A08
152
Stefano Lenci
Laura Consolini
Percorsi per un metodo progettuale
tra forma e struttura
Copyright © MMVII
ARACNE editrice S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Raffaele Garofalo, 133 A/B
00173 Roma
(06) 93781065
ISBN
978–88–548–1341–0
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: ottobre 2007
A Carlo
e Maria
(L.C.)
A Claudio
(S.L.)
INDICE
PREMESSA ................................................................. pag. 11
1. INTRODUZIONE
1.1. Il significato classico della struttura................ pag. 13
1.2. Le strutture resistenti per forma ...................... pag. 14
1.3. Le strutture resistenti per superficie................ pag. 17
2. FORMA E STRUTTURA NELLA STORIA
2.1.
2.2.
2.3.
2.4.
2.5.
Introduzione .................................................... pag. 21
L’architettura gotica........................................ pag. 22
Filippo Brunelleschi........................................ pag. 25
L’ingegneria dell’Ottocento e Gustav Eiffel... pag. 28
Antoni Gaudì................................................... pag. 34
3. FORMA E STRUTTURA IN PROGETTISTI MODERNI E
CONTEMPORANEI
3.1.
3.2.
3.3.
3.4.
3.5.
3.6.
3.7.
Introduzione .................................................... pag. 39
Eduardo Torroja Miret (1899-1961) ............... pag. 43
Pier Luigi Nervi (1891-1979) ......................... pag. 46
Riccardo Morandi (1902-1989) ...................... pag. 49
Felix Candela (1910-1997) ............................. pag. 52
Sergio Musmeci (1926-1981) ......................... pag. 55
Santiago Calatrava Valls (1951) ..................... pag. 58
4. OTTIMIZZAZIONE STRUTTURALE
4.1. Tematiche e metodi......................................... pag. 61
5. L’OTTIMIZZAZIONE STRUTTURALE CON LE LINEE
ISOSTATICHE
5.1. Introduzione.....................................................pag. 65
5.2. Le ossa umane..................................................pag. 70
5.3. I solai “nervati”................................................pag. 73
6. L’OTTIMIZZAZIONE CON MODELLI FISICI
6.1. Introduzione.....................................................pag. 77
6.2. I modelli di soluzione d’acqua saponata..........pag. 78
6.2.1. Lo Stadio olimpico di Monaco .............pag. 79
6.3. I modelli in materiale elastico..........................pag. 81
6.3.1. Il ponte sul Basento..............................pag. 81
6.4. I modelli di fili appesi o “rovesci”...................pag. 83
6.4.1. La chiesa di Santa Coloma ..................pag. 84
7. L’OTTIMIZZAZIONE CON CALCOLI MANUALI
7.1. Introduzione.....................................................pag. 87
7.2. L’arco ottimale.................................................pag. 88
7.2.1. Il Gateway Arch di St. Louis ................pag. 89
7.3. La colonna ad uniforme resistenza ..................pag. 91
7.3.1. Il quartiere Wohnpark di Vienna .........pag. 93
7.3.2. La Torre Eiffel di Parigi ......................pag. 95
7.4. La mensola ad uniforme resistenza..................pag. 96
7.4.1. Il Tower Bridge di Londra ...................pag. 100
8. L’OTTIMIZZAZIONE TOPOLOGICA CON PROGRAMMI
DI CALCOLO
8.1. Introduzione.....................................................pag. 103
8.1.1. Cenni storici.........................................pag. 103
8.1.2. Elementi fondamentali .........................pag. 105
8.1.3. Tipologie fondamentali ........................pag. 110
8.2. Algoritmo di ottimizzazione ............................pag. 112
8.3. Progetti ottimi riconoscibili .............................pag. 118
8.3.1. Tipologia ponte 1 ................................ pag. 118
8.3.2. Tipologia ponte 2 ................................ pag. 120
8.3.3. Tipologia ponte 3 ................................ pag. 121
8.3.4. Tipologia ponte 4 ............................... pag. 123
8.3.5. Tipologia ponte 5 ................................ pag. 125
8.3.6. Tipologia ponte 6 ................................ pag. 126
8.3.7. Tipologia copertura............................. pag. 128
8.4. Progetti ottimi “espliciti” ................................ pag. 129
8.5. Progetti ottimi possibili................................... pag. 130
9. CONCLUSIONI.................................................... pag. 133
APPENDICE................................................................ pag. 135
BIBLIOGRAFIA ......................................................... pag. 135
Premessa
Ci si chiede spesso come mai una struttura, un’opera architettonica
o quant’altro, risulti bella. La curiosità intellettuale è disarmata di
fronte ad una domanda per la quale non abbiamo una risposta. Il
manierismo e l’omologazione ai canoni stabiliti dai maestri
riconosciuti non bastano a giustificare certe sensazioni che ci colgono.
L’architettura come semplice opera artistica, e non come opera d’arte
e di conoscenza, colpisce, impressiona, a volte stupisce, attrae i turisti,
ma non persuade e non incanta. Il razionalismo estremista, d’altro
canto, impatta, sconvolge, intaglia come certi suoi spigoli troppo
arditi, e certo non commuove. Non c’è una risposta.
Quello che si propone in questo lavoro è un percorso, che può
aiutare a comprendere, a riconoscere certi canoni, che può indicare
metodologie e soluzioni, ma che non ha la pretesa di dare risposte.
Partendo dall’assunto che forma (architettonica) e struttura
(ingegneristica) non devono vivere di vita propria, e che troppo tempo
ed energie si sono sprecate con questa visione riduttiva – anche tra
coloro che la negano, vengono sviluppate alcune analisi che,
muovendo da considerazioni di ottimizzazione strutturale, variamente
intesa ed implementata, si propongono di fornire una visione comune
di questi aspetti solo apparentemente duali, con l’intento di suggerire,
senza la pretesa di imporre o il desiderio di turbare.
11
1. INTRODUZIONE
1.1 Il significato classico della struttura
Tutti gli oggetti prodotti dall’uomo assolvono ad una specifica
funzione: da quella conservativa, a quella meccanica e strutturale, fino
a quella psicologica ed estetica. Una funzione specifica è legata ad una
forma specifica; così se la forma viene danneggiata, verranno
influenzate anche le funzioni che essa contiene. La forma quindi deve
essere conservata.
Ogni forma materiale, ovvero l’oggetto rappresentato da quella
forma, è esposto alle azioni gravitazionali, in primo luogo, ed a tutte le
altre azioni accidentali che possono caricarlo nel corso della sua vita
utile. Per sopportare questi carichi, e quindi per conservare la forma e
la funzione nel tempo, è necessaria una struttura.
La struttura è quell’organismo che intercetta il carico, lo assorbe e
lo scarica al terreno. È perciò implicito che ogni struttura al suo
interno deve consentire il flusso delle forze, e la progettazione
ottimale di una struttura non può prescindere dallo studio del
trasferimento di esse all’interno di ogni sua parte. In seguito si
mostrerà che lo studio e l’intuizione del meccanismo di flusso delle
forze sono metodi progettuali veri e propri, applicabili non solo alle
strutture pure e semplici, ma anche alle forme architettoniche. Un
oggetto può risultare molto più piacevole se “plasmato” secondo
considerazioni sulla materia e sulle tensioni, piuttosto che ideato in un
certo modo e “fatto stare in piedi” solo in un secondo momento (v.
Fig. 1).
Nella pratica usuale la struttura e la forma vengono ideate in
maniera separata: la forma viene progettata in relazione alla funzione,
ad elementi esterni, alla riproposizione modificata di soluzioni già
adottate, mentre la struttura si limita ad essere sviluppata come un
organismo atto ad assorbire il flusso delle forze, che combaci però con
la forma già delineata, senza dare fastidio o occupare troppo spazio.
Questo concetto è ben esemplificato da una frase di Eduardo Torroja:
«il progettista, innamorato di una soluzione (…), la passa allo
strutturista perché vi inserisca dentro una struttura» [1].
Alcune tipologie classiche di struttura, però, sono già “forma”
senza che le due cose debbano essere separate in fase di progetto.
13
14
Capitolo I
Figura 1. Confronto tra il Palazzo dello Sport di Roma di P.L. Nervi e
il Palazzo del ghiaccio di Selva di Val Gardena
1.2 Le strutture resistenti per forma
La materia non rigida, flessibile, configurata in maniera specifica e
vincolata a estremità fisse, è in grado di autosostenersi, di far fronte ad
una specifica condizione di carico e di coprire determinate luci: sono
le strutture resistenti per forma.
Colonna verticale e fune sospesa sono prototipi ed esempi di
strutture resistenti per forma: esse trasmettono i carichi solo attraverso
sollecitazioni normali semplici, ovvero la trazione e la compressione.
Legando due funi con punti di sospensione differenti si forma un
sistema che è in grado di sostenere il proprio peso e di trasferire
Introduzione
15
lateralmente i carichi attraverso sollecitazioni di semplice trazione.
Una fune sospesa ribaltata forma un arco funicolare; la forma ideale di
un arco varia a seconda della condizione di carico per cui è progettato
(v. Fig. 2).
Figura 2. Rapporto tra fune ed arco funicolare
Il meccanismo di portata delle strutture resistenti per forma si basa
essenzialmente sulla forma del materiale. Una deviazione dalla forma
ottimale mette in pericolo il funzionamento dell’intero sistema e
occorre tener conto di ciò in fase di progettazione.
In un ipotetico caso ideale (cioè irrealizzabile in senso concreto), la
forma di queste strutture coincide esattamente con l’andamento delle
sollecitazioni, ed importanza fondamentale assumono la linea dei
centri di pressione e la linea dei centri di trazione. Qualsiasi
cambiamento nelle condizioni di carico o di vincolo modifica
l’andamento della linea dei centri di pressione e genera una nuova
forma strutturale. Mentre la fune, in quanto sistema “flessibile”, sotto
nuovi carichi assume da sola una nuova linea dei centri di trazione,
l’arco, in quanto sistema “rigido”, deve compensare il cambiamento
della linea dei centri di pressione con la rigidezza stessa. La fune
quindi rappresenta sempre la curva funicolare per quel carico
16
Capitolo I
specifico; invece l’arco può essere funicolare solo per un determinato
carico.
Nelle strutture resistenti per forma, a causa della loro dipendenza
dalle condizioni di carico, la forma architettonica e spaziale è il
risultato del meccanismo di sostegno.
Oltre a funi ed archi, si può ricordare anche un’altra tipologia tra le
strutture resistenti per forma, che non è più strettamente
bidimensionale come le precedenti. Si tratta di ciò che risulta
dall’accoppiamento di una serie di cavi ai vantaggi offerti dalla forma
circolare ed alla sua simmetria rispetto all’asse passante per il centro.
Si sono venute così a creare strutture dalla caratteristica forma a ruota
di bicicletta, in quanto realizzate, appunto, a mezzo di cavi disposti
radialmente ed ancorati ad un mozzo centrale e ad una corona
periferica (v. Fig. 3).
Figura 3. Schema del funzionamento a ruota di bicicletta
Strutture di chiara lettura, in quanto esprimono, oltre che la
situazione tensionale dei cavi radiali, anche lo stato di sollecitazione
dell’anello di ancoraggio centrale, chiamato a lavoro di trazione, e
quello dell’anello di ancoraggio periferico, sollecitato a compressione
semplice o a presso-flessione in base al sistema di vincoli con cui è
collegato alla struttura inferiore (v. Fig. 4).
Introduzione
17
Figura 4. La copertura del Palasport di Genova
1.3 Le strutture resistenti per superficie
È possibile combinare gli elementi delle strutture resistenti per
forma per ottenere strutture di superficie.
Le superfici sono il mezzo geometrico più efficace ed intelligibile
di definizione dello spazio e, a causa di questa loro natura, sono le
astrazioni elementari attraverso le quali l’architettura si esprime.
La superficie strutturale nasce dal percorso che le forze compiono
al suo interno per giungere fino al terreno; la sua capacità di far
cambiare direzione alle forze, ovvero di portare i carichi, dipende
dalla posizione della superficie in relazione alla direzione della forza
in questione.
Nella superficie strutturale piana, a seconda della direzione della
forza, intervengono due diversi meccanismi di resistenza o loro
combinazioni: il meccanismo della piastra (forza perpendicolare alla
superficie) e il meccanismo della lastra (forza parallela alla superficie)
(v. Fig. 5).
18
Capitolo I
Figura 5. Meccanismi a piastra e lastra
Inclinando la superficie verso la direzione della forza agente con
una piegatura o curvatura, è possibile riconciliare gli opposti
dell’efficienza orizzontale nella copertura dello spazio, e
dell’efficienza verticale nella resistenza alle forze gravitazionali.
Nelle strutture resistenti per superficie è la forma ottimale a
trasferire le forze ed a distribuirle uniformemente sulla superficie. Lo
sviluppo di una forma efficace per la superficie è come un atto
creativo, dal punto di vista strutturale, funzionale ed estetico.
Queste strutture sono contemporaneamente l’involucro dello spazio
interno e il guscio dell’edificio esterno e di conseguenza determinano
forma e spazio dell’edificio stesso. Esse arrivano a costituire il criterio
della qualità dell’edificio in quanto macchina razionale, efficiente, e
forma esteticamente significativa. La forma strutturale è quindi non
arbitraria, ma soggetta alle leggi della meccanica; qualsiasi deviazione
dalla forma ottimale si scontra con il meccanismo statico e potrebbe
metterne in pericolo il funzionamento.
Nonostante le leggi comuni alle quali è soggetto qualsiasi sistema
composto da superfici strutturali, esistono molti meccanismi resistenti
diversi. Costruire queste superfici richiede quindi la conoscenza dei
rispettivi meccanismi: il loro modo di funzionare, la loro geometria, il
loro significato per la forma architettonica e lo spazio (v. Fig. 6).
Introduzione
19
Figura 6. Esempi di strutture resistenti per superficie
Lo stesso Pier Luigi Nervi sottolinea l’importanza dal punto di
vista statico-architettonico dei sistemi a superficie resistente:
ossia di quei sistemi nei quali la capacità statica è diretta conseguenza di
curvature o corrugamenti dati ad una superficie, il cui spessore resta sempre
molto piccolo rispetto alle dimensioni del complesso (…). La loro piena verità
statica appare chiaramente quando si consideri che le azioni agenti sono quasi
sempre distribuite su superfici lungo le quali possono, nel più efficiente dei
modi, diffondersi fino a incontrare ed equilibrare le reazioni all’appoggio [2].
Tuttavia i progettisti non fanno spesso uso di queste strutture
perché, come dice lo stesso Nervi, «non siamo abituati a ragionare per
forma» [2]. Al contrario, questi sistemi sono molto efficaci, tanto è
vero che sono molto presenti sia in natura, sia in campi della tecnica
diversi dall’architettura e dall’ingegneria civile: carrozzerie di
automobili, fusoliere e ali di aerei, scafi di navi, sono esempi di
resistenza per forma dovuta alla necessità di stretta aderenza alle leggi
della statica e dell’aerodinamica.
2. FORMA E STRUTTURA NELLA STORIA
2.1 Introduzione
Solo poche volte nella storia dell’architettura la tecnologia
costruttiva, il calcolo statico e gli obiettivi formali hanno avuto ruoli
paritetici nella definizione concreta dell’idea di architettura.
La visione dell’oggetto di architettura come fusione di ciò che è
forma e di ciò che è struttura è un concetto molto presente in epoca
moderna. È in tale epoca, infatti, che si può vedere come molti
progettisti abbiano cercato di progettare e costruire oggetti che entrino
a tutti gli effetti a far parte dell’insieme delle opere di architettura, ma
che siano contemporaneamente oggetti in cui la struttura assume un
ruolo importante e determina l’aspetto formale. I progettisti moderni si
mettono alla ricerca di forme strutturali efficaci ed esteticamente
piacevoli con indagini statiche, studi costruttivi, attenzione al risultato
formale (cfr. Cap. 3).
In varie epoche della storia dell’architettura si trovano però degli
“oggetti” che riassumono in se stessi la coincidenza tra forma e
struttura.
Nel periodo gotico la coincidenza forma-struttura è conseguenza di
motivazioni spirituali e allo stesso tempo scientifiche: alla base delle
costruzioni del periodo infatti c’è una “scienza”, vale a dire l’insieme
delle conoscenze scientifiche-empiriche dell’epoca.
Brunelleschi inizia il cammino verso un metodo più rigoroso di
progettazione ed a lui va il merito di aver tentato l’unione in un’unica
figura di ideatore, tecnico e costruttore di un progetto.
Gli stessi ingegneri dell’Ottocento non prestano attenzione al
risultato estetico dell’opera che si accingono a progettare, il fine che
hanno è quello di ottenere la massima prestazione dai nuovi materiali
(come l’acciaio), di utilizzare procedimenti costruttivi innovativi, di
mettere in pratica la scienza delle costruzioni che si stava sviluppando.
Antoni Gaudì si serve di modelli fisici per la progettazione delle
sue opere, ma queste, alla realizzazione, hanno molti elementi,
soprattutto a livello decorativo, che denunciano una forte tendenza
dell’architetto verso la naturalità e l’intuizione, e una sensibilità
progettuale non codificata attraverso un metodo preciso.
21
Capitolo II
22
2.2 L’architettura gotica
Le basi della cultura gotica sono gettate da San Tommaso
d’Aquino, rinunciando al principio platonico dell’Idea in favore di
quello aristotelico della Realtà. Il fondamento di questa cultura quindi
è la razionalità di origine divina che si attua tramite le forme reali
delle cose, della natura e dell’uomo. Le opere prodotte dall’uomo
devono così tendere ad una perfezione che è testimonianza di Dio;
tutto l’operato dell’uomo si carica di una valenza mistica. Il sogno di
incredibili cattedrali ha piegato la prassi del fabbricare a produrre
specifiche tecnologie che ne consentissero la realizzazione (v. Fig. 7).
Figura 7. Cattedrale di Notre Dame, Parigi
La tecnica diventa quindi un fare guidato dalla ragione e
dall’esperienza, la “teoria dell’ideare” precede e condiziona la
“tecnica del fare” e la figura dell’artista diventa centrale in quanto
persona che ha una responsabilità tecnica ed ideologica.
Anche se l’architetto gotico è giunto ad un livello, per così dire, di
professionalità assai più elevato del suo predecessore romanico,
ancora si chiama “tagliapietre” o “capomastro”, nonostante raccolga
in sé la responsabilità della composizione e dell’esecuzione definitive.
Dagli appellativi prima citati si può capire come l’architetto gotico
abbia uno stretto legame con le maestranze, in quanto non esistono
scuole per un apprendimento teorico, ma si impara in cantiere tutto il
necessario per portare a termine una costruzione.
Forma e struttura nella storia
23
Una delle figure che iniziano ad assomigliare in modo più
significativo ad un architetto moderno è Villard de Honnecourt: è il
primo che, imparato il mestiere in varie commesse, cerca di
raccoglierlo e di divulgarlo in modo da ampliare le conoscenze
tecniche e contribuire al progresso dell’arte costruttiva. Il suo testo era
nato come un taccuino di appunti, ma poi è diventato un vero e
proprio manuale per gli apprendisti (v. Fig. 8). In esso univa
didascalie e spiegazioni a piante, sezioni, prospetti e vedute,
divenendo così una specie di “summa” che dimostra quanto fosse
importante per ogni capomastro avere dei modelli da imitare e seguire.
Figura 8. Disegno di Villard de Honnecourt
Nel periodo gotico si perfeziona il sistema ad ossatura, la tecnica
degli archi ogivali riduce le spinte laterali, archi rampanti e
contrafforti divengono mezzi per far fronte alle spinte. Tutta questa
“macchina statica” viene portata all’esterno della cattedrale per
riuscire ad ottenere all’interno un grande vuoto ed una grande altezza,
come richiesto dallo spirito religioso del tempo. Il vocabolario
figurativo viene a coincidere con le linee delle forze e con le linee
isostatiche (cfr. Cap. 5) che, dalla navata centrale, altissima e libera
all’interno, devono giungere al terreno (v. Fig. 9).
24
Capitolo II
Figura 9. Archi rampanti della cattedrale di Reims
La maggiore responsabilità dell’architetto gotico è naturalmente
statica-strutturale, cioè il grande edificio-cattedrale deve
necessariamente stare in piedi. Un esempio di soluzioni gotiche ai
problemi strutturali lo si può trovare nella controversia che sorse a
Milano nel 1386 durante la costruzione del Duomo. Iniziata la
costruzione dell’enorme cattedrale, i capomastri della fabbrica si
trovarono di fronte al problema del dimensionamento: non erano in
grado di decidere quanto avrebbero dovuto essere alti i pilastri, le
navate e le volte della navata centrale. Si rivolsero perciò a maestri
francesi e tedeschi per avere una soluzione, ma ognuno ne proponeva
una diversa, poiché le loro considerazioni non erano basate su indagini
statiche precise, ma si trattava semplicemente di regole empiriche che
si erano rivelate efficaci nel corso delle generazioni e nel corso dei
tentativi in cui erano state usate.
Quello che tuttavia interessa notare è che, per questi architetti, il
problema strettamente dimensionale era secondario: la cosa più
importante era lo schema astratto generale, la forma dell’edificio, che
era indispensabile per risolvere i problemi statici. I tentativi di
compiere calcoli statici in senso moderno furono davvero poca cosa.
Forma e struttura nella storia
25
Non poche chiese crollarono durante o poco dopo la costruzione, e
quelle che restarono in piedi erano, probabilmente, sovradimensionate
se guardate con occhio moderno. I capomastri medievali si
occupavano di un problema statico applicando il metodo secondo loro
più appropriato e i mezzi scientifici che avevano a disposizione.
2.3 Filippo Brunelleschi
Il più eloquente esempio di perfetta fusione tra obiettive istanze tecniche e
soggettiva sensibilità estetica, si può trovare nella descrizione dei pensieri,
delle lunghissime, tormentose meditazioni, nella raggiunta certezza
sull’efficienza delle proprie intuizioni, che permisero a Brunelleschi di vincere
la lunga battaglia contro le terrificanti difficoltà costruttive, e
l’incomprensione dei contemporanei, per la realizzazione della cupola di
Santa Maria del Fiore a Firenze [2].
Con queste parole Pier Luigi Nervi fa capire come Filippo
Brunelleschi entra di diritto a far parte di coloro che producono opere
di architettura a partire da riflessioni che non siano puramente formali.
Della personalità di Brunelleschi, infatti, non si sa se ammirare di più
l’inventiva e la sensibilità dell’architetto, la profondità dell’intuizione
e le conoscenze tecniche dell’ingegnere o la cura del dettaglio e
l’amore verso la propria opera di costruttore.
Brunelleschi inizia nel Rinascimento una riflessione matematica
sui risultati ottenuti nelle epoche precedenti, ossia una riflessione su
ciò che viene chiamato “metrica” romanica e gotica. Si va alla ricerca
di un ordine, una logica, una legge, una disciplina, insomma le basi di
un metodo, che non lasci la nascita del progetto di architettura al caso,
ma che ne getti delle solide fondamenta. In quanto uomo del
Rinascimento, egli trova questo ordine a partire dall’ordine classico,
da quel linguaggio all’antica formato da stili e moduli, che vengono
aggregati in maniera sempre differente per ottenere nuove forme (v.
Fig. 10).
La ricerca della nuova legge che regoli un’opera di architettura è
però anche frutto dell’intuizione e della sperimentazione di nuove
tecniche costruttive.
26
Capitolo II
Figura 10. Spedale degli innocenti, Firenze
Nella cupola di Santa Maria del Fiore, pensiero e arte, scienza
nuova, poetica e genio si integrano, dando luogo ad una forma nuova.
Dalle intuizioni statiche e costruttive che hanno guidato Brunelleschi,
si vede chiaramente che esse sono state «i dati determinanti della
definizione del profilo della cupola, della massa del lanternino e del
rapporto volumetrico di questi due elementi che costituiscono la base
della meravigliosa armonia che, a tanti secoli di distanza, ci
commuove così profondamente» [2] (v. Fig. 11).
Figura 11. Cupola di Santa Maria del Fiore, Firenze
Forma e struttura nella storia
27
Studiando le architetture romane, ed in particolare la Domus Aurea
di Nerone ed il Pantheon, Brunelleschi rimane incuriosito da come gli
architetti romani avevano affrontato i vari problemi statici: come
neutralizzare le forze che agiscono sulla volta? Brunelleschi nel
progetto della sua cupola ha lo stesso problema. Come è noto, la pietra
ed i mattoni hanno grandissime capacità di resistere a compressione,
mentre questo non accade in alcun modo per la resistenza a trazione.
Nella cupola deve fronteggiare le forze di trazione, poiché le cupole
caricate dall’alto tendono a gonfiarsi alla base, generando in questo
punto sforzi di trazione. Una cupola è costruita sul principio dell’arco:
una volta completata si regge su se stessa funzionando come un
insieme di archi. Il problema della costruzione di una cupola è che
fino al posizionamento della pietra finale (cioè la chiave degli archi),
la tendenza della costruzione è di crollare verso l’interno. Per questo
motivo normalmente si usano delle centine per costruire archi e volte.
Brunelleschi risolve questo problema ed elimina l’uso della centina
utilizzando in particolare due soluzioni dettate dalla sua intuizione, dai
suoi studi sul comportamento statico e dalle sue sperimentazioni sulle
tecniche costruttive.
Decide di utilizzare la tecnica detta “di giro in giro”, vale a dire che
si attende l’asciugatura della malta di un corso di muratura prima di
iniziare il successivo. Fa disporre i mattoni (al di sopra di una certa
quota) a spina di pesce; questi mattoni disposti perpendicolarmente
che fuoriuscivano dai corsi orizzontali, interrompendo gli stessi, li
suddividevano in piccole sezioni e li rendevano analoghi a piccoli
archi orizzontali capaci di resistere alla gravità. Questo accorgimento,
da solo, non sarebbe bastato tuttavia a contrastare il crollo della cupola
verso l’interno: il colpo di genio statico-costruttivo di Brunelleschi fu
la creazione di uno scheletro circolare, posto tra le due calotte di cui è
composta la cupola, su cui si conformasse la struttura ottagonale della
stessa. In questo modo si ottiene una struttura autoportante che rende
possibile il non utilizzo della centina (v. Fig. 12). Tuttavia guardando
oggi la cupola si possono ben notare le fessure che si sono formate
lungo gli archi utilizzati per la cerchiatura dei costoloni. Nonostante i
grandi meriti di Brunelleschi, quindi, l’organismo statico da lui intuito
non ha perfettamente funzionato.
28
Capitolo II
Figura 12. Spaccato assonometrico della cattedrale
2.4 L’ingegneria dell’Ottocento e Gustav Eiffel
L’ingegneria ottocentesca apre quel filone che si può definire del
“razionalismo costruttivo”, cioè una metodologia libera da mode
formali e in continua ricerca di integrazione tra funzione, costruzione
e immagine.
L’architettura moderna, nata da una violenta crisi d’identità, nel
primo periodo, ha posto ingegneri e architetti fianco a fianco nel
cercare di tracciare una nuova via progettuale.
Si erano appena scoperte le possibilità teoriche e pratiche delle
strutture elastiche in acciaio, e quindi si poteva attuare lo
svincolamento dagli schemi obbligati della muratura attraverso il
superamento del concetto di equilibrio per masse gravanti.
Costruendo strutture a luce sempre più ampia, edifici sempre più
alti, strutture sempre più esili, si è venuto a creare un nuovo
Forma e struttura nella storia
29
linguaggio attraverso un progressivo affinamento delle soluzioni, in
cui il ruolo dell’intuizione ingegneristica è stato di primo piano.
Tale ruolo si è imposto per mezzo di una serie di costruzioni
(ponti, porti, ferrovie, fabbriche, stazioni) la cui valenza principale
non era tanto l’aspetto esteriore, quanto la funzionalità dell’insieme, il
corretto impiego dei materiali, l’economicità statica e costruttiva,
l’uso di tecniche realizzative di tipo industriale, cioè tutte quelle
componenti che l’ingegneria era chiamata a definire per dare la
migliore soluzione ai problemi pratici della società industriale in via di
formazione.
Ponti e grandi coperture sono i temi di maggior interesse in questo
periodo: in essi la struttura e la costruzione raggiungono livelli
notevoli grazie all’impiego dei prodotti siderurgici.
Alcuni esempi di strutture costruite in questo periodo e secondo
questi principi sono: il ponte in ghisa sul Severn a Coalbrookdale del
1779 (v. Fig. 13), il ponte Firth of Forth in Scozia del 1885 (v. Fig.
14), il ponte di Brookling a New York del 1883 (v. Fig. 15), il Crystal
Palace per l’Esposizione universale di Londra del 1851 (v. Fig. 16), la
Galerie des Machiens per l’Esposizione universale di Parigi del 1889
(v. Fig. 17).
Figura 13. Ponte sul Severn, Coalbrookdale
30
Capitolo II
Figura 14. Ponte Firth of Forth, Scozia
Figura 15. Ponte di Brookling, New York
Forma e struttura nella storia
31
Figura 16. Crystal Palace, Londra
Figura 17. Galerie des Machines, Parigi
Personalità di grande importanza e di grande nome del periodo è
sicuramente Gustav Eiffel, soprattutto dopo l’Esposizione universale
del 1889 a Parigi. Nelle sue opere, si può vedere come non ci sia
un’idea formale alla base, il risultato si ottiene con la coerenza
progettuale derivata dallo studio tecnico e costruttivo. Il viadotto sul
Garabit (v. Fig. 18) dimostra come venga utilizzato l’arco a sezione
variabile per resistere alle varie sollecitazioni e contrastare
l’instabilità.
32
Capitolo II
Figura 18. Viadotto sul Garabit
Il tema fondamentale delle opere di Eiffel (ma il concetto si può
estendere anche a tutte le opere del periodo) è la sincerità strutturale:
ogni elemento della costruzione è conformato e posizionato in base a
ciò che deriva dall’analisi statica della struttura stessa.
L’opera principale di Eiffel è ovviamente la Torre omonima
costruita a Parigi nel 1889 in occasione dell’Esposizione universale (v.
Fig. 19). Essa occupa un posto particolare nell’opera dell’ingegnereimpresario perché, oltre ad essere un riferimento per tutti gli
appassionati di architettura, è l’elemento che congiunge i due momenti
dell’attività di Eiffel: segna l’apoteosi delle costruzioni metalliche e
costituisce l’inizio dei suoi lavori scientifici. Il profilo della torre è
quello che si ottiene imponendo la condizione di uniforme resistenza a
compressione ed anche un carico laterale uniformemente distribuito,
cioè il vento, su tutta la struttura (cfr. Par. 7.3.2). È quindi un preciso
motivo statico che ne determina la forma, ma la torre è divenuta anche
un oggetto d’arte fino al punto di essere fonte d’ispirazione per artisti
che la celebrano nei dipinti.
Forma e struttura nella storia
33
Figura 19. Torre Eiffel, Parigi
Quello che vale per la Torre Eiffel vale per molte altre opere di
questo periodo: esse sono ormai acquisite dalla storia dell’architettura
poiché, anche se sono state esplicitamente progettate per risolvere
problemi essenzialmente costruttivi, è evidente al loro interno
l’operato di una volontà architettonica ordinatrice dell’insieme e dei
dettagli.
Gli elementi standard prodotti in officina e montati in sito con tecniche ideate
appositamente per ovviare a ragioni di economia e rapidità di costruzione, non
sono che un pretesto e un supporto materico per concretizzare un’idea
architettonica; e l’obiettivo di ridurre al minimo il peso della struttura,
massimizzando il rendimento statico di ciascun elemento, contribuì non poco
a sovvertire coscientemente i rapporti proporzionali accreditati dall’estetica
della costruzione muraria [3].
Leggendo in questa chiave le realizzazioni dell’ingegneria
ottocentesca, le necessità dei materiali e la sincerità strutturale,
divenuti fattori guida della progettazione, hanno prodotto soluzioni di
grandissimo interesse, tanto che molti schemi strutturali e soluzioni
costruttive introdotte in queste opere sono diventate archetipi
dell’architettura del Novecento.
Capitolo II
34
2.5 Antoni Gaudì
Gaudì era un architetto differente dai suoi contemporanei: il suo
temperamento lo portava a privilegiare l’esperienza come strumento di
conoscenza rispetto allo studio teorico; egli non lavorava al tavolo da
disegno, lo si trovava sempre in cantiere a progettare, discutere,
trovare e scartare soluzioni. Il progetto era visto come una lunga
gestazione piena di tentativi e revisioni continue.
Il suo metodo progettuale consisteva principalmente nella
sperimentazione prima della costruzione, come chiaramente
dimostrato dall’uso di modelli appesi, fotografati e rovesciati per
ottenere le forme da dare agli elementi dei suoi progetti (come
approfondito al successivo Par. 6.4) (v. Fig. 20).
Figura 20. Modello a fili per Santa Coloma
Guardando le sue opere ci si accorge facilmente di quanto queste
siano ricche di ornamenti e di elementi per così dire accessori. Per
Gaudì però l’ornamento ha un valore superiore a quello di una
semplice sovrapposizione, perché la pelle dell’edificio deve essere
significante e comunicativa. La sua predisposizione verso la natura e
la conseguente riproposizione di temi naturali come decorazione
diventa espressione di come vede la natura stessa, cioè come una forza
Forma e struttura nella storia
35
che opera sotto la superficie, e proprio per questo la superficie stessa
diventa testimonianza di questa forza interna. Quindi la forma che
assume l’edificio è derivata dal flusso delle forze (naturali e non
strettamente di tipo statico) che lo attraversano.
Gaudì definisce un universo formale proprio, i cui riferimenti non
si trovano nella storia dell’architettura, ma nel mondo della natura e
soprattutto nella mente dell’architetto e nella sua ansia di simbolizzare
le idee mediante la forma e la materia.
Si prenda ad esempio il cancello della Finca Guëll (v. Fig. 21): la
figura rappresenta un drago dalle fauci spalancate, ma la parte
superiore, cioè la linea che individua l’ala del drago, è conformata
secondo quello che è il diagramma del momento di una trave
incastrata su un lato.
Figura 21. Cancello della Finca Guëll, Barcellona
Anche all’interno del Parco Guëll, alcuni elementi vengono
modellati in base al flusso delle forze che li attraversano: le colonne
dei vari porticati (v. Fig. 22) sono inclinate in modo da scaricare a
terra le spinte provenienti dai camminamenti sovrastanti, anche se
l’aspetto esteriore di ognuna è diverso rispondendo al criterio di
somiglianza con gli elementi naturali proprio di Gaudì. Si può così
comprendere come l’architetto si proponeva di seguire i principi di
Viollet-le-Duc sul razionalismo strutturale, ma si limitava all’analisi
dei materiali e delle tecniche costruttive. Allo stesso modo vengono
trattati molti elementi decorativi del parco, come i rettili all’ingresso,
che sono insieme ornamento e scarico per l’acqua meteorica.
36
Capitolo II
Figura 22. Parco Guëll, Barcellona
Nella chiesa di Santa Coloma de Cervellò, di cui è stata costruita
solo la cripta (v. Fig. 23), struttura e forma dipendono l’una dall’altra:
i pilastri non si inclinano per imitare le forme della natura, ma per
adeguarsi alle tensioni alle quali sono sottoposti; l’inclinazione è stata
determinata sempre utilizzando un modello “appeso” che ha permesso
di misurare le spinte su archi e colonne; le nervature ottenute con gli
archi di mattoni rispecchiano le tensioni che la chiesa avrebbe
trasferito sulla cripta. Tuttavia persiste l’imitazione della natura e per
questo ogni colonna diventa di materiale e di forma diversa, come gli
alberi sono tutti diversi tra loro.
L’architettura di Gaudì elimina il dualismo esistente tra elementi
portanti ed elementi portati, supera i sistemi costruttivi intelaiati e
quelli ad archi e volte, e raggiunge una continuità organica attraverso
l’uso di materiali omogenei (come la pietra e il mattone) e l’utilizzo
dell’arco parabolico. Nonostante la precisa volontà di sintesi tra forma
e struttura, nell’opera di Gaudì non c’è razionalizzazione del processo
progettuale, ma c’è intuizione e sperimentazione.
Forma e struttura nella storia
Figura 23. Cripta di Santa Coloma de Cervellò, Barcellona
37
3. FORMA E STRUTTURA IN PROGETTISTI
MODERNI E CONTEMPORANEI
3.1 I progettisti ed il rapporto forma-struttura
In epoca moderna e contemporanea possiamo ricercare figure di
architetti e di ingegneri (ma più spesso sono personalità intermedie e
composite) che abbiano impostato la propria concezione
dell’architettura, il proprio modo di interpretare il progetto, la propria
“poetica” per così dire, sul concetto di unione tra forma e struttura, tra
estetica e tecnica, tra architettura e ingegneria.
Ognuno di loro sviluppa un’idea differente, ognuno è spinto a
cercare questo rapporto da motivazioni differenti, ognuno ottiene
ovviamente risultati differenti.
Questi risultati sono necessariamente anche frutto dello specifico
periodo in cui opera il progettista, delle commissioni che riesce ad
ottenere e delle tecnologie che ha a disposizione. Ad esempio, i
progettisti che hanno operato principalmente negli anni Cinquanta e
Sessanta sono influenzati nella loro concezione progettuale
dall’avvento del calcestruzzo armato e delle nuove tecniche della
precompressione: «il cemento armato è il più bel sistema costruttivo
che l’umanità abbia saputo trovare fino ad oggi. Il fatto di poter creare
pietre fuse, di qualunque forma, superiori alle naturali perché capaci di
resistere a trazioni, ha in sé qualche cosa di magico» [4], diceva Pier
Luigi Nervi.
Al giorno d’oggi, allo stesso modo, si utilizzano sempre più
frequentemente membrature in acciaio, materiale che è oggetto di
grande ricerca tecnologica.
Questa capacità di far tesoro della tecnologia contemporanea è
chiaramente riscontrabile anche guardando le opere di progettisti
contemporanei come Eero Saarinen, Norman Foster, Richard Rogers,
Renzo Piano, Ove Arup & Partners e Arata Isozaki, detti da molti
“architetti-costruttori” proprio per questo motivo.
39
40
Capitolo III
Figura 24. David S. Ingalls Rink, New Haven, Connecticut
Figura 25. Century Tower,Tokyo
Forma e struttura in progettisti moderni e contemporanei
Figura 26. Nuovo terminal T4, aeroporto Barajas, Madrid
Figura 27. Aula liturgica della chiesa di Padre Pio, San Giovanni
Rotondo
41
42
Capitolo III
Figura 28. Opera House, Sydney
Figura 29. Progetto per la nuova stazione TAV, Firenze
I progetti di figg. 24, 25, 26, 27, 28 e 29, rispettivamente Saarinen,
Foster, Rogers, Piano, Ove Arup e Isozaki, mostrano chiaramente
come la forma dell’edificio sia stata caratterizzata e resa
architettonicamente espressiva dalla struttura portante vera e propria.
La copertura nel primo caso, i controventi eccentrici nel secondo, la
trave curva nel terzo, gli archi nel quarto, i gusci nel quinto e l’intera
struttura che regge la copertura nell’ultimo caso, sono elementi che
danno forma ed estetica al progetto, ma sono anche e prima di tutto
elementi staticamente resistenti (per quel che riguarda Isozaki, si
tratterà più approfonditamente al successivo Par. 8.4). La coincidenza
Forma e struttura in progettisti moderni e contemporanei
43
forma-struttura crea così oggetti che possono essere totalmente inseriti
nell’insieme delle architetture esteticamente valide.
I progettisti precedentemente citati, però, non inseguono in tutte le
loro opere questo obiettivo, cioè non intendono il rapporto formastruttura come fondamento dei propri progetti: sono invece gli autori
che si affronteranno di seguito a perseguire questa tematica.
3.2 Eduardo Torroja Miret (1899-1961)
Ciascun materiale ha un suo carattere specifico ed ogni forma implica un suo
particolare assetto statico. La soluzione naturale di un problema costruttivo –
frutto di arte senza artificio –, che risponde compiutamente alle condizioni
imposte, colpisce come una rivelazione e soddisfa, ad un tempo, i requisiti del
tecnico e le esigenze dell’artista. La nascita di un complesso strutturale,
risultato di un processo creativo, fusione di arte e tecnica, d’ingegno e di
ricerca, d’immaginazione e di sensibilità, va oltre il regno della logica pura
per varcare le arcane frontiere dell’ispirazione [1].
Così Torroja pone subito in evidenza l’importanza che a suo parere
assumono i materiali, la struttura, i fenomeni statici e tensionali nel
complesso iter che genera un progetto.
In primo luogo viene posta l’attenzione sul materiale: le
caratteristiche proprie di ciascuno si prestano a realizzare elementi
costruttivi (o interi edifici) di certe tipologie e non di altre, perché
ogni forma strutturale ha un determinato meccanismo resistente. La
scelta dello schema strutturale è pertanto influenzata dalle proprietà
intrinseche del materiale: ne è un chiaro esempio la pietra, che resiste
a compressione e non a trazione, che quindi può essere impiegata in
strutture che fanno del peso proprio l’elemento staticamente resistente
e stabilizzante, ma non può essere usata in strutture che usano la
trazione come meccanismo resistente.
Connesso al concetto delle specifiche caratteristiche dei materiali,
è il concetto dei “fenomeni tensionali”. Solo comprendendo quali sono
le tensioni in gioco nel progetto si può capire se il materiale è quello
corretto, in quantità opportuna e distribuito in modo esatto. Torroja
sostiene che le configurazioni delle tensioni e delle deformazioni
devono essere studiate, meditate e sperimentate dal progettista fino a
sentirle «come cosa propria, naturale e congenita» [1]. Sviluppando in
questo modo una specifica sensibilità verso il comportamento
resistente degli oggetti, è possibile riuscire ad intuire a colpo d’occhio
44
Capitolo III
il funzionamento statico di ogni struttura ed il suo meccanismo
eventuale di rottura. L’attenzione viene posta sull’intuito e sulla
previsione prettamente qualitativa dell’assetto resistente, basati su tre
concetti fondamentali: l’equilibrio, la resistenza, la stabilità. Il primo
dei tre è sicuramente il più immediato da intuire: dati un sistema di
vincoli ed un sistema di forze, si comprende a prima vista se una
struttura è staticamente efficiente o meno (v. Fig. 30).
Figura 30. Il concetto di equilibrio e labilità
Per quel che riguarda la resistenza degli elementi, Torroja mette in
guardia rispetto ad un facile e prematuro utilizzo del calcolo, in quanto
in fase di ideazione risulta in gran parte inutile e quasi dannoso. Più
importante è per lui la comprensione e l’utilizzo del “plessotensionale”, vale a dire la rete delle isostatiche che forniscono una
raffigurazione del regime tensionale all’interno del solido (dell’uso
delle linee isostatiche si parlerà più in dettaglio al Cap. 5) (v. Fig. 31).
Figura 31. Plesso-tensionale all’interno di solidi
L’intuizione dei fenomeni di instabilità è altrettanto semplice
poichè chiunque si accorge che appoggiandosi ad un bastone lungo ed
Forma e struttura in progettisti moderni e contemporanei
45
esile questo si inflette. Il progettista deve poi tradurre la comune
osservazione in termini di carico di punta, snellezza, lunghezza libera
d’inflessione ed andare a modellare la struttura in modo che è ancora
qualitativo. Per riuscire ad interpretare a prima vista il comportamento
strutturale, occorre «analizzare tutte le prevedibili condizioni di lavoro
e tutti gli stati limite della struttura» [1]: una semplice
schematizzazione per farsi un’idea di dove si concentrano le tensioni,
di quali elementi sono tesi e quali compressi, se vi sono squilibri e via
dicendo. Riflettendo poi sulle cause che determinano gli effetti sopra
citati, «si è portati con naturalezza, quasi senza sforzo, a concepire le
modifiche di forma richieste dal regime degli sforzi» [1].
La forma, quindi, è conseguenza delle modifiche da apportare alla
struttura in conseguenza dell’intuizione sulle tensioni interne: «è raro
che il valore estetico dell’opera visibile non risenta della forma e delle
dimensioni della struttura» [1]. Di qui il tema della sincerità
strutturale, cioè il considerare e proporre nel progetto il fenomeno
statico e l’effetto estetico necessariamente insieme: «occorre fondere
in un tutto la forma artistica e l’assetto strutturale (…); svincolando la
personalità della struttura, si valorizza la sua estetica intima, tanto da
poter parlare di “arte strutturale”» [1]. Chi fruisce dell’opera si
accorge della sincerità e ne rimane colpito nell’immaginazione e
nell’emozione come accade per un’opera d’arte (v. Fig. 32).
La struttura è forma e bellezza, tanto che si può affermare che la
rappresentazione di un assetto statico assurdo diventa antiestetico: «la
Bellezza è lo splendore della Verità», disse un filosofo antico, e
Torroja fa proprie queste parole.
Figura 32. Ippodromo della Zarzuela, Madrid, 1935
46
Capitolo III
3.3 Pier Luigi Nervi (1891-1979)
Una struttura, o un manufatto qualsiasi, strettamente inquadrato da leggi
statiche e dinamiche estranee alle volontà e sentimenti estetici umani – il
profilo parabolico di un grandissimo ponte, la catenaria delle funi di un ponte
sospeso, le forme strettamente aderenti alle leggi aerodinamiche di un velivolo
veloce – possono essere considerati fatti artistici? [2].
La risposta che Pier Luigi Nervi dà a questa domanda è
decisamente affermativa. Egli, infatti, concepisce la tecnica
costruttiva, ed in particolare la statica, come linguaggio per esprimere
l’idea di architettura, riuscendo in questo modo a trovare armonia tra
statica, funzionalità, economia e forma estetica. «L’opera
architettonica non è tale se non quando è diventata realtà vivente di
materiali e organismo atto a soddisfare gli scopi funzionali ed
economici per cui è sorta» [4]; le opere di architettura non sono “arte”
finchè non vengono costruite, vale a dire che non si realizzano
rimanendo solo su carta, come accade per altre forme artistiche
(poesia, pittura, musica, ecc).
La riflessione si sposta sull’unione tra estetica, statica e
costruzione, e su come, nel passato, quest’unione sia sempre stata
perfetta e abbia generato grandi capolavori nei quali non si riesce a
distinguere se la bellezza sia nata da una matrice estetica o staticocostruttiva. Occorre pertanto riunire le tre mentalità: quella pratica (il
costruttore), quella analitica (l’ingegnere) e quella ideativa ed estetica
(l’architetto).
Al momento dell’approccio al progetto, quindi, l’architetto e/o
l’ingegnere dovrà essere capace di riunire tutti questi elementi con una
sensibilità che è un proprio patrimonio:
l’ideazione di un sistema resistente è atto creativo che solo in parte si basa su
dati scientifici; la sensibilità statica che lo determina, sia pure necessaria
conseguenza dello studio dell’equilibrio e della resistenza dei materiali, resta,
come la sensibilità estetica, una capacità puramente personale o, per meglio
dire, il frutto della comprensione ed assimilazione, compiutesi nello spirito del
progettista, delle leggi del mondo fisico [2].
Progettazione statica ed estetica hanno, quindi, una matrice
comune, da qui nasce la convinzione, diventata poi filosofia
progettuale di Nervi, che «l’ubbidienza alle leggi della statica sia di
per sé garanzia di riuscita estetica» [4], che le forme che ottiene
Forma e struttura in progettisti moderni e contemporanei
47
modellando le strutture secondo le forze nello spazio abbiano grande
valenza espressiva (v. Figg. 33 e 34).
Figura 33. Cartiera Burgo, Mantova, 1961
Figura 34. Palazzo per esposizioni, salone B, Torino, 1947
La struttura portante fa così il suo ingresso nella problematica
estetica, poiché l’intero sistema portante non è più visto solo come
“ossatura” dell’edificio, ma diventa l’edificio stesso.
La correttezza statica, base, in sostanza, di una correttezza
architettonica, è sufficiente ad ottenere
un aspetto estetico soddisfacente o per lo meno non disturbante (…); l’opera
corretta potrà passare dalla più insignificante modestia estetica alla più
espressiva bellezza, in relazione alle sostanziali ed inconsce capacità e
sensibilità del suo progettista, ma in ogni caso non sarà mai aggressivamente
fastidiosa [2].
48
Capitolo III
Per sostenere questa tesi, Nervi considera anche manufatti al di
fuori del campo dell’ingegneria civile e dell’architettura, come grandi
navi, grandi aerei, le automobili in costante evoluzione: «è facile
constatare che tutti gli esemplari veri sono anche esteticamente
soddisfacenti» [2].
Anche se non si riesce a dare una spiegazione sull’origine della
sensibilità umana verso forme determinate dalle leggi della statica e
della dinamica, si può certamente affermare che questa sensibilità
esiste ed è molto radicata nella nostra mentalità. Ogni realizzazione,
quindi, che rispetti il criterio dell’“ottima efficienza” è sempre
esteticamente soddisfacente, cioè, per sintetizzare, con una frase dello
stesso Nervi: «la verità resta l’indispensabile condizione del buon
risultato estetico» [2].
Alla luce di queste considerazioni, è facilmente comprensibile il
rapporto che nell’opera nerviana insiste tra forma e struttura: le forme
sono una conseguenza della sostanza determinata dalle leggi statiche
che fanno capire le forze nello spazio, e non il contrario.
Esempio chiaro di questa concezione sono i sistemi a superficie
resistente, nei quali l’efficienza statica è diretta conseguenza della
forma: lo stesso Nervi propone di battezzare questi sistemi “strutture
resistenti per forma” (già citate al Par. 1.3). La maggior parte delle
volte queste strutture corrispondono a superfici a doppia curvatura o
corrugate, in cui lo spessore è molto piccolo rispetto alle dimensioni
della superficie stessa, ma si possono inserire in questa categoria
anche strutture che seguano l’andamento delle linee isostatiche (v.
Fig. 35).
Figura 35. Aula delle udienze pontificie, Città del Vaticano, 1966
Forma e struttura in progettisti moderni e contemporanei
49
3.4 Riccardo Morandi (1902-1989)
Basta possedere anche una modesta dimestichezza con la progettazione per
sapere che è sempre possibile, entro certi limiti, risolvere un tema in più
maniere perfettamente equivalenti, funzionalmente, staticamente ed
economicamente. A questo punto la scelta definitiva della soluzione tra le
tante valide, e l’amorosa cura del dettaglio formale trascendono il fatto
puramente tecnico e, intenzionalmente o inconsciamente, partecipano della
creazione artistica [3].
Morandi non ha mai accettano né impostazioni astratte o formaliste
né impostazioni derivate strettamente dal calcolo e dai dati tecnici, ma
ha fatto in modo che l’intuizione dell’intero organismo e dei suoi
dettagli fosse alla base dei suoi progetti. Ha sempre avuto, infatti, una
precisa ostilità nei riguardi del superfluo e del gratuito derivanti da
concezioni progettuali strettamente formali, ma anche un convinto
rifiuto di correnti troppo tecniche e tecnologiche completamente
disinteressate al ruolo della forma nel progetto. «Alla scoperta del
ruolo architettonico della struttura si è fatto strada in lui il legittimo
dubbio della validità di certe frontiere tra ingegneria ed architettura,
fra intuizione e razionalità, fra qualità dell’immagine ed esattezza del
calcolo» [3]. Matura così in Morandi la negazione di ogni validità sia
della tecnica fine a se stessa sia del preconcetto formale non
giustificato dalla statica, a favore di «un disegno architettonico chiaro
ed aderente all’ideale di equilibrio tra funzionalità dell’impostazione,
rigore della soluzione strutturale e qualità dell’immagine finale» [3].
L’ordine strutturale, le sue leggi, i suoi suggerimenti non eludibili,
diventano cardine anche per la risoluzione formale. Nei suoi progetti
la disposizione e la forma delle varie membrature adottate, gli schemi
semplici e chiari, esprimono la loro funzione statica, passando così dal
ruolo di espedienti costruttivi a quello di sostanza dell’architettura (v.
Fig. 36).
50
Capitolo III
Figura 36. Centro manutenzione Boeing 747 Alitalia, Fiumicino, 1969
«Ha creato strutture che risolvono il calcolo statico in potenti
composizioni spaziali» [6]. Morandi raggiunge i più elevati risultati
tecnici ed estetici puntando sul rischio, sull’insicurezza, sullo
squilibrio. Mensole, stralli, telai si compongono in modo per niente
classico, come invece operava Nervi creando strutture alla ricerca di
un equilibrio rassicurante, simmetrico e statico. Le sue strutture sono
piene di drammaticità: le membrature coincidono con le linee-forza
dell’intero sistema, ma sono portate fino al limite, cioè fino a far
assomigliare la struttura con la forma che essa stessa potrebbe avere
poco prima di formare un ipotetico meccanismo di rottura (v. Fig. 37).
Figura 37. Padiglione sotterraneo per il Salone dell’Automobile,
Torino, 1958
Forma e struttura in progettisti moderni e contemporanei
51
L’opera dell’ingegnere diventa opera dell’architetto, identificando
la struttura e la sovrastruttura, la forma ed il contenuto, senza negare
più al progetto dell’ingegnere valore architettonico. Come nel
Cinematografo Maestoso (v. Fig. 38), dove i sei grandi telai zoppi
rappresentano l’elemento dominante della costruzione e la sua stessa
ragione d’essere.
Figura 38. Cinematografo Maestoso, Roma, 1954
Nell’impegno progettuale occorre dimenticare la divisione che nel
tempo si è fatta sempre più profonda tra spatium del calcolo e locus
della figura; si rende vana così ogni distinzione tra ingegneria ed
architettura, integrando in un unico gesto calcolo, schema statico e
spazio architettonico (v. Fig. 39).
Figura 39. Viadotto sul Polcevera e sul parco ferroviario, Genova,
1960
52
Capitolo III
3.5 Felix Candela (1910-1997)
L’opera di Felix Candela è strettamente unita alla ricerca
strutturale ed in modo particolare ad una tendenza, tipica del
dopoguerra, che si propone di arricchire l’architettura grazie
all’adozione di forme complesse derivate da considerazioni strutturali.
Già da studente, egli approfondisce lo studio delle strutture a guscio,
essendo stato attirato da quanto si era costruito in Europa negli anni
Venti (Dischinger in Germania, Freyssinet in Francia, Nervi in Italia,
Torroja in Spagna).
Le coperture leggere in calcestruzzo armato con forma di ombrelli
spigolosi o di sinuosi manti, che Candela costruisce negli anni
Cinquanta e Sessanta, lo resero il simbolo dell’architettura messicana
del XX secolo. «Solo Candela riuscì a convertire le strutture laminari
in un’opera d’arte», affermerà in seguito Otto Frei.
Candela sostiene che, come avveniva già nel periodo gotico,
l’architettura moderna deve nascere dall’analisi strutturale, e che
solamente a partire da quest’ultima può ritrovare il suo carattere
fondamentale. L’operato di Candela trova le sue migliori realizzazioni
in committenze particolari, come quelle religiose o industriali, che
generalmente richiedono uno spazio unitario, il quale spesso emerge
dalle sue ricerche teoriche.
Molti architetti sostengono che Candela è stato un magnifico
strutturista: ma non riuscì a portare completamente a termine i suoi
lavori; molti ingegneri invece sostengono che è stato un magnifico
architetto: ma non sapeva come calcolare le sue strutture, poiché
effettuava spesso questa operazione in modo intuitivo. Analizzando la
sua opera, ci si accorge che egli si occupa prevalentemente di
strutture, ma solo di quelle che sono indispensabili per l’architettura, e
non di costruzioni proprie dell’ingegneria in senso stretto. Per questo
motivo entra a far parte di quegli ingegneri-architetti che, a partire da
considerazioni strutturali, creano opere di architettura.
Il più grande contributo di Candela nell’ambito dell’ingegneria
strutturale sono state le strutture a forma di guscio generate a partire
dal paraboloide iperbolico (o Hypar): una forma geometrica di
straordinaria efficacia che, nella versione a bordo libero, è diventata
segno distintivo della sua architettura. Si può riconoscere infatti
questo segno in molte sue opere, dalle prime (v. Figg. 40 e 41) fino ad
alcune delle ultime (realizzate insieme a Santiago Calatrava), quali la
copertura dell’edificio d’ingresso ed il ristorante sottomarino
Forma e struttura in progettisti moderni e contemporanei
53
all’interno dell’Oceanografico della Città delle Arti e della Scienza di
Valencia (v. Fig. 42).
Figura 40. Los Manantiales, Xochimilco, 1957
Figura 41. Edificio della Bacardi, Città del Messico, 1958
54
Capitolo III
Figura 42. Oceanografico della Città delle Arti e della Scienza,
Valencia
Come già visto, gli Hypar o paraboloidi iperbolici sono la formasimbolo della sua poetica, utilizzati e combinati in moltissimi modi.
La più semplice struttura creata con gli Hypar è l’ombrello rovescio,
che ha pianta rettangolare ed unisce quattro vele divise da linee rette
che si congiungono al centro in un’unica colonna. Questa struttura
costituisce una forma molto adatta ed economica per coprire spazi
industriali, anche piuttosto ampi, come stazioni di servizio o altri
luoghi in cui si muovono veicoli.
Proseguendo con l’elaborazione degli Hypar, Candela scopre le
parabole principali ed i tagli orizzontali (che sono iperboli): unendoli
per i loro bordi curvi, ottiene una volta simile all’antica volta a
crociera.
Ulteriore passo è stato rendere gli ombrelli asimmetrici e con
curvature diverse per rendere possibile il passaggio della luce. Arriva
così a concepire la Chiesa della Virgen de la Medalla Milagrosa (v.
Fig. 43).
Forma e struttura in progettisti moderni e contemporanei
55
Figura 43. Chiesa della Virgen de la Medalla Milagrosa, Città del
Messico, 1953
La struttura della chiesa è una successione di ombrelli asimmetrici
e modificati a seconda delle necessità; le colonne prendono un
andamento deformato, disegnato intuitivamente secondo i carichi che
devono sopportare, ed in questo modo il passaggio tra appoggio e
copertura avviene senza soluzione di continuità.
Tutto il lavoro di Felix Candela riafferma il ruolo del progettista in
relazione ai problemi strutturali: egli cerca sempre la forma del
problema e non il problema della forma.
3.6 Sergio Musmeci (1926-1981)
«La forma può essere il mezzo con il quale risolvere un problema
strutturale. Si tratta certamente del mezzo più potente e, in ogni caso,
dell’unico che permetta alla struttura di comunicare visivamente la
propria realtà» [7]. Il lavoro di Sergio Musmeci fu indirizzato
particolarmente alla ricerca della forma, che «nella misura in cui
aderisce alla propria funzione statica, può divenire il veicolo di una
comunicazione tra l’oggetto architettonico e la facoltà intuitiva del
fruitore» [7].
La sua operazione progettuale fondamentale è l’introduzione di un
ragionamento “per forma”: non il corretto dimensionamento di
morfologie astratte nate per altre ragioni, ma un ragionamento che
cerchi la forma migliore per veicolare le forze, una forma logica,
56
Capitolo III
intuitiva ed innovativa. Questo tipo di ragionamento, da creativo sulla
struttura diventa forza dell’architettura. Ne discende tutta la sua
ricerca sulle forme minimali (il minimo strutturale), quelle cioè che
assolvono al loro compito strutturale impiegando la minima quantità
di materia e rivelando chiaramente i flussi delle forze che attraversano
la struttura. Per Musmeci esiste una ed una sola quantità minima di
materiale con cui una struttura può essere realizzata, una volta
determinato il sistema di forze esterne.
Il metodo progettuale che usa si compone, per questi motivi, di
modelli di studio e calcoli matematici (v. Fig. 44).
Figura 44. Modello per il ponte di Tor di Quinto, Roma
«Non si può essere soddisfatti di un metodo progettuale che confini
l’uso di strumenti razionali al solo processo di verifica, lasciando
l’invenzione della forma ad atti progettuali gratuiti o assistiti solo
dall’intuizione o dall’esperienza» [7], quando si va a metter mano ad
un progetto moderno, con materiali moderni, non ci si può affidare
solo all’intuizione, all’esperienza, al senso statico come facevano gli
architetti del Rinascimento. Occorre esercitare la libertà di scelta
tramite degli strumenti che consentano il controllo della forma e della
struttura.
«La forma è l’incognita, non le tensioni» [7], così Musmeci indica
la strada che deve percorre il progettista: le tensioni sono note, sono le
tensioni massime ammissibili dal materiale (o sono ad esse molto
prossime), invece i dati geometrici che forniscono le dimensioni e la
forma generale dell’intera struttura sono gli elementi da determinare.
Seguendo questo metodo si riesce a concepire una struttura che non
verifichi solo il criterio della sicurezza, ma anche l’economia e la
coerenza con un programma formale architettonico.
Forma e struttura in progettisti moderni e contemporanei
57
L’aderenza tra forma e contenuto statico diventa un’esigenza ancor
più importante nella progettazione di ponti: «l’importanza
dell’impegno statico della struttura giustifica la ricerca di forme di
massima efficienza e quindi anche di forte potenzialità espressiva» [7]
(v. Fig. 45).
Figura 45. Modello per il ponte sullo stretto di Messina
Le poche opere che è riuscito a portare a compimento sono esempi
di architettura strutturale quasi allo stato puro (v. Fig. 46), nei quali la
struttura diventa formalmente espressiva poiché è ottenuta da scelte
fatte su forze e tensioni e sul modo migliore per veicolarle.
Figura 46. Ponte sul Basento, Potenza, 1967
58
Capitolo III
3.7 Santiago Calatrava Valls (1951)
L’evoluzione delle tecniche (in particolare quella di calcolo, ma anche quella
dell’analisi strutturale, oltre ad alcune tecniche dei materiali) ha modificato
non tanto la figura dell’architetto, quanto quella dell’ingegnere. Quest’ultimo
possiede ora una nuova libertà, non più legata alle regole del calcolo o ad
unico modello strutturale: l’opzione è ormai svincolata da parametri
aprioristici rigidi. Potendo costruire secondo le leggi dell’intuizione, legate
solo alla sensibilità, anch’egli è oggi in grado di “provocare emozioni” [8].
Da queste parole possiamo capire la posizione dello scultorearchitetto-ingegnere Calatrava e il suo continuo oscillare tra discipline
che tradizionalmente soprattutto nel passato erano tenute rigidamente
separate. Nei suoi progetti la struttura assume un ruolo da
protagonista: non solo come elemento tecnico di opposizione ai
carichi, ma anche come elemento formale, estetico, stilistico.
Calatrava ha il pregio di porre la struttura in primo piano, di portare
all’attenzione del pubblico il sistema portante, visto come forma
dell’architettura. Egli esaspera le possibilità stilistico-estetiche della
struttura e diviene ad un compromesso tra complessità formale e
schematizzazioni imposte dagli schemi strutturali e costruttivi.
Sebbene la sua ricerca rientri nel filone dello strutturalismo, le
premesse da cui parte sono ben differenti da quelle di Nervi o Morandi
ad esempio. Per questi ultimi l’espressività e l’estetica delle strutture
sono il punto di arrivo di un processo scientifico e rigoroso, per
Calatrava invece la conoscenza tecnica è un approfondimento per la
sua vocazione artistica. L’ingegneria è uno strumento per dare forma
alla ricerca spaziale trasformandosi da arte della razionalità ad arte
della possibilità. «L’ingegneria è l’arte del possibile»: il confine tra
lecito e illecito, ingegneristicamente parlando, è ininfluente se le
operazioni che si devono compiere sono giustificate dall’ottenimento
di un risultato formale ed espressivo. Un esempio di questo pensiero è
dato dalla scultura “Torus” (v.Fig. 47): i volumi sospesi nello spazio
formano sì una composizione staticamente controllata, ma lontana da
ogni astratta razionalità.
Forma e struttura in progettisti moderni e contemporanei
59
Figura 47. Scultura “Torus”, 1985
Si può affermare, quindi, che Calatrava sia prima scultore e poi
architetto e ingegnere; assembla materiali e tecniche tradizionali per
portare a termine la sua ricerca formale. La caratteristica della
progettazione è una tensione plastica ed estetica verso le membrature,
concepite all’inizio come sculture, realizzate poi come opere
d’ingegneria, per giungere ad oggetti che siano architettura. La sua
idea principale è quella di ottenere una tensione dinamica delle
strutture: le membrature sono “in movimento”, come per cogliere il
movimento delle forze all’interno della costruzione. Nascono così
soluzioni dinamiche, spesso asimmetriche, al di fuori sia dal calcolo
sia dal formalismo fine a se stesso (v. Fig. 48).
Figura 48. Veduta e schizzo del ponte Alamillo, Siviglia, 1987
60
Capitolo III
«L’architettura si fa dal dentro verso fuori, la naturalezza del
materiale è decisiva» [8], vale a dire che lo strumento principe di
progetto è la sezione. Questa è l’elemento tipico della costruzione,
usato per risolvere tutte le problematiche, da quelle funzionali, a
quelle strutturali, a quelle estetiche. La sezione tipo del progetto viene
“estrusa” e modificata. Il calcolo della sezione rimane comunque uno
strumento per realizzare le sue visioni e non nasce da un processo
scientifico propriamente detto (v. Fig. 49).
Figura 49. Schizzo e immagine del ponte 9 d’Octubre, Valencia, 1986
Ottimizzazione strutturale
4. OTTIMIZZAZIONE STRUTTURALE
4.1 Tematiche e metodi
Una definizione completa di progettazione o delle procedure che
concorrono alla realizzazione di un progetto potrebbe essere la
seguente: «Insieme delle scelte, operazioni e mezzi che portano alla
definizione delle caratteristiche di un oggetto in modo da soddisfare
determinati vincoli, obblighi funzionali, requisiti estetici, obblighi e/o
limitazioni dimensionali» [9]. Nella maggior parte dei casi la
progettazione classica ci fornisce le caratteristiche che devono avere
gli elementi costituenti l’opera stessa, siano essi facenti parte della
struttura o della sovrastruttura. In genere le informazioni sulla forma
derivano da requisiti specifici o da soluzioni progettuali già adottate.
In questa definizione rientrano pertanto tutti i tipi di progettazione
classica, da quella semplicemente architettonica, a quella puramente
statica, a quella funzionale.
La progettazione diventa perciò un’operazione complessa e
multidisciplinare che investe settori e discipline molto diverse:
economia, storia dell’architettura, urbanistica, scienze sociali, scienza
delle costruzioni, tecnica delle costruzioni.
Nell’ideare qualsiasi opera, il progettista può attingere a diverse
metodologie progettuali. Prende corpo in questo modo una certa forma
da assegnare all’oggetto, e si rende necessaria una struttura volta a far
sì che la forma sia conservata. La progettazione strutturale è quindi
uno strumento spesso secondario ed in un certo senso subordinato alla
progettazione formale. I problemi che si presentano nell’analisi
strutturale sono vari e si basano sulla ricerca, in funzione dei carichi
esterni e delle condizioni al contorno, di risposte della struttura in
termini di: stato di sforzo, stato di deformazione, spostamenti,
frequenze di vibrazione, carichi di instabilità, rigidezza, ecc.
Tutto ciò accade a meno che la struttura non diventi essa stessa
“forma”:
si arriva allora ad una filosofia della progettazione strutturale ben diversa da
quella che generalmente presiede al lavoro dello strutturista. Questa nuova
filosofia comporta innanzitutto la riappropriazione del progetto. Non si tratta
più di svolgere un servizio tecnico, ma di assumere il controllo del processo
progettuale [7].
61
62
Capitolo IV
In questo modo la struttura sarà un oggetto con valenza estetica ed
incarnerà l’intento creativo del progettista di unificare forma,
materiali, forze.
Tuttavia è ancora molto presente una notevole distanza tra le due
fasi di progettazione, formale e strutturale: nella maggioranza dei casi
manca una metodologia con un livello di razionalità che deve essere
almeno equivalente alla razionalità che si impiega nelle verifiche
strutturali. Occorre un metodo che metta il progettista in condizione di
esercitare le sue scelte formali con consapevolezza, responsabilità e
razionalità.
Un metodo generale utilizzabile è l’ottimizzazione strutturale.
In molti settori dell’ingegneria meccanica e navale,
dell’aeronautica, della biologia, la ricerca delle prestazioni ottimali di
una struttura è alla base della fase progettuale; è fondamentale e
necessario in questi casi definire in modo preciso e rigoroso una
procedura per la valutazione delle scelte che si devono operare per
raggiungere lo scopo prefissato.
Anche la natura stessa opera in un certo senso per ottimizzazione:
esempi di strutture naturali “ottimizzate” sono calici di fiori, foglie
lanceolate, canne, gusci di uova e di insetti. Questo non vuol dire però
«imitare gli organi animali o le forme naturali, ma comprendere le
forti analogie che è possibile avere con la natura, quindi applicare le
conoscenze delle strutture naturali alle strutture della tecnica» [10].
Un albero è una struttura meccanica che si auto-ottimizza, ciò
significa che gli alberi fanno un uso rigoroso ed economico del
proprio materiale. In una struttura ottimizzata, non ci sono aree
eccessivamente caricate (possibili punti di rottura), né aree troppo
poco caricate (punti in cui si spreca materiale), essa ha uno stress più o
meno uniformemente distribuito in ogni punto. La possibilità di
definire delle relazioni tra tecniche d’ottimizzazione matematicastrutturale e processi naturali di formazione e accrescimento delle
strutture biologiche, consente un’analisi più efficace della
configurazione strutturale e del comportamento meccanico di molti
tessuti biologici tipici di piante e animali. Le strutture biologiche, così,
offrono molti spunti per lo sviluppo di tecniche, modelli matematici e
nuovi materiali da utilizzare in campo strutturale ed ingegneristico.
Una struttura va progettata per sopportare in maniera più efficiente
possibile le condizioni di carico a cui è soggetta nella sua vita utile;
per raggiungere tale scopo è necessario dotarsi di un modello di
analisi, sia esso fisico o matematico, che consenta di conoscere lo
Ottimizzazione strutturale
63
stato tensionale, deformativo ed eventualmente termodinamico
dell’oggetto.
Il problema si pone quindi come problema di ricerca della
“configurazione ottimale”: una volta definiti gli obiettivi che si
vogliono perseguire, le quantità che possono essere variate per
raggiungere tali obiettivi e le limitazioni alle possibili soluzioni
raggiunte, si procede con la creazione di un modello che rappresenti la
struttura, le condizioni di carico e di vincolo, si impone la condizione
di ottimo e si controllano le soluzioni in base ai criteri
precedentemente fissati.
Tra le varie metodologie che si possono prendere in considerazione
per una progettazione basata sull’ottimizzazione strutturale, si
ricordano:
ottimizzazione con uso di linee isostatiche;
ottimizzazione con uso di modelli fisici;
ottimizzazione con uso di calcoli manuali;
ottimizzazione con uso di programmi di calcolo.
Utilizzando questi metodi si ottengono forme che è difficile
stabilire se siano trovate o cercate, ma che certamente possono
testimoniare la cognizione della struttura che ha chi l’ha progettata, e i
pensieri che le hanno dato forma e senso.
5. L’OTTIMIZZAZIONE CON LE LINEE
ISOSTATICHE
5.1 Introduzione
Si prenda un corpo continuo e si immagini di porre in risalto, in
ogni punto, le tre direzioni principali: il loro inviluppo conduce a
definire tre famiglie di curve mutuamente ortogonali alle quali si dà il
nome di linee isostatiche. Lungo queste curve la tangente in ogni
punto è diretta come una delle direzioni principali; per definizione,
quindi, le direzioni che appartengono ad una linea isostatica sono
soggette esclusivamente ad una componente assiale di sforzo, di
trazione o di compressione. Si può così raffigurare il corpo continuo
come un tessuto composto da fibre che si incrociano ortogonalmente
tra loro. Se si guarda il diagramma delle linee isostatiche, si può
vedere come il carico migri verso gli appoggi attraverso un “flusso” di
tensioni (v. Fig. 50).
Figura 50. Linee isostatiche in una lastra strutturale
Si può dunque conservare l’equilibrio del continuo sostituendolo
con un insieme di elementi filiformi non collegati tra loro e disposti
lungo le linee isostatiche. «Se si riuscisse a tradurre concretamente
quell’immagine di tessuto fibroso, concentrando la materia lungo un
65
66
Capitolo V
reticolo formato dalle linee isostatiche, si potrebbe realizzare nel
corpo una condizione ottimale di esercizio» [12].
Studiando quello che Torroja chiamava “plesso-tensionale”, vale a
dire l’andamento delle isostatiche, si può comprendere il regime
statico agente nel corpo.
Un semplice esempio di struttura che ricalca l’andamento delle
linee isostatiche sono gli archi aventi forma di catenaria. In questo tipo
di archi, la forma coincide con la linea isostatica. Come già visto in
precedenza, la forma dell’arco è dipendente dalla condizione di carico
con la quale viene progettata. L’azione più importante per gli archi
monumentali o non facenti parte di strutture complesse è il peso
proprio. Esempi sono l’arco d’ingresso dello Stadio Ermano di
Tolmezzo e l’ arco parabolico di Tacna, in Perù (v. Figg. 51 e 52).
Figura 52. Arco parabolico, Tacna
L’ottimizzazione strutturale con le linee isostatiche
67
Figura 51. Ingresso dello Stadio Ermano, Tolmezzo
Altro esempio di struttura che segue le linee isostatiche è una
cattedrale gotica. Si può vedere, infatti, come la macchina statica
dell’edificio riprenda le linee isostatiche. Dall’alto verso il basso, le
forze vengono prese dalla struttura ed essa si conforma secondo il loro
passaggio. Il carico sulla navata centrale passa alle navate laterali
tramite le volte a crociera della stessa e agli archi rampanti esterni,
questo si ripete nelle navate intermedie, se presenti, e il tutto si scarica
al terreno tramite i possenti contrafforti finali (v. Fig. 53). Le linee
composte da costoloni, archi, pilastri polilobati, sono esattamente
linee isostatiche, che fanno comprendere come si muova il flusso delle
tensioni all’interno della struttura (v. Fig. 54).
68
Capitolo V
Figura 53. Schema di una cattedrale gotica tipo
Figura 54. Intersezione tra navata e transetto nella cattedrale di
Amiens
La conoscenza delle linee isostatiche consente l’ideazione di
strutture con il flusso di tensioni ripartito su ampie superfici, le quali,
L’ottimizzazione strutturale con le linee isostatiche
69
per la diffusione stessa, e quindi per la conseguente riduzione dei
valori unitari di tali tensioni, consentono il più delle volte notevoli
economie di materiale. Nel caso di volte cilindriche è molto utile il
tracciamento di linee isostatiche che servono ad indicare, nel caso di
costruzione in calcestruzzo armato, la migliore disposizione delle
armature, e comunque ad offrire una guida per disporre aperture o
elementi trasparenti. Nel caso di cupole, meridiani e paralleli sono
linee isostatiche. Tali linee si adattano alla condizione di vincolo della
cupola stessa, cioè si modificano a seconda che la cupola abbia un
appoggio continuo o puntuale (v. Fig. 55).
Figura 55. Andamento delle isostatiche nelle cupole
«Il passaggio da un volume pieno ad un volume alleggerito può
dunque attuarsi, dal punto di vista statico, distribuendo il materiale
secondo le isostatiche» [12]. È quello che si fa anche nelle strutture in
calcestruzzo armato con armatura lenta, cioè si supplisce
all’incapacità del calcestruzzo di resistere a trazione con l’utilizzo di
barre metalliche di armatura cui tali tensioni vengono affidate, e per
questo si cerca di disporle in modo più aderente possibile alle
isostatiche di trazione (v. Fig. 56). Va comunque detto che nella realtà
pratica è molto difficile seguire le linee isostatiche, sia per la
variabilità dei carichi che modificano le linee stesse, sia per le
difficoltà esecutive.
Capitolo V
70
Figura 56. Trave appoggiata: linee isostatiche e armatura
La conoscenza dell’andamento delle linee isostatiche consente di
progettare strutture ottimali ed efficienti. Se poi in tali strutture si
creano canali principali di flusso, che convoglino solo le tensioni
principali con eliminazione delle tensioni di scorrimento e quindi della
materia divenuta con ciò superflua, si giungerà a quelle strutture a
reticolo ed a trabecole, caratteristiche di tutte le costruzioni realizzate
dalla natura.
5.2 Le ossa umane
Nelle ossa umane ed in generale in tutte le ossa che portano pesi, lo
spazio interno è riempito di midollo, di vasi sanguigni e di altri tessuti;
tra questi vi è un sottile reticolo, costituito da trabecole ossee, che
formano il cosiddetto tessuto spugnoso. In antichità ci si accontentava
di descrivere questo tessuto come una specie di sostanza alveolare
irregolare, invece oggi si sa che esiste un preciso ordine nella
disposizione delle trabecole.
L’anatomista scozzese Bell, all’inizio dell’Ottocento, intuì il
rapporto tra trabecole e forze esterne, in quanto asseriva che questa
minuta rete che costituisce la struttura interna dell’osso deve essere in
rapporto con le forze che agiscono su di esso.
L’americano Wyman, a metà Ottocento, si spinse più avanti poiché
riuscì a capire che le trabecole sono disposte o nella direzione del peso
L’ottimizzazione strutturale con le linee isostatiche
71
o in modo tale da sostenere le trabecole che si trovano in questa
direzione.
Von Meyer, nel 1867, mostrò che le trabecole visibili in una
sezione longitudinale di un femore sono disposte lungo linee curve
dalla testa alla diafisi vuota dell’osso, e che questi fasci lineari sono
intersecati da altri fasci in modo che ogni incrocio sia quasi
ortogonale.
L’ingegnere e professore Culmann, sempre nel 1867, venne a
conoscenza di quanto dimostrato da von Meyer e riconobbe che la
disposizione delle trabecole ossee era il diagramma delle linee
isostatiche. L’analogia individuata da Culmann è facilmente
comprensibile se si affiancano la testa di un femore e la cosiddetta
“gru di Culmann” (v. Fig. 57).
Figura 57. Testa di femore, schema e “gru di Culmann”
Nell’asta della gru, la parte concava o interna su cui sporge la testa
caricata è la membratura compressa, e la parte esterna è la membratura
tesa:
le isostatiche di compressione, partendo dalla superficie
caricata, si riuniscono insieme sempre nella direzione della pressione
72
Capitolo V
risultante, fino a formare un fascio stretto che corre lungo il lato
compresso dell’asta;
le isostatiche di trazione, che scorrono verso l’alto, lungo il
lato opposto dell’asta, si allargano nella testa incrociando
ortogonalmente le linee di compressione.
La testa del femore è ovviamente più complessa della
schematizzazione di Culmann, ma non si ha difficoltà a vedere che la
disposizione anatomica delle trabecole segue in modo preciso la
distribuzione meccanica delle curve isostatiche.
Anche il Colonnetti, nel 1941, afferma che la disposizione delle
trabecole non è affatto casuale, ma è connessa agli sforzi che esse
devono sostenere. Ciò è confermato non soltanto dal modo con cui tali
trabecole si formano e si sviluppano nel bambino, ma soprattutto dal
modo con cui, nell’adulto, esse si modificano spontaneamente in
quelle ossa che, per qualsiasi ragione, vengono ad essere sollecitate in
modo diverso dal solito.
Si può dire quindi che per le ossa esistano i principi (formulati da
Roux nel 1895):
dell’adattamento funzionale, che significa adattamento
dell’osso alla sua funzione attraverso il suo stesso utilizzo;
del progetto di minimo-massimo, cioè di “ottimo”, che
significa attingere la massima resistenza usando il minimo
quantitativo di materiale.
Per questi motivi, cioè perché l’osso tende ad avere una struttura
interna ottima a partire da una prefissata condizione di carico, si può
utilizzare anche un programma di calcolo di ottimizzazione per
trovare la sua struttura interna, come mostrato in Fig. 58 (dei
programmi di ottimizzazione si tratterà al successivo Cap. 8).
L’ottimizzazione strutturale con le linee isostatiche
73
Figura 58. Testa del femore dopo l’ottimizzazione
5.3 I solai “nervati”
Alcuni architetti più sensibili agli aspetti strutturali hanno proposto
talvolta interessanti soluzioni proprio facendo appello alla nozione
delle linee isostatiche, ottenendo non solo una razionale definizione
progettuale, ma anche suggestivi effetti estetici. Basti ricordare alcune
soluzioni proposte e realizzate da Pier Luigi Nervi.
Lo studio dal punto di vista costruttivo ed esecutivo delle
possibilità delle casseforme in ferro-cemento, ha permesso a Nervi di
mettere in pratica la costruzione di solai le cui nervature fossero
conformate secondo le linee isostatiche. Il fatto di comporre
casseforme in ferro-cemento, infatti, restituisce alle nervature e alle
travi una completa libertà formale, sia per quanto riguarda il tracciato,
sia per quanto riguarda la profilatura (v. Fig. 59).
74
Capitolo V
Figura 59. Studi di Nervi per solai che seguano le linee isostatiche
L’aver messo a punto tale procedimento costruttivo mi ha permesso (…) di
disporre le nervature di un solaio secondo le isostatiche dei momenti
principali esistenti nell’interno di un sistema sollecitato da forze.
Tali linee sono qualcosa di assoluto, dipendente esclusivamente dal gioco di
forze in atto.
Il meraviglioso è che così facendo, e limitando il nostro compito a quello di
modesti interpreti di realtà fisiche, veniamo a scoprire armonie di forme,
imprevedute e quanto mai espressive.
Le nervature di un solaio disposte lungo le isostatiche dei momenti acquistano
un andamento curvilineo di grande efficacia; più espressive ancora sono
quelle di un solaio di tipo a fungo, ossia portato da pilastri disposti ad interassi
uguali.
Con elementi prefabbricati in ferro-cemento si potrebbe poi agevolmente
passare a strutture resistenti per forma con nervature disposte lungo le
isostatiche delle tensioni principali; si aprono campi di illimitate possibilità
statiche ed architettoniche [2].
Esempi di queste parole di Nervi che descrivono le grandi
possibilità e la grande efficacia dell’utilizzo delle linee isostatiche
sono riportati alle Figg. 60 e 61. La seconda di queste rappresenta un
solaio a fungo, mentre la prima è un solaio di tipo tradizionale, con un
foro per il passaggio della luce al centro che modifica l’andamento
delle isostatiche.
L’ottimizzazione strutturale con le linee isostatiche
Figura60. Aula delle udienze pontificie, Città del Vaticano, 1966
Figura 61. Lanificio Gatti, Roma, 1951
75
6. L’OTTIMIZZAZIONE CON MODELLI FISICI
6.1 Introduzione
Qualunque progettista si rende conto dell’importanza di un
modello in scala che rappresenti l’oggetto appena creato: «è noto che
la distribuzione delle sollecitazioni interne in una struttura dipende
esclusivamente dal tipo di struttura stessa e dai modi con cui le forze
agiscono su di essa, e non dalla scala metrica dei sistemi agente e
resistente» [2].
Tuttavia ciò è ben differente dall’utilizzo dei modelli in fase
progettuale e non solo in fase di verifica di quanto ideato per altre vie.
Questo metodo progettuale architettonico-strutturale è, quindi,
alquanto differente dall’impostazione tradizionale di progetto, dove la
geometria strutturale si considera come dato noto. Concepire la forma
dell’edificio o dell’opera di architettura con metodi come questo
implica che il design architettonico si sposti dalla produzione di
oggetti “statici”, alla generazione di una organizzazione del materiale
che sia in grado di rispondere in modo “dinamico” alla complessità
dell’ambiente circostante.
Il form-finding è un metodo progettuale introdotto “ufficialmente”
negli anni Cinquanta, ma che veniva già utilizzato da tempo. Questo
metodo esplora la tendenza del materiale ad auto-organizzarsi in
relazione all’azione di particolari condizioni esterne di carico e di
vincolo e alle caratteristiche intrinseche della materia stessa. Il tutto
nasce da esperimenti, per lo più monoparametrici, sul comportamento
di un dato materiale, per poi proseguire con analisi sulle superfici
minime e sulle strutture a rete per capire come il materiale si autoorganizza descrivendo il minimo percorso o la minima superficie tra
due punti o due lati.
Nella progettazione architettonica viene usato per sviluppare forme
strutturali efficienti derivate dall’applicazione di forze (in genere
gravitazionali, ma non solo).
È ben noto il chiaro rapporto che insiste tra configurazione
geometrica e carichi applicati; risulta pertanto necessario trovare la
sua forma geometrica iniziale nella quale essa è sottoposta solo al
peso proprio e ad eventuali presollecitazioni. Trovata tale
configurazione iniziale, lo stato “0”, si può poi procedere all’analisi
77
78
Capitolo VI
delle varie situazioni di carico. Non si tratta di determinare una
configurazione geometrica “naturale”, bensì «di determinare una
configurazione geometrica associata ad uno stato coattivo di
pretrazione, che permetta di soddisfare l’equilibrio statico in ogni
parte della struttura e sia idonea a garantire la stabilità statica e
dinamica nelle diverse condizioni di carico» [10]. La determinazione
dello stato “0” viene eseguita in modo rigoroso in due fasi: una fase
fondamentale iniziale con l’uso del modello, e una seconda fase di
elaborazione di un modello matematico. Tuttavia si sottolinea
l’importanza della prima fase in quanto, se condotta in maniera
superficiale o inadeguata, rende praticamente inutile la modellazione
matematica seguente.
Tra le varie tipologie di modelli utilizzabili si trattano qui di
seguito:
i modelli di soluzione d’acqua saponata;
i modelli in materiale elastico;
i modelli di fili appesi o “rovesci”.
6.2 I modelli di soluzione d’acqua saponata
Questa tecnica è basata sul principio per il quale una membrana
d’acqua saponata, applicata su un perimetro chiuso, si dispone in
modo da costituire, in ogni suo punto, una distribuzione uniforme di
tensione grazie al fenomeno fisico della tensione superficiale.
Operativamente questo esperimento “a fili e bolle” consiste in un
dispositivo costituito da sostegni di diverse altezze alle estremità dei
quali venivano appesi dei fili sottili rigidi o meno. Immergendo tale
dispositivo in una soluzione saponata, la pellicola di sapone che si
forma su questo singolare contorno, è la superficie di area minima
avente all’incirca la forma di una tenda (v. Fig. 62).
Per trasferire le forme così ottenute in strutture reali occorre
eseguire una serie di misure. I metodi di rilievo geometrico su un
modello a bolle di sapone sono essenzialmente di tipo
fotogrammetrico. Il rilievo diretto è reso difficile ovviamente dal
sottilissimo spessore delle pellicole che risultano trasparenti e
difficilmente colorabili, per cui si è rivelato più facile utilizzare
tecniche di rilievo che ne sfruttino il potere riflettente. Si può quindi
proiettare sulla superficie un reticolo di punti, per registrare poi,
fotograficamente, l’inclinazione dei raggi riflessi e ricavare le
L’ottimizzazione strutturale con modelli fisici
79
coordinate dei punti. È possibile anche usare dei coloranti fluorescenti
che, illuminati con luce ultravioletta, permettono di fotografare la
traccia fluorescente che il piano di luce forma con la superficie
colorata.
Figura 62. Modello di soluzione d’acqua saponata
6.2.1 Lo Stadio olimpico di Monaco
Tutte le tensostrutture in generale possono essere viste come
risultato dell’applicazione e dello studio di modelli di soluzione
saponata.
Un esempio dell’utilizzo di questi modelli come metodo
progettuale è senza dubbio lo Stadio olimpico di Monaco di Otto Frei
costruito nel 1972 (v. Fig. 63). La struttura di copertura in questo caso
non è composta in materiale tessile, ma è caratterizzata da lastre di
vetro acrilico che rendono differente la realizzazione dal punto di vista
costruttivo, ma che a livello globale si comportano come una
tensostruttura.
80
Capitolo VI
Figura 63. Stadio olimpico, Monaco, 1972
Si può vedere chiaramente come la forma della copertura sia nata
in seguito a riflessioni sull’andamento delle tensioni e all’utilizzo di
un modello che, una volta fissato il perimetro e i suoi vincoli, permetta
di ottenere la forma delle tende in modo automatico una volta che vi si
disponga sopra la soluzione saponata.
Lo schema di equilibrio di queste coperture spaziali prevede la
riduzione al minimo degli elementi di appoggio lavoranti a
compressione e la trasmissione a terra dei carichi eminentemente
attraverso reazioni di appoggio negative, ossia mediante vincoli
sollecitati a trazione. Si passa così dal comportamento a gravitazione
delle fondazioni tradizionali ad un sistema a regime di trazione: ciò
significa che le strutture ottenute attraverso questo tipo di modelli,
necessitano di una superficie di ancoraggio a terra ridotta e per punti.
È inoltre importante ricordare che la struttura è irrigidita mediante
cavi d’acciaio pretesi: la pretensione iniziale è necessaria affinché esse
siano in grado di assorbire sollecitazioni di compressione,
traducendole in perdita di pretensione; in pratica si riduce il
comportamento delle stesse a quello di membrane curve, resistenti sia
a trazione che a compressione, e per questo motivo dotate di forma
propria e non più ipostatiche. Come già sottolineato, la stabilità di
coperture come questa dipende dalla forma: infatti, poiché i cavi
hanno curvature opposte nei punti in cui si incrociano nella copertura,
essi si scambiano una mutua azione per effetto della pretensione,
determinando in ogni punto la condizione di stabilità.
L’ottimizzazione strutturale con modelli fisici
81
6.3 I modelli in materiale elastico
Questi modelli sono realizzati o con una rete di materiale elastico
ortotropo di poliestere (cioè tulle), o con membrane in gomma, o con
membrane in neoprene e, solitamente, vengono costruiti in scala
maggiore rispetto alla tecnica delle membrane a base di soluzioni
saponate. La costruzione di questi modelli è piuttosto laboriosa, ma,
dal momento che è abbastanza difficile disegnare superfici curve con
tecniche che non prevedano l’uso di software avanzati, essa costituisce
uno strumento di rappresentazione architettonica molto soddisfacente.
L’ipostaticità geometrica e l’elasticità della rete o della membrana
permettono di ottenere agevolmente superfici curve di grande
efficacia. Questo tipo di modello viene usato principalmente per
ipotizzare, analizzare e verificare le caratteristiche geometriche,
funzionali ed estetiche della superficie in questione. Esso serve,
infatti, per controllare e determinare l’altezza e la distribuzione del
volume interno più soddisfacente, nonché per evitare la presenza di
zone “piatte” nella copertura (modesta curvatura gaussiana locale), in
quanto queste ultime presenterebbero capacità portante limitata e
creerebbero problemi nello smaltimento delle acque piovane e della
neve. Serve, inoltre, per studiare la disposizione più adatta delle
condizioni al contorno, cioè i vincoli, gli ancoraggi, la curvatura del
bordo, oltre al consentire la possibilità di ripetere, prevalentemente in
modo simmetrico, porzioni della stessa dimensione utili ad analizzare
una eventuale prefabbricazione degli elementi strutturali.
6.3.1 Il ponte sul Basento
Un esempio dell’utilizzo dei modelli in materiale elastico in sede
progettuale è il ponte sul Basento di Sergio Musmeci (v. Fig. 64).
L’opera prescinde dai consueti canoni progettuali e dimostra come
la forma, pensata per aumentare il rendimento del materiale
impiegato, costituisce un fattore risolutivo del sistema statico. La
forma del ponte deriva dagli studi effettuati su modelli che possono
ammettere soltanto sforzi di trazione, come appunto i modelli in
materiale elastico, e la struttura realizzata, costituita da una membrana
in calcestruzzo armato a compressione uniforme, di trenta centimetri
di spessore per tutto il suo sviluppo, si presenta come una linea fluida
e continua tra gli appoggi. Il risultato progettuale è una forma continua
82
Capitolo VI
che rappresenta la soluzione di forze di equilibrio in un’unica
struttura.
Figura 64. Ponte sul Basento, Potenza, 1967
Essendo la struttura degli archi essenzialmente tridimensionale è
stato predisposto per essi un calcolo a volta sottile.
La forma della volta è scaturita da un lungo iter progettuale: studi
effettuati con una soluzione saponata formata tra fili di cotone sono
serviti come mezzo per ricercare la forma e avviare i primi processi di
calcolo.
Il modello elastico in neoprene (v. Fig. 65) ha consentito la
definizione ottimale della forma e lo studio delle tensioni differenziate
nelle due direzioni particolari. Un successivo modello rigido in
metacrilato (v. Fig. 66) di due campate del ponte è servito per
verificare la corrispondenza della forma al programma progettuale ed
è stato utilizzato per prove elastiche finalizzate ad un primo controllo
delle previsioni di calcolo.
Figura 65. Modello progettuale in neoprene
L’ottimizzazione strutturale con modelli fisici
83
Figura 66. Modello progettuale in metacrilato
6.4 I modelli di fili appesi o “rovesci”
Un metodo progettuale per individuare geometrie staticamente
efficienti per strutture spaziali che lavorano prevalentemente a
compressione è quello di creare un modello “rovescio” costituito da
masse distribuite su elementi flessibili – quali funi e tessuti –
opportunamente vincolati, sottoposte all’azione di gravità. Si ottiene
infatti una geometria che, invertita, corrisponde alla funicolare del
sistema di forze relativo alla particolare combinazione di carichi
introdotta nel modello attraverso masse distribuite (v. Fig. 67).
Figura 67. Un modello “appeso”
Nel caso di membrane resistenti a compressione, che devono essere
dotate di forma propria, l’utilizzo di modelli “appesi” risulta uno
strumento pienamente valido per guidare il progettista nella
definizione della geometria ottimale. Questo perché le strutture
84
Capitolo VI
resistenti a compressione necessitano di una certa rigidezza flessionale
per evitare fenomeni di instabilità. Questa stessa rigidezza conferisce
stabilità di forma, ed è sfruttabile per assorbire quelle sollecitazioni
flettenti, che inevitabilmente si producono per combinazioni di carico
diverse da quella utilizzata per determinare la forma ottimale.
In un semplice caso di volte a singola curvatura, ad esempio,
appoggiate lungo i lati (cioè le volte a botte), per carichi
uniformemente distribuiti lungo le generatrici, il problema si riduce ad
individuare la funicolare piana della direttrice. Per volte di spessore
costante sottoposte al peso proprio, la direttrice ideale corrisponde ad
una catenaria; se invece la distribuzione di carico è verticale uniforme,
la funicolare è una parabola; nel caso di azioni distribuite
uniformemente e perpendicolari al piano medio della volta (come ad
esempio il vento pensato come agente in maniera uniforme) la
funicolare corrisponde ad un arco di cerchio e così via.
6.4.1 La chiesa di Santa Coloma
Nel 1898, Guëll incaricò Antoni Gaudì di progettare la chiesa per
l’insediamento industriale di Santa Coloma de Cervellò poco lontano
da Barcellona. I lavori iniziarono, ma si interruppero definitivamente
nel 1916 quando era stata costruita solo la cripta (v. fig. 68), a causa
anche del modo di progettare dello stesso Gaudì, che non seguiva un
progetto preciso e ben definito, ma che sottoponeva sempre a
cambiamenti ed evoluzioni ogni sua idea.
Figura 68. Cripta della chiesa di Santa Coloma
L’ottimizzazione strutturale con modelli fisici
85
L’organicismo di Gaudì si basa su un modello stereostatico
costruito insieme ai suoi collaboratori in cantiere per studiare «la
genesi delle forme e liberarle da ogni possibile arbitrarietà» [11]. Su
un tavolato in legno fissato al soffitto viene disegnata la pianta della
chiesa, poi vengono sospesi dei fili in corrispondenza dei punti che
indicano la posizione dei pilastri e degli incroci dei muri, e ai fili si
appendono piccoli sacchi pieni di sabbia, di peso proporzionale a
quello dei carichi che l’elemento avrebbe dovuto sopportare.
Sottoposti a queste spinte, i fili assumono le forme che ne verificano
l’equilibrio. A questo punto si fotografa il modello, si capovolge
l’immagine e si ottiene un’idea precisa sulla forma da dare al progetto
(v. Fig. 69).
Figura 69. Modello “rovescio” e schizzo di Santa Coloma
Per il periodo storico in cui operava Gaudì, l’utilizzo di modelli
“appesi” era una tecnica estremamente innovativa, tanto che gli operai
dei suoi cantieri si chiedevano come potesse reggere una costruzione
ideata in quella maniera.
7. L’OTTIMIZZAZIONE CON CALCOLI
MANUALI
7.1 Introduzione
Il calcolo, questa parola misteriosa per i non iniziati e in nome della quale si
sono sciupate e si seguitano a sciupare tante realizzazioni di bellissimi temi,
può mai essere considerato un fattore assoluto di determinazione della forma
di una struttura, quando risulta ampiamente dimostrato che essa è fondata
sulla consapevole sensibilità di chi progetta, architetto o ingegnere che sia?
[3].
Con queste parole Riccardo Morandi sottolinea l’importanza che il
calcolo riveste all’interno della progettazione sia formale che
strutturale, sottolineando però che il suo utilizzo, a livello minuzioso e
preciso in fase di ideazione, è praticamente inutile se non strettamente
guidato dall’intuizione di chi progetta. In questa ottica non vengono
accettate né impostazioni puramente formaliste, né impostazioni
rigidamente derivate dal calcolo.
Della stessa opinione è Pier Luigi Nervi: il calcolo, per quanto
raffinato ed accurato, «resta pur sempre inferiore alle possibilità
creative e costruttive offerte dalla fantasia dei progettisti e dalla
fecondità dei metodi costruttivi a disposizione» [2]. Da ciò
l’importanza di sviluppare una “sensibilità statica” che guidi il
progettista nelle scelte iniziali senza ricorrere a calcoli complessi che
distolgano l’attenzione dallo scopo finale, cioè la forma più efficiente
da assegnare al progetto.
Sulla stessa linea si pone anche Eduardo Torroja, sottolineando che
«la mente che concepisce una struttura, o la mano che la traccia, non
ricevono aiuto di sorta da sviluppi matematici astrusi e complessi» e
che «occhi esperti si rendono conto al primo sguardo dell’inutilità di
un calcolo svolto con ogni cura in tutti i suoi dettagli» [1]; per questo
gli schemi di calcolo sono preceduti e dominati dall’idea che modella
il materiale in forma resistente e lo adegua alla sua funzione. In altre
parole, calcolare in modo esplicito e complesso ogni singola azione è
inutile, se non si conosce l’andamento generale delle tensioni
(calcolabile in modo più semplice).
Sergio Musmeci è il progettista che in un certo senso “inverte”
l’uso tradizionale del calcolo e lo rende strumento di progetto.
87
Capitolo VII
88
Riassumendo, infatti, il ruolo della scienza delle costruzioni, si può
dire che essa si serve di relazioni che esprimono l’equilibrio e la
congruenza all’interno di una struttura, e di altre che legano tensioni e
deformazioni a seconda del materiale in questione. In quest’ottica le
grandezze note sono le forze esterne e le incognite sono le tensioni e
le deformazioni. In realtà però il progettista conosce i valori limite di
tensioni e deformazioni da non superare, ma da avvicinare allo stesso
tempo il più possibile. «Le nostre incognite sono delle ben strane
incognite» [7], dato che si sa a che valore devono tendere e tutto il
calcolo non fa che verificare che si ottengano davvero quei valori.
Proprio a questo punto si attua “l’inversione” proposta da Musmeci:
se proviamo a pensare le equazioni che ci fornisce la scienza delle costruzioni
come equazioni contenenti come dati noti le tensioni e come incognite le
grandezze che descrivono la geometria della struttura, compiamo un passo
verso un nuovo modo di utilizzare la scienza delle costruzioni. Tanto più se le
grandezze geometriche (…) sono quelle che rappresentano le proporzioni
dell’intera struttura o che, addirittura, ne individuano la forma generale [7].
Lo strumento del calcolo, a questo punto, è usato in modo
“cibernetico”, in quanto mezzo che consente e rende consapevoli le
scelte progettuali.
7.2 L’arco ottimale
A lungo si è dibattuto sulla forma ottimale che possa assumere un
arco. È un percorso di ottimizzazione strutturale di una forma
semplice al fine di ridurre al minimo le spinte “scomode” della
struttura e di portare contemporaneamente il materiale alle sue
massime prestazioni.
Si può partire dagli archi a tutto sesto utilizzati dai romani, che
richiedevano imponenti dimensioni per le colonne che sostenevano
l’arco stesso, essendo fortemente spingente. Un primo sviluppo
seguente della forma dell’arco si può vedere negli archi inflessi
utilizzati dalle popolazioni arabe, anche se un raffinamento più
efficace della forma fu dato sicuramente dall’arco a sesto acuto
utilizzato nel periodo gotico: le spinte orizzontali sono ancora presenti
in queste costruzioni, ma sono ridotte e per questo si riescono a
raggiungere altezze superiori rispetto a quelle ottenibili con l’arco a
tutto sesto. Per arrivare ad una forma di arco che non fosse più
L’ottimizzazione strutturale con calcoli manuali
spingente occorre giungere all’arco parabolico, ad
ampiamente utilizzato da Gaudì nelle sue opere (v. Fig. 70).
89
esempio
Figura 70. Evoluzione della forma dell’arco
In periodi più recenti, la forma dell’arco viene vista come
soluzione di un problema scientifico da parte di molti studiosi e
progettisti.
La definizione della forma dell’arco limite a cui si giunge è data
dall’equazione:
Y = log cos X
e somiglia ad una parabola molto rialzata. Questa curva è
caratterizzata da alcune proprietà geometriche molto interessanti, in
particolare l’angolo che la linea d’asse mediana forma con
l’orizzontale risulta proporzionale all’ascissa, cioè alla distanza
dall’asse verticale. La luce limite corrisponde alla distanza in cui
quest’angolo risulta 90°.
7.2.1 Il Gateway Arch di St. Louis
All’interno del Jefferson National Expantion Memorial di St.
Louis, l’opera più imponente è sicuramente il Gateway Arch, alto e
largo 192 metri (v. Fig. 71).
Progettato dall’architetto di origine finlandese Eero Saarinen, è una
costruzione in acciaio composta da 142 conci, aventi sezione di
triangolo equilatero, che diventano progressivamente più piccoli dal
basso verso l’alto. L’arco non ha una vera e propria struttura interna:
sono i due strati di acciaio, interno ed esterno, a conferire la rigidezza
necessaria, in quanto lo spazio tra essi è riempito da un getto in
calcestruzzo che rende monolitico tutto l’arco.
Capitolo VII
90
Figura 71. Gateway Arch, St. Louis, 1963
La forma geometrica dell’arco è stata definita matematicamente
tramite una funzione coseno iperbolico, che descrive una catenaria
inversa ed è espressa tramite queste equazioni:
Χ
⎛
⎞
Υ = A⎜ cosh C − 1⎟
L
⎝
⎠
oppure in modo equivalente:
Χ=
dove:
Υ⎞
L
⎛
cosh −1 ⎜1 + ⎟
C
A⎠
⎝
L’ottimizzazione strutturale con calcoli manuali
A=
fc
Qb
−1
Qt
C = cosh −1
91
= 68.7672
Qb
= 3.0022
Qt
fc = altezza massima del baricentro (m) = 190.5282
Qb = area trasversale massima dell’arco alla base (mq) = 117.3059
Qt = area trasversale minima dell’arco in chiave (mq) = 11.6260
L = metà larghezza dal baricentro alla base (m) = 91.2034
7.3 La colonna ad uniforme resistenza
L’ottimizzazione di un oggetto alto e prevalentemente resistente a
compressione può essere ottenuta mediante un semplice calcolo che
imponga la condizione di uniforme resistenza su tutta l’altezza. È una
semplice applicazione delle idee di Musmeci sul calcolo come
strumento progettuale.
Consideriamo la situazione rappresentata in Fig. 72:
Figura 72. Impostazione del problema di ottimizzazione della colonna
La condizione di ottimo da imporre per ottenere l’uniforme
resistenza è:
Capitolo VII
92
σ z ( z) =
N (z)
≤ σ amm
A( z )
dove σamm è la tensione massima ammissibile sopportata dal materiale.
Ad una certa quota z, l’espressione dello sforzo normale N(z) è:
z
∫
N ( z ) = − F − γA(ξ ) dξ
0
Dove γ è il peso specifico, F è il carico applicato e A(ξ)dξ è un volume
infinitesimo generico della colonna.
Per progettare la colonna si deve ottenere in ogni sezione:
N ( z ) = −σ amm A( z )
dove A(z) è l’incognita.
Imponendo l’uguaglianza si ottiene:
z
∫
− F − γA(ξ )dξ = −σ amm A( z )
0
risolvendo la quale otteniamo A(z):
A( z ) = C1e
γ
z
σ amm
Per ricavare la costante C1, si impone la condizione al contorno a z
= 0:
N (0) = −σ amm A(0)
da cui si ottiene:
− F = −σ amm C1
L’ottimizzazione strutturale con calcoli manuali
C1 =
93
F
σ amm
Quindi la soluzione globale del problema è:
A( z ) =
F
σ amm
γ
e σ amm
z
La relazione appena ottenuta descrive un andamento esponenziale
che può essere rappresentato come in Fig. 73.
Figura 73. Andamento esponenziale della colonna ad uniforme
resistenza
7.3.1 Il quartiere Wohnpark di Vienna
Alla periferia di Vienna si trova il quartiere Wohnpark Alt Erlaa,
ideato negli anni Sessanta (1968) e costruito tra il 1973 e il 1985 (v.
Fig. 74). Commissionato dall’Architekturzentrum Wien, il progetto è
stato affidato ad un gruppo di architetti il cui capogruppo era Harry
Glück: principi ispiratori del progetto sono stati l’ottenimento di
un’alta qualità della vita, di sicurezza, di un sostentamento autonomo
del quartiere stesso.
È un complesso residenziale composto da tre blocchi di edifici
aventi forma uguale, ma differenti altezze (da un minimo di 22 piani
94
Capitolo VII
ad un massimo di 26), contenenti 3.172 appartamenti e abitati
complessivamente da circa 10.000 abitanti. I primi 13 piani non
variano da edificio a edificio (sono riconoscibili dall’esterno poiché
contengono delle ampie terrazze a verde), i piani superiori variano
solo nel numero, ma non nella struttura (riconoscibili dall’esterno
perché caratterizzati da logge). Tra i vari blocchi sono presenti spazi
comuni, quali giardini, piscine, scuole, un centro commerciale, un
centro medico, una chiesa, centri per il tempo libero, ecc.
Figura 74. Quartiere Wohnpark Alt Erlaa, Vienna, 1985
Mettendo a confronto l’andamento della colonna ottenuto per via
analitica e gli edifici in questione, si vede immediatamente come, alla
base della progettazione ci sia stata una riflessione sull’ottimizzazione
strutturale (v. Fig. 75).
Figura 75. Analogia tra andamento analitico e progetto realizzato
La condizione di uniforme resistenza è stata determinante per la
scelta della forma da dare agli edifici: è evidente come i progettisti
abbiano ritenuto che, data l’altezza che si voleva raggiungere, la
condizione di carico più importante fosse quella che dà uno stato di
L’ottimizzazione strutturale con calcoli manuali
95
compressione semplice (si tenga presente infatti che Vienna non è
zona sismica).
7.3.2 La Torre Eiffel di Parigi
Gustav Eiffel e gli architetti Sauvestre, Koechlin e Nouguier,
svilupparono l’idea di una torre alta 300 metri da costruire per
l’Esposizione universale di Parigi del 1889. In quanto impresario e
non strettamente progettista, Eiffel all’inizio era poco interessato al
progetto, ma successivamente vi si affezionò, tanto da comprare tutti i
diritti dai suoi collaboratori.
Dato il periodo storico a cui risale la Torre, si può dire che non
furono analisi di ottimizzazione strutturale in senso moderno a
stabilirne la forma. Tuttavia è evidente il rapporto di quasi perfetta
coincidenza tra andamento analitico e profilo della Torre (v. Fig. 76):
chi ha progettato ha utilizzato i principi della nascente scienza delle
costruzioni in senso progettuale e non strettamente di verifica.
Figura 76. Torre Eiffel: analogia tra andamento analitico e progetto
realizzato
Vista l’altezza della costruzione, come già notato in precedenza, è
la condizione di compressione semplice a determinarne la forma, ma a
questa si affianca in maniera decisiva anche l’ottimizzazione in base al
carico da vento. Gli ingegneri francesi pensarono i piloni della Torre
in modo da poter migliorare la loro resistenza al vento e renderli anche
96
Capitolo VII
più facilmente ripetibili. Questa condizione di carico è assimilabile ad
un carico orizzontale uniformemente distribuito applicato ad una
mensola e, come si può ben vedere, la Torre si conforma anche
all’andamento del momento sulla mensola dovuto al vento (v. Fig.
77).
Figura 77. Analogia tra momento dovuto al vento e progetto realizzato
7.4 La mensola ad uniforme resistenza
In modo analogo a quanto fatto per la colonna, si può procedere
per ottimizzare la forma di una mensola.
Figura 78. Impostazione del problema di ottimizzazione della mensola
L’ottimizzazione strutturale con calcoli manuali
97
Si prenda il caso di Fig. 78, in cui la mensola ha peso specifico γ e
sezione trasversale rettangolare con base B costante e altezza H(z)
incognita.
Alla mensola sono applicati un carico uniformemente distribuito p,
un momento concentrato M e un carico concentrato F entrambi
sull’estremo libero della mensola stessa.
La condizione di ottimo da imporre è:
6M ( z ) M ( z)
=
= σ amm
BH 2 ( z ) W ( z )
cioè:
M ( z) =
σ amm B
6
H 2 ( z)
dove σamm è la tensione massima ammissibile sopportata dal materiale.
L’espressione che descrive l’andamento del momento è:
z
M ( z ) = M + Fz + p
z2
+ γ ( z − ξ ) BH (ξ )dξ
2 0
∫
Imponendo la condizione di ottimo e uguagliandola all’espressione
del momento si ottiene:
σ amm B
6
z
H 2 ( z ) = M + Fz + p
z
z2
+ γBz H (ξ )dξ − γB ξH (ξ )dξ
2
0
0
∫
∫
Derivando due volte si ricava:
[ H ( z )]' ' =
6p
σ amm B
+
6γ
σ amm
H ( z)
Si ponga h(z) = H2(z), cioè H ( z ) = h( z ) ; si ottiene:
Capitolo VII
98
h' ' =
6p
σ amm B
+
6γ
σ amm
h
che, moltiplicata per h’(z) e successivamente integrata diventa:
6p
h' 2
4γ 3 2
h+
h + c1
=
σ amm
2 σ amm B
L’equazione appena ottenuta si risolve separando la variabile
dipendente h dalla variabile indipendente z. A conti fatti si ottiene:
z=
∫
dh
12 p
8γ
h+
h 3 2 + 2c1
σ amm B
σ amm
A questo punto occorre determinare la costante c1, imponendo a z =
0 le condizioni al contorno:
6F
[ H 2 (0)]' = h' (0) =
[ H 2 (0)] = h(0) =
σ amm B
6M
σ amm B
Le precedenti equazioni, sostituite in:
6p
4γ
h' 2
=
h+
h 3 2 + c1
2 σ amm B
σ amm
danno la seguente espressione di c1:
c1 =
36 Mp
18 F 2
24 6γM 3 2
−
−
2
2
52
σ amm
σ amm
B 2 σ amm
B2
B3 2
L’ottimizzazione strutturale con calcoli manuali
Ponendo c1 = 0, cioè quando F 2 = 2Mp +
99
4 γM 3 2 6 B
, si può
3
σ amm
risolvere analiticamente l’integrale poiché è nota la relazione:
∫
dx
ax + bx 3 2
=
4
a + bx 1 2 − c 2
b
Quindi:
z + c2 =
nella quale compare
può scrivere:
σ amm
2γ
12 p
8γ
+
σ amm B σ amm
h
h che era stato posto uguale a H(z), per cui si
H ( z) = h =
γ
3 p
( z + c2 ) 2 −
2σ amm
2 γB
Per determinare infine c2, si impone la condizione al contorno:
H (0) =
6M
σ amm B
e c2 diventa:
c2 =
2
γ
pσ
6Mσ amm
+ 3 2amm
B
γ B
A questo punto si ottenere l’espressione definitiva dell’incognita
H(z):
γ
H ( z) =
2σ amm
⎡
2
⎢z +
γ
⎢
⎣
2
⎤
6Mσ amm
pσ
3 p
+ 3 2amm ⎥ −
B
2 γB
γ B ⎥
⎦
Capitolo VII
100
In questa relazione compaiono tutte grandezze note del problema,
quindi si può determinare facilmente come varia l’altezza della
mensola in funzione del materiale (σamm, γ), della base della sezione
(B) e dei carichi applicati (M, p).
È interessante da studiare il caso in cui M = 0 (che, avendo assunto
c1 = 0, implica anche F = 0). L’equazione che descrive l’andamento di
H(z), quindi, è:
H ( z) =
3p
γ
z
z2 +
2σ amm
σ amm B
Come si può ben vedere, l’andamento dell’altezza della mensola
quando M = 0 e F = 0 è di tipo parabolico (v. Fig. 79). Si sottolinea
che si tratta di uno schema, in quanto a z = 0 l’andamento matematico
prevede H(z) = 0, cosa che nella realtà pratica non è possibile.
Figura 79. Andamento parabolico della mensola ad uniforme
resistenza
7.4.1 Il Tower Bridge di Londra
Nel 1894 fu terminato a Londra il Tower Bridge, su progetto
dell’architetto Horace Jones, per rispondere sia all’esigenza di un altro
punto d’attraversamento del Tamigi, sia alla necessità di consentire il
passaggio del traffico navale sul fiume stesso. Si è optato, quindi, per
un ponte mobile (v. Fig. 80).
L’ottimizzazione strutturale con calcoli manuali
101
Figura 80. Tower Bridge, Londra, 1894
La luce complessiva coperta dal ponte è di 244 metri e le torri
raggiungono l’altezza di 65 metri. La parte mobile del ponte è
sostenuta da due torri in stile gotico collegate, nella parte alta, da
passerelle, e a terra da altre due passerelle strallate. Un meccanismo
idraulico consente l’apertura della campata centrale (lunga
complessivamente 61 metri), sollevando le due mensole fino a
raggiungere un angolo di 83° sull’orizzontale.
In genere un ponte è una struttura che funziona ad arco; il Tower
Bridge, invece, come ogni ponte mobile con apertura al centro, deve
utilizzare staticamente anche il meccanismo a mensola.
Guardando la campata centrale ci si accorge di come essa sia stata
conformata secondo un andamento parabolico molto simile a quello
ottenuto analiticamente in precedenza (v. Fig. 81).
Figura 81 Analogia tra andamento analitico e progetto realizzato
Anche per questo progetto si può dire, come per la Torre Eiffel,
che, dato il periodo in cui è stato realizzato, non ci fu ottimizzazione
strutturale perfettamente consapevole in senso moderno, ma è
102
Capitolo VII
evidente comunque il tentativo di migliorare la forma per renderla il
più efficiente possibile in base allo studio delle condizioni esterne di
carico e di vincolo.
8. L’OTTIMIZZAZIONE TOPOLOGICA CON
PROGRAMMI DI CALCOLO
8.1 Introduzione
La topologia, o studio dei luoghi (dal greco τοποσ, luogo, e λογοσ,
studio), come teoria generale, comprende tutto ciò che può essere
detto relativamente ai concetti correlati di spazio, vicinanza e
convergenza. L’applicazione della topologia generale ad usi quotidiani
in molti campi è basata non tanto su teoremi specifici, quanto sulla
capacità di unificare e semplificare, propria del suo sistema di nozioni
e della sua terminologia.
Nel campo dell’ottimizzazione strutturale con il termine topologia
si intende la distribuzione spaziale di caratteristiche che possono
essere le più varie, ma che devono rispondere a precise esigenze.
Attualmente l’ottimizzazione topologica è formata da un insieme di
modelli matematici che partono dalla semplice idea che la struttura
ottimale, cioè con massima resistenza e minimo peso, può essere
prodotta rimuovendo gradualmente il materiale che non viene
utilizzato dalla configurazione iniziale di progetto. L’ottimizzazione si
può applicare a due grandi famiglie di strutture elastiche: le strutture
discrete, in cui l’ottimizzazione consiste nel trovare numero, posizione
e connessione degli elementi; e le strutture continue, in cui
l’ottimizzazione consiste nel determinare i limiti esterni e interni e il
numero e la posizione dei vuoti. La teoria matematica
dell’ottimizzazione permette di formulare strategie e metodi d’analisi
di problemi complessi.
8.1.1 Cenni storici
I primi studi riguardanti l’ottimizzazione di strutture furono fatti da
Galileo nel 1638, J. Bernoulli nel 1687, Newton nel 1687, D.
Bernoulli nel 1733, Lagrange nel 1770, Levi nel 1870. Il lavoro
fondamentale, però, è compiuto da Michell nel 1904, tanto che molti
lo considerano il primo lavoro nel campo dell’ottimizzazione
strutturale.
La teoria presentata da Michell riguarda la topologia di un traliccio
di barre che minimizzi il peso strutturale; questo approccio è alla base
103
104
Capitolo VIII
di quello che si chiama “fully stressed design”, cioè la soluzione del
problema è caratterizzata da un insieme di aste che formano una
struttura ottima con restrizione sul limite di tensione a trazione e
compressione.
Dal 1930 al 1950, gli studi nel campo dell’ottimizzazione
topologica utilizzavano criteri di ottimo basati su regole empiriche o
su concetti ingegneristici, finchè nel 1951 Kuhn e Tucker proposero
uno studio sulle condizioni di ottimo da imporre ad un determinato
problema di ottimizzazione vincolata proposto qualche anno prima
(1938) da Karush: le condizioni di ottimo definite come “condizioni di
Karush-Kuhn-Tucker KKT”, diedero le basi matematiche per
determinare l’estremo di una funzione con vincoli generici.
All’inizio degli anni Sessanta Schmit e Fox formularono le basi di
una moderna teoria dell’ottimizzazione strutturale, basata sul concetto
di programmazione matematica e di analisi di sensitività. Nel 1968,
Prager e Taylor stabilirono le basi di una teoria che permettesse di
ottenere un criterio di ottimo utilizzando i metodi variazionali e le
condizioni di ottimo di Lagrange; questo permise uno sviluppo e un
uso esteso del criterio di ottimo basato sulle condizioni KKT applicate
a problemi d’ingegneria.
Il forte sviluppo negli anni Settanta delle tecniche numeriche, in
particolare della meccanica computazionale e del metodo agli
elementi finiti (MEF), permise di affrontare problemi di grande
dimensione e di estendere le tecniche nate per problemi
monodimensionali a problemi piani e tridimensionali. Per tutto il
decennio l’attenzione massima fu posta al dimensionamento ottimo di
tralicci strutturali, estendendo i concetti di Michell e Prager a nuove
problematiche e introducendo per i problemi “classici” nuovi vincoli e
nuove limitazioni di comportamento. Queste tecniche permisero di
generalizzare il concetto di ottimizzazione in minimo di peso,
introducendo nuove funzioni obiettivo: cedevolezza, rigidezza,
spostamento, tensione, ecc.
L’ottimizzazione strutturale ebbe un rapido progresso negli anni
Ottanta, grazie allo sviluppo delle tecniche di analisi di sensitività, di
risoluzione di strutture e di programmazione matematica. Per risolvere
problemi di ottimizzazione non lineare, tipici della teoria delle
strutture, furono introdotti nuovi metodi di analisi approssimate di tali
problemi, dal metodo di linearizzazione sequenziale al metodo dei
movimenti asintotici.
L’ottimizzazione topologica con programmi di calcolo
105
L’introduzione della tecnica di ottimizzazione basata sulla
distribuzione materiale e l’implementazione computazionale del
progetto topologico di strutture continue, fu introdotto da N. Kikuchi e
M.P. Bendsoe; negli ultimi anni molti autori hanno proposto nuovi
metodi e generalizzazioni dei concetti di ottimizzazione topologica
con riferimento a numerosi problemi (ad esempio O. Sigmund, N.
Olhoff, P. Pedersen, ecc).
8.1.2 Elementi fondamentali
Elementi fondamentali di quel settore della meccanica dei solidi
che è l’ottimizzazione strutturale sono: le variabili di progetto, lo
spazio di progetto, l’obiettivo di progetto, i vincoli di progetto.
La variabile di progetto può assumere diverse tipologie a seconda
di cosa si intende far variare all’interno del processo di
ottimizzazione. Essa può essere considerata come:
variabile di progetto dimensionale,
variabile di progetto di forma,
variabile di progetto materiale,
variabile di progetto topologica.
La definizione di variabile dimensionale è riferita al fatto che,
durante il processo che porta alla sua determinazione, il dominio del
modello non cambia. Essa non si riferisce alla forma dell’oggetto in
questione: vale a dire che la linea d’asse della trave o la superficie di
riferimento
della
piastra
rimangono
immutate
durante
l’ottimizzazione, mentre varia l’area della sezione della trave o, nei
problemi tridimensionali, la densità di massa o di volume.
La nozione di variabile di progetto di forma si riferisce al dominio
di riferimento del modello attuale. Un esempio di questa variabile può
essere la lunghezza di una trave: questa lunghezza può variare durante
il processo di ottimizzazione modificando perciò l’effettiva forma
della struttura. Per modelli bidimensionali la curva che rappresenta il
bordo o la curvatura della superficie di riferimento è similmente una
variabile di forma. Per i modelli tridimensionali, la variabile di forma
è rappresentata dal bordo del dominio di progetto inclusi i bordi
interni come buchi.
La variabile materiale si riferisce al comportamento del materiale
all’interno del dominio di progetto. Essa, tramite specifiche
caratteristiche, ad esempio il modulo di elasticità, descrive il
106
Capitolo VIII
cambiamento del materiale in ogni punto del dominio durante il
processo di ottimizzazione.
La nozione di variabile topologia si riferisce alla presenza o
all’assenza di un certo aspetto del progetto. Per fare un esempio: due
nodi di una travatura reticolare dovrebbero essere connessi, sì o no? Si
dovrebbe inserire un buco in una piastra continua, sì o no? Questo tipo
di variabile genera delle problematiche durante il processo di
ottimizzazione in quanto dà luogo ad un cambio, nella risposta di
progetto, di tipo discontinuo, mentre un cambio di forma dà luogo ad
un cambio continuo.
La differenza sostanziale, quindi, tra le variabili impiegabili può
essere così riassunta: in una travatura reticolare, le aree delle aste sono
variabili dimensionali, la posizione dei nodi è una variabile di forma,
le aste scelte tra le molte possibili determinano la topologia; in un
guscio la distribuzione di densità del materiale è una variabile
dimensionale, i confini e le curvature della superficie di riferimento
sono variabili di forma, il numero e la posizione dei buchi nella
superficie di riferimento determinano la topologia.
La modellazione dello spazio o dominio di progetto può essere
eseguita in termini di “discreto” o di “continuo”. Una descrizione
continua e completa dello spazio vuol dire utilizzare delle variabili di
progetto riferite ad ogni punto del dominio e non a porzioni dello
stesso. Spesso questo metodo è chiamato descrizione parametrica del
continuo, in opposizione alla descrizione discreta. In una
modellazione agli elementi finiti di un continuo, i confini
dell’elemento possono essere riferiti ad una parte del dominio in modo
da riuscire a discretizzare il dominio (v. Fig. 82). Questo stesso
principio si applica nei processi di ottimizzazione.
L’ottimizzazione topologica con programmi di calcolo
107
Figura 82. Processo di discretizzazione
L’obiettivo di progetto è una funzione o un funzionale a valore
singolo rispetto al quale possono essere comparati progetti diversi. La
soluzione ottimale è quindi quella con un minimo (o più raramente
massimo) del valore della funzione obiettivo. È possibile utilizzare
anche una formulazione multiobiettivo, ma questi casi alla fine sono
ricondotti all’ottimizzazione con un obiettivo solo.
Un problema molto complesso è riferito alla ricerca dell’esistenza
di soluzioni stazionarie e locali, e nella pratica sono molto pochi i casi
in cui è possibile trovare una soluzione ottimale e globale. Non è
inoltre sempre facile ottenere una dimostrazione matematica
dell’esistenza del progetto ottimo. Se un progetto ottimale non esiste
si parla di problema mal posto, e in generale i problemi strutturali
sono proprio di questo tipo.
Ricercare una soluzione ottima per un determinato problema
significa definire un insieme di soluzioni ammissibili entro le quali
andare a ricercare il sottoinsieme delle soluzioni che rendono una
determinata funzione (o funzionale) minimo o massimo (v. Fig. 83).
108
Capitolo VIII
Figura 83. Estremi vincolati e non della funzione obiettivo
In sostanza, quindi, le soluzioni che si trovano con i processi di
ottimizzazione sono sì stazionarie, ma locali e non assolute. Sono
comunque soluzioni di ottimo strutturale e il fatto che non siano
uniche può essere visto come lato positivo anziché negativo della
procedura. In altre parole, il progettista può utilizzare una qualsiasi
delle diverse soluzioni che si ottengono con l’ottimizzazione, a
seconda del risultato che intende ottenere o degli eventuali vincoli
influenti sull’intervento. Le soluzioni formano quindi un ventaglio di
opzioni progettuali possibili e valutabili in senso estetico e formale.
Alcuni esempi di chiara manifestazione della non unicità della
soluzione sono rappresentati alle Figg. 84, 85 e 86.
Figura 84. Sensibilità alla discretizzazione iniziale
Figura 85. Sensibilità alla luce libera d’inflessione
L’ottimizzazione topologica con programmi di calcolo
109
Figura 86. Sensibilità alla potenza di penalizzazione
La prima di queste mostra la sensibilità alla discretizzazione
iniziale, in quanto la struttura a sinistra è stata ottenuta con una mesh
iniziale 60x20, mentre l’altra proviene da una mesh 80x20. La
seconda immagine mostra la sensibilità a valori strutturali imposti
come la lunghezza libera di inflessione: nei tre casi il valore varia da
0,006 a 0,400 volte la lunghezza degli elementi. La terza immagine
raffigura la sensibilità al valore della potenza di penalizzazione
utilizzata nell’algoritmo di ottimizzazione (cfr. Par. 8.2): nei tre casi i
valori sono compresi tra 0 e 6.
La soluzione del problema di ottimizzazione può essere ottenuta
utilizzando la tecnica dei moltiplicatori di Lagrange, definendo una
funzione detta Lagrangiana, e trattando il problema come un problema
di minimizzazione di una funzione non vincolata.
I vincoli di progetto sono elementi che influenzano molto il
risultato del processo di ottimizzazione. Una loro classificazione
potrebbe essere:
condizioni di carico e di equilibrio,
vincoli di comportamento,
vincoli di lato, limiti assoluti e limiti di movimento,
vincoli di uguaglianza e disuguaglianza.
I vincoli più rilevanti e che influenzano maggiormente i risultati
sono quelli di lato o geometrici e quelli di comportamento; i primi
sono dettati da considerazioni di costruzione, da possibilità fisiche o
estetiche da raggiungere, i secondi derivano da limitazioni su
comportamenti strutturali in relazione alle cause esterne di carico.
Capitolo VIII
110
Il trattamento di un problema di ricerca dell’ottimo si fonda su tre
principi che stanno alla base di tutti i problemi di ottimizzazione
strutturale:
1. modello e analisi strutturale: si sceglie il modello per la
struttura, la risposta strutturale da ottimizzare e il tipo di analisi
(lineare, non lineare, ecc);
2. algoritmo di ottimizzazione: insieme di procedure
matematiche di programmazione basate su iterazioni che da una
configurazione iniziale generano un nuovo schema ad ogni iterazione
fino a raggiungere la convergenza;
3. modello di ottimizzazione: una volta scelti modello e analisi
strutturale, occorre stabilire quale funzione obiettivo sia più opportuno
minimizzare per risolvere il problema.
Il secondo punto stabilisce come sia importante la scelta
dell’algoritmo di ottimizzazione per risolvere il problema in
questione. Un algoritmo iterativo è un programma di calcolo che, data
un’approssimazione corrente xk della soluzione, determina con
un’appropriata sequenza di operazioni una nuova approssimazione
xk+1. Tra gli algoritmi più usati ci sono:
algoritmi classici di programmazione matematica,
algoritmi di sviluppo della funzione obiettivo,
algoritmi euristici,
algoritmi evolutivi (ESO).
I criteri di convergenza e di arresto usati possono essere
raggruppati nel modo seguente:
| ∇f ( x k ) |< ε
| f (x
|x
k +1
k +1
ε ∈R
) − f ( x ) |< δ
k
− x | max < γ
k
arresto sul gradiente
δ ∈ R arresto sulla funzione
γ ∈ R arresto sulla variabile
8.1.3 Tipologie fondamentali
A partire dagli anni Cinquanta, lo sviluppo delle tecniche di
ottimizzazione strutturale ha prodotto tre tipologie principali di
approccio ai problemi di ottimizzazione:
ottimizzazione dimensionale (sizing optimization),
ottimizzazione di forma (shape optimization),
ottimizzazione topologica (topology optimization).
L’ottimizzazione topologica con programmi di calcolo
111
L’ottimizzazione dimensionale (v. Fig. 87) consiste nella
definizione ottimale delle proprietà sezionali (area, inerzia, geometria,
ecc), mentre la forma e il grado di connessione del dominio sono
definiti a priori.
Figura 87. Ottimizzazione dimensionale
L’ottimizzazione di forma (v. Fig. 88) consiste nella definizione
della forma dei bordi esterni ed interni del corpo, definiti a loro volta
in forma parametrica. Se in questo tipo di ottimizzazione si adotta una
metodo agli elementi finiti per discretizzare il dominio di progetto, è
necessario definire una nuova mesh del dominio stesso ad ogni
iterazione, cosa che genera un onere computazionale elevato.
Figura 88. Ottimizzazione di forma
L’ottimizzazione topologica (v. Fig. 89) è la tecnica di
ottimizzazione strutturale più generale, e consente di definire il grado
112
Capitolo VIII
di connessione, la forma e la dimensione del corpo in oggetto. Il
dominio di progetto può essere scelto con forma semplice, e non è
necessario scegliere forme complesse per ottenere soluzioni più
complesse, è sufficiente definire condizioni di carico e di vincolo
opportune, ed eventualmente imporre zone all’interno del dominio con
presenza o assenza di materiale.
Figura 89. Ottimizzazione topologica
Nell’ottimizzazione topologica sono noti la forma del dominio, le
forze applicate e i vincoli; si determinano la forma del dominio
resistente e la distribuzione delle proprietà del materiale.
I vantaggi che presenta questa ottimizzazione sono principalmente
che si ha la possibilità di progettare il grado di connessione del
dominio, senza dover fissare a priori una topologia specifica; non si
deve modificare la mesh in cui si discretezza il dominio ad ogni
iterazione; si può agire sulla struttura sia a livello macrostrutturale che
microstrutturale.
8.2 Algoritmo di ottimizzazione
Un codice utilizzabile per affrontare alcuni semplici casi di
ottimizzazione strutturale è disponibile nel sito internet
www.topopt.dtu.dk, ed è stato ripreso da una serie di pubblicazioni ad
opera di studiosi in gran parte danesi. È un codice concepito per
iniziare ad acquisire familiarità con il campo dell’ottimizzazione
strutturale, quindi non si possono elaborare strutture molto complesse,
L’ottimizzazione topologica con programmi di calcolo
113
in quanto consente limitate possibilità di inserimento di vincoli,
carichi e vuoti, ma i risultati forniti sono comunque validi.
Il dominio di progetto deve assumere forma rettangolare ed essere
discretizzato in elementi quadrati. In questo modo si rende semplice la
numerazione colonna per colonna degli elementi e dei nodi, iniziando
dall’angolo in alto a sinistra.
La tipologia di problema di ottimizzazione affrontata con questo
codice è basata sul power-law approach o SIMP approach e la
funzione obiettivo è la cedevolezza c(x). SIMP significa “Solid
Isotropic Material with Penalization” ed è un metodo che assume
costanti le proprietà del materiale all’interno di ogni elemento in cui
viene discretizzato il dominio di progetto e che utilizza come variabili
le densità relative degli elementi stessi. L’obiettivo finale per la
risoluzione del problema di ottimizzazione è minimizzare la
cedevolezza utilizzando l’OC Method, ossia “Optimaly Criteria
Method”. L’utilizzazione dell’OC consiste nel formulare la funzione
obiettivo (la cedevolezza) tramite una funzione Lagrangiana, in cui
l’unico vincolo imposto è sul volume, e risolverla come problema di
minimizzazione di funzione.
Questo tipo di problema di ottimizzazione, quindi, può essere
scritto come:
min x : c( x) = U T KU =
N
∑ (x )
e
p
u eT k e u e
e =1
soggetto a:
V ( x)
= f
V0
KU = F
0 < x min ≤ x ≤ 1
dove U e F sono rispettivamente il vettore degli spostamenti globali e
delle forze globali, K è la matrice di rigidezza, ue e ke sono
rispettivamente gli elementi del vettore spostamenti e della matrice di
rigidezza, x è il vettore delle variabili di progetto, xmin è il vettore delle
densità relative minime (sempre diverso da zero per non rendere
singolare la matrice), N è il numero di elementi in cui si discretizza il
dominio di progetto, p è la potenza di penalizzazione dovuta al SIMP
approach, V(x) e V0 sono rispettivamente il volume effettivo del
Capitolo VIII
114
materiale e il volume del dominio di progetto e f è il loro rapporto,
cioè la frazione di volume.
Il criterio di ottimizzazione (OC), che fornisce ad ogni iterazione
una nuova configurazione finchè non si raggiunge la convergenza
prevista, può essere formulato in questo modo:
x enew =
max(x min , x e − m )
se x e Beη ≤ max(x min , x e − m ) ,
x e Beη
se max(x min , x e − m ) < x e Beη < min (1, x e + m ) ,
min (1, x e + m )
se min(1, x e + m ) ≤ x e Beη ,
dove η è posto uguale a 0,5 e rappresenta un coefficiente di
dissipazione, m (move) è un numero positivo che definisce l’intorno
dell’elemento x in questione e Be si ricava dalla seguente condizione
di ottimo:
∂c
∂x e
,
Be =
∂V
λ
∂x e
−
dove λ è un moltiplicatore Lagrangiano che si ricava tramite un
algoritmo di definizione della media tra i due moltiplicatori
precedenti. La sensitività della funzione obiettivo si trova come:
∂c
= − p ( x e ) p −1 u eT k e u e .
∂x e
Per assicurare l’esistenza della soluzione occorre inserire altre
restrizioni; tuttavia queste ancora non assicurano l’esistenza della
soluzione in termini teorici, ma numerose applicazioni testimoniano la
loro efficacia. Nel codice si utilizza il “mesh-indipendency filter” che
L’ottimizzazione topologica con programmi di calcolo
115
modifica la sensitività dell’elemento in modo da poter poi utilizzare
questa nuova sensitività nel processo dell’OC.
Schematizzando, le operazioni compiute dal codice sono riassunte
in Fig. 90.
Figura 90. Schema di funzionamento del codice
Per ogni iterazione nel loop di ottimizzazione topologica, il codice
genera un’immagine della corrente distribuzione di densità. Fermando
l’iterazione in vari momenti, si può vedere passo passo la migrazione
del carico, dal punto di applicazione agli appoggi, attraverso il
dominio di progetto, come mostrato alle Figg. 91 e 92 con le relative
configurazioni di partenza.
116
Capitolo VIII
Figura 91. Fasi di ottimizzazione di una mensola
Figura 92. Fasi di ottimizzazione di una colonna
Guardando tutti i passaggi che compie il programma alla ricerca
della forma ottimale, si può anche decidere di fermarsi ad uno step
intermedio, in relazione ad esempio al materiale che si intende
utilizzare o al risultato estetico che si vuole raggiungere. Come
mostrato in Fig. 93, uno step intermedio dell’ottimizzazione di una
colonna ha una forma meno lineare e più tendente all’arco di quanto
non accada nel risultato finale. Allo stesso modo si può notare che lo
step in questione fornisce anche la possibilità di inserire un elemento
L’ottimizzazione topologica con programmi di calcolo
117
orizzontale tipo passerella, se considerazioni architettoniche lo
dovessero richiedere.
Figura 93. Confronto tra uno step intermedio e il risultato finale
Scendendo rapidamente nel dettaglio del codice di ottimizzazione,
esso è composto da quattro parti principali:
main program,
optimaly criteria based optimizer,
mesh-indipendency filtering,
finite element code.
Per cambiare condizioni di carico e di vincolo del dominio di
progetto, occorre modificare alcune porzioni di codice nella sezione
“finite element code”. Per utilizzare condizioni di carico multiple, si
deve aggiungere una parte al “main program”, che consenta di
applicare tutti i carichi voluti alla struttura, e poi definirli nella parte
“finite element code”. In questa stessa sezione si possono cambiare
anche i vincoli del dominio di progetto.
Utilizzando il programma Matlab per implementare il codice
appena esposto, si può richiamare il codice stesso dallo spazio di
lavoro di Matlab mediante la riga:
top (nelx, nely, volfrac, penal, rmin)
dove nelx e nely sono rispettivamente il numero di elementi
orizzontali e verticali in cui si discretezza il dominio di progetto,
volfrac è il rapporto tra volume effettivo del materiale e volume
iniziale del dominio, penal è la potenza di penalizzazione dovuta al
SIMP approach e rmin è il raggio del filtro diviso per la dimensione
118
Capitolo VIII
dell’elementino base del dominio, da usare nel processo di modifica
della sensitività.
È importante sottolineare come i valori dati alle variabili in input
siano molto influenti sul risultato finale. Ad esempio, dando come
volfrac un valore vicino a 1, si incontrano problemi di convergenza
fino al punto di non raggiungerla affatto, oppure un numero differente
di elementi della mesh iniziale causa, ovviamente, delle migrazioni
differenti del carico all’interno del corpo.
8.3 Progetti ottimi riconoscibili
«L’importanza dell’impegno statico delle strutture giustifica la
ricerca di forma di massima efficienza» [7], con queste parole Sergio
Musmeci indica l’importanza che una forma strutturalmente efficiente
ha nella progettazione di ponti. Queste strutture hanno esigenze di
performance meccaniche molto elevate, e quindi la fase di
progettazione si fonda sulla ricerca della forma e dei materiali che
possano soddisfare efficacemente a determinati requisiti di progetto. È
inoltre molto importante minimizzare il peso strutturale poiché esso è
legato al costo della struttura: è indispensabile un’analisi della
configurazione ottima per ottenere informazioni utilizzabili nella
progettazione anche in questa direzione.
8.3.1 Tipologia ponte 1
La condizione di carico e di vincolo più semplice che si può
applicare ad un dominio di progetto rettangolare è quella rappresentata
in Fig. 94. È la configurazione caratteristica di un oggetto che si può
considerare appoggiato agli estremi e che deve sopportare una
sollecitazione schematizzabile come carico concentrato superiormente
in mezzeria.
Inserendo questa configurazione nel programma si ottiene il
risultato di Fig. 95, a partire da una mesh iniziale 100x30 e con una
frazione di volume pari a 0,3.
L’ottimizzazione topologica con programmi di calcolo
119
Figura 94. Condizione di carico e vincolo
Figura 95. Risultato alla fine dell’ottimizzazione
Si può vedere come la struttura esterna sia identificabile con un
arco che necessita all’interno una struttura reticolare che sopporti
sforzi di trazione.
La struttura ottenuta è realizzabile come un ponte ad arco con via
di corsa inferiore e travatura reticolare intermedia, come nell’esempio
di Fig. 96.
Figura 96. Ponte ferroviario ad arco e travatura reticolare
Capitolo VIII
120
È evidente il ruolo che considerazioni sull’ottimizzazione
strutturale hanno avuto nella progettazione di ponti come questi:
dall’analisi del contesto, e quindi dall’estrazione di opportune
condizioni di carico e di vincolo, si ottiene una forma che sfrutta il
materiale alle massime potenzialità.
8.3.2 Tipologia ponte 2
Il ponte ad arco con via di corsa inferiore può avere anche una
struttura formata da tiranti per collegare l’arco alla via di corsa stessa.
La configurazione dalla quale occorre partire per ottenere ponti di
questo tipo è raffigurata in Fig. 97, nella quale il dominio di progetto è
ancora appoggiato agli estremi, ma i nove carichi concentrati sono
applicati nella parte inferiore.
Figura 97. Condizione di carico e vincolo
Il programma di calcolo citato in precedenza incontra delle
difficoltà a gestire un numero di carichi piuttosto elevato come in
questo caso. Occorre quindi utilizzare un programma più raffinato e il
risultato che si ottiene è rappresentato in Fig. 98.
Figura 98. Risultato alla fine dell’ottimizzazione
La struttura è formata da un arco superiore che sostiene la via di
corsa inferiore mediante tiranti. Molteplici sono gli esempi di strutture
realizzate di questo tipo, se ne riportano due nelle Figg. 99 e 100.
L’ottimizzazione topologica con programmi di calcolo
121
Figura 99. Viadotto di Pannes sull’autostrada A77, 1999
Figura 100. Ponte dei Miracoli, Alberga, 1996
La caratteristica statica di questi ponti, cioè la compressione
dell’arco e la trazione dei tiranti, li rende efficienti chiaramente dal
punto di vista statico, ma anche dal punto di vista economico perché
non vi sono sprechi di materiale. La forma ricavata, inoltre, è un
oggetto che ha i caratteri dell’architettura, in quanto segno forte per la
città, come ad Alberga, o per il paesaggio, come per il viadotto di
Pannes.
8.3.3 Tipologia ponte 3
Rendendo più complessa la combinazione di carico da applicare al
dominio di progetto, ma tenendo fermi i vincoli, si ottiene un’altra
tipologia di ponte. La condizione di carico e di vincolo in questione è
quella rappresentata in Fig. 101. È la configurazione caratteristica di
122
Capitolo VIII
un oggetto che si può considerare appoggiato agli estremi e che deve
sopportare sollecitazioni schematizzabili come quattro carichi ad
interasse costante applicati sul dominio esclusi gli estremi.
Figura 101. Condizione di carico e vincolo
Inserendo questa configurazione nel programma sopra descritto si
ottiene il risultato di Fig. 102, a partire da una mesh iniziale 100x20 e
con una frazione di volume pari a 0,3.
Figura 102. Risultato alla fine dell’ottimizzazione
Si può vedere come la struttura sia coincidente con la forma di un
ponte a trave reticolare con correnti paralleli. Un esempio di struttura
realizzata è visibile in Fig. 103.
Figura 103. Ponte ferroviario
L’ottimizzazione topologica con programmi di calcolo
123
I ponti ferroviari sono strutture che tipicamente utilizzano una
configurazione molto simile a quella ricavata in precedenza, in
quanto, anche in questi casi, l’ottimizzazione del materiale in uso (e di
conseguenza il costo) è strettamente necessaria per la realizzazione del
progetto. La forma ottenuta in questi casi, però, non è precisamente
quello che si può definire un oggetto d’architettura, ma in questo tipo
di opera l’estetica può anche essere messa in secondo piano.
8.3.4 Tipologia ponte 4
Proseguendo con il raffinamento della condizione di carico per un
dominio di progetto appoggiato agli estremi, si può giungere alla
configurazione di Fig. 104, dove i carichi concentrati sono dieci ad
interasse costante ed applicati anche sugli estremi.
Figura 104. Condizione di carico e vincolo
Come già visto al precedente Par. 8.3.2, il programma di calcolo
citato in precedenza incontra delle difficoltà a gestire un elevato
numero di carichi, come possono essere i dieci carichi di questa
configurazione. Occorre quindi usare un programma più raffinato per
ottenere l’ottimizzazione topologica. Il risultato che si ottiene è
rappresentato in Fig. 105.
Figura 105. Risultato alla fine dell’ottimizzazione
124
Capitolo VIII
La struttura che si ottiene è formata da un arco inferiore che
sostiene la via di corsa mediante elementi verticali. Esempi di questo
tipo di struttura sono riportati alle Figg. 106 e 107, la seconda delle
quali rappresenta il ponte Paul Sauer di Riccardo Morandi.
Figura 106. Ponte Santa Giustina, Taio (Trento), 1950
Figura 107. Ponte Paul Sauer, Eastern Cape (Sudafrica), 1956
Si può vedere che i ponti rispecchiano la forma che si è ottenuta
tramite l’ottimizzazione topologica. Si può aggiungere, poi, che
Morandi non aveva a disposizione strumenti avanzati come i
programmi di ottimizzazione topologica, però, come già visto in
precedenza, alla base delle sue opere ci sono considerazioni sulla
forma ottimale e sullo sfruttamento massimo del materiale che
conducono allo stesso risultato. Il ponte è, allo stesso tempo, oggetto
d’ingegneria, perché caratterizzato da elevate prestazioni ed efficiente
funzionalità statica, ed oggetto d’architettura, perché l’estetica che
raggiunge è sicuramente di elevato livello.
L’ottimizzazione topologica con programmi di calcolo
125
8.3.5 Tipologia ponte 5
Insistendo con il raffinamento della condizione di carico si giunge
a definirla con un carico uniformemente distribuito posizionato ad una
certa quota del dominio di progetto. In questo caso poi si modificano
anche i vincoli in modo da incastrare entrambi i lati del dominio di
progetto. La configurazione analizzata è quella di Fig. 108.
Figura 108. Condizione di carico e vincolo
Per gli stessi motivi del caso precedente, occorre utilizzare un
programma più raffinato per ottenere l’ottimizzazione topologica. Il
risultato che si ottiene è rappresentato in Fig. 109.
Figura 109. Risultato alla fine dell’ottimizzazione
La struttura che si ottiene è composta da un arco principale e da
strutture secondarie all’interno e all’esterno dell’arco. Si può stabilire
una gerarchia tra i vari componenti della struttura complessiva perché
l’ottimizzazione topologica, essendo un metodo generale, fornisce
anche le dimensioni e le connessioni degli elementi. Sono ben chiare
la posizione della via di corsa del ponte e le strutture che servono a
sostenerla: il grande arco sottoposto a compressione e i vari tiranti
sottoposti a trazione. Esempi di questo tipo di struttura sono
rappresentati dai progetti di Figg. 110 e 111.
Capitolo VIII
126
Figura 110. Ponte pedonale Debilly, Parigi
Figura 111. Ponte di Haugensund, Norvegia
Le forme ottenute per questo tipo di progetti ripropongono quello
che si ottiene tramite ottimizzazione topologica: questa tipologia di
ponte quindi è un oggetto che rispecchia le caratteristiche della
struttura ottima, in quanto unisce massima resistenza e minima
quantità di materiale utilizzato. Ha però allo stesso tempo una forma
che lo fa diventare elemento d’architettura.
8.3.6 Tipologia ponte 6
Nel caso appena affrontato, il carico è stato applicato ad una quota
intermedia del dominio di progetto. Si può vedere cosa accade
applicando allo stesso tipo di dominio (incastrato ai lati) un carico
uniformemente distribuito sul lato superiore del dominio stesso. La
L’ottimizzazione topologica con programmi di calcolo
127
condizione di carico e vincolo presa in esame è quella di Fig.112,
mentre in Fig. 113 si può vedere il risultato dell’ottimizzazione.
Figura 112. Condizione di carico e vincolo
Figura 113. Risultato alla fine dell’ottimizzazione
La struttura che si ottiene è un ponte ad arco centrale con via di
corsa superiore ed un sistema di sostegni verticali o leggermente
inclinati necessari per la via di corsa e dovuti alle condizioni vincolari
imposte. Vi sono molti ponti che hanno questa stessa struttura (v. Fig.
114), molti dei quali sono considerati inoltre oggetti d’architettura
soprattutto a livello paesaggistico.
Figura 114. Viadotto Bisantis, Catanzaro
Capitolo VIII
128
Il viadotto Bisantis è opera di Riccardo Morandi e, anche in questo
caso, si può dire che è stato frutto di una ricerca della forma ottimale e
sulla massimizzazione del rendimento del materiale.
8.3.7 Tipologia copertura
Fino a questo punto si sono analizzati domini di progetto con
condizioni di carico e vincolo equivalenti a quelle ritrovabili nella
progettazione di ponti. Si prenda in considerazione ora la
configurazione di Fig. 115 che rappresenta le condizioni progettuali di
una copertura; in Fig. 116 si vede poi il risultato dell’ottimizzazione.
Figura 115. Condizione di carico e vincolo
Figura 116. Risultato alla fine dell’ottimizzazione
È semplice riconoscere che si è ottenuta una copertura reticolare su
sostegni puntuali. Si tratta di un oggetto molto utilizzato nella pratica
progettuale, in quanto consente di coprire spazi di forma ed estensioni
molti differenti. Per questo motivo è una tipologia della quale si
possono trovare molteplici esempi (v. Fig 117). Ciò dimostra come le
forme ottimali si possano ritrovare nelle tipologie progettuali più
varie.
L’ottimizzazione topologica con programmi di calcolo
129
Figura 117. Copertura del piazzale ovest, stazione ferroviaria di
Ancona
8.4 Progetti ottimi “espliciti”
Ci sono casi in cui l’ottimizzazione topologica è stata
esplicitamente utilizzata per creare forme progettuali. In questi
oggetti, la ragione stessa del progetto è l’ottimizzazione strutturale e
non si parte da considerazioni di altro tipo.
Un esempio di quanto appena affermato è il progetto secondo
classificato al concorso per la nuova stazione TAV di Firenze ad opera
di Arata Isozaki (v. Fig. 118).
Figura 118. Progetto per la nuova stazione TAV, Firenze
Se si immette in un programma di ottimizzazione una
configurazione di carico e vincolo come quella rappresentata in Fig.
Capitolo VIII
130
119, si ottiene il risultato di Fig. 120, che è molto simile a quanto poi
effettivamente presentato nel progetto.
Figura 119. Condizione di carico e vincolo
Figura 120. Risultato dell’ottimizzazione
La copertura della stazione è composta da una superficie piana
superiore e dalle strutture ottimizzate di sostegno inferiori. Come si
può ben vedere, la forma degli elementi di sostegno deriva dal calcolo
della configurazione ottimale per sopportare i carichi, in particolare un
carico uniformemente distribuito su tutto il dominio, e non da concetti
estetici stabiliti a priori. Il progetto è una dimostrazione del fatto che,
al contrario della credenza che la razionalità strutturale produce
soluzioni rettilinee e lineari, a fornire le soluzioni più appropriate per
rispondere alle sollecitazioni sono forme tutt’altro che regolari e che
molti definirebbero “organiche”.
8.5 Progetti ottimi possibili
Una volta stabiliti i carichi agenti e i vincoli imposti su un dato
oggetto, l’ottimizzazione topologica strutturale fornisce una serie di
soluzioni utilizzabili per il progetto stesso. Cambiando così carichi e
vincoli, si ottiene un insieme praticamente infinito di soluzioni
progettuali, del quale si possono vedere alcuni esempi in Fig. 121.
L’ottimizzazione topologica con programmi di calcolo
131
Figura 121. Esempi di configurazioni ottimali possibili
Si può quasi “giocare” con i vincoli e con i carichi, nel rispetto
delle reali condizioni esistenti nel sito di progetto, per creare soluzioni
progettuali sempre nuove, ma consapevoli e motivate da
considerazioni di ottimizzazione di forme e materiali.
Naturalmente non si possono prendere i risultati delle varie
ottimizzazioni e posizionarli nel sito di progetto in modo “brutale”: le
configurazioni scelte andranno modificate ed adattate al contesto,
senza comunque stravolgerle.
Le configurazioni ottimali entrano, quindi, a pieno titolo
nell’insieme delle possibilità architettoniche che si devono prendere in
considerazione nell’approccio progettuale. Utilizzando i risultati
dell’ottimizzazione strutturale si otterranno progetti non casuali e di
elevato livello.
9. CONCLUSIONI
La progettazione è un iter complesso che richiede molte capacità
da parte di chi vi si accinge. Molti sono i metodi progettuali
utilizzabili, ma allo stesso tempo molti di questi non hanno base
scientifica e spesso non rendono il progettista consapevole delle scelte
che applica nel progetto stesso.
Si è messo in luce un filo conduttore tra varie tipologie di metodi
progettuali che abbiano una solida base scientifica, partendo da
un’analisi per così dire storica fino all’utilizzo delle tecniche più
innovative.
Fin dall’uso di modelli fisici o di condizioni di ottimo risolvibili
semplicemente con calcoli manuali, si può vedere come l’estetica del
progetto sia frutto di un processo rigoroso che porta alla
determinazione della forma ottimale. Anche molte formazioni
naturali, le leggi di accrescimento biologico o la forma di molti
elementi in natura sono diretta conseguenza di esigenze tipiche della
progettazione ottima, quali la leggerezza, la massima rigidezza,
l’uniformità dello stato tensionale o termico, ecc.
Nel campo dell’ottimizzazione strutturale sono ancora molti i
problemi aperti, soprattutto in relazione alla richiesta combinata di
massima efficienza strutturale, massima sicurezza ed estetica di alto
livello.
Come è ovvio da intuire, non sempre la forma ottimale riesce a
soddisfare tutte le caratteristiche di un buon progetto in senso globale,
e i metodi proposti non possono essere utilizzati in senso esclusivo
nell’iter progettuale. Sicuramente, però, i risultati che si ottengono
dall’ottimizzazione sono una base fondamentale dalla quale non
bisognerebbe allontanarsi. Ad esempio, come si è visto, ci si può
fermare ad uno step diverso da quello finale nel processo di
ottimizzazione topologica se si vede che il risultato è di buona estetica
secondo la sensibilità di chi progetta: la forma del progetto non sarà
quella perfettamente ottimale, ma sarà comunque indirizzata verso una
condizione di ottimo. Lo stesso si può affermare se si incontra nel
processo di minimizzazione della funzione obiettivo un minimo che è
solo locale e non globale. Può accadere, infatti, che una forma
derivante da un minimo locale della funzione incontri il gusto estetico
in modo più efficace di quanto non faccia una soluzione ottenuta da un
minimo globale.
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134
Capitolo IX
Raffinando sempre di più i modelli matematici e computazionali
utilizzabili per l’ottimizzazione strutturale, ed in particolare
topologica, si potranno ottenere risultati sempre più efficienti dal
punto di vista della struttura, della sicurezza e dello sfruttamento dei
materiali, ma anche sempre più aderenti alla sensibilità estetica che è
propria dell’architettura.
Sviluppando queste nuove metodologie, “sensibilità statica” e
“sensibilità estetica” si troveranno sempre più vicine. L’ingegnere
avrà sensibilità d’architetto, l’architetto strumenti da ingegnere, finchè
si compia, un giorno, la riunione delle competenze e la fine della
diaspora.
APPENDICE
Fonti delle immagini
Le immagini non presenti nel seguente elenco si intendono create
dagli autori.
Fig. 4 – http://www.fiera.ge.it
Fig. 7 – http://it.encartamsn.com
Fig. 8 – http://docenti.lett.unisi.it
Fig. 9 – http://www.cassicars.de
Fig. 10 – http://www.si.umich.edu
Fig. 11 – http://www.bramarte.it
Fig. 12 – http://www.dolcevita.com
Fig. 13 – http://www.britannica.com
Fig. 14 – http://www.nmt.edu
Fig. 15 – http://www.infoturisti.com
Fig. 16 – http://web.tiscali.it/Architettura_Amica
Fig. 17 – http://www.caed.kent.edu
Fig. 18 – http://genealogie.cantalpassion.com
Fig. 19 – http://www.ottovolante.org
Fig. 20 – http://www.gaudiclub.com
Fig. 21 – http://www.viamichelin.com
Fig. 22 – http://www.treehugger.com
Fig. 23 – http://www.cyberspain.com
Fig. 24, 34, 41,42, 43, 49, 99, 100, 107 – http://en.structure.de
Fig. 25 – http://www.fosterandpartners.com
Fig. 26 – http://www.archiportale.com
Fig. 27 – http://www.sacred-destination.com
Fig. 28 – http://www.richard-seaman.com
Fig. 29 – http://www.whchen.com
Fig. 32 – http://www.skycrapercity.com
Fig. 33, 61 – http://www.canadianarchitect.com
Fig. 35 – http://web.tiscali.it/giancorsi
Fig. 36 – http://www.generativedesign.com
Fig. 37, 44, 45, 47 – http://www.arc1.uniroma1.it
Fig. 38 – http://www.archinfo.it
Fig. 39 – http://www.projectmimique.org.uk
Fig. 46 – http://architettura.supereva.com/books
Fig. 48 – http://www.arqhys.com
135
136
Fig. 51 – http://www.figctolmezzo.com
Fig. 52 – http://www.pj.gob.pe
Fig. 53 – http://faculty.cua.edu
Fig. 54 – http://gothic.english.dal.ca
Fig. 57 – http://dma.ing.uniroma1.it
Fig. 58, 82, 83, 85, 86, 87, 88, 89, 98, 105, 109, 113, 116, 120, 121 –
http://ing.unitn.it
Fig. 59 – http://opac.comune.firenze.it
Fig. 60 – http://www.disg.uniroma1.it
Fig. 62 – http://www.kunst.uni-stuttgart.de
Fig. 63 – http://www.giampy11.it
Fig. 64 – http://www.gradri.hr
Fig. 65, 66 – http://www.consiglio.basilicata.it
Fig. 67 – http://www.gaudidesigner.com
Fig. 68 – http://www.liberonweb.com
Fig. 69 – http://www.hawbaker.org
Fig. 71 – http://www.visitingdc.com
Fig. 74, 75 – http://www.aeag.at
Fig. 76 – http://html.rincondelvago.com
Fig. 80 – http://www.londonbyclick.com
Fig. 96 – http://www.ferrovie.it
Fig. 103 – http://www.fmboschetto.it
Fig. 106 – http://www.progettodighe.it
Fig. 110 – http://disg.uniroma1.it
Fig. 111 – http://planning.co.cuyahoga.oh.us
Fig. 114 – http://www.comunecatanzaro.it
Fig. 118 – http://www.e-flux.com
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Finito di stampare nel mese di ottobre del 2011
dalla « Ermes. Servizi Editoriali Integrati S.r.l. »
00040 Ariccia (RM) – via Quarto Negroni, 15
per conto della « Aracne editrice S.r.l. » di Roma
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