3.000 miliardi di lire; la somma del saldo positivo relativo ai comparti della trasformazione dei polimeri e a quello dei costruttori di macchine, contribuisce al bilancio positivo che caratterizza il settore dell’industria della plastica nella sua globalità che pertanto presenta un saldo attivo nella bilancia commerciale dei pagamenti [135]. La produzione e il consumo di plastiche, relative ai paesi più industrializzati, sono confrontati nella tavola LXIII. L’Italia per quanto riguarda la produzione figura al quinto posto, mentre relativamente ai consumi è al quarto posto nel mondo [135]. Nei paesi più sviluppati è in atto un processo, che in tempi relativamente brevi porterà ad un riassetto “rivoluzionario” del tessuto produttivo. I grandi impianti di 264 produzione primaria (inclusi quelli dei polimeri di massa) saranno accorpati in grossi siti o “distretti produttivi” e delocalizzati prevalentemente verso paesi ad economia emergente. Le motivazioni di questa tendenza sono molteplici e spesso di non facile interpretazione. Sicuramente alcuni fattori determinanti spingono in quella direzione, tra questi sembrano di grande rilevanza i seguenti: – minore costo del lavoro, dell’energia e di esercizio degli impianti; – possibilità di una migliore razionalizzazione ed ottimizzazione dei doverosi adempimenti di sostenibilità ambientale; – facilità nel reperire grandi aree attrezzate dove concentrare attività organizzate a “filiera”. Questo processo, parte integrante della globalizzazione dei mercati e dell’innovazione, sarà attivato e controllato mediante la creazione di società multinazionali che si costituiranno attraverso operazioni di fusioni, joint venture, acquisizioni ecc.. In questo contesto, caratterizzato da rapidi cambiamenti negli assetti commerciali, organizzativi e societari, la “forza” di un moderno paese, misurata dalla sua capacità di competere sui mercati internazionali, sarà determinata prevalentemente: – dal grado di innovazione della rete di PMI attive in nicchie ad elevato tasso tecnologico; – dall’efficienza della rete dei servizi alle imprese; – dal grado di integrazione tra una forte ricerca pubblica e privata ed il mondo della produzione e della trasformazione; – dal numero di centri decisionali e direzionali presenti sul territorio attraverso i quali esercitare funzioni strategiche di progettualità, controllo e gestione delle attività produttive e di distribuzione. Purtroppo quello che preoccupa è l’osservare che, nel nostro paese, come nel caso dei laboratori di ricerca industriale, molto spesso, al momento in cui si concretizza una operazione che porta alla costituzione di una nuova società multinazionale i centri nevralgici di gestione e di direzione molto spesso trovano collocazione all’estero. 265 • Conclusioni Negli ultimi 40-50 anni si è assistito ad un fortissimo aumento nel consumo di polimeri di sintesi. Questo fenomeno ha riguardato prevalentemente prodotti di massa (commodities). Nel futuro, come si ricava anche dall’andamento delle curve della figura 116 [137] il consumo di plastiche è destinato a crescere ancora anche se esse saranno chiamate a soddisfare una domanda sempre più rivolta ad impieghi in settori a più elevato tasso tecnologico. "The industrial impact of new developments in polymer science has shifted toward specialized performance polymers and away from high volume materials. Electrical, electronic, high temperature, biological and optical properties of specially designed are increasingly providing the “enabling technology” for a wide variety of industrial components and systems. Small quantities of polymers add enormous value to end product. Work on high volume materials and the processes by which they are made will obviously be of importance in incremental performance improvements, lowering costs and resolving environmental issues. However, the cutting edge of polymer science for industry is and will be in the arena of specialized performance" [138]. Fig. 116: La crescita nei consumi delle cinque termoplastiche di base [polipropilene (PP), polivinilcloruro (PVC), polietilene ad alta e bassa densità (HDPE, LDPE) e polietilene lineare a bassa densità (LLDPE)]; dal 1998 al 2004 [Rif. 137]. 266 La previsione di crescita nel consumo delle cinque termoplastiche di base, così come delineata dall’andamento dei grafici riportati nella figura 116 non contrasta con i concetti sopra enunciati. Infatti questi materiali, pur nascendo come “commodities”, attraverso un processo di “customization” e di “nobilizzazione” (che vedrà l’utilizzo di tecnologie atte a modificarne le caratteristiche chimiche e fisiche anche mediante operazioni di “blending”, funzionalizzazione e di ibridizzazione), saranno trasformate in prodotti a più elevato valore aggiunto caratterizzati da prestazioni tali da potere essere utilizzati nella fabbricazione di articoli in settori di nicchia e questo sulla base di sempre più chiare e stringenti esigenze espresse dall’universo degli utilizzatori. Richard S. Stein, in un suo interessante articolo dal titolo eloquente “Gazing in the Polymer Crystal Ball”, ha così commentato i modi e le forme di quello che sarà lo sviluppo delle plastiche: "Rather than seeing the volume of polymers used continue with its experiential growth, their increased use for more sophisticated application is expected. Fortunately, such applications are research intensive, and present exciting challenges to polymer scientists that will last well into the next century" [139]. Il ventunesimo secolo ha visto l’affermarsi dell’Era della plastica; il ventunesimo secolo vedrà la nascita di una “nuova” industria dei polimeri “science and technology oriented” parte integrante di un sistema produttivo basato sull’integrazione sinergica di conoscenze in campi diversi quali: le biotecnologie, la chimica, i materiali, l’ambiente, l’elettronica, l’informatica ecc.. Questa nuova industria avrà un ruolo di grande rilevanza poiché attraverso processi mirati di sintesi e di trasformazione di polimeri innovativi, sarà possibile sviluppare sistemi complessi caratterizzati da funzioni multiple, interattivi ed intelligenti. La realizzazione di questi prodotti richiede l’utilizzo di tecnologie sostenibili ed aggressive per ridurre al minimo il tempo necessario al raggiungimento della fase di industrializzazione e di commercializzazione. A questi prodotti sarà legata la possibilità di allargare il campo delle attività dell’uomo, limitando, nel contempo lo spreco di risorse energetiche e la contaminazione dell’ambiente. In questo scenario, che vede l’assetto produttivo di un paese moderno, caratterizzato da una rilevante presenza di imprese di piccole e medie dimensioni ad alta tecnologia ed elevato tasso innovativo, dove, tra l’altro, radicali cambiamenti di processo e di prodotto si verificheranno con grande velocità, la collaborazione tra il mondo accademico e quello della produzione giocherà un ruolo sempre più decisivo nell’affermare la competitività dell’intero sistema paese a livello internazionale. Che un forte collegamento tra industria e ricerca pubblica fosse determinante ed essenziale al raggiungimento di importanti e strategici obiettivi scientifici e tecnologici era ben chiaro a Giulio Natta allorquando, negli anni del dopo guerra, con grande lungimiranza e precorrendo i tempi, lanciò la proposta, accolta con entusiasmo da un accorto, intelligente e colto management della Montecatini, di sviluppare quella intensa collaborazione tra università e industria che doveva portare alla 267 scoperta del polipropilene e al conferimento, nel 1963, del Premio Nobel per la chimica a questo illustre scienziato italiano. La grande avventura del polipropilene rappresenta un esempio unico nella storia dell’industria chimica e della ricerca italiana che si caratterizzò per una forte integrazione tra ricerca pubblica e privata a dimostrazione di una strada che doveva essere percorsa ed un modello che andava replicato con opportuni adeguamenti ed aggiustamenti dettati dai profondi cambiamenti che nel tempo determinavano nuovi scenari di riferimento sociali, economici ed industriali. L’impresa di Natta e dei suoi collaboratori insegna che, ancora oggi, solo attraverso una attenta, discreta e mirata finalizzazione della ricerca pubblica, integrata ad una congiunta attività di ricerca e sviluppo industriale, è possibile centrare rilevanti obiettivi strategici per lo sviluppo scientifico e tecnologico del nostro paese. Certo le condizioni al contorno non sono più quelle relative a quel periodo che è passato alla storia per la straordinaria ripresa economica ed industriale che seguì ai tragici e disastrosi eventi bellici. Le modalità di fare ricerca ed industria si sono drasticamente modificati. La complessità delle problematiche, di natura sempre più interdisciplinare, richiedono una continua rimodulazione e riassetto delle reti di ricerca in una visione non più statica, ma dinamica che deve tenere conto del fatto che le attività produttive modificano con grande rapidità la qualità e la tipologia dei prodotti. Molti nuovi prodotti presenti attualmente sul mercato sono stati pensati, progettati e realizzati non più tardi di due o tre anni fa. In questo contesto dove il fattore tempo, oltre che quello culturale-scientifico e tecnologico, determina il successo o meno di un prodotto voluto e richiesto dal mercato, la “Collaborazione Ricerca-Industria non può essere considerata un “optional”: essa è un “must””. 268 TAVOLA LI Tavola LI: I polimeri nel settore della telefonia. Telefono cordless realizzato con una resina acrilonitrile-butadiene-stirene (ABS-Terluran della BASF) [Rif. 91]. TAVOLA LII Tavola LII: I polimeri nella telefonia mobile. Vetrini per display realizzati in PMMA (oroglas Eep -Atachem) [Rif. 91]. 269 TAVOLA LIII Tavola LIII: I polimeri speciali nelle telecomunicazioni. Il Luran (una lega PC/ASA, prodotta dalla BASF) viene utilizzata nella costruzione di antenne paraboliche [Rif. 91]. 270 TAVOLA LIV Tavola LIV: I polimeri speciali nel settore auto. Pannelli realizzati in nanocompositi sono stati progettati e prodotti dalla General Motors e dalla Montell [Rif. 92]. TAVOLA LV Tavola LV: Cella a combustibile a membrane polimeriche: componenti singoli e monocella assemblata [Rif. 94]. 271 TAVOLA LVI Tavola LVI: Un esempio di sistema intelligente dove i polimeri giocano un ruolo determinante. Un “active fiber composite” costituito da fibre ceramiche piezoelettriche allineate in una matrice polimerica [Rif. 103]. TAVOLA LVII Tavola LVII: Una batteria in plastica. E’ mostrato un elettrodo, messo a punto da J. Hopkins et al., i cui componenti sono fabbricati in materiali polimerici (vedi testo per spiegazioni) [Rif. 104-a]. 272 TAVOLA LVIII Tavola LVIII: La linea Sidel, composta dalla macchina per trattamento barriera Actis 20 e da quella per soffiaggio SBO serie 2 [Rif. 107]. TAVOLA LIX a) b) Tavola LIX: Processo “Actis” per aumentare, in linea, la barriera di bottiglie di PET. Esso sfrutta la tecnologia del plasma freddo. a) Il gas acetilene immesso nelle bottiglie di PET viene trasformato in plasma. Le particelle presenti allo stato di plasma urtando contro le pareti interne provocano la formazione di uno strato di carbone amorfo altamente idrogenato. b) la bottiglia per effetto della presenza di questo strato amorfo sulle pareti interne acquisisce proprietà barriera nei confronti di gas quali l’ossigeno, l’anidride carbonica e le aldeidi [Rif. 108]. 273 TAVOLA LX Tavola LX: Alcuni dei principali artefici del successo e dello sviluppo del polipropilene presso il Centro Ricerche G. Natta (Ferrara), all’epoca della Montell: da sinistra a destra: L. Corbelli: elastomeri (sviluppo); D. Del Duca: sviluppo prodotti; P. Vitafinzi: progettazione; A. Mayr: Direttore Centro Ricerche; T. Simonazzi: Research & Development; P. Galli: President Technology; G. Gavani: Ingegneria; P. C. Barbé: Catalisi Z.N.; S. Danesi: leghe poliolefiniche; G. Foschini: Dutral - catalisi; G. Omicini: gestione impianti. Alle spalle è visibile il “monumento PP”, inaugurato nel 1980, con l’attribuzione del nome, G. Natta, al Centro Ricerche di Ferrara [Foto, del nov. 1994, cortesemente concessa dal Dr. T. Simonazzi]. 274 TAVOLA LXI Tavola LXI: Il PVC surclorato Lucalor, di Atofina, è indicato in particolare per le tubazioni nel settore idrotermosanitario [Rif. 125]. 275 TAVOLA LXII Tavola LXII: Consumo internazionale di plastiche per abitante 1955-1998 (in Kg) [Rif. 135]. TAVOLA LXIII Tavola LXIII: Le plastiche nel mondo (in migliaia di tonnellate) - Anno 1998 [Rif. 135]. 276 RIFERIMENTI 1) “Giulio Natta - Present significance of his scientific contribution”, Editors: S. Carrà, F.Parisi, I.Pasquon, P.Pino, Editrice di chimica S.r.l. - Milano (1982). 2) E. Martuscelli, La Chimica e l’Industria, 78, 735 (1996). 3) a) L. Porri, L. M. Maccheroni, R. Del Rosso, A. Giarrusso “Giulio Natta, l’uomo e lo scienziato”. Pubblicato a cura del Dipartimento di Chimica Industriale e Ingegneria Chimica “Giulio Natta” del Politecnico di Milano, AIDIC- Servizi, Milano (1998). b) P. 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