A08 152 Stefano Lenci Laura Consolini Percorsi per un metodo progettuale tra forma e struttura Copyright © MMVII ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, 133 A/B 00173 Roma (06) 93781065 ISBN 978–88–548–1341–0 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: ottobre 2007 A Carlo e Maria (L.C.) A Claudio (S.L.) INDICE PREMESSA ................................................................. pag. 11 1. INTRODUZIONE 1.1. Il significato classico della struttura................ pag. 13 1.2. Le strutture resistenti per forma ...................... pag. 14 1.3. Le strutture resistenti per superficie................ pag. 17 2. FORMA E STRUTTURA NELLA STORIA 2.1. 2.2. 2.3. 2.4. 2.5. Introduzione .................................................... pag. 21 L’architettura gotica........................................ pag. 22 Filippo Brunelleschi........................................ pag. 25 L’ingegneria dell’Ottocento e Gustav Eiffel... pag. 28 Antoni Gaudì................................................... pag. 34 3. FORMA E STRUTTURA IN PROGETTISTI MODERNI E CONTEMPORANEI 3.1. 3.2. 3.3. 3.4. 3.5. 3.6. 3.7. Introduzione .................................................... pag. 39 Eduardo Torroja Miret (1899-1961) ............... pag. 43 Pier Luigi Nervi (1891-1979) ......................... pag. 46 Riccardo Morandi (1902-1989) ...................... pag. 49 Felix Candela (1910-1997) ............................. pag. 52 Sergio Musmeci (1926-1981) ......................... pag. 55 Santiago Calatrava Valls (1951) ..................... pag. 58 4. OTTIMIZZAZIONE STRUTTURALE 4.1. Tematiche e metodi......................................... pag. 61 5. L’OTTIMIZZAZIONE STRUTTURALE CON LE LINEE ISOSTATICHE 5.1. Introduzione.....................................................pag. 65 5.2. Le ossa umane..................................................pag. 70 5.3. I solai “nervati”................................................pag. 73 6. L’OTTIMIZZAZIONE CON MODELLI FISICI 6.1. Introduzione.....................................................pag. 77 6.2. I modelli di soluzione d’acqua saponata..........pag. 78 6.2.1. Lo Stadio olimpico di Monaco .............pag. 79 6.3. I modelli in materiale elastico..........................pag. 81 6.3.1. Il ponte sul Basento..............................pag. 81 6.4. I modelli di fili appesi o “rovesci”...................pag. 83 6.4.1. La chiesa di Santa Coloma ..................pag. 84 7. L’OTTIMIZZAZIONE CON CALCOLI MANUALI 7.1. Introduzione.....................................................pag. 87 7.2. L’arco ottimale.................................................pag. 88 7.2.1. Il Gateway Arch di St. Louis ................pag. 89 7.3. La colonna ad uniforme resistenza ..................pag. 91 7.3.1. Il quartiere Wohnpark di Vienna .........pag. 93 7.3.2. La Torre Eiffel di Parigi ......................pag. 95 7.4. La mensola ad uniforme resistenza..................pag. 96 7.4.1. Il Tower Bridge di Londra ...................pag. 100 8. L’OTTIMIZZAZIONE TOPOLOGICA CON PROGRAMMI DI CALCOLO 8.1. Introduzione.....................................................pag. 103 8.1.1. Cenni storici.........................................pag. 103 8.1.2. Elementi fondamentali .........................pag. 105 8.1.3. Tipologie fondamentali ........................pag. 110 8.2. Algoritmo di ottimizzazione ............................pag. 112 8.3. Progetti ottimi riconoscibili .............................pag. 118 8.3.1. Tipologia ponte 1 ................................ pag. 118 8.3.2. Tipologia ponte 2 ................................ pag. 120 8.3.3. Tipologia ponte 3 ................................ pag. 121 8.3.4. Tipologia ponte 4 ............................... pag. 123 8.3.5. Tipologia ponte 5 ................................ pag. 125 8.3.6. Tipologia ponte 6 ................................ pag. 126 8.3.7. Tipologia copertura............................. pag. 128 8.4. Progetti ottimi “espliciti” ................................ pag. 129 8.5. Progetti ottimi possibili................................... pag. 130 9. CONCLUSIONI.................................................... pag. 133 APPENDICE................................................................ pag. 135 BIBLIOGRAFIA ......................................................... pag. 135 Premessa Ci si chiede spesso come mai una struttura, un’opera architettonica o quant’altro, risulti bella. La curiosità intellettuale è disarmata di fronte ad una domanda per la quale non abbiamo una risposta. Il manierismo e l’omologazione ai canoni stabiliti dai maestri riconosciuti non bastano a giustificare certe sensazioni che ci colgono. L’architettura come semplice opera artistica, e non come opera d’arte e di conoscenza, colpisce, impressiona, a volte stupisce, attrae i turisti, ma non persuade e non incanta. Il razionalismo estremista, d’altro canto, impatta, sconvolge, intaglia come certi suoi spigoli troppo arditi, e certo non commuove. Non c’è una risposta. Quello che si propone in questo lavoro è un percorso, che può aiutare a comprendere, a riconoscere certi canoni, che può indicare metodologie e soluzioni, ma che non ha la pretesa di dare risposte. Partendo dall’assunto che forma (architettonica) e struttura (ingegneristica) non devono vivere di vita propria, e che troppo tempo ed energie si sono sprecate con questa visione riduttiva – anche tra coloro che la negano, vengono sviluppate alcune analisi che, muovendo da considerazioni di ottimizzazione strutturale, variamente intesa ed implementata, si propongono di fornire una visione comune di questi aspetti solo apparentemente duali, con l’intento di suggerire, senza la pretesa di imporre o il desiderio di turbare. 11 1. INTRODUZIONE 1.1 Il significato classico della struttura Tutti gli oggetti prodotti dall’uomo assolvono ad una specifica funzione: da quella conservativa, a quella meccanica e strutturale, fino a quella psicologica ed estetica. Una funzione specifica è legata ad una forma specifica; così se la forma viene danneggiata, verranno influenzate anche le funzioni che essa contiene. La forma quindi deve essere conservata. Ogni forma materiale, ovvero l’oggetto rappresentato da quella forma, è esposto alle azioni gravitazionali, in primo luogo, ed a tutte le altre azioni accidentali che possono caricarlo nel corso della sua vita utile. Per sopportare questi carichi, e quindi per conservare la forma e la funzione nel tempo, è necessaria una struttura. La struttura è quell’organismo che intercetta il carico, lo assorbe e lo scarica al terreno. È perciò implicito che ogni struttura al suo interno deve consentire il flusso delle forze, e la progettazione ottimale di una struttura non può prescindere dallo studio del trasferimento di esse all’interno di ogni sua parte. In seguito si mostrerà che lo studio e l’intuizione del meccanismo di flusso delle forze sono metodi progettuali veri e propri, applicabili non solo alle strutture pure e semplici, ma anche alle forme architettoniche. Un oggetto può risultare molto più piacevole se “plasmato” secondo considerazioni sulla materia e sulle tensioni, piuttosto che ideato in un certo modo e “fatto stare in piedi” solo in un secondo momento (v. Fig. 1). Nella pratica usuale la struttura e la forma vengono ideate in maniera separata: la forma viene progettata in relazione alla funzione, ad elementi esterni, alla riproposizione modificata di soluzioni già adottate, mentre la struttura si limita ad essere sviluppata come un organismo atto ad assorbire il flusso delle forze, che combaci però con la forma già delineata, senza dare fastidio o occupare troppo spazio. Questo concetto è ben esemplificato da una frase di Eduardo Torroja: «il progettista, innamorato di una soluzione (…), la passa allo strutturista perché vi inserisca dentro una struttura» [1]. Alcune tipologie classiche di struttura, però, sono già “forma” senza che le due cose debbano essere separate in fase di progetto. 13 14 Capitolo I Figura 1. Confronto tra il Palazzo dello Sport di Roma di P.L. Nervi e il Palazzo del ghiaccio di Selva di Val Gardena 1.2 Le strutture resistenti per forma La materia non rigida, flessibile, configurata in maniera specifica e vincolata a estremità fisse, è in grado di autosostenersi, di far fronte ad una specifica condizione di carico e di coprire determinate luci: sono le strutture resistenti per forma. Colonna verticale e fune sospesa sono prototipi ed esempi di strutture resistenti per forma: esse trasmettono i carichi solo attraverso sollecitazioni normali semplici, ovvero la trazione e la compressione. Legando due funi con punti di sospensione differenti si forma un sistema che è in grado di sostenere il proprio peso e di trasferire Introduzione 15 lateralmente i carichi attraverso sollecitazioni di semplice trazione. Una fune sospesa ribaltata forma un arco funicolare; la forma ideale di un arco varia a seconda della condizione di carico per cui è progettato (v. Fig. 2). Figura 2. Rapporto tra fune ed arco funicolare Il meccanismo di portata delle strutture resistenti per forma si basa essenzialmente sulla forma del materiale. Una deviazione dalla forma ottimale mette in pericolo il funzionamento dell’intero sistema e occorre tener conto di ciò in fase di progettazione. In un ipotetico caso ideale (cioè irrealizzabile in senso concreto), la forma di queste strutture coincide esattamente con l’andamento delle sollecitazioni, ed importanza fondamentale assumono la linea dei centri di pressione e la linea dei centri di trazione. Qualsiasi cambiamento nelle condizioni di carico o di vincolo modifica l’andamento della linea dei centri di pressione e genera una nuova forma strutturale. Mentre la fune, in quanto sistema “flessibile”, sotto nuovi carichi assume da sola una nuova linea dei centri di trazione, l’arco, in quanto sistema “rigido”, deve compensare il cambiamento della linea dei centri di pressione con la rigidezza stessa. La fune quindi rappresenta sempre la curva funicolare per quel carico 16 Capitolo I specifico; invece l’arco può essere funicolare solo per un determinato carico. Nelle strutture resistenti per forma, a causa della loro dipendenza dalle condizioni di carico, la forma architettonica e spaziale è il risultato del meccanismo di sostegno. Oltre a funi ed archi, si può ricordare anche un’altra tipologia tra le strutture resistenti per forma, che non è più strettamente bidimensionale come le precedenti. Si tratta di ciò che risulta dall’accoppiamento di una serie di cavi ai vantaggi offerti dalla forma circolare ed alla sua simmetria rispetto all’asse passante per il centro. Si sono venute così a creare strutture dalla caratteristica forma a ruota di bicicletta, in quanto realizzate, appunto, a mezzo di cavi disposti radialmente ed ancorati ad un mozzo centrale e ad una corona periferica (v. Fig. 3). Figura 3. Schema del funzionamento a ruota di bicicletta Strutture di chiara lettura, in quanto esprimono, oltre che la situazione tensionale dei cavi radiali, anche lo stato di sollecitazione dell’anello di ancoraggio centrale, chiamato a lavoro di trazione, e quello dell’anello di ancoraggio periferico, sollecitato a compressione semplice o a presso-flessione in base al sistema di vincoli con cui è collegato alla struttura inferiore (v. Fig. 4). Introduzione 17 Figura 4. La copertura del Palasport di Genova 1.3 Le strutture resistenti per superficie È possibile combinare gli elementi delle strutture resistenti per forma per ottenere strutture di superficie. Le superfici sono il mezzo geometrico più efficace ed intelligibile di definizione dello spazio e, a causa di questa loro natura, sono le astrazioni elementari attraverso le quali l’architettura si esprime. La superficie strutturale nasce dal percorso che le forze compiono al suo interno per giungere fino al terreno; la sua capacità di far cambiare direzione alle forze, ovvero di portare i carichi, dipende dalla posizione della superficie in relazione alla direzione della forza in questione. Nella superficie strutturale piana, a seconda della direzione della forza, intervengono due diversi meccanismi di resistenza o loro combinazioni: il meccanismo della piastra (forza perpendicolare alla superficie) e il meccanismo della lastra (forza parallela alla superficie) (v. Fig. 5). 18 Capitolo I Figura 5. Meccanismi a piastra e lastra Inclinando la superficie verso la direzione della forza agente con una piegatura o curvatura, è possibile riconciliare gli opposti dell’efficienza orizzontale nella copertura dello spazio, e dell’efficienza verticale nella resistenza alle forze gravitazionali. Nelle strutture resistenti per superficie è la forma ottimale a trasferire le forze ed a distribuirle uniformemente sulla superficie. Lo sviluppo di una forma efficace per la superficie è come un atto creativo, dal punto di vista strutturale, funzionale ed estetico. Queste strutture sono contemporaneamente l’involucro dello spazio interno e il guscio dell’edificio esterno e di conseguenza determinano forma e spazio dell’edificio stesso. Esse arrivano a costituire il criterio della qualità dell’edificio in quanto macchina razionale, efficiente, e forma esteticamente significativa. La forma strutturale è quindi non arbitraria, ma soggetta alle leggi della meccanica; qualsiasi deviazione dalla forma ottimale si scontra con il meccanismo statico e potrebbe metterne in pericolo il funzionamento. Nonostante le leggi comuni alle quali è soggetto qualsiasi sistema composto da superfici strutturali, esistono molti meccanismi resistenti diversi. Costruire queste superfici richiede quindi la conoscenza dei rispettivi meccanismi: il loro modo di funzionare, la loro geometria, il loro significato per la forma architettonica e lo spazio (v. Fig. 6). Introduzione 19 Figura 6. Esempi di strutture resistenti per superficie Lo stesso Pier Luigi Nervi sottolinea l’importanza dal punto di vista statico-architettonico dei sistemi a superficie resistente: ossia di quei sistemi nei quali la capacità statica è diretta conseguenza di curvature o corrugamenti dati ad una superficie, il cui spessore resta sempre molto piccolo rispetto alle dimensioni del complesso (…). La loro piena verità statica appare chiaramente quando si consideri che le azioni agenti sono quasi sempre distribuite su superfici lungo le quali possono, nel più efficiente dei modi, diffondersi fino a incontrare ed equilibrare le reazioni all’appoggio [2]. Tuttavia i progettisti non fanno spesso uso di queste strutture perché, come dice lo stesso Nervi, «non siamo abituati a ragionare per forma» [2]. Al contrario, questi sistemi sono molto efficaci, tanto è vero che sono molto presenti sia in natura, sia in campi della tecnica diversi dall’architettura e dall’ingegneria civile: carrozzerie di automobili, fusoliere e ali di aerei, scafi di navi, sono esempi di resistenza per forma dovuta alla necessità di stretta aderenza alle leggi della statica e dell’aerodinamica. 2. FORMA E STRUTTURA NELLA STORIA 2.1 Introduzione Solo poche volte nella storia dell’architettura la tecnologia costruttiva, il calcolo statico e gli obiettivi formali hanno avuto ruoli paritetici nella definizione concreta dell’idea di architettura. La visione dell’oggetto di architettura come fusione di ciò che è forma e di ciò che è struttura è un concetto molto presente in epoca moderna. È in tale epoca, infatti, che si può vedere come molti progettisti abbiano cercato di progettare e costruire oggetti che entrino a tutti gli effetti a far parte dell’insieme delle opere di architettura, ma che siano contemporaneamente oggetti in cui la struttura assume un ruolo importante e determina l’aspetto formale. I progettisti moderni si mettono alla ricerca di forme strutturali efficaci ed esteticamente piacevoli con indagini statiche, studi costruttivi, attenzione al risultato formale (cfr. Cap. 3). In varie epoche della storia dell’architettura si trovano però degli “oggetti” che riassumono in se stessi la coincidenza tra forma e struttura. Nel periodo gotico la coincidenza forma-struttura è conseguenza di motivazioni spirituali e allo stesso tempo scientifiche: alla base delle costruzioni del periodo infatti c’è una “scienza”, vale a dire l’insieme delle conoscenze scientifiche-empiriche dell’epoca. Brunelleschi inizia il cammino verso un metodo più rigoroso di progettazione ed a lui va il merito di aver tentato l’unione in un’unica figura di ideatore, tecnico e costruttore di un progetto. Gli stessi ingegneri dell’Ottocento non prestano attenzione al risultato estetico dell’opera che si accingono a progettare, il fine che hanno è quello di ottenere la massima prestazione dai nuovi materiali (come l’acciaio), di utilizzare procedimenti costruttivi innovativi, di mettere in pratica la scienza delle costruzioni che si stava sviluppando. Antoni Gaudì si serve di modelli fisici per la progettazione delle sue opere, ma queste, alla realizzazione, hanno molti elementi, soprattutto a livello decorativo, che denunciano una forte tendenza dell’architetto verso la naturalità e l’intuizione, e una sensibilità progettuale non codificata attraverso un metodo preciso. 21 Capitolo II 22 2.2 L’architettura gotica Le basi della cultura gotica sono gettate da San Tommaso d’Aquino, rinunciando al principio platonico dell’Idea in favore di quello aristotelico della Realtà. Il fondamento di questa cultura quindi è la razionalità di origine divina che si attua tramite le forme reali delle cose, della natura e dell’uomo. Le opere prodotte dall’uomo devono così tendere ad una perfezione che è testimonianza di Dio; tutto l’operato dell’uomo si carica di una valenza mistica. Il sogno di incredibili cattedrali ha piegato la prassi del fabbricare a produrre specifiche tecnologie che ne consentissero la realizzazione (v. Fig. 7). Figura 7. Cattedrale di Notre Dame, Parigi La tecnica diventa quindi un fare guidato dalla ragione e dall’esperienza, la “teoria dell’ideare” precede e condiziona la “tecnica del fare” e la figura dell’artista diventa centrale in quanto persona che ha una responsabilità tecnica ed ideologica. Anche se l’architetto gotico è giunto ad un livello, per così dire, di professionalità assai più elevato del suo predecessore romanico, ancora si chiama “tagliapietre” o “capomastro”, nonostante raccolga in sé la responsabilità della composizione e dell’esecuzione definitive. Dagli appellativi prima citati si può capire come l’architetto gotico abbia uno stretto legame con le maestranze, in quanto non esistono scuole per un apprendimento teorico, ma si impara in cantiere tutto il necessario per portare a termine una costruzione. Forma e struttura nella storia 23 Una delle figure che iniziano ad assomigliare in modo più significativo ad un architetto moderno è Villard de Honnecourt: è il primo che, imparato il mestiere in varie commesse, cerca di raccoglierlo e di divulgarlo in modo da ampliare le conoscenze tecniche e contribuire al progresso dell’arte costruttiva. Il suo testo era nato come un taccuino di appunti, ma poi è diventato un vero e proprio manuale per gli apprendisti (v. Fig. 8). In esso univa didascalie e spiegazioni a piante, sezioni, prospetti e vedute, divenendo così una specie di “summa” che dimostra quanto fosse importante per ogni capomastro avere dei modelli da imitare e seguire. Figura 8. Disegno di Villard de Honnecourt Nel periodo gotico si perfeziona il sistema ad ossatura, la tecnica degli archi ogivali riduce le spinte laterali, archi rampanti e contrafforti divengono mezzi per far fronte alle spinte. Tutta questa “macchina statica” viene portata all’esterno della cattedrale per riuscire ad ottenere all’interno un grande vuoto ed una grande altezza, come richiesto dallo spirito religioso del tempo. Il vocabolario figurativo viene a coincidere con le linee delle forze e con le linee isostatiche (cfr. Cap. 5) che, dalla navata centrale, altissima e libera all’interno, devono giungere al terreno (v. Fig. 9). 24 Capitolo II Figura 9. Archi rampanti della cattedrale di Reims La maggiore responsabilità dell’architetto gotico è naturalmente statica-strutturale, cioè il grande edificio-cattedrale deve necessariamente stare in piedi. Un esempio di soluzioni gotiche ai problemi strutturali lo si può trovare nella controversia che sorse a Milano nel 1386 durante la costruzione del Duomo. Iniziata la costruzione dell’enorme cattedrale, i capomastri della fabbrica si trovarono di fronte al problema del dimensionamento: non erano in grado di decidere quanto avrebbero dovuto essere alti i pilastri, le navate e le volte della navata centrale. Si rivolsero perciò a maestri francesi e tedeschi per avere una soluzione, ma ognuno ne proponeva una diversa, poiché le loro considerazioni non erano basate su indagini statiche precise, ma si trattava semplicemente di regole empiriche che si erano rivelate efficaci nel corso delle generazioni e nel corso dei tentativi in cui erano state usate. Quello che tuttavia interessa notare è che, per questi architetti, il problema strettamente dimensionale era secondario: la cosa più importante era lo schema astratto generale, la forma dell’edificio, che era indispensabile per risolvere i problemi statici. I tentativi di compiere calcoli statici in senso moderno furono davvero poca cosa. Forma e struttura nella storia 25 Non poche chiese crollarono durante o poco dopo la costruzione, e quelle che restarono in piedi erano, probabilmente, sovradimensionate se guardate con occhio moderno. I capomastri medievali si occupavano di un problema statico applicando il metodo secondo loro più appropriato e i mezzi scientifici che avevano a disposizione. 2.3 Filippo Brunelleschi Il più eloquente esempio di perfetta fusione tra obiettive istanze tecniche e soggettiva sensibilità estetica, si può trovare nella descrizione dei pensieri, delle lunghissime, tormentose meditazioni, nella raggiunta certezza sull’efficienza delle proprie intuizioni, che permisero a Brunelleschi di vincere la lunga battaglia contro le terrificanti difficoltà costruttive, e l’incomprensione dei contemporanei, per la realizzazione della cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze [2]. Con queste parole Pier Luigi Nervi fa capire come Filippo Brunelleschi entra di diritto a far parte di coloro che producono opere di architettura a partire da riflessioni che non siano puramente formali. Della personalità di Brunelleschi, infatti, non si sa se ammirare di più l’inventiva e la sensibilità dell’architetto, la profondità dell’intuizione e le conoscenze tecniche dell’ingegnere o la cura del dettaglio e l’amore verso la propria opera di costruttore. Brunelleschi inizia nel Rinascimento una riflessione matematica sui risultati ottenuti nelle epoche precedenti, ossia una riflessione su ciò che viene chiamato “metrica” romanica e gotica. Si va alla ricerca di un ordine, una logica, una legge, una disciplina, insomma le basi di un metodo, che non lasci la nascita del progetto di architettura al caso, ma che ne getti delle solide fondamenta. In quanto uomo del Rinascimento, egli trova questo ordine a partire dall’ordine classico, da quel linguaggio all’antica formato da stili e moduli, che vengono aggregati in maniera sempre differente per ottenere nuove forme (v. Fig. 10). La ricerca della nuova legge che regoli un’opera di architettura è però anche frutto dell’intuizione e della sperimentazione di nuove tecniche costruttive. 26 Capitolo II Figura 10. Spedale degli innocenti, Firenze Nella cupola di Santa Maria del Fiore, pensiero e arte, scienza nuova, poetica e genio si integrano, dando luogo ad una forma nuova. Dalle intuizioni statiche e costruttive che hanno guidato Brunelleschi, si vede chiaramente che esse sono state «i dati determinanti della definizione del profilo della cupola, della massa del lanternino e del rapporto volumetrico di questi due elementi che costituiscono la base della meravigliosa armonia che, a tanti secoli di distanza, ci commuove così profondamente» [2] (v. Fig. 11). Figura 11. Cupola di Santa Maria del Fiore, Firenze Forma e struttura nella storia 27 Studiando le architetture romane, ed in particolare la Domus Aurea di Nerone ed il Pantheon, Brunelleschi rimane incuriosito da come gli architetti romani avevano affrontato i vari problemi statici: come neutralizzare le forze che agiscono sulla volta? Brunelleschi nel progetto della sua cupola ha lo stesso problema. Come è noto, la pietra ed i mattoni hanno grandissime capacità di resistere a compressione, mentre questo non accade in alcun modo per la resistenza a trazione. Nella cupola deve fronteggiare le forze di trazione, poiché le cupole caricate dall’alto tendono a gonfiarsi alla base, generando in questo punto sforzi di trazione. Una cupola è costruita sul principio dell’arco: una volta completata si regge su se stessa funzionando come un insieme di archi. Il problema della costruzione di una cupola è che fino al posizionamento della pietra finale (cioè la chiave degli archi), la tendenza della costruzione è di crollare verso l’interno. Per questo motivo normalmente si usano delle centine per costruire archi e volte. Brunelleschi risolve questo problema ed elimina l’uso della centina utilizzando in particolare due soluzioni dettate dalla sua intuizione, dai suoi studi sul comportamento statico e dalle sue sperimentazioni sulle tecniche costruttive. Decide di utilizzare la tecnica detta “di giro in giro”, vale a dire che si attende l’asciugatura della malta di un corso di muratura prima di iniziare il successivo. Fa disporre i mattoni (al di sopra di una certa quota) a spina di pesce; questi mattoni disposti perpendicolarmente che fuoriuscivano dai corsi orizzontali, interrompendo gli stessi, li suddividevano in piccole sezioni e li rendevano analoghi a piccoli archi orizzontali capaci di resistere alla gravità. Questo accorgimento, da solo, non sarebbe bastato tuttavia a contrastare il crollo della cupola verso l’interno: il colpo di genio statico-costruttivo di Brunelleschi fu la creazione di uno scheletro circolare, posto tra le due calotte di cui è composta la cupola, su cui si conformasse la struttura ottagonale della stessa. In questo modo si ottiene una struttura autoportante che rende possibile il non utilizzo della centina (v. Fig. 12). Tuttavia guardando oggi la cupola si possono ben notare le fessure che si sono formate lungo gli archi utilizzati per la cerchiatura dei costoloni. Nonostante i grandi meriti di Brunelleschi, quindi, l’organismo statico da lui intuito non ha perfettamente funzionato. 28 Capitolo II Figura 12. Spaccato assonometrico della cattedrale 2.4 L’ingegneria dell’Ottocento e Gustav Eiffel L’ingegneria ottocentesca apre quel filone che si può definire del “razionalismo costruttivo”, cioè una metodologia libera da mode formali e in continua ricerca di integrazione tra funzione, costruzione e immagine. L’architettura moderna, nata da una violenta crisi d’identità, nel primo periodo, ha posto ingegneri e architetti fianco a fianco nel cercare di tracciare una nuova via progettuale. Si erano appena scoperte le possibilità teoriche e pratiche delle strutture elastiche in acciaio, e quindi si poteva attuare lo svincolamento dagli schemi obbligati della muratura attraverso il superamento del concetto di equilibrio per masse gravanti. Costruendo strutture a luce sempre più ampia, edifici sempre più alti, strutture sempre più esili, si è venuto a creare un nuovo Forma e struttura nella storia 29 linguaggio attraverso un progressivo affinamento delle soluzioni, in cui il ruolo dell’intuizione ingegneristica è stato di primo piano. Tale ruolo si è imposto per mezzo di una serie di costruzioni (ponti, porti, ferrovie, fabbriche, stazioni) la cui valenza principale non era tanto l’aspetto esteriore, quanto la funzionalità dell’insieme, il corretto impiego dei materiali, l’economicità statica e costruttiva, l’uso di tecniche realizzative di tipo industriale, cioè tutte quelle componenti che l’ingegneria era chiamata a definire per dare la migliore soluzione ai problemi pratici della società industriale in via di formazione. Ponti e grandi coperture sono i temi di maggior interesse in questo periodo: in essi la struttura e la costruzione raggiungono livelli notevoli grazie all’impiego dei prodotti siderurgici. Alcuni esempi di strutture costruite in questo periodo e secondo questi principi sono: il ponte in ghisa sul Severn a Coalbrookdale del 1779 (v. Fig. 13), il ponte Firth of Forth in Scozia del 1885 (v. Fig. 14), il ponte di Brookling a New York del 1883 (v. Fig. 15), il Crystal Palace per l’Esposizione universale di Londra del 1851 (v. Fig. 16), la Galerie des Machiens per l’Esposizione universale di Parigi del 1889 (v. Fig. 17). Figura 13. Ponte sul Severn, Coalbrookdale 30 Capitolo II Figura 14. Ponte Firth of Forth, Scozia Figura 15. Ponte di Brookling, New York Forma e struttura nella storia 31 Figura 16. Crystal Palace, Londra Figura 17. Galerie des Machines, Parigi Personalità di grande importanza e di grande nome del periodo è sicuramente Gustav Eiffel, soprattutto dopo l’Esposizione universale del 1889 a Parigi. Nelle sue opere, si può vedere come non ci sia un’idea formale alla base, il risultato si ottiene con la coerenza progettuale derivata dallo studio tecnico e costruttivo. Il viadotto sul Garabit (v. Fig. 18) dimostra come venga utilizzato l’arco a sezione variabile per resistere alle varie sollecitazioni e contrastare l’instabilità. 32 Capitolo II Figura 18. Viadotto sul Garabit Il tema fondamentale delle opere di Eiffel (ma il concetto si può estendere anche a tutte le opere del periodo) è la sincerità strutturale: ogni elemento della costruzione è conformato e posizionato in base a ciò che deriva dall’analisi statica della struttura stessa. L’opera principale di Eiffel è ovviamente la Torre omonima costruita a Parigi nel 1889 in occasione dell’Esposizione universale (v. Fig. 19). Essa occupa un posto particolare nell’opera dell’ingegnereimpresario perché, oltre ad essere un riferimento per tutti gli appassionati di architettura, è l’elemento che congiunge i due momenti dell’attività di Eiffel: segna l’apoteosi delle costruzioni metalliche e costituisce l’inizio dei suoi lavori scientifici. Il profilo della torre è quello che si ottiene imponendo la condizione di uniforme resistenza a compressione ed anche un carico laterale uniformemente distribuito, cioè il vento, su tutta la struttura (cfr. Par. 7.3.2). È quindi un preciso motivo statico che ne determina la forma, ma la torre è divenuta anche un oggetto d’arte fino al punto di essere fonte d’ispirazione per artisti che la celebrano nei dipinti. Forma e struttura nella storia 33 Figura 19. Torre Eiffel, Parigi Quello che vale per la Torre Eiffel vale per molte altre opere di questo periodo: esse sono ormai acquisite dalla storia dell’architettura poiché, anche se sono state esplicitamente progettate per risolvere problemi essenzialmente costruttivi, è evidente al loro interno l’operato di una volontà architettonica ordinatrice dell’insieme e dei dettagli. Gli elementi standard prodotti in officina e montati in sito con tecniche ideate appositamente per ovviare a ragioni di economia e rapidità di costruzione, non sono che un pretesto e un supporto materico per concretizzare un’idea architettonica; e l’obiettivo di ridurre al minimo il peso della struttura, massimizzando il rendimento statico di ciascun elemento, contribuì non poco a sovvertire coscientemente i rapporti proporzionali accreditati dall’estetica della costruzione muraria [3]. Leggendo in questa chiave le realizzazioni dell’ingegneria ottocentesca, le necessità dei materiali e la sincerità strutturale, divenuti fattori guida della progettazione, hanno prodotto soluzioni di grandissimo interesse, tanto che molti schemi strutturali e soluzioni costruttive introdotte in queste opere sono diventate archetipi dell’architettura del Novecento. Capitolo II 34 2.5 Antoni Gaudì Gaudì era un architetto differente dai suoi contemporanei: il suo temperamento lo portava a privilegiare l’esperienza come strumento di conoscenza rispetto allo studio teorico; egli non lavorava al tavolo da disegno, lo si trovava sempre in cantiere a progettare, discutere, trovare e scartare soluzioni. Il progetto era visto come una lunga gestazione piena di tentativi e revisioni continue. Il suo metodo progettuale consisteva principalmente nella sperimentazione prima della costruzione, come chiaramente dimostrato dall’uso di modelli appesi, fotografati e rovesciati per ottenere le forme da dare agli elementi dei suoi progetti (come approfondito al successivo Par. 6.4) (v. Fig. 20). Figura 20. Modello a fili per Santa Coloma Guardando le sue opere ci si accorge facilmente di quanto queste siano ricche di ornamenti e di elementi per così dire accessori. Per Gaudì però l’ornamento ha un valore superiore a quello di una semplice sovrapposizione, perché la pelle dell’edificio deve essere significante e comunicativa. La sua predisposizione verso la natura e la conseguente riproposizione di temi naturali come decorazione diventa espressione di come vede la natura stessa, cioè come una forza Forma e struttura nella storia 35 che opera sotto la superficie, e proprio per questo la superficie stessa diventa testimonianza di questa forza interna. Quindi la forma che assume l’edificio è derivata dal flusso delle forze (naturali e non strettamente di tipo statico) che lo attraversano. Gaudì definisce un universo formale proprio, i cui riferimenti non si trovano nella storia dell’architettura, ma nel mondo della natura e soprattutto nella mente dell’architetto e nella sua ansia di simbolizzare le idee mediante la forma e la materia. Si prenda ad esempio il cancello della Finca Guëll (v. Fig. 21): la figura rappresenta un drago dalle fauci spalancate, ma la parte superiore, cioè la linea che individua l’ala del drago, è conformata secondo quello che è il diagramma del momento di una trave incastrata su un lato. Figura 21. Cancello della Finca Guëll, Barcellona Anche all’interno del Parco Guëll, alcuni elementi vengono modellati in base al flusso delle forze che li attraversano: le colonne dei vari porticati (v. Fig. 22) sono inclinate in modo da scaricare a terra le spinte provenienti dai camminamenti sovrastanti, anche se l’aspetto esteriore di ognuna è diverso rispondendo al criterio di somiglianza con gli elementi naturali proprio di Gaudì. Si può così comprendere come l’architetto si proponeva di seguire i principi di Viollet-le-Duc sul razionalismo strutturale, ma si limitava all’analisi dei materiali e delle tecniche costruttive. Allo stesso modo vengono trattati molti elementi decorativi del parco, come i rettili all’ingresso, che sono insieme ornamento e scarico per l’acqua meteorica. 36 Capitolo II Figura 22. Parco Guëll, Barcellona Nella chiesa di Santa Coloma de Cervellò, di cui è stata costruita solo la cripta (v. Fig. 23), struttura e forma dipendono l’una dall’altra: i pilastri non si inclinano per imitare le forme della natura, ma per adeguarsi alle tensioni alle quali sono sottoposti; l’inclinazione è stata determinata sempre utilizzando un modello “appeso” che ha permesso di misurare le spinte su archi e colonne; le nervature ottenute con gli archi di mattoni rispecchiano le tensioni che la chiesa avrebbe trasferito sulla cripta. Tuttavia persiste l’imitazione della natura e per questo ogni colonna diventa di materiale e di forma diversa, come gli alberi sono tutti diversi tra loro. L’architettura di Gaudì elimina il dualismo esistente tra elementi portanti ed elementi portati, supera i sistemi costruttivi intelaiati e quelli ad archi e volte, e raggiunge una continuità organica attraverso l’uso di materiali omogenei (come la pietra e il mattone) e l’utilizzo dell’arco parabolico. Nonostante la precisa volontà di sintesi tra forma e struttura, nell’opera di Gaudì non c’è razionalizzazione del processo progettuale, ma c’è intuizione e sperimentazione. Forma e struttura nella storia Figura 23. Cripta di Santa Coloma de Cervellò, Barcellona 37 3. FORMA E STRUTTURA IN PROGETTISTI MODERNI E CONTEMPORANEI 3.1 I progettisti ed il rapporto forma-struttura In epoca moderna e contemporanea possiamo ricercare figure di architetti e di ingegneri (ma più spesso sono personalità intermedie e composite) che abbiano impostato la propria concezione dell’architettura, il proprio modo di interpretare il progetto, la propria “poetica” per così dire, sul concetto di unione tra forma e struttura, tra estetica e tecnica, tra architettura e ingegneria. Ognuno di loro sviluppa un’idea differente, ognuno è spinto a cercare questo rapporto da motivazioni differenti, ognuno ottiene ovviamente risultati differenti. Questi risultati sono necessariamente anche frutto dello specifico periodo in cui opera il progettista, delle commissioni che riesce ad ottenere e delle tecnologie che ha a disposizione. Ad esempio, i progettisti che hanno operato principalmente negli anni Cinquanta e Sessanta sono influenzati nella loro concezione progettuale dall’avvento del calcestruzzo armato e delle nuove tecniche della precompressione: «il cemento armato è il più bel sistema costruttivo che l’umanità abbia saputo trovare fino ad oggi. Il fatto di poter creare pietre fuse, di qualunque forma, superiori alle naturali perché capaci di resistere a trazioni, ha in sé qualche cosa di magico» [4], diceva Pier Luigi Nervi. Al giorno d’oggi, allo stesso modo, si utilizzano sempre più frequentemente membrature in acciaio, materiale che è oggetto di grande ricerca tecnologica. Questa capacità di far tesoro della tecnologia contemporanea è chiaramente riscontrabile anche guardando le opere di progettisti contemporanei come Eero Saarinen, Norman Foster, Richard Rogers, Renzo Piano, Ove Arup & Partners e Arata Isozaki, detti da molti “architetti-costruttori” proprio per questo motivo. 39 40 Capitolo III Figura 24. David S. Ingalls Rink, New Haven, Connecticut Figura 25. Century Tower,Tokyo Forma e struttura in progettisti moderni e contemporanei Figura 26. Nuovo terminal T4, aeroporto Barajas, Madrid Figura 27. Aula liturgica della chiesa di Padre Pio, San Giovanni Rotondo 41 42 Capitolo III Figura 28. Opera House, Sydney Figura 29. Progetto per la nuova stazione TAV, Firenze I progetti di figg. 24, 25, 26, 27, 28 e 29, rispettivamente Saarinen, Foster, Rogers, Piano, Ove Arup e Isozaki, mostrano chiaramente come la forma dell’edificio sia stata caratterizzata e resa architettonicamente espressiva dalla struttura portante vera e propria. La copertura nel primo caso, i controventi eccentrici nel secondo, la trave curva nel terzo, gli archi nel quarto, i gusci nel quinto e l’intera struttura che regge la copertura nell’ultimo caso, sono elementi che danno forma ed estetica al progetto, ma sono anche e prima di tutto elementi staticamente resistenti (per quel che riguarda Isozaki, si tratterà più approfonditamente al successivo Par. 8.4). La coincidenza Forma e struttura in progettisti moderni e contemporanei 43 forma-struttura crea così oggetti che possono essere totalmente inseriti nell’insieme delle architetture esteticamente valide. I progettisti precedentemente citati, però, non inseguono in tutte le loro opere questo obiettivo, cioè non intendono il rapporto formastruttura come fondamento dei propri progetti: sono invece gli autori che si affronteranno di seguito a perseguire questa tematica. 3.2 Eduardo Torroja Miret (1899-1961) Ciascun materiale ha un suo carattere specifico ed ogni forma implica un suo particolare assetto statico. La soluzione naturale di un problema costruttivo – frutto di arte senza artificio –, che risponde compiutamente alle condizioni imposte, colpisce come una rivelazione e soddisfa, ad un tempo, i requisiti del tecnico e le esigenze dell’artista. La nascita di un complesso strutturale, risultato di un processo creativo, fusione di arte e tecnica, d’ingegno e di ricerca, d’immaginazione e di sensibilità, va oltre il regno della logica pura per varcare le arcane frontiere dell’ispirazione [1]. Così Torroja pone subito in evidenza l’importanza che a suo parere assumono i materiali, la struttura, i fenomeni statici e tensionali nel complesso iter che genera un progetto. In primo luogo viene posta l’attenzione sul materiale: le caratteristiche proprie di ciascuno si prestano a realizzare elementi costruttivi (o interi edifici) di certe tipologie e non di altre, perché ogni forma strutturale ha un determinato meccanismo resistente. La scelta dello schema strutturale è pertanto influenzata dalle proprietà intrinseche del materiale: ne è un chiaro esempio la pietra, che resiste a compressione e non a trazione, che quindi può essere impiegata in strutture che fanno del peso proprio l’elemento staticamente resistente e stabilizzante, ma non può essere usata in strutture che usano la trazione come meccanismo resistente. Connesso al concetto delle specifiche caratteristiche dei materiali, è il concetto dei “fenomeni tensionali”. Solo comprendendo quali sono le tensioni in gioco nel progetto si può capire se il materiale è quello corretto, in quantità opportuna e distribuito in modo esatto. Torroja sostiene che le configurazioni delle tensioni e delle deformazioni devono essere studiate, meditate e sperimentate dal progettista fino a sentirle «come cosa propria, naturale e congenita» [1]. Sviluppando in questo modo una specifica sensibilità verso il comportamento resistente degli oggetti, è possibile riuscire ad intuire a colpo d’occhio 44 Capitolo III il funzionamento statico di ogni struttura ed il suo meccanismo eventuale di rottura. L’attenzione viene posta sull’intuito e sulla previsione prettamente qualitativa dell’assetto resistente, basati su tre concetti fondamentali: l’equilibrio, la resistenza, la stabilità. Il primo dei tre è sicuramente il più immediato da intuire: dati un sistema di vincoli ed un sistema di forze, si comprende a prima vista se una struttura è staticamente efficiente o meno (v. Fig. 30). Figura 30. Il concetto di equilibrio e labilità Per quel che riguarda la resistenza degli elementi, Torroja mette in guardia rispetto ad un facile e prematuro utilizzo del calcolo, in quanto in fase di ideazione risulta in gran parte inutile e quasi dannoso. Più importante è per lui la comprensione e l’utilizzo del “plessotensionale”, vale a dire la rete delle isostatiche che forniscono una raffigurazione del regime tensionale all’interno del solido (dell’uso delle linee isostatiche si parlerà più in dettaglio al Cap. 5) (v. Fig. 31). Figura 31. Plesso-tensionale all’interno di solidi L’intuizione dei fenomeni di instabilità è altrettanto semplice poichè chiunque si accorge che appoggiandosi ad un bastone lungo ed Forma e struttura in progettisti moderni e contemporanei 45 esile questo si inflette. Il progettista deve poi tradurre la comune osservazione in termini di carico di punta, snellezza, lunghezza libera d’inflessione ed andare a modellare la struttura in modo che è ancora qualitativo. Per riuscire ad interpretare a prima vista il comportamento strutturale, occorre «analizzare tutte le prevedibili condizioni di lavoro e tutti gli stati limite della struttura» [1]: una semplice schematizzazione per farsi un’idea di dove si concentrano le tensioni, di quali elementi sono tesi e quali compressi, se vi sono squilibri e via dicendo. Riflettendo poi sulle cause che determinano gli effetti sopra citati, «si è portati con naturalezza, quasi senza sforzo, a concepire le modifiche di forma richieste dal regime degli sforzi» [1]. La forma, quindi, è conseguenza delle modifiche da apportare alla struttura in conseguenza dell’intuizione sulle tensioni interne: «è raro che il valore estetico dell’opera visibile non risenta della forma e delle dimensioni della struttura» [1]. Di qui il tema della sincerità strutturale, cioè il considerare e proporre nel progetto il fenomeno statico e l’effetto estetico necessariamente insieme: «occorre fondere in un tutto la forma artistica e l’assetto strutturale (…); svincolando la personalità della struttura, si valorizza la sua estetica intima, tanto da poter parlare di “arte strutturale”» [1]. Chi fruisce dell’opera si accorge della sincerità e ne rimane colpito nell’immaginazione e nell’emozione come accade per un’opera d’arte (v. Fig. 32). La struttura è forma e bellezza, tanto che si può affermare che la rappresentazione di un assetto statico assurdo diventa antiestetico: «la Bellezza è lo splendore della Verità», disse un filosofo antico, e Torroja fa proprie queste parole. Figura 32. Ippodromo della Zarzuela, Madrid, 1935 46 Capitolo III 3.3 Pier Luigi Nervi (1891-1979) Una struttura, o un manufatto qualsiasi, strettamente inquadrato da leggi statiche e dinamiche estranee alle volontà e sentimenti estetici umani – il profilo parabolico di un grandissimo ponte, la catenaria delle funi di un ponte sospeso, le forme strettamente aderenti alle leggi aerodinamiche di un velivolo veloce – possono essere considerati fatti artistici? [2]. La risposta che Pier Luigi Nervi dà a questa domanda è decisamente affermativa. Egli, infatti, concepisce la tecnica costruttiva, ed in particolare la statica, come linguaggio per esprimere l’idea di architettura, riuscendo in questo modo a trovare armonia tra statica, funzionalità, economia e forma estetica. «L’opera architettonica non è tale se non quando è diventata realtà vivente di materiali e organismo atto a soddisfare gli scopi funzionali ed economici per cui è sorta» [4]; le opere di architettura non sono “arte” finchè non vengono costruite, vale a dire che non si realizzano rimanendo solo su carta, come accade per altre forme artistiche (poesia, pittura, musica, ecc). La riflessione si sposta sull’unione tra estetica, statica e costruzione, e su come, nel passato, quest’unione sia sempre stata perfetta e abbia generato grandi capolavori nei quali non si riesce a distinguere se la bellezza sia nata da una matrice estetica o staticocostruttiva. Occorre pertanto riunire le tre mentalità: quella pratica (il costruttore), quella analitica (l’ingegnere) e quella ideativa ed estetica (l’architetto). Al momento dell’approccio al progetto, quindi, l’architetto e/o l’ingegnere dovrà essere capace di riunire tutti questi elementi con una sensibilità che è un proprio patrimonio: l’ideazione di un sistema resistente è atto creativo che solo in parte si basa su dati scientifici; la sensibilità statica che lo determina, sia pure necessaria conseguenza dello studio dell’equilibrio e della resistenza dei materiali, resta, come la sensibilità estetica, una capacità puramente personale o, per meglio dire, il frutto della comprensione ed assimilazione, compiutesi nello spirito del progettista, delle leggi del mondo fisico [2]. Progettazione statica ed estetica hanno, quindi, una matrice comune, da qui nasce la convinzione, diventata poi filosofia progettuale di Nervi, che «l’ubbidienza alle leggi della statica sia di per sé garanzia di riuscita estetica» [4], che le forme che ottiene Forma e struttura in progettisti moderni e contemporanei 47 modellando le strutture secondo le forze nello spazio abbiano grande valenza espressiva (v. Figg. 33 e 34). Figura 33. Cartiera Burgo, Mantova, 1961 Figura 34. Palazzo per esposizioni, salone B, Torino, 1947 La struttura portante fa così il suo ingresso nella problematica estetica, poiché l’intero sistema portante non è più visto solo come “ossatura” dell’edificio, ma diventa l’edificio stesso. La correttezza statica, base, in sostanza, di una correttezza architettonica, è sufficiente ad ottenere un aspetto estetico soddisfacente o per lo meno non disturbante (…); l’opera corretta potrà passare dalla più insignificante modestia estetica alla più espressiva bellezza, in relazione alle sostanziali ed inconsce capacità e sensibilità del suo progettista, ma in ogni caso non sarà mai aggressivamente fastidiosa [2]. 48 Capitolo III Per sostenere questa tesi, Nervi considera anche manufatti al di fuori del campo dell’ingegneria civile e dell’architettura, come grandi navi, grandi aerei, le automobili in costante evoluzione: «è facile constatare che tutti gli esemplari veri sono anche esteticamente soddisfacenti» [2]. Anche se non si riesce a dare una spiegazione sull’origine della sensibilità umana verso forme determinate dalle leggi della statica e della dinamica, si può certamente affermare che questa sensibilità esiste ed è molto radicata nella nostra mentalità. Ogni realizzazione, quindi, che rispetti il criterio dell’“ottima efficienza” è sempre esteticamente soddisfacente, cioè, per sintetizzare, con una frase dello stesso Nervi: «la verità resta l’indispensabile condizione del buon risultato estetico» [2]. Alla luce di queste considerazioni, è facilmente comprensibile il rapporto che nell’opera nerviana insiste tra forma e struttura: le forme sono una conseguenza della sostanza determinata dalle leggi statiche che fanno capire le forze nello spazio, e non il contrario. Esempio chiaro di questa concezione sono i sistemi a superficie resistente, nei quali l’efficienza statica è diretta conseguenza della forma: lo stesso Nervi propone di battezzare questi sistemi “strutture resistenti per forma” (già citate al Par. 1.3). La maggior parte delle volte queste strutture corrispondono a superfici a doppia curvatura o corrugate, in cui lo spessore è molto piccolo rispetto alle dimensioni della superficie stessa, ma si possono inserire in questa categoria anche strutture che seguano l’andamento delle linee isostatiche (v. Fig. 35). Figura 35. Aula delle udienze pontificie, Città del Vaticano, 1966 Forma e struttura in progettisti moderni e contemporanei 49 3.4 Riccardo Morandi (1902-1989) Basta possedere anche una modesta dimestichezza con la progettazione per sapere che è sempre possibile, entro certi limiti, risolvere un tema in più maniere perfettamente equivalenti, funzionalmente, staticamente ed economicamente. A questo punto la scelta definitiva della soluzione tra le tante valide, e l’amorosa cura del dettaglio formale trascendono il fatto puramente tecnico e, intenzionalmente o inconsciamente, partecipano della creazione artistica [3]. Morandi non ha mai accettano né impostazioni astratte o formaliste né impostazioni derivate strettamente dal calcolo e dai dati tecnici, ma ha fatto in modo che l’intuizione dell’intero organismo e dei suoi dettagli fosse alla base dei suoi progetti. Ha sempre avuto, infatti, una precisa ostilità nei riguardi del superfluo e del gratuito derivanti da concezioni progettuali strettamente formali, ma anche un convinto rifiuto di correnti troppo tecniche e tecnologiche completamente disinteressate al ruolo della forma nel progetto. «Alla scoperta del ruolo architettonico della struttura si è fatto strada in lui il legittimo dubbio della validità di certe frontiere tra ingegneria ed architettura, fra intuizione e razionalità, fra qualità dell’immagine ed esattezza del calcolo» [3]. Matura così in Morandi la negazione di ogni validità sia della tecnica fine a se stessa sia del preconcetto formale non giustificato dalla statica, a favore di «un disegno architettonico chiaro ed aderente all’ideale di equilibrio tra funzionalità dell’impostazione, rigore della soluzione strutturale e qualità dell’immagine finale» [3]. L’ordine strutturale, le sue leggi, i suoi suggerimenti non eludibili, diventano cardine anche per la risoluzione formale. Nei suoi progetti la disposizione e la forma delle varie membrature adottate, gli schemi semplici e chiari, esprimono la loro funzione statica, passando così dal ruolo di espedienti costruttivi a quello di sostanza dell’architettura (v. Fig. 36). 50 Capitolo III Figura 36. Centro manutenzione Boeing 747 Alitalia, Fiumicino, 1969 «Ha creato strutture che risolvono il calcolo statico in potenti composizioni spaziali» [6]. Morandi raggiunge i più elevati risultati tecnici ed estetici puntando sul rischio, sull’insicurezza, sullo squilibrio. Mensole, stralli, telai si compongono in modo per niente classico, come invece operava Nervi creando strutture alla ricerca di un equilibrio rassicurante, simmetrico e statico. Le sue strutture sono piene di drammaticità: le membrature coincidono con le linee-forza dell’intero sistema, ma sono portate fino al limite, cioè fino a far assomigliare la struttura con la forma che essa stessa potrebbe avere poco prima di formare un ipotetico meccanismo di rottura (v. Fig. 37). Figura 37. Padiglione sotterraneo per il Salone dell’Automobile, Torino, 1958 Forma e struttura in progettisti moderni e contemporanei 51 L’opera dell’ingegnere diventa opera dell’architetto, identificando la struttura e la sovrastruttura, la forma ed il contenuto, senza negare più al progetto dell’ingegnere valore architettonico. Come nel Cinematografo Maestoso (v. Fig. 38), dove i sei grandi telai zoppi rappresentano l’elemento dominante della costruzione e la sua stessa ragione d’essere. Figura 38. Cinematografo Maestoso, Roma, 1954 Nell’impegno progettuale occorre dimenticare la divisione che nel tempo si è fatta sempre più profonda tra spatium del calcolo e locus della figura; si rende vana così ogni distinzione tra ingegneria ed architettura, integrando in un unico gesto calcolo, schema statico e spazio architettonico (v. Fig. 39). Figura 39. Viadotto sul Polcevera e sul parco ferroviario, Genova, 1960 52 Capitolo III 3.5 Felix Candela (1910-1997) L’opera di Felix Candela è strettamente unita alla ricerca strutturale ed in modo particolare ad una tendenza, tipica del dopoguerra, che si propone di arricchire l’architettura grazie all’adozione di forme complesse derivate da considerazioni strutturali. Già da studente, egli approfondisce lo studio delle strutture a guscio, essendo stato attirato da quanto si era costruito in Europa negli anni Venti (Dischinger in Germania, Freyssinet in Francia, Nervi in Italia, Torroja in Spagna). Le coperture leggere in calcestruzzo armato con forma di ombrelli spigolosi o di sinuosi manti, che Candela costruisce negli anni Cinquanta e Sessanta, lo resero il simbolo dell’architettura messicana del XX secolo. «Solo Candela riuscì a convertire le strutture laminari in un’opera d’arte», affermerà in seguito Otto Frei. Candela sostiene che, come avveniva già nel periodo gotico, l’architettura moderna deve nascere dall’analisi strutturale, e che solamente a partire da quest’ultima può ritrovare il suo carattere fondamentale. L’operato di Candela trova le sue migliori realizzazioni in committenze particolari, come quelle religiose o industriali, che generalmente richiedono uno spazio unitario, il quale spesso emerge dalle sue ricerche teoriche. Molti architetti sostengono che Candela è stato un magnifico strutturista: ma non riuscì a portare completamente a termine i suoi lavori; molti ingegneri invece sostengono che è stato un magnifico architetto: ma non sapeva come calcolare le sue strutture, poiché effettuava spesso questa operazione in modo intuitivo. Analizzando la sua opera, ci si accorge che egli si occupa prevalentemente di strutture, ma solo di quelle che sono indispensabili per l’architettura, e non di costruzioni proprie dell’ingegneria in senso stretto. Per questo motivo entra a far parte di quegli ingegneri-architetti che, a partire da considerazioni strutturali, creano opere di architettura. Il più grande contributo di Candela nell’ambito dell’ingegneria strutturale sono state le strutture a forma di guscio generate a partire dal paraboloide iperbolico (o Hypar): una forma geometrica di straordinaria efficacia che, nella versione a bordo libero, è diventata segno distintivo della sua architettura. Si può riconoscere infatti questo segno in molte sue opere, dalle prime (v. Figg. 40 e 41) fino ad alcune delle ultime (realizzate insieme a Santiago Calatrava), quali la copertura dell’edificio d’ingresso ed il ristorante sottomarino Forma e struttura in progettisti moderni e contemporanei 53 all’interno dell’Oceanografico della Città delle Arti e della Scienza di Valencia (v. Fig. 42). Figura 40. Los Manantiales, Xochimilco, 1957 Figura 41. Edificio della Bacardi, Città del Messico, 1958 54 Capitolo III Figura 42. Oceanografico della Città delle Arti e della Scienza, Valencia Come già visto, gli Hypar o paraboloidi iperbolici sono la formasimbolo della sua poetica, utilizzati e combinati in moltissimi modi. La più semplice struttura creata con gli Hypar è l’ombrello rovescio, che ha pianta rettangolare ed unisce quattro vele divise da linee rette che si congiungono al centro in un’unica colonna. Questa struttura costituisce una forma molto adatta ed economica per coprire spazi industriali, anche piuttosto ampi, come stazioni di servizio o altri luoghi in cui si muovono veicoli. Proseguendo con l’elaborazione degli Hypar, Candela scopre le parabole principali ed i tagli orizzontali (che sono iperboli): unendoli per i loro bordi curvi, ottiene una volta simile all’antica volta a crociera. Ulteriore passo è stato rendere gli ombrelli asimmetrici e con curvature diverse per rendere possibile il passaggio della luce. Arriva così a concepire la Chiesa della Virgen de la Medalla Milagrosa (v. Fig. 43). Forma e struttura in progettisti moderni e contemporanei 55 Figura 43. Chiesa della Virgen de la Medalla Milagrosa, Città del Messico, 1953 La struttura della chiesa è una successione di ombrelli asimmetrici e modificati a seconda delle necessità; le colonne prendono un andamento deformato, disegnato intuitivamente secondo i carichi che devono sopportare, ed in questo modo il passaggio tra appoggio e copertura avviene senza soluzione di continuità. Tutto il lavoro di Felix Candela riafferma il ruolo del progettista in relazione ai problemi strutturali: egli cerca sempre la forma del problema e non il problema della forma. 3.6 Sergio Musmeci (1926-1981) «La forma può essere il mezzo con il quale risolvere un problema strutturale. Si tratta certamente del mezzo più potente e, in ogni caso, dell’unico che permetta alla struttura di comunicare visivamente la propria realtà» [7]. Il lavoro di Sergio Musmeci fu indirizzato particolarmente alla ricerca della forma, che «nella misura in cui aderisce alla propria funzione statica, può divenire il veicolo di una comunicazione tra l’oggetto architettonico e la facoltà intuitiva del fruitore» [7]. La sua operazione progettuale fondamentale è l’introduzione di un ragionamento “per forma”: non il corretto dimensionamento di morfologie astratte nate per altre ragioni, ma un ragionamento che cerchi la forma migliore per veicolare le forze, una forma logica, 56 Capitolo III intuitiva ed innovativa. Questo tipo di ragionamento, da creativo sulla struttura diventa forza dell’architettura. Ne discende tutta la sua ricerca sulle forme minimali (il minimo strutturale), quelle cioè che assolvono al loro compito strutturale impiegando la minima quantità di materia e rivelando chiaramente i flussi delle forze che attraversano la struttura. Per Musmeci esiste una ed una sola quantità minima di materiale con cui una struttura può essere realizzata, una volta determinato il sistema di forze esterne. Il metodo progettuale che usa si compone, per questi motivi, di modelli di studio e calcoli matematici (v. Fig. 44). Figura 44. Modello per il ponte di Tor di Quinto, Roma «Non si può essere soddisfatti di un metodo progettuale che confini l’uso di strumenti razionali al solo processo di verifica, lasciando l’invenzione della forma ad atti progettuali gratuiti o assistiti solo dall’intuizione o dall’esperienza» [7], quando si va a metter mano ad un progetto moderno, con materiali moderni, non ci si può affidare solo all’intuizione, all’esperienza, al senso statico come facevano gli architetti del Rinascimento. Occorre esercitare la libertà di scelta tramite degli strumenti che consentano il controllo della forma e della struttura. «La forma è l’incognita, non le tensioni» [7], così Musmeci indica la strada che deve percorre il progettista: le tensioni sono note, sono le tensioni massime ammissibili dal materiale (o sono ad esse molto prossime), invece i dati geometrici che forniscono le dimensioni e la forma generale dell’intera struttura sono gli elementi da determinare. Seguendo questo metodo si riesce a concepire una struttura che non verifichi solo il criterio della sicurezza, ma anche l’economia e la coerenza con un programma formale architettonico. Forma e struttura in progettisti moderni e contemporanei 57 L’aderenza tra forma e contenuto statico diventa un’esigenza ancor più importante nella progettazione di ponti: «l’importanza dell’impegno statico della struttura giustifica la ricerca di forme di massima efficienza e quindi anche di forte potenzialità espressiva» [7] (v. Fig. 45). Figura 45. Modello per il ponte sullo stretto di Messina Le poche opere che è riuscito a portare a compimento sono esempi di architettura strutturale quasi allo stato puro (v. Fig. 46), nei quali la struttura diventa formalmente espressiva poiché è ottenuta da scelte fatte su forze e tensioni e sul modo migliore per veicolarle. Figura 46. Ponte sul Basento, Potenza, 1967 58 Capitolo III 3.7 Santiago Calatrava Valls (1951) L’evoluzione delle tecniche (in particolare quella di calcolo, ma anche quella dell’analisi strutturale, oltre ad alcune tecniche dei materiali) ha modificato non tanto la figura dell’architetto, quanto quella dell’ingegnere. Quest’ultimo possiede ora una nuova libertà, non più legata alle regole del calcolo o ad unico modello strutturale: l’opzione è ormai svincolata da parametri aprioristici rigidi. Potendo costruire secondo le leggi dell’intuizione, legate solo alla sensibilità, anch’egli è oggi in grado di “provocare emozioni” [8]. Da queste parole possiamo capire la posizione dello scultorearchitetto-ingegnere Calatrava e il suo continuo oscillare tra discipline che tradizionalmente soprattutto nel passato erano tenute rigidamente separate. Nei suoi progetti la struttura assume un ruolo da protagonista: non solo come elemento tecnico di opposizione ai carichi, ma anche come elemento formale, estetico, stilistico. Calatrava ha il pregio di porre la struttura in primo piano, di portare all’attenzione del pubblico il sistema portante, visto come forma dell’architettura. Egli esaspera le possibilità stilistico-estetiche della struttura e diviene ad un compromesso tra complessità formale e schematizzazioni imposte dagli schemi strutturali e costruttivi. Sebbene la sua ricerca rientri nel filone dello strutturalismo, le premesse da cui parte sono ben differenti da quelle di Nervi o Morandi ad esempio. Per questi ultimi l’espressività e l’estetica delle strutture sono il punto di arrivo di un processo scientifico e rigoroso, per Calatrava invece la conoscenza tecnica è un approfondimento per la sua vocazione artistica. L’ingegneria è uno strumento per dare forma alla ricerca spaziale trasformandosi da arte della razionalità ad arte della possibilità. «L’ingegneria è l’arte del possibile»: il confine tra lecito e illecito, ingegneristicamente parlando, è ininfluente se le operazioni che si devono compiere sono giustificate dall’ottenimento di un risultato formale ed espressivo. Un esempio di questo pensiero è dato dalla scultura “Torus” (v.Fig. 47): i volumi sospesi nello spazio formano sì una composizione staticamente controllata, ma lontana da ogni astratta razionalità. Forma e struttura in progettisti moderni e contemporanei 59 Figura 47. Scultura “Torus”, 1985 Si può affermare, quindi, che Calatrava sia prima scultore e poi architetto e ingegnere; assembla materiali e tecniche tradizionali per portare a termine la sua ricerca formale. La caratteristica della progettazione è una tensione plastica ed estetica verso le membrature, concepite all’inizio come sculture, realizzate poi come opere d’ingegneria, per giungere ad oggetti che siano architettura. La sua idea principale è quella di ottenere una tensione dinamica delle strutture: le membrature sono “in movimento”, come per cogliere il movimento delle forze all’interno della costruzione. Nascono così soluzioni dinamiche, spesso asimmetriche, al di fuori sia dal calcolo sia dal formalismo fine a se stesso (v. Fig. 48). Figura 48. Veduta e schizzo del ponte Alamillo, Siviglia, 1987 60 Capitolo III «L’architettura si fa dal dentro verso fuori, la naturalezza del materiale è decisiva» [8], vale a dire che lo strumento principe di progetto è la sezione. Questa è l’elemento tipico della costruzione, usato per risolvere tutte le problematiche, da quelle funzionali, a quelle strutturali, a quelle estetiche. La sezione tipo del progetto viene “estrusa” e modificata. Il calcolo della sezione rimane comunque uno strumento per realizzare le sue visioni e non nasce da un processo scientifico propriamente detto (v. Fig. 49). Figura 49. Schizzo e immagine del ponte 9 d’Octubre, Valencia, 1986 Ottimizzazione strutturale 4. OTTIMIZZAZIONE STRUTTURALE 4.1 Tematiche e metodi Una definizione completa di progettazione o delle procedure che concorrono alla realizzazione di un progetto potrebbe essere la seguente: «Insieme delle scelte, operazioni e mezzi che portano alla definizione delle caratteristiche di un oggetto in modo da soddisfare determinati vincoli, obblighi funzionali, requisiti estetici, obblighi e/o limitazioni dimensionali» [9]. Nella maggior parte dei casi la progettazione classica ci fornisce le caratteristiche che devono avere gli elementi costituenti l’opera stessa, siano essi facenti parte della struttura o della sovrastruttura. In genere le informazioni sulla forma derivano da requisiti specifici o da soluzioni progettuali già adottate. In questa definizione rientrano pertanto tutti i tipi di progettazione classica, da quella semplicemente architettonica, a quella puramente statica, a quella funzionale. La progettazione diventa perciò un’operazione complessa e multidisciplinare che investe settori e discipline molto diverse: economia, storia dell’architettura, urbanistica, scienze sociali, scienza delle costruzioni, tecnica delle costruzioni. Nell’ideare qualsiasi opera, il progettista può attingere a diverse metodologie progettuali. Prende corpo in questo modo una certa forma da assegnare all’oggetto, e si rende necessaria una struttura volta a far sì che la forma sia conservata. La progettazione strutturale è quindi uno strumento spesso secondario ed in un certo senso subordinato alla progettazione formale. I problemi che si presentano nell’analisi strutturale sono vari e si basano sulla ricerca, in funzione dei carichi esterni e delle condizioni al contorno, di risposte della struttura in termini di: stato di sforzo, stato di deformazione, spostamenti, frequenze di vibrazione, carichi di instabilità, rigidezza, ecc. Tutto ciò accade a meno che la struttura non diventi essa stessa “forma”: si arriva allora ad una filosofia della progettazione strutturale ben diversa da quella che generalmente presiede al lavoro dello strutturista. Questa nuova filosofia comporta innanzitutto la riappropriazione del progetto. Non si tratta più di svolgere un servizio tecnico, ma di assumere il controllo del processo progettuale [7]. 61 62 Capitolo IV In questo modo la struttura sarà un oggetto con valenza estetica ed incarnerà l’intento creativo del progettista di unificare forma, materiali, forze. Tuttavia è ancora molto presente una notevole distanza tra le due fasi di progettazione, formale e strutturale: nella maggioranza dei casi manca una metodologia con un livello di razionalità che deve essere almeno equivalente alla razionalità che si impiega nelle verifiche strutturali. Occorre un metodo che metta il progettista in condizione di esercitare le sue scelte formali con consapevolezza, responsabilità e razionalità. Un metodo generale utilizzabile è l’ottimizzazione strutturale. In molti settori dell’ingegneria meccanica e navale, dell’aeronautica, della biologia, la ricerca delle prestazioni ottimali di una struttura è alla base della fase progettuale; è fondamentale e necessario in questi casi definire in modo preciso e rigoroso una procedura per la valutazione delle scelte che si devono operare per raggiungere lo scopo prefissato. Anche la natura stessa opera in un certo senso per ottimizzazione: esempi di strutture naturali “ottimizzate” sono calici di fiori, foglie lanceolate, canne, gusci di uova e di insetti. Questo non vuol dire però «imitare gli organi animali o le forme naturali, ma comprendere le forti analogie che è possibile avere con la natura, quindi applicare le conoscenze delle strutture naturali alle strutture della tecnica» [10]. Un albero è una struttura meccanica che si auto-ottimizza, ciò significa che gli alberi fanno un uso rigoroso ed economico del proprio materiale. In una struttura ottimizzata, non ci sono aree eccessivamente caricate (possibili punti di rottura), né aree troppo poco caricate (punti in cui si spreca materiale), essa ha uno stress più o meno uniformemente distribuito in ogni punto. La possibilità di definire delle relazioni tra tecniche d’ottimizzazione matematicastrutturale e processi naturali di formazione e accrescimento delle strutture biologiche, consente un’analisi più efficace della configurazione strutturale e del comportamento meccanico di molti tessuti biologici tipici di piante e animali. Le strutture biologiche, così, offrono molti spunti per lo sviluppo di tecniche, modelli matematici e nuovi materiali da utilizzare in campo strutturale ed ingegneristico. Una struttura va progettata per sopportare in maniera più efficiente possibile le condizioni di carico a cui è soggetta nella sua vita utile; per raggiungere tale scopo è necessario dotarsi di un modello di analisi, sia esso fisico o matematico, che consenta di conoscere lo Ottimizzazione strutturale 63 stato tensionale, deformativo ed eventualmente termodinamico dell’oggetto. Il problema si pone quindi come problema di ricerca della “configurazione ottimale”: una volta definiti gli obiettivi che si vogliono perseguire, le quantità che possono essere variate per raggiungere tali obiettivi e le limitazioni alle possibili soluzioni raggiunte, si procede con la creazione di un modello che rappresenti la struttura, le condizioni di carico e di vincolo, si impone la condizione di ottimo e si controllano le soluzioni in base ai criteri precedentemente fissati. Tra le varie metodologie che si possono prendere in considerazione per una progettazione basata sull’ottimizzazione strutturale, si ricordano: ottimizzazione con uso di linee isostatiche; ottimizzazione con uso di modelli fisici; ottimizzazione con uso di calcoli manuali; ottimizzazione con uso di programmi di calcolo. Utilizzando questi metodi si ottengono forme che è difficile stabilire se siano trovate o cercate, ma che certamente possono testimoniare la cognizione della struttura che ha chi l’ha progettata, e i pensieri che le hanno dato forma e senso. 5. L’OTTIMIZZAZIONE CON LE LINEE ISOSTATICHE 5.1 Introduzione Si prenda un corpo continuo e si immagini di porre in risalto, in ogni punto, le tre direzioni principali: il loro inviluppo conduce a definire tre famiglie di curve mutuamente ortogonali alle quali si dà il nome di linee isostatiche. Lungo queste curve la tangente in ogni punto è diretta come una delle direzioni principali; per definizione, quindi, le direzioni che appartengono ad una linea isostatica sono soggette esclusivamente ad una componente assiale di sforzo, di trazione o di compressione. Si può così raffigurare il corpo continuo come un tessuto composto da fibre che si incrociano ortogonalmente tra loro. Se si guarda il diagramma delle linee isostatiche, si può vedere come il carico migri verso gli appoggi attraverso un “flusso” di tensioni (v. Fig. 50). Figura 50. Linee isostatiche in una lastra strutturale Si può dunque conservare l’equilibrio del continuo sostituendolo con un insieme di elementi filiformi non collegati tra loro e disposti lungo le linee isostatiche. «Se si riuscisse a tradurre concretamente quell’immagine di tessuto fibroso, concentrando la materia lungo un 65 66 Capitolo V reticolo formato dalle linee isostatiche, si potrebbe realizzare nel corpo una condizione ottimale di esercizio» [12]. Studiando quello che Torroja chiamava “plesso-tensionale”, vale a dire l’andamento delle isostatiche, si può comprendere il regime statico agente nel corpo. Un semplice esempio di struttura che ricalca l’andamento delle linee isostatiche sono gli archi aventi forma di catenaria. In questo tipo di archi, la forma coincide con la linea isostatica. Come già visto in precedenza, la forma dell’arco è dipendente dalla condizione di carico con la quale viene progettata. L’azione più importante per gli archi monumentali o non facenti parte di strutture complesse è il peso proprio. Esempi sono l’arco d’ingresso dello Stadio Ermano di Tolmezzo e l’ arco parabolico di Tacna, in Perù (v. Figg. 51 e 52). Figura 52. Arco parabolico, Tacna L’ottimizzazione strutturale con le linee isostatiche 67 Figura 51. Ingresso dello Stadio Ermano, Tolmezzo Altro esempio di struttura che segue le linee isostatiche è una cattedrale gotica. Si può vedere, infatti, come la macchina statica dell’edificio riprenda le linee isostatiche. Dall’alto verso il basso, le forze vengono prese dalla struttura ed essa si conforma secondo il loro passaggio. Il carico sulla navata centrale passa alle navate laterali tramite le volte a crociera della stessa e agli archi rampanti esterni, questo si ripete nelle navate intermedie, se presenti, e il tutto si scarica al terreno tramite i possenti contrafforti finali (v. Fig. 53). Le linee composte da costoloni, archi, pilastri polilobati, sono esattamente linee isostatiche, che fanno comprendere come si muova il flusso delle tensioni all’interno della struttura (v. Fig. 54). 68 Capitolo V Figura 53. Schema di una cattedrale gotica tipo Figura 54. Intersezione tra navata e transetto nella cattedrale di Amiens La conoscenza delle linee isostatiche consente l’ideazione di strutture con il flusso di tensioni ripartito su ampie superfici, le quali, L’ottimizzazione strutturale con le linee isostatiche 69 per la diffusione stessa, e quindi per la conseguente riduzione dei valori unitari di tali tensioni, consentono il più delle volte notevoli economie di materiale. Nel caso di volte cilindriche è molto utile il tracciamento di linee isostatiche che servono ad indicare, nel caso di costruzione in calcestruzzo armato, la migliore disposizione delle armature, e comunque ad offrire una guida per disporre aperture o elementi trasparenti. Nel caso di cupole, meridiani e paralleli sono linee isostatiche. Tali linee si adattano alla condizione di vincolo della cupola stessa, cioè si modificano a seconda che la cupola abbia un appoggio continuo o puntuale (v. Fig. 55). Figura 55. Andamento delle isostatiche nelle cupole «Il passaggio da un volume pieno ad un volume alleggerito può dunque attuarsi, dal punto di vista statico, distribuendo il materiale secondo le isostatiche» [12]. È quello che si fa anche nelle strutture in calcestruzzo armato con armatura lenta, cioè si supplisce all’incapacità del calcestruzzo di resistere a trazione con l’utilizzo di barre metalliche di armatura cui tali tensioni vengono affidate, e per questo si cerca di disporle in modo più aderente possibile alle isostatiche di trazione (v. Fig. 56). Va comunque detto che nella realtà pratica è molto difficile seguire le linee isostatiche, sia per la variabilità dei carichi che modificano le linee stesse, sia per le difficoltà esecutive. Capitolo V 70 Figura 56. Trave appoggiata: linee isostatiche e armatura La conoscenza dell’andamento delle linee isostatiche consente di progettare strutture ottimali ed efficienti. Se poi in tali strutture si creano canali principali di flusso, che convoglino solo le tensioni principali con eliminazione delle tensioni di scorrimento e quindi della materia divenuta con ciò superflua, si giungerà a quelle strutture a reticolo ed a trabecole, caratteristiche di tutte le costruzioni realizzate dalla natura. 5.2 Le ossa umane Nelle ossa umane ed in generale in tutte le ossa che portano pesi, lo spazio interno è riempito di midollo, di vasi sanguigni e di altri tessuti; tra questi vi è un sottile reticolo, costituito da trabecole ossee, che formano il cosiddetto tessuto spugnoso. In antichità ci si accontentava di descrivere questo tessuto come una specie di sostanza alveolare irregolare, invece oggi si sa che esiste un preciso ordine nella disposizione delle trabecole. L’anatomista scozzese Bell, all’inizio dell’Ottocento, intuì il rapporto tra trabecole e forze esterne, in quanto asseriva che questa minuta rete che costituisce la struttura interna dell’osso deve essere in rapporto con le forze che agiscono su di esso. L’americano Wyman, a metà Ottocento, si spinse più avanti poiché riuscì a capire che le trabecole sono disposte o nella direzione del peso L’ottimizzazione strutturale con le linee isostatiche 71 o in modo tale da sostenere le trabecole che si trovano in questa direzione. Von Meyer, nel 1867, mostrò che le trabecole visibili in una sezione longitudinale di un femore sono disposte lungo linee curve dalla testa alla diafisi vuota dell’osso, e che questi fasci lineari sono intersecati da altri fasci in modo che ogni incrocio sia quasi ortogonale. L’ingegnere e professore Culmann, sempre nel 1867, venne a conoscenza di quanto dimostrato da von Meyer e riconobbe che la disposizione delle trabecole ossee era il diagramma delle linee isostatiche. L’analogia individuata da Culmann è facilmente comprensibile se si affiancano la testa di un femore e la cosiddetta “gru di Culmann” (v. Fig. 57). Figura 57. Testa di femore, schema e “gru di Culmann” Nell’asta della gru, la parte concava o interna su cui sporge la testa caricata è la membratura compressa, e la parte esterna è la membratura tesa: le isostatiche di compressione, partendo dalla superficie caricata, si riuniscono insieme sempre nella direzione della pressione 72 Capitolo V risultante, fino a formare un fascio stretto che corre lungo il lato compresso dell’asta; le isostatiche di trazione, che scorrono verso l’alto, lungo il lato opposto dell’asta, si allargano nella testa incrociando ortogonalmente le linee di compressione. La testa del femore è ovviamente più complessa della schematizzazione di Culmann, ma non si ha difficoltà a vedere che la disposizione anatomica delle trabecole segue in modo preciso la distribuzione meccanica delle curve isostatiche. Anche il Colonnetti, nel 1941, afferma che la disposizione delle trabecole non è affatto casuale, ma è connessa agli sforzi che esse devono sostenere. Ciò è confermato non soltanto dal modo con cui tali trabecole si formano e si sviluppano nel bambino, ma soprattutto dal modo con cui, nell’adulto, esse si modificano spontaneamente in quelle ossa che, per qualsiasi ragione, vengono ad essere sollecitate in modo diverso dal solito. Si può dire quindi che per le ossa esistano i principi (formulati da Roux nel 1895): dell’adattamento funzionale, che significa adattamento dell’osso alla sua funzione attraverso il suo stesso utilizzo; del progetto di minimo-massimo, cioè di “ottimo”, che significa attingere la massima resistenza usando il minimo quantitativo di materiale. Per questi motivi, cioè perché l’osso tende ad avere una struttura interna ottima a partire da una prefissata condizione di carico, si può utilizzare anche un programma di calcolo di ottimizzazione per trovare la sua struttura interna, come mostrato in Fig. 58 (dei programmi di ottimizzazione si tratterà al successivo Cap. 8). L’ottimizzazione strutturale con le linee isostatiche 73 Figura 58. Testa del femore dopo l’ottimizzazione 5.3 I solai “nervati” Alcuni architetti più sensibili agli aspetti strutturali hanno proposto talvolta interessanti soluzioni proprio facendo appello alla nozione delle linee isostatiche, ottenendo non solo una razionale definizione progettuale, ma anche suggestivi effetti estetici. Basti ricordare alcune soluzioni proposte e realizzate da Pier Luigi Nervi. Lo studio dal punto di vista costruttivo ed esecutivo delle possibilità delle casseforme in ferro-cemento, ha permesso a Nervi di mettere in pratica la costruzione di solai le cui nervature fossero conformate secondo le linee isostatiche. Il fatto di comporre casseforme in ferro-cemento, infatti, restituisce alle nervature e alle travi una completa libertà formale, sia per quanto riguarda il tracciato, sia per quanto riguarda la profilatura (v. Fig. 59). 74 Capitolo V Figura 59. Studi di Nervi per solai che seguano le linee isostatiche L’aver messo a punto tale procedimento costruttivo mi ha permesso (…) di disporre le nervature di un solaio secondo le isostatiche dei momenti principali esistenti nell’interno di un sistema sollecitato da forze. Tali linee sono qualcosa di assoluto, dipendente esclusivamente dal gioco di forze in atto. Il meraviglioso è che così facendo, e limitando il nostro compito a quello di modesti interpreti di realtà fisiche, veniamo a scoprire armonie di forme, imprevedute e quanto mai espressive. Le nervature di un solaio disposte lungo le isostatiche dei momenti acquistano un andamento curvilineo di grande efficacia; più espressive ancora sono quelle di un solaio di tipo a fungo, ossia portato da pilastri disposti ad interassi uguali. Con elementi prefabbricati in ferro-cemento si potrebbe poi agevolmente passare a strutture resistenti per forma con nervature disposte lungo le isostatiche delle tensioni principali; si aprono campi di illimitate possibilità statiche ed architettoniche [2]. Esempi di queste parole di Nervi che descrivono le grandi possibilità e la grande efficacia dell’utilizzo delle linee isostatiche sono riportati alle Figg. 60 e 61. La seconda di queste rappresenta un solaio a fungo, mentre la prima è un solaio di tipo tradizionale, con un foro per il passaggio della luce al centro che modifica l’andamento delle isostatiche. L’ottimizzazione strutturale con le linee isostatiche Figura60. Aula delle udienze pontificie, Città del Vaticano, 1966 Figura 61. Lanificio Gatti, Roma, 1951 75 6. L’OTTIMIZZAZIONE CON MODELLI FISICI 6.1 Introduzione Qualunque progettista si rende conto dell’importanza di un modello in scala che rappresenti l’oggetto appena creato: «è noto che la distribuzione delle sollecitazioni interne in una struttura dipende esclusivamente dal tipo di struttura stessa e dai modi con cui le forze agiscono su di essa, e non dalla scala metrica dei sistemi agente e resistente» [2]. Tuttavia ciò è ben differente dall’utilizzo dei modelli in fase progettuale e non solo in fase di verifica di quanto ideato per altre vie. Questo metodo progettuale architettonico-strutturale è, quindi, alquanto differente dall’impostazione tradizionale di progetto, dove la geometria strutturale si considera come dato noto. Concepire la forma dell’edificio o dell’opera di architettura con metodi come questo implica che il design architettonico si sposti dalla produzione di oggetti “statici”, alla generazione di una organizzazione del materiale che sia in grado di rispondere in modo “dinamico” alla complessità dell’ambiente circostante. Il form-finding è un metodo progettuale introdotto “ufficialmente” negli anni Cinquanta, ma che veniva già utilizzato da tempo. Questo metodo esplora la tendenza del materiale ad auto-organizzarsi in relazione all’azione di particolari condizioni esterne di carico e di vincolo e alle caratteristiche intrinseche della materia stessa. Il tutto nasce da esperimenti, per lo più monoparametrici, sul comportamento di un dato materiale, per poi proseguire con analisi sulle superfici minime e sulle strutture a rete per capire come il materiale si autoorganizza descrivendo il minimo percorso o la minima superficie tra due punti o due lati. Nella progettazione architettonica viene usato per sviluppare forme strutturali efficienti derivate dall’applicazione di forze (in genere gravitazionali, ma non solo). È ben noto il chiaro rapporto che insiste tra configurazione geometrica e carichi applicati; risulta pertanto necessario trovare la sua forma geometrica iniziale nella quale essa è sottoposta solo al peso proprio e ad eventuali presollecitazioni. Trovata tale configurazione iniziale, lo stato “0”, si può poi procedere all’analisi 77 78 Capitolo VI delle varie situazioni di carico. Non si tratta di determinare una configurazione geometrica “naturale”, bensì «di determinare una configurazione geometrica associata ad uno stato coattivo di pretrazione, che permetta di soddisfare l’equilibrio statico in ogni parte della struttura e sia idonea a garantire la stabilità statica e dinamica nelle diverse condizioni di carico» [10]. La determinazione dello stato “0” viene eseguita in modo rigoroso in due fasi: una fase fondamentale iniziale con l’uso del modello, e una seconda fase di elaborazione di un modello matematico. Tuttavia si sottolinea l’importanza della prima fase in quanto, se condotta in maniera superficiale o inadeguata, rende praticamente inutile la modellazione matematica seguente. Tra le varie tipologie di modelli utilizzabili si trattano qui di seguito: i modelli di soluzione d’acqua saponata; i modelli in materiale elastico; i modelli di fili appesi o “rovesci”. 6.2 I modelli di soluzione d’acqua saponata Questa tecnica è basata sul principio per il quale una membrana d’acqua saponata, applicata su un perimetro chiuso, si dispone in modo da costituire, in ogni suo punto, una distribuzione uniforme di tensione grazie al fenomeno fisico della tensione superficiale. Operativamente questo esperimento “a fili e bolle” consiste in un dispositivo costituito da sostegni di diverse altezze alle estremità dei quali venivano appesi dei fili sottili rigidi o meno. Immergendo tale dispositivo in una soluzione saponata, la pellicola di sapone che si forma su questo singolare contorno, è la superficie di area minima avente all’incirca la forma di una tenda (v. Fig. 62). Per trasferire le forme così ottenute in strutture reali occorre eseguire una serie di misure. I metodi di rilievo geometrico su un modello a bolle di sapone sono essenzialmente di tipo fotogrammetrico. Il rilievo diretto è reso difficile ovviamente dal sottilissimo spessore delle pellicole che risultano trasparenti e difficilmente colorabili, per cui si è rivelato più facile utilizzare tecniche di rilievo che ne sfruttino il potere riflettente. Si può quindi proiettare sulla superficie un reticolo di punti, per registrare poi, fotograficamente, l’inclinazione dei raggi riflessi e ricavare le L’ottimizzazione strutturale con modelli fisici 79 coordinate dei punti. È possibile anche usare dei coloranti fluorescenti che, illuminati con luce ultravioletta, permettono di fotografare la traccia fluorescente che il piano di luce forma con la superficie colorata. Figura 62. Modello di soluzione d’acqua saponata 6.2.1 Lo Stadio olimpico di Monaco Tutte le tensostrutture in generale possono essere viste come risultato dell’applicazione e dello studio di modelli di soluzione saponata. Un esempio dell’utilizzo di questi modelli come metodo progettuale è senza dubbio lo Stadio olimpico di Monaco di Otto Frei costruito nel 1972 (v. Fig. 63). La struttura di copertura in questo caso non è composta in materiale tessile, ma è caratterizzata da lastre di vetro acrilico che rendono differente la realizzazione dal punto di vista costruttivo, ma che a livello globale si comportano come una tensostruttura. 80 Capitolo VI Figura 63. Stadio olimpico, Monaco, 1972 Si può vedere chiaramente come la forma della copertura sia nata in seguito a riflessioni sull’andamento delle tensioni e all’utilizzo di un modello che, una volta fissato il perimetro e i suoi vincoli, permetta di ottenere la forma delle tende in modo automatico una volta che vi si disponga sopra la soluzione saponata. Lo schema di equilibrio di queste coperture spaziali prevede la riduzione al minimo degli elementi di appoggio lavoranti a compressione e la trasmissione a terra dei carichi eminentemente attraverso reazioni di appoggio negative, ossia mediante vincoli sollecitati a trazione. Si passa così dal comportamento a gravitazione delle fondazioni tradizionali ad un sistema a regime di trazione: ciò significa che le strutture ottenute attraverso questo tipo di modelli, necessitano di una superficie di ancoraggio a terra ridotta e per punti. È inoltre importante ricordare che la struttura è irrigidita mediante cavi d’acciaio pretesi: la pretensione iniziale è necessaria affinché esse siano in grado di assorbire sollecitazioni di compressione, traducendole in perdita di pretensione; in pratica si riduce il comportamento delle stesse a quello di membrane curve, resistenti sia a trazione che a compressione, e per questo motivo dotate di forma propria e non più ipostatiche. Come già sottolineato, la stabilità di coperture come questa dipende dalla forma: infatti, poiché i cavi hanno curvature opposte nei punti in cui si incrociano nella copertura, essi si scambiano una mutua azione per effetto della pretensione, determinando in ogni punto la condizione di stabilità. L’ottimizzazione strutturale con modelli fisici 81 6.3 I modelli in materiale elastico Questi modelli sono realizzati o con una rete di materiale elastico ortotropo di poliestere (cioè tulle), o con membrane in gomma, o con membrane in neoprene e, solitamente, vengono costruiti in scala maggiore rispetto alla tecnica delle membrane a base di soluzioni saponate. La costruzione di questi modelli è piuttosto laboriosa, ma, dal momento che è abbastanza difficile disegnare superfici curve con tecniche che non prevedano l’uso di software avanzati, essa costituisce uno strumento di rappresentazione architettonica molto soddisfacente. L’ipostaticità geometrica e l’elasticità della rete o della membrana permettono di ottenere agevolmente superfici curve di grande efficacia. Questo tipo di modello viene usato principalmente per ipotizzare, analizzare e verificare le caratteristiche geometriche, funzionali ed estetiche della superficie in questione. Esso serve, infatti, per controllare e determinare l’altezza e la distribuzione del volume interno più soddisfacente, nonché per evitare la presenza di zone “piatte” nella copertura (modesta curvatura gaussiana locale), in quanto queste ultime presenterebbero capacità portante limitata e creerebbero problemi nello smaltimento delle acque piovane e della neve. Serve, inoltre, per studiare la disposizione più adatta delle condizioni al contorno, cioè i vincoli, gli ancoraggi, la curvatura del bordo, oltre al consentire la possibilità di ripetere, prevalentemente in modo simmetrico, porzioni della stessa dimensione utili ad analizzare una eventuale prefabbricazione degli elementi strutturali. 6.3.1 Il ponte sul Basento Un esempio dell’utilizzo dei modelli in materiale elastico in sede progettuale è il ponte sul Basento di Sergio Musmeci (v. Fig. 64). L’opera prescinde dai consueti canoni progettuali e dimostra come la forma, pensata per aumentare il rendimento del materiale impiegato, costituisce un fattore risolutivo del sistema statico. La forma del ponte deriva dagli studi effettuati su modelli che possono ammettere soltanto sforzi di trazione, come appunto i modelli in materiale elastico, e la struttura realizzata, costituita da una membrana in calcestruzzo armato a compressione uniforme, di trenta centimetri di spessore per tutto il suo sviluppo, si presenta come una linea fluida e continua tra gli appoggi. Il risultato progettuale è una forma continua 82 Capitolo VI che rappresenta la soluzione di forze di equilibrio in un’unica struttura. Figura 64. Ponte sul Basento, Potenza, 1967 Essendo la struttura degli archi essenzialmente tridimensionale è stato predisposto per essi un calcolo a volta sottile. La forma della volta è scaturita da un lungo iter progettuale: studi effettuati con una soluzione saponata formata tra fili di cotone sono serviti come mezzo per ricercare la forma e avviare i primi processi di calcolo. Il modello elastico in neoprene (v. Fig. 65) ha consentito la definizione ottimale della forma e lo studio delle tensioni differenziate nelle due direzioni particolari. Un successivo modello rigido in metacrilato (v. Fig. 66) di due campate del ponte è servito per verificare la corrispondenza della forma al programma progettuale ed è stato utilizzato per prove elastiche finalizzate ad un primo controllo delle previsioni di calcolo. Figura 65. Modello progettuale in neoprene L’ottimizzazione strutturale con modelli fisici 83 Figura 66. Modello progettuale in metacrilato 6.4 I modelli di fili appesi o “rovesci” Un metodo progettuale per individuare geometrie staticamente efficienti per strutture spaziali che lavorano prevalentemente a compressione è quello di creare un modello “rovescio” costituito da masse distribuite su elementi flessibili – quali funi e tessuti – opportunamente vincolati, sottoposte all’azione di gravità. Si ottiene infatti una geometria che, invertita, corrisponde alla funicolare del sistema di forze relativo alla particolare combinazione di carichi introdotta nel modello attraverso masse distribuite (v. Fig. 67). Figura 67. Un modello “appeso” Nel caso di membrane resistenti a compressione, che devono essere dotate di forma propria, l’utilizzo di modelli “appesi” risulta uno strumento pienamente valido per guidare il progettista nella definizione della geometria ottimale. Questo perché le strutture 84 Capitolo VI resistenti a compressione necessitano di una certa rigidezza flessionale per evitare fenomeni di instabilità. Questa stessa rigidezza conferisce stabilità di forma, ed è sfruttabile per assorbire quelle sollecitazioni flettenti, che inevitabilmente si producono per combinazioni di carico diverse da quella utilizzata per determinare la forma ottimale. In un semplice caso di volte a singola curvatura, ad esempio, appoggiate lungo i lati (cioè le volte a botte), per carichi uniformemente distribuiti lungo le generatrici, il problema si riduce ad individuare la funicolare piana della direttrice. Per volte di spessore costante sottoposte al peso proprio, la direttrice ideale corrisponde ad una catenaria; se invece la distribuzione di carico è verticale uniforme, la funicolare è una parabola; nel caso di azioni distribuite uniformemente e perpendicolari al piano medio della volta (come ad esempio il vento pensato come agente in maniera uniforme) la funicolare corrisponde ad un arco di cerchio e così via. 6.4.1 La chiesa di Santa Coloma Nel 1898, Guëll incaricò Antoni Gaudì di progettare la chiesa per l’insediamento industriale di Santa Coloma de Cervellò poco lontano da Barcellona. I lavori iniziarono, ma si interruppero definitivamente nel 1916 quando era stata costruita solo la cripta (v. fig. 68), a causa anche del modo di progettare dello stesso Gaudì, che non seguiva un progetto preciso e ben definito, ma che sottoponeva sempre a cambiamenti ed evoluzioni ogni sua idea. Figura 68. Cripta della chiesa di Santa Coloma L’ottimizzazione strutturale con modelli fisici 85 L’organicismo di Gaudì si basa su un modello stereostatico costruito insieme ai suoi collaboratori in cantiere per studiare «la genesi delle forme e liberarle da ogni possibile arbitrarietà» [11]. Su un tavolato in legno fissato al soffitto viene disegnata la pianta della chiesa, poi vengono sospesi dei fili in corrispondenza dei punti che indicano la posizione dei pilastri e degli incroci dei muri, e ai fili si appendono piccoli sacchi pieni di sabbia, di peso proporzionale a quello dei carichi che l’elemento avrebbe dovuto sopportare. Sottoposti a queste spinte, i fili assumono le forme che ne verificano l’equilibrio. A questo punto si fotografa il modello, si capovolge l’immagine e si ottiene un’idea precisa sulla forma da dare al progetto (v. Fig. 69). Figura 69. Modello “rovescio” e schizzo di Santa Coloma Per il periodo storico in cui operava Gaudì, l’utilizzo di modelli “appesi” era una tecnica estremamente innovativa, tanto che gli operai dei suoi cantieri si chiedevano come potesse reggere una costruzione ideata in quella maniera. 7. L’OTTIMIZZAZIONE CON CALCOLI MANUALI 7.1 Introduzione Il calcolo, questa parola misteriosa per i non iniziati e in nome della quale si sono sciupate e si seguitano a sciupare tante realizzazioni di bellissimi temi, può mai essere considerato un fattore assoluto di determinazione della forma di una struttura, quando risulta ampiamente dimostrato che essa è fondata sulla consapevole sensibilità di chi progetta, architetto o ingegnere che sia? [3]. Con queste parole Riccardo Morandi sottolinea l’importanza che il calcolo riveste all’interno della progettazione sia formale che strutturale, sottolineando però che il suo utilizzo, a livello minuzioso e preciso in fase di ideazione, è praticamente inutile se non strettamente guidato dall’intuizione di chi progetta. In questa ottica non vengono accettate né impostazioni puramente formaliste, né impostazioni rigidamente derivate dal calcolo. Della stessa opinione è Pier Luigi Nervi: il calcolo, per quanto raffinato ed accurato, «resta pur sempre inferiore alle possibilità creative e costruttive offerte dalla fantasia dei progettisti e dalla fecondità dei metodi costruttivi a disposizione» [2]. Da ciò l’importanza di sviluppare una “sensibilità statica” che guidi il progettista nelle scelte iniziali senza ricorrere a calcoli complessi che distolgano l’attenzione dallo scopo finale, cioè la forma più efficiente da assegnare al progetto. Sulla stessa linea si pone anche Eduardo Torroja, sottolineando che «la mente che concepisce una struttura, o la mano che la traccia, non ricevono aiuto di sorta da sviluppi matematici astrusi e complessi» e che «occhi esperti si rendono conto al primo sguardo dell’inutilità di un calcolo svolto con ogni cura in tutti i suoi dettagli» [1]; per questo gli schemi di calcolo sono preceduti e dominati dall’idea che modella il materiale in forma resistente e lo adegua alla sua funzione. In altre parole, calcolare in modo esplicito e complesso ogni singola azione è inutile, se non si conosce l’andamento generale delle tensioni (calcolabile in modo più semplice). Sergio Musmeci è il progettista che in un certo senso “inverte” l’uso tradizionale del calcolo e lo rende strumento di progetto. 87 Capitolo VII 88 Riassumendo, infatti, il ruolo della scienza delle costruzioni, si può dire che essa si serve di relazioni che esprimono l’equilibrio e la congruenza all’interno di una struttura, e di altre che legano tensioni e deformazioni a seconda del materiale in questione. In quest’ottica le grandezze note sono le forze esterne e le incognite sono le tensioni e le deformazioni. In realtà però il progettista conosce i valori limite di tensioni e deformazioni da non superare, ma da avvicinare allo stesso tempo il più possibile. «Le nostre incognite sono delle ben strane incognite» [7], dato che si sa a che valore devono tendere e tutto il calcolo non fa che verificare che si ottengano davvero quei valori. Proprio a questo punto si attua “l’inversione” proposta da Musmeci: se proviamo a pensare le equazioni che ci fornisce la scienza delle costruzioni come equazioni contenenti come dati noti le tensioni e come incognite le grandezze che descrivono la geometria della struttura, compiamo un passo verso un nuovo modo di utilizzare la scienza delle costruzioni. Tanto più se le grandezze geometriche (…) sono quelle che rappresentano le proporzioni dell’intera struttura o che, addirittura, ne individuano la forma generale [7]. Lo strumento del calcolo, a questo punto, è usato in modo “cibernetico”, in quanto mezzo che consente e rende consapevoli le scelte progettuali. 7.2 L’arco ottimale A lungo si è dibattuto sulla forma ottimale che possa assumere un arco. È un percorso di ottimizzazione strutturale di una forma semplice al fine di ridurre al minimo le spinte “scomode” della struttura e di portare contemporaneamente il materiale alle sue massime prestazioni. Si può partire dagli archi a tutto sesto utilizzati dai romani, che richiedevano imponenti dimensioni per le colonne che sostenevano l’arco stesso, essendo fortemente spingente. Un primo sviluppo seguente della forma dell’arco si può vedere negli archi inflessi utilizzati dalle popolazioni arabe, anche se un raffinamento più efficace della forma fu dato sicuramente dall’arco a sesto acuto utilizzato nel periodo gotico: le spinte orizzontali sono ancora presenti in queste costruzioni, ma sono ridotte e per questo si riescono a raggiungere altezze superiori rispetto a quelle ottenibili con l’arco a tutto sesto. Per arrivare ad una forma di arco che non fosse più L’ottimizzazione strutturale con calcoli manuali spingente occorre giungere all’arco parabolico, ad ampiamente utilizzato da Gaudì nelle sue opere (v. Fig. 70). 89 esempio Figura 70. Evoluzione della forma dell’arco In periodi più recenti, la forma dell’arco viene vista come soluzione di un problema scientifico da parte di molti studiosi e progettisti. La definizione della forma dell’arco limite a cui si giunge è data dall’equazione: Y = log cos X e somiglia ad una parabola molto rialzata. Questa curva è caratterizzata da alcune proprietà geometriche molto interessanti, in particolare l’angolo che la linea d’asse mediana forma con l’orizzontale risulta proporzionale all’ascissa, cioè alla distanza dall’asse verticale. La luce limite corrisponde alla distanza in cui quest’angolo risulta 90°. 7.2.1 Il Gateway Arch di St. Louis All’interno del Jefferson National Expantion Memorial di St. Louis, l’opera più imponente è sicuramente il Gateway Arch, alto e largo 192 metri (v. Fig. 71). Progettato dall’architetto di origine finlandese Eero Saarinen, è una costruzione in acciaio composta da 142 conci, aventi sezione di triangolo equilatero, che diventano progressivamente più piccoli dal basso verso l’alto. L’arco non ha una vera e propria struttura interna: sono i due strati di acciaio, interno ed esterno, a conferire la rigidezza necessaria, in quanto lo spazio tra essi è riempito da un getto in calcestruzzo che rende monolitico tutto l’arco. Capitolo VII 90 Figura 71. Gateway Arch, St. Louis, 1963 La forma geometrica dell’arco è stata definita matematicamente tramite una funzione coseno iperbolico, che descrive una catenaria inversa ed è espressa tramite queste equazioni: Χ ⎛ ⎞ Υ = A⎜ cosh C − 1⎟ L ⎝ ⎠ oppure in modo equivalente: Χ= dove: Υ⎞ L ⎛ cosh −1 ⎜1 + ⎟ C A⎠ ⎝ L’ottimizzazione strutturale con calcoli manuali A= fc Qb −1 Qt C = cosh −1 91 = 68.7672 Qb = 3.0022 Qt fc = altezza massima del baricentro (m) = 190.5282 Qb = area trasversale massima dell’arco alla base (mq) = 117.3059 Qt = area trasversale minima dell’arco in chiave (mq) = 11.6260 L = metà larghezza dal baricentro alla base (m) = 91.2034 7.3 La colonna ad uniforme resistenza L’ottimizzazione di un oggetto alto e prevalentemente resistente a compressione può essere ottenuta mediante un semplice calcolo che imponga la condizione di uniforme resistenza su tutta l’altezza. È una semplice applicazione delle idee di Musmeci sul calcolo come strumento progettuale. Consideriamo la situazione rappresentata in Fig. 72: Figura 72. Impostazione del problema di ottimizzazione della colonna La condizione di ottimo da imporre per ottenere l’uniforme resistenza è: Capitolo VII 92 σ z ( z) = N (z) ≤ σ amm A( z ) dove σamm è la tensione massima ammissibile sopportata dal materiale. Ad una certa quota z, l’espressione dello sforzo normale N(z) è: z ∫ N ( z ) = − F − γA(ξ ) dξ 0 Dove γ è il peso specifico, F è il carico applicato e A(ξ)dξ è un volume infinitesimo generico della colonna. Per progettare la colonna si deve ottenere in ogni sezione: N ( z ) = −σ amm A( z ) dove A(z) è l’incognita. Imponendo l’uguaglianza si ottiene: z ∫ − F − γA(ξ )dξ = −σ amm A( z ) 0 risolvendo la quale otteniamo A(z): A( z ) = C1e γ z σ amm Per ricavare la costante C1, si impone la condizione al contorno a z = 0: N (0) = −σ amm A(0) da cui si ottiene: − F = −σ amm C1 L’ottimizzazione strutturale con calcoli manuali C1 = 93 F σ amm Quindi la soluzione globale del problema è: A( z ) = F σ amm γ e σ amm z La relazione appena ottenuta descrive un andamento esponenziale che può essere rappresentato come in Fig. 73. Figura 73. Andamento esponenziale della colonna ad uniforme resistenza 7.3.1 Il quartiere Wohnpark di Vienna Alla periferia di Vienna si trova il quartiere Wohnpark Alt Erlaa, ideato negli anni Sessanta (1968) e costruito tra il 1973 e il 1985 (v. Fig. 74). Commissionato dall’Architekturzentrum Wien, il progetto è stato affidato ad un gruppo di architetti il cui capogruppo era Harry Glück: principi ispiratori del progetto sono stati l’ottenimento di un’alta qualità della vita, di sicurezza, di un sostentamento autonomo del quartiere stesso. È un complesso residenziale composto da tre blocchi di edifici aventi forma uguale, ma differenti altezze (da un minimo di 22 piani 94 Capitolo VII ad un massimo di 26), contenenti 3.172 appartamenti e abitati complessivamente da circa 10.000 abitanti. I primi 13 piani non variano da edificio a edificio (sono riconoscibili dall’esterno poiché contengono delle ampie terrazze a verde), i piani superiori variano solo nel numero, ma non nella struttura (riconoscibili dall’esterno perché caratterizzati da logge). Tra i vari blocchi sono presenti spazi comuni, quali giardini, piscine, scuole, un centro commerciale, un centro medico, una chiesa, centri per il tempo libero, ecc. Figura 74. Quartiere Wohnpark Alt Erlaa, Vienna, 1985 Mettendo a confronto l’andamento della colonna ottenuto per via analitica e gli edifici in questione, si vede immediatamente come, alla base della progettazione ci sia stata una riflessione sull’ottimizzazione strutturale (v. Fig. 75). Figura 75. Analogia tra andamento analitico e progetto realizzato La condizione di uniforme resistenza è stata determinante per la scelta della forma da dare agli edifici: è evidente come i progettisti abbiano ritenuto che, data l’altezza che si voleva raggiungere, la condizione di carico più importante fosse quella che dà uno stato di L’ottimizzazione strutturale con calcoli manuali 95 compressione semplice (si tenga presente infatti che Vienna non è zona sismica). 7.3.2 La Torre Eiffel di Parigi Gustav Eiffel e gli architetti Sauvestre, Koechlin e Nouguier, svilupparono l’idea di una torre alta 300 metri da costruire per l’Esposizione universale di Parigi del 1889. In quanto impresario e non strettamente progettista, Eiffel all’inizio era poco interessato al progetto, ma successivamente vi si affezionò, tanto da comprare tutti i diritti dai suoi collaboratori. Dato il periodo storico a cui risale la Torre, si può dire che non furono analisi di ottimizzazione strutturale in senso moderno a stabilirne la forma. Tuttavia è evidente il rapporto di quasi perfetta coincidenza tra andamento analitico e profilo della Torre (v. Fig. 76): chi ha progettato ha utilizzato i principi della nascente scienza delle costruzioni in senso progettuale e non strettamente di verifica. Figura 76. Torre Eiffel: analogia tra andamento analitico e progetto realizzato Vista l’altezza della costruzione, come già notato in precedenza, è la condizione di compressione semplice a determinarne la forma, ma a questa si affianca in maniera decisiva anche l’ottimizzazione in base al carico da vento. Gli ingegneri francesi pensarono i piloni della Torre in modo da poter migliorare la loro resistenza al vento e renderli anche 96 Capitolo VII più facilmente ripetibili. Questa condizione di carico è assimilabile ad un carico orizzontale uniformemente distribuito applicato ad una mensola e, come si può ben vedere, la Torre si conforma anche all’andamento del momento sulla mensola dovuto al vento (v. Fig. 77). Figura 77. Analogia tra momento dovuto al vento e progetto realizzato 7.4 La mensola ad uniforme resistenza In modo analogo a quanto fatto per la colonna, si può procedere per ottimizzare la forma di una mensola. Figura 78. Impostazione del problema di ottimizzazione della mensola L’ottimizzazione strutturale con calcoli manuali 97 Si prenda il caso di Fig. 78, in cui la mensola ha peso specifico γ e sezione trasversale rettangolare con base B costante e altezza H(z) incognita. Alla mensola sono applicati un carico uniformemente distribuito p, un momento concentrato M e un carico concentrato F entrambi sull’estremo libero della mensola stessa. La condizione di ottimo da imporre è: 6M ( z ) M ( z) = = σ amm BH 2 ( z ) W ( z ) cioè: M ( z) = σ amm B 6 H 2 ( z) dove σamm è la tensione massima ammissibile sopportata dal materiale. L’espressione che descrive l’andamento del momento è: z M ( z ) = M + Fz + p z2 + γ ( z − ξ ) BH (ξ )dξ 2 0 ∫ Imponendo la condizione di ottimo e uguagliandola all’espressione del momento si ottiene: σ amm B 6 z H 2 ( z ) = M + Fz + p z z2 + γBz H (ξ )dξ − γB ξH (ξ )dξ 2 0 0 ∫ ∫ Derivando due volte si ricava: [ H ( z )]' ' = 6p σ amm B + 6γ σ amm H ( z) Si ponga h(z) = H2(z), cioè H ( z ) = h( z ) ; si ottiene: Capitolo VII 98 h' ' = 6p σ amm B + 6γ σ amm h che, moltiplicata per h’(z) e successivamente integrata diventa: 6p h' 2 4γ 3 2 h+ h + c1 = σ amm 2 σ amm B L’equazione appena ottenuta si risolve separando la variabile dipendente h dalla variabile indipendente z. A conti fatti si ottiene: z= ∫ dh 12 p 8γ h+ h 3 2 + 2c1 σ amm B σ amm A questo punto occorre determinare la costante c1, imponendo a z = 0 le condizioni al contorno: 6F [ H 2 (0)]' = h' (0) = [ H 2 (0)] = h(0) = σ amm B 6M σ amm B Le precedenti equazioni, sostituite in: 6p 4γ h' 2 = h+ h 3 2 + c1 2 σ amm B σ amm danno la seguente espressione di c1: c1 = 36 Mp 18 F 2 24 6γM 3 2 − − 2 2 52 σ amm σ amm B 2 σ amm B2 B3 2 L’ottimizzazione strutturale con calcoli manuali Ponendo c1 = 0, cioè quando F 2 = 2Mp + 99 4 γM 3 2 6 B , si può 3 σ amm risolvere analiticamente l’integrale poiché è nota la relazione: ∫ dx ax + bx 3 2 = 4 a + bx 1 2 − c 2 b Quindi: z + c2 = nella quale compare può scrivere: σ amm 2γ 12 p 8γ + σ amm B σ amm h h che era stato posto uguale a H(z), per cui si H ( z) = h = γ 3 p ( z + c2 ) 2 − 2σ amm 2 γB Per determinare infine c2, si impone la condizione al contorno: H (0) = 6M σ amm B e c2 diventa: c2 = 2 γ pσ 6Mσ amm + 3 2amm B γ B A questo punto si ottenere l’espressione definitiva dell’incognita H(z): γ H ( z) = 2σ amm ⎡ 2 ⎢z + γ ⎢ ⎣ 2 ⎤ 6Mσ amm pσ 3 p + 3 2amm ⎥ − B 2 γB γ B ⎥ ⎦ Capitolo VII 100 In questa relazione compaiono tutte grandezze note del problema, quindi si può determinare facilmente come varia l’altezza della mensola in funzione del materiale (σamm, γ), della base della sezione (B) e dei carichi applicati (M, p). È interessante da studiare il caso in cui M = 0 (che, avendo assunto c1 = 0, implica anche F = 0). L’equazione che descrive l’andamento di H(z), quindi, è: H ( z) = 3p γ z z2 + 2σ amm σ amm B Come si può ben vedere, l’andamento dell’altezza della mensola quando M = 0 e F = 0 è di tipo parabolico (v. Fig. 79). Si sottolinea che si tratta di uno schema, in quanto a z = 0 l’andamento matematico prevede H(z) = 0, cosa che nella realtà pratica non è possibile. Figura 79. Andamento parabolico della mensola ad uniforme resistenza 7.4.1 Il Tower Bridge di Londra Nel 1894 fu terminato a Londra il Tower Bridge, su progetto dell’architetto Horace Jones, per rispondere sia all’esigenza di un altro punto d’attraversamento del Tamigi, sia alla necessità di consentire il passaggio del traffico navale sul fiume stesso. Si è optato, quindi, per un ponte mobile (v. Fig. 80). L’ottimizzazione strutturale con calcoli manuali 101 Figura 80. Tower Bridge, Londra, 1894 La luce complessiva coperta dal ponte è di 244 metri e le torri raggiungono l’altezza di 65 metri. La parte mobile del ponte è sostenuta da due torri in stile gotico collegate, nella parte alta, da passerelle, e a terra da altre due passerelle strallate. Un meccanismo idraulico consente l’apertura della campata centrale (lunga complessivamente 61 metri), sollevando le due mensole fino a raggiungere un angolo di 83° sull’orizzontale. In genere un ponte è una struttura che funziona ad arco; il Tower Bridge, invece, come ogni ponte mobile con apertura al centro, deve utilizzare staticamente anche il meccanismo a mensola. Guardando la campata centrale ci si accorge di come essa sia stata conformata secondo un andamento parabolico molto simile a quello ottenuto analiticamente in precedenza (v. Fig. 81). Figura 81 Analogia tra andamento analitico e progetto realizzato Anche per questo progetto si può dire, come per la Torre Eiffel, che, dato il periodo in cui è stato realizzato, non ci fu ottimizzazione strutturale perfettamente consapevole in senso moderno, ma è 102 Capitolo VII evidente comunque il tentativo di migliorare la forma per renderla il più efficiente possibile in base allo studio delle condizioni esterne di carico e di vincolo. 8. L’OTTIMIZZAZIONE TOPOLOGICA CON PROGRAMMI DI CALCOLO 8.1 Introduzione La topologia, o studio dei luoghi (dal greco τοποσ, luogo, e λογοσ, studio), come teoria generale, comprende tutto ciò che può essere detto relativamente ai concetti correlati di spazio, vicinanza e convergenza. L’applicazione della topologia generale ad usi quotidiani in molti campi è basata non tanto su teoremi specifici, quanto sulla capacità di unificare e semplificare, propria del suo sistema di nozioni e della sua terminologia. Nel campo dell’ottimizzazione strutturale con il termine topologia si intende la distribuzione spaziale di caratteristiche che possono essere le più varie, ma che devono rispondere a precise esigenze. Attualmente l’ottimizzazione topologica è formata da un insieme di modelli matematici che partono dalla semplice idea che la struttura ottimale, cioè con massima resistenza e minimo peso, può essere prodotta rimuovendo gradualmente il materiale che non viene utilizzato dalla configurazione iniziale di progetto. L’ottimizzazione si può applicare a due grandi famiglie di strutture elastiche: le strutture discrete, in cui l’ottimizzazione consiste nel trovare numero, posizione e connessione degli elementi; e le strutture continue, in cui l’ottimizzazione consiste nel determinare i limiti esterni e interni e il numero e la posizione dei vuoti. La teoria matematica dell’ottimizzazione permette di formulare strategie e metodi d’analisi di problemi complessi. 8.1.1 Cenni storici I primi studi riguardanti l’ottimizzazione di strutture furono fatti da Galileo nel 1638, J. Bernoulli nel 1687, Newton nel 1687, D. Bernoulli nel 1733, Lagrange nel 1770, Levi nel 1870. Il lavoro fondamentale, però, è compiuto da Michell nel 1904, tanto che molti lo considerano il primo lavoro nel campo dell’ottimizzazione strutturale. La teoria presentata da Michell riguarda la topologia di un traliccio di barre che minimizzi il peso strutturale; questo approccio è alla base 103 104 Capitolo VIII di quello che si chiama “fully stressed design”, cioè la soluzione del problema è caratterizzata da un insieme di aste che formano una struttura ottima con restrizione sul limite di tensione a trazione e compressione. Dal 1930 al 1950, gli studi nel campo dell’ottimizzazione topologica utilizzavano criteri di ottimo basati su regole empiriche o su concetti ingegneristici, finchè nel 1951 Kuhn e Tucker proposero uno studio sulle condizioni di ottimo da imporre ad un determinato problema di ottimizzazione vincolata proposto qualche anno prima (1938) da Karush: le condizioni di ottimo definite come “condizioni di Karush-Kuhn-Tucker KKT”, diedero le basi matematiche per determinare l’estremo di una funzione con vincoli generici. All’inizio degli anni Sessanta Schmit e Fox formularono le basi di una moderna teoria dell’ottimizzazione strutturale, basata sul concetto di programmazione matematica e di analisi di sensitività. Nel 1968, Prager e Taylor stabilirono le basi di una teoria che permettesse di ottenere un criterio di ottimo utilizzando i metodi variazionali e le condizioni di ottimo di Lagrange; questo permise uno sviluppo e un uso esteso del criterio di ottimo basato sulle condizioni KKT applicate a problemi d’ingegneria. Il forte sviluppo negli anni Settanta delle tecniche numeriche, in particolare della meccanica computazionale e del metodo agli elementi finiti (MEF), permise di affrontare problemi di grande dimensione e di estendere le tecniche nate per problemi monodimensionali a problemi piani e tridimensionali. Per tutto il decennio l’attenzione massima fu posta al dimensionamento ottimo di tralicci strutturali, estendendo i concetti di Michell e Prager a nuove problematiche e introducendo per i problemi “classici” nuovi vincoli e nuove limitazioni di comportamento. Queste tecniche permisero di generalizzare il concetto di ottimizzazione in minimo di peso, introducendo nuove funzioni obiettivo: cedevolezza, rigidezza, spostamento, tensione, ecc. L’ottimizzazione strutturale ebbe un rapido progresso negli anni Ottanta, grazie allo sviluppo delle tecniche di analisi di sensitività, di risoluzione di strutture e di programmazione matematica. Per risolvere problemi di ottimizzazione non lineare, tipici della teoria delle strutture, furono introdotti nuovi metodi di analisi approssimate di tali problemi, dal metodo di linearizzazione sequenziale al metodo dei movimenti asintotici. L’ottimizzazione topologica con programmi di calcolo 105 L’introduzione della tecnica di ottimizzazione basata sulla distribuzione materiale e l’implementazione computazionale del progetto topologico di strutture continue, fu introdotto da N. Kikuchi e M.P. Bendsoe; negli ultimi anni molti autori hanno proposto nuovi metodi e generalizzazioni dei concetti di ottimizzazione topologica con riferimento a numerosi problemi (ad esempio O. Sigmund, N. Olhoff, P. Pedersen, ecc). 8.1.2 Elementi fondamentali Elementi fondamentali di quel settore della meccanica dei solidi che è l’ottimizzazione strutturale sono: le variabili di progetto, lo spazio di progetto, l’obiettivo di progetto, i vincoli di progetto. La variabile di progetto può assumere diverse tipologie a seconda di cosa si intende far variare all’interno del processo di ottimizzazione. Essa può essere considerata come: variabile di progetto dimensionale, variabile di progetto di forma, variabile di progetto materiale, variabile di progetto topologica. La definizione di variabile dimensionale è riferita al fatto che, durante il processo che porta alla sua determinazione, il dominio del modello non cambia. Essa non si riferisce alla forma dell’oggetto in questione: vale a dire che la linea d’asse della trave o la superficie di riferimento della piastra rimangono immutate durante l’ottimizzazione, mentre varia l’area della sezione della trave o, nei problemi tridimensionali, la densità di massa o di volume. La nozione di variabile di progetto di forma si riferisce al dominio di riferimento del modello attuale. Un esempio di questa variabile può essere la lunghezza di una trave: questa lunghezza può variare durante il processo di ottimizzazione modificando perciò l’effettiva forma della struttura. Per modelli bidimensionali la curva che rappresenta il bordo o la curvatura della superficie di riferimento è similmente una variabile di forma. Per i modelli tridimensionali, la variabile di forma è rappresentata dal bordo del dominio di progetto inclusi i bordi interni come buchi. La variabile materiale si riferisce al comportamento del materiale all’interno del dominio di progetto. Essa, tramite specifiche caratteristiche, ad esempio il modulo di elasticità, descrive il 106 Capitolo VIII cambiamento del materiale in ogni punto del dominio durante il processo di ottimizzazione. La nozione di variabile topologia si riferisce alla presenza o all’assenza di un certo aspetto del progetto. Per fare un esempio: due nodi di una travatura reticolare dovrebbero essere connessi, sì o no? Si dovrebbe inserire un buco in una piastra continua, sì o no? Questo tipo di variabile genera delle problematiche durante il processo di ottimizzazione in quanto dà luogo ad un cambio, nella risposta di progetto, di tipo discontinuo, mentre un cambio di forma dà luogo ad un cambio continuo. La differenza sostanziale, quindi, tra le variabili impiegabili può essere così riassunta: in una travatura reticolare, le aree delle aste sono variabili dimensionali, la posizione dei nodi è una variabile di forma, le aste scelte tra le molte possibili determinano la topologia; in un guscio la distribuzione di densità del materiale è una variabile dimensionale, i confini e le curvature della superficie di riferimento sono variabili di forma, il numero e la posizione dei buchi nella superficie di riferimento determinano la topologia. La modellazione dello spazio o dominio di progetto può essere eseguita in termini di “discreto” o di “continuo”. Una descrizione continua e completa dello spazio vuol dire utilizzare delle variabili di progetto riferite ad ogni punto del dominio e non a porzioni dello stesso. Spesso questo metodo è chiamato descrizione parametrica del continuo, in opposizione alla descrizione discreta. In una modellazione agli elementi finiti di un continuo, i confini dell’elemento possono essere riferiti ad una parte del dominio in modo da riuscire a discretizzare il dominio (v. Fig. 82). Questo stesso principio si applica nei processi di ottimizzazione. L’ottimizzazione topologica con programmi di calcolo 107 Figura 82. Processo di discretizzazione L’obiettivo di progetto è una funzione o un funzionale a valore singolo rispetto al quale possono essere comparati progetti diversi. La soluzione ottimale è quindi quella con un minimo (o più raramente massimo) del valore della funzione obiettivo. È possibile utilizzare anche una formulazione multiobiettivo, ma questi casi alla fine sono ricondotti all’ottimizzazione con un obiettivo solo. Un problema molto complesso è riferito alla ricerca dell’esistenza di soluzioni stazionarie e locali, e nella pratica sono molto pochi i casi in cui è possibile trovare una soluzione ottimale e globale. Non è inoltre sempre facile ottenere una dimostrazione matematica dell’esistenza del progetto ottimo. Se un progetto ottimale non esiste si parla di problema mal posto, e in generale i problemi strutturali sono proprio di questo tipo. Ricercare una soluzione ottima per un determinato problema significa definire un insieme di soluzioni ammissibili entro le quali andare a ricercare il sottoinsieme delle soluzioni che rendono una determinata funzione (o funzionale) minimo o massimo (v. Fig. 83). 108 Capitolo VIII Figura 83. Estremi vincolati e non della funzione obiettivo In sostanza, quindi, le soluzioni che si trovano con i processi di ottimizzazione sono sì stazionarie, ma locali e non assolute. Sono comunque soluzioni di ottimo strutturale e il fatto che non siano uniche può essere visto come lato positivo anziché negativo della procedura. In altre parole, il progettista può utilizzare una qualsiasi delle diverse soluzioni che si ottengono con l’ottimizzazione, a seconda del risultato che intende ottenere o degli eventuali vincoli influenti sull’intervento. Le soluzioni formano quindi un ventaglio di opzioni progettuali possibili e valutabili in senso estetico e formale. Alcuni esempi di chiara manifestazione della non unicità della soluzione sono rappresentati alle Figg. 84, 85 e 86. Figura 84. Sensibilità alla discretizzazione iniziale Figura 85. Sensibilità alla luce libera d’inflessione L’ottimizzazione topologica con programmi di calcolo 109 Figura 86. Sensibilità alla potenza di penalizzazione La prima di queste mostra la sensibilità alla discretizzazione iniziale, in quanto la struttura a sinistra è stata ottenuta con una mesh iniziale 60x20, mentre l’altra proviene da una mesh 80x20. La seconda immagine mostra la sensibilità a valori strutturali imposti come la lunghezza libera di inflessione: nei tre casi il valore varia da 0,006 a 0,400 volte la lunghezza degli elementi. La terza immagine raffigura la sensibilità al valore della potenza di penalizzazione utilizzata nell’algoritmo di ottimizzazione (cfr. Par. 8.2): nei tre casi i valori sono compresi tra 0 e 6. La soluzione del problema di ottimizzazione può essere ottenuta utilizzando la tecnica dei moltiplicatori di Lagrange, definendo una funzione detta Lagrangiana, e trattando il problema come un problema di minimizzazione di una funzione non vincolata. I vincoli di progetto sono elementi che influenzano molto il risultato del processo di ottimizzazione. Una loro classificazione potrebbe essere: condizioni di carico e di equilibrio, vincoli di comportamento, vincoli di lato, limiti assoluti e limiti di movimento, vincoli di uguaglianza e disuguaglianza. I vincoli più rilevanti e che influenzano maggiormente i risultati sono quelli di lato o geometrici e quelli di comportamento; i primi sono dettati da considerazioni di costruzione, da possibilità fisiche o estetiche da raggiungere, i secondi derivano da limitazioni su comportamenti strutturali in relazione alle cause esterne di carico. Capitolo VIII 110 Il trattamento di un problema di ricerca dell’ottimo si fonda su tre principi che stanno alla base di tutti i problemi di ottimizzazione strutturale: 1. modello e analisi strutturale: si sceglie il modello per la struttura, la risposta strutturale da ottimizzare e il tipo di analisi (lineare, non lineare, ecc); 2. algoritmo di ottimizzazione: insieme di procedure matematiche di programmazione basate su iterazioni che da una configurazione iniziale generano un nuovo schema ad ogni iterazione fino a raggiungere la convergenza; 3. modello di ottimizzazione: una volta scelti modello e analisi strutturale, occorre stabilire quale funzione obiettivo sia più opportuno minimizzare per risolvere il problema. Il secondo punto stabilisce come sia importante la scelta dell’algoritmo di ottimizzazione per risolvere il problema in questione. Un algoritmo iterativo è un programma di calcolo che, data un’approssimazione corrente xk della soluzione, determina con un’appropriata sequenza di operazioni una nuova approssimazione xk+1. Tra gli algoritmi più usati ci sono: algoritmi classici di programmazione matematica, algoritmi di sviluppo della funzione obiettivo, algoritmi euristici, algoritmi evolutivi (ESO). I criteri di convergenza e di arresto usati possono essere raggruppati nel modo seguente: | ∇f ( x k ) |< ε | f (x |x k +1 k +1 ε ∈R ) − f ( x ) |< δ k − x | max < γ k arresto sul gradiente δ ∈ R arresto sulla funzione γ ∈ R arresto sulla variabile 8.1.3 Tipologie fondamentali A partire dagli anni Cinquanta, lo sviluppo delle tecniche di ottimizzazione strutturale ha prodotto tre tipologie principali di approccio ai problemi di ottimizzazione: ottimizzazione dimensionale (sizing optimization), ottimizzazione di forma (shape optimization), ottimizzazione topologica (topology optimization). L’ottimizzazione topologica con programmi di calcolo 111 L’ottimizzazione dimensionale (v. Fig. 87) consiste nella definizione ottimale delle proprietà sezionali (area, inerzia, geometria, ecc), mentre la forma e il grado di connessione del dominio sono definiti a priori. Figura 87. Ottimizzazione dimensionale L’ottimizzazione di forma (v. Fig. 88) consiste nella definizione della forma dei bordi esterni ed interni del corpo, definiti a loro volta in forma parametrica. Se in questo tipo di ottimizzazione si adotta una metodo agli elementi finiti per discretizzare il dominio di progetto, è necessario definire una nuova mesh del dominio stesso ad ogni iterazione, cosa che genera un onere computazionale elevato. Figura 88. Ottimizzazione di forma L’ottimizzazione topologica (v. Fig. 89) è la tecnica di ottimizzazione strutturale più generale, e consente di definire il grado 112 Capitolo VIII di connessione, la forma e la dimensione del corpo in oggetto. Il dominio di progetto può essere scelto con forma semplice, e non è necessario scegliere forme complesse per ottenere soluzioni più complesse, è sufficiente definire condizioni di carico e di vincolo opportune, ed eventualmente imporre zone all’interno del dominio con presenza o assenza di materiale. Figura 89. Ottimizzazione topologica Nell’ottimizzazione topologica sono noti la forma del dominio, le forze applicate e i vincoli; si determinano la forma del dominio resistente e la distribuzione delle proprietà del materiale. I vantaggi che presenta questa ottimizzazione sono principalmente che si ha la possibilità di progettare il grado di connessione del dominio, senza dover fissare a priori una topologia specifica; non si deve modificare la mesh in cui si discretezza il dominio ad ogni iterazione; si può agire sulla struttura sia a livello macrostrutturale che microstrutturale. 8.2 Algoritmo di ottimizzazione Un codice utilizzabile per affrontare alcuni semplici casi di ottimizzazione strutturale è disponibile nel sito internet www.topopt.dtu.dk, ed è stato ripreso da una serie di pubblicazioni ad opera di studiosi in gran parte danesi. È un codice concepito per iniziare ad acquisire familiarità con il campo dell’ottimizzazione strutturale, quindi non si possono elaborare strutture molto complesse, L’ottimizzazione topologica con programmi di calcolo 113 in quanto consente limitate possibilità di inserimento di vincoli, carichi e vuoti, ma i risultati forniti sono comunque validi. Il dominio di progetto deve assumere forma rettangolare ed essere discretizzato in elementi quadrati. In questo modo si rende semplice la numerazione colonna per colonna degli elementi e dei nodi, iniziando dall’angolo in alto a sinistra. La tipologia di problema di ottimizzazione affrontata con questo codice è basata sul power-law approach o SIMP approach e la funzione obiettivo è la cedevolezza c(x). SIMP significa “Solid Isotropic Material with Penalization” ed è un metodo che assume costanti le proprietà del materiale all’interno di ogni elemento in cui viene discretizzato il dominio di progetto e che utilizza come variabili le densità relative degli elementi stessi. L’obiettivo finale per la risoluzione del problema di ottimizzazione è minimizzare la cedevolezza utilizzando l’OC Method, ossia “Optimaly Criteria Method”. L’utilizzazione dell’OC consiste nel formulare la funzione obiettivo (la cedevolezza) tramite una funzione Lagrangiana, in cui l’unico vincolo imposto è sul volume, e risolverla come problema di minimizzazione di funzione. Questo tipo di problema di ottimizzazione, quindi, può essere scritto come: min x : c( x) = U T KU = N ∑ (x ) e p u eT k e u e e =1 soggetto a: V ( x) = f V0 KU = F 0 < x min ≤ x ≤ 1 dove U e F sono rispettivamente il vettore degli spostamenti globali e delle forze globali, K è la matrice di rigidezza, ue e ke sono rispettivamente gli elementi del vettore spostamenti e della matrice di rigidezza, x è il vettore delle variabili di progetto, xmin è il vettore delle densità relative minime (sempre diverso da zero per non rendere singolare la matrice), N è il numero di elementi in cui si discretizza il dominio di progetto, p è la potenza di penalizzazione dovuta al SIMP approach, V(x) e V0 sono rispettivamente il volume effettivo del Capitolo VIII 114 materiale e il volume del dominio di progetto e f è il loro rapporto, cioè la frazione di volume. Il criterio di ottimizzazione (OC), che fornisce ad ogni iterazione una nuova configurazione finchè non si raggiunge la convergenza prevista, può essere formulato in questo modo: x enew = max(x min , x e − m ) se x e Beη ≤ max(x min , x e − m ) , x e Beη se max(x min , x e − m ) < x e Beη < min (1, x e + m ) , min (1, x e + m ) se min(1, x e + m ) ≤ x e Beη , dove η è posto uguale a 0,5 e rappresenta un coefficiente di dissipazione, m (move) è un numero positivo che definisce l’intorno dell’elemento x in questione e Be si ricava dalla seguente condizione di ottimo: ∂c ∂x e , Be = ∂V λ ∂x e − dove λ è un moltiplicatore Lagrangiano che si ricava tramite un algoritmo di definizione della media tra i due moltiplicatori precedenti. La sensitività della funzione obiettivo si trova come: ∂c = − p ( x e ) p −1 u eT k e u e . ∂x e Per assicurare l’esistenza della soluzione occorre inserire altre restrizioni; tuttavia queste ancora non assicurano l’esistenza della soluzione in termini teorici, ma numerose applicazioni testimoniano la loro efficacia. Nel codice si utilizza il “mesh-indipendency filter” che L’ottimizzazione topologica con programmi di calcolo 115 modifica la sensitività dell’elemento in modo da poter poi utilizzare questa nuova sensitività nel processo dell’OC. Schematizzando, le operazioni compiute dal codice sono riassunte in Fig. 90. Figura 90. Schema di funzionamento del codice Per ogni iterazione nel loop di ottimizzazione topologica, il codice genera un’immagine della corrente distribuzione di densità. Fermando l’iterazione in vari momenti, si può vedere passo passo la migrazione del carico, dal punto di applicazione agli appoggi, attraverso il dominio di progetto, come mostrato alle Figg. 91 e 92 con le relative configurazioni di partenza. 116 Capitolo VIII Figura 91. Fasi di ottimizzazione di una mensola Figura 92. Fasi di ottimizzazione di una colonna Guardando tutti i passaggi che compie il programma alla ricerca della forma ottimale, si può anche decidere di fermarsi ad uno step intermedio, in relazione ad esempio al materiale che si intende utilizzare o al risultato estetico che si vuole raggiungere. Come mostrato in Fig. 93, uno step intermedio dell’ottimizzazione di una colonna ha una forma meno lineare e più tendente all’arco di quanto non accada nel risultato finale. Allo stesso modo si può notare che lo step in questione fornisce anche la possibilità di inserire un elemento L’ottimizzazione topologica con programmi di calcolo 117 orizzontale tipo passerella, se considerazioni architettoniche lo dovessero richiedere. Figura 93. Confronto tra uno step intermedio e il risultato finale Scendendo rapidamente nel dettaglio del codice di ottimizzazione, esso è composto da quattro parti principali: main program, optimaly criteria based optimizer, mesh-indipendency filtering, finite element code. Per cambiare condizioni di carico e di vincolo del dominio di progetto, occorre modificare alcune porzioni di codice nella sezione “finite element code”. Per utilizzare condizioni di carico multiple, si deve aggiungere una parte al “main program”, che consenta di applicare tutti i carichi voluti alla struttura, e poi definirli nella parte “finite element code”. In questa stessa sezione si possono cambiare anche i vincoli del dominio di progetto. Utilizzando il programma Matlab per implementare il codice appena esposto, si può richiamare il codice stesso dallo spazio di lavoro di Matlab mediante la riga: top (nelx, nely, volfrac, penal, rmin) dove nelx e nely sono rispettivamente il numero di elementi orizzontali e verticali in cui si discretezza il dominio di progetto, volfrac è il rapporto tra volume effettivo del materiale e volume iniziale del dominio, penal è la potenza di penalizzazione dovuta al SIMP approach e rmin è il raggio del filtro diviso per la dimensione 118 Capitolo VIII dell’elementino base del dominio, da usare nel processo di modifica della sensitività. È importante sottolineare come i valori dati alle variabili in input siano molto influenti sul risultato finale. Ad esempio, dando come volfrac un valore vicino a 1, si incontrano problemi di convergenza fino al punto di non raggiungerla affatto, oppure un numero differente di elementi della mesh iniziale causa, ovviamente, delle migrazioni differenti del carico all’interno del corpo. 8.3 Progetti ottimi riconoscibili «L’importanza dell’impegno statico delle strutture giustifica la ricerca di forma di massima efficienza» [7], con queste parole Sergio Musmeci indica l’importanza che una forma strutturalmente efficiente ha nella progettazione di ponti. Queste strutture hanno esigenze di performance meccaniche molto elevate, e quindi la fase di progettazione si fonda sulla ricerca della forma e dei materiali che possano soddisfare efficacemente a determinati requisiti di progetto. È inoltre molto importante minimizzare il peso strutturale poiché esso è legato al costo della struttura: è indispensabile un’analisi della configurazione ottima per ottenere informazioni utilizzabili nella progettazione anche in questa direzione. 8.3.1 Tipologia ponte 1 La condizione di carico e di vincolo più semplice che si può applicare ad un dominio di progetto rettangolare è quella rappresentata in Fig. 94. È la configurazione caratteristica di un oggetto che si può considerare appoggiato agli estremi e che deve sopportare una sollecitazione schematizzabile come carico concentrato superiormente in mezzeria. Inserendo questa configurazione nel programma si ottiene il risultato di Fig. 95, a partire da una mesh iniziale 100x30 e con una frazione di volume pari a 0,3. L’ottimizzazione topologica con programmi di calcolo 119 Figura 94. Condizione di carico e vincolo Figura 95. Risultato alla fine dell’ottimizzazione Si può vedere come la struttura esterna sia identificabile con un arco che necessita all’interno una struttura reticolare che sopporti sforzi di trazione. La struttura ottenuta è realizzabile come un ponte ad arco con via di corsa inferiore e travatura reticolare intermedia, come nell’esempio di Fig. 96. Figura 96. Ponte ferroviario ad arco e travatura reticolare Capitolo VIII 120 È evidente il ruolo che considerazioni sull’ottimizzazione strutturale hanno avuto nella progettazione di ponti come questi: dall’analisi del contesto, e quindi dall’estrazione di opportune condizioni di carico e di vincolo, si ottiene una forma che sfrutta il materiale alle massime potenzialità. 8.3.2 Tipologia ponte 2 Il ponte ad arco con via di corsa inferiore può avere anche una struttura formata da tiranti per collegare l’arco alla via di corsa stessa. La configurazione dalla quale occorre partire per ottenere ponti di questo tipo è raffigurata in Fig. 97, nella quale il dominio di progetto è ancora appoggiato agli estremi, ma i nove carichi concentrati sono applicati nella parte inferiore. Figura 97. Condizione di carico e vincolo Il programma di calcolo citato in precedenza incontra delle difficoltà a gestire un numero di carichi piuttosto elevato come in questo caso. Occorre quindi utilizzare un programma più raffinato e il risultato che si ottiene è rappresentato in Fig. 98. Figura 98. Risultato alla fine dell’ottimizzazione La struttura è formata da un arco superiore che sostiene la via di corsa inferiore mediante tiranti. Molteplici sono gli esempi di strutture realizzate di questo tipo, se ne riportano due nelle Figg. 99 e 100. L’ottimizzazione topologica con programmi di calcolo 121 Figura 99. Viadotto di Pannes sull’autostrada A77, 1999 Figura 100. Ponte dei Miracoli, Alberga, 1996 La caratteristica statica di questi ponti, cioè la compressione dell’arco e la trazione dei tiranti, li rende efficienti chiaramente dal punto di vista statico, ma anche dal punto di vista economico perché non vi sono sprechi di materiale. La forma ricavata, inoltre, è un oggetto che ha i caratteri dell’architettura, in quanto segno forte per la città, come ad Alberga, o per il paesaggio, come per il viadotto di Pannes. 8.3.3 Tipologia ponte 3 Rendendo più complessa la combinazione di carico da applicare al dominio di progetto, ma tenendo fermi i vincoli, si ottiene un’altra tipologia di ponte. La condizione di carico e di vincolo in questione è quella rappresentata in Fig. 101. È la configurazione caratteristica di 122 Capitolo VIII un oggetto che si può considerare appoggiato agli estremi e che deve sopportare sollecitazioni schematizzabili come quattro carichi ad interasse costante applicati sul dominio esclusi gli estremi. Figura 101. Condizione di carico e vincolo Inserendo questa configurazione nel programma sopra descritto si ottiene il risultato di Fig. 102, a partire da una mesh iniziale 100x20 e con una frazione di volume pari a 0,3. Figura 102. Risultato alla fine dell’ottimizzazione Si può vedere come la struttura sia coincidente con la forma di un ponte a trave reticolare con correnti paralleli. Un esempio di struttura realizzata è visibile in Fig. 103. Figura 103. Ponte ferroviario L’ottimizzazione topologica con programmi di calcolo 123 I ponti ferroviari sono strutture che tipicamente utilizzano una configurazione molto simile a quella ricavata in precedenza, in quanto, anche in questi casi, l’ottimizzazione del materiale in uso (e di conseguenza il costo) è strettamente necessaria per la realizzazione del progetto. La forma ottenuta in questi casi, però, non è precisamente quello che si può definire un oggetto d’architettura, ma in questo tipo di opera l’estetica può anche essere messa in secondo piano. 8.3.4 Tipologia ponte 4 Proseguendo con il raffinamento della condizione di carico per un dominio di progetto appoggiato agli estremi, si può giungere alla configurazione di Fig. 104, dove i carichi concentrati sono dieci ad interasse costante ed applicati anche sugli estremi. Figura 104. Condizione di carico e vincolo Come già visto al precedente Par. 8.3.2, il programma di calcolo citato in precedenza incontra delle difficoltà a gestire un elevato numero di carichi, come possono essere i dieci carichi di questa configurazione. Occorre quindi usare un programma più raffinato per ottenere l’ottimizzazione topologica. Il risultato che si ottiene è rappresentato in Fig. 105. Figura 105. Risultato alla fine dell’ottimizzazione 124 Capitolo VIII La struttura che si ottiene è formata da un arco inferiore che sostiene la via di corsa mediante elementi verticali. Esempi di questo tipo di struttura sono riportati alle Figg. 106 e 107, la seconda delle quali rappresenta il ponte Paul Sauer di Riccardo Morandi. Figura 106. Ponte Santa Giustina, Taio (Trento), 1950 Figura 107. Ponte Paul Sauer, Eastern Cape (Sudafrica), 1956 Si può vedere che i ponti rispecchiano la forma che si è ottenuta tramite l’ottimizzazione topologica. Si può aggiungere, poi, che Morandi non aveva a disposizione strumenti avanzati come i programmi di ottimizzazione topologica, però, come già visto in precedenza, alla base delle sue opere ci sono considerazioni sulla forma ottimale e sullo sfruttamento massimo del materiale che conducono allo stesso risultato. Il ponte è, allo stesso tempo, oggetto d’ingegneria, perché caratterizzato da elevate prestazioni ed efficiente funzionalità statica, ed oggetto d’architettura, perché l’estetica che raggiunge è sicuramente di elevato livello. L’ottimizzazione topologica con programmi di calcolo 125 8.3.5 Tipologia ponte 5 Insistendo con il raffinamento della condizione di carico si giunge a definirla con un carico uniformemente distribuito posizionato ad una certa quota del dominio di progetto. In questo caso poi si modificano anche i vincoli in modo da incastrare entrambi i lati del dominio di progetto. La configurazione analizzata è quella di Fig. 108. Figura 108. Condizione di carico e vincolo Per gli stessi motivi del caso precedente, occorre utilizzare un programma più raffinato per ottenere l’ottimizzazione topologica. Il risultato che si ottiene è rappresentato in Fig. 109. Figura 109. Risultato alla fine dell’ottimizzazione La struttura che si ottiene è composta da un arco principale e da strutture secondarie all’interno e all’esterno dell’arco. Si può stabilire una gerarchia tra i vari componenti della struttura complessiva perché l’ottimizzazione topologica, essendo un metodo generale, fornisce anche le dimensioni e le connessioni degli elementi. Sono ben chiare la posizione della via di corsa del ponte e le strutture che servono a sostenerla: il grande arco sottoposto a compressione e i vari tiranti sottoposti a trazione. Esempi di questo tipo di struttura sono rappresentati dai progetti di Figg. 110 e 111. Capitolo VIII 126 Figura 110. Ponte pedonale Debilly, Parigi Figura 111. Ponte di Haugensund, Norvegia Le forme ottenute per questo tipo di progetti ripropongono quello che si ottiene tramite ottimizzazione topologica: questa tipologia di ponte quindi è un oggetto che rispecchia le caratteristiche della struttura ottima, in quanto unisce massima resistenza e minima quantità di materiale utilizzato. Ha però allo stesso tempo una forma che lo fa diventare elemento d’architettura. 8.3.6 Tipologia ponte 6 Nel caso appena affrontato, il carico è stato applicato ad una quota intermedia del dominio di progetto. Si può vedere cosa accade applicando allo stesso tipo di dominio (incastrato ai lati) un carico uniformemente distribuito sul lato superiore del dominio stesso. La L’ottimizzazione topologica con programmi di calcolo 127 condizione di carico e vincolo presa in esame è quella di Fig.112, mentre in Fig. 113 si può vedere il risultato dell’ottimizzazione. Figura 112. Condizione di carico e vincolo Figura 113. Risultato alla fine dell’ottimizzazione La struttura che si ottiene è un ponte ad arco centrale con via di corsa superiore ed un sistema di sostegni verticali o leggermente inclinati necessari per la via di corsa e dovuti alle condizioni vincolari imposte. Vi sono molti ponti che hanno questa stessa struttura (v. Fig. 114), molti dei quali sono considerati inoltre oggetti d’architettura soprattutto a livello paesaggistico. Figura 114. Viadotto Bisantis, Catanzaro Capitolo VIII 128 Il viadotto Bisantis è opera di Riccardo Morandi e, anche in questo caso, si può dire che è stato frutto di una ricerca della forma ottimale e sulla massimizzazione del rendimento del materiale. 8.3.7 Tipologia copertura Fino a questo punto si sono analizzati domini di progetto con condizioni di carico e vincolo equivalenti a quelle ritrovabili nella progettazione di ponti. Si prenda in considerazione ora la configurazione di Fig. 115 che rappresenta le condizioni progettuali di una copertura; in Fig. 116 si vede poi il risultato dell’ottimizzazione. Figura 115. Condizione di carico e vincolo Figura 116. Risultato alla fine dell’ottimizzazione È semplice riconoscere che si è ottenuta una copertura reticolare su sostegni puntuali. Si tratta di un oggetto molto utilizzato nella pratica progettuale, in quanto consente di coprire spazi di forma ed estensioni molti differenti. Per questo motivo è una tipologia della quale si possono trovare molteplici esempi (v. Fig 117). Ciò dimostra come le forme ottimali si possano ritrovare nelle tipologie progettuali più varie. L’ottimizzazione topologica con programmi di calcolo 129 Figura 117. Copertura del piazzale ovest, stazione ferroviaria di Ancona 8.4 Progetti ottimi “espliciti” Ci sono casi in cui l’ottimizzazione topologica è stata esplicitamente utilizzata per creare forme progettuali. In questi oggetti, la ragione stessa del progetto è l’ottimizzazione strutturale e non si parte da considerazioni di altro tipo. Un esempio di quanto appena affermato è il progetto secondo classificato al concorso per la nuova stazione TAV di Firenze ad opera di Arata Isozaki (v. Fig. 118). Figura 118. Progetto per la nuova stazione TAV, Firenze Se si immette in un programma di ottimizzazione una configurazione di carico e vincolo come quella rappresentata in Fig. Capitolo VIII 130 119, si ottiene il risultato di Fig. 120, che è molto simile a quanto poi effettivamente presentato nel progetto. Figura 119. Condizione di carico e vincolo Figura 120. Risultato dell’ottimizzazione La copertura della stazione è composta da una superficie piana superiore e dalle strutture ottimizzate di sostegno inferiori. Come si può ben vedere, la forma degli elementi di sostegno deriva dal calcolo della configurazione ottimale per sopportare i carichi, in particolare un carico uniformemente distribuito su tutto il dominio, e non da concetti estetici stabiliti a priori. Il progetto è una dimostrazione del fatto che, al contrario della credenza che la razionalità strutturale produce soluzioni rettilinee e lineari, a fornire le soluzioni più appropriate per rispondere alle sollecitazioni sono forme tutt’altro che regolari e che molti definirebbero “organiche”. 8.5 Progetti ottimi possibili Una volta stabiliti i carichi agenti e i vincoli imposti su un dato oggetto, l’ottimizzazione topologica strutturale fornisce una serie di soluzioni utilizzabili per il progetto stesso. Cambiando così carichi e vincoli, si ottiene un insieme praticamente infinito di soluzioni progettuali, del quale si possono vedere alcuni esempi in Fig. 121. L’ottimizzazione topologica con programmi di calcolo 131 Figura 121. Esempi di configurazioni ottimali possibili Si può quasi “giocare” con i vincoli e con i carichi, nel rispetto delle reali condizioni esistenti nel sito di progetto, per creare soluzioni progettuali sempre nuove, ma consapevoli e motivate da considerazioni di ottimizzazione di forme e materiali. Naturalmente non si possono prendere i risultati delle varie ottimizzazioni e posizionarli nel sito di progetto in modo “brutale”: le configurazioni scelte andranno modificate ed adattate al contesto, senza comunque stravolgerle. Le configurazioni ottimali entrano, quindi, a pieno titolo nell’insieme delle possibilità architettoniche che si devono prendere in considerazione nell’approccio progettuale. Utilizzando i risultati dell’ottimizzazione strutturale si otterranno progetti non casuali e di elevato livello. 9. CONCLUSIONI La progettazione è un iter complesso che richiede molte capacità da parte di chi vi si accinge. Molti sono i metodi progettuali utilizzabili, ma allo stesso tempo molti di questi non hanno base scientifica e spesso non rendono il progettista consapevole delle scelte che applica nel progetto stesso. Si è messo in luce un filo conduttore tra varie tipologie di metodi progettuali che abbiano una solida base scientifica, partendo da un’analisi per così dire storica fino all’utilizzo delle tecniche più innovative. Fin dall’uso di modelli fisici o di condizioni di ottimo risolvibili semplicemente con calcoli manuali, si può vedere come l’estetica del progetto sia frutto di un processo rigoroso che porta alla determinazione della forma ottimale. Anche molte formazioni naturali, le leggi di accrescimento biologico o la forma di molti elementi in natura sono diretta conseguenza di esigenze tipiche della progettazione ottima, quali la leggerezza, la massima rigidezza, l’uniformità dello stato tensionale o termico, ecc. Nel campo dell’ottimizzazione strutturale sono ancora molti i problemi aperti, soprattutto in relazione alla richiesta combinata di massima efficienza strutturale, massima sicurezza ed estetica di alto livello. Come è ovvio da intuire, non sempre la forma ottimale riesce a soddisfare tutte le caratteristiche di un buon progetto in senso globale, e i metodi proposti non possono essere utilizzati in senso esclusivo nell’iter progettuale. Sicuramente, però, i risultati che si ottengono dall’ottimizzazione sono una base fondamentale dalla quale non bisognerebbe allontanarsi. Ad esempio, come si è visto, ci si può fermare ad uno step diverso da quello finale nel processo di ottimizzazione topologica se si vede che il risultato è di buona estetica secondo la sensibilità di chi progetta: la forma del progetto non sarà quella perfettamente ottimale, ma sarà comunque indirizzata verso una condizione di ottimo. Lo stesso si può affermare se si incontra nel processo di minimizzazione della funzione obiettivo un minimo che è solo locale e non globale. Può accadere, infatti, che una forma derivante da un minimo locale della funzione incontri il gusto estetico in modo più efficace di quanto non faccia una soluzione ottenuta da un minimo globale. 133 134 Capitolo IX Raffinando sempre di più i modelli matematici e computazionali utilizzabili per l’ottimizzazione strutturale, ed in particolare topologica, si potranno ottenere risultati sempre più efficienti dal punto di vista della struttura, della sicurezza e dello sfruttamento dei materiali, ma anche sempre più aderenti alla sensibilità estetica che è propria dell’architettura. Sviluppando queste nuove metodologie, “sensibilità statica” e “sensibilità estetica” si troveranno sempre più vicine. L’ingegnere avrà sensibilità d’architetto, l’architetto strumenti da ingegnere, finchè si compia, un giorno, la riunione delle competenze e la fine della diaspora. APPENDICE Fonti delle immagini Le immagini non presenti nel seguente elenco si intendono create dagli autori. Fig. 4 – http://www.fiera.ge.it Fig. 7 – http://it.encartamsn.com Fig. 8 – http://docenti.lett.unisi.it Fig. 9 – http://www.cassicars.de Fig. 10 – http://www.si.umich.edu Fig. 11 – http://www.bramarte.it Fig. 12 – http://www.dolcevita.com Fig. 13 – http://www.britannica.com Fig. 14 – http://www.nmt.edu Fig. 15 – http://www.infoturisti.com Fig. 16 – http://web.tiscali.it/Architettura_Amica Fig. 17 – http://www.caed.kent.edu Fig. 18 – http://genealogie.cantalpassion.com Fig. 19 – http://www.ottovolante.org Fig. 20 – http://www.gaudiclub.com Fig. 21 – http://www.viamichelin.com Fig. 22 – http://www.treehugger.com Fig. 23 – http://www.cyberspain.com Fig. 24, 34, 41,42, 43, 49, 99, 100, 107 – http://en.structure.de Fig. 25 – http://www.fosterandpartners.com Fig. 26 – http://www.archiportale.com Fig. 27 – http://www.sacred-destination.com Fig. 28 – http://www.richard-seaman.com Fig. 29 – http://www.whchen.com Fig. 32 – http://www.skycrapercity.com Fig. 33, 61 – http://www.canadianarchitect.com Fig. 35 – http://web.tiscali.it/giancorsi Fig. 36 – http://www.generativedesign.com Fig. 37, 44, 45, 47 – http://www.arc1.uniroma1.it Fig. 38 – http://www.archinfo.it Fig. 39 – http://www.projectmimique.org.uk Fig. 46 – http://architettura.supereva.com/books Fig. 48 – http://www.arqhys.com 135 136 Fig. 51 – http://www.figctolmezzo.com Fig. 52 – http://www.pj.gob.pe Fig. 53 – http://faculty.cua.edu Fig. 54 – http://gothic.english.dal.ca Fig. 57 – http://dma.ing.uniroma1.it Fig. 58, 82, 83, 85, 86, 87, 88, 89, 98, 105, 109, 113, 116, 120, 121 – http://ing.unitn.it Fig. 59 – http://opac.comune.firenze.it Fig. 60 – http://www.disg.uniroma1.it Fig. 62 – http://www.kunst.uni-stuttgart.de Fig. 63 – http://www.giampy11.it Fig. 64 – http://www.gradri.hr Fig. 65, 66 – http://www.consiglio.basilicata.it Fig. 67 – http://www.gaudidesigner.com Fig. 68 – http://www.liberonweb.com Fig. 69 – http://www.hawbaker.org Fig. 71 – http://www.visitingdc.com Fig. 74, 75 – http://www.aeag.at Fig. 76 – http://html.rincondelvago.com Fig. 80 – http://www.londonbyclick.com Fig. 96 – http://www.ferrovie.it Fig. 103 – http://www.fmboschetto.it Fig. 106 – http://www.progettodighe.it Fig. 110 – http://disg.uniroma1.it Fig. 111 – http://planning.co.cuyahoga.oh.us Fig. 114 – http://www.comunecatanzaro.it Fig. 118 – http://www.e-flux.com BIBLIOGRAFIA [1] TORROJA E., La concezione strutturale, Città Studi Edizioni, Torino, 1995; [2] NERVI P.L., Costruire correttamente. Caratteristiche e possibilità delle strutture cementizie armate, Editore Ulrico Hoepli, Milano, 1965; [3] BOAGA G., Riccardo Morandi, Zanichelli, Bologna, 1984; [4] DESIDERI P., NERVI P.L. JR, POSTANO G., Pier Luigi Nervi, Zanichelli, Bologna, 1979; [5] IMBESI G., MORANDI M., MESCHINI F., Riccardo Morandi. Innovazione tecnologia progetto, Gangemi editore, Roma, 1991; [6] SAGGIO A., Riccardo Morandi. Cemento d’autore, in “Costruire” n. 102, 1991; [7] MUSMECI S., Le tensioni non sono incognite, in “Parametro” n. 80, 1979; [8] SAGGIO A., Un artista in cantiere. Santiago Calatrava, in “Costruire” n. 105, 1992; [9] VEBER D., ROVATI M., Ottimizzazione topologica: formulazione, applicazioni e linee di sviluppo, Università degli studi di Trento; [10] CAPASSO A. Le tensostrutture a membrana per l’architettura, prefazione di F.Otto, Maggioli Editore, Rimini, 1993; [11] AA. VV., Dizionario dell’architettura del XX secolo, vol. I-II-III, Umberto Allemandi editore, Torino, 2001; [12] MENDITTO G., Lezioni di scienza delle costruzioni, vol. II, parte prima, Pitagora Editrice, Bologna, 2001; [13] POLANO S., Santiago Calatrava. Opera completa, Electa, Milano, 1996; [14] GIOVANNARDI F., Felix Candela. Costruttore di sogni, F. Giovannardi, Studio Giovannardi e Rontini – architettura, urbanistica, ingegneria; [15] CUITO A., Foster and partners, Loft publications, Barcellona, 2002; [16] ZEVI B., Saper vedere l’architettura, Einaudi, Torino, 1953; [17] BRANNER R., L’architettura gotica, Rizzoli, Milano, 1963; [18] BOUTTIER M., Comment elles sont construites. Cathedrales, vol. I, Creation et recherche, Le Mans, 1989; [19] DEMOUY P., Cattedrale di Reims, La Golette, Saint Ouen, 1999; 137 138 [20] CRAMPON M., La cathèdrale d’Amiens, CRDP de l’Acadèmie d’Amiens, Amiens, 2001; [21] KING R., La cupola di Brunelleschi. La nascita avventurosa di un prodigio dell’architettura e del genio che lo creò, Rizzoli, Milano, 2001; [22] ZERBST R., Antoni Gaudì, Taschen, Colonia, 1990; [23] SHOCK H.J., Atlante delle tensostrutture, UTET, Torino, 2001; [24] ENGEL H., Atlante delle strutture, UTET, Torino, 2001; [25] SAGGIO A., Sergio Musmeci di M. Nicoletti, in “Domus” n. 815, 1999; [26] BULLIVANT L., Nuovo Terminal T4, aeroporto Barajas, Madrid, Spagna, in “The plan” n. 14, 2006; [27] ZANELLI A., Una struttura strallata in acciaio, simbolo dei Giochi olimpici di Torino 2006, in “Costruzioni metalliche” n. 2, 2006; [28] PAPI L., Il nuovo Ponte dei Miracoli ad Alberga, in “L’Arca” n. 124, 1998; [29] SIGMUND O., A 99 line topology optimization code written in Matlab, in “Structural and Multidisciplinary optimization” n. 21 (2), 2001; [30] ALLAIRE G., JOUVE F., TOADER M., Structural optimization using sensitivity analysis and a level-set method, in “Journal of computational physics” n. 194, 2004; [31] TANSKANEN P., The evolutionary structural optimization method: theoretical aspects, in “Computer methods in applied mechanics and engineering” n. 191, 2002. Finito di stampare nel mese di ottobre del 2011 dalla « Ermes. Servizi Editoriali Integrati S.r.l. » 00040 Ariccia (RM) – via Quarto Negroni, 15 per conto della « Aracne editrice S.r.l. » di Roma