Bruno Kessler e il primo Pup 1961 - 1964
SentieriUrbani
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Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale 70% NE/TN - anno IV - numero 8 - luglio 2012 - € 10,00
Urbani
Sentieri
LA RIVISTA DELLA SEZIONE TRENTINO
DELL’ISTITUTO NAZIONALE DI URBANISTICA
Issn: 2036-3109
In questo numero
Bruno Kessler
e il primo Pup
1961 - 1964
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SentieriUrbani
LA RIVISTA DELLA SEZIONE TRENTINO
DELL’ISTITUTO NAZIONALE DI URBANISTICA
Sentieri Urbani
rivista quadrimestrale della Sezione Trentino
dell’Istituto Nazionale di Urbanistica
nuova serie
anno IV - numero 8
luglio 2012
05
Editoriale
di Giovanna Ulrici
06 Visione, Pianificazione, Progetto. Un'intervista a Bernardo Secchi
a cura di Alessandro Franceschini
12
Dossier: Bruno Kessler e il primo Pup 1961/1964
a cura di Sergio Giovanazzi e Alessandro Franceschini
14
I protagonisti
15
Trentino 1961: alcuni dati
16
Cronologia degli eventi
18
Bibliografia di riferimento
19
L’Italia e il Trentino all’inizio degli anni ‘60
20
La situazione urbanistica in Italia in rapporto alle emergenze socio-politiche
21
Il boom economico: un ritratto dell’Italia negli anni Sessanta
di Pasquale Saraceno
24
Così lavorammo ad un nuovo codice dell’urbanistica
di Giuseppe Samonà
25
Quella maniera “disinvolta” di operare...
di Giovanni Astengo
26
La scheda/1: La nascita di una nuova organizzazione territoriale: il
Comprensorio
28
Il Trentino: la situazione culturale e socio-economica nel ‘61
33
Verso l’utopia “tecnicamente fondata”
34
Il “programma Kessler” e l’avvio della pianificazione
36
La scheda/2: Le esperienze di pianificazione in atto in Trentino negli
anni Sessanta
38
Le prime scelte di fondo e il Convegno di Torbole
42
La proposta di piano presentata al IX Congresso Inu
46
La scheda/3: Quando Samonà spiegò agli architetti...
51
La prima edizione del Pup
53
Il 23 maggio 1964 la Giunta provinciale deliberava l’approvazione del
piano
65
L’eredità del Piano Urbanistico Provinciale
66
Nel Pup del 2008 abbiamo raccolto la lezione di Kessler adattandola ai
tempi. Intervista a Mauro Gilmozzi a cura di Giovanna Ulrici
registrazione presso il Tribunale di Trento
n. 1376 del 10.12.2008
Issn 2036-3109
direttore responsabile
Alessandro Franceschini
[email protected]
redazione
Elisa Coletti, Paola Ischia,
Giovanna Ulrici, Bruno Zanon
[email protected]
ha collaborato a questo numero
Sergio Giovanazzi
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Istituto Nazionale di Urbanistica
Sezione Trentino
Via Oss Mazzurana, 54
38122 Trento
direttivo 2012/2014
Giovanna Ulrici presidente
Bruno Zanon vice presidente
Elisa Coletti segretario
Alessandro Franceschini tesoriere
Davide Geneletti consigliere
Marco Giovanazzi consigliere
Paola Ischia consigliere
72 Il recupero di Castel Vasio: un sogno da conservare
74
60 anni di CIPRA Intervazionale. 20 anni di CIPRA Italia
di Luigi Casanova
76 Inu: eletti i vertici della “sezione Trentino”. Ulrici alla presidenza
di Elisa Coletti
77
Oggi la città. Pratiche dell’abitare nella città contemporanea
78
Biblioteca dell'urbanista
Bruno Kessler mentre firma le tavole
del Piano urbanistico provinciale
04
Editoriale
Trovo che ci siano almeno due buoni motivi per introdurre con grande orgoglio questo numero di Sentieri Urbani, curato
da Alessandro Franceschini e Sergio Giovanazzi. Nelle pagine che seguono si ripercorre, con ampie testimonianze
dell'epoca, il processo di formazione del primo Piano Urbanistico della Provincia autonoma di Trento, per brevità
attribuito a Bruno Kessler politico e a Giuseppe Samonà urbanista e approvato nel lontano 1967.
La prima ragione. Ce ne fosse bisogno, l'“avventura del primo Pup” rende evidente che, se le norme urbanistiche
creano buone occasioni, solo le persone che pensano e agiscono con una coscienza urbanistica (e ancor prima civile)
si rendono responsabili del buon disegno di un territorio. Senza voler scivolare nella retorica del passato, va riconosciuta
la forza della personalità e della professionalità di chi all'epoca si assunse un grande onere: di dare una via di soluzione e
riscatto ad un Trentino in difficoltà, di decifrare i segnali più o meno forti del presente e di decidere di puntare su una idea
di futuro concretizzata in uno strumento di pianificazione urbanistica.
Il secondo motivo sta nella constatazione che il processo di formazione del primo Pup resta quale esemplare
costruzione condivisa di un nuovo modello insediativo, lontano dalla tradizionale contrapposizione città-campagna,
basato sulla ricerca di una giusta scala e di una corrispondente identità anche di gestione d'area vasta. Su questo
modello continua non solo a giocarsi il successo del nuovo strumento urbanistico provinciale e delle nuove Comunità di
Valle, ma anche, e ancor di più, la capacità di esercizio di democrazia, o di governo del territorio, da parte della
popolazione e delle forze che vi risiedono. Come allora è cruciale il riconoscimento che una adeguata scala territoriale
ed amministrativa non compromette l'identità delle singole comunità che vi abitano. E che scelte infrastrutturali e
insediative e produttive possono condizionare la fortuna di un territorio se armoniche al contesto ambientale e sociale:
chissà che il successo di questa idea di governo possa avere un contributo positivo, almeno uno, dalla recessione che ci
sta opprimendo disperdendo il dominio di una cattiva politica alleata al troppo facile richiamo della rendita
immobiliare.
Walter Micheli, proprio riferendosi al primo Pup, citava Adriano Olivetti che sul primo numero della rivista dell'Istituto
nazionale di urbanistica, nel 1949, scriveva: «L'urbanistica reclama la pianificazione; e può darsi una pianificazione
democratica, cioè libera? Questo interrogativo dominerà implicitamente o esplicitamente il nostro lavoro. È soltanto
nella soluzione del rapporto individuo-collettività… che è possibile anticipare la soluzione». Le parole di Olivetti
inquadrano la visione dell'Inu di allora e, superata una lunga stagione di ideologie e tecnicismi politici, anche quella
attuale.
Le successive esperienze provinciali di pianificazione a larga scala hanno esteso le loro radici nel Piano del '67, dovendo
confrontarsi anche con gli effetti di quel Piano: effetti positivi, se si guardano i dati socio-economici del Trentino del
dopoguerra e le opportunità per le valli. Ma anche negativi, se si valutano le conseguenze ambientali di certe scelte di
sviluppo insediativo industriale e residenziale sulle quali poi sia il Piano Mancuso-Mioni del 1987, promosso dall'assessore
Micheli, con le politiche di tutela e messa in sicurezza ambientale (e la nuova legge sui parchi e sulla Via), sia la Variante
del 2002, promossa dall'assessore Roberto Pinter e compiuta nel Piano generale del 2008, promosso all'assessore Mauro
Gilmozzi (con la legge sulle “seconde case”, le aree agricole di pregio) sono dovuti intervenire. Il percorso a ritroso è però
gioco pericoloso, anche perché le responsabilità per una riuscita imperfetta possono essere in parte demandate
all'attuazione del Piano, ai diversi soggetti e interessi che se ne sono poi serviti, snaturandolo.
Non ho mai dimenticato i ricordi dei lunghissimi viaggi su e giù per le strade del Trentino che a noi studenti Iuav il professor
Lorenzo Moro amava raccontare, rammentando il suo coinvolgimento come neolaureato nel gruppo di lavoro di
Samonà. In particolare il grande studio sui centri storici e sull'edilizia rurale. Per me, prima di conoscere il Piano e il Trentino,
la narrazione di quella esperienza ha rappresentato un serio modello focalizzato su di una sistematica conoscenza,
diretta e concreta, del territorio. E la bellezza di poter lavorare sperimentando nuovi strumenti e approcci interdisciplinari:
il Pup fu il primo piano di area vasta prodotto in Italia.
Vi invito quindi alla lettura di questo numero di Sentieri Urbani: inusuale perché, nel rispetto della citazione storica ma
senza voler applicare metodologie di ricerca storica, ripercorre un passaggio cruciale dell'urbanistica trentina e
nazionale.
Giovanna Ulrici
presidente INU Sezione Trentino
05
Visione,
Pianificazione,
Progetto
Un’intervista a Bernardo Secchi
a cura di Alessandro Franceschini
Professore, all'inizio degli anni Sessanta il
Trentino, sotto la visione politica di Bruno
Kessler, si appresta ad implementare un
piano territoriale di area vasta e Lei è tra i
professionisti chiamati da Giuseppe
Samonà a far parte dell'equipe di progetto.
Che ricordo ha di quell'esperienza?
«In quel periodo mi occupavo
principalmente di economia urbana, che
avevo iniziato ad insegnare presso l'Istituto
Universitario di Architettura di Venezia.
Samonà, che era allora il rettore di quella
Scuola, mi aveva coinvolto, giovanissimo, nel
gruppo di lavoro proprio per quanto
riguardava gli aspetti relativi all'economia
urbana. Naturalmente, né io né tantomeno
Samonà, abbiamo mai creduto molto negli
specialismi della divisione disciplinare. Ogni
componente dell'equipe di progetto offriva il
suo contributo a tutto campo. Ricordo le
lunghe serate passate assieme, dopo uno
giornata di lavoro, a Samonà all'Hotel
Trento. Lui non era una buona forchetta,
diffidava dei piaceri della cucina. Così si
passava molto tempo a parlare e a
immaginare scenari di progetto e idee di
sviluppo. È stato come fare una seconda
università. Per questi motivi si è trattato di
un'esperienza fondamentale per me. Ma, in
fondo, anche per quanto riguarda la storia
della pianificazione nel nostro Paese, visto
che per la prima volta si intraprendeva una
pianificazione di area vasta. Devo però anche
aggiungere che, purtroppo, di
quell'esperienza trentina non è stato capito
nulla».
Bernardo Secchi, professore ordinario di Urbanistica all'Istituto Universitario di
Architettura di Venezia, è stato preside della Facoltà di Architettura di
Milano. Ha insegnato nell'Ecole d'Architecture di Ginevra, nell'Università di
Lovanio, di Zurigo, nell'Institut d'Urbanisme de Paris e nell'Ecole
d'Architecture de Bretagne (Rennes). Ha partecipato alla redazione di
numerosi piani e progetti in Italia e in Europa.
06
Può spiegare meglio questo concetto?
«La vera grande intuizione di quel piano è
quella della teorizzazione della “unità
insediative”. Già in quegli anni era chiaro
come anche nel Trentino fosse in atto un
fenomeno di dispersione urbana e che fosse
ormai impossibile ragionare nei termini
classici di contrapposizione tra città e
campagna e tra città e insediamenti diffusi.
Le unità insediative, la cui formazione era
una conseguenza diretta delle caratteristiche
Kessler era un “vecchio” democristiano che possedeva
una grande capacità politica e, soprattutto, idee e visioni.
Con lui si passavano delle ore molto interessanti
e devo dire che è stato uno dei pochissimi personaggi
politici con cui ho amato conversare
morfologiche ed ambientali del territorio,
erano un'occasione interessante per inventare
nuovi scenari di sviluppo insediativo».
In effetti la presenza preponderante del
sistema morfologico è una componente che
ha condizionato molto le dinamiche
insediative nel Trentino.
«Con Samonà, scherzavamo spesso su questo
aspetto. Dicevano che progettare in montagna
è molto più facile che progettare in pianura,
perché lì il territorio detta delle regole che è
bene osservare: la morfologia, la rete
idrografica, il soleggiamento… una griglia di
vincoli ai quali l'insediamento si deve
necessariamente conformare».
Ritorniamo, per cortesia, alle unità
insediative.
«Sì, il riconoscimento e la codificazione di
quelle unità insediative non è stato capito fino
in fondo. Quell'idea è stata ad un certo punto
“burocratizzata”, ridotta a perimetri che
hanno preso il nome di comprensori. Invece
nell'intuizione originaria, le unità insediative
non avevano perimetri, ma erano delle
“macchie” che ordinavano gerarchicamente il
territorio. In questo modo è stato “tradita”
l'intuizione originaria di Samonà. Durante la
redazione del piano emergevano sempre due
posizioni dialettiche: una era quella vulcanica
di Giuseppe Samonà. L'altra era quella dei
funzionari della Provincia autonoma di
Trento. Questi pretendevano delle definizioni
univoche che potessero essere tradotte in
legge. Questa distanza spesso faceva
innervosire Samonà. D'altronde si trattava di
un lavoro difficile, che veniva fatto per la
prima volta in Italia. Esisteva solo qualche
esempio internazionale. Qualcosa era stato
fatto nel Piano intercomunale di Milano,
esperienza urbanistica molto frustrante a cui
avevo avuto l'occasione di collaborare.
Tuttavia, per quanto riguarda il piano
trentino, ricordo un clima molto disteso
dentro il gruppo di lavoro che era
caratterizzato dalla presenza di professionisti
molto capaci. E poi c'era, ovviamente, Bruno
Kessler».
…che è considerato il “padre politico”
del Piano urbanistico provinciale.
«Kessler era un “vecchio” democristiano,
che possedeva una grande capacità
politica e, soprattutto, idee e visioni. Era
molto attaccato alla sua terra, in
particolare alla natia Val di Sole. Con lui si
passavano delle ore molto interessanti e
devo dire che è stato uno dei pochissimi
personaggi politici (oltre a lui mi viene in
mente solo Mino Martinazzoli, storico
sindaco di Brescia e ultimo Segretario
nazionale della Democrazia Cristiana) con
cui ho amato conversare. La sua
caratteristica era quella di circondarsi di
persone che la pensavano diversamente da
lui. Metteva continuamente in discussione
i suoi princìpi. Non a caso si era attorniato
di professionisti che avevano anche delle
idee politiche diverse da lui, come
Samonà. Il quale aveva un'attrazione per i
problemi sociali e non pensava –
diversamente da molti altri – che
l'industria fosse la panacea a tutti i
problemi di sviluppo».
Tra l'altro Samonà, nel caso del piano
trentino, non si comportava da
“archistar” ma era spesso a Trento per
seguire i lavori…
«Per sua predisposizione Samonà era
sempre “sul pezzo”. Amava essere lui,
direttamente, a fare le cose. Non che non
si fidasse dei suoi collaboratori. Ma amava
molto il suo lavoro, anche negli aspetti più
concreti. Il lavoro che facemmo a Trento
ci impegnò molto e il capogruppo era
sempre presente. Per quanto mi riguarda
era il mio lavoro a tempo pieno di allora.
Bisogna inoltre tener conto che il piano
era completamente disegnato a mano.
Eravamo abbondantemente nell'era preinformatica. Il piano era redatto su grandi
tavole con pennini a china, acquerelli,
retini su trasferibili. A volte si
commetteva un errore che comprometteva
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tutta una tavola e che doveva essere,
conseguentemente, rifatta da zero».
Tra l'altro le tavole originali del piano
sono andate perdute, rovinate
irrimediabilmente dall'alluvione del
1966…
«Sì e questo è un vero peccato. Ma capita
frequentemente che le amministrazioni
perdano la tavole originarie di un piano
anche senza eventi catastrofici, come nel
caso del Trentino. Penso, ad esempio, ai
disegni originari del mio piano per Siena,
che l'amministrazione senese ha
inspiegabilmente perduto».
Come era il Trentino degli anni
Sessanta? Si ha spesso l'impressione che
si trattasse di una terra arretrata e
povera.
«No, il Trentino di allora non era una terra
arretrata, né economicamente né
culturalmente. Basti pensare che già allora
esisteva un fenomeno turistico
significativo. C'erano però due grossi
rischi. Il primo era quello del mito
dell'industrializzazione. Si credeva che
l'industria potesse essere la soluzione a
molti dei problemi di crescita economica.
Noi cercavamo di far capire che l'industria
non era, a volte, la soluzione migliore e,
soprattutto, che il suo arrivo non era
scevro da problemi di natura urbanistica e
ambientale. Le conseguenza più gravi di
quelle scelte le possiamo vedere oggi
soprattutto nelle zone a nord di Trento e a
sud di Rovereto».
Ed il secondo rischio?
«Il secondo rischio riguardava il sistema
turistico, ed in particolare il suo sviluppo
legato alla villeggiatura “famigliare”. Ed in
effetti è stato un po' così: si è puntato su
un afflusso turistico famigliare, basato
principalmente sulla “seconda casa” che ha
compromesso territori e paesaggi di grande
interesse: penso alla Val di Fiemme, a San
Martino nel Primiero, alla Val di Sole, alla
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piana di Tione… In particolare non si era
capito che anche il fenomeno del turismo
residenziale potesse essere urbanisticamente
governato in maniera creativa. Invece spesso
ci si è accontentati di uno sviluppo caotico.
Ma questo non può che essere considerato
un effetto collaterale del grande boom
economico degli anni Sessanta che vedeva
l'Italia uscire, finalmente, dalla povertà e
diventare un paese ricco».
C'era una percezione di “distanza” tra il
Trentino di allora e i territori di pianura e
di Milano, in particolare?
«Devo dire che già allora si percepiva una
maggiore civiltà rispetto alla pianura che
abitualmente frequentavo. Se posso
raccontare un piccolo aneddoto: durante i
miei soggiorni a Trento ero solito frequentare
una libreria collocata in via Belenzani, nel
centro storico del capoluogo. Quando i
proprietari mi ebbero “inquadrato” come un
ricercatore e docente dell'università, mi
lasciarono liberamente fare delle ricerche
bibliografiche sulle scalette dei loro scaffali.
Ebbene, con mia grande sorpresa in quella
libreria trovavo tanti libri esauriti che a
Milano era impossibile ottenere. Così il mio
fornitore ufficiali di libri esauriti e rari
divenne quella libreria di Trento».
Come è finita la sua avventura con il Piano
urbanistico del Trentino?
«Finito il piano, Samonà mi diede il compito
di “tenere la posizione”. Fui nominato così
all'interno della Commissione urbanistica
provinciale, che aveva il compito di
esaminare i piani regolatori generali e di
verificarne la coerenza con il Piano
urbanistico provinciale. Devo ammettere che
in quella commissione godevo di una certa
autorevolezza che mi portava ad essere uno
dei membri più ascoltati. Ricordo, sempre
come aneddoto, la bocciatura clamorosa del
Piano regolatore della città di Arco, firmato
da Renata Egle Trincanato, allora molto
intima con Samonà. Con mia sorpresa, egli
stesso mi confessò, a quattr'occhi, la sua
Più passa il tempo, più devo ammettere che la mia
generazione di urbanisti ha delle enormi
responsabilità dentro la storia della nostra disciplina:
non abbiamo saputo cogliere fino in fondo gli
stimoli e le intuizioni dei nostri maestri
solidarietà: un piano che avrebbe bocciato
anche lui, se avesse dovuto e se avesse potuto.
Un'altra bocciatura che fece scalpore fu
quella del Piano regolatore di Rovereto, che
era veramente un pessimo piano. In quel caso,
per sostenere le mie tesi, dovetti farmi anche
dei nemici. In generale le attese del piano,
calate sulle realtà locali, facevano fatica a
emergere, soffocate dalla prevalenza degli
interessi localistici».
Dopo l'approvazione del piano
cominciarono tuttavia i problemi. In
particolare per quanto riguarda l'idea di
Comprensorio e la sua attuazione sul
territorio.
«In effetti con la formazione dei Comprensori,
iniziarono anche i problemi. Come al solito,
questo non ha a che fare con la forza del piano
urbanistico, ma con la distribuzione del
potere. Purtroppo la classe politica di allora
non era all'altezza di Kessler. Come ho già
detto, lui era una persona intelligente e con
grande capacità di “visione”. Però, purtroppo,
era circondato da politici ed amministratori
meno dotati. E questo ha portato ad
un'attuazione del piano urbanistico banale e
superficiale. In questo senso le successive
revisioni hanno fatto perdere il carico
potenziale del piano. Si è perso totalmente, ad
esempio, il concetto di unità insediativa. I
tanti professori che si sono succeduti a
Trento, in occasione delle successive revisioni
del piano, avevano l'opportunità di lavorare
con maggiore profondità sul concetto di unità
insediativa. Era l'occasione per uscire della
dialettica tra città e campagna che ha portato
nel resto d'Italia al fenomeno della
dispersione».
Intende dire che la disciplina non è stata
all'altezza della sfida?
«Più passa il tempo, più devo ammettere che
la mia generazione di urbanisti ha delle
enormi responsabilità dentro alla storia della
nostra disciplina. Ovvero non aver accolto gli
stimoli e le intuizioni dei nostri maestri,
Giuseppe Samonà, Giancarlo De Carlo,
Giovanni Astengo… Certo, abbiamo subito
la grande interruzione e cesura avvenuta
negli anni Settanta, quando la disciplina si è
politicizzata e si è creduto di poter
sostituire il territorio reale con delle teorie
astratte e ideologiche. Ma non è una scusa
sufficiente e oggi possiamo dire che la mia
generazione ha fallito il proprio compito.
Non è un caso che oggi in Italia ci sia una
grandissima difficoltà, da parte di tutti, di
parlare di città e di territorio. Per cui oggi
lavorare nel nostro paese è simile ad una
perdita di tempo. E non è un caso che
attualmente i miei interessi professionali
siano tutti all'estero. In Belgio, in Francia,
perfino in Russia. All'estero l'importanza del
territorio è accettata e voluta da tutte le
componenti della società. Qui da noi
l'urbanistica sembra trasformata in un
mercato dei suoli, in un mercato politico».
Quale stato il ruolo dell'Inu in questa
negligenza disciplinare?
«L'Istituto Nazionale di Urbanistica ha
avuto, in questo senso, delle forti
responsabilità, perché ha portato il dibattito
inerente le trasformazioni del territorio sul
piano squisitamente giuridico. Pensando
erroneamente che il diritto fosse il mezzo
per comprendere le relazioni sociali e
spaziali della nostra società che si
esprimono nella costruzione del territorio.
Mentre è esattamente il contrario: è dalla
comprensione delle dinamiche del territorio
che si possono comprendere le
caratteristiche delle relazioni socio-spaziali,
governandole – successivamente – con il
diritto. Ma non è solo questo il problema.
La dicotomia tra giurisprudenza ed
urbanistica ha fatto precipitare la disciplina
in un'atmosfera tetra e terribilmente noiosa.
Questo ha portato gli urbanisti ad essere
degli esclusi ed oggi nessuno più li ascolta. E
questo è, probabilmente, l'aspetto più
disastroso».
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Dossier:
Bruno Kessler e il
primo Pup 1961/1964
a cura di Sergio Giovanazzi e Alessandro Franceschini
12
Cinquant'anni fa il Trentino fu protagonista di un'importante pagina della storia
dell'urbanistica italiana: Bruno Kessler, giovane presidente della Provincia di Trento,
raccolse attorno a sé architetti, urbanisti, economisti, sociologi e demografi per dar vita al
primo piano urbanistico di area vasta realizzato nel nostro Paese. Il Piano urbanistico della
Provincia di Trento fu adottato dalla Giunta Provinciale il 23 maggio 1964 (con l’adozione
definitiva approvata il 10 agosto 1967), dopo tre intensi anni di lavori preparatori, durante i
quali di un singolare accordo tra politica e lavoro scientifico permisero la realizzazione di
quella che Leonardo Benevolo avrà modo di definire come “un'utopia tecnicamente
fondata”.
Questo numero di Sentieri Urbani intendere ripercorrere non tanto la struttura del piano,
peraltro già ampiamente contenuta in un volume monografico sul Pup edito dalla
Provincia autonoma di Trento nel 1968, quanto piuttosto le tappe della sua articolazione
politica e della sua predisposizione tecnica. L'occasione di questo lavoro è stata la
sistematizzazione di una serie di materiali raccolti negli anni Ottanta da Sergio Giovanazzi
che Giuseppe Samonà volle al suo fianco nella redazione del piano. Si tratta di documenti
spesso ancora inediti, che hanno la forza di raccontare «da dietro le quinte» l'evoluzione
del percorso di piano.
Dagli anni Sessanta ad oggi, il territorio trentino ha vissuto mezzo secolo di intenso sviluppo,
durante i quali da una parte si è creato un particolare quadro istituzionale di autonomia,
che ha registrato il momento più significativo nella modifica dello Statuto del 1972,
dall'altra parte si è tentato di incanalare il processo di trasformazione con l'utilizzo di
strumenti pianificatori in parte nuovi. Nel Trentino, durante il periodo che va dal 1960 ad
oggi, le caratteristiche strutturali delle popolazioni della campagna si sono
profondamente evolute verso forme specifiche dei gruppi urbani anche in modo parziale
e non uniforme. La composizione della popolazione attiva, per citare soltanto gli elementi
di maggiore rilevanza, si è ormai differenziata nei settori di attività verso caratteristiche
tipicamente urbane. Quasi ovunque gli addetti al settore primario costituiscono la
porzione più ridotta, mentre gli addetti al terziario superano quelli dell'industria.
La diversità, rispetto agli anni '60, aumentano considerando che la stessa attività agricola
si sta profondamente modificando verso una specializzazione che richiede agli operatori
forti capacità di astrazione, al di là del fatto concreto quotidiano. La stratificazione sociopolitica è più rilevante e differenziata che nel passato e comporta una parallela maggiore
stratificazione urbana che, se non raggiunge il grado tipico delle grandi città, è ben più
rilevante di una volta.
La scolarizzazione fino agli ultimi livelli, ha interessato nelle vallate un alto numero di
giovani e la loro presenza attiva è ovunque testimoniata dall'aumento dell'associazionismo e dalla partecipazione al dibattito su argomenti d vario interesse. Anche la
mobilità della popolazione si è accresciuta oltre i prevedibili andamenti legati all'esodo
agricolo ed è frequente il caso di spostamenti rilevanti dall'agricoltura al turismo, ma in
tempi recenti in maggior misura dall'industria ad altre attività legate al turismo, al
commercio, ai servizi.
Per la prima volta in una regione italiana cambiamenti di questa portata sono stati stimolati
anche da un complesso di interventi pianificatori variamente articolati, che hanno trovato
nell'idea di comprensorio la loro espressione unificante. La “campagna urbanizzata”, in
cui per ognuno dovevano essere effettivamente la possibilità di scelta, obiettivo primo del
piano provinciale già nel 1961, si è dunque realizzata – per certi aspetti – su larghe parti del
territorio trentino.
13
I protagonisti
Il politico
Bruno Kessler
(1924 - 1991)
Presidente della Provincia
autonoma di Trento dal 1961 al
1973, è considerato il “padre”
del Pup e dell’Università di
Trento. Deputato e Senatore, è
stato Sottosegretario della
Repubblica.
I progettisti
Giuseppe Samonà
Nino Andreatta
Sergio Giovanazzi
(1898 - 1983)
(1928 - 2007)
(1937)
Fra i maggiori architetti italiani del
Novecento, Samonà è stato un
celebre urbanista. Nel 1936 viene
chiamato dall'Istituto Universitario
di Architettura di Venezia, dove
prosegue l'attività accademica
fino al 1971.
Politico ed economista, ebbe un
lungo sodalizio con Bruno Kessler
sul tema dell'autonomia.
Professore univeristario ha
insegnato economia ad Urbino,
Trento, Milano. Dal 1980 al 1998 fu
più volte Ministro della Repubblica.
Laureato in Architettura a Venezia
con Giuseppe Samonà, entra a
far parte dell’equipe di progetto
del Pup nell’estate del 1961. Ha
curato anche la fase attuativa del
piano, firmando il Piano
Comprensoriale della Val di Sole.
Sandro Boato
Bernardo Secchi
Giambosco Janes
(1938)
(1934)
(1934)
Laureato in Architettura a
Venezia con Giuseppe Samonà,
entra a far parte dell’equipe di
progetto del Pup nell’estate del
1961. In seguito ha lavorato
presso il Servizio Urbanistica della
Provincia autonoma di Trento.
Professore ordinario di urbanistica
presso l’Iuav di Venezia. Ha
firmato piani urbanistici e ricerche
in Italia e all’estero.
Laureato in Giurisprudenza presso
l'Università di Bologna ha diretto
l'Ufficio Urbanistico della Provincia
autonoma di Trento costituito
proprio in occasione della
redazione del Pup.
Franco Demarchi
Pietro Nervi
Romano Prodi
(1921 - 2004)
(1932)
(1939)
Figura poliedrica di studioso e
di sacerdote, è stato
professore di sociologia
all’Università di Trento,
all’Università Cattolica di
Milano, all’Università di Trieste
e in molte altre istituzioni.
Nato a Toirano, provincia di
Savona. Laureato in Scienze
Agrarie all’Università Cattolica
Sacro Cuore di Milano, è
docente di economia e
politica montana e forestale
all’Università di Trento.
Economista, professore
universitario, è stato allievo di
Nino Andreatta. Per due volte è
stato presidente del Consiglio
dei Ministri della Repubblica.
Il coordinatore
Giampaolo Andreatta
(1931)
Dirigente della provincia
autonoma di Trento è stato a
lungo collaboratore di Bruno
Kessler e Nino Andreatta.
All’interno dell’equipe del Pup
coordinava l’Ufficio Studi.
I collaboratori generali
I consulenti
Gli altri consulenti
Rodolfo Benini
Ercole Calcaterra
Alfredo de Riccabona
Bruno Gentilini
Pietro Leonardi
Domenico Maione
Giulio Menato
Lorenzo Moro
14
Ivo Perini
Umberto Potoschnig
Gino Tomasi
Giannantonio Venzo
Trentino 1961:
alcuni dati
Comuni: 227 / Abitanti: 412.104 / Estensione: 6.212 Kmq
Popolazione attiva,
distinta per sesso
(valori ogni 1000 abitanti)
Trentino:
Donne: 96
Uomini: 304
Italia:
Donne: 99
Uomini: 299
Occupati secondo
grandi rami di attività
Trentino:
agricoltura: 26%
industria 39%
altro 35%
Italia:
agricoltura: 30%
industria 39%
altro 31%
Incremento
demografico (1871/1961)
Trentino 2,2%
Italia 6,8%
Tasso
di disoccupazione
Trentino 8,9%
Italia 7,7%
Istruzione
Trentino:
analfabeti: 0,5%
diplomati 3,5%
laureati 8,5 %
Italia:
analfabeti: 7,5%
diplomati 3,8%
laureati 11,8 %
Fonte: Istat del 1961
15
‘61
Cronologia
1961 / 25 aprile
- Bruno Kessler espone al Consiglio
provinciale il suo primo
programma quadriennale:
«Riteniamo che la Giunta, pur con
i necessari contemperamenti,
debba impostare la sua attività su
basi scientifiche senza tuttavia
cadere nell'eccesso opposto,
consistente nel considerare come
sperimentale ogni risultanza
scientifica».
1961 / 31 luglio
- Viene affidato l’incarico a
Giuseppe Samonà e Giovanni
Astengo (subito ritiratosi) dell’Iuav
di Venezia di redigere il Piano
urbanistico provinciale.
1961 / ottobre
- Si svolge a Trento il primo
seminario sul tema del Pup:
confronto con i primi risultati dello
studio Tèkne affidato dalla
Regione TAA per studiare
l’industraializzazione delle
province di Trento e di Bolzano.
1961 / dicembre
- Fine dello studio Tèkne sulle
ipotesi di localizzazione industriale
nella regione. Emergono tre
ipotesi di organizzazione
territoriale; l'ultima prevedeva
“una zona di concentrazione
industriale, urbana e fatta di servizi
lungo l'asta Rovereto – Bolzano e
la formazione di una serie di poli di
sviluppo industriale all'interno di
alcune valli”. In Trentino si
prevedono nove aree. Il Pup
rifiuta questa schematizzazione a
favore di una pianificazione più
articolata, più comprensiva delle
realtà e tradizioni locali.
1961
- Prime ipotesi sul Prg di Trento,
formulate dal gruppo del prof.
Marconi, che accentuano il ruolo
del capoluogo egemone. Duri
scontri con il gruppo Samonà.
1962 / inizio
- Si inizia con una vasta
ricognizione della realtà
provinciale, con indagini dirette
e coordinate (sociologiche,
sull'agricoltura, sui servizi,
sull'edilizia e sulle preesistenze
ambientali, sull'energia);
- Prime elaborazioni
demografiche;
- Prime verifiche con gli
amministratori locali (Cles,
Fondo, Malè).
1962 / aprile
- Convegno Torbole, presieduto
da Bruno Kessler ed organizzato
dall'Ufficio Studi.
Parteciparono: Samonà e i suoi
collaboratori, Nino Andretta,
Lombardini, Secchi, Calcaterra,
Braga, Rivolta. Dibattito tra le
ipotesi di
localizzazione/programma
economico e le prime scelte
urbanistiche, orientate verso
l'equilibrio territoriale, capace di
formare “città senza
concentrazione”, una nuova
organizzazione territoriale,
fondata su dimensioni
opportune: si precisano dunque,
anche nei loro confini, i
comprensori, con le tipologie
formative di queste nuove città
(relative all'industria diffusa, ai
servizi altrettanto decentrati, al
recupero del patrimonio edilizio
antico, all'uso equilibrato delle
risorse ambientali finalizzate
all'equilibri territoriale).
Si precisa quindi il concetto di
“campagna urbanizzata”.
Sono individuate sette grandi
unità territoriali, la prima
proposta di suddivisione
comprensoriale;
all'interno di queste, più comuni
formano le “unità insediative”,
quasi quartieri della nuova città,
utili per un'organizzazione
unitaria dei servizi.
16
1962 / novembre
- Presentazione della prima,
completa proposta di Pup al
congresso Inu di Milano:
- Dieci comprensori, correlati alle
valli e alla loro storia;
- Lettura del territorio, attraverso
le sue trasformazioni, in
particolari le più recenti e quelle
in corso;
- Analisi della struttura
insediativa;
- Analisi di quella socio –
economica - demografica;
- Il comprensorio come struttura
capace di realizzare il concetto
di campagna urbanizzata,
individuabile usando alcuni
precisi criteri;
- Trento enucleata come città
comprensorio;
- Superstrada della Valsugana;
- Strade di completamento
dell'autostrada;
- Prime indicazioni sul turismo.
1963 / riunioni nei comprensori
- verifiche di tutte le ipotesi con
gli amministratori.
1963 / primavera
- dichiarazione di Kessler al
Consiglio Provinciale:
«Ove si arrivasse a proporre e a
far accettare nei comprensori
un discorso unitario sui principali
problemi con reciproci sacrifici
individuali in vista di maggiori
utilità collettive, già si farebbe
un grosso passo in avanti. Su
questa strada d'altra parte ci
stiamo avviando con profitto ed
in quattro comprensori – Val di
Sola, Cismon, Bassa Valsugana,
e Val Lagarina già si sta per
iniziare la pianificazione».
E inoltre: «Non ci nascondiamo
che stiamo per porre in
movimento una organizzazione
che potrà avere oggi sviluppi
imprevedibili».
1963 / ottobre
- Convegno Inu di Cagliari:
presentazione dell'attività
urbanistica della Provincia in una
sede nazionale. Grandi consensi
alla relazione di Kessler.
1963 / novembre
Preparazione della stesura
ufficiale del Pup in un quadro
completo (scala 1:10.000).
1963/dicembre
Presentazione al Consiglio della
nuova legge urbanistica
provinciale, redatta in funzione
delle caratteristiche del progetto
di piano. Previsione del piano
comprensoriale e quindi dei
consorzi per sua predisposizione e
approvazione.
1964 / gennaio-aprile
Ulteriore tornata di consultazioni
nelle quali disse Kessler: «sulle
premesse, sugli obiettivi di fondo
e sulle indicazioni di maggior
rilievo del Pup abbiamo
riscontrato un'ampia e per noi
significativa adesione degli
amministratori pubblici locali,
nonché delle rappresentanze dei
vari gruppi economico-sociali».
1964/23 maggio
Approvazione del progetto PUP
da parte della Giunta Provinciale
- Esso materialmente costituito
dalla relazione illustrativa, delle
norme di attuazione e della
cartografia, che per tutte le parti
abitate e dalla cartografia, della
scala 1:10.000, era firmato dal
prof. Giuseppe Samonà dal prof.
Nino Andretta e dall'arch. Sergio
Giovanazzi, mentre gli studi e le
ricerche che lo
accompagnavano erano stati
coordinati dal Dott. Giampaolo
Andreatta. I contenuti del piano
sintetizzavano i risultati del
dibattito precedente. Nel
presentarli Kessler ribadiva un
quadro di riferimento ormai
costante nel processo di piano:
«Le indagini effettuate hanno
portato ad individuare l'esistenza
ed il progressivo accentuarsi,
anche da noi, di squilibri territoriali,
settoriali e sociali che inducono
gran parte della popolazione e
dei capitolati a defluire dalla
periferia per accentuarsi verso
l'asta dell'Adige, o verso altri centri
di minore importanza.
I detti squilibri, inoltre, inducono
buona parte della popolazione
giovane, ad abbandonarla
periferia per la emigrazione,
all'interno o all'esterno. Un esodo
così massiccio dalla periferia, con
il conseguente accentramento di
gran parte della popolazione nei
centri principali, ed una tendenza
così forte verso l'emigrazione, sono
fenomeni di fronte ai quali la
Giunta provinciale si è posta
l'interrogativo se essi andavano
passivamente accettati e se,
invece dovevano essere in
qualche modo fermati e corretti.
Le risposta a questa domanda
comportava, come appena
evidente, una scelta politica di
fondo, scelta che non poteva
essere fatta che dall'organico che
la più generale responsabilità in
ordine al futuro sviluppo
urbanistico del territorio».
1964 / I contenuti
del progetto PUP:
- I comprensori e le unità
insediative per garantire a tutti
le scelte proprie della vita
urbana: è necessario localizzare
anche nella campagna
strutture produttive e di servizi di
grandi dimensioni e valori;
questi devono operare con la
massima efficienza possibile;
quindi necessita di una
dimensione più grande dei
singoli Comuni, capace di
accogliere e di utilizzare tutte
queste strutture.
- l'intervento urbanistico i suoi
settori:
a) Settore della tutela del
paesaggio anteposto a tutti gli
altro perché costituisce il
vincolo oggettivo fra la
configurazione fisica del
territorio e la dimensione e
localizzazione degli interventi;
b) Settore residenziale che
comprende sia le zone di nuovo
sviluppo che gli interventi nelle
zone residenziali esistenti;
c) Settore delle infrastrutture di
collegamento;
d) Settore dell'industria e
artigianato;
e) Settore agricolo;
f) Settore turistico;
g) Centri direzionali e commerciali.
‘64
17
Bibliografia di riferimento
Autori vari
Il Piano urbanistico provinciale
Provincia autonoma di Trento
Il Piano urbanistico del Trentino
Franco Mancuso (a cura di)
L’urbanistica del territorio
Supplemento al nr. 8-9 de “Il Trentino”
1968
Marsilio - Padova
1968
Marsilio - Venezia
1991
Si tratta di un fascicolo edito all’indomani
dell’entrata in vigore del Pup. Contiene un’ampia
premessa metodologica una sintesi delle attività
di analisi ed il contenuto delle principali scelte di
piano sia a livello generale che a livello delle scelte
specifiche. Uno strumento pensato per una larga
diffusione e per una comprensione del Pup anche
da parte dei non esperti. Presente anche un
essenziale apparato cartografico con gli interventi
generali del piano.
Il documento più completo per quanto riguarda il
Pup del Trentino. Curato da Sandro Boato e
Romano Prodi, con la supervisione di Nino
Andreatta, facendo sintesi dei tanti documenti
redatti dall’equipe di progetto a partire dal 1961.
Contiene un racconto dettagliato di tutto il
percorso di piano e un approfondimento di tutte le
scelte progettuali. Sono inoltre contenute tutte le
tavole del Piano urbanistico provinciale in scala
1:10.000.
Dopo vent’anni dall’approvazione del Pup,
Franco Mancuso è incaricato di redigerne la
prima variante generale. Questo volume
raccoglie il progetto pensato per il Trentino
dopo l’attuazione delle previsioni del primo
piano e, che si fonda sulla visione politica di
Walter Micheli. Il lavoro di Giuseppe Samonà
viene ripensato alla luce della nuove sensibilità
ambientali e di tutela del territorio emerse a
partire dai primi anni Ottanta.
Bruno Zanon
Pianificazione territoriale e gestione
dell'ambiente in Trentino
CittàStudi - Milano
1993
Paolo Castelnovi (a cura di)
Progetto di revisione dei piano
urbanistico provinciale
Provincia autonoma di Trento - Trento
2003
Gianni Faustini
Bruno Kessler
Il volume ripercorre in maniera ragionata le
vicende legate al primo Piano urbanistico
provinciale (1967) e delle sua prima revisione
generale (1987), prestando attenzione, in
particolare, alla declinazione dei temi
dell’ambiente e della tutela del paesaggio. Il libro
contempla anche le iniziative legislative intercorse
tra i due piani e le iniziative legate alla
pianificazione sott’ordinata (Piani
Comprensoriali)
Il volume contiene l’esito degli studi effettuati
durante la XII legislatura che hanno dato avvio al
processo di revisione dello strumento urbanistico
provinciale. Si tratta di una sorta di “documento
preliminare”, coordinato dai professori Roberto
Gambino e Paolo Castelnovi del Politecnico di
Torino, che contiene una “Nuova idea di
territorio”: un obiettivo non solo politico ma
anche dettato dall’inderogabile esigenza di
ridefinire il Pup del 1987.
La vita di Bruno Kessler ripercorsa nelle sue due
declinazioni principali: l’attività politica e
l’impegno sociale. Parlare di Kessler significa
ovviamente parlare delle vicende istituzionali
della provincia di Trento dal dopoguerra alla fine
degli anni Ottanta. Anche se il volume non si
sofferma squisitamente sulle vicende del Piano
urbanistico provinciale, emerge comunque con
forza la visione politica di Kessler ed il suo
progetto per il Trentino.
18
FSMT - Trento
2011
L’Italia e il Trentino
all’inizio degli anni ‘60
19
La situazione
urbanistica in Italia
in rapporto
alle emergenze
socio-politiche
La ricostruzione del dopoguerra e il successivo, rapido
sviluppo economico avevano provocato nel Paese
un'espansione edilizia tumultuosa, che procedeva con
ritmi molto più accelerati della capacità di
coordinamento e di guida dell'apparato pubblico. Fu
questa l'immagine concreta di un tipo di sviluppo
affidato alle leggi di mercato e alle energie di uomini tesi
all'affrancamento dai secolari problemi della miseria.
Mentre gli urbanisti si disperavano per questa
situazione e la loro voce stentava a farsi sentire, gli
economisti cercavano vie per lo sviluppo più guidato.
Anche nella provincia di Trento i due grandi problemi
nazionali dell'emigrazione e della concentrazione
(ovvero l’ammassamento di residenti nei centri
principali e il conseguente spopolamento di quelli
minori) con le loro conseguenze ambientali,
costituivano la realtà di quei giorni.
Qui la grande emigrazione era verso l'esterno e
concludeva un processo iniziato almeno cento anni
prima. Ma esisteva anche un fenomeno di movimenti
interni, dalle valli verso le città di Trento e Rovereto,
che a loro volta diventavano aree di forte
concentrazione. L'impoverimento delle valli era
temperato, in alcune aree, dal turismo, fenomeno di
antica data, ma con andamenti ciclici, e che tendeva
anch'esso a concentrarsi nelle zone più celebrate.
Nelle zone di concentrazione si tentò qui, alla fine degli
anni '50 una risposta di “ordine edilizio” più che di
pianificazione.
I primi passi dell'attività urbanistica nella Provincia
autonoma di Trento, verso il 1960, si muovono in un
quadro nazionale complesso, caratterizzato da
espansione edilizia dovuta alla favorevole congiuntura
economica, senza regole e freni, alla quale facevano da
contrappunto, tra l'altro, avanzate proposte degli
urbanisti raccolti nell'Inu.
L'impegno culturale dell'Istituto si centrava su due temi
particolarmente significativi: da una parte i rapporti con
la pianificazione economica, dall'altra gli studi e le
proposte per la preparazione di un vero codice
dell'urbanistica.
20
Se si considera accanto all'attrattiva dell'Inu quella
del Ministero dei Lavori Pubblici si ha l’dea di
un'attività imponente, che tuttavia non riesce a
fornire gli strumenti adeguati per dare ordine allo
sviluppo edilizio e urbano. Il Ministero, già nel 1954,
aveva predisposto e reso esecutivo il primo elenco dei
Comuni tenuti, ai sensi della legge del 1942, a formare
un proprio Piano regolatore generale.
Accanto a questi, si stavano muovendo gli studi per i
piani territoriali di coordinamento, previsti dalla
stessa legge, che generalmente interessavano il
territorio di una intera regione.
Questa vasta attività pianificatoria rivelava in tutta la
sua entità le carenze strutturali della legge del 1942,
già allora inadeguata sul piano dei contenuti e dei
metodi.
Tre erano gli argomenti sui quali il dibattito era più
acceso e che, in sostanza, frenavano la pratica
utilizzazione dei piani.
Il primo e il più dibattuto a livello dell'opinione
pubblica, riguardava il regime di suoli, che nella sua
forma assolutamente privatistica, sottraendo ai piani
la disponibilità dei terreni stessi, li sottoponeva ad
ogni sorta di discrezionalità e di arbitrio, pubblico e
privato.
Il secondo si riferiva alla necessità di individuare le
grandi linee di una pianificazione nazionale e
regionale, che i piani territoriali di coordinamento
non erano in grado di affrontare, sia perché la loro
formazione era, di fatto, sottratta all'iniziativa
politica, sia per la carenza dell'ordinamento regionale
che la Costituzione prevedeva estesa a tutto il Paese.
Il terzo argomento, allora ristretto alla cerchia degli
studiosi, riguardava la pianificazione intercomunale
che si rilevava, in molti casi, sempre più necessaria,
ma che non trovava i modi di realizzarsi.
Al centro dunque attività urbanistica, alla fine degli
anni '50, stanno gli studi e la lotta per una nuova
legge urbanistica.
Dossier:
Il contesto
Il boom economico:
un ritratto dell’Italia
negli anni Sessanta
di Pasquale Saraceno*
Pasquale Saraceno
Gli anni intercorsi dalla fine della parentesi postbellica (che convenzionalmente si pone al 1950,
chiusura del periodo della ricostruzione) ad oggi
sono noti come gli anni del “miracolo italiano”.
Gli aspetti più rilevanti di questo periodo sono
costituiti dall'aumento del reddito e da quello,
correlativo, dell'occupazione. Il reddito nazionale
pro-capite (tenuto, quindi, conto dell'espansione
demografica) ha subito un incremento annuo
medio del 6%, passaggio che è di circa 7 volte
superiore a quello mediamente avutosi nel
novantennio trascorso dagli anni dell'Unità al
1950. Tale andamento, già di per sé
notevolissimo, è reso ancor più significativo e
positivo dall'aumento più che proporzionale
degli investimenti netti, passati da una quota
intorno all'11% del reddito nel 1950 ad una che di
stima superiore al 17% nel periodo più recente.
Questo rilevante progresso economico ha tra le
sue massime manifestazioni l'intensificazione
del processo di creazione dei posti di lavoro.
Mentre nel 1950 l'aumento di occupazione dei
settori non agricoli s'aggirava intorno alle
200.000 unità annue ( inferiore di circa 1/6
all'aumento naturale netto delle forze di lavoro),
oggi si è passati alle 500/600 mila unità di nuovo
occupati all'anno; entità più che doppia
dell'aumento naturale delle forze di lavoro e più
che tripla di tale aumento al netto del flusso
migratorio. In tal modo il problema
dell'inadeguata utilizzazione della nostra forza
lavoro, cioè quello che non più di dieci anni fa
21
* Il testo è tratto dall’articolo
“Programma economico e
pianificazione urbanistica”
pubblicato su Urbanistica nr. 38 del
marzo 1963.
Il progresso del nostro sistema economico si è attuato
senza che venissero poste in essere quelle “politiche propulsive”
in assenza delle quali si riteneva che non si sarebbero potuti
attingere tassi elevati di sviluppo.
era giustamente considerato il massimo problema
economico e sociale del Paese, può ritenersi avviato a
soluzione; ed anzi si sta andando verso una situazione
nella quale il mantenimento dei ritmi di progresso
raggiunti negli scorsi anni troverà un ostacolo
crescente nella disponibilità di mano d'opera.
Questo quadro, così confortante nel suo insieme,
richiede ora di essere qualificato mediante
l'identificazione di alcune modalità del processo di
sviluppo in corso (...).
Il primo elemento da sottolineare è che il progresso del
nostro sistema economico si è attuato senza che
venissero poste in essere quelle “politiche propulsive”
in assenza delle quali si riteneva, (...), che non si
sarebbero potuti attingere tassi elevati di sviluppo. In
effetti, il sistema si è rilevato capace di raggiungere, e
mantenere un ritmo molto intenso, il progresso per
effetto degli impulsi fornitigli dal mercato interno ed
internazionale. L'operare di quegli stimoli e l'intensità
e la continuità di quest'impulso si presentano oggi tali
da consentirci di definire il nostro sistema come “auto
propulsivo”, ove, con tale termine, si intende un
sistema nel quale produttori e consumatori, con le
loro decisioni, possono dar luogo ad una domanda
globale (e ad un'accumulazione di capitale) sufficiente
a dar impiego ai fattori disponibili.
Una seconda modalità del processo di cui si è discorso
è costituita dall'entità delle forze di lavoro che, in
aggiunta alle nove leve, potranno alimentare l'ulteriore
espansione del nostro sistema produttivo. Come è
noto, è soprattutto il settore agricolo quello che
contiene la maggior parte della forza di lavoro che non
trova quindi la possibilità di essere utilizzata altrove.
L'esodo di forze lavoro dall'agricoltura è però
fenomeno in corso da decenni e anche se oggi si
presentava in proporzioni imponenti, ed anzi proprio
per questo motivo, è destinato ad un non lontano
esaurimento, s'intende ove continui, come è lecito
assumere, l'attuale moto di progresso. Si calcola infatti
che intorno al 1973, la forza di lavoro agricolo sarà
ridotta a circa 4 milioni di unità, da 7 milioni e mezzo
qual era nel 1950; e ciò anche supponendo che nel
prossimo avvenire il saggio di progresso economico del
nostro Paese sia di un 20-30% inferiore agli altissimi
livelli degli ultimi anni.
22
Ridotta la forza di lavoro agricolo a 4 milioni di unità,
l'attuale grande esodo dall'agricoltura può
considerarsi concluso e, in conseguenza, potremo dire
che la nostra economia avrà finalmente raggiunto una
situazione di pieno impiego.
Queste, dunque, appaiono essere le più notevoli
caratteristiche del processo in corso: il sistema
economico “auto propulsivo” tende a raggiungere il
pieno impiego, trasformando radicalmente il Paese in
una comunità ad alto livello industriale.
In un'economia in via di profonda trasformazione
quale è oggi l'economia italiana e, in particolare, con il
passaggio di ingenti forze di lavoro dall'agricoltura
all'industria, e con l'estendersi, nei settori non agricoli
ancora arretrati, di forme moderne di attività capaci
di dar luogo ad altri ritmi di incremento di
produttività, non possono mancare rilevanti fenomeni
di redistribuzione di popolazione in tutto il territorio
nazionale. Per rendersi conto dell'imponenza
raggiunta da questi movimenti in questi ultimi anni
non occorre neanche più seguire i dati offerti dalle
rilevazioni anagrafiche; basta la diretta esperienza che
ognuno di noi compie ogni giorno. Questo processo di
redistribuzione della popolazione italiana ed il
progresso civile che riflette il rilevante sviluppo
economico in corso, creano nuove rilevanti esigenze
che si presentano in ogni caso quale che sia la
localizzazione delle nuove strutture produttive nelle
quali si concreta il progresso economico. Ma noi
sappiamo che questa localizzazione non si svolge in
modo soddisfacente; è un giudizio, questo, intorno al
quale non vi sono ormai più apprezzabili divergenze
di opinioni anche se sussistono incertezze rilevanti
quanto alle misure da prendere per correggere la grave
distorsione oggi esistente.
L'indice più drammatico e significativo di questa
distorsione è costituito senza dubbio dall'entità del
flusso migratorio che oggi richiede l'Italia nordoccidentale per sostenere il ritmo di progresso
economico che vi si svolge; nel decennio 1951-61
questo flusso ha raggiunto 1.050.000 unità, pari a
quasi il 10% della popolazione di quelle regioni. A
questo movimento le regioni centro-orientali danno
ormai un contributo decrescente, pur avendo
raggiunto nel decennio un'emigrazione totale di circa
460 mila unità; assume invece importanza crescente
Dossier:
Il contesto
Diventa un impegno sempre più urgente
ottenere che i nuovi posti di lavoro si ripartiscano
sul territorio nazionale in proporzioni più corrispondenti
alla ripartizione regionale della forza lavoro disponibile.
l'immigrazione dal Mezzogiorno; l'esodo da queste
regioni è stato, nel decennio, di circa 1.800.000 unità,
pari ai 2/3 dell'incremento naturale avutosi nel
periodo nella popolazione meridionale, e di questo
flusso la parte maggiore si è diretta appunto verso il
Nord e solo una parte minore verso l'estero e verso
altre regioni del Paese.
Il rilevante intervento in corso nel Mezzogiorno, se
ha dato luogo ad importanti fenomeni di
industrializzazione, non ha potuto evitare il protrarsi
di un tipo di sviluppo economico e di distribuzione
delle risorse che ha finito per mettere a capo a due
equilibri opposti e ugualmente gravi: situazioni di
congestione di abbandono e di disgregazione sociale
in vaste zone della parte arretrata del Paese.
Gli svolgimenti ulteriori, che l'esistente sistema di
convenzione tende a determinare, non possono che
esasperare queste situazioni: il sistema industriale
italiano possiede oggi una forte capacità di
espansione ed esprime normalmente una rilevante
domanda di lavoro. Di fronte alla distorsione che i
dati e le considerazioni ora esposte mettono in
evidenza, assumono oggi grande importanza per
l'avvenire non soltanto della nostra economia, i
seguenti due quesiti: dove si localizzerà nei prossimi
anni la domanda di lavoro che sarà espressa nel
nostro sistema produttivo? E da dove può provenire
l'offerta di lavoro che dovrà essere utilizzata nelle
future strutture produttive?
(...)
Più ancora che in passato vale oggi la considerazione
che è nell'interesse generale del Paese, e non soltanto
del Sud, ottenere, in un programma economico, che il
progresso della economia delle regioni nordoccidentali – progresso oggi inconcepibile senza una
rilevante immigrazione – si svolga in modo da non
impedire l'estensione al Mezzogiorno del nostro
sistema industriale. In altri termini, diventa un
impegno sempre più urgente ottenere che i nuovi
posti di lavoro si ripartiscano sul territorio nazionale
in proporzioni più corrispondenti alla ripartizione
regionale della forza lavoro disponibile.
23
«Così lavorammo per un
nuovo Codice dell'urbanistica…»
di Giuseppe Samonà*
Con Astengo ci incontrammo più volte per
lavorare indisturbati e così prese corpo
quello che fu poi il primo schema di codice
dell'urbanistica
Giuseppe Samonà
Nel 1959, in occasione del settimo convegno dell'Inu
tenutosi a Lecce, fu solennemente stabilito, che
l'Istituto di urbanistica si sarebbe occupato di
studiare a fondo una nuova formulazione della legge
urbanistica, non essendo possibile usare ancora
quella in vigore, del 7 agosto 1942, n. 1150.
Nelle more di decisione da prendere collegialmente su
tale argomento da parte della giunta dell'Inu, chi
scrive e l'architetto Astengo si accordavano per
tracciare un primo schema di quello che avrebbe
dovuto essere il nuovo codice dell'urbanistica italiana,
come fu allora battezzato. Con Astengo ci
incontrammo più volte durante l'inverno 1959-60 in
varie città, per lavorare indisturbati sull'argomento,
da cui gradatamente furono enucleati i primi
lineamenti. Prese corpo quello che fu poi, nel
novembre 1960, il primo schema di codice
dell'urbanistica. Alla formulazione di questo schema
(sulla scorta di quanto da Astengo e da me era stato
già tracciato nel primo schema e dalle osservazioni
fatte sullo schema stesso durante le numerose
peregrinazioni per le città d'Italia) lavorò la
commissione nominata dall'Inu, di cui facevano parte
l'Astengo e da me, il prof. Piccinato, l'Avv. Delli Santi,
il prof. Toschi. Questa commissione mise a punto, in
forma definitiva, il codice dell'urbanistica, che fu
ufficialmente presentato al settimo congresso dell'Inu
tenutosi a Roma nell'autunno del 1960.
Nel codice sono contenute tutte le idee della nuova
struttura che si sarebbe poi data, negli schemi della
legge successiva, alla pianificazione urbanistica nelle
sue diverse scale – dalla regionale, alla
comprensoriale, alla comunale – includendovi per la
prima volta il concetto di integrazione fra i piani
urbanistici e programmi economici.
24
Si creò in tal modo, attraverso l'attività dell'Inu, un
forte movimento di idee per la riforma della legge
urbanistica, che ebbe come conseguenza il
riconoscimento ufficiale del Ministero dei Lavori
Pubblici, espressosi nell’incarico affidato a proprie
commissioni di esperti di studiare questo problema.
Così, il 12 dicembre 1960, il ministero dei Lavori
Pubblici, con On. Zaccagnini, insediava la prima
Commissione nazionale per la riforma della legge
urbanistica di cui facevano parte, fra numerosi altri, il
prof. Astengo, il prof. Piccinato e l'autore di queste
pagine.
Questo primo schema, consegnato nel testo definitivo
il 20 dicembre 1961, annacquava i concetti
fondamentali stabiliti dal codice per l'urbanistica.
Accadde quindi che, quando fu nominato ministro dei
Lavori Pubblici al posto dell'On. Zaccagnini, l'On.
Fiorentino Sullo, questi, avendo idee assai più radicali
sulla riforma della legge urbanistica, accantonava lo
schema suddetto e, con una commissione interamente
rinnovata, dalla quale tuttavia facevano parte ancora
chi scrive, Astengo e Piccinato, il 28 marzo del 1962
riprendeva lo studio della legge delle fondamenta. Lo
schema di legge Sullo fu formulato entro il periodo
brevissimo di due mesi e mezzo. Esso mise a punto, in
maniera molto precisa, alcuni concetti giuridici
fondamentali espressi nel modo più sintetico per la
formulazione di una legge urbanistica veramente
capace di avviare ad uno sviluppo vigoroso i piani
urbanistici del nostro paese.
Per sommi capi tali concetti riguardano:
- l'affermazione della necessità che l'indirizzo e il
coordinamento nazionale della pianificazione
urbanistica si attuino nel quadro della
programmazione economica nazionale e in
riferimento agli obiettivi fissati da questa.
- la competenza regionale della pianificazione
urbanistica secondo i principi di una legge-quadro e il
conseguente obbligo alle regioni di formare il piano
regolatore generale del proprio territorio, ripartendolo
in comprensori e organizzandolo in relazione alla
programmazione economica nazionale.
- l’individuazione, nelle regioni, di comprensori di
pianificazione formati da uno o più comuni e
organizzati come entità unitarie che realizzano la
pianificazione regionale.
- l’individuazione del fabbisogno di terreno da
espropriare per realizzare la pianificazione
urbanistica, calcolandone l'indennità per le aree che
prima del piano non avevano destinazione urbana,
Dossier:
Il contesto
come se il terreno stesso avesse destinazione agricola
e fosse libero da vincoli di contratti agrari; calcolando
l'indennità in base al prezzo di cessione delle più
vicine aree di nuova urbanizzazione, aumentate della
rendita differenziale di posizione in misura non
superiore a un coefficiente massimo da stabilire, per
le aree inedificate già comprese in zona urbanizzata.
- l'espropriazione preventiva materialmente eseguita,
man mano che si presenta il bisogno di avere suoli
disponibili per la formazione delle opere di
urbanizzazione, da realizzare come prima fase dei
piani particolareggiati di esecuzione.
- la proprietà perenne dei terreni espropriati alle
amministrazioni comunali, as altri enti pubblici e allo
Stato, che ne cedono il diritto di superficie, dopo aver
eseguito le opere do urbanizzazione e di sviluppo dei
servizi pubblici, a coloro che costituiscono gli edifici
secondo le previsioni del piano particolareggiato.
Con questi concetti fondamentali, che
perfezionavano e andavano molto oltre quelli
già formulati dalla proposta di codice
dell'urbanistica, si sperava di poter cogliere, in
periodo breve, un risultato positivo dai vari esami che
lo schema Sullo doveva subire prima che fosse
discusso in Parlamento. Purtroppo, in questi esami lo
schema suscitò una serie di obiezioni che riuscirono a
insabbiarlo definitivamente. Esso fu tuttavia preso
dall'On. Pieraccini che, appena nominato ministro
dei Lavori Pubbilci col primo governo di centrosinistra, ne curò personalmente la stesura con una
nuova commissione, di cui facevano parte gli stessi
rappresentanti dell'Inu, più una serie di nuovi
membri. La commissione aveva il compito di studiare
una nuova proposta di legge, che tenesse conto delle
obiezioni fatta alla proposta Sullo e delle
dichiarazioni programmatiche fatte dall'On. Moro
sulla legislazioniamento al governo dei partiti di
centro-sinistra.
Quanto alle obiezioni allo schema Sullo, due fra le
tante erano insormontabili: la prima sostiene
l'incostituzionalità del trasferimento in forma
perenne della proprietà del suolo alle
amministrazioni comunali e agli altri enti pubblici,
che avrebbero potuto cederlo a coloro che
costituiscono secondo il piano, solo come diritto di
superficie; la seconda riguarda il criterio di
valutazione unificato e la generalizzazione
dell'esproprio preventivo a tutti i terreni necessari
alla pianificazione, entrambi accusati di essere
arbitrari e incompatibili con le garanzie assegnate
all'art. 42 della Costituzione alla proprietà privata.
Purtroppo, lo schema di legge urbanistica, una volta
accette queste due obiezioni, veniva a perdere uno
degli strumenti più efficaci di tutta la sua
organizzazione normativa. Infatti, dovendo
affrontare il problema della determinazione
dell'indennità di esproprio, la commissione
Pieraccini stentò a trovare una soluzione che
concordasse con l'opinione generale dei suoi membri
e ne presentò, con lo schema, due diverse
formulazioni. Queste, fra loro piuttosto
contraddittorie, nonostante avessero,
probabilmente, subito altre modifiche, contribuirono
in seguito a insabbiare la proposta di legge, che, a sua
volta, come quella Sullo, e la precedente Zaccagnini,
venne accantonata in attesa di successivi
ammodernamenti.
* Il testo è tratto dal volume
L’urbanistica e l’avvenire delle
città, editori Laterza, Bari,
1973 (5^ edizione)
Quella maniera “disinvolta” di operare...
di Giovanni Astengo
Giovanni Astengo
Percorrendo il Paese si trova in ogni dove il segno di un modo “disinvolto” di operare:
ovunque incontriamo espansioni enormi e caotiche che, o hanno travolto i piani
scrupolosamente redatti, o sono riuscite a farsi esse stesse ufficialmente riconoscere,
assoggettando i piani. Tipica per volumetria assurdamente elevata e compatta, per
deficiente strutturazione stradale, per assenza di zone di sosta e di posteggio, per totale
mancanza di verde è, ad esempio, l'estesissima espansione in atto a Salerno, che pure è fra
i Comuni ad obbligatoria redazione di piano. I risultati sono deprimenti. O i piani sono
fatti a metà e dopo il piano generale non si passa alla redazione dei piani
particolareggiati, come avviene a Torino, cosicché le approssimative indicazioni
volumetriche di Piani Regolatori Generali si prestano a tutte le possibili interpretazioni,
o il Piano Generale stesso non si cura dei centri storici, cosicché là dove sarebbe occorsa
modestia ed oculatezza, come ad Ascoli Piceno, diventa lecito inserire masse incombenti.
O si instaura un regime extra-legale, tollerato dalle autorità centrali, come ad esempio
Assisi, dove non ci si cura minimamente di dar corso ai disposti del Consiglio Superiore e
del Ministro, o come a Venezia e a Savona, dove, come documentiamo nelle pagine che
seguono, i Commissari prefettizi fanno e disfano a piacimento senza rendere conto ad
alcuno. In questo mare magno di malvezzo, di incompetenza se non anche di arroganti
soprusi c'è responsabilità per tutti: dai poteri centrali alle Autorità tutorie, alle
Amministrazioni locali, altre ché agli stessi progettisti. Cosicché il proposito di
risanamento morale, che è finalmente affiorato in solenni dichiarazioni programmatiche ,
diventa estrema urgenza nel campo della politica urbanistica
(Tratto da: “La situazione urbanistica in Italia”, pubblicato su Urbanistica nr. 31 del luglio 1960.)
25
LA SCHEDA
1
Samonà e la nascita di una
nuova organizzazione territoriale:
il Comprensorio
Com’è noto, la riforma urbanistica si fermò, ma alcune
proposte, quelle meno incidenti su interessi pubblici e
privati, ebbero un seguito. Tra queste va sicuramente
citata “l'idea” di comprensorio. Seguirne il processo
formativo, la nascita, i primi sviluppi è essenziale anche
per la piena composizione dell'esperienza trentina.
Va ascritto a Giuseppe Samonà, nella seconda metà
degli anni '50, il merito di aver dato una riposta
convincente all'aspirazione di diversificare, secondo le
caratteristiche proprie di ogni territorio, i dispositivi
giuridici per ciascun tipo di piano.
Queste aspirazioni emersero in particolare nel V
Congresso dell'Inu, svoltosi a Genova nel 1956, dove fu
presentata una indagine approfondita della
pianificazione comunale e furono esaminati i problemi
inerenti i piani di quindici grandi città, medie e piccole.
Contribuì a sviluppare questa problematica anche il VI
Congresso, che ebbe sede a Torino nel 1958, dove fu
affrontato il problema della pianificazione
intercomunale come strumento di mediazione tra piani
regionali e piani comunali e furono elaborate proposte
per una chiarificazione legislativa della materia.
L'elaborazione di Samonà appare per la prima volta nel
libro “L'urbanistica e l'avvenire della città”, nel 1959 ed
è sviluppata nel quadro di una serie di considerazioni
sulla situazione urbanistica italiana.
La proposta di Samonà riguardava, per comuni medi e
piccoli, una procedura che faceva corrispondere ai
caratteri particolari di ogni territorio comunale una
precisa modalità di formazione e d'attuazione del
piano, secondo nuovi criteri.
«Ammessa la validità dell'istanza, si tratterebbe di
tipizzare gli aggregati comunali scartando il criterio
troppo generico e discontinuo fondato sul rapporto fra
numero di popolazione ed importanza del comune, per
fissarsi su quello della determinazione tipologica dei
caratteri del comune stesso, non cosa di semplice
individuazione come presenza di localizzate affinità di
gruppo in determinate regioni geografiche,
economiche, etc…»1
Samonà rileva, in sostanza, un divario probabilmente
notevole nel modo di costituire i gruppi tipologici in
ogni regione d'Italia. Tale rilievo potrebbe dar luogo a
osservazioni importanti, per esempio, sulla varia
suscettibilità all'integrazione delle diverse parti del
territorio italiano: «Entro i limiti del nostro disegno
26
schematico, riteniamo, tuttavia, che si possa grosso
modo configurare per comuni di media grandezza una
tipologia definita da tre elementi: i caratteri peculiari
del comune, quelli tipici del gruppo di comuni minori
con cui esso crea continue integrazioni per reciproca
influenza, e finalmente quelli del gruppo a cui il
comune stesso appartiene, insieme ad altri della
medesima importanza, riteniamo nell'orbita di
determinate grandi caratteristiche territoriali. Quanto
alla norma, essa dovrebbe indicare le modalità con cui
le caratteristiche peculiari di ogni comune debbano
specificarsi nella configurazione zonale dello stato di
fatto e dovrebbe altresì, indicare per grandi linee gli
elementi di carattere geografico, economico,
demografico, ecc…, che servono a definire le
caratteristiche di ogni zona , in riferimento sia al
gruppo a cui il comune stesso appartiene, si al sottogruppo di minori comuni con i quali è integrato per
reciproca influenza diretta.
Le funzioni precise della norma sarebbero
sostanzialmente rivolte a definire in ogni comune la
correlazione fra le caratteristiche zonali di gruppo, in
modo tale che i comuni stessi rientrino tutti nel quadro
di un “piano dei piani”, cioè di un programma
visualizzato dei criteri di pianificazione di tutto il
comprensorio»2.
Samonà propone che esperti italiani, sotto la guida del
Ministero dei Lavori Pubblici, procedano ad una prima
schematica messa a punto di una carta del territorio
descrittiva della distribuzione dei comuni, aggregati in
aree regionali circoscritte secondo gruppi di affinità.
«In ognuno dei raggruppamenti comunali, dunque,
dovrebbe essere formato un programma dei criteri di
pianificazione di tutto il comprensorio, entro il quale
troverebbe adeguata correlazione ognuno dei piani
comunali già in atto in una qualunque delle sue fasi, e
altresì quei comuni che non hanno ancora formato il
piano e che dalle nuove norme di legge sarebbero
chiamati a farlo secondo le modalità che appresso
diremo. È dunque questo il piano comprensoriale,
questo piano dei piani, lo strumento designato a norma
di legge per formare l'inquadramento della
pianificazione comunale. Tale piano, pertanto,
basandosi sulle sommarie indicazioni di gruppo (ecco
perché la raccolta generale dei dati per formare i
raggruppamenti può essere assai semplificata) ne
Dossier:
Il contesto
estenderà e approfondirà i caratteri con analisi
appropriata, in modo da poter delineare il programma
generale di pianificazione. Fra i dati che il piano dovrà
approfondire saranno comprese anche le situazioni
discendenti dal piano regolatore dei diversi comuni, di
cui il programma dovrà tener conto come dati da
analizzare per assimilare sotto forma di vincoli relativi,
ma ovviamente variabili entro limiti che il programma
stesso fisserà in base all'indagine di tutto il
comprensorio, ai nuovi elementi emersi e alle
correlazioni fra questi e i programmi dei piani
regolatori esistenti»3.
Samonà riteneva che l'amministrazione dei piani
comprensoriali dovesse essere affidata in un primo
tempo al Ministero dei Lavori Pubblici e passare
successivamente, a pianificazione avviata, ai comuni
riuniti in consorzio.
Riteneva che da questo sistema dovessero essere
esclusi i comuni più grandi, con gli altri congiunti e già
integrati, mentre i piani comprensoriali sarebbero stati
limitati alla regione circostante.
Per Samonà il piano comprensoriale sarebbe stato
altresì l'occasione di risolvere il problema del
finanziamento dei piani. Anche questo significava una
temporanea limitazione dell'autonomia
amministrativa. Infatti lo Stato avrebbe dovuto
assumersi il compito di fornire adeguati finanziamenti
alle opere produttive più onerose previste dal piano.
«Il piano comprensoriale dovrebbe, dunque, avere tra i
suoi compiti quello di formare un piano economico di
tutte le opere necessarie al comprensorio, sulla
falsariga di ciò che prevede la legge tedesca. A tale
piano dovrebbe essere allegato quello dei relativi
finanziamenti, concordato nei tempi d'attuazione con
tutti gli enti che fanno parte dell'impresa. In tale piano
economico dovrebbero entrare anche i finanziamenti
per avviare tutte le procedure di esproprio
indispensabili alla creazione dei demani comunali e
per gli espropri interni al nucleo urbano»4.
Il dibattito, seguito a questa prima proposta, ha
consentito di indicare con maggiore precisione il ruolo,
la funzione e quindi i contenuti del comprensorio che
trova una sua completa formulazione nel secondo
progetto della nuova legge urbanistica, presentato nel
giugno del 1962 dal Ministro Sullo.
Qui l'originaria proposta di Samonà è modificare nel
senso che si affidano ai piani regionali e non allo Stato
il compito di ripartire il territorio regionale in
comprensori e di indicare per quali di essi fosse
obbligatoria la formazione del piano.
Si precisa poi che le leggi regionali devono prevedere
“la creazione di appositi Enti a carattere consorziale
per la formazione, per l'adozione e per l'esecuzione del
piano”. A questi dovranno partecipare le
amministrazioni provinciali, quelle comunali e gli altri
enti pubblici interessati e potranno essere loro
delegate particolari attribuzioni spettanti ai comuni
che ne fanno parte.
Il piano comprensoriale, che è essenzialmente un piano
territoriale, finge anche da piano regolatore generale nei
territori dei comuni non tenuti alla sua formazione. Da
esso è dunque possibile passare direttamente alla
formazione dei piani particolareggiati.
Il progetto di legge specifico poi che anche gli enti
pubblici, oltre i privati, sono tenuti ad assumere le
prescrizioni e i vincoli del piano stesso, dando in questo
modo un decisivo contributo alla coordinata gestione
urbanistica del territorio.
Questa indicazione tendeva a correggere una situazione
di tensione che molto spesso vedeva le amministrazioni
dello Stato agire indipendentemente dalle indicazioni
dei piani. Nel comprensorio invece le amministrazioni e
gli enti pubblici sarebbero stati associati sia alle
decisioni nel momento di formazione del piano, sia alla
sua gestione. Tuttavia il concetto di “gestione del piano”
non era ancora chiaro nemmeno a livello teorico.
Infatti la proposta di Samonà, sopra riportata, di un
piano economico esecutivo come parte integrante del
piano comprensoriale, non trova accenno nel progetto
di legge, mentre non è specificato il ruolo delle
amministrazioni e degli enti pubblici all'interno del
consorzio.
Va invece sottolineata la carica innovatrice di questo
esercizio collegiale dei poteri di pianificazione, in grado
di dare nuove capacità alla periferia nei confronti delle
grandi aree metropolitane e concrete possibilità di
successo alle nuove tendenze che proiettavano
l'urbanizzazione in una campagna organizzata.
L'esperienza della Provincia di Trento avrebbe
dimostrato che doveva essere ancora approfondito il
rapporto tra piano regionale e comprensoriale e, in
particolare, tra questo e la pianificazione comunale.
È abbastanza singolare che il progetto di legge abbia
lasciato un tale grado di indeterminatezza in una
questione così rilevante. Tanto più che altre,
contemporanee legislazioni europee avevano affrontato
il problema di questo rapporto, dando pertinenti
soluzioni. Si desidera citare al proposito la legge sulla
pianificazione territoriale e sulla urbanistica del Belgio,
del 29 marzo 1962, che prevede tre livelli: regionale,
comprensoriale e comunale e che assegna loro compiti
precisi ed integrati. Il piano regionale, tra l'altro, deve
prevedere l'indicazione dei limiti approssimativi dei
comprensori, che sono poi definiti per decreto reale. Il
piano comprensoriale, a sua volta, deve comprendere
«le misure regolatrici richieste dalle esigenze socioeconomiche del comprensorio» e delle relative alle
principali vie di comunicazioni. Può altresì riferirsi a
tutte o a parte delle materie comprese in un piano
generale comunale, a cui sono affidate le destinazioni
d'uso del suolo e le norme “estetiche” che regolano le
costruzioni.
Questo insieme di proposte, di studi e dibattiti
accompagnava quel vasto movimento politico che
avrebbe preso il nome di centro-sinistra e che, a partire
dal 1962, avrebbe aperto così grandi speranze agli
urbanisti.
Le citazioni 1, 2, 3 e 4 sono tratte dal libro di Giuseppe Samonà, L’urbanistica e
l’avvenire della città, op.cit.
27
Il Trentino:
cenni sulla situazione politica
e socio-economica
intorno al 1961
Il quadro demografico ed economico
La provincia di Trento fa parte della regione TrentinoAlto Adige, che occupa
un territorio di circa 13.600 Kmq in gran parte
montuoso, su cui vivevano, nel 1961, 775.000 abitanti.
La situazione nelle due province è diversa: il Trentino
aveva una popolazione più numerosa dell'Alto Adige;
diversa è anche la densità: 66 ab/Kmq nel Trentino
contro 49 ab/Kmq nell'Alto Adige. Il territorio della
regione è produttivo e coltivabile solo in piccola parte;
appena il 10% dell'intera superficie è rappresentato dai
fondovalle fertili e coltivabili.
Nell'ultimo secolo l'incremento demografico assoluto è
stato molto meno sensibile che nel resto dell'Italia per la
costanza e l'importanza delle emigrazioni, le quali, nel
solo Trentino, hanno provocato un esodo, in cento anni,
grosso modo pari in valore numerico alla attuale
popolazione della provincia.
Infatti il grado di depressione e la conseguente staticità
demografica del suo territorio, verso il 1960, possono in
parte essere evidenziati dal confronto tra il numero di
persone presenti circa un secolo prima, nel 1869, e quello
indicato dall'ultimo censimento.
Nella provincia, nel 1869, i presenti erano circa 335.000;
novanta anni più tardi, circa 396.000, con un aumento di
soli 60.000 residenti, mentre l'incremento naturale
superava le 120.000 unità. Tale vistosa differenza dovuta
alla continua emigrazione, va localizzata soprattutto
nelle valli, dove la situazione economica si presentava
particolarmente difficile.
L'aumento del reddito, verificatosi negli anni '50 specie
nel nord Italia, si era fatto sentire in ritardo ed in misura
ridotta, talché la struttura economica non era riuscita ad
assorbire tutte le forze-lavoro presenti nella provincia.
Verso il 1960, circa 11.000 persone, vale a adire il 10%
della popolazione attiva, emigravano stagionalmente
dalla provincia, mentre permaneva una forte aliquota di
emigrazione stabili.
Accanto a questi vistosi movimenti verso l'estero o il
28
resto del paese, si registrava all'interno del territorio
provinciale un forte movimento pendolare
convergente verso i maggiori centri di Trento e
Rovereto, i quali, nel decennio precedente, avevano
assorbito tutto l'incremento assoluto di popolazione
verificatosi nella provincia, altri e meno intensi
movimenti si svilupparono verso i centri delle vallate.
L'esodo agricolo aveva assunto proporzioni assai
rilevanti, provocando un invecchiamento della
popolazione attiva nell'agricoltura, che aveva un'età
media di 45 anni, contro i 35 anni, età media nei
servizi e nell'industria.
Favoriti da agevolazioni di varia natura, molti comuni,
nel tentativo di combattere questo esodo generale,
hanno cercato con ogni mezzo di localizzare impianti
industriali, ubicandoli frammentariamente dovunque
ci fosse un territorio libero sufficientemente ampio e
non lontano dalle grandi comunicazioni.
Questo fatto ha spesso portato alla distribuzione di
molte possibilità di trasformazione dell'agricoltura, di
un incremento qualificato del turismo, che tendeva a
divenire uno degli elementi trainanti dello sviluppo.
Il quadro storico
I caratteri singolari di questa terra di montagna si
sono formati lentamente nei secoli
e le componenti più rilevanti della sua storia sono
assai significative per la comprensione della situazione
attuale. L'istanza dell'autonomia, formulata in varie
forme, ha sempre costituito un elemento dominante
nelle storia del Trentino, sia nei rapporti esterni, della
provincia con i potenti stati confinanti, sia nei
rapporti interni, dei gruppi vallivi con il centro e nelle
frequenti relazioni tra loro.
Dal medioevo 1800 la storia della regione è
caratterizzata dal dissiduo, a volte rapido, a volte
emergente, tra i Principi Vescovi di Trento ed i Conti
del Tirolo i quali, nel corso dei secoli, riuscirono a
capovolgere la primitiva posizione di sudditanza per
Dossier:
Il contesto
La piana tra Arco e Riva del Garda, 1960 circa (tratto da Pat, Il piano urbanistico del Trentino, Marsilio, 1968)
29
diventare dominatori di fatto del Trentino.
Questo avvenne tuttavia con una lunga serie di
resistenze, mentre nelle valli, alcuni gruppi formati
essenzialmente da contadini riuscirono a mantenere e
rafforzare una certa autonomia, prima nei confronti del
Vescovo e poi della Casa d'Austria.
Queste vicende mettono in giusto rilievo la differente
formazione di fondo fra la popolazione trentina e quella
dell'Alto Adige: tra le genti di questa terra più
settentrionale, più legate alle sorti del Tirolo e
dell'Austria, e le genti del Trentino, la cui formazione
come gruppo unitario nei diversi nei diversi nuclei
vallivi, si venne determinando sotto l'urto delle alterne
vicende di una lotta di predominio locale tra il
Principe-Vescovo ed i Conti del Tirolo.
Questi gruppi acquistarono in tal modo una più ampia
comprensione dei propri titoli di autonomia e
raggiungono così, lentamente, una condizione di
relativa indipendenza nella gestione del proprio
interesse, che li pone in singolare contrasto con le genti
dell'Alto Adige, più stabilmente incorporate all'Austria
e assorbite senza contrasto da quel governo.
Quando, dopo le guerre napoleoniche, sparisce anche
ogni parvenza di indipendenza politica ed il Principato
viene stabilmente acquistato dall'Austria, la coscienza
di autonomia locale, stabilmente inserita nell'Impero e
diretta soprattutto alla salvaguardia dei valori
tradizionali operanti, diventa l'elemento preponderante
di una certa politica locale ed il traguardo verso cui
essa tendeva con ogni forza.
Nel Trentino la lotta per ottenere tale autonomia
amministrativa fu molto dura ed alterna e continuò per
tutto il secolo scorso. I deputati trentini alla Dieta di
Innsbruck ed il Parlamento di Vienna tentarono con
ogni mezzo legale di ottenere il loro scopo, senza
peraltro nulla ottenere con l'ostruzionismo,
l'opposizione ed infine la volontaria astensione dei
lavori parlamentari che essi misero in atto.
Contemporaneamente a proprio per irrobustire alla
base il senso dell'autonomia, nelle vallate si precisavano
una serie rilevante di organizzazioni di tipo
comunitario e cooperativo con lo scopo di realizzare
opere di interesse pubblico spesso di mole assai
rilevante, tanto che nel corso del secolo mentre i
comuni, aiutati dal governo centrale, riuscirono a
costruire o a migliorare gran parte della rete stradale
primaria e secondaria della provincia, i movimenti
30
cooperativi costituirono una solida rete strutturale
per lo sviluppo economico.
I governi italiani, dopo la fine della prima guerra
mondiale, e, successivamente, l'esperienza fascista
volsero in senso nazionalista la lotta dei trentini per
l'autonomia e, nel mito dello stato centralizzato,
soffocarono le aspettative autonomistiche, premessa
per la creazione di strumenti operativi della
democrazia.
Le istanze represse per vent'anni esplosero dopo la
seconda guerra mondiale attraverso un largo
movimento popolare, che richiese con decisione una
propria dorma di amministrazione autonoma.
Dalla caduta del fascismo divenne inoltre vivo il
problema della minoranza tedesca, impostato negli
accordi Degasperi-Gruber con la promessa di una
larga autonomia per quel gruppo etnico.
Nella contestuale richiesta di autonomia i trentini si
trovarono così solidali con il gruppo etnico tedesco,
anche se diversa era la motivazione della richiesta.
Per il gruppo tedesco si trattava infatti di garantire la
difesa dei valori e delle tradizioni etniche, per i
trentini di affermare esigenze di autonomia contro
ogni forma di centralismo.
Di qui lo Statuto Speciale per il Trentino-Alto Adige
che fu approvato con la legge costituzionale il 26
febbraio 1948. In esso, tendo conto delle
fondamentali differenze sociali, culturali ed
economiche dei gruppo etnici della regione, fu
prevista l'articolazione della Regione in due
Provincie autonome.
La distribuzione, operata dallo Statuto, delle
competenze legislative tra Regione e Provincia
induce a rilevare, grosso modo, una assegnazione alla
Regione di un generale potere nel campo degli
interventi economici degli interventi medesimi.
La vita della Regione fu ben presto travagliata da
incomprensioni e contrastanti con il gruppo tedesco,
che, già dall'inizio, tendeva ad una forma di
autonomia più integrale, ponendo le premesse per
uno stato di profonda crisi istituzionale e politica.
Già nei primi anni del 1950, anche attraverso il
ricorso al governo austriaco, il gruppo tedesco
richiedeva la revisione degli accordi che avevano
portato alla formazione della Regione. Dopo una
lunga serie di vicissitudini politiche e legislative, con
le leggi costituzionali 10 novembre 1971 n° 1 e 28
Dossier:
Il contesto
febbraio 1972 n° 1 il nuovo Statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige fu composto con sostanziali
ed essenziali modifiche rispetto al primo.
La Regione sussiste ancora, ma la massima parte
delle sue potestà e competenze è stata trasferita
alle due Provincia, che fatta eccezione per alcune
materie riguardanti gli ordinamenti, sono divenute
di diritto titolari anche di poteri di intervento in
tutti i settori economico-sociali riservati alla loro
autonomia.
Provincia di Trento e Provincia di Bolzano, salvo
alcune materie di specifica importanza nazionale
per la tutela e sviluppo del gruppo minoritario
sudtirolese, sono poste su un piano di uguaglianza,
con potestà e competenze veramente amplissime, il
che rende arbitri e responsabili del proprio destino
e futuro.
L'attività urbanistica degli anni Cinquanta
Nonostante un quadro politico travagliato,
l'attività legislativa ed operativa delle due provincie
andava precisando ed acquistava sempre maggiore
consistenza.
Già alla fine degli anni '50, le provincie di Trento e
Bolzano, ognuna con una propria legge urbanistica,
hanno dato il via all'attuazione della loro
competenza in materia.
L'evoluzione degli studi urbanistici tuttavia e la
loro scarsa diffusione locale, non aveva allora
permesso di formulare ipotesi di lavoro coordinate
in tutti i settori e di tradurle in strumenti legislativi
idonei ed efficienti.
Questi due strumenti legislativi erano assai simili
tra loro e non riflettevano ancor la sostanziale
difformità della situazione socio-economica delle
due provincie. Mentre infatti nel Trentino i temi
del sottosviluppo di larga parte del territorio,
dell'emigrazione, del reddito procapite inferiore
alla media nazionale costituivano i dati di fondo
anche per l'intervento urbanistico e lo avrebbero
poi orientato verso una politica di sviluppo, nel
Sud-Tirolo il maggior benessere economico,
soprattutto del gruppo tedesco, unito alla difesa
dei valori etnici spingeva anche l'urbanistica in
direzione di un'attività di controllo e di tutela
piuttosto che di promozione. Questa differenza tra
le due provincie sarà destinata a dilatarsi e
produrrà due disegni di politica urbanistica
opposti, che si tradurranno in strumenti di
pianificazione senza punti di contatto.
Le due prime leggi urbanistiche in vigore nella
provincia di Trento dall'8 luglio 1960 e nel SudTirolo dal 10 dello stesso mese, recepivano
integralmente i principi della legge urbanistica dello
Stato del 1942 e sotto il profilo tecnico, salvo per la
pianificazione a livello provinciale, risultavano una
trasposizione in sede locale dei criteri e delle
premesse che avevano giustificato questa legge
vent'anni prima.
Per quanto riguarda il Trentino le difficoltà di
giungere all'approvazione trascinarono la
discussione per tre anni con due successive
approvazioni del Consiglio Provinciale di Trento,
essendo le prime formulazioni respinte dal
Governo.
È interessante rileggere qualche brano della
relazione al disegno di legge, presentato l'11
novembre 1958.
«Fra i mezzi di attuazione della disciplina
urbanistica si presenta per primo, in ordine logico,
il piano urbanistico provinciale la cui progettazione
spetta alla Giunta Provinciale disporre. È il caso di
rilevare come la diversa denominazione di tale
piano, rispetto a quello corrispondente previsto
dalla legge dello Stato (che parla di piano
territoriale di coordinamento), vuole avere un suo
significato: in un ambito territoriale limitato (come
quello della Provincia), occorre, non tanto un piano
di coordinamento (che sembrerebbe appunto voler
“coordinare” lo sviluppo urbanistico dei singoli
comuni) ma piuttosto un piano di direttiva
generale, che non solo coordini, ma promuova anche
lo sviluppo dell'intero territorio, provvedendo
razionalmente a tutto ciò che sfugge alla
pianificazione separata dei singoli comuni. Ciò
spiega anche il contenuto del piano urbanistico
provinciale e, correlativamente, da ragione degli
elementi di cui esso deve essere costituito».
I livelli di pianificazione indicati sono
essenzialmente di sue tipi: a livello provinciale, il
piano urbanistico provinciale, a livello comunale, i
piani regolatori generali ed i piani intercomunali,
anche questi sullo schema della legge del 1942.
Sul piano pratico tuttavia, il piano urbanistico
31
provinciale per poter essere efficace nelle indicazioni
da esso prospettate avrebbe dovuto presupporre
l'esistenza o, quantomeno, la previsione di presenza
entro breve tempo di una pianificazione più
dettagliata, che, data la legge, non poteva che essere a
livello comunale o al massimo intercomunale.
I comuni della provincia erano però 227 di cui 206
sotto i 3000 abitanti: comuni molto piccoli, dunque,
nei quali era difficile precisare, caso per caso, le
prospettive di sviluppo indicate dalla pianificazione
territoriale.
D'altra parte nella formulazione di questa prima legge
urbanistica si era considerato solo il rapporto tra le
due forme di autonomia, la provincia da una parte ed i
comuni dall'altra. Il rapporto indicato si esauriva,
infatti, in una funzione o coattiva o di stimolo da parte
della provincia verso i comuni ed in una
partecipazione ridotta a semplici proposte dei comuni
verso il piano provinciale.
In tutto il Paese l'istituto dei piani intercomunali si era
rivelato del resto, per il modo comunque dissociante
ed autonomo con cui raccoglieva esigenze
complementari, non idoneo come strumento
operativo. Infatti da un lato le procedure per la
formazione del piano non tutelavano a sufficienza la
reale autonomia dei singoli comuni e dall'altro non
consentivano la promozione di efficaci rapporti di
programmazione tra Regione e Provincia autonoma da
una parte e comuni di una stessa area dall'altra.
L'impossibilità avvertita di far procedere in tempi
adeguati la pianificazione urbanistica a scala
provinciale e a scala comunale con i piani regolatori
generali aveva portato così a definire nella legge
provinciale con maggiore dettaglio il contenuto dei
programmi di fabbricazione, che, nelle intenzioni degli
estensori avrebbero dovuto sostituire i piani regolatori
generali della maggior parte dei comuni. E in questo
senso si era organizzata una struttura minima, - un
solo ufficio retto dal geometra Attilio Solari con un
consulente di Bologna – che mirava a redigere un
regolamento- tipo da far approvare da tutti i comuni
minori.
Tre quelli maggiori, solo Rovereto e Tesero
disponevano di Prg, approvati verso il 1957 con
apposite leggi provinciali.
Sotto il profilo istituzionale, la legge provinciale
prevedeva e preordinava l'istituzione ed il
32
funzionamento di un organo consultivo a
disposizione sia della Giunta che dei singoli
comuni.
Ideato come organo di consulenza tecnica, non
lo si era potuto sottrarre alle esigenze di
rappresentatività categoriale. Nel contesto
complessivamente positivo del suo
funzionamento composto fra il tecnicourbanistico e il corporativo, si sono tuttavia
carenze per la precarietà dei collegamenti fra i
singoli problemi ed i temi generali.
Un tale apparato tecnico-giuridico non era certo
in grado di affrontare i gravi problemi edilizi che
già allora vi ponevano in tutte le loro urgenze
come, ad esempio, a Trento che, senza piano e
senza direttive, invadeva le aree lasciate libere
nelle urbanizzazioni di fine ottocento e di inizio
secolo; a Madonna di Campiglio, dove era
cominciato l'assalto dei condomini, a Canazei
ecc…
Tanto meno aveva la forza di proporre un piano
provinciale che affrontasse i complessi problemi
di sviluppo di quel periodo.
Verso l’utopia
“tecnicamente fondata”
33
Il “Programma Kessler” e
l’avvio della pianificazione
Nel maggio 1961 la Provincia autonoma di Trento - sotto
la guida del nuovo Presidente Bruno Kessler - mise a
punto per la prima volta un piano quadriennale, un esame
complessivo cioè delle proprie possibilità di intervento,
sia nel campo legislativo che in quello operativo, seguito
da un programma di azioni su direttrici ben individuate.
Da tale esame emerse la necessità di coordinare tra loro
gli interventi urbanistici che, per la recente legge,
dovevano iniziarsi, e, in relazione a quanto esposto, di
trovare il modo di superare le difficoltà evidenti di tale
processo. Questo insieme di indicazioni, comunemente
chiamate “Programma Kessler”, costituivano il primo,
organico tentativo di programmare l'attività dell'ente
pubblico su un certo arco di anni, indirizzandolo al
raggiungimento di obiettivi condivisi. Fu esposto al
Consiglio provinciale il 26 aprile 1961.
Kessler, da poco eletto presidente della Giunta, portò una
forte carica di novità nell'attività della amministrazione,
scuotendo il torpore che l'aveva avvolta per anni, con
l'introduzione, tra l'altro, della programmazione come
metodo di governo.
Questo impegno è così formulato: «Riteniamo che la
Giunta, pur con i necessari contemperamenti, debba
impostare la sua attività su basi scientifiche senza
tuttavia cadere nell'eccesso opposto, consistente nel
considerare come sperimentale ogni risultanza
scientifica; il dato scientifico dovrà essere mediato sia dal
buon senso, sia dalla realtà delle necessità delle
popolazioni»1.
Il centro-sinistra in corso di attuazione nel paese,
aveva aperto, come si è osservato, grandi speranze
anche gli urbanisti che finalmente vedevano
riconosciuta la programmazione come metodo
unificante di tutti gli interventi pubblici.
Da parte sua, Kessler aveva intuito che in queste
proposte stavano grandi possibilità di rinnovamento
per la realtà provinciale e nel suo programma aveva
dato un obiettivo ben preciso alla sua azione politica e
quindi a tutta l'attività di programmazione.
«Il movente ed insieme la giustificazione – scriveva
Kessler – di questo impegno di programmazione
vengono individuati in un diverso ordine di fattori che
richiamiamo qui in sintesi, anche se, per la loro
appartenenza alla nostra formazione politicoculturale, potrebbero essere dati per scontati.
Non si vorrebbe che queste enunciazioni fossero
intese come un utile esercizio accademico o, dunque,
sproporzionate alle esigenze del nostro lavoro. Con
esse vogliamo soltanto inquadrare razionalmente uno
sforzo, indipendentemente dalla sue dimensioni.
Il primo fattore è di ordine culturale. Un'azione
politica è veramente efficace nella misura in cui riesce
ad interpretare le esigenze e le aspirazioni delle
popolazioni ponendosi, in questo contesto umano,
come elemento di sviluppo sia economico che sociale.
Poggiata su questi presupposti, l'azione politica
diventa azione diretta alla crescita civile e morale
delle popolazioni, senza sovrapposizioni o
paternalismi. Una riflessione attenta sui
comportamenti delle nostre popolazioni ci porta alla
conclusione che, consapevolmente o
inconsapevolmente, queste aspirano a darsi un assetto
compiutamente democratico.
Dossier:
Il progetto
Dopo il periodo della ricostruzione e del
soddisfacimento dei più urgenti bisogni il nostro paese
si avvia verso un periodo di più acuto esame del
sistema socio-economico, tendendo a pervenire ad una
società nella quale, eliminate le situazioni di disagio e
di squilibrio, l'uomo possa realizzare la propria
pienezza di cittadino libero.
È per questo che quando parliamo di programmazione,
vogliamo che siano ben chiare queste premesse: nello
studio e nel lavoro si ha di mira l'uomo e non la
struttura od il fenomeno economico, considerati come
valori finali. D'altra parte in questa azione, non si vuole
imporsi l'uomo ma, interponendolo, tentare di
favorirne in tutte le direzioni una completa e libera
espansione. Ci sembra anche nostro dovere l'assisterlo
in questo momento di evoluzione sociale, in modo da
non compromettere quei valori spirituali che nel
tempo, hanno costituito la forza morale della società
trentina. Il secondo fattore è di natura economica.
Abbiamo, a questo proposito, esperienze storiche
direttamente sentite dalle nostre popolazioni e
facilmente documentabili, che confrontano questo
spunto d'analisi. Come l'industria milanese, alla sua
prima rivoluzione, spezzò anche nel Trentino la piccola
industri locale, portando la nostra terra al margine
dello sviluppo industriale, così oggi, in periodo di terza
rivoluzione industriale, occorre proporsi precisi
obiettivi e metodi certi di lavoro, nei tempi tecnici che
sono propri dei momenti di espansione industriale, per
non vedere accentuata nella nostra provincia la
depressione, sia in senso relativo che assoluto»2.
Dal programma del 1961 non emerge ancora lo stretto
legame che subito dopo si stabilì tra attività politica e
proposta urbanistica. Questa maturò con sorprendente
rapidità lungo il corso dello stesso anno e si precisò
nella primavera successiva in occasione di un convegno
interdisciplinare svoltosi a Torbole.
All'inizio della legislatura, la funzione del piano
provinciale non era ancora ben definita per
l'indeterminatezza della legge del 1960 e per gli echi del
dibattito nazionale. Nel suo programma Kessler
avverte la portata della problematica, ma non ha ancora
preso una decisione circa il senso da dare all'azione
urbanistica.
Egli asseriva che: «Notevoli divergenze di indirizzo
sussistono in sede di pratica attuazione della disciplina
urbanistica e tali divergenze di manifestano, sia sul
piano della metodologia, sia sul piano più
propriamente del contenuto»3.
Subito dopo proponeva alcuni orientamenti operativi
tendenti alla individuazione di zone in grado di essere
considerate unitariamente sotto il profilo territoriale,
economico e sociale. Annunciava infine che sarebbe
stato costituito entro breve tempo, un comitato di
progettazione del piano.
Nell'estate del 1961 il gruppo di esperti, con a capo
Giuseppe Samonà, iniziò il lavoro (31 luglio) con la
prima visita e la stesura di un programma operativo.
Questo si precisò nel settembre dello stesso anno,
durante un seminario promossodall’Ufficio Studi della
Provincia, che vide riuniti tutti consulenti incaricati
degli studi di settore annunciati da Kessler nel suo
programma. Partecipò inoltre la Regione Trentino Alto
Adige, alla quale allora spettavano le competenze dei
settori economici e che aveva incaricato per conto suo
una società di consulenza specializzata (la Tèkne Spa
di Milano) di predisporre un piano di localizzazioni
industriali sul territorio regionale. In quell'occasione
furono discussi soltanto gli indirizzi più generali del
piano e si convenne di finalizzare al piano tutte le
ricerche di settore già in elaborazione. Si stabilì inoltre
di dar corso ad alcune specifiche indagini.
Note 1, 2, 3: Provincia autonoma di Trento, Programma della Provincia di
Trento per il 1961-1964, Trento, 1961.
LA SCHEDA
2
Il Pup e le prime
esperienze di pianificazione
in Trentino negli anni ‘60
Lo studio della Tèkne
Alla fine degli anni '50 si produsse in Trentino, come in
altre aree marginali rispetto ai grandi poli dello sviluppo
economico, uno sforzo considerevole per creare
nell'industria nuovi posti di lavoro in grado di frenare
l'emigrazione e l'esodo agricolo. Le prime dislocazioni,
furono individuate in aree spesso non idonee. Valga per
tutti l'esempio della fabbrica di siliciuri di
Mezzocorona, nella Piana Rotaliana, che non solo
occupò un'area pregiata per la produzione del Teroldego
(vino principale del Trentino), ma produsse, e ancora
continua, un notevole degrado per i fumi molesti.
L'assessorato regionale all'Industria, cercò di
razionalizzare il fenomeno, predisponendo, tramite una
ampia consulenza, una serie di proposte, che tendevano
a configurarsi come un vero e proprio piano generale di
sviluppo, sul modello delle analoghe esperienze svolte
nel Mezzogiorno.
Lo studio, elaboratto dalla Tèkne con la supervisione di
Bernardo Secchi, venne presentato alla discussione alla
fine del 1961. Per quanto interessa la pianificazione
urbanistica, considerate le caratteristiche della regione
esso proponeva tre alternative.
La prima considerava lo sviluppo industriale lungo l'asta
Rovereto-Trento-Bolzano. Questo avrebbe comportato
un accentramento della popolazione in questa area, con
conseguente forte immigrazione interna, deterioramento
della tradizionale tipologia urbana, aumento dei costi di
insediamento. Per contro avrebbe consentito
un'utilizzazione ottimale delle maggiori infrastrutture
esistenti e l'uso di possibili economie esterne in misura
assai elevata.
La seconda ipotesi si contrapponeva alla precedente e
considerava un'industrializzazione diffusa e capillare su
tutto il territorio regionale. Tra i fattori positivi di
questa alternativa si elencavano il mantenimento della
distribuzione territoriale della popolazione, la buona
utilizzazione dei servizi esistenti, un più agevole
incremento della occupazione femminile. Tra quelli
negativi «l'eccessiva dispersione degli investimenti e
infrastrutture, la difficoltà a costruire centri capaci di
esercitare un'attrazione, la difficile riduzione della
superficie agraria, a causa della permanenza della
popolazione in luogo, un aumento dei costi di
distribuzione e vendita e, infine, la persistenza di una
struttura cosmologica di tipo rurale, con effetti che, alla
lunga, potevano ritardare lo sviluppo socio-economico»1.
La terza alternativa si inseriva tra le due prime e
36
considerava una distribuzione per poli, realizzata
attraverso «una zona di concentrazione industriale,
urbana e di servizi lungo l'asta Rovereto-Bolzano e
nella formazione di una seria di poli di sviluppo
industriale all'interno di alcune valli»2.
Per quanto riguarda la provincia di Trento, si
proponevano nove aree, la più grande convergente su
Trento, la più piccola ridotta al Primiero.
In alcuni casi i termini del problema si ponevano in
modo drammatico. Esistevano infatti alcune sacche
di particolare depressione nelle vallare laterali
dell'Adige – Vallarsa, Terragnolo, Val di Cembra –
nelle quali le caratteristiche geografiche sembravano
impedire qualsiasi plausibile previsione di sviluppo
industriale o turistico. Nello stesso tempo la
difficoltà di costruire una nuova rete viabile con un
accettabile grado di scorrimento sembrava impedire
movimenti pendolari tollerabili verso la valle
dell'Adige e quindi rendeva inoperante e non
applicabile lo schema della città-regione.
Questi schemi fondati sul criterio di individuazione
dei poli di sviluppo, riferito alla gravitazione
spontanea su un centro, si dimostrarono troppo
poco comprensivi della realtà e delle tradizioni locali
e in alcuni aspetti particolari furono aspramente
avversati.
Il Piano regolatore generale di Trento
Si pone in questo quadro la contemporanea attività
urbanistica del comune di Trento che, nella
redazione del proprio piano regolatore, stava
seguendo un percorso autonomo, assai vicina all'idea
della concentrazione dello sviluppo sulla Val
d'Adige e in particolare nel territorio del comune
maggiore.
Il lavoro di progettazione del Prg di Trento era
iniziato qualche tempo avanti quello del piano
urbanistico provinciale e si era mosso su una
prospettiva che isolava la città dal territorio,
facendola sì emergere come il fatto più rilevante nei
riguardi dell'intera regione, ma senza rilevarne le
connessioni più profonde.
Si può dire che il Prg di Trento si risolse in un
disegno di schematica tecnica urbanistica e questo
può far comprendere le difficoltà di dialogo con il
piano provinciale che tentava di definire un quadro
di prospettive assai più articolato.
Il dibattito si schematizzò molto presto su due
visioni: da una parte “Trento” con la proposta di
accentramento dello sviluppo; dall'altra la “Provincia”
con i comuni delle valli, che, in tutte le riunioni di quel
periodo, reclamavano una diversa concezione dello
sviluppo.
La Regione, sostenuta, come sembrava, da motivi di
ordine tecnico e da considerazioni strettamente
economiche, proponeva la sua terza alternativa, cioè la
concentrazione sulla Val d'Adige contemporanea a una
concentrazione minore dello sviluppo in alcuni poli
periferici collocato dentro le vallate della provincia.
Le indagini di base per il Pup
Fu chiaro già dal dibattito finale dell'incontro
dell’ottobre 1961 (si veda la “cronologia” alle pagg. 1617) che il gruppo di Samonà non poteva accettare le
conclusioni alle quali tendevano lo studio della Regione
e quelli per il Prg di Trento senza sottoporle ad attenta
verifica e soprattutto senza esplorare altre possibilità.
Il convincimento che fosse possibile operare altrimenti
orientò le prime indagini verso una ricerca conoscitiva
sul territorio che partiva dai fatti e dai fenomeni più
direttamente legati all'uomo, alla sua vita, all'ambiente.
Si decise dunque di compiere una vasta ricognizione
della realtà provinciale, per precisare i contorni di uno
spazio, urbanisticamente intenso, in cui le relazioni tra
i fatti fossero intese nei loro aspetti conoscitivi, di
individualità e di vitalità.
In primo luogo fu promossa un'indagine sociologica
affidata a Franco Demarchi, intesa a individuare le
possibili reazioni popolari alla realizzazione del piano,
in quanto esso, se inteso nel solo senso astratto della
dimensione economico, avrebbe potuto compromettere
l'efficienza dei sistemi culturali locali senza offrire
valide alternative.
Considerata altresì l'importanza che la lettura
dell'insediamento umano presentava nella
comprensione dei fatti salienti di un determinato
territorio – delle sue condizioni attuali e delle
trasformazioni subite – venne impostato il rilevamento
di tutti i nuclei abitati della provincia, con particolare
riguardo alle loro parti più antiche, definite
“preesistenze ambientali” e ai singoli edifici, valutati
rispetto alle caratteristiche architettonico-ambientali,
allo stato di conservazione, alla destinazione d'uso.
Connesse alla finalità più generale di ordine conoscitivo
ve ne erano altre aventi relazioni con gli aspetti
operativi della pianificazione e cioè l'individuazione dei
centri di maggior interesse storico, dei loro caratteri
urbani, della loro localizzazione sul territorio e delle
loro eventuali interrelazioni; la misurazione dell'entità
delle trasformazioni subite dal patrimonio storicoarchitettonico in generale; la valutazione del fabbisogno
di vani abitativi da restaurare e da costruire ex-novo.
Questa indagine, compiuta dall'autunno del 1961 alla
primavera dell'anno successivo, contemporaneamente
ad un'altra relativa ai servizi e infrastrutture esistenti a
livello comunale, consentì di penetrare più a fondo nella
realtà provinciale.
Ci si accorse subito che il territorio era
«caratterizzato da un notevole numero di insediamenti
antichi, che ne costituiscono ancora la struttura più
significativa. Le trasformazioni dei modi di vita
nell'ultimo secolo sono intervenute su di esso
snaturando, dove sono state più massicce, l'equilibrio
ed i caratteri primitivi o progressivamente impoverendo
i valori storici e degradando l'ambiente fisico, dove si
sono fatte sentire meno.
Nel passato, il triplice rapporto di gruppo sociale –
struttura insediativa – ambiente naturale adeguava con
continuità le caratteristiche proprie alle nuove esigenze;
il gruppo sociale agiva, con maggiore o minore lentezza
a seconda della sua forza interna, sulle strutture per
adattare l'ambiente in cui viveva; d'altra parte
l'ambiente stesso condizionava le strutture e il gruppo
sociale. La continuità fra centro antico e nuovo sviluppo
era mantenuta per una crescita dall'interno verso
l'esterno: le caratteristiche antiche suggerivano per
propria forza quelle nuove.
Recentemente invece l'urbanesimo nelle città, i flussi
turistici nei borghi delle vallate, hanno in parte
distrutto la continuità con l'antico tessuto edilizio,
sostituendo sviluppi indifferenziati e quasi sempre
generici alla lenta caratterizzazione del passato.
Tale processo è ancora in atto, e in modo sempre più
incidente. Anche l'ambiente naturale, la campagna o il
paesaggio montano, così ricco d'interessi, ha subito
profondi mutamenti nel corso degli ultimi decenni; gli
insediamenti sono aumentati e le distanze tra di essi
conseguentemente ridotte, i grandi spazi liberi, che una
volta esaltavano la funzione della città in rapporto agli
insediamenti minori, sono spariti. Si assiste, in ritardo
rispetto ad altre regioni, ad una progressiva
integrazione delle culture, a una tendenza ad un
livellamento sempre più accentuato»3.
Altre indagini, più specifiche, riguardavano il turismo,
l'energia, la situazione della viabilità e degli acquedotti.
Oltre a queste, fu di sostanziale aiuto il lavoro svolto in
campo agricolo da Ercole Calcaterra e da Pietro Nevi. La
loro indagine, pur principalmente diretta alla
individuazione delle premesse economiche riguardanti
la minima proprietà culturale, venne in quella sede
agganciata agli studi per il piano provinciale, in
considerazione della vastità dei problemi che sarebbero
emersi da un'indagine svolta alla identificazione
dell'assetto ottimale dell'azienda agricola nel Trentino.
Si trattava, infatti di individuare la dimensione ottimale
dell'azienda in relazione al tipo di indirizzo culturale,
attuale o previsto, e di dedurre conseguentemente la
qualità degli addetti che potevano trovare
nell'agricoltura un'adeguata fonte di reddito.
I risultati delle indagini, la problematica da essi
sollevata, gli interrogativi del piano di
industrializzazione furono discussi in diverse riunioni
di sindaci e di amministratori, svoltosi all'inizio del
1962 a Cles, Fondo e Malè. Queste riunioni si infittivano
mano a mano che il piano prendeva corpo e divennero
metodo di confronto e di verifica.
1 - 3: le citazioni sono tratte da S. Giovanazzi, A. Boato, R. Moro,
Indagine nell’edilizia e nelle presistenze ambientali, Provincia autonoma di
Trento, 1963
37
Le prime scelte
di fondo e il
“Convegno di Torbole”
Pianificare non
significa sconvolgere,
ma determinare le
caratteristiche della
situazione in ogni
punto per quello che
esse veramente sono
e per quanto possono
spontaneamente
rendere
L’intenso lavoro di approfondimento fu presentato in una
prima sintesi, pubblicata nell'aprile del 1962 e discusso a
fondo nell'ambito di un convegno sui problemi
strutturali della Provincia, svoltosi a Torbole nel maggio
dello stesso anno, promosso dall'Ufficio Studi dell’ente
provinciale.
La parte generale di questa relazione, nel testo
predisposto da Samonà costituisce un primo insieme dei
criteri elaboratori per la successiva fase di progetto e
risulta di particolare interesse se si adotta come chiave di
lettura la ricerca degli elementi più significativi di uno
spazio riferibile all'intervento urbanistico e alla nuova
configurazione dei territori aperti della campagna, nei
quali – secondo gli urbanisti – contatti sempre più
distanziati avrebbero potuto formare un nuovo tipo di
città, senza concentrazione.
Inizia dunque da qui, dalla prima “idea di campagna
urbanizzata”, il lungo cammino che porterà, tredici anni
dopo, alla più complessa ed articolata proposta della
“città in estensione”.
La parte centrale della relazione fu presentata
all'attenzione degli studiosi presenti, che erano le punte
più avanzate della cultura socio-economica di quel
momento.
In essa si riconosce facilmente il pensiero di Samonà,
come si era venuto maturando nell'incontro con la realtà
trentina. Dà un'idea delle profonde differenze, si
potrebbe dire ideologiche, con le proposte della Regione
e della ricchezza di indicazioni che stavano emergendo
dalle indagini territoriali e dagli incontri con gli
amministratori locali.
Finalizzando la lettura di questa relazione alla ricerca
delle idee che poi, nel piano, avranno uno sviluppo
articolato e un'applicazione più matura, sembra utile
dividerla in quattro parti, anche se l'edizione originale
non presenta alcuna suddivisione.
In una prima parte infatti si possono trovare i criteri di
base della pianificazione, in particolare dei territori
aperti della campagna, che costituiscono l'elemento
tipico del Trentino.
Nella seconda sono incisivamente precisati gli obiettivi
centrali dell'attività di pianificazione verso un equilibrio
territoriale capace di formare “città senza
concentrazione”.
Nella terza si descrivono i fenomeni che possono
concorrere alla realizzazione di questi; e cioè un esodo
graduale dall'agricoltura all'industria, senza
impoverimento di alcune zone e arricchimento di altre,
realizzato anche con spostamenti di popolazioni, ma
accettati, lenti, sedimentati; uno sviluppo turistico che
faccia perno sull'ambiente, sull'edilizia tradizionale, sulla
storia; localizzazioni industriali distribuite sul territorio
ed integrate a questo.
Nella quarta, infine partendo dalla costatazione della
38
richiesta di dimensioni nuove, si propone una campagna
che diventa città senza concentrazione fondata su
alcune grandi strutture e organizzata in grandi unità di
decentramento, formate con il consenso dei comuni e
degli uomini che in esse vivono.
I principi della pianificazione
La prima parte dunque si apre con alcune enunciazioni
di principio, molto sintetiche,
che tuttavia saranno la chiave per interpretare il più
complesso insieme del piano.
«Nella struttura di un territorio vi sono dei fatti
sostanzialmente stabili che l'urbanistica deve saper
cogliere e conservare come elementi fondamentali per la
formazione dei criteri di sviluppo della vita nel
territorio stesso.
Nel Trentino i fatti più stabili sono quelli naturali, sia in
rapporto all'agricoltura, sia in rapporto alle diverse
attività di insediamento fra le quali oggi è sempre più
appariscente quella del turismo. Pertanto nella
formazione dei piani di sviluppo occorre tener conto di
questi fatti come basi per ogni programma di
trasformazione strutturale.
Pianificare non significa sconvolgere, ma determinare le
caratteristiche della situazione in ogni punto per quello
che esse veramente sono e per quanto possono
spontaneamente rendere. Qualunque organismo,
forzato oltre certi limiti, si spezza, si ammala e qualche
volta può anche morire. È perciò che dobbiamo tener
conto delle più stabili caratteristiche della Provincia,
individuandone gli elementi significativi per trarre da
essi le previsioni sull'assetto del territorio alla fine di un
determinato periodo di tempo.
Evidentemente le nostre previsioni si riferiscono a un
futuro che non può sempre svolgersi in modo lineare;
nel suo sviluppo potranno verificarsi situazioni di crisi.
Pertanto il nostro compito è di portare la struttura del
territorio ad un livello tale da assorbire senza eccessive
scosse anche le discontinuità accidentali, di prepararla
cioè a resistere, senza gravi fratture, anche alle
trasformazioni non prevedibili»1.
Queste enunciazioni sono derivate da una critica al
modo di fare urbanistica nell'ultimo secolo, che Samonà,
del resto, aveva sviluppato approfonditamente nel suo
ultimo libro.
«Non aver saputo prepararsi in tempo, a tutti i livelli,
per assorbire queste scosse, ha provocato delle crisi
gravissime in tutta l'urbanistica europea e soprattutto
in quella italiana: è ben noto quanto è accaduto nelle
nostre città con l'urbanesimo, perché esse, non essendo
preparate, hanno subìto la pressione sempre più grande
di interessi, di natura economica, che si sono acuiti fino
all'estremo ed hanno prodotto gravi disgregazioni nel
tessuto urbano di molte città storiche di incomparabile
Dossier:
Il progetto
valore.
Questo sfaldamento della città, questa sua ipertrofia
esterna, comincia solo oggi ad essere sanata, perché
solo oggi si comprendono i lati negativi dei fenomeni
che provocano l'espansione a macchia d'olio,
muovendo dall'interno verso l'esterno con spinte
irrefrenabili e laceranti.
Oggi si cerca di limitare le cause più cruente di questa
crescita, cioè le azioni sollecitatrici delle fasce
industriali, fissando la loro reale consistenza critica e
decentrando da esse quelle parti che per attitudine al
forte richiamo di mano d'opera, provocherebbero
l'incremento di questa, oltre le capacità tollerabili della
popolazione urbana esistente.
Nelle città gli urbanisti possono svolgere tale opera
con una certa efficacia, perché hanno ormai una certa
esperienza dei fenomeni locali più appariscenti, che si
sono formati in 60 o 70 anni, e che permettono di
capire abbastanza bene quali sono i mezzi per
arrestare l'ipertrofia della città stessa e salvarla»2.
I primi ragionamenti sulla realtà trentina, sulla
struttura dei suoi insediamenti in rapporto agli spazi
aperti, impongono di considerare la campagna in modo
nuovo. Si apre qui la formulazione, forse per la prima
volta, di quella che sarà una delle idee più fortunate del
piano.
«Viceversa è più nuovo il complesso dei fenomeni che
si presentano all'urbanisti nel territorio aperto della
campagna quando questa tende ad urbanizzarsi per i
fatti che in parte dipendono da una sua interna vitalità,
in parte da relazioni con attività di luoghi già
fortemente urbanizzati.
Sentiamo che l'urbanizzazione della campagna, come
tendenza, deve essere guidata in senso organico e
funzionale, e che non si possono determinare, perciò
delle localizzazioni di attività economico-sociali di
carattere nuovo, senza pensare a ponderare i possibili
effetti di queste trasformazioni, in rapporto alle
caratteristiche più significative dell'ambiente in ci si
dovrebbero attuare»3.
Gli obiettivi centrali
La seconda parte, che è quella centrale, è molto breve e
mette in relazione causale ambiente, equilibrio e città
senza concentrazione.
«Nel Trentino il nostro compito sarà perciò quello di
coordinare gli elementi più significativi dell'ambiente
naturale in cui portiamo la pianificazione.
Dobbiamo cioè trovare i cardini fondamentali di ogni
parte del territorio per determinarne la struttura
organica. Nella Provincia di Trento una struttura
organica è facilmente individuabile.
In questo territorio abbiamo veramente dati basilari e
caratteristiche precise, che costituiscono da una parte
un limite e dall'altra un incentivo a trovare giuste
soluzioni.
D'altra parte una delle idee fondamentali da tener
presente in ogni piano territoriale è quella della
creazione di un giusto equilibrio di relazioni fra le
varie parti del territorio, facendo in modo che in esso i
movimenti pendolari si riducano a movimenti vivi ed
attivi.
Dove i movimenti pendolari hanno avuto questa
caratteristica sono nate le città.
I percorsi creati dai grandi movimenti di massa
determinano incontro a sé strade, servizi, residenze ed
infine, lentamente, la città.
Solo oggi questo può avvenire, dato che i mezzo in
movimento hanno ridotto le distanze e diminuito la
continuità dei contatti dell'uomo col territorio.
I contatti sempre più distanziati formeranno nel
territorio aperto un nuovo tipo di città, un città senza
concentrazione che l'urbanistica dovrà configurare a
seconda delle caratteristiche geografiche e sociali del
territorio»4.
I fenomeni formativi della nuova città
La descrizione dei fenomeni che possono concorrere
alla formazione della città senza
concentrazione occupa la terza parte. In questo ha
una parte preponderante il problema delle nuove
localizzazioni industriali che allora era forse, sul piano
pratico, il più urgente.
«Nel nostro piano, per definire le relazioni con
l'equilibrio necessario, dobbiamo pensare alle più
convenienti utilizzazioni del suolo, stabilendone
dimensioni funzionali per il trapasso di un certo
numero di agricoltori dell'agricoltura all'industria.
In Italia in genere il rapporto tra la produzione
industriale e quella agricola è di molto al di sotto della
media europea; perciò dobbiamo fare un grande passo
avanti, potenziando molto di più gli impianti
industriali, senza tuttavia concentrarli in determinate
zone impoverendo le altre.
La localizzazione delle industrie deve essere, poi,
graduale; cioè non deve realizzarsi tutta nello stesso
momento, ma avvenire con lentezza determinata dalle
caratteristiche della zona.
È infatti nell'interesse di tutti che le localizzazioni
industriali si formino gradualmente, per far sì che il
travaso dei lavoratori avvenga senza discontinuità e si
vada sedimentando in zone prestabilite, dove gli
uomini, per mezzo di questo lento trapasso, non si
distacchino da quelle terre cui sono frizionati, perché
vi hanno vissuto, e possono adattarsi grado a grado a
mutamenti non improvvisi.
Se non avverranno mutamenti di questo tipo, le genti
che vivono sul territorio avranno l'impressione che
quanto si trasforma è dovuto alla loro volontà e vi
contribuiranno con senso realistico, stabilizzando
talune componenti di sviluppo, la cui vivacità e
potenza non può realizzarsi che attraverso l'azione
individuale condizionata.
Il piano dove, perciò, programmare un trapasso
graduale dall'agricoltura all'industria fino al limite che
l'agricoltura può sopportare e dovrà ancora subire
trasformazioni efficaci ed efficienti per un certo
carico di popolazione, raggiungendo una certa
produttività limite.
D'altra parte, il trapasso a localizzazioni di natura
industriale, deve contemperarsi alle esigenze
dell'ambiente con le sue strutture residenziali e con le
sue necessita turistiche.
La nostra provincia presenta da questo punto di vista
requisiti straordinari. In essa residenza e turismo
possono formare in molte zone unità integrate piene
di risorse e di varie possibilità. Esse, se giustamente
orientate, daranno spinte efficaci all'economia locale
senza turbare i requisiti dell'ambiente, ma al
contrario valorizzazione i monumenti e l'edilizia
tradizionale più caratteristica»5.
È opportuno ricordare a questo punto che forse per la
39
Nel Trentino
dobbiamo trovare
i cardini
fondamentali di
ogni parte del
territorio per
determinarne la
struttura organica
Riferimenti
1. G. Samonà, Relazione al
Convegno di Torbole, Provincia
autonoma di Trento, 1962
2, 3. G. Samonà, L’urbanistica e
l’avvenire delle città, Op. cit.
4. G. Samonà, Relazione al
Convegno di Torbole, Provincia
autonoma di Trento, 1962
L'unico modo per
localizzare le
industrie in
maniera organica
e funzionale
rispetto al
territorio è quello
di suddividerle
integrandole nelle
grandi unità
territoriali
5 - 9. G. Samonà, Relazione al
Convegno di Torbole, Provincia
autonoma di Trento, 1962
prima volta un programma di recuperi non solo dei centri
storici, ma anche dell'intera edilizia tradizionale, entra a
far parte di un programma politico. Tuttavia in quel
momento, in presenza del piano della Regione sulle
localizzazioni industriali sono queste che prendono il
primo posto.
«Molto più delicata e difficile mi sembra invece la
localizzazione dell'industria. Localizzazione necessaria,
ma da fare con estrema cautela, per evitare che si creino
profonde discontinuità nei movimenti migratori interni
della popolazione e che l'eccessiva estensione di strutture
produttive di questo tipo possa portare notevoli
inconvenienti alla configurazione ed all'equilibrio di un
territorio cos' ben caratterizzato come il Trentino, in ogni
sua valle. L'unico modo per localizzare le industrie in
maniera organica e funzionale rispetto al territorio, perché
esse non gli siano lesive, è quello di suddividerle
integrandole nelle grandi unità territoriali che
costituiranno domani la configurazione strutturale di
tutto il territorio»6.
Le tipologie fondamentali della nuova città
La relazione si conclude con le idee di base per una nuova
organizzazione fondata su dimensioni opportune, dettate
dalle nuove grandezze dei fenomeni.
«Assistiamo oggi alla grandiosa trasformazione di tutte le
nostre strutture, ma purtroppo constatiamo ogni giorno
che questa crescita sempre più gagliarda, avviene entro le
rotaie di una costrizione tirannica, dettata dalla
concentrazione delle metropoli.
Le nostre strutture produttive avrebbero invece bisogno
di grande spazio per organizzarsi in modo perfetto per
ritrovare liberamente una loro funzionalità che le faccia
crescere nel tempo, senza ostacoli, nel modo più idoneo. Il
bisogno di avere dimensioni nuove per tutte le cose che
circondano l'uomo che vive in società, continua a
dimostrarci che la concentrazione è ormai un'idea
superata. È un'idea della città chiusa con millenni di
storia; oggi questa città si è aperta verso la campagna ha
infranto le sue mura ed è quindi un paradosso, un
anacronismo continuare a vederla crescere per zone
edilizie di concentrazione»7.
La nuova città deriva dunque dalla considerazione che nei
tempi moderni la città chiusa ha finito il suo ruolo. Ma
come procedere alla costruzione della nuova città?
La risposta sintetica sta nel pensare a uno spazio aperto e
alla esatta definizione in esso di alcune grandi strutture, di
cui, nella relazione, si dà qualche esempio.
«Dimentichiamo per il momento che siano della
concentrazioni, cerchiamo di non pensare più per
concentrazioni; si apriranno allora per noi dei grandi
orizzonti, vedremo le cose in modo completamente
diverso, con nuove dimensioni, con una distribuzione non
vincolata da direttrici tiranniche e minute, lo spazio sarà
un elemento che troverà i suoi limiti in una forma
corrispondente in tutto e per tutto alle necessità pratiche
e spirituali di uomini nuovi.
In questa nuova configurazione dello spazio urbanizzato,
le grandi strutture acquistano un interesse preminente.
Poiché esse rappresentano le fondamentali localizzazioni,
cioè i punti di riferimento di questo spazio urbanizzato, i
parametri su cui potremo costruire le nuove dimensioni di
una campagna che diventa città, senza concentrazione.
Una di queste strutture per la sua evidenza può essere qui
descritta con una certa efficacia, per dare un'idea della
funzione che tali strutture avranno nello spazio aperto,
40
quando le attività terziarie potranno localizzar visi,
usufruendo liberamente di quella profonda tecnicoamministrativi, a cui tutti ormai aspirano e che
rappresento elemento indispensabile per le unità
urbanizzate dell'avvenire. Si tratta di una struttura
che dovrebbe accentrare tutte le scuole medie
superiori in una localizzazione ben determinata in
rapporto a unità territoriale. Questa struttura
dovrebbe lasciare che ogni sua parte riferente ad un
determinato tipo di scuola, possa liberamente
articolarsi in rapporto alle sue interne funzioni.
Rappresenterebbero comuni per tutte le scuole di
questo aggregato, le attrezzature scientifiche e
tecniche che invece di essere disperse e ripetute in
tante località (a disposizione di ogni tipo di istituto)
sarebbero invece riunite in unico complesso assai più
potenziabile; mentre tutto l'organismo avrebbe gli
insegnanti migliori e offrirebbe agli allievi quelle
benefiche e profonde integrazioni che nascono dalla
convivenza e dall'incontro continuo ricco di relazioni,
stimolate dalle materie di studio e dagli insegnanti
comuni.
Un centro di questo genere potrebbe essere anche un
elemento caratteristico ed essenziale di cultura per
tutta l'unità urbanizzata, in cui è localizzato:
biblioteche, sale per conferenze, particolari
attrezzature scientifiche disponibili per corsi speciali,
potrebbero dare a questo centro una forza spirituale
determinante per la zona che offrirebbe all'unità
urbanizzata un senso di efficienza civica che è propria
della città»8.
Le 'grandi strutture' che costituiranno i poli urbani
della campagna-città, non sono tutte nuove, ma vanno
piuttosto cercate nella unificazione dei molti servizi,
sparsi in piccoli nuclei, e nella localizzazione nella
campagna.
«Come si è detto, molte strutture di carattere
pubblico e di attività terziaria, potrebbero e
dovrebbero trovare efficaci localizzazioni nel
territorio aperto, diventando i fuochi di un'attività
unitaria, che trova in queste localizzazioni i suoi
grandi parametri misuratori. Oggi queste attività sono
tutte polverizzate e ripetute Comune per Comune,
senza che tra esse vi sia un vero e proprio efficace
coordinamento»9.
Quest'idea si città senza concentrazione, costruita per
grandi strutture di attività unificate, comporta
necessariamente una nuova organizzazione
amministrativa, correlata alle nuove funzioni. E' l'idea
di comprensorio, per ora appena fondata nei suoi
elementi di base, che comincia a prendere forma.
«La campagna urbanizzata, concepita per grandi
unità, dovrebbe intendere in modo completamente
diverso il decentramento amministrativo, intenderlo
cioè per grandi localizzazioni organiche, che hanno la
giusta dimensione in rapporto alle nuove attività e alle
capacità potenziali della campagna urbanizzata nei
suoi grandi nuovi nuclei.
La Val di Sole e la Val di Non, riunite in un unico
complesso, formano una di queste grandi unità, dove
cercheremo di attuare questa forma nuova di
decentramento.
Anche la Valle dell'Adige troverà una sua organicità
per zone caratterizzate dalla presenza dei più grossi
insediamenti urbani del Trentino e del suo capoluogo.
Potremo subito dire che questa valle dovrà opporre
Dossier:
Il progetto
alla presenza di alcuni territorio metropolitani,
abbastanza vasti, un campagna urbanizzata, in cui il
decentramento avrà particolari caratteristiche. La Val
di Non invece dovrà essere concepita come una grande
zona metropolitana che dovrà formare uno stato
organico ed efficace di equilibrio con le città della Valle
dell'Adige, i cui territori metropolitani stabiliranno con
la metropoli della Val di Non, rapporti funzionali
distribuiti senza discontinuità, nello scambio delle
fondamentali relazioni di carattere economico-sociale.
Intanto occorre sottolineare un fatto nuovo che troverà
espressioni particolari, sovrapponendosi a quanto
esiste, cioè a dire l'aumentata dimensione logica e
funzionale dovuta a queste grandi unità.
Nelle zone del meridione esistono territori vastissimi
per molti comuni, viceversa nelle regioni settentrionali
d'Italia, i comuni sono molto frazionati; nel Trentino
abbiamo un grandissimo numero di comuni
piccolissimi, non tanto per l'estensione dei loro
territori, quanto per il numero delle genti che vi sono
insediate.
Questa situazione del Trentino ha un significato che
non dobbiamo dimenticare.
Corrisponde, essa, ad una certa tradizione locale, ad
attaccamento a determinare abitudini, situazioni e
relazioni, che rendono gli aspetti analitici della vita
territoriale validamente caratterizzanti.
Di fronte a questi fatti analitici, la nuova dimensione
che viene creandosi in tutto il territorio per essere
vitale, deve essere condivisa pienamente da coloro che
devono viverla, cioè da tutti i piccoli Comuni che
dovranno unirsi, per costituire questa nuova
dimensione. Di tratta di spiegare ai Comuni come
questa dimensione nuova abbia una profonda funzione
morale nello sviluppo umano delle valli, una funzione a
cui i Comuni non possono sottrarsi, perché supera ed
integra i piccoli interessi locali di un'industria qui ed
un ufficio pubblico colà, perché rappresenta un fatto di
partecipazione, la cui potenza rappresenta è garantita
solo se tutte le forze vive di una valle si riuniscono in
questa grande unità conurbandola, per farla diventare
un efficace organismo, una vera e propria grandiosa
metropoli dell'avvenire.
In questa unità più Comuni formeranno un insieme
minor che per illazione potremo chiamare quartiere
anche se non si tratta in nessun caso di un quartiere
con riferimenti a quelli urbani, ma di una campagna in
cui gli insediamenti dei vai Comuni che lo
compongono, saranno ancora distanziati e nella
campagna aperta cominceranno a trovare posto quelle
infrastrutture di servizio differenti dalle strutture
produttive industriali, a cui in definitiva si riferirà il
nuovo volto di questi caratteristici nuovi quartieri, se
così vogliamo ancora chiamarli. La nascita di tutto
questo sarà per alcuni anni piuttosto incerta, costituirà
un principio quasi uno schizzo di tutto il processo; ma
poco alla volta ognuno dei fatti fondamentali prenderà
il suo particolare carattere e allora gradatamente
vedremo crescere queste nuova grandi unità fatte di
campagne e di città insieme»10.
contenuti della città-campagna, ad esempio le
grandi strutture, rimanevano ancora tipo
logicamente indefinite.
Sul territorio del Trentino le prime proposte per il
Piano provinciale avevano infatti individuato una
suddivisione in grandi comprensori di valle.
Nell'ambito dei comprensori si distinguevano i piani
intercomunali e all'interno di questi i piani
comunali di piccoli gruppi di comuni aventi
interesse di settore.
Ci sembra importante rilevare l'articolazione dei
comprensori in sotto-unità, qui chiamate unità
intercomunali, che, in questa prima suddivisione,
avevano dimensioni abbastanza rilevanti. La loro
funzione è chiarita in uno studio sui contenuti dei
piani ai diversi livelli, contemporaneo a quello
citato.
«Il piano provinciale prevede dunque la divisione del
comprensorio di valle in più unità intercomunali,
che pur essendo integrate nell'unità comprensoriale,
ne costituiscono l’articolazione dei settori
caratteristici, entro i quali il consorzio dei comuni
del comprensorio si scompone in consorzi minori
del territorio intercomunale che hanno finalità
proprie, anche se subordinate agli scopi del
consorzio maggiore istituito per il comprensorio11.
Le “finalità proprie” erano individuate
essenzialmente in un'organizzazione unitaria dei
servizi, delle comunicazioni e della residenza che
trovava una sua omogeneità soltanto a scala
inferiore rispetto a quella del comprensorio.
Pur sottoponendo a serrata critica, questo livello
intermedio tra il comune ed il comprensorio rimarrà
nella prima edizione formale del Pup nel 1964 ed
anche in quella definitiva del 1967, sotto il nome di
“unità insediativa”.
I criteri generali così formulati proponevano dunque
un'organizzazione territoriale ben difforme da
quella della città-regione, di cui faceva eco il piano
di localizzazioni industriali, e che allora trovava
negli studi del piano intercomunale di Milano la sua
più avanzata elaborazione.
Al convegno di Torbole il dibattito sul piano si
svolse prevalentemente attorno ai due diversi
concetti città-campagna (comprensorio) e di cittàregione, il primo sostenuto da Samonà e dagli
urbanisti, il secondo proposto dagli economisti.
L'esame delle due alternative riguardò non tanto i
loro contenuti teorici, quanto alla capacità di
risposta dell'una o dell'altra ai bisogni locali, di
breve e di lungo periodo, secondo l'interpretazione
politica del governo provinciale. Samonà, da parte
sua, aveva già dichiarato che «le idee
programmatiche della giunta provinciale erano
assimilabili non come intenzioni di una politica
locale, ma come intenzioni di uno studioso di
problemi urbanistici»12.
La discussione dimostrò che il comprensorio, come
unità territoriale equilibratrice, era in grado di
rispondere efficacemente alla situazione culturale,
sociale ed economica del Trentino.
La prima suddivisione comprensoriale
Negli elaborati presentati al convegno di Torbole, le
indicazioni territoriali rimanevano ancora vaghe.
L'attenzione si era accentrata soprattutto sulla quarta
parte della relazione, sulla divisione cioè del territorio
aperto in grandi città, i Comprensori, mentre i
Al convegno di
Torbole il dibattito
sul piano si svolse
prevalentemente
attorno ai due
diversi concetti
città-campagna
(comprensorio) e
di città-regione, il
primo sostenuto
da Samonà e
dagli urbanisti, il
secondo proposto
dagli economisti.
10 - 11. Ufficio Studio e gruppo
Urbanisti, Il Piano urbanistico
provinciale, Provincia autonoma
di Trento, Trento, 1962.
12. G. Samonà, Comunicazione agli
Architetti e Ingegneri della Provincia,
Trento, 1962.
41
La proposta di piano
presentata al IX Congresso Inu
Alcuni concetti
sono forse più
stemperati, ma
altri come
l'ambiente e il
calore
determinante
dei centri
antichi, hanno
assunto un peso
più consistente.
Nell'autunno del 1962 la struttura di base del piano è
chiarita. Il territorio provinciale è definitivamente
diviso in dieci comprensori, il sistema industriale si
articola in ognuno di essi, sono precisate le grandi
infrastrutture di comunicazione.
Il gruppo di progettazione presentò il lavoro al IX
Congresso Inu, svoltosi a Milano dal 23 al 25 novembre
1962, dove il tema in discussione riguardava il rapporto
tra programmazione economica e piani urbanistici.
È interessante rileggere almeno parte di quella
relazione, pubblicata in pochi esemplari e ora agli atti
presso l'Ufficio Studi della Provincia.
L'insieme di criteri e di indicazioni presentate alcuni
mesi prima a Torbole, è qui rielaborato nel senso di una
maggior concretezza. Vi sono infatti confluiti i risultati
delle prime indagini territoriali e si è giunti, attraverso
riflessioni più mature, a un'attenta valutazione della
realtà locale. Alcuni concetti, come quello delle grandi
strutture formative della nuova città, sono forse più
stemperati, ma altri come l'ambiente e il calore
determinante dei centri antichi, hanno assunto un peso
più consistente.
Ambiente e sviluppo
La nuova relazione inizia rilevando che, nella struttura
geografica del Trentino, le valli «costituiscono
l'elemento naturale predominante per la vita delle
popolazioni insediate. Esso presenta singolari
caratteristiche di organicità di cui ancora oggi si
configurano i costumi si queste singolari popolazioni,
che vivono nel territorio provinciale in zone adagiate
entro il poderoso sistema alpino e spesso interamente
circondate delle montagne.
In passato molti di questi insediamenti hanno dovuto
trovare dentro di sé le risorse fondamentali per
l'esistenza e per lo sviluppo delle loro attività, malgrado
la vicinanza a grandi centri fiorenti di vita economica e
culturale, data la difficoltà delle comunicazioni che
hanno sempre creato ostacoli ai contatti diretti.
Così pur essendo sviluppati nel Trentino fin da tempi
antichissimi, rapporti e scambi di cultura e di
commercio nelle varie attività con centri italiani e con
l'Austria, il carattere anche politico di tali rapporti fu
sempre mediato dalla relativa asprezza delle
comunicazioni.
Ancora oggi il flusso dei traffici trova gli attriti
caratteristici della configurazione naturale, che
ostacola le relazioni dirette, malgrado l'aumentata
potenza dei mezzi di comunicazione, la loro maggiore
grandi dimensioni del traffico lungo i paesaggi più
frequentati dell'alta Valle dell'Adige per la provenienza
dall'Europa, della Valle Legarina per le provenienze dai
grandi centri della pianura veneta.
L'urbanistica deve tener conto di questa situazione nel
valutare le espressioni ambientali relative allo stato di
fatto su cui dovrà portare l'intervento. Si tratta di un
ambiente che è prezioso per chi promuove qualunque
programma di sviluppo del territorio; e va notato che
questa preziosità si è formata con tutte le esperienze
avvenute nel tempo ed al di dentro delle quali ogni
42
influenza esterna è stata sempre piegata ai modi di
vivere e ai costumi singolari di quei gruppi.
Non aver tenuto conto delle fondamentali
mediazioni psicologiche che si verificano
nell'ambiente del Trentino, ha fatto sì che in un
secolo di sviluppo la intensificazione delle iniziative
economiche e la formazione delle conseguenti
strutture promosse da nuove esigenze sociali,
abbiano in parte contaminato, senza l'opportuno
ricambio, talune delle caratteristiche di questa
singolare provincia, deformando le più valide e
sedimentate espressioni della sua vita sociale.
La popolazione, infatti, va perdendo la sua bella
unità di valle, soprattutto nelle zone in cui le attività
industriali e commerciali si sono di più intensificate,
cioè, lungo il grande solco creato dall'Adige. Qui il
ritmo dei traffici di questi anni ha spazzato via quasi
ogni traccia delle antiche caratteristiche; la natura,
trasformata dall'attacco di nuovi grossi fatti
strutturali, dovuti a uno sviluppo economico
determinatosi senza alcuna organicità di programmi,
si è come ritirata ai margini della valle sulle pendici
della montagna, dove ancora castelli e antichi centri,
presentano la testimonianza dell'equilibrio
tradizionale tra le attività umane e la terra in cui si
manifestano»1.
Le trasformazioni subite dal territorio
Si prende atto del processo di trasformazione che,
soprattutto nei più grossi
insediamenti, ha creato attrezzature sempre
maggiori, ma non ha saputo organizzarle nello spazio
secondo un nuovo, appropriato ordine. La situazione
delle singole parti del territorio è letta in questa
chiave: «Trento ha perduto gran parte della sua
mirabile unità, e si è venuta sbriciolando in
un'edilizia frammentaria e periferica dilagante ai
margini del tessuto storico senza un prestabilito
ordine. L'ipertrofia provocata da tale sviluppo ha
strizzato il libero fluire della grande circolazione e
con la sua invadenza promiscua di strutture
residenziali, di magazzini, di complessi industriali
alternati a fasci di binari e strade di circolazione di
ogni grado, non è riuscita più a trovare un
coordinamento logico delle varie funzioni, che
perciò, rendono assai meno di quanto potrebbero se
non fossero soffocate le une dalle altre.
Da Trento il discorso potrebbe estendersi con
osservazioni altrettanto gravi, a tutto il territorio
della valle, sia al nord che al sud della città e nella
Vallagarina, intorno a Rovereto, e più in là in tratti di
aree frammentariamente trasformate, come quelle
per esempio, nelle adiacenze di Arco e di Riva.
In relazione a questi due ultimi comuni, emergono
tutti i fenomeni della iniziativa economica legati alle
zone in cui l'interesse turistico è penetrato in forma
industriale, con le esigenze della sua imponente
formazione di strutture per l'ospitalità, che sono
quasi sempre localizzate senza un preordinato
piano, e perciò sono spesso sgradevoli alla vista,
disarmonici nei rapporti spaziali con l'ambiente e,
oltretutto, scarsamente funzionali per l'impaccio
reciproco che creano tra loro le diverse iniziative non
collegate e spesso contrastanti»2.
Si rileva a questo punto che il compito del piano
diventa difficile e delicato, nel tentativo di conciliare i
caratteri delle aree più compromesse con le “zone non
contaminate, che si estendono spesso per larghissimi
tratti del territorio delle valli, con una configurazione
naturale ancora presente in tutta la sua eloquenza:
tuttavia il prezioso equilibrio fra ambiente naturale e
insediamenti umani si va qui gradatamente perdendo
per l'abbandono sempre più accentuato dei centri e
degli insediamenti sparsi, da parte delle popolazioni
composte in gran numero da contadini giovani. L'esodo
è stimolato dal diffondersi della informazione, che crea
un richiamo verso nuove terre in apparenza più
attraenti, sia per posti di lavoro più remunerativi e
meno faticosi, sia per l'offerta più variata di servizi»3.
Le strategie
Di fronte a questa situazione, e in contrasto con i
programmi economici in corso di
elaborazione, il progetto di piano diceva di non
assumere come sua ipotesi di fondo la ceessità di
polarizzare tutto «lo sviluppo del territorio provinciale
sui grandi schemi di localizzazione industriale, sia
pure ordinatamente ubicati in zone pertinenti, né di
legare in modo categorico ed esclusivo la riforma
dell'agricoltura alla riduzione del rapporto contadini –
superficie coltivabile, per giungere quindi ala
formazione di minime unità culturali»4.
Si afferma quindi che la complessità dei fenomeni
emergenti dalle varie situazioni di depressione e di
sottosviluppo di molte zone della Provincia, doveva
suggerire formulazioni più realistiche e complesse.
Tali situazioni, da un lato presentavano una evoluzione
demografica molto complessa e in parte negativa,
dall'altro si collegavano fortemente alla configurazione,
ancora molto caratterizzata, delle comunità di valle,
che mantenevano, malgrado gli sfaldamenti dovuti alla
trasformazione della dinamica economica, un loro
singolare status di gruppo a cui conveniva riferire in
ogni caso la complessa fenomenologia del territorio
provinciale.
Si trattava di precisare e qualificare le relazioni fra la
campagna e i centri con parametri di nuove
dimensioni, da promuovere per creare la struttura
sociale dei territori aperti.
La campagna urbanizzata
Le nuove dimensioni, che sono essenzialmente i nuovi
servizi, arricchiscono l'urbanizzazione della campagna
e contribuiscono a fissare sul territorio le qualità
proprie alla vita civica.
Localizzando opportunamente nel territorio aperto
molte strutture di carattere pubblico e di gran parte
delle attività terziarie, si potranno creare i poli di una
nuova organizzazione unitaria.
«Si perviene così al concetto di campagna urbanizzata,
formata da grandi unità comprensoriali, che impostano
in modo completamente nuovo, sia il decentramento
amministrativo, che quello per la formazione di tutte le
altre attività terziarie. Le unità comprensoriali
diventano cioè, grandi localizzazioni organiche di
attività in cui i servizi in genere hanno una dimensione
proporzionata alle potenziali capacità delle
localizzazioni stesse.
In questo senso i comprensori concretano nel
territorio quel bisogno di trasformare la campagna
aperta e povera di pubbliche attrezzature, in una
campagna poderosamente urbanizzata in cui alle
grandi unità metropolitane di concentrazione, si
affiancano grandi estensioni territoriali di nuovo
genere, che sviluppano per grande ampiezza, beni e
servizi adeguati alle fondamentali esigenze della vita
moderna. Il comprensorio nasce pertanto come
esigenza di una nuova dimensione funzionale nei
rapporti sociali tra gruppi»5.
I criteri di individuazione dei comprensori
Nella prima fase il progetto di piano sostanzialmente
ha cercato «di operare secondo alcuni criteri di
efficienza individuano in ogni comprensorio quel
gruppo di comuni, il cui intorno potesse formare, per
caratteristiche permanenti, una zona prevalentemente
omogenea, non tanto e non sempre per la situazione
naturale del territorio, quanto per la confluenza di
interessi che uniscono e impegnano, come attività di
gruppo, i diversi comuni raccolti nel comprensorio in
una determinata prevalente direzione.
La individuazione dei comprensori, che costituiscono
le unità fondamentali del Piano provinciale, è basata
dunque essenzialmente sulle caratteristiche spiccate e
singolari delle diverse valli della provincia.
Si è arrivati a questa messa a fuoco dopo una serie di
prove sullo schema delle valli, prove che hanno avuto
lo scopo si sensibilizzare ulteriormente la visione del
territorio per parametri urbanistici formati secondo
un più attento esame del concetto di unità organica.
Si è così potuto accertare che, in rapporto alla
situazione di fatto, una visione non schematica, ma
più analitica dei fenomeni territoriali, riesce ad
individuare meglio talune strutture rispondenti, alle
esigenze di un determinato gruppo di interessi
fondamentali, qualora si precisi l'area della più
frequente confluenza di tali interessi, cioè, il
comprensorio territoriale entro il quale si manifestano
le emergenti significative dei fenomeni da analizzare»6.
Il successivo approfondimento del piano, fino alle
edizioni del 1964 e del 1967, porterà altre precisazioni
e una più sistematica enunciazione. Ma i temi di
fondo sono già definiti, come è definita la necessità
che essi, per essere vitali, siano pienamente condivisi
da tutti coloro che dovranno viverli.
Tuttavia si avverte che è necessario costituire anche
una nuova configurazione amministrativa per
«sviluppare tutte le attività previste in questo quadro
rinnovato della situazione territoriale della Provincia
di Trento. Infatti, non è sufficiente il potere che viene
emanato dalla propulsione programmatica del piano
provinciale, o da quella del piano comprensoriale, me
è necessario che i comuni del comprensorio,
l'amministrazione provinciale e gli enti pubblici
interessati, si riuniscano in consorzio per la
formazione, l'adozione e l'esecuzione del piano, e che
il consorzio stesso assuma la gestione delle pubbliche
attività e dei servizi conseguenti»7.
Sulla base di queste considerazioni il progetto divise il
territorio della provincia in dieci comprensori,
rispetto ai sette della precedente proposta.
43
Localizzando
opportunamente
nel territorio
aperto molte
strutture di
carattere
pubblico e di
gran parte delle
attività terziarie,
si potranno
creare i poli di
una nuova
organizzazione
unitaria
1 - 8. Le citazioni sono tratte da
Giuseppe Sampnà e Gruppo
Urbanisti, Criteri programmatici
generali del Piano urbanistico
provinciale dalla Provincia autonoma
di Trento, Trento, 1962
Tavola del Piano Urbanistico
del Trentino, 1967
44
Per quanto riguarda Trento, come città, si ritenne più
produttiva una sua enucleazione dai comprensori,
attribuendole la funzione di città-cerniera nello sviluppo
della Provincia. Non era forse estraneo il ricordo
dell'antico attributo di “città a statuto speciale” che essa
aveva sotto l'amministrazione austriaca.
È interesse altresì rilevare che, a differenza della edizione
poi approvata nel 1964, comprensori coincidono, quasi
sempre con la configurazione geografica delle valli. Basti
notare che il comprensorio del Sarca Calavino, poi
aggregati, a loro richiesta, a quello dell'Adige.
Le prime indicazioni infrastrutturali. La superstrada
della Valsugana
Questa proposta di piano definisce delle infrastrutture
che dovevano costituire il legame tra le diverse unità
comprensoriali della Provincia.
«Sono da evidenziare in tal senso anzitutto le strade
complementari del'autostrada del Brennero previste per
ricavare il massimo vantaggio funzionale da questa
importantissima arteria internazionale che corre lungo le
sponde dell'Adige con pochi nodi di allacciamento alle
strade ordinarie, progettate in prossimità di più grandi
centri. Le dette strade complementari creano un sistema
si parallele e di normali all'autostrada, con lo scopo di
servire sia le zone industriali, che i terreni agricoli,
riportando il loro traffico sui nodi dell'autostrada il più
presto e il più direttamente possibile».
Forse la più pregnante indicazione riguarda il nuovo
collegamento con il Veneto, costituisce una specie di
primogenita del piano.
Oltre queste opere, che trasformano l'autostrada in un
efficace strumento per incrementare le relazioni
economiche in profondità nel territorio dell'Alta Valle
dell'Adige e della Vallagarina, si è progettata una
superstrada che allaccia il Trentino alle città del Veneto
e, particolarmente, a Venezia attraverso la Valsugana,
servendosi del nuovo tracciato di variante alla statale
progettato dal compartimento dell'A.N.A.S. di Bolzano,
che riguarda anche la provincia di Belluno; mentre la
restante parte del tracciato dovrà essere concordata con
le altre provincie. Ma si pensache la provincia di
Trento potrà trovare nella provincia di Venezia,
un'efficace alleata alla formazione di tale percorso,
perché esso non solo aumenta i contatti fra il Trentino
e Mestre – Marghera verso Venezia come porto
naturale della nostra Provincia, ma anche perché
attraverso questa superstrada, il traffico europeo
proveniente dal Brennero può incanalarsi con maggior
facilità verso Venezia e addirittura verso le città
dell'Adriatico passando per Venezia e collegandosi alla
strada Romea.
Anche la superstrada è apprezzata con strade di
servizio che immettono il traffico del terreno
circostante nei nodi in essa costituiti ogni sei otto
chilometri. Autostrada e relative strade di servizio,
costituiscono il sistema stradale fondamentale del
trentino, servendo le zone più impegnate nei piani di
sviluppo industriale agricolo e costituendo altresì, i
canali essenziali per l'allacciamento del resto del
sistema circolatorio del Trentino alle altre provincie
italiane. Si collega infatti a queste due principali arterie
di circolazione, che in rapporto all'attività del Trentino
sono in un certo senso complementari, il doppio
sistema delle localizzazioni industriali; le une previste
per la Vallagarina, per il comune di Trento e per l'Alta
Valle dell'Adige, le altre previste per la Valsugana.
Le prime sono legate a rosario alla autostrada del
Brennero per interposte strade di servizio,
analogamente le seconde, per quanto concentrate in un
minor numero di punti, sono legate alla superstrada
Valsugana, Castelfranco, Mestre, Venezia, Litorale
adriatico.
La complementarietà delle due grandi strade è
evidente, una parte del traffico industriale di Trento e
dell'Alta Valsugana, può infatti incanalarsi nella
superstrada della Valsugana per raggiungere Venezia,
il porto di Marghera o le altre città dell'Adriatico e
viceversa. All'opposto una gran parte del traffico della
Valsugana può incanalarsi, attraverso l'autostrada per
raggiungere i grandi centri italiani o quelli europei»8.
45
LA SCHEDA
3
Quando Samonà spiegò
agli architetti «Il Pup è un piano
da costruire assieme»
Cari amici,
i punti programmatici esposto dal Presidente della
Giunta provinciale ed in particolar il problema
dell'ordinamento fra i vari settori non è solo
nell'intenzione di un apolitica locale, che può essere
anche plausibile e giustificata, ma è anche nella mia
intenzione di studioso di problemi urbanistici, in
quanto nella realtà questi problemi non possono essere
approfonditi come si deve se l'aspetto del
coordinamento non diventa un fatto essenziale.
Nella struttura di un territorio ci sono dei fatti
sostanzialmente stabili, determinati, caratteristici, e
l'intuizione dell'urbanista sta nel capre quali siano e
quali occorre conservare, perché la compagine di una
certa società di un cero determinato periodo di tempo,
con una su storia, non agisca per salti ma evolva
lentamente, si non vuole alterare senza rimedio la sua
configurazione.
Quindi per prima cosa, soprattutto in un territorio come
questo del Trentino, in cui esiste una certa instabilità
fra fenomeni di natura agricola e di natura industriale,
in cui il turismo si inserisce spesso come fatto
complementare, è essenziale prendere in considerazione
alcuni aspetti caratteristici di queste attività secondarie,
saperli scegliere, discriminarli in quanto vanno
stabilizzati con quelli primari dell'agricoltura. Questo è
un cardine fondamentale di quanto dobbiamo fare qui in
Trentino per p9ianificare senza sconvolgere.
Pianificare, infatti non significa sconvolgere, ma
determinare le caratteristiche della situazione in ogni
punto per quello che esse veramente sono e per quanto
possono spontaneamente rendere. Qualunque
organismo forzato oltre certi limiti per determinati
obiettivi, si spezza, si ammala e qualche volta può anche
morire.
Perciò noi dobbiamo tener conto delle caratteristiche
più profonde e stabili della Provincia, individuare, in
altre parole, gli elementi significativi e trarre da essi le
previsioni e il convincimento per conoscere quali
potranno essere gli aspetti del territorio in un
determinato periodo di tempo futuro.
Evidentemente la nostra previsione può arrivare fino ad
un certo punto perché il futuro non può svolgersi tutto
in modo lineare; si potranno avere anche delle crisi, però
il nostro compito è di portare ad un determinato livello
la struttura del territorio, di prepararla ad assorbire
46
senza eccessive scosse anche le discontinuità
accidentali, prepararla cioè a resistere senza fratture
irreparabili agli inevitabili sconvolgimenti futuri.
(...)
Il nostro compito sarebbe perciò quello di
coordinare gli elementi più significativi
dell'ambiente naturale in cui portiamo la
pianificazione. Dobbiamo cioè trovare i cardini
fondamentali di un territorio per determinarne la
struttura organica. Per fortuna nella provincia di
Trento una struttura organica è facilmente
individuabile. Ci sono invece territori in cui non
esistono o quasi dei segni di organicità a cui
l'urbanista si riferisce per determinare i primi
lineamenti di una ipotesi di pianificazione. Nel
territorio trentino abbiamo veramente dati
fondamentali caratteristiche precise che
costituiscono da una parte un limite e dall'altra un
incentivo a trovare giuste soluzioni.
Dopo questa premessa vorrei subito dirvi che mi
aspetto da Voi una collaborazione efficace che oserò
chiedervi quando avrò abbozzato per grandi linee le
caratteristiche fondamentali del Piano provinciale.
In quest'occasione sarà infatti molto utile la vostra
collaborazione per stabilire se le caratteristiche da
me prescelte per mettere in rilievo i criteri
fondamentali dello sviluppo di questo territorio
siano ben congeniate, equilibrate e realistiche e non
costituiscano interruzioni possibili della continuità
dell'ambiente, interruzioni che dovremo e potremo
correggere insieme.
Su questo punto fondamentale dobbiamo essere
d'accordo. C'è infatti una ragione invalida perché la
vostra collaborazione sia piena ed efficace, Che cosa
infatti ci si aspetta da voi? Ovviamente la tutela del
piano di cui sarete i depositari e gli urbanisti nel
farlo attuale dai Comuni e da gruppi di Comuni dei
suoi principali direzionali.
Vorrei immediatamente parlare di questa vostra
funzione che si presenta forse per la prima volta sui
lavori di pianificazione in Italia. In altra sede vi ho
nominato l'architetto condotto o ingegnere condotto
che conoscendo a fondo il piano provinciale e le sue
linee programmatiche può contribuire ad una certa
caratterizzazione di un suo determinato settore nel
quale egli vede in vera grandezza i fenomeni e può
fare in modo che essi non si discostino quando
saranno interpretati dai piani dagli scopi del piano
generale provinciale. Allo stesso modo potrete agire
voi se sarete i depositari e gli interpreti del piano
provinciale se conoscerete e condividerete il suo
schema generale, se avrete partecipato alla sua
elaborazione e quindi siete coscienti che la direzione
seguita dal piano è quella giusta e non ce nè un'altra
da sostituire e quindi la farete rispettare nei Comuni
di cui avrete la tutela urbanistica.
Dicevo altra volta ai colleghi che se costruissimo uno
strumento perfetto e poi lo facessimo adoperare a
persone incapaci di usarlo, questo strumento perfetto
in pochissimo tempo di rovinerebbe. Pertanto uno
strumento perfetto può essere costruito con utilità
solo se di trovano persone capaci di farlo.
Nel caso del piano provinciale, considerato come uno
strumento perfetto, le persone capaci di usarlo dovrete
essere voi, perché a voi sarà affidato il piano per
realizzarlo. Perciò sarebbe strano e controproducente
che voi vi sottraste alla responsabilità di avere con me
uno scambio di idee e di darmi una collaborazione che
vi convincesse che tutto quello che si va facendo in
questa grandiosa opera è nel senso giusto. Infatti sono
se sarete convinti che questo strumento è veramente
capace di agire nel senso giusto, lo userete come va
usato e non cercherete di cambiarlo, ritenendo di far
meglio. Questo grande organismo del piano merita
infatti di essere profondamente meditato nel
complesso logico delle idee, nelle sue attribuzioni e
localizzazioni di massima, nelle dimensioni
fondamentali e nelle direttive che stabilisce per un
certo periodo di tempo. Quando vi sarà affidato il
compito di cominciare ad attuarlo se noi ne avrete
assimilato i principi saprete quali sono le direzioni i
cui vanno portati li interventi e quindi non ne farete
fallare le finalità. Devo aggiungere ancora che certe
cose per essere fatte nel modo giusto e non in quello
contrario al piano occorre che siamo accompagnate ad
una propaganda capillare che interpreti le idee del
piano in una forma facile e pratica, sminuzzandolo
analiticamente nei dettagli in modo che penetri nella
coscienza di tutti il valore dei suoi concetti direttivi.
Potremo adesso parlare delle idee del piano, non tanto
del piano della Provincia di Trento in sé, ma del piano
in generale, e poi magari anche di quello della
Provincia di Trento.
(...)
Io purtroppo vedrò poco di tutto questo, ma molti
di voi che sono giovani mi auguro che potranno
riuscire a vedere la forma di questo territorio
metropolitano di cui noi in questi anni forniremo la
grandiosa traccia.
Chi di voi avrà la tutela dei Comuni che
compongono questo territorio metropolitano dovrà
accompagnarli verso questo nuovo destino
d'integrazione verso questa nuova base di sviluppo,
questa coerenza collaborativa dalla quale si
otterranno i principi fondamentali dell'unità.
Il piano è ancora, devo dirlo, una specie di
diagramma che il tecnico, come consulente, affida
alla politica, che lo interpreta e lo rende esecutivo.
Questo diagramma dipende da due fattori
essenziali: dipende dal grado di priorità di senso
assoluto che il paino dà a certi interventi e dalla
gradualità nel tempo di tutti gli altri perché gli
organismi concepiti si vadano attuando senza la
pericolosità di interruzioni improvvise e di
travolgimenti.
Tutto questo significa, in termini molto pratici,
danaro, stima, costi di urbanizzazione, elementi
tutti che dobbiamo dare e per i quali il vostro
contributo sarà prezioso. Nel momento in cui si
dovranno tirare le somme e arrivare ai costi di
queste urbanizzazioni per quanto la mia esperienza
sia abbastanza avanti in questo campo, il Vostro
aiuto locale può essere determinante e lo richiedo a
voi fin d'ora.
A tal proposito nella discussione che abbiamo avuto
durante il nostro primo incontro qualcuno ha
richiesto giustamente che si ricorresse, da parte
nostra, alla consulenza dei tecnici locali subito per
far tesoro della loro particolare competenza in
determinati settori.
Tanto il presidente quanto l'Assessore
all'Urbanistica sono favorevolissimi a questo tipo di
consulenza. Perciò io presto richiederò il vostro
parere e il vostro giudizio su questioni particolari
di cui voi avere una cognizione molto maggiore
della mia. Potrà essere questo il primo passo
fondamentale per rapporti più intimi tra noi ed ai
quali tengo moltissimo.
47
Testo tratto da:
G. Samonà, Comunicazione
agli Architetti e Ingegneri della
Provincia, Trento, 1962.
50
La prima edizione
del Pup
49
CARTA
GENERALE
DEGLI
INTERVENTI
DEL PIANO
Giuseppe Samonà firma le tavole del
Piano urbanistico provinciale dopo l’approvazione
da parte della Giunta della Provincia autonoma di Trento
52
Dossier:
Il piano
Il 23 maggio 1964,
la Giunta provinciale deliberava
l'approvazione del piano
Il 23 maggio 1964, la Giunta provinciale, sotto la
presidenza di Bruno Kessler, deliberava l'approvazione
del piano.
Esso, materialmente costituito dalla relazione
illustrativa, dalle norme di attuazione e dalla cartografia,
che tutte le parti abitate e si sviluppava nel dettaglio
della scala 1:10.000, era firmato da Giuseppe Samonà, da
Nino Andretta e da Sergio Giovanazzi, mentre gli studi e
le ricerche per lo accompagnavano erano stati coordinati
da Giampaolo Andretta.
I contenuti del piano sintetizzavano i risultati del
dibattito precedente. Nel presentarli Kessler ribadiva un
quadro di riferimento ormai costante nel processo di
piano:
«Le indagini effettuate hanno portato ad individuare
l'esistenza ed il progressivo accentuarsi, anche da noi, di
squilibri territoriali, settoriali e sociali che inducono
gran parte della popolazione e dei capitolati a defluire
dalla periferia per accentuarsi verso l'asta dell'Adige, o
verso altri centri di minore importanza.
I detti squilibri, inoltre, inducono buona parte della
popolazione giovane, ad abbandonare la periferia per le
emigrazioni, all'interno o all'esterno.
Un esodo così massiccio dalla periferia, con il
conseguente accertamento di gran parte della
popolazione nei centri principali, ed una tendenza così
forte verso l'emigrazione, sono fenomeni di fronte ai
quali la Giunta provinciale si è posta l'interrogativo se
essi andavano passivamente accettati e se, invece,
dovevano essere in qualche modo fermati o corretti.
La risposta a questa domanda comportava, come appare
evidente, una scelta politica di fondo, scelta che non
poteva essere fatta che dall'organo che ha la più generale
responsabilità in ordine al futuro sviluppo urbanistico
del territorio.
Tale organo è appunto la Giunta provinciale, la quale,
dopo avere attentamente valutato i danni che derivavano
dal progresso depuramento che deriva all'economia
provinciale da un così massiccio fenomeno migratorio ,
ha ritenuto di dover tentare con movimenti, per
ristabilire gradualmente sul territorio un equilibrio
nuovo in grado di assicurare, via via, alle popolazioni, la
possibilità di soddisfare le esigenze dei tempi moderni
anche nel luogo della loro abituale residenza.
In altre parole, la Giunta provinciale ha ritenuto di dover
migliorare il rapporto città-campagna, a favore di
quest'ultima, anche per la considerazione, non ultima
come importanza, che il disagio denunciato da gran
parte del nostro modo agricolo, trovi in questo squilibrio
una delle fondamentali cause».
Da parte sua Samonà metteva in rilievo la novità di
questo progetto urbanistico e rilevava la particolare
impostazione che aveva reso possibile
«la penetrazione tecnica del progetto stesso presso le
genti trentine, con la parola viva e concreta del
Presidente degli amministratori della Provincia
Autonoma, che in un colloquio continuo con esse,
svolto comune per comune, hanno trasformato il
tecnicismo della teoria urbanistica in un fatto umano
di partecipazione generale alla forma rigeneratrice di
sviluppo che il Piano propone per il maggior benessere
di tutte le popolazioni insediate della Provincia».
Dalla lettura delle parti più significative della relazione
e dal confronto con i primi schemi del piano, riassunti
nel capitoli precedenti, si potrà avere un'idea
dell'evoluzione dei suoi contenuti. Alcuni di essi,
infatti sono rimasti inalterati fin dai primi appunti,
mentre altri hanno avuto continui aggiustamenti e
risultano riproposti in un quadro più organico.
I contenuti del piano
Già nella prima parte della relazione, in coerenza con la
proposta relativa alla specificità dello spazio
urbanistico, l'ambiente naturale era assunto come
struttura portante degli interventi in stretto rapporto
con i principali fatti della storia. Questi, infatti, posti in
relazione all'ambiente stesso, hanno reso più concrete
le scelte urbanistiche di carattere generale e quelle che
riguardano l'estensione e i contenuti
dell'organizzazione comprensoriale.
L'ambiente naturale era visto essenzialmente come
quadro morfologico nel quale situavano i fenomeni
geografici, che a loro volta erano annotati soprattutto
per la capacità di caratterizzare in modo specifico le
singole parti del territorio.
Un esempio può valere per tutti:
«Il fiume Sarca, nel tronco inferiore, attraversava la
valle omonima che si allarga prima di raggiungere il
lago di Garda. Ivi sorgono, addossata alla montagna e
dominata da un magnifico castello, Arco, cittadina
interessante per la configurazione architettonica del
suo centro storico, e Riva, che specchia sul bellissimo
lago di Garda in cui il Sarca finisce il suo corso.
Aspetto completamente diverso ha la lunga e stretta
valle denominata delle Giudicarie Inferiori e percorsa
dal fiume Chiese, sulle cui sponde si allineano centri
urbani caratteristici, che ebbero tanta parte nelle
vicende storiche del Principato vescovile di Trento».
Per ogni vallata erano messi in rilievo i rapporti
fondamentali tra ambiente naturale e storia che in esso
si è svolta.
Nella descrizione di questo ambiente naturale la
relazione cercava di cogliere le differenze tra una zona
e l'altra e di rilevare i punti di passaggio.
Di particolare peso risultava il fatto che oltre il 65% del
territorio provinciale è posto al di sopra dei mille metri,
53
Le citazioni sono tratte
dalla Relazione illustrativa del
Piano urbanistico provinciale,
Provincia autonoma di
Trento, 1964
Il piano fissa un primo riferimento fondamentale che rifiuta
l'abbandono di qualsiasi parte del territorio provinciale, anche di
quello più povero, contrastando una posizione corrente allora in
molti ambienti tecnici e politici
mentre a superficie dei fondovalle più popolosi i fertili,
indicati tra i 70 e 500 metri, non rappresentava più del
13%».
A questa descrizione seguivano alcune brevi annotazioni
sulle vicende del Trentino, con la partecipazione che esse
interessavano soltanto per quanto riguarda direttamente
i dati e le situazioni di cui il piano si occupa.
È risultata di grande interesse operativo la constatazione
che nel Trentino si sviluppò solo parzialmente una vera e
propria unità di interessi e una vera unità politicoamministrativa. Si notava invece che «questa terra fu alla
confluenza, fin dall'origine della sua storia, di genti e di
culture diverse».
Al piano interessava soprattutto rilevare che, nelle
continue lotte succedutesi dal primo medioevo, le
popolazioni trentine costrette a difendere la loro terra
venivano «acquistando un loro singolare comportamento
autonomistico, circoscritto ai propri interessi nei
contrasti con le forze belligeranti».
Il piano rilevava che, in senso generale, «la popolazione
trentina, molte volte minacciata dall'invasione della
propria terra e dalla deturpazione delle sue cose più
preziose, non seppe vedere nella violenza d'urto degli
eserciti alcun interesse che potesse far propria resistenza
nei nuclei insediativi accentrati per il mantenimento di
circoscritti interessi di gruppo.
Una coscienza di gruppo condizionata alla indipendenza
della propria terra, ma estesa al territorio più ampio della
valle, venne con soppressione del Principio che
attraverso i secoli, malgrado le sue deficienze
organizzative, le leggi istituzionali».
La relazione porta quindi in nota le suddivisioni
amministrative succedutesi nella provincia dopo la fine
del Principato.
Le finalità del programma urbanistico
Le finalità del programma urbanistico sono contenuti nei
tre capitoli «Aspetti di fondo di un programma
urbanistico», «I Comprensori», «La delimitazione dei
Comprensori nel Piano Urbanistico Provinciale».
Queste finalità, esposte nella relazione in modo chiaro e
scorrevole, sono state nella realtà, come si è visto, il
frutto della convergenza di due visioni politico-culturale
mediate da un vivace dibattito a tutti i livelli.
L'idea-base del complesso lavoro di pianificazione è
contenuta nel primo paragrafo del capitolo «Aspetti di
fondo di un programma urbanistico», dove si ritrova un
primo riferimento alle caratteristiche naturali ed
ecologiche del Trentino, sul quale si impianta la fase di
programmazione.
Questa, se «volesse contribuire al pieno assorbimento
dell'occupazione, dovrebbe prevedere tipi di intervento
strutturale capaci di determinare nelle varie parti del
54
territorio forme di equilibrio sociale ed economico
relativamente più stabili di quelle attuali».
Da questa premessa la prima, immediata conclusione
riguarda l'obiettivo non solo di fermare le correnti
migratorie verso l'esterno, ma anche quelle interne alla
provincia.
«Così semplificando, nelle previsioni di
riorganizzazione dell'agricoltura l'esodo dei 16.000
contadini dal lavoro agricolo non induce il piano a
programmare la modificazione delle loro correnti
migratorie per far confluire forze di lavoro verso la
Valle dell'Adige, potenziata di tanto da accoglierle,
impedendo così molta parte di essa di migrare in altre
provincie o all'estero, ma al contrario deve cercare di
impostare un programma urbanistico che organizzi la
strutturazione del territorio in modo che il più grande
numero di forze attive in procinto di emigrare, siano
accolte di attività extra agricole nel luogo d'origine e
nell'ambito di movimenti pendolari tollerabili».
Il piano fissa così un primo riferimento fondamentale
che rifiuta l'abbandono di qualsiasi parte del territorio
provinciale, anche di quello più povero, contrastando
una posizione corrente allora in vari ambienti tecnici e
politici.
«Un programma urbanistico che si prefigga di dare al
territorio un assetto di provvedere allo sviluppo
equilibrato delle diverse attività, fondandosi sulla
eliminazione delle correnti migratorie, impone alle
strutture ed infrastrutture una serie di condizioni
determinanti che dipendono dal modo secondo cui si
trasformeranno l'organizzazione degli insediamenti
umani, i loro rapporti ed il valore delle attività che si
svolgono nello spazio continuo della campagna».
Il secondo obiettivo di questo programma trova il suo
riferimento spaziale non tanto nell'ambiente urbano,
ma nello spazio continuo della campagna, con i suoi
problemi e le sue note potenzialità.
Questi obiettivi sono poi messi a confronto con la
situazione attuale non solo del trentino, ma anche del
resto del paese. Di questa la relazione sintetizza
alcuni aspetti che chiariscono meglio le finalità
adottate e introducono le successive proposte.
«Dunque si è manifestata da tempo una crisi profonda
dell'ambiente della campagna, nella stabilità dei suoi
valori umani travolti dalle esigenze di una nuova
economia, che provoca la morte dell'insediamento
sparso e la decadenza dei centri urbani minori
disseminati nel territorio aperto.
La città regione è uno dei fenomeni conseguenti alla
crisi. Le grandi concentrazioni di interessi si
contrappongono alla relativa dispersione di valori
degli interessi decentrati, ma non organizzati e
provocano il naturale depuramento delle vastissime
Dossier:
Il piano
È attraverso il Piano che la Provincia autonoma di Trento
individua le dimensioni e le caratteristiche delle aree
comprensoriali e i compiti che a ciascuna di esse sono assegnati per
costruire l'“equilibrio più stabile”
regione periferiche con i loro piccoli insediamenti.
Questi, un tempo ricchi di vista limitata, sono oggi
travolti dalla crisi e posti generalmente in uno stato più
o meno grave di degrado dai fenomeni conseguenti alla
lenta emorragia delle energie più giovani, che provoca la
graduale scomparsa del contadino come parte della
struttura sociale di tradizione millenaria. L'urbanistica
solo da poco ha scoperto che la mancanza di equilibrio
nella situazione delle aree periferiche dipende in gran
parte dai processi irrazionali con cui si attuano le
strutture e le infrastrutture di larghe zone territoriali.
Le conseguenze dell'irrazionalità di questo processo,
oggi così diffuso, sono le grandi migrazioni depuratrici,
l'abbandono della campagna e i centri fiorenti, la
scomparsa di economie e di ambienti una volta
straordinariamente caratterizzanti.
Si potrebbe obiettare che questa situazione di fuga dalla
conseguenza necessaria delle trasformazioni sociali a
cui tutti i paesi sono oggi sottoposti.
Tuttavia, con la concentrazione che si sostituisce alla
campagna ancora popolata, niente di più favorevole per
l'uomo compensa i gravi fenomeni di depuramento
periferico.
Al contrario, nei centri più ricchi si forma la
congestione come conseguenza dell'accresciuto
accentramento e ne deriva il malessere
dell'addensamento che provoca la scarsezza ed il
rapido invecchiamento dei servizi collettivi troppo
usati ed affollati, il disagio di abitare nei tristi quartieri
fatti di case sovraccariche di inquilini, il tormento di
mancare della capacità di acquisto ai prezzi di
concentrazione».
Di fronte alla situazione generale del Paese la relazione
osserva che anche nel Trentino si è manifestata una
tendenza notevole in questo senso. La sintetica analisi
della situazione della periferica che segue a queste
considerazioni prepara la formulazione del terzo
elemento di base del programma urbanistico.
Nel Trentino le direzioni dell'accentramento sono
precise ed esattamente localizzabili, considerando sia i
movimenti migratori e pendolari della popolazione, che,
secondo le analisi dell'Ufficio Studi, interessano circa
28.000 persone che lavorano e dimorano al di fuori del
Comune ove hanno la propria residenza, sia le
localizzazioni dei nuovi insediamenti industriali,
ubicati con netta prevalenza lungo l'asta dell'Adige e
nella zona del Basso Sarca. Anche le strutture edilizie,
conseguenza e cause dell'accertamento, si sono
sviluppate con estrema evidenza nei centri maggiori. A
Trento e Rovereto si è riversato infatti il 732%
dell'incremento edilizio realizzato nell'ultimo decennio.
Da questo è possibile precisare il terzo e riassuntivo
aspetto del programma urbanistico.
«Le complesse cause dell'impoverimento della
periferia sono altresì rilevabili nella mancanza
dell'organizzazione e strutturazione della periferia
stessa, che non è più in grado di soddisfare quelle
esigenze di natura spirituale ed economica, che
consentano all'uomo di vivere in modo civile.
Far vivere il territorio aperto delle periferiche
provinciali con forme concrete e razionalmente
pianificate di decentramento, sembra dunque
necessario dispositivo per equilibrare ed elidere i
difetti della congestione urbana, a condizione che il
processo si realizzi nelle attività secondarie e
terziarie, con la consapevole partecipazione di coloro
su cui esso converge, concretandosi in strutture ed
infrastrutture proporzionate al futuro sviluppo di un
sistema che acquisti nuove dimensioni».
Le nuove dimensioni territoriali
Le nuove dimensioni del sistema sono considerate
necessarie per ovviare
all'impoverimento delle periferiche e alla loro
incapacità di promuovere nuove forme di vita
associata. Riassumendo la elaborazione dottrinale e
il lungo dibattito intorno a questo problema, la
relazione del piano osserva che gli aspetti di fondo
del programma urbanistico richiedono il
ridimensionamento dell'attuale suddivisione
comunale, «perché i gruppi sociali si coordino in
nuclei più vasti e siano in grado di partecipare allo
sviluppo dei programmi di pianificazione e di
decentramento strutturale ed economico con
sufficiente autorità.
La dottrina urbanistica ha dato il nome di
“comprensorio” a questa dimensione: esso raccoglie
più comuni di un territorio in entità unitarie più
estese, per attuare la pianificazione secondo i criteri
che fanno già parte della nuova legge della Provincia
di Trento, in cui i comprensori sono considerati la
dimensione urbanistica intermediata tra Provincia e
Comune».
Il comprensorio assicura dunque la nuova
dimensione del sistema, sufficiente per realizzare gli
obiettivi che il piano si è dato. Ed è attraverso il
piano che la Provincia autonoma di Trento individua
la dimensione e le caratteristiche delle aree
comprensoriali e i compiti che a ciascuna di esse
sono assegnati per costruire l'“equilibrio più stabile”.
La relazione individua la prima finalità operative del
piano, che rappresenta, dunque, uno strumento che
stimola i comuni a coordinarsi in più grandi unità
per realizzare, più concretamente, quei programmi si
sviluppo, di decentramento di servizi e di attività
pubbliche, che garantiscano organicità ed equilibrio
55
56
Tavola delle unità insediative
57
La tutela
del paesaggio
I parchi attrezzati
Si tratta di aree del territorio
provinciale definite così per
specificare la prevalenza nell’uso del
rispetto di determinate forme di
equilibrio che ne vincola la
edificabilità e la indirizzano verso
modi il più possibile efficienti di
valorizzazione totale
all'espansione delle attività del territorio».
È chiara tuttavia la coscienza che nessun strumento
tecnico potrà ovviare ai gravi problemi di
impoverimento delle aree periferiche se non interverrà
una forte volontà di innovamento che deve trovare
proprio nella periferia il suo punto di partenza.
«Questo programma coinvolge la campagna, quale
protagonista delle nuove strutture e dovrebbe animarla
con una spinta vivificatrice che viene dal suo stesso
interno. Qui una nuova attività capillare dovrebbe
sorgere, stimolata dalla capacità formativa dei nuovi
servizi e delle altre attività terziarie, e dovrebbe
sostituirsi alla attuale decadenza concretandosi in
organiche urbanizzazioni di nuovo genere, che
potrebbero estendersi a tutte le aree del territorio
aperto, inteso come periferia.
Noi pensiamo che questo sia uno dei modi più realistici
per impedire l'allontanamento dalla propria terra delle
popolazioni ed in particolare dei contadini.
Questo dato di coscienza può essere stimolato dalle
opere di piano, che avranno modo di creare la
consapevolezza diffusa che il processo di sviluppo
dipende dalla piena partecipazione ad esso in tutto
l'insieme dei gruppi sociali ed una dimensione dei
gruppi stessi, concepita con tanta ampiezza da
consentire la organizzazione di tutte le sue forze
spirituali e materiali per conseguire lo sviluppo interno
e stabilire relazioni organiche con l'intero corpo della
Provincia, della Regione e del Paese».
Si precisano quindi le due polarità del sistema
comprensoriale, che devono combinarsi in una
«dimensione organica che condiziona la possibilità di
massima efficienza di un processo equilibrato di
sviluppo alla piena intesa di tutto l'insieme che vi è
incluso».
Considerando questo quadro di riferimento concreto,
non è difficile proporre i criteri teorici per la
individuazione delle aree comprensoriali, la cui
dimensione dipende essenzialmente
«dal fatto di essere tanto grande e di avere obiettivi ed
interessi così importanti da richiedere l'azione
organizzativa ed unificata dei diversi gradi della cultura.
Ovviamente, anche l'unità geografica, o quella di un
ambiente definito da particolari processi e situazioni
storiche, possono contribuire all'individuazione
dell'area comprensoriale.
Per stabilire quest'area non può esistere, infatti un unico
principio di individuazione, ma criteri di efficienza
definiti attraverso quei fenomeni accertati che hanno
valore propulsivo in rapporto alle caratteristiche del
gruppo sociale a cui i fenomeni stessi si riferiscono e ai
fattori geografici, storici, ecologici che ne condizionano
l'insieme.
58
I parchi naturali
Per le spiccate caratteristiche
ambientali il Piano ha distinto nel
territorio provinciale due grandi aree:
nel Trentino occidentale il parco del
Tovel-Brenta-val di Genova ed in
quello orientale il parco Paneveggio Pale di San Martino
Il Piano non vuole essere uno strumento rivolto a
polarizzare tutti gli interessi su un programma di
sviluppo economico del territorio, anche se gli schemi
di localizzazione industriale, la individuazione delle
zone turistiche, il potenziamento del commercio e la
riforma dell'agricoltura sono elementi fondamentali
per il benessere, da tenere nel massimo conto».
In rapporto alla individuazione quindi delle aree
comprensoriali si rileva che gli aspetti economici
hanno una grande importanza, ma che non sono
sufficienti per dare concretezza al programma di
rinnovamento.
«Il Piano ritiene che un programma si sviluppo
economico, sia pure fondato su indagini
tecnicamente approfondite, fornirebbe per
l'efficienza e il benessere, risultanze assai più
schematiche di quelle relative alle esigenze complesse
dei fenomeni che emergono dalle varie situazioni
territoriali.
Il piano urbanistico della Provincia può preparare
solo le linee indicative di una formulazione
metodologica dei fenomeni più complessi lasciando
che i piani comprensoriali ne avviino il concreto
svolgimento.
Di questa formulazione si è parlato abbastanza in
senso tecnico, qui parrebbe opportuno aggiungere
qualche cosa che dia un significato umanamente più
preciso alle finalità del lavoro e che ne illustri il senso
delle elaborazioni presentate, facendo vedere come
esse rappresentino i canali indicativi di uno spazio
ancora aperto all'ulteriore indagine più specializzata
sul territorio aperto in rapporto alle esigenze dei
gruppi sociali».
Il piano stabilisce così i primi fondamentali criteri di
rapporto con la pianificazione comprensoriale in un
processo che si vuole aperto e pronto ad accogliere
tutti i nuovi suggerimenti in un quadro di obiettivi
precisamente definito.
Per far questo il piano compie una prima
elaborazione teorica di questa nuova entità,
affermando dapprima in modo categorico che il
comprensorio non è soltanto una entità tecnica
voluta dagli urbanisti per rendere più equilibrati ed
omogenei i processi della pianificazione, sia pure con
le finalità di massimizzare il benessere degli uomini
insediati nel territorio.
«Risulta infatti, da quanto si è precedentemente
illustrato, che l'unità del comprensorio esprime
soprattutto quella complessa ed attuale esigenza
dell'uomo di vivere interamente la civiltà del nostro
tempo; esigenza che si traduce sia nel senso
individuale del diritto al godimento di tutti i vantaggi
spirituali e materiali, offerti dal più aggiornato
Dossier:
Il piano
Le infrastrutture stradali
di collegamento
L’autostrada del Brennero
Il piano individua l’articolazione del
tracciato dell’autostrada BrenneroModena che attraversa il Trentino
lungo la Valle dell’Adige. Si tratta del
più importante collegamento
autostradale transfrontaliero italiano
La Valsugana e la Rovereto-Riva
I collegamenti con il territorio
extraprovinciale sono garantiti da due
strade a scorrimento veloce: una
lungo la Valsugana, in direzione
Venezia, e una (mai realizzata) di
collegamento con Riva del Garda e
quindi con la Lombardia
servizio sociale fatto alle comunità accentrate, dove
infatti gli uomini della periferica emigrano, sia nella
volontà politico-sociale di appartenere ad un gruppo
di tali dimensioni da stabilire con le altre comunità
rapporti funzionali al livello formativo dello sviluppo.
È ovvio, infatti, da quanto già illustrato, che la
dimensione comprensoriale, impostando in modo
completamente nuovo i problemi dell'equilibrio
economico-sociale di vasti territori, viene a proporre
una grande localizzazione organica si attività in cui i
servizi intesi nel senso più generale, avranno una
dimensione ed una varietà proporzionata alla sua
capacità potenziale.
È altresì chiaro che questa dimensione organica in cui
sono in modo nuovo distribuiti bene e servizi
adeguati alla capacità di accogliere pubbliche
attrezzature che potenzino l'urbanizzazione de
territorio aperto, deve avere al suo interno un
complesso di forze produttrici di cultura.
Così la dimensione funzionale del comprensorio si
viene determinando nell'incontro di due esigenze: la
prima è quella di accrescere la capacità dei servizi
per le genti che non fanno parte delle grandi aree di
decentramento urbano; la seconda è quella di
stimolare in queste genti una produzione di cultura ai
diversi livelli dell'attività professionale.
La dimensione del comprensorio diventa dunque un
fatto sociale complesso che va indagato
profondamente nell'essenza stessa dei comuni e degli
altri enti che ne fanno parte. Essa non può che
formarsi gradatamente da uno stato di coscienza
diffuso con la cultura a tutto l'insieme sociale. A
questa cultura i programmi politici forniscono un
indirizzo propulsivo concreto e i piani urbanistici
danno indicazioni tecnica di parametri da verificare.
Il punto di convergenza della volontà di più comuni
di darsi una dimensione più grande, per conseguire
maggiore prestigio politico e culturale, da cui trarre
tutti i vantaggi di una futura massima efficienza, non
può pertanto realizzarsi con le sole idee
programmatiche imposte dall'alto sia pure per buone
ragioni di carattere tecnico espresse da piani
urbanistici. E' necessario invece conseguire la piena e
consapevole adesione di tutti i comuni a far parte di
un comprensorio e, se del caso, per il resto delle
autonomie locali e per ottenere una più organica
forma di partecipazione alla vita della nuova unità
territoriale è preferibile non irrigidirsi a mantenere
insieme tutti i comuni di un gruppo comprensoriale,
ma escludere quelli che non sentono d'associarsi,
anche se ragioni tecniche seguirebbero il loro
inserimento nel gruppo».
Quest'ultima precisazione dà il senso profondo delle
idee di base del piano fondate sulla precisazione attiva
e indica chiaramente che il comprensorio non è inteso
come ente intermedio, cioè come struttura
amministrativa calata nella realtà dei comuni per fini di
decentramento e quindi, per un certo riguardo,
emanazione del potere centrale. Problema questo,
come si vedrà, attuale ancora molti anni più tardi. La
relazione riassume e riordina quindi quanto già
sviluppato e conclude dicendo che:
«i parametri spaziali per la scelta dei comprensori del
Trentino si sono fatti dipendere da criteri di massima
efficienza che saranno più brevemente sotto indicati e
che si sono subordinati ai fatti più significativi
dell'ambiente e alla trasformazioni prodotte dagli
insediamenti umani.
I criteri di massima efficienza adottati si riferiscono:
- Alla popolazione nella caratterizzazione della sua
dinamica, con particolare riguardo all’analisi della
forme secondo cui in ogni parte del territorio si sono
create, sviluppate ed applicate le attività delle diverse
classi professionali;
- Al modo più razionale col quale si possono
raggruppare varie forme di attività agricola, insistenti
su un determinato territorio, per ottenere la organicità
funzionale del complesso della produzione circoscritta
al territorio stesso.
- All'individuazione di un territorio tanto esteso da
consentire con l'unità delle attività turistiche con
l'unità delle attività turistiche o con una loro
particolare varietà il massimo dello sviluppo;
- Al rapporto ottimale fra le grandi infrastrutture e le
attività di commercio e dell'industri e delle risorse del
sottosuolo inesistenti su un territorio;
- Alla presenza della città di Trento come guida di
tutto il Trentino e come cerniera fra i diversi
comprensori e alla presenza degli altri centri urbani di
Rovereto, Riva, Arco, Pergine, Levico, Ala, Malè, Cles,
Tione, Predazzo, Borgo e Fiera di Primiero, che
costituiscono fulcro propulsivo di ognuno dei
comprensori;
- Ad una particolare vocazione paesistica.
Questi criteri di efficienza, in quanto formatori dei
parametri spaziali di ogni comprensorio, sono stati
sempre considerati, nel complesso dei fenomeni e delle
attività, come elementi di valutazione di una situazione
complessiva del territorio stesso nello stato presente e
nei suoi eventuali futuri sviluppi.
Queste situazioni hanno comportato in sede di ricerca
urbanistica la messa a punto delle relazioni fra
fenomeni e forme di efficienza secondo un'espressione
combinata delle loro caratteristiche.
Si è prevenuto a tipi di accertamento che hanno dato
59
Gli areoporti
Le piste di volo
Al fine di modernizzare il sistema di
collegamento a fini turistici, il piano
prevede la costruzione di cinque piste
di volo: a sud di Trento, tra Arco e
Riva, nella val di Sole, nell’Alta val di
Non e a Predazzo.
Gli altiporti
Il Piano prevede, ma demanda ai
Piani Comprensoriali, la costruzione di
un sistema di altiporti, implementati
nelle zone montane più alte, a servizio
del turismo e per una più moderna
organizzazione del tempo libero
una più concreta qualificazione degli aspetti umani del
problema territoriale e della unità organica assunta dai
gruppi insediati».
L'ultima considerazione contribuisce da un lato a
definire con chiarezza il contenuto del comprensorio
come fenomeno essenzialmente positivo, dall'altro
individua al suo interno una dimensione urbanistica
più ridotta, caratterizzata da una relativa omogeneità
di comportamento, che consente un'autonoma
organizzazione delle attività di servizio come elemento
coagulante del fatto urbanistico. Il Piano chiama “unità
insediative” questa dimensione territoriale all'interno
del comprensorio e ritiene che essa contribuisca a dare
una maggiore vitalità al comprensorio stesso e possa
rendere più valida l'organizzazione unitaria di tutto il
territorio.
«Le unità insediative rappresentano perciò, a nostro
avviso, i pilastri di quella nuova organizzazione a cui il
piano comprensoriale dovrà dare vita con i suoi
programmi e le sue progettazioni».
Nel capitolo seguente si dà una ulteriore precisazione
delle finalità di questa dimensione. In effetti il Piano
articola i suoi interventi prevedendo il raggruppamento
dei piccoli centri urbani di ogni comprensorio appunto
nelle unità insediative che
«rappresentano entità specializzate per stimolare le
relazioni tra luogo e luogo e intensificare gli scambi tra
comprensorio e comprensorio, rendono più armonico il
rapporto delle varie parti del comprensorio stesso e
l'integrazione unificatrice dei programmi».
In questa prima edizione del piano l'unità insediativa
non è, concettualmente, meglio specificata. Essa
tuttavia serve come quadro di riferimento per le
previsioni particolari in ogni comprensorio, contenute
nella terza parte della relazione.
esaurirsi all'interno del comprensorio, ma, entro i
termini di una dialettica interna al sistema dei dieci
comprensori, dovranno orientarsi verso una sintesi
unificatrice, che troverà i suoi maggiori stimoli nel
centro urbano più importante e per tradizione più
qualificato a provocare gli incitamenti necessari a
questa sintesi».
Il Piano assume dunque la funzione di promuovere a
livello provinciale la formazione di una serie di opere
che garantiscano e stimolino l'attività del
comprensorio, precisando le principali relazioni che
servono dei dieci comprensori nell'organizzazione
unitaria della Provincia. Esse sono costituite sia da
una
«rete di grandi comunicazioni fungenti da
infrastrutture fondamentali, sia delle forme di
integrazione delle produzioni agricole, industriali,
turistiche, impostate secondo criteri si
specializzazione del tutto nuovi, a cui fa capo la
finalità di una reciproca intesa sulle possibilità di
sviluppare azioni unificatrici intercomprensoriali, e
sia infine della funzione di città guida, e quindi
integratrice, che potrebbe assumere Trento, qualora
rafforzasse il ruolo di punto di convergenza di quelle
attività che dovranno riqualificare la struttura sociale
di ciascun comprensorio.
Sono dunque preminenti fra i compiti del Piano
Urbanistico Provinciale, anzitutto la formazione
dell'infrastruttura viabile fondamentale; in secondo
luogo l'individuazione dei nessi infrastrutturali tra i
comprensori, come esame di convergenze e
compenetrazioni delle loro attività; in terzo luogo la
formazione dei criteri organizzativi del tessuto
urbano di Trento in funzione di attività da
programmare per il ruolo di città guida di tutto il
processo di sviluppo».
Le indicazioni relative a questi compiti sono
vincolanti per i piani comprensoriali. Il Piano
provinciale garantisce l'organizzazione unitaria della
provincia e la realizzazione dell'obiettivo
fondamentale, definito dalla convergenza di interessi
politici e culturali.
Una breve lettura riassuntiva si queste indicazioni
urbanistiche fondamentali può dare un'idea del loro
rapporto con il comprensorio.
Il piano provinciale e i piani comprensoriali
Il Piano vuole lasciare largo spazio all'attività
pianificatrice del comprensorio.
Tuttavia si preoccupa di precisare
«in modo più specifico quali siano ed in che senso
agiscano alcune strutture fondamentali destinate alle
attività di integrazione e di unificazione degli sviluppi
produttivi dei diversi comprensori. Essa indicherà,
altresì, in che cosa consiste l'intervento urbanistico di
Trento, per farne la città guida integratrice del
complesso di attività che si vanno svolgendo nei
comprensori trentini.
La dimensione e la qualificazione di queste attività è
infatti imposta, per ogni comprensorio, sul criterio di
proporzionalità all'importanza di esse e definita
secondo concetti di autonomia, per finalità
culturalmente unitarie, che, come è ovvio, non potranno
60
Le indicazioni fondamentali del Piano provinciale
Per quanto riguarda il sistema delle comunicazioni:
«Il piano forma la rete della grande viabilità sia
operando integrazioni e ulteriori specializzazioni
nella rete viaria esistente e in quella già in progetto
prima del piano, sia indicando nuove strade
fondamentali e sia correggendo tracciati esistenti per
Dossier:
Il piano
Le aree industriali
Trento, Lavis, Mezzolombardo
Su cui gravitano le valli di Sole, di Non, di
Fiemme, di Fassa, di Cembra e in parte
della Valsugana per un totale di 228 000
abitanti
Tione
Su cui gravita il Comprensorio delle
Giudicarie in tutta la sua ampiezza per un
totale di 35 000 abitanti
Rovereto, Arco, Riva
Su cui gravitano le valli del Sarca e la
Vallagarina per un totale di 102 000
abitanti
Borgo Valsugana
Su cui gravita una parte dell’Alta Valsugana
e l’intera Valsugana per un totale di 47 000
abitanti
dar loro l'efficienza infrastrutturale proporzionata alle
necessità di futuro sviluppo.
Questa infrastruttura è formata essenzialmente da un
sistema stradale di base, di cui fanno parte:
- L'autostrada del Brennero;
- Una nuova arteria di scorrimento veloce, che
innestandosi all'altezza di Trento, segua all'incirca il
percorso della strada della Valsugana e, superato
Castelfranco, si dirige in linea retta su Venezia, indi di
immettere nella Romea per servire la fascia territoriale
dell'Adriatico;
- La superstrada con percorso Est-Ovest che, partendo
da Rovereto, raggiunge Riva del Garda e quindi si porta
verso la Lombardia, percorrendo il progettato
raddoppio alla Gardesana Occidentale.
A questo fondamentale sistema che si polarizza su
Trento allacciando il Trentino al resto del Paese, si
collegano le altre comunicazioni principali, che sono
quasi sempre di strade esistenti, opportunamente
migliorate nelle loro caratteristiche».
In tal modo la provincia di Trento si collega
efficacemente con i grandi sistemi autostradali dei
Nord-Europa e dell'Italia settentrionale.
Il secondo settore sul quale il Piano interviene con
indicazioni vincolanti è costituito dalle localizzazioni
industriali. Queste sono ubicate in stretta connessione
con la rete della grande viabilità e costituiscono
«un sistema determinante sia per l'organizzazione
interna dei comprensori sia per la reciproca
integrazione. Tale ubicazione costituisce uno degli
elementi fondamentali nella realizzazione delle finalità
che il Piano Urbanistico Provinciale propone ai
comprensori.
I criteri preminenti seguiti nella loro ubicazione sono:
- La quantità di forze lavoro disponibili in un raggio
d'azione che renda tollerabili i movimenti pendolari;
- La vicinanza di grandi arterie di comunicazione sia
stradale che ferroviaria;
- La possibilità di rifornimento idrico;
- La posizione non nociva agli insediamenti e alla
agricoltura;
- La posizione non in contrasto con le esigenze
panoramiche dell'ambiente;
Lo schema generale della loro localizzazione si può
grosso modo assimilare a due grandi assi che
costituiscono un insieme cruciforme, l'uno con
andamento nord-sud si adagia sulla Val d'Adige,
Vallagarina e sul Basso Sarca, l'altro con andamento estovest si estende lungo la Valsugana.
Attorno a questo sistema di grossi insediamenti
industriali che costituiranno un'ossatura strutturale
funzionalmente efficace, si articolano altre
localizzazioni nei comprensori più periferici.
Come ogni altro polo di sviluppo, le localizzazioni
industriali e i poli periferici sono stati situati e
sistemati in modo che la formazione di influenza e di
interessi ad ampio raggio che ne derivano nel
territorio circostante, siano tali da integrare e
unificare l'organizzazione di vaste aree
caratterizzanti l'unità comprensoriale».
È opportuno ricordare che, nella logica del tempo, i
criteri di localizzazione e la effettiva ubicazione sul
territorio delle aree industriali costituivano
l'elemento più sicuro per attuare l'equilibrio
territoriale, obiettivo primo del piano.
Per quanto riguarda gli altri settori di attività
economiche, la relazione del progetto di piano dà
solo alcune indicazioni di metodo, rinviando una
loro migliore precisazione ai piani comprensoriali.
Ci preme solo rilevare che, nel capitolo riservato al
turismo, fa la prima comparsa il concetto di “parco
attrezzato”: «dove una buona parte del turismo di
massa e di quello familiare, di quello selezionato o di
cura potrà trovare una zona di confluenza di spazi
molto vasti e ricchi per varietà di servizi e di
incontri.
I parchi costituiscono in tal modo un settore di
intensa e qualificata valorizzazione turistica
preservando il paesaggio da contaminazioni banali e
non caratterizzanti.
Essi comprendono territori di campagna
generalmente a prato o zone di bosco che, pur
continuando a mantenere la loro utilizzazione
specifica, avranno particolari norme per la
attuazione di alcuni interventi che ai fini della
valorizzazione turistica si renderanno in essi
necessari».
L'opportunità di individuare un sistema di parchi
attrezzati nel territorio della provincia era nata
osservando le particolari caratteristiche ambientali
dei fondovalle e degli altipiani, in cui tra una natura
ancora incontaminata si intercala il territorio
coltivato della campagna. La loro organizzazione a
parco attrezzato consentiva inoltre di proporre un
tessuto connettivo tra i piccoli insediamenti delle
vallate.
In questa prima edizione del piano le loro
caratteristiche non sono ancora ben individuate.
Anche le norme di attuazione relative non precisano
finalità e contenuti ma rinviano ai piani
comprensoriali la definizione dei perimetri e degli
altri tipi di vincolo.
I parchi attrezzati costituiranno così uno degli
argomenti sui quali si concentrerà la discussione e il
dibattito tra il '64 e il '67.
Il piano riteneva che un'altra attività che poteva
61
Il centro storico di Trento all’inizio degli
Anni Sessanta: da notare la Piazza Duomo
“trasformata” in parcheggio per
autovetture. Tratto da Il piano urbanistico
del Trentino, op.cit.
caratterizzare in modo unitario lo sviluppo dei dicei
comprensoriali fosse quella turistica e quindi dava per
questa alcuni criteri di organizzazione riferiti
essenzialmente a tre tipi, ad ognuno dei quali
corrispondeva una determinata categoria di turisti:
«la prima si rivolge alla villeggiatura estiva di carattere
familiare che accoglie ancora una forma tipica del turismo
stagionale tradizionale; la seconda pratica il turismo di
carattere sportivo che riguarda sia la neve l'escursionismo e
l'alpinismo, sia gli sport lacuali, e che porta forti aliquote
di turismo internazionale; la terza è quella dei turisti
domenicali che svolgono il classico impiego del tempo
libero in montagna o sui laghi nelle più svariate forme di
attività e cercano l'attuazione estiva e invernale di carattere
multiforme.
Un'altra aliquota delle correnti turistiche è rappresentata
da quanti ricercano nel Trentino, i benefici delle cure nelle
numerose stazioni termali, alcune assai sviluppate altre
bisognose di ulteriori interventi».
«Un altro settore fra i più importanti dell'effettività
turistica è il turismo della neve, che si sviluppa in forma di
sport sia invernale che estivo. Qui l'esigenza nuova e
fondamentale riguarda soprattutto la possibilità di legare
tra loro diversi impianti destinati e attrezzati per lo sport
della neve, facendo in modo che i turisti possano percorrere
una considerevole varietà di territori naturali che
presentino a questo sport una configurazione
continuamente mutevole, perché esso possa svolgersi senza
la monotonia della ripetizione delle stesse vie in una sola
zona.
Per ottenere questo fine, il piano provinciale ha diviso in
due grandi zone tutto il territorio della montagna trentina
in cui si pratica il turismo della neve: la zona orientale e
quella occidentale, organizzando in ciascuna di esse il
coordinamento più ampio possibile del turismo a carattere
intercomprensoriale. In senso generale è altresì importante
assegnare una destinazione d'uso molto precisa a tutta
l'edilizia tradizionale, che abbia una configurazione
abbastanza caratterizzata da creare ambienti per il turismo
selezionato».
Si è già rilevato che il piano affidava un compito integratore
fondamentale al complesso delle attività terziarie che
costituiva uno dei punti fondamentali su cui doveva basarsi
il nuovo equilibrio territoriale proposto.
«Il complesso delle attività terziarie costituisce uno dei
punti fondamentali su cui basa il nuovo equilibrio
territoriale proposto dal Piano; esso trova la sua efficace
qualificazione nella localizzazione e formazione dei centri
di servizio, scelti col criterio della complementarietà e
dimensionati alle funzioni da assolvere, sia in rapporto agli
insediamenti che sono immediatamente contermini, sia in
relazione alle esigenze di tutto il comprensorio.
La funzione di città guida che Trento potrà assumere si
62
Dossier:
Il piano
65
materializza con evidenza nell'ubicazione dei suoi
centri direzionali protesi verso Nord, vale a dire versa
la parte più interessante del comprensorio.
Similmente la nuova configurazione di Rovereto è
caratterizzata dal centro direzionale posto
trasversalmente alla valle, verso la corona di
insediamenti sparsi sulla sponda destra dell'Adige e
verso le grandi comunicazioni che lambiscono tale
parte del territorio.
Negli altri comprensori i centri direzionali
contribuiscono sempre e molte volte in modo
preminente, a creare interrelazioni nei diversi
insediamenti del comprensorio stesso».
Si è già sottolineata la preoccupazione, costante nel
piano, di chiarire i proprio contenuti specifici e il
rapporto con i piani comprensoriali anche e
soprattutto al di là del semplice contenuto normativo.
A questo riguardo risulta particolarmente
interessante la lettura di alcune parti del capitolo
conclusivo della relazione generale, nel quale si
precisano una serie di rapporti ideali.
«Giunti a questo punto, da urbanisti dobbiamo dire
che il piano provinciale, in una situazione così
straordinaria venutasi a creare, non può essere che la
trama di un graduale trapasso e di uno stimolo ad una
forma di organizzazione della campagna, individuata
da entità assai più vaste dei singoli comuni che ne
fanno parte e che si avvieranno a raggiungere un
livello di efficienza con una cultura, ai diversi strati
professionali, sempre più diffusa.
Questa sarà la garanzia che il processo generale di
sviluppo si svolgerà con forma equilibrata a tutti i
livelli, che le emigrazioni di carattere professionale,
oggi emorragiche, saranno limitate alle forme di una
logica contingenza nell'ambito di una necessaria
compensazione.
Tutto questo porterà ad una sempre più chiara
determinazione quantitativa delle attività terziarie,
cosicché il nuovo equilibrio conquisterà una sempre
maggiore rispondenza con le dimensioni ed i caratteri
del comprensorio.
Per arrivare a questa maturità occorrono ovviamente
anni di lavoro costruttivo sia del consorzio dei comuni
insediati in ogni comprensorio, che della Provincia,
della Regione e dello Stato, nei cui relativi quadri
l'attività comprensoriale dovrà muoversi.
Il piano provinciale sarà perciò un buon piano se avrà
saputo lasciare ampio spazio per gli ulteriori
approfondimenti dei problemi, in sede di attuazione
di questi piani.
Tutte le relazioni fra campagna e centri urbani
saranno da precisare e qualificare secondo concetti
distributivi non più legati ai centri stessi, ma alla
64
necessità di potenziare le attività nell'ambito della
fondamentali localizzazioni economiche.
Queste zone sono da considerare punto di riferimento
in un modo nuovo di organizzare lo spazio con le
strutture, e a loro volta, elementi di una pianificazione
che si origina in un quadro più vasto del comprensorio
stesso. Si tratta perciò, come si è ampiamente detto, di
problemi assai complessi che si verranno assestando e
risolvendo man mano che i consorzi di gestione
comprensoriale conquisteranno una maggiore maturità
e la terziarizzazione avrà gradatamente urbanizzato
tutto il territorio con un grado di efficienza di cui il
Piano può essere soltanto il supporto.
Per sviluppare tutte le attività inerenti a questa
organizzazione in un quadro rinnovato delle situazioni
territoriali. La legge Urbanistica Provinciale n. 2 del 2
marzo 1964, ha previsto la costituzione di consorzi per
la formazione, l'adozione e l'esecuzione dei relativi
piani comprensoriali».
L'illustrazione del programma operativo del piano
riguarda invece il carattere e la formazione dei
comprensori in rapporto alle finalità del piano e
costituisce la seconda parte della relazione.
Per fornire una chiave di lettura in concordanza con gli
obiettivi di questo, occorre permettere alcune idee sulla
condizione dell'uomo nell'assetto territoriale, che il
piano assume come istanza di base finalizzata
nell'impiego di migliorare il benessere sociale.
«L'uomo inteso nei valori più concreti, come
espressione dell'insieme sociale di cui fa parte e in cui la
sua attività è condizionata, costituisce l'aspetto di
fondo che riassume e caratterizza le istanze
indispensabili in un coacervo di situazioni e di attività
ben definite che interessano particolarmente
l'Urbanistica.
Essa ne coglie i valori della struttura tradizionale e di
quella creata con lo sviluppo, come espressione nuova,
dell'ambiente dell'uomo, predispone, di base a queste
esigenze, i servizi sociali necessari, determinando i
parametri dello spazio che l'accoglie in organismi
funzionali.
I parametri più generali per illuminare questa
condizione dell'uomo possono essere in qualche modo
forniti, sia pure imperfettamente, dal rapporto
quantitativo che passa fra le tre grandi classi di attività
economiche»
L’ultima parte del Pup è dedicata alle indicazioni,
puntuali e specifiche per ogni comprensorio.
Dopo l’adozione del maggio 1964 il Piano avrà un lungo
iter approvativo e di revisione che si concluderà con
l’adozione definitiva il 10 agosto 1967.
L’eredità del
primo Pup del Trentino
65
Intervista a Mauro Gilmozzi
Nel Pup del 2008 abbiamo
raccolto la lezione di Kessler,
adattandola ai tempi
Foto: Romano Magrone - Archivio Ufficio stampa della Provincia autonoma di Trento
a cura di Giovanna Ulrici
Mauro Gilmozzi è Assessore all’Urbanistica, Enti Locali
e Personale della Provincia autonoma di Trento
66
Domanda: Grazie Assessore per questa intervista,
che ospiteremo nel prossimo numero di Sentieri
Urbani, curato in collaborazione con l'architetto
Sergio Giovanazzi, che per l'occasione ha messo a
disposizione il suo archivio. Il numero
monografico viene dedicato al primo Piano
Urbanistico Provinciale, di Bruno Kessler e di
Giuseppe Samonà. Quanto di quella esperienza di
pianificazione degli anni '60 è ancora vivo nella
recente revisione del Pup?
Gilmozzi: Del primo Piano Urbanistico abbiamo
valorizzato diverse cose. La prima è l'idea di
territorio alpino, ovvero l'idea di un territorio che è
costruito su relazioni integrate tra la città e le valli,
su un modello di decentramento, di rete. Una
condizione del tutto attuale che di fatto si
contrappone ad un modello metropolitano,
centralista, dove il territorio è al servizio della città, è
periferia, dormitorio.
La seconda è una visione strategica del futuro,
partendo dall'analisi delle condizioni di contesto.
Una relazione tenuta dal prof. Samonà presso
l'Ordine degli architetti e degli ingegneri all'inizio
degli anni Sessanta evidenziava molto bene il
contesto di riferimento su cui sarebbe poi stato
costruito il Pup 67. Ovviamente il Pup 2008 si fonda
su analisi e considerazioni diverse, ma l'approccio
non è cambiato.
La terza è l'architettura istituzionale e di servizio,
fondamentale per garantire lavoro e qualità della
vita su tutto il territorio. Condizione irrinunciabile
per mantenere la presenza dell'uomo in montagna.
Allora si pensò all'istituzione dei Comprensori come
livello intermedio tra la Provincia e i Comuni, per
rafforzare l'autonomia delle Valli e nel contempo
decentrare servizi. Oggi con le Comunità di Valle
stiamo cercando di dare più forza a quel disegno,
ovviamente aggiornandolo e cercando di superare
alcuni ostacoli che hanno effettivamente soffocato
negli anni le potenzialità che esso rappresentava,
soprattutto in chiave politica.
Mi piace sottolineare che questo tema era stato
affrontato anche in precedenza. Un bell'articolo di
Vittorio Riccabona, Consigliere Comunale di Trento
sul finire dell'800 (un tempo in cui il Trentino
rivendicava ma non aveva quella forte autonomia
istituzionale e di rappresentanza che ha oggi e la
Dal primo Pup
abbiamo imparato
l’idea di un territorio
costruito su relazioni
integrate tra città
e campagna...
città sopperiva a quest'ultima funzione), proponeva
una legge istitutiva di livelli istituzionali intermedi
elettivi come punto d'equilibrio tra' il livello
regionale ed i 374 comuni dell'epoca. Per sottolineare
come il dibattito attuale sulle Comunità di Valle che
vengono presentate come un invenzione dell'ultima
ora, trovi invece il suo riferimento nella storia del
nostro territorio, costruita su modelli di sussidiarietà
istituzionale, di cooperazione imprenditoriale, di reti
culturali e sociali, su proprietà collettive, secondo
modelli del tutto attuali.
Altri elementi o analogie con il piano di Kessler, sono
riconducibili agli assetti normativi, essenziali allora,
dispersivi e troppo complessi oggi o alla formazione,
quale condizione indispensabile per evolvere in ogni
campo.
D. Torneremo dopo su questo argomento.
Volevamo chiederle in particolare quali altre forti
eredità ha raccolto la pianificazione provinciale di
oggi dalle esperienze degli altri Piani provinciali.
G. Del Pup di Kessler, come detto, il Trentino ha
ereditato un uso compiuto delle potenzialità'
dell'Autonomia, lo sviluppo industriale, il
decentramento istituzionale, l'università e l'Istituto
Trentino di Cultura, la rete stradale e autostradale.
Dal Pup di Walter Micheli (la revisione del 1987),
l'idea di porre un limite allo sviluppo quando esso
sfrutta eccessivamente le risorse territoriali, ma
anche la valorizzazione dei Parchi Naturali, già'
presenti nel primo PUP, ma attivati in questa fase;
l'idea di dar vita ad attività lavorative che fossero nel
contempo a sostegno della qualità' ambientale e
straordinari ammortizzatori sociali (progettone).
D. Il primo Pup in effetti contava su di una leva
economica forte, la crescita industriale sulla soglia
del Trentino. Leva di che, procedendo con questa
simmetria di raffronto con il presente, ora manca.
G. Non ho dubbi nel dire che il benessere di cui
disponiamo è anche figlio di quella politica di
sviluppo, ed anche oggi il tema dello sviluppo deve
far parte di una qualunque strategia territoriale. La
domanda è semmai quale sviluppo, visto che ora le
condizioni sono completamente cambiate. Il secolo
scorso è stato caratterizzato da un forte spirito
nazionalista, da due guerre, dei monopoli pubblici,
dalle dogane. Oggi siamo globali ed in balìa degli
oligopoli privati. In ogni caso, ciò che io più apprezzo
nella visione di sviluppo del piano Kessler non è solo
la programmazione della fase di industrializzazione
del Trentino, quanto l'idea di legare questo sviluppo
alla conoscenza. Investire sull'Università e sulla
ricerca è stata una idea importante: il Trentino si
sviluppa non solo se produce ma se abbina alla
produzione fattori di formazione e di cultura.
D. Cosa rappresentano 30 anni per una Politica di
sviluppo definita in un Piano provinciale?
G. Tutto dipende dalla qualità e intensità dei
cambiamenti socio economici e scientifici che
intervengono in questo lasso di tempo. Sta a noi
intuirne gli sviluppi ed investire sulla capacità di
adattamento ed anticipazione dei fenomeni. Il mondo
globale muta molto più velocemente di quello del
secolo scorso. Le sicurezze del dopoguerra (posto
fisso, casa, studio, pensione) stanno sfumando
lasciando il campo ad incertezze, a dinamiche nuove,
a cambiamenti più repentini a cui dobbiamo dare
risposte in un quadro che guardi avanti, che segni la
strada appunto, ma con strumenti capaci di verificare
i risultati attesi ed eventualmente correggere la rotta.
D. Quale è stata quindi l'evoluzione del paradigma
di sviluppo produttivo che nel Pup di Kessler e
Samonà era stato declinato in chiave industriale?
G. Con le analisi condotte sulle condizioni di contesto
e su possibili scenari futuri, durante i lavoro di stesura
del nuovo Pup, aiutati anche dagli approfondimenti
del Piano di Sviluppo, abbiamo elaborato anche noi
una strategia di medio-lungo termine. Partendo
proprio dal concetto di paesaggio come espressione
dell'identità territoriale. Paesaggio come frutto e
sedimentazione di scelte su cui certamente anche il
Primo Pup ha inciso molto. In altri termini, pensando
che il paesaggio, sia il nostro spazio di vita, più' che
un panorama da cartolina, abbiamo immaginato che
un territorio così piccolo e fragile, ma anche così
straordinariamente bello e all'avanguardia, potesse
reggere l'urto della globalizzazione solo orientando le
proprie politiche di sviluppo verso l'eccellenza
diffusa, come antitesi all'omologazione imperante sui
mercati e per noi meno interessante. Quindi il Pup
contribuisce ad un idea di sviluppo che punti a
67
realizzare le condizioni di contesto per attrarre o
mantenere in trentino, imprese e persone che di tali
fattori di eccellenza si servano per creare lavoro ed
opportunità di crescita o di non marginalizzazione del
nostro territorio. I poli tecnologici, il progetto di
collegamento metropolitani veloci che chiamiamo
Metroland, la localizzazione di centri universitari e di
ricerca, le tutele ambientali di aree naturali (le Dolomiti,
i laghi), di aree agricole di pregio per fermare
l'espansione urbana e difendere un modello agricolo
sempre più orientato alla qualità o lo stop alle seconde
case, sono alcuni esempi di come un Piano urbanistico
possa contribuire a dare garanzie per la realizzazione di
un idea di futuro. Ovviamente, non va trascurata la
responsabilità delle Comunità di Valle anche come
forma di partecipazione e confronto locale nei processi
di pianificazione territoriale dentro il quadro generale
del Pup, o il ruolo che abbiamo attribuito alla
formazione istituendo addirittura una scuola per il
governo del territorio e del paesaggio, Step appunto, ma
dominante resta l'idea che il paesaggio che verrà, sia il
punto d'incontro tra sviluppo e tutela e non la loro
contrapposizione.
professor Roberto Gambino, o del professor Paolo
Castelnovi che con il primo ha collaborato per gli
aspetti del paesaggio o del professor Bruno Zanon
della nostra Università che ha approfondito i punti
di forza e di debolezza delle diverse parti del mostro
Territorio. Ci siamo poi avvalsi di consulenze di
natura economica. Il Professor Matteo Caroli della
Luiss di Roma ci ha seguiti per tutto il percorso,
interfacciandosi con il Comitato per la
programmazione economica, presieduto dal
professor Roberto Camagni. Altri professionisti
hanno approfondito alcuni aspetti normativi e forte
è comunque stata la correlazione con altre riforme
che in quel frangente stavano venendo avanti. Una
su tutte la riforma istituzionale. Ciò ha favorito e
fornito stimoli al processo di elaborazione politica.
C'è nel nuovo Pup un forte messaggio culturale sul
paesaggio come espressione dell'identità. C'è una
forte consapevolezza che solo il senso di
appartenenza può salvare il paesaggio e non come
forma di difesa ma come capacità di comprendere
che la qualità del territorio è elemento forte del suo
sviluppo, della sua competitività.
D. E per quanto riguarda i cambiamenti intercorsi
nello scenario politico?
G. Direi che hanno influenzato non poco l'attuazione
della “vision” iniziale, a volte semplicemente per non
averla saputa verificare ed aggiornare. Anche per questo
nel nuovo Pup abbiamo inserito strumenti di
autovalutazione e di flessibilità.
D. Il processo del Piano: nel caso del primo Pup
l'ascolto, la raccolta di idee e il coinvolgimento di
soggetti rappresentativi delle varie realtà locali è
stato grande, come viene testimoniato nei
materiali che pubblichiamo su questo numero di
SU.
G. La partecipazione è stata anche per noi uno dei
punti di forza del nuovo Pup. Da un lato, facilitata
da nuovi strumenti di comunicazione e
divulgazione, dall'altro molto impegnativa per la
complessità della materia. Molti pensano ancora che
l'urbanistica si occupi semplicemente
dell'edificabilità dei suoli e della conseguente
attività edilizia. Ciò nonostante abbiamo superato
tre adozioni con relativa partecipazione formale al
procedimento; numerosi sono stati gli incontri con
rappresentanze di categorie e sindacati; altrettanti
gli incontri specifici con i Comuni, le Commissioni
consiliari ed altre istituzioni; sul territorio abbiamo
incontrato distintamente centinaia di
Amministratori pubblici e migliaia di cittadini, delle
cui osservazioni e contributi abbiamo stampato
anche una sintesi con relative risposte. Non a caso
D. Quali differenze nei ruoli del politico e del
pianificatore dal Pup di Kessler e Samonà? In
particolare ciò che colpisce del primo PUP è la
capacità di dare una forma anche tecnico-scientifica,
urbanistica, ad un processo e ad una elaborazione
politica. Quale il peso delle figure degli urbanisti
nell'ultimo Pup?
G. Va preliminarmente osservato che nella stesura
dell'ultimo Pup, tutte le consulenze sono state
acquisite avendo come riferimento una struttura
organizzativa interna che negli anni ha maturato una
forte competenza ed esperienza in campo urbanistico,
anche a livello interdipartimentale.
Peraltro anche nel nostro caso ci siamo affidati ad
esperti di chiara fama, come un urbanista del calibro del
68
...la visione strategica
nel futuro e l’architettura
istituzionale e di servizio
fondamentale per
garantire lavoro
l'opposizione al Pup in aula non ha sortito
nell'opinione pubblica l'effetto sperato e la discussione
in Consiglio Provinciale per l'approvazione del PUP è
stata breve, forse troppo breve per un atto così
importante.
D. Questo enorme lavoro che recupera un modello
di ascolto già sperimentato con altre forme nel
primo Pup, ha portato l'approvazione del Piano.
Questo è stato consegnato alle Comunità di Valle,
per proseguire nel lavoro anche di ascolto e
partecipazione. L'impressione è che i medesimi
soggetti che hanno partecipato attivamente nella
fase di redazione del Pup non siano ancora pronti a
riconoscere il ruolo della Comunità quale recettore
di proposte, visioni, osservazioni. Le chiediamo una
riflessione.
G. Innanzitutto dobbiamo dire che nella legislatura
precedente si è dato vita ad una serie di riforme molto
importanti che si sono concluse solo alla fine della
legislatura stessa, che potremo per questo definire
costituente. Solo in questa legislatura è stato possibile
concentrarsi sull'attuazione delle riforme, tenendo
conto che il cambio amministrativo nei comuni e nelle
Comunità con le elezioni del 2010, ha fortemente
ritardato il processo. In secondo luogo, penso che si
debba dare tempo al tempo. La riforma è un processo
che va accompagnato. E non abbiamo certo lasciato
scorrere il tempo invano. Con la Scuola "Step" abbiamo
avviato percorsi di formazione. Ciò ha permesso di
mettere a disposizione delle Comunità tecnici per
facilitare l'avvio dell'esercizio delle nuove competenze.
Tutte le Comunità stanno elaborando i nuovi Piani
Territoriali, secondo logiche partecipate previste dalla
Legge. Abbiamo attivato le nuove Commissioni di
Comunità con competenze paesaggistiche ma anche di
valutazione dei PRG. Siamo partiti a fine 2010 e mi
pare che il lavoro fatto sia molto. Certo c'è ancora
molta strada da fare, cose da correggere ed esperienze
da maturare, ma io sono fiducioso soprattutto perché,
sento che un po' alla volta c'è maggiore
consapevolezza dell'importante ruolo delle Comunità
nella pianificazione urbanistica.
D. Ma il Territorio è pronto a partecipare a questa
elaborazione?
G. Io penso proprio di sì. Alcune categorie, come gli
artigiani ad esempio, hanno organizzato corsi di
formazione ed incontri specifici su tutto il territorio
per presentarsi preparati ai tavoli di lavoro. La stessa
Provincia ha sostenuto tramite Trentino Sviluppo
delle azioni di animazione territoriale per facilitare
una visione di sintesi da parte delle categorie locali,
in grado di esprimere i bisogni, le vocazioni, le
aspettative del territorio. Anche le Associazioni
ambientaliste mi sembrano pronte. Per questo è
urgente che si aprano i tavoli di confronto e che a
questi partecipino anche i Comuni. Certo ci si dovrà'
abituare a gestire i conflitti. Ma se diamo valore alla
pianificazione, l'azione politica di mediazione, di
scelta e di responsabilità è quanto mai necessaria.
D. Rispetto all'Istituzione di Kessler, quale è
quindi oggi la missione per la Provincia?
G. È quella di cedere competenze e responsabilità' al
territorio, assumendo una funzione di
coordinamento e controllo, tanto da stimolare
l'azione concreta di una programmazione di
Comunità e nel contempo garantire coerenza con
una pianificazione provinciale, sempre più' attenta
ad integrarsi e confrontarsi con esperienze che
maturano fuori dal proprio territorio, in una
dimensione europea, globale.
D. Se è comune ai due Piani il tema delle relazioni,
ci sono differenze per la concretizzazione del
modello di comunicazione per il Trentino.
G. Se per comunicazione si intendono le connessioni
interne ed esterne al Trentino, ovviamente le
differenze sono gigantesche. Penso alla fibra ottica,
ma anche ai sistemi di mobilità su rotaia che sono le
sfide più urgenti da cogliere a livello paese. Se, come
abbiamo detto, il Trentino vuole essere un punto di
riferimento nella rete delle relazioni globali, per
l'eccellente livello di attrattività che esso esercita
all'esterno, ecco, questo Trentino dovrà essere un
nodo di quella rete. Che si tratti
dell'infrastrutturazione con la banda larga o i
collegamenti ferroviari veloci, non c'è dubbio che se
il Trentino non si doterà, come sta facendo peraltro,
di queste opportunità di connessione sarà destinato
alla marginalità. Questi sono i temi del futuro.
Queste sono le domande giuste quando pensiamo a
"come saremo tra 20 anni" .
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Il recupero di Castel Vasio:
un sogno da conservare
Il recupero del complesso storico, coronamento del sogno
agreste di una famiglia lombarda, è stato condotto nel segno
del restauro conservativo con il determinante contributo
dei prodotti naturali Tassullo
Identità del complesso ed autenticità della sua struttura
materica costituiscono i principi concettuali e operativi
dell'intervento. Il progetto di restauro è stato predisposto
dall'architetto Nullo Pirazzoli, docente presso l'Università Iuav
di Venezia. «Obiettivo precipuo dell'intervento – spiega il
professore – è stata la conservazione dell'edificio come
permanenza materica, lavorando per aggiunte coerenti e mai
per sottrazione, attraverso un notevole lavoro di traduzione
delle tecnologie costruttive locali, in termini di compatibilità
con i prodotti da costruzione contemporanei – senza scadere
nell'interpretazione vernacolare – per il consolidamento e il
restauro dell'esistente come per la realizzazione dei nuovi
interventi, minimi ma necessari, richiesti dalle modalità d'uso
odierne».
Valutazioni estetiche e gerarchie storiche aprioristiche sono
state estromesse dal progetto, mirato piuttosto a limitare le
richieste di sacrificio ai soli elementi non rispondenti a requisiti
minimi di solidità e sicurezza, o di impedimento a ragionevoli
adeguamenti.
L'architetto Giovanni Berti di Artistudio è stato coprogettista e
direttore dei lavori. «Per mantenere coerente la struttura dal
punto di vista materico – racconta il professionista – sono stati
ricercati materiali costruttivi quanto più possibile naturali,
ispirandoci ai concetti della bioedilizia per i restanti interventi.
È il caso, ad esempio, del recupero e riuso di molti degli
elementi architettonici già presenti nel sito; dei rinforzi
strutturali eseguiti in gran parte in legno; dei prodotti per
l'isolamento, totalmente di origine naturale; degli impianti
termici, con sistemi radianti a soffitto e a pavimento o a piastre,
dal comfort elevato e a basso consumo energetico. La scelta dei
materiali per il ripristino degli apparati murari si è subito
indirizzata verso i prodotti Tassullo, che impiega materie prime
locali per la sua produzione, in particolare per le malte a base di
calce idraulica naturale utilizzate nei consolidamenti, nella
ricucitura delle murature e dei soffitti a volte, nei massetti di
pavimentazione, nei manti esterni e nelle rifiniture. Tutti i
prodotti impiegati sono stati testati in laboratorio per
verificarne la compatibilità con i materiali originali, soprattutto
per le malte di consolidamento e per quelle utilizzate nei
rivestimenti esterni, la cui colorazione è stata campionata
direttamente da Tassullo sulla base dell'esistente».
Il risultato finale di questa complessa fabbrica è un edificio più
solido e coerente, con più lunghe aspettative di vita ma non per
questo più elegante o ringiovanito nell'immagine. Nel suo
riproporsi come luogo dell'abitare, il Castello di Vasio
restituisce ai visitatori la propria autenticità come manufatto
architettonico e testimone della storia, prodotto di una cultura
progettuale predisposta all'ascolto e di una perizia tecnica
spinte fino al più ragionevole limite terapeutico, presupposto
condiviso per la conservazione di un patrimonio edilizio.
I lavori di restauro di Castello di Vasio
Si tratta di un insediamento di origine medievale situato nel
comune di Fondo (provincia di Trento), in cima a un ripido
dosso che presidia l'alta Val di Non. È costituito da una torre di
vedetta in pietra dalla pianta pressoché quadrata (con lati di
circa 13 metri, alta una decina di metri alla gronda) e da due
corpi edificati situati ad est e a sud, oltre ad altre tracce del
complesso fortificato, raccolti attorno a una corte aperta verso
nord.
Condotti direttamente dal proprietario in qualità di
capomastro, i lavori di recupero sono iniziati nel 2004 sulla base
di un accurato progetto di conservazione, seguiti costantemente
dagli Uffici della Soprintendenza ai Beni Architettonici di
Trento. «Ho coinvolto alcuni degli artigiani operanti nell'area –
spiega il proprietario – che hanno risposto con passione a quella
che sembrava un'impresa impossibile: ristrutturare un edificio
diffusamente rimaneggiato nel corso dei secoli e abbandonato
da tempo, che presentava notevoli problematiche di carattere
statico-conservativo e che, soprattutto, era praticamente
inaccessibile ai normali mezzi di cantiere. Oggi il castello è
diventato un luogo abitato e ospitale, che mantiene intatte le
sue originarie caratteristiche architettoniche e di cultura
materiale tramandateci dalla storia, nel quale funzionano un bed
and breakfast e un'accogliente sala per la ristorazione che hanno
già ottenuto ottimi riscontri da parte del pubblico».
72
I materiali Tassullo
Ecco, nel dettaglio, i prodotti Tassullo impiegati durante
il restauro del Castello di Vasio.
FENIX/B per il consolidamento delle murature in pietra.
Si tratta di una miscela ad alta fluidità e a ritiro controllato, prodotta con l'uso
esclusivo di calce FENIX NHL 5, filler dolomitico selezionato e pronta all'uso,
utilizzabile per iniezioni di consolidamento in murature in pietra e mattoni
perché in grado di riprodurre, dal punto di vista fisico, chimico e
mineralogico, le malte di allettamento originarie; le sue caratteristiche di
fluidità, adesione ed elasticità restituiscono continuità strutturale alle
murature che presentano vuoti e fessure, senza generare porzioni locali
rigide né sviluppare gradienti termici in fase di maturazione.
FENIX NHL 5 per la formulazione di malte direttamente in cantiere e del
calcestruzzo di calce.
Questa calce idraulica naturale, purissima e certificata, con basso tenore di
calce libera e particolarmente elastica, ha permesso la preparazione in
cantiere del calcestruzzo di calce impiegato per le sottomurazioni e le
cordolature: la miscela formulata prevedeva l'uso di 400 kg di legante per
ogni metro cubo di inerte, quest'ultimo con dimensioni comprese fra 0 e 30
mm selezionato secondo un'apposita curva granulometrica.
La tecnica di restauro:
fra conservazione e adeguamento
I lavori di conservazione hanno interessato l'intero complesso
edificato, dal consolidamento del terreno di fondazione alla
copertura in legno, ma gran parte delle opere sono state rivolte
ai paramenti murari e ai rivestimenti. Dal punto di vista
costruttivo, la principale difficoltà incontrata è consistita nel
ritrovamento di una falda in cima al dosso, che provocava
l'innalzamento del livello di umidità nelle strutture di
fondazione specie nei giorni di pioggia e seguenti, incompatibile
con gli interventi di consolidamento mediante iniezione di malte
liquide. È stato perciò necessario costruire un cunicolo di
areazione, inizialmente non previsto e interamente realizzato a
mano, in grado di consentire la prosecuzione delle opere, di
seguito elencate in sintesi:
- scuci-cuci con materiali lapidei della medesima natura e
dimensioni, in presenza di lesioni passanti nelle murature di
fondazione e al piano terreno del castello e del limitrofo rustico,
legati esclusivamente con malta a base di calce idraulica naturale
Fenix NHL5 senza ricorso a cordoli in conglomerato, cuciture
armate o barre di irrigidimento;
- iniezione di miscela Fenix/B a base di calce idraulica naturale
in presenza di disomogeneità, sconnessione e incoerenze
murarie di origine meccanica, mediante perforazioni localizzate
e caduta a bassa pressione del fluido all'interno delle murature,
fino a permeare gli interstizi tra i conci;
- integrazione di lacune nella muratura con risarcimento totale o
riduzione delle aree di rottura, con apparecchiatura regolare di
pietrame legato tramite calce idraulica naturale e strato di
finitura a intonaco neutro a base di calce e sabbia;
- sutura delle lesioni profonde con riempimento degli interstizi
per ripristinare la continuità del paramento murario, con malta
T30rc a base di calce idraulica naturale cromaticamente
distinguibile;
- previo accurato smontaggio per recuperare e reimpiegare il
materiale lapideo nella successiva ricostituzione del manufatto,
ricostruzione delle apparecchiature murarie spiombate,
lesionate o crollate con finitura superficiale a intonaco a base di
calce e sabbia in tinta neutra;
- ripristino delle porzioni di volte crollate con recupero o
ricostruzione dei conci legati con malta a base di calce idraulica
naturale T30V;
- ripresa di piccole lesioni, previa pulitura e stuccatura con
legante a base di calce fino ad incontrare le superficie non
interessata dal degrado;
- consolidamento degli strati di malta del materiale lapideo
microfessurato di murature a vista, seguito da protezione con
prodotti inorganici ed eventuale stuccatura con malta a base di
calce idraulica naturale con inerte di media granulometria;
- consolidamento degli intonaci esterni con iniezioni di miscela
T30V per il pareggiamento delle superfici.
È una malta pronta a base di FENIX NHL 5, idonea per il confezionamento di
intonaci, riempimenti e rinzaffi, a media e alta resistenza, con un bassissimo
contenuto di sali idrosolubili e granulometria formata da inerti selezionati con
diametro massimo di 4 mm.
T30rc per il scuci-cuci.
Ideale per il restauro e il risanamento grazie all'elevata compatibilità con le
murature storiche, è' una malta di calce idraulica naturale Fenix NHL 5 ed
inerti selezionati, con granulometria massima di 4 mm. E' dotata di elevate
traspirabilità, resistenza ed elasticità ed è indicata per la realizzazione di
rinzaffi consolidanti, riempimenti e tamponature, per la realizzazione di giunti
in murature faccia a vista e per l'allettamento di mattoni.
fluida Fenix/B a base di calce idraulica, attraverso microfori o
lesioni e fenditure esistenti;
- scopertura di intonaci antichi da tinteggiature e scialbi di calce,
con restauro dei rivestimenti a intonaco interni operando per
ridurre rigonfiamenti e decoesioni, eliminare efflorescenze,
risarcire lesioni e lacune, con limitate iniezioni di miscela
idraulica a base di calce e sabbia medio-fine seguite da pulitura;
- realizzazione di nuovo intonaco a tinta neutra a base di calce e
sabbia;
- protezione di superfici intonacate con idonei prodotti acrilici o
acrilico-siliconici.
Oltre ai paramenti murari, sono stati consolidati e ripristinati gli
elementi portanti e gli assiti dei solai, i tiranti del sottotetto, i
rivestimenti, gli infissi interni ed esterni, tutti in legno.
Gli interventi di nuova costruzione hanno interessato, fra l'altro:
- formazione di uno strato di protezione sommitale anche in
funzione dell'appoggio dell'orditura del tetto, secondo criteri di
distinguibilità dei completamenti e delle aggiunte;
- sostituzione della copertura e di un solaio lignei con manufatti
nuovi, realizzati con tecnologie tradizionali;
- sutura e reintegrazione di un tratto di muratura crollato,
lasciando testimonianza dell'intervento;
- posizionamento di lastre di vetro intelaiate nell'interasse tra i
correntini della copertura del castello, che consentono di cogliere
la presenza del manufatto antico;
- realizzazione di tramezzature con pareti di legno e di arredi
fissi;
- liberazione di aperture tamponate;
- posa delle pavimentazioni esterna (acciottolato di pezzature
irregolare e regolare in file parallele) e interna, laddove mancanti,
con elementi in graniglia, porfido, calce sabbia e pietra macinata,
lastrame, mattoni a spina);
- realizzazione di infissi interni ed esterni in legno o legno e vetro.
73
60 anni di
CIPRA Internazionale
20 anni di CIPRA Italia
21 luglio 2012, Tesero (TN): Convegno su “Alpi ed Innovazione”
di Luigi Casanova*
* Vice presidente
Cipra Italia
Dall'interno di una delle vallate più conservatrici delle
Alpi era difficile attendersi l'emergere di uno spaccato
tanto vitale del vivere e della innovazione, tecnologica
e culturale. Il convegno di Fiemme, nel celebrare i 60
anni di vita di CIPRA Internazionale ed i 20 di CIPRA
Italia, ha voluto aggiornare i contenuti ed i movimenti
innovatori presenti nell'arco delle Dolomiti, lo
ricordiamo, recentemente, 26 giugno 2009, dichiarate
patrimonio naturale dell'umanità.
Il Vicepresidente di CIPRA International, Helmuth
Moroder, ha sottolineato come un convegno, con un
titolo simile, solo 20 anni fa sarebbe stato impensabile
nelle Alpi italiane, l'ambientalismo era confinato ad un
ruolo di puro antagonismo e la controparte,
istituzionale e produttiva, ideologicamente rifiutava
ogni approccio, ogni confronto. CIPRA Italia,
attraverso il suo Vicepresidente, Luigi Casanova, ha
voluto far emergere i tanti aspetti positivi oggi
chiaramente leggibili, una lunga ma significativa
maturazione, che oggi, in piena crisi economica,
costruisce nuove opportunità di speranza e fiducia
rivolte ai giovani nel territorio delle Dolomiti.
Il convegno ha dato voce ad esperienze diverse, sia
produttive che conservazionistiche ed istituzionali.
Alla presenza di numerosi amministratori locali e
dell'Assessore provinciale all'urbanistica e agli enti
locali Mauro Gilmozzi è stato presentato lo stato di
conservazione dell'ambiente forestale e l'avvio della
filiera del legno tutta centrata, oltre che sulla
produzione di legname certificato di alta qualità, sulla
riconversione energetica dalle fonti
fossili.
L'intera valle ha poi illustrato gli sforzi diffusi e
diversificati tendenti a ridurre nel modo più
significativo possibile la dipendenza dalle energie che
74
emettono grandi quantità di gas alteranti il clima: il
comune di Cavalese ad esempio nel 2013 arriverà
vicino al traguardo dell'autarchia energetica giunta
al 90% sia nella produzione di energia termica che
elettrica (teleriscaldamento a biomasse,
cogenerazione da gas, pannelli fotovoltaici diffusi,
energia idroelettrica, bioenergia da deiezioni
animali). Obiettivi che saranno seguiti da numerosi
altri esempi, presenti sia nel Primiero (che ha
costruito assieme a Fassa e Fiemme la rete culturale
e programmatica) che in altri comuni come Predazzo
e Carano.
Dal punto di vista conservazionistico è stata
particolarmente stimolante la relazione del dott.
Cesare Lasen, che ha illustrato lo stato dei lavori di
Dolomiti UNESCO e le straordinarie occasioni di
governance partecipata che questo strumento apre
non solo alle associazioni ambientalistiche e
alpinistiche (già colte da CIPRA, CAI e Mountain
Wilderness), ma a tutto il mondo imprenditoriale
del turismo e del Vivere nelle Alpi. Un universo fatto
di reti, di condivisione, di progettualità basata sulla
conservazione e promozione del paesaggio, della
geologia, delle tecniche di turismo alternativo e
sostenibile, della formazione. Di straordinario
interesse, vero motore di innovazione conservatrice
attiva, è stata la relazione del dott. Claudio Ferrari
(Provincia Autonoma di Trento) che ha illustrato le
prospettive della rete delle aree naturali inserita in
Rete Natura 2000, un progetto che unisce in una
cornice unitaria parchi nazionali, regionali, locali,
fluviali, agricoli e geologici che spontaneamente
stanno maturando nella realtà del Trentino.
Dalla conservazione alla produzione. Anche diverse
aziende della valle stanno investendo in sostenibilità,
Foto panoramica realizzata dal versante svizzero sulla catena a nord delle Alpi. Di Renzo Boglino
La ONG CIPRA Internazionale (CIPRA sta per "Commissione
Internazionale per la Protezione delle Alpi") e le sue
rappresentanze nazionali da più di mezzo secolo sono
impegnate a favore di uno sviluppo sostenibile delle Alpi. Si
tratta di una missione che vale la pena compiere, poiché
nel grande arco alpino, che si estende per 1.100 chilometri
attraverso otto Stati, vivono 13 milioni di persone. In questo
habitat multiforme, la CIPRA ricerca modi e mezzi per
conciliare ecologia, economia e sociale.
La CIPRA è un moderno crocevia di informazioni in più
lingue rivolto a persone interessate all'interno e all'esterno
delle Alpi.
Con uno sviluppo sostenibile a livelli diversi, la CIPRA si
propone di sfruttare le potenzialità del territorio alpino e
salvaguardarne la diversità culturale e naturale. Per questo
motivo, già nel 1952, anno della sua costituzione, ha
richiesto la stipulazione di un trattato internazionale per
un'ampia protezione del territorio alpino, la Convenzione
delle Alpi. Dopo quasi 40 anni e un intenso lavoro della
CIPRA ci si è riusciti e nel 1991 i Ministri dell'Ambiente degli
Stati Alpini hanno siglato a Salisburgo la Convenzione delle
Alpi. Oggi, la CIPRA segue l'attuazione della Convenzione
delle Alpi, gode dello status di osservatore ufficiale,
partecipa alle Conferenze delle Alpi ed è impegnata in
vari Gruppi di lavoro.
CIPRA Italia è nata nel 1992 a Torino, raccogliendo negli
anni l'adesione delle organizzazioni più impegnate nella
difesa dell'ambiente e dello spazio montano. CIPRA Italia
opera come un tavolo di lavoro aperto alla discussione sui
temi della sostenibilità e dello sviluppo sostenibile nelle Alpi,
per questo vengono organizzati incontri aperti, oltre che ai
delegati delle associazioni membre, anche ad esperti
dell'intero arco alpino italiano.
INU partecipa a CIPRA Italia da molti anni e si avvale di un
suo delegato. Dal 2012, su nomina congiunta delle Sezioni
Trentino e Alto Adige, ratificata dal Direttivo Nazionale, il
rappresentante in Cipra è il prof. Bruno Zanon,
Vicepresidente della Sezione Trentino, ed
il socio
supplente l'arch. Alessia Michela Politi, della Sezione Alto
Adige.
http://www.cipra.org
in innovazione creativa, nel riuso dei materiali di scarto,
come la Sportiva, azienda leader nella produzione di
calzature di alta montagna e sportive. Per arrivare alla
mobilità. Accanto alla proposta sostenuta da un
movimento spontaneo come Transdolomites che è
arrivata a progettare una nuova ferrovia che collega le
Dolomiti di Fassa a Trento, si è associata la voce di
Confindustria di Belluno che ci presenta il sogno di un
circuito tutto in ferrovia, moderna e veloce, che
circumnavighi le Dolomiti intere, da Cortina a Brunico,
da Bolzano a Trento, attraverso la Valsugana per arrivare
a Feltre e Belluno.
Ai contenuti del convegno, già di per sé ricchi, vanno
aggiunti altri passaggi innovativi, comunque presenti nel
territorio dolomitico. La richiesta di autonomia per tutti
i territori delle montagne italiane, il progetto avanzato e
condiviso da Mountain Wilderness con la Società
Funivie Marmolada per la riqualificazione turistica del
gruppo della Marmolada, primo esempio in Italia e forse
europeo di collaborazione attiva fra ambientalismo e
imprenditoria, l'adesione delle Comunità di Fiemme e
Primiero ad Alleanza nelle Alpi, le ormai sempre più
diffuse esperienze che legano l'agricoltura di montagna
al turismo di qualità.
Il Convegno è stato un inno di speranza inserito in una
crisi economica di dimensioni epocali: non si tratta di
una crisi finanziaria, ma di una crisi di risorse, di una
crisi climatica che presenta a noi tutti il dovere di una
riconversione. Riconversione che non può che avvenire
in senso ambientalista e grazie al recepimento dei
territori alpini, tutti, delle linee di indirizzo presenti
nella Convenzione delle Alpi attraverso una governance
partecipata.
75
INU: eletti i vertici della
“sezione Trentino”
Ulrici alla presidenza
31 maggio 2012: un duplice impegno per la sezione trentina di Inu.
Incontro “Gestione e pianificazione delle aree produttive: una
ricerca di Inu Alto Adige-Südtirol” e assemblea elettiva.
Molte ore piacevolmente trascorse in un intreccio di riflessioni
attinenti il tema delle aree industriali, di ragionamenti in merito a
impegni e obiettivi che la sezione ha assunto per il prossimo biennio
e di considerazioni inerenti la nomina del nuovo direttivo.
Numerosi i soci presenti e i membri del direttivo uscente, forte e
sincero l'interesse di tutti.
L'assemblea si è aperta con la relazione della Presidente, Giovanna
Ulrici, che è intervenuta descrivendo gli obiettivi perseguiti
nell'ultimo biennio dalla sezione Trentino, caratterizzati da un forte
rinnovamento del proprio ruolo nel contesto culturale e
professionale trentino e da una intensa produzione nel campo
culturale, anche a livello nazionale, divulgativo ed editoriale,
tramite la rivista Sentieri Urbani.
Ulrici ha inoltre informato della nomina del prof. Davide Geneletti,
membro del Direttivo uscente, quale rappresentante sostituto delle
Associazioni Ambientaliste nel Comitato Provinciale per l'Ambiente.
L'Assemblea è stata occasione per comunicare la nomina del prof.
Bruno Zanon quale rappresentante nazionale di INU in CIPRA
(Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi).
Il segretario uscente, Elisa Coletti, ha poi richiamato gli obiettivi che
il direttivo ha perseguito nel corso dell'ultimo biennio, ricordando
inoltre gli impegni già assunti ma non ancora portati a termine e
quelli in corso di definizione. L'intero direttivo ha tracciato, molto
brevemente, il quadro delle attività messe in calendario per il 2012,
allargando il ragionamento anche agli impegni per il 2013.
A seguire la presentazione del bilancio, curata dal Tesoriere
Alessandro Franceschini, e l'approvazione dello stesso.
Poi la raccolta delle candidature con i consueti chiarimenti sui ruoli
e sulle mansioni di ciascuna figura. L'assemblea ha quindi eletto,
all'unanimità, i nuovi componenti del direttivo (in ordine alfabetico):
Elisa Coletti, Alessandro Franceschini,Davide Geneletti, Marco
Giovanazzi, Paola Ischia, Giovanna Ulrici e Bruno Zanon.
18 giugno 2012: nomina delle cariche istituzionali. Il Direttivo INU
della Sezione trentina si è riunito in convocazione ordinaria a
seguito del rinnovo in occasione dell'Assemblea elettiva.
La Presidente uscente, Giovanna Ulrici, ha aperto l'incontro,
richiamando i contenuti dello Statuto e le modalità di assegnazione
degli incarichi interni al Direttivo, invitando i presenti a dichiarare la
propria disponibilità a candidarsi. Dopo ampia discussione si
individuano le seguenti figure: Presidente: G. Ulrici; Vice presidente:
B. Zanon; Segretario: E. Coletti; Tesoriere e Coordinatore Urbanistica
Informazioni: A. Franceschini.
A fronte della proposta formulata in sede di Assemblea e avvallata
dai soci, attinente la creazione di una rete di confronto e
collaborazione continua e diretta, tra il direttivo ed i soci è stato
inoltre proposto e deliberato di organizzare direttivi in forma
“allargata”, a garanzia di un migliore e più diretto coinvolgimento
delle parti e per facilitare la costruzione di gruppi di lavoro sui temi
e i programmi per il biennio raccogliendo manifestazioni di
interesse, valorizzando forme snelle ed efficaci di comunicazione.
(e.c.)
76
Inu/Trentino
Chi siamo,
cosa vogliamo,
come partecipare
COSA È L’INU?
L’Istituto Nazionale di Urbanistica è stato
fondato nel 1930 per promuovere gli studi
edilizi e urbanistici, diffondendo i princìpi della
pianificazione. Lo Statuto, approvato con DPR
21.11.1949, definisce l’Inu come “Ente di diritto
pubblico ... di alta cultura e di coordinamento
tecnico giuridicamente riconosciuto” (art. 1).
L’Inu è organizzato come libera associazione di
Enti e persone fisiche, senza fini di lucro. In tale
forma l’Istituto persegue con costanza nel
tempo i propri scopi statutari, eminentemente
culturali e scientifici: la ricerca nei diversi campi
di interesse dell’urbanistica, l’aggiornamento
continuo e il rinnovamento della cultura e delle
tecniche urbanistiche, la diffusione di una
cultura sociale sui temi della città, del territorio,
dell’ambiente e dei beni culturali.
LA SEZIONE “TRENTINO”
Dopo molti anni di “affiliazione” alla sezione
della Regione Veneto i membri effettivi presenti
in Regione hanno costituito, nel 1985, la sezione
Trentino-Alto Adige dell’Istituto, inizialmente
suddivisa in due “comitati” per poter rispondere
meglio alle specificità normative e legislative
delle due provincia autonome. Per questo, nel
1993 i due comitati si costituiscono in sezioni
autonome provinciali.
L’attività della Sezione Trentino si concentra
nella promozione di convegni, seminari di studi,
corsi di formazione, studi che abbiano come
oggetto le trasformazioni del territorio. La
sezione è storicamente dotata di un foglio
informativo che nel 2008 è diventata rivista
riconosciuta dal tribunale: Sentieri Urbani.
COME ASSOCIARSI
Per associarsi all’Istituto Nazionale di
Urbanistica occorre presentare al Presidente
della Sezione di competenza (per residenza o
luogo di lavoro) una domanda sottoscritta da
due Membri effettivi dell’Istituto e
accompagnata da un breve curriculum e dalla
ricevuta di pagamento della quota associativa
per il primo anno. Il Consiglio direttivo locale
approva le domande e le trasmette alla sede
nazionale per la ratifica e la registrazione.
Per gli Enti pubblici che intendono associarsi è
sufficiente inviare alla sede nazionale
dell’Istituto la delibera degli organi competenti
contenente anche l’impegno di spesa per la
prima quota annuale. Per contatti e ulteriori
informazioni: Segreteria INU Sezione Trentina
(arch. Elisa Coletti, [email protected] ).
L’INIZIATIVA
Oggi la città.
Pratiche dell’abitare nella
città contemporanea
Oggi la città è stato un ciclo di incontri aperti alla cittadinanza, rivolti a
un pubblico ampio, per riflettere collettivamente sulle forme e le
trasformazioni del vivere urbano contemporaneo. Si tratta di un una
serie di appuntamenti organizzati dall'associazione Professional
Dreamers in collaborazione con la sezione Trenino dell'Istituto
Nazionale di Urbanistica, l'Ordine degli Architetti PPC della provincia
di Trento, Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell'Università
di Trento e con il sostegno della Fondazione Cassa Risparmio di Trento e
Rovereto. Il ciclo è stato curato da Alessandro Franceschini e Andrea
Mubi Brighenti.
Negli incontri si è cercato di portare insieme studiosi, amministratori e
cittadini, proponendo di superare risolutamente il piatto schema
“domande della cittadinanza – risposte dell'amministrazione”, per
andare ad esplorare in profondità la pluralità di pratiche e di immaginari
che intervengono nell'articolazione dello spazio comune della città. A tal
fine sono stati invitati una serie di giovani ricercatori universitari
provenienti da diverse discipline, che vanno dall'urbanistica
all'antropologia alla sociologia.
Il ciclo è iniziato il 2 febbraio presso la Sala Caritro. Giovanni Semi e
Andrea Mubi Brighenti hanno presentato “lo Squaderno n. 21” dedicato
al tema Abitare: prospettive sui molti modi di vivere nelle città (edizioni
professionaldreamers, 2011). Dopo l'introduzione generale di Alessandro
Franceschini è intervenuto Alberto Winterle dell'Ordine degli Architetti
PPC di Trento. Il 16 febbraio presso la Sala degli affreschi, Adriano
Cancellieri, Daniele Lamanna (introdotti da Francesco Gabbi) hanno
affrontato il tema “Hotel-House day”. L'Hotel house (nella foto) è un
caso unico ma al tempo stesso emblematico delle trasformazioni
territoriali nell'Italia contemporanse, Progettato come mega residenze
vacanza sulla costa marchigiana oggi è occupato da immigrati di diversa
provenienza, evocando così la retorica e il panico del ghetto segregato.
Il 1^ marzo, presso la Sala degli affreschi, Azzurra Muzzonigro
(introdotta da Silvia Alba) ha parlato de “La città rom-pidgin di
Savorengo Ker”, ovvero il tentativo di realizzare una città meticcia aperta
alle differenze e alla sperimentazione sociale. Il 15 marzo presso la Sala
degli affreschi Mimmo Perrotta e Luca Lambertini (introdotti da Bruno
Zanon) hanno presentato il volume “Bologna al bivio. Una città come le
altre?”, un’interessante indagine su una città – come il capoluogo emiliano
– che dopo anni di “buon governo” soffre una crisi di senso legata alla
propria progettualità per il futuro. Il 29 marzo, presso la Sala Caritro
Giovanni Attili, introdotto da Francesco Minora, ha parlato di “Planning,
violenza e patrimonio”. Attraverso l'esperienza maturata nel corso di
un'indagine presso le popolazioni native del Nord America. L'obiettivo è
comprendere in che misura e come il processo di pianificazione possa
effettivamente aprirsi agli abitanti di un determinato spazio.
Il 12 aprile 2012 presso la Sala degli Affreschi, Paolo Barberi (introdotto
da Giorgio Antoniacomi) ha presentato ho studio su “Il quartiere
Tiburtino III a Roma” : una borgata romana che incarna gran parte dei
miti, delle aspirazioni, e delle difficoltà che hanno accompagnato il
processo di urbanizzazione della capitale.
Il 26 aprile presso la Sala degli Affreschi, Elena Granata e Carolina
Pacchi hanno presentato - introdotti e moderati da Giovanna Ulrici - “La
macchina del tempo. Come leggere la città europea contemporanea”
(Marinotti editore, 2011), mentre il 10 maggio Sala Caritro Jérôme Denis,
David Pontille ha presentato “Nel mondo della segnaletica. L'ecologia
grafica degli spazi del metrò” (edizioni professionaldreamers, 2011). Ha
introdotto e moderato l’incontro Giovanna Sonda.
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Biblioteca
dell’ rbanista
Bernardo Secchi
“Tra letteratura e urbanistica-Between
literature and urbanism”
Alessandro Coppola
“Apocalypse Town”
Francesco Infussi
“Dal recinto al territorio”
Giavedoni editore, Pordenone
2011, 10 euro
Editori Laterza
2012, 13 euro
Bruno Mondadori
2011, 30 euro
Il volume, bilingue, è stato editato a seguito
della lectio magistralis di Bernardo Secchi
all’interno degli incontri di Pordenone legge la città complessa, tenuta dall’urbanista il 18
settembre 2010. Nel volume Secchi riflette sul
senso del mestiere dell’urbanista e,
brevemente, sulla sua esperienza tesa a
“studiare” molte città e molti territori in
Italia, in Europa e nel mondo.
La parte più significativa dello scritto è
comunque dedicata al rapporto tra la
disciplina e la latteratura: «di ciascuna città e
territorio -scrive Secchi - ho cercato di
conoscerne l’attività letteraria. Di leggere
tutto: giornali e riviste, manifesti e volantini,
documenti, rapporti di ricerca e relazioni di
progetti, verbali e delibere contemporanei e
del passato e, naturalmente, libri scritti da
autori grandi e piccoli, noti e oscuri che in
quella città e in quel territorio avevano
vissuto e che quella città o territorio
raccontavano. Non solo libri di urbanistica,
ma romanzi, poesie, cronache; insomma tutto
ciò che veniva scritto e letto in quei luoghi».
Dopo aver rifelettuto anche sull’importaza
delle «carte» per il mestriere di urbanista,
Secchi indica quattro libri che possono essere
miliari per imparare questa professione: e I
suoi consigli possono spiazzare perchè non
sono attinti, come si potrebbe pensare, ai
classici volume della disciplina, ma ai classici
della letteratura da cui si può imparare le
qualità che servono all’urbanista: «uscire dalla
biblioteca ed esplorare il mondo», «ricercare
la verità e l’interpretazione giusta e
pertinente del mondo», «sapere da che punto
di vista si sta guardando il mondo: se da nani
o da giganti» ed, infine, «sapere che la
cartografia ci porta alla relatà ma non dice la
verità».
Dalle praterie urbane di Youngstown, dove
l'amministrazione comunale si è ormai ridotta
a pianificare con zelo l'autodistruzione della
città, all'industria del riciclo e della
decostruzione di Buffalo, in cui attivisti
visionari smontano con dovizia e con amore ciò
che resta della città; dai deserti alimentari di
Detroit e Philadelphia, dove sono scomparsi
negozi e supermercati e gli abitanti si
organizzano con geniali intraprese agricole,
agli esperimenti di Cleveland dove fra le
macerie della città sta prendendo forma un
nuovo paesaggio de-urbanizzato: Alessandro
Coppola racconta territori e popolazioni di
un'America che non conosciamo, storie di
persone che inventano nuovi modi di vita,
perché da quelle parti sono in molti «a credere
che il trovarsi ai margini dei grandi flussi
dell'economia globale non sia più il problema
da risolvere, ma la grande occasione da non
sprecare».
Tuttavia, spiega l’autore, nei crateri dello
sviluppo torna a fiorire l’utopia: visioni del
futuro spesso ingenue e irrealistiche, ma che in
territori espulsi dalla corrente principale della
storia vengono a rappresentare forze potenti di
trasformazione delle società locali e di
identificazione da parte delle popolazioni
residue che le compongono. Se molto del
pensiero utopico del diciannovesimo e del
ventesimo secolo voleva edificare nuove città
abbandonando le vecchie, nelle città della così
detta Rust Belt negli Stati Uniti - Detroit,
Cleveland, Flint e Youngstown, fra le altre - si
sperimenta l’utopia proprio le rovine di queste
ultime. Lì si sviluppano idee non certamente
nuove ma che tornano ad essere credibili in
città che, per riprendere le parole di uno dei
testimoni presenti nel libro, «sono morte
abbastanza per poter rinascere».
I quartieri di edilizia sociale non godono di
buona stampa. A Milano, come altrove, la
loro storia sembra coincidere con
l'evoluzione della cattiva fama che oggi
hanno. Ricerche, progetti e politiche di
riqualificazione hanno inoltre considerato
spesso la città pubblica come ambito
separato, enfatizzando i confini che la
definiscono. Questa immagine stereotipata
spesso impedisce di riconoscerne le qualità e
le potenzialità. È quanto mai necessaria una
rieducazione dello sguardo nei confronti di
queste realtà, per riuscire a intervenire oltre
il loro recinto ed entro più vasti settori
urbani. Il volume esplora i differenti
"territori" entro i quali è possibile collocare
la città pubblica oggi a Milano, per
conoscerla e per riqualificarla, ma anche per
abitarla.
«Guardare al progetto dell'housing sociale e
alla riqualificazione della città pubblica (...)
comporta forse un approccio differente da
quello impiegato nel passato e governato
dalla convinzione che la “perifericità” della
città pubblica consista, innanzitutto, in una
serie di “mancanze” tali da essere colmate
(entro un'interpetazione Milano-centrica)
solo aumentando le possibilità di
collegamento con il centro che l'ha gemmata,
stabilendo, o ristabilendo, quei legami che
sembrano essere insufficienti.
Come è possibile trasformare un problema,
comunemente riconosciuto, diffuso e
radicato nell'immaginario collettivo, in una
risorsa di cui tutta la città può aspirare e
servirsi?
Una prima mossa comporta un ritorno al
territorio. Per abbandonare le “idee ricevute”
sulla città pubblica, forse occorre,
innanzitutto, ritrovare la fertilità della
“costatazione diretta»”.
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Sentieri Urbani #08