UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI SIENA
DIPARTIMENTO DI SCENZE DELLA TERRA
DOTTORATO DI RICERCA - IX CICLO
TESI DI DOTTORATO
DI
MAURO ALBERTI
RUOLO CINEMATICO E DINAMICO
DI
LINEAMENTI SINSEDIMENTARI MESOZOICI
DURANTE LA TETTOGENESI
APPENNINICA -
LINEA DELLA VALNERINA, UMBRIA
Siena, 1998
Versione PDF, con minori correzioni testo e figure: Giugno 2004
Ringraziamenti
Desidero ringraziare tutti coloro che hanno reso possibile che questa tesi venisse portata a ter mine.
Innanzitutto desidero ringraziare il mio tutore, prof. Francesco Antonio Decandia, che ha propos to il soggetto della tesi ed ha seguito gli sviluppi sino alla conclusione, anche non condividendo
alcune idee che vi sono esposte.
Sono profondamente riconoscente al collega ed amico Enrico Tavarnelli, per avermi introdotto
all’analisi mesostrutturale sul terreno, per le idee fornitemi e per le utili discussioni avute
durante il periodo di dottorato.
Proficui sono stati un periodo quadrimestrale all’Istituto di Geologia di Basilea, diretto da
Stefan Schmid, e l’attenzione concessami da Niko Froitzeim e Claudio Rosenberg: a tutti loro un
caldo ringraziamento.
Varie persone del Dipartimento di Scienze della Terra di Siena hanno contribuito a migliorare la
tesi: Nadia Rastelli, Marcello Viti, Giovanna Giorgetti, Cecilia Viti, Claudia Magrini, Alessandro
Berto, Nicola Corti, la prof. Anna Gandin, Marco Elter, Leonardo Disperati, Piero Fantozzi,
Antonella Mancini.
L’uso dei programmi STEREOPLOT di Neil Mancktelow, FAULTKIN di Rick Allmendinger, FMSI
di John Gephart e di un programma in FORTRAN per la determinazione degli assi P-T, di
Marcello Viti, è stato essenziale per l’analisi dei dati: agli autori dei programmi vanno i miei sin ceri ringraziamenti.
Ed infine, va ai miei genitori e a mia moglie un grazie per il sostegno morale e materiale che mi
hanno dati in questi anni, indispensabile per portare a termine questo lavoro.
INDICE
1.
INTRODUZIONE
1.1
Scopo del lavoro............................................................................
1.2
Discussione dei lavori precedenti..................................................
1
1
2.
EVOLUZIONE GEOLOGICO-STRATIGRAFICA MESO-CENOZOICA
2.1
Successione triassica..................................................................... 4
2.2
Successione giurassica.................................................................. 4
2.3
Successione cretacica.................................................................... 10
2.4
Successione cenozoica.................................................................. 13
3.
TETTONICA
3.1
Introduzione.................................................................................. 16
3.2
Principali ipotesi sul significato e sul ruolo dei
lineamenti obliqui.......................................................................... 17
3.3
Le strutture deformative................................................................ 20
3.3.1 Le mesostrutture................................................................ 20
Le pieghe............................................................... 20
Le superfici stilolitiche.......................................... 25
Le vene.................................................................. 29
Le mesofaglie........................................................ 31
Rocce di faglia...................................................... 35
3.3.2 Le macrostrutture............................................................. 38
Gli elementi tettonici............................................ 38
Le faglie............................................................... 49
Le faglie inverse-destre............................ 49
Le faglie normali...................................... 60
4.
DISCUSSIONE DEI DATI
4.1
Analisi della distribuzione dei dati mesostrutturali
(fabric shape analysis)................................................................. 61
4.2
Relazioni tra orientazione delle faglie ed orientazione dei
movimenti.................................................................................... 67
4.3
Significato deformativo delle faglie............................................ 72
4.4
Significato dinamico delle faglie................................................ 75
5.
CONSIDERAZIONI SUL POSSIBILE RUOLO MECCANICO E GEOLOGICO
DEI LINEAMENTI OBLIQUI
5.1
Ruolo meccanico dei lineamenti obliqui..................................... 78
5.1.1 Modello cinematico......................................................... 79
5.1.2 Modello dinamico............................................................ 82
5.2
Modello di evoluzione geologica del settore esaminato............. 86
6.
RIASSUNTO E CONCLUSIONI.................................................................... 87
APPENDICI
Appendice A............................................................................................ 89
I
Appendice B............................................................................................. 91
Appendice C............................................................................................. 94
Appendice D............................................................................................. 95
OPERE CITATE............................................................................................................. 97
II
Convenzioni adottate
Proiezioni stereografiche: equiareali, emisfero inferiore. I versi delle faglie indicano i movimenti
del tetto delle faglie.
III
1. INTRODUZIONE
1.1 Scopo del lavoro
Lo studio classico delle fold-and-thrust belts, basato sull’analisi macrostrutturale e sismica, è fondamentale per una interpretazione della struttura regionale (p.e. BALLY et al., 1966;
BALLY et al., 1986) ma soffre di notevoli limitazioni nella definizione di importanti caratteristiche della storia deformativa, quali la possibile presenza di componenti di movimento di strikeslip associate alla convergenza, ed il variare dei campi deformativi e dello stress associati alle
faglie.
L’analisi cinematica, basata sulla interpretazione dei dati delle mesofaglie e sulle relazioni
di intersezione fra queste, fornisce importanti informazioni sulla storia deformativa (p.e. MARRETT & ALLMENDINGER, 1990). L’analisi dinamica (ANGELIER, 1984; GEPHART, 1990a,
b) permette di ipotizzare il possibile campo di stress collegato all’attività delle faglie. Queste tecniche di analisi sono state applicate sia in settori convergenti sia in settori divergenti ed hanno evidenziato il carattere transpressivo o transtensivo della deformazione di volumi crostali (p.e.
BRAATHEN & BERGH, 1995; FODOR, 1995; TEYSSIER et al., 1995).
Tali tecniche sono state applicate anche in questo studio, in un settore dell’Appennino
umbro, nella zona della Valnerina, caratterizzata da faglie ad andamento obliquo rispetto al trend
generale dell’Appennino settentrionale. Lo scopo di questo studio è di caratterizzare la cinematica
e la dinamica di queste faglie, ricostruendo le orientazioni e le possibili variazioni del campo
deformativo e del campo di stress ad esse collegate, per riconoscere il ruolo di lineamenti obliqui
all’interno di una zona convergente.
1.2
Discussione dei lavori precedenti
L’Appennino umbro-marchigiano è stato oggetto di importanti studi geologici a partire
dalla fine dell’Ottocento e inizio del Novecento, sia con VERRI (1885, 1903) sia con LOTTI
(1905, 1906, 1907, 1926). LOTTI (1926) distinse la “facies umbro-marchigiana”, bacinale, dalla
“facies abruzzese”, carbonatica. BEHRMANN (1936) suggerì la presenza di alloctonie
nell’Appennino centrale. La natura tettonica del limite tra “facies umbro-marchigiana” e “facies
abruzzese” venne riconosciuta da SEGRE (1948), SCARSELLA (1951, 1953) e da BEHRMANN
(1958). Tale linea venne denominata “Linea Ancona-Anzio” da MIGLIORINI (1950). MARTINIS
& PIERI (1964) sulla base di dati di sondaggio dell’AGIP Mineraria, istituirono la Formazione
delle Anidriti di Burano, che venne considerata come livello di scollamento tra basamento poco
deformato e copertura, traslata verso Est, da BALDACCI et al. (1967). DALLAN NARDI et al.
(1971) interpretarono la Linea Ancona-Anzio come una “superficie di accavallamento dell’arco
dell’Appennino settentrionale su quello centro-meridionale”.
DECANDIA & GIANNINI (1977b) sulla base dei rapporti tra pieghe, sovrascorrimenti e
faglie trascorrenti ritennero che tutte queste strutture appartengano ad una singola fase tettonica.
CASTELLARIN et al. (1978, 1982) analizzano dal punto di vista sedimentologico i sedimenti di
età compresa fra il Lias ed il Miocene affioranti a Ovest della linea Ancona-Anzio Auct. e
ricostruiscono la seguente storia per la faglia: dal Lias medio al Miocene tale linea corrispondeva
ad una faglia normale che separava il bacino umbro-sabino dalla piattaforma carbonatica lazialeabruzzese; dal Tortoniano al Messiniano essa avrebbe agito come una faglia di trasferimento
destra tra due blocchi differentemente raccorciati, rispettivamente il bacino umbro e la piattaforma
1
carbonatica laziale-abruzzese, con direzione di raccorciamento SW-NE; nel Pliocene inf. le
direzioni dei movimenti sarebbero state da Ovest verso Est e la linea Ancona-Anzio avrebbe consentito l’accavallamento delle unità umbro-sabine su quelle carbonatiche laziali-abruzzesi.
All’inizio degli anni 80 viene studiata la porzione esterna abruzzese-marchigiana e
molisana, di età plio-pleistocenica, con il riconoscimento della migrazione verso Est dei bacini di
sedimentazione (CRESCENTI et al., 1980; CASNEDI et al., 1981).
LAVECCHIA & PIALLI (1980) ritengono che la copertura, seppure parzialmente scollata
dal substrato pre-triassico sup., si sia deformata congruentemente ad un campo deformativo profondo, caratterizzato da master faults trascorrenti, destre su direzione N10°E e sinistre a direzione
N100°E.
COLI (1981) considera la “Linea Ancona-Anzio” una faglia “trascorrente-sovrascorrente
destra della copertura”. SALVINI & VITTORI (1982) e SALVINI & TOZZI (1986) ipotizzano
per l’Appennino centrale una storia deformativa mio-pliocenica polifasica, con variazioni nelle
direzioni di movimento da SW-NE a W-E ed alternanze di eventi compressivi e distensivi.
Viene riconosciuta l’importanza del controllo tettonico sulla sedimentazione cretacicopaleocenica del bacino umbro da BALDANZA et al. (1982) e DECANDIA (1982). Quest’ultimo
descrive per la zona di Spoleto una tettonica sinsedimentaria attiva sia durante il Giurassico sia
durante il Cretaceo sup.-Paleogene; tale tettonica sarebbe l’espressione superficiale di una linea
tettonica profonda, del basamento, che avrebbe rigiocato durante la fase tettonica pliocenica inf. a
costituire la “Linea della Valnerina”. Il Fronte dei Sibillini costituisce l’argomento del lavoro di
KOOPMAN (1983), per il quale viene riconosciuta una direzione di movimento del tetto verso
NE; l’A. applica il modello del fault-bend-folding alla genesi delle macroanticlinali. LAVECCHIA et al. (1984) spiegano la distensione plio-pleistocenica con faglie dirette a geometria di tipo
ramp e flat, immergenti verso Ovest ed associate all’apertura per rifting del Tirreno.
In uno studio fondamentale per la zona in esame, LAVECCHIA (1985) propone un modello di storia deformativa per l’area umbro-marchigiana caratterizzata da una fase transtensiva
giurassica collegata al rifting e al drifting nel margine continentale dell’Oceano Ligure, seguita da
un periodo di stasi interrotto al Maastrichtiano dalla ripresa di movimenti tettonici legati ad una
fase transpressiva collegata alle deformazioni alpine. Le successive deformazioni mio-plioceniche,
a carattere transpressivo e quelle plioceniche sup.-pleistoceniche, transtensive, sarebbero state collegate all’apertura, a partire dal Serravalliano-Tortoniano, del Tirreno e alla associata rotazione
antioraria della penisola italiana, con compressione al fronte e distensione all’interno. La successione della deformazione nella copertura meso-cenozoica sarebbe stata condizionata da “master
faults trascorrenti profonde” a direzione circa N-S e W-E, e sarebbe consistita in un iniziale buck le folding, seguito dalla enucleazione di faglie inverse cieche ad alto angolo nel Calcare
Massiccio, ed infine dalla propagazione in copertura di faglie inverse-oblique, che avrebbero ruotato le pieghe precedentemente formate. Con l’inizio nella zona umbro-marchigiana della fase distensiva, le master faults profonde potrebbero essere state riutilizzate con sensi di movimento
invertiti.
BALLY et al. (1986) applicano la metodologia delle sezioni sismiche all’Appennino centro-settentrionale. I loro assunti di partenza sono: a) la presenza di una monoclinale regionale del
tetto del basamento, identificato con il tetto del “basamento magnetico” di ARISI ROTA &
FICHERA (1985), immergente debolmente verso l’hinterland e a profondità di 15 km nell’area di
Perugia; b) il non coinvolgimento del basamento pre-triassico sup. nella struttura a falde ad Est di
Perugia, assunto basato su dati aeromagnetici (Carta Magnetica d’Italia, AGIP, 1981). Gli AA.
concludono che la copertura meso-cenozoica ha subito forti raccorciamenti, che aumentano in valore spostandosi da Nord verso Sud: p.e. i rigetti della Linea Olevano-Antrodoco (Ancona-Anzio
Auct.) e del Fronte dei Sibillini andrebbero da 35-50 km a Nord della latitudine di Ancona, sino a
170 km alla latitudine di L’Aquila. COOPER & BURBI (1986) ritengono che la linea “OlevanoAntrodoco-Posta-M.te Vettore” non abbia esperimentato alcun movimento di strike-slip e consid2
erano tale linea come una rampa laterale che avrebbe portato l’unità “Umbria-Marche-Sabina”
sull’unità “Lazio-Abruzzi”.
BARCHI et al. (1988) dopo avere analizzato in dettaglio una traversa dell’Appennino centrale, riconfermano il modello di LAVECCHIA (1985) per quanto riguarda i rapporti tra pieghe e
sovrascorrimenti; inoltre ipotizzano che il basamento cristallino sia effettivamente coinvolto nella
struttura a falde. CALAMITA (1990) analizza alcuni esempi di relazioni strutturali tra il Calcare
Massiccio e le sovrastanti formazioni pelagiche ed interpreta tali rapporti come legati a blindthrust del Massiccio, seguito da un secondo evento di thrusting che interessa l’intera sequenza.
LAVECCHIA et al. (1994) analizzano da più punti di vista le strutture regionali dell’Italia
centro-orientale. Gli AA. sottolineano i seguenti punti: a) l’asse σ1 del tensore dello stress derivato
dalle faglie contrazionali mio-plioceniche è parallelo all’asse σ3 derivato dalle faglie estensionali
plio-pleistoceniche; b) esiste un parallelismo tra orientazione delle strutture profonde (isobate
della superficie della Moho, da NICOLICH, 1987, con profondità variabili tra 20 e 35-45 km) ed
orientazione delle strutture tettoniche superficiali. Questo parallelismo implicherebbe che queste
ultime sono state influenzate dalle prime, e che quindi “basamento” e “copertura” non sono completamente scollati. Sulla base della distribuzione dei terremoti recenti e della distribuzione delle
strutture geologiche profonde, gli AA. propongono una suddivisione dell’Appennino centro-orientale in tre zone sismotettoniche: la più occidentale è caratterizzata dalla natura distensiva della
deformazione attuale, che si realizzerebbe nell’hangingwall di una superficie di sovrascorrimento
di importanza regionale, riattivata con movimenti normali; una zona intermedia, caratterizzata da
attività sismica sia compressiva sia distensiva; una zona orientale, caratterizzata da attività sismica
compressiva attuale.
TAVARNELLI (1997) evidenzia la congruenza delle orientazioni spaziali delle strutture
dalla scala mesoscopica a quella cartografica, e ritiene che la formazione dell’Appennino umbromarchigiano derivi da una deformazione continua e progressiva che, da un iniziale layer parallel
shortening, passa al piegamento e quindi al thrusting: in particolare il piegamento sarebbe collegato a processi di tip-line folding e quindi esisterebbe uno stretto legame cinematico fra le due
strutture.
3
2.
EVOLUZIONE GEOLOGICO-STRATIGRAFICA MESOCENOZOICA
In questo capitolo si vuole delineare l’evoluzione stratigrafica dal Trias al Miocene inf. del
settore esaminato e descriverne in dettaglio la successione stratigrafica, dal Calcare Massiccio (Lias
inf.) sino alla Formazione del Bisciaro (Miocene inf.), nonché i sovrastanti depositi continentali
quaternari.
2.1 Successione triassica
La successione triassica affiora in modo molto frammentario e limitato nella zona umbra. Essa
invece è ben conosciuta sia nelle Alpi meridionali, dove presenta indizi di tettonica sinsedimentaria, sia nella zona toscana. Nelle Alpi meridionali orientali, ad Est della Linea delle Giudicarie, la
successione stratigrafica triassica consiste di rocce da carbonatiche a terrigene a vulcanoclastiche,
deposte in ambienti da continentali a marini, sia di piattaforma carbonatica sia bacinale (DE
ZANCHE, 1990). Il controllo tettonico sulla sedimentazione era forte ed associato, dall’Anisico al
Carnico inf., ad effusioni di vulcaniti da riolitiche a basaltiche, con affinità calcalcalina (DE
ZANCHE, 1990). L’interpretazione geodinamica varia da processi di rifting attivi nel Trias medio
e cessati nel Trias sup. (BOSELLINI, 1973) a processi di subduzione ensialica (CASTELLARIN
et al., 1980, 1988; BOSELLINI et al., 1982) sino a fasi tettoniche trascorrenti (DOGLIONI, 1984;
BLENDINGER, 1985). In particolare DOGLIONI (1984) ipotizza movimenti durante il Trias
medio transpressivi sinistri su un allineamento N070°-090°E, mentre BLENDINGER (1985)
inferisce delle faglie trascorrenti sinistre, right stepped, a direzione attuale SSW-NNE, attive nel
tardo Ladinico. Questa ipotesi, se confermata, è particolarmente interessante per l’analogia di orientazione con le linee trascorrenti mioceniche del settore umbro, e aprirebbe la porta a speculazioni su una loro eventuale attività triassica.
In Toscana la base del Trias è rappresentato dal Gruppo del Verrucano, costituito da metasedimenti di età ?Permiano-Scitico-Ladinico (COSTANTINI et al., 1988) che nei Monti Pisani sono riferiti a depositi di ambienti fluviali, evolventi in ambienti di piana tidale ed infine deltaici (CASSINIS et al., 1980 e bibliografia all’interno).
Il Gruppo del Verrucano è noto in Umbria solo nella sua parte sommitale raggiunta in sondaggio
(pozzo Perugia 2) e descritta come filladi e scisti quarzoso-micacei da GHELARDONI, 1962.
Anche la sovrastante formazione delle Anidriti di Burano, del Trias sup., è nota più in sondaggio
(vedi MARTINIS & PIERI, 1964) che non in affioramento, almeno per la zona umbra. Essa affiora invece estesamente nella più interna zona Toscana (PASSERI, 1975) (fig. 2.1).
Litologicamente è costituita da alternanze, in proporzioni variabili a seconda delle zone, di calcari,
dolomie ed anidriti e gessi, con uno spessore superiore a 1000 m (MARTINIS & PIERI, 1964).
Tale successione è stata interpretata da PASSERI (1975) come il prodotto della sedimentazione
con clima caldo-arido, in ambienti lagunari e di sabkhas. La successiva sedimentazione, prevalentemente carbonatica (Calcari a Rhaetavicula contorta e Grezzoni, questi ultimi parzialmente
eteropici con le Anidriti di Burano), sarebbe stata condizionata principalmente dall’umidificazione
del clima (PASSERI, 1976).
2.2 Successione giurassica
La storia giurassica della zona mediterranea è caratterizzata da un ciclo di rifting che inizia nel
Lias. Tale evoluzione è stata ricostruita in vari studi, principalmente negli anni ‘70, sulla base
4
Fig. 2.1 - schema paleogeografico dell’Italia al Trias sup. (da ZAPPATERRA, 1990, fig. 4)
5
della teoria della “tettonica a placche” e del riconoscimento della distribuzione delle anomalie
magnetiche nell’Atlantico. La maggior parte dei modelli (p.e. SMITH, 1971; DEWEY et al.,
1973; BIJU-DUVAL et al., 1976) considerano le placche rigide ed indeformabili e, per spiegare la
complessa struttura della zona mediterranea, introducono varie microplacche (p.e. quella Apula)
interposte fra le due placche principali, l’Eurasiatica e la placca Africana. Un modello alternativo
è quello di TAPPONNIER (1977), per il quale i limiti delle placche durante la convergenza si
deformano in maniera fragile-plastica, il che permette una spiegazione molto elegante della formazione delle “virgazioni” delle catene alpine. Come puntualizzato da TAPPONNIER (1977, p.
440), poiché l’Atlantico ha una orientazione grosso modo N-S e la zona alpino-mediterranea W-E,
l’apertura dell’Atlantico centrale comporta principalmente una componente di movimento sinistra
dell’Africa rispetto all’Europa.
I modelli considerano l’apertura al Lias (circa 180 M.a., secondo DEWEY et al., 1973)
dell’oceano Atlantico centrale, fra l’Africa ed il Nord-America come agente principale dell’evoluzione geologica giurassica. Il nuovo limite divergente si sarebbe incuneato nel settore
mediterraneo separando l’Apulia dal blocco Eurasiatico (ancora solidale con il Nord-America),
ed originando così l’oceano Ligure-Piemontese (fig. 2.2).
L’apertura di questo oceano si sarebbe accompagnata, sul nuovo margine passivo individuatosi al
bordo occidentale dell’Apulia, ad un processo di rifting che portò ad un importante cambiamento
paleogeografico. Mentre nel Lias inf. l’area appenninica era caratterizzata da un ambiente uniforme di acqua bassa con sedimentazione carbonatica, che produsse il Calcare Massiccio, alla fine
del Lias inf. nell’intera area si individuarono differenti paleoambienti sedimentari (fig. 2.3)
(CASTELLARIN et al., 1978, 1982; WINTERER & BOSELLINI, 1981), alcuni dei quali mantennero le caratteristiche di aree ad acqua bassa con sedimentazione carbonatica (p.e. la
Piattaforma Friulana nel Sudalpino e le Piattaforme Panormide e Apula nell’Appennino centromeridionale), mentre altre subirono una rapida subsidenza, la quale portò all’instaurarsi di un
ambiente bacinale (p.e. Bacini Lombardo e Bellunese nel Sudalpino, WINTERER & BOSELLINI, 1981; Bacino Umbro-Sabino-Marchigiano nell’Appennino centrale, CASTELLARIN et al.,
1978, 1982; Bacini Molisano, Lagonegrese e Apulo interno nell’Appennino meridionale,
OGNIBEN, 1969; SCANDONE, 1972; MOSTARDINI & MERLINI, 1986).
I limiti principali fra i differenti settori paleogeografici sono stati interpretati come contatti tettonici normali, con direzione media N-S (fig. 2.4) (p.e. margine tra Piattaforma Laziale-Abruzzese e
Bacino Umbro, CASTELLARIN et al., 1978; margini tra Piattaforma Friulana, Solco di Belluno,
Piattaforma di Trento e Bacino Lombardo, WINTERER & BOSELLINI, 1981) e subordinatamente circa W-E, forse corrispondenti a transfer faults (bordo settentrionale della Piattaforma
Laziale-Abruzzese, al limite col bacino Marchigiano, CASTELLARIN et al., 1978; bordo settentrionale della Piattaforma Friulana nel Pliensbachiano, fig. 7 di WINTERER & BOSELLINI,
1981).
Nel bacino Umbro-Sabino-Marchigiano è ben visibile una differenza tra “successioni a
serie completa”, in cui l’annegamento della piattaforma avvenne nel Lotharingiano, con spessori
della serie pelagica notevoli e senza grosse lacune stratigrafiche, e “successioni a serie condensata”, in cui ancora nel Pliensbachiano perdurava la sedimentazione del Calcare Massiccio ed in cui
la sovrastante serie ha spessori ridotti e con frequenti lacune stratigrafiche (CENTAMORE et al.,
1971).
Nelle successioni complete la sedimentazione è prevalentemente carbonatico-clastica, con membri
di composizione silicea ed altri marnosa (queste ultime mancanti nelle successioni condensate);
solo con la sedimentazione della Maiolica, nel Titonico sup., si può ipotizzare un ambiente con
caratteristiche più uniformi (CENTAMORE et al., 1971).
Nella zona rilevata le formazioni giurassiche affioranti sono le seguenti (figg. 2.5, 3.38 e 3.40a):
6
Fig. 2.2 - ricostruzione geodinamica dei domini europeo, nord-americano ed africano nel Giurassico inf. (a) e sup.
(b). Da TAPPONNIER, 1977, fig. 5a, b.
Rosso Ammonitico (Toarciano)
Il Rosso Ammonitico è costituito da argilliti rosse o verdi, con intercalati mudstone/wacke stone grigie (in superficie fresca) con struttura nodulare data da stiloliti ondulate di colore rosso
mattone.
La base della Formazione non è affiorante mentre il tetto è dato dalla Formazione dei
Calcari Diasprini. Lo spessore affiorante, a Sud di Monte Galenne, è di poche decine di metri.
Calcari Diasprini e Calcari a Posidonia (Aaleniano-Malm)
Queste due formazioni, cartografate assieme, sono costituite da alternanze di calcareniti
fini (con microfacies di wackestones / packstones), talora con laminazione pian-parallela a lamine
di 1-3 mm, di colore nocciola, con abbondanti liste e noduli di selce (anche con rapporto 1:1 tra
calcare e selce), di colore bianco-nocciola o marrone. Sono presenti anche calcilutiti (con microfacies di mudstones) bianche e calcisiltiti verdi. A Monte Galenne affiorano calciruditi con noduli
7
irregolari di selce bianca. Le loro caratteristiche
morfometriche, stimate con le tabelle di comparazione in fig. 2.6, sono le seguenti: la calcirudite è poco selezionata, con un arrotondamento
dei clasti di 0.3-0.4 ed una sfericità di 0.7-0.8; il
diametro apparente del granulo massimo è di 2-3
cm.
La base è data dalla Formazione del
Rosso Ammonitico, il tetto dalla Formazione
della Maiolica. Lo spessore è di circa 200 m.
Queste formazioni affiorano estesamente a Sud di
Monte Galenne, nella zona di Campello sul
Clitunno ed infine nella zona di Terne (settore di
M. Cammoro).
Formazione della Maiolica (Titonico-Cretaceo
inf.)
E’ costituita da calcilutiti (mudstones)
bianco-beige in strati pian-paralleli con spessori
in genere tra 20 e 50 cm, talora superiori (anche
attorno al m) e talora inferiori (anche di soli 1020 cm). Sono presenti anche intercalazioni di
argilliti di colore grigio, con spessore di 10-20
Fig. 2.3 - ricostruzioni paleogeografiche
all’Hettangiano (Lias inf.) ( in basso) e al
Pliensbachiano (Lias medio). Da BICE &
STEWART (1990), fig. 1.
Fig. 2.4 - ricostruzione delle relazioni tra bacino umbro-sabino e piattaforma carbonatica appenninica, durante il
Mesozoico. Da CASTELLARIN et al. (1978), fig. 4.
8
Miocene
inf.
B ISCIARO
SCAGLIA CINEREA
Oligoc.
SCAGLIA VARIEGATA
Eocene
S CAGLIA R OSSA
Paleoc.
Cretacico
SCAGLIA BIANCA
sup.
M ARNE A FUCOIDI
Cretacico
inf.
MAIOLICA
Malm
Dogger
CALCARI DIASPRINI
C ALCARI A P OSIDONIA
Lias
sup.
R OSSO A MMONITICO
CORNIOLA
Lias
medio
500 m
CALCARE M ASSICCIO
Lias
inf.
Trias
ANIDRITI DI BURANO
sup.
Fig. 2.5 - successione stratigrafica nella zona esaminata (Valnerina e zone limitofe)
9
cm, oltre ad esili liste di selce color nocciola chiaro. I livelli calcilutitici presentano talora mal distinte laminazioni curve incrociate, a piccola scala (spessore del set inferiore a 5 cm). A
Mucciafora, nei pressi del Monte delle Cerrete la direzione della paleo-corrente è circa verso NE.
Sono osservabili anche delle laminazioni parallele.
La base della Formazione è data dai Calcari Diasprini, il tetto dalle Marne a Fucoidi, con un passaggio relativamente rapido. Lo spessore è di circa 500 m. Questa formazione affiora estesamente nella fascia da Tassinare a Piano della Rota, da Monte Galenne a Monte Grande - Monte
Maggiore, nella zona di Vallo di Nera, nella fascia da Colle del Prete a Monte Cammoro.
2.3 Successione cretacica
Nel Cretaceo inf. i movimenti relativi tra Apulia-Africa ed Europa passano da laterali sinistri a movimenti di convergenza (fig. 2.7) (DEWEY et al., 1973; TAPPONNIER, 1977). Nel
Giurassico sup. il promontorio italiano era già entrato in collisione con il blocco iugoslavo, e nel
Cretaceo inf. il primo trascina quest’ultimo verso Nord, causando l’inizio della consunzione dell’oceano Piemontese-Carpatico (porzione settentrionale di quello Ligure-Piemontese), sino ad
arrivare nel Cretaceo sup. alla collisione col margine Europeo ed allo stabilirsi di fenomeni di
espulsione laterale verso Ovest (écrasement) della parte NW del promontorio italiano, sovrascorrente sul margine Europeo (TAPPONNIER, 1977). La porzione centrale del promontorio italiano
invece avrebbe esperimentato, a partire dal Cretacico inf. e sino almeno all’Eocene, una distensione in direzione (cretacica) N-S (ed attualmente NW-SE per la rotazione antioraria subita
dall’Italia) (WINTER & TAPPONNIER, 1991). Nell’area Umbro-Marchigiana questa distensione
è presumibilmente testimoniata da movimenti tettonici sinsedimentari durante il Cretaceo sup. (e
proseguenti nel Paleocene), collegati alla rimobilizzazione dei lineamenti tettonici giurassici e
a
b
Fig. 2.6 - a) tabella di compara zione per l’arrotondamento di
clasti (da BOSELLINI et al.,
1989, fig. 2.12); b) tabella di
comparazione per la sfericità di
granuli ( da RICCI-LUCCHI,
1980, vol. 1, fig. 2.39)
10
ritenuti distensivi (DECANDIA, 1982; BALDANZA et al., 1982) o transpressivi
(LAVECCHIA, 1985). La composizione dei
sedimenti della successione cretacica nel
bacino Umbro-Marchigiano, dopo l’episodio
delle Marne a Fucoidi, è calcareo-argillosa
(Formazioni della Scaglia Bianca e della
Scaglia Rossa), con una alimentazione detritica proveniente dalla piattaforma carbonatica
(fig. 2.8), innescata dai fenomeni tettonici
sinsedimentari (COLACICCHI et al., 1985).
Secondo DECANDIA (1982) nella zona di
Spoleto il percorso verso Ovest seguito dai
canali di alimentazione detritica era bloccato
da un alto strutturale creato da una faglia norFig. 2.7 - ricostruzione geodinamica al Cretacico. Da
male rialzante ad occidente, attiva nella zona
WINTER & TAPPONNIER, 1991.
della attuale Linea della Valnerina: essa
avrebbe determinato la differenziazione della successione della Scaglia cretacico-paleogenica in
due facies, riconosciute da RENZ (1951), rispettivamente con intercalazioni calcarenitiche (ad oriente) e senza queste ultime (ad occidente).
Nella zona rilevata le formazioni cretaciche affioranti sono le seguenti (figg. 2.5, 3.38 e 3.40a):
Marne a Fucoidi (Albiano sup.-Cenomaniano inf.)
Le Marne a Fucoidi sono costituite da argilliti marnose alternate a marne calcaree e ad
argilliti nere fissili. Le prime hanno colori dal rosso al verde al grigio, presentano fissilità con
spessore inferiore a 3 mm e sono frequentemente bioturbate, con Fucoides. Le seconde hanno colore grigio-verdino e talora presentano liste di selce beige; contengono Planomalina cf. buxtorphi.
La stratificazione è sottile, talora con spessore medio nei livelli calcarei.
La base della Formazione è data dalla Maiolica, il tetto dalla Scaglia Bianca, con un passaggio molto graduale che avviene tramite l’aumento di spessore dei livelli calcareo-marnosi e la
netta diminuzione di quelli argillitico-marnosi. Lo spessore affiorante va da 15 m sino a 75 m.
Essa affiora in fasce strette ed allungate, in tutta la zona rilevata.
Scaglia Bianca (Cenomaniano-Turoniano inf.)
E’ costituita da calcari marnosi bianchi (con microfacies di mudstones) a Globotruncane,
con strati spessi sui 5-15 cm, con livelli di selce. Gli strati calcarei sono separati da sottili partimenti argillosi. In sezione sottile si osservano Planomalina cf. buxtorphi e Rotalipora cf. cush mani.
La base è data dalle Marne a Fucoidi, il tetto dalla Scaglia Bianca; lo spessore varia da 20
m (zona a successione ridotta ad Ovest della faglia di Grotti) sino a 200 m (zona a successione
spessa ad Est della faglia di Grotti). Gli affioramenti di questa formazione sono distribuiti lungo
fasce allungate.
11
Scaglia Rossa (Turoniano-Eocene med.)
E’ costituita da micriti marnose (con microfacies di mudstones e wackestones) rosa o
rosse. Nei calcari marnosi si osservano spesso noduli e liste di selce, di colore vario, talora zonate
concentricamente (rosso internamente, bianco esternamente). A queste, nella zona ad Est della
faglia di Grotti, si intercalano livelli di calcari bianchi (packstones-wackestones), talora dolomitici (p.e. lungo la s.s. tra Montefiorello e Meggiano, a Geppa e a M.te Galloro), con spessori di 5070 cm ma sino a 2 m. I livelli calcarei bianchi presentano laminazione pian-parallela oltre a
Fig. 2.8 - distribuzione dei risedimenti calcarenitici nel bacino umbro-marchigiano-sabino durante il Cretaceo sup.Paleocene. Da CAPUANO et al., 1988, fig. 1.
12
gradazione normale. La base di questi livelli è data spesso da packstones di spessore medio, talora
da brecciole calcaree (a Montefiorello), in alcuni casi è presente laminazione incrociata a piccola
scala, a cui fa seguito dalla metà sino al tetto del livello una laminazione pian-parallela. A
Meggiano, lungo la strada che porta a Monte di Meggiano, si osserva, in prossimità del limite con
la sovrastante Scaglia Variegata, una notevole frequenza di livelli calcarei bianchi, talora con base
concava (verso l’alto), di natura erosiva, e con un tetto piano. Essa rappresenta verosimilmente il
riempimento di un paleocanale. Sono presenti, tra Monte di Meggiano e Monte Grande, dei calcari rosati microconglomeratici, matrix-supported, con i seguenti caratteri morfometrici (vedi fig.
2.6): la roccia è poco selezionata, l’arrotondamento dei clasti è circa 0.4-0.5, la sfericità è circa
0.7-0.8, il diametro del clasto massimo è sui 1-3 mm, senza nessuna orientazione preferenziale dei
clasti. Entro la Scaglia Rossa si osservano anche degli slumpings costituiti da pieghe isoclinali.
La base della Scaglia Rossa è data dalla Scaglia Bianca, il tetto dalla Scaglia Variegata. Lo
spessore è variabile a seconda delle zone: esso è di circa 120-150 m nella zona ad Ovest della
faglia di Grotti, e di quasi 400 m ad Est della stessa. Questa formazione affiora estesamente e con
affioramenti spettacolari lungo la Valnerina, tra Geppa e M. di Meggiano e nella zona di M.
Galloro-M. Metano.
2.4 Successione cenozoica
A partire dalla fine del Cretaceo e durante il Neogene il fenomeno principale è la convergenza
tra promontorio Apulo ed il margine Europeo, che determina dapprima il restringimento e la
chiusura dell’oceano Ligure-Piemontese e successivamente la collisione tra i due blocchi di crosta
continentale Apula ed Europea (BOCCALETTI et al., 1971). Il fronte esterno, orientale del settore
in raccorciamento è migrato da Ovest verso Est, raggiungendo la zona Umbra nel Miocene medio.
I sedimenti di età paleocenica-miocenica inf. della zona umbra si sono sedimentati in un
bacino di avampaese rispetto al settore interno, occidentale; essi presentano solo indizi di sedimentazione detritica, alimentata dalla piattaforma laziale-abruzzese, conseguente ad una tettonica
sinsedimentaria che rimobilizzava le faglie normali mesozoiche (BALDANZA et al., 1982;
DECANDIA, 1982; COLACICCHI et al., 1985).
Le formazioni appartenenti a questo intervallo affioranti nella zona studiata sono (figg.
2.5, 3.38 e 3.40a):
Scaglia Variegata (Eocene med.-sup.)
Si tratta di una successione di strati gradati calcareo-argillosi, la cui base è costituita da
calcari marnosi a grana fine-finissima (1/4-1/16 di mm) ma talora anche grossolana o molto
grossolana (1/2 - 2 mm) ed il tetto da argilliti. Il colore delle litotipie varia dal grigio-beige al
rosso mattone. Sono presenti anche liste di selce rossa. Alla base delle solette calcarenitiche fini
non si sono osservate lineazioni di corrente mentre nei livelli intermedi degli strati è presente una
laminazione pian-parallela. Nei livelli calcarenitici fini-finissimi è talora visibile una laminazione
pian-parallela (< 1 cm) sottolineata da film di colore nero, probabilmente costituite da argilliti.
Nelle wackestones sono presenti rarissimi granuli di quarzo, con diametro sui 100 micron.
Il contenuto microfaunistico di questa Formazione è molto abbondante ed è costituito principalmente da Foraminiferi. Nelle calcareniti molto grossolane si osservano ricche faune ad
Orbitoidacea e Nummulitidi (fra cui Nummulites sp.) mentre nei livelli calcarenitici fini (pack stones) sono abbondantissimi i Foraminiferi plantonici.
La base della Formazione è data dalla Scaglia Rossa, il tetto dalla Scaglia Cinerea. Il suo
spessore nella zona ad Est della faglia di Grotti è compreso tra 100 e 250 m. Essa affiora estesamente nella zona di M. Motillo e lungo la fascia che da Castel S. Felice va a Paterno e a
13
Meggiano.
Scaglia Cinerea (Eocene sup.-Oligocene)
E’ costituita da argilliti marnose con marne intercalate. A Meggiano, da Case Piedi la
Costa verso Monte di Meggiano questa formazione è data da calcareniti siltose gradate ad argilliti/siltiti, con queste ultime prevalenti. A Cerreto di Spoleto essa è costituita da una alternanza di
livelli calcarei di 5-30 cm, con talora laminazione incrociata alla base, che gradano a livelli
argillitici marnosi aventi spessore di 5-10 cm.
Questa Formazione affiora lungo la fascia da S. Anatolia di Narco a Geppa a Meggiano; il
suo spessore è sui 150-200 m. La base è data dalla Formazione della Scaglia Variegata mentre il
tetto è dato dalla Formazione del Bisciaro.
Formazione del Bisciaro (Aquitaniano-Burdigaliano)
E’ costituita da una alternanza di prevalenti argilliti marnose fissili e di marne calcaree. Le
seconde (wackestone) sono bianco-grigie in superficie fresca, con patine di alterazione rosso-nere
in fratture; si presentano in livelli medi o spessi-molto spessi talora con caratteristiche liste di
selce di colore grigio-nera o grigio-azzurrina. A Forca di Bazzano questa formazione è costituita
da marne argillose fissili che passano verso l’alto ad una successione di packstones, contenenti
Foraminiferi plantonici; queste calcareniti presentano una stratificazione netta, regolare e di spessore medio (10-20 cm) con subordinati interstrati sottili arenaceo-siltosi. Sono presenti talora
anche Orbitoidacea entro le calcareniti.
La base è data dalla Scaglia Cinerea mentre il tetto è eroso, con l’appoggio in discordanza
di sedimenti continentali quaternari.
Essa affiora lungo una fascia che va da S. Martino a Geppa a Macchia, con spessori non
inferiori a 200 m.
Depositi continentali quaternari
Nella zona rilevata sono presenti tre principali accumuli di sedimenti continentali quaternari. Essi affiorano a Favetti, a Nord di Forca di Cerro, con una alternanza di paleosuoli e di breccie calcaree; a Geppa, con brecce calcaree; nel Fosso del Traio, a Nord di Mucciafora, con brecce calcaree porose.
Detrito di Favetti
Esso è costituito da una alternanza di paleosuoli colluviati e di breccie calcaree, con una
potenza complessiva di circa 20-30 m. I paleosuoli colluviati sono costituiti da una matrice di
argilla e humus, con tracce di carbonati, in cui sono presenti ciottoletti e ciottoli di Maiolica. Il
paleosuolo più antico, di cui non si osserva la base, ha un colore marrone chiaro, quello intermedio è rosso con uno spessore di circa 3 m e quello superiore è rosso scuro, ha uno spessore di
circa 1.5 m ed è interpretabile come una terra rossa generatasi in ambiente tropicale. Questi tre
livelli di paleosuoli sono separati da banchi di brecciole calcaree, ad elementi di Maiolica, da
clast- a matrix-supported, eterometriche, con l’asse maggiore subparallelo alla stratificazione. Il
diametro apparente dei clasti maggiori è sui 10-15 cm, mentre la moda è sui 1-2 cm. La roccia è
tendenzialmente ben selezionata, con un arrotondamento di 0.3 ed una sfericità di 0.80 (vedi fig.
2.6). Non si osserva gradazione degli strati; il loro spessore è sui 2 m verso la base mentre al tetto
14
della successione aumenta a 4 m. Esse potrebbero corrispondere al risultato della criofratturazione
in ambiente periglaciale su un originario versante.
Al tetto della successione si rinvengono litotipi di suolo beige cementato tipico di ambiente arido con risalita capillare (COLTORTI, com. pers.). L’età di questo corpo detritico è presumibilmente compresa tra 200.000 e 130.000 anni, per analogia con corpi analoghi datati
(COLTORTI , com. pers.).
Detrito di Geppa
Nei pressi di Geppa affiora estesamente un corpo detritico continentale. Esso è costituito
da brecce calcaree cementate, a matrice rossastra, con elementi centimetrici localmente matrixsupported (elementi brecciosi piccoli , 1-2 cm).
La roccia è poco selezionata, con elementi ad arrotondamento 0.3 e sfericità 0.7 (vedi fig. 2.6), e
localmente il rapporto brecce/matrice è sul 5-10 %. Si osservano anche brecce ben selezionate,
clast-supported.
La genesi di questo corpo detritico è probabilmente dovuta ad un accumulo come detrito
di falda, con temporanei episodi di sedimentazione ad opera di torrenti.
Detrito di Fosso del Traio
Nella zona di Mucciafora, nel Fosso del Traio affiora del detrito cementato di clasti di
Scaglia Rossa in cui sono intercalati dei sottili livelli di paleosuoli di colore marrone sporco.
Questo detrito giace sui calcari Diasprini.
Sempre nella zona di Mucciafora è affiorante del detrito non cementato, clast-supported,
con elementi di dimensioni centimetriche, molto ben selezionati, con arrotondamento di 0.2,
sfericità di 0.6-0.7 (vedi fig. 2.6), a luoghi senza matrice, altrimenti con una matrice argillosa
(?paleosuolo) rosso-marrone. I clasti sono interamente calcarei. Lo spessore minimo del detrito è
di 5-6 m. Questo accumulo è forse da mettere in relazione a scarpate di faglia su cui è attivo ed
intenso l’accumulo di detrito.
15
3. TETTONICA
3.1 Introduzione
Il settore esaminato costituisce una porzione di una zona caratterizzata da faglie transpressive destre, quindi con caratteristiche intermedie tra quelle di sovrascorrimenti e quelle di faglie
trascorrenti (fig. 3-1). Dalla storia geologica pre-miocenica del settore umbro si può ragionevolmente ritenere che queste faglie sono state influenzate e/o ereditano preesistenti lineamenti tettonici mesozoico-paleogenici. Lo studio cinematico e dinamico di questi lineamenti permette
quindi di ricostruire la strutturazione della catena appenninica da una prospettiva inusuale: i risultati sono complementari a quelli derivanti dallo studio delle rampe frontali e indicano come lineamenti obliqui preesistenti controllano la strutturazione di una zona di sutura.
Verranno nel proseguio del capitolo descritte le principali ipotesi avanzate in letteratura sul
ruolo di questi lineamenti durante la fase contrazionale appenninica, di età mio-pliocenica, quindi
Foligno
Visso
M.
Vettore
Linea
della
Valnerina
zona
studiata
Linea
OlevanoAntrodoco
M.
Boragine
Terni
ANCONA
zone
interne
zone
esterne
PERUGIA
faglia
Sabina
Rieti
Mar Tirreno
dominio
vulcanico
ROMA
10
direzioni di
20 km
movimento
faglie inverse
e trascorrenti
Mar
Adriatico
dominio
LazialeAbruzzese
100
100 km
km
faglie normali
Fig. 3-1 - mappa strutturale e cinematica dell’Appennino settentrionale (modificata da LAVECCHIA, 1985, con dati
cinematici da KOOPMAN, 1983, LAVECCHIA, 1985, CALAMITA et al., 1987, BARCHI et al., 1988, ALFONSI et al.,
1991, BARCHI & BROZZETTI, 1991, TAVARNELLI, 1996).
16
verranno esaminate le differenti strutture deformative che caratterizzano i volumi rocciosi esaminati, partendo dalle pieghe, passando al clivaggio per concludere con le faglie. Le caratteristiche
mesostrutturali delle zone di taglio collegate alle principali faglie osservate saranno discusse
ampiamente, mediante una analisi geometrica, cinematica e dinamica, per vedere quali ipotesi fra
quelle avanzate si accordano meglio coi dati osservati e quale evoluzione della storia deformativa
si può prospettare per il settore studiato.
3.2 Principali ipotesi sul significato e sul ruolo dei lineamenti obliqui
In letteratura esiste un generale accordo sul fatto che le faglie destre-inverse derivano dalla
riattivazione, durante la fase tettogenetica mio-pliocenica, di faglie mesozoiche con movimenti
(obliqui)normali (p.e. DECANDIA, 1982; KOOPMAN, 1983; LAVECCHIA, 1985; CALAMITA,
1990). Esistono almeno quattro differenti interpretazioni sul ruolo cinematico e deformativo di
queste faglie durante la tettogenesi.
La prima interpretazione ritiene che la successione meso-cenozoica si sia deformata
tramite lo sviluppo di pieghe, sovrascorrimenti e la contemporanea riattivazione delle faglie mesozoiche con direzione SSW-NNE come faglie destre-inverse (DECANDIA & GIANNINI, 1977;
DECANDIA, 1982; KOOPMAN, 1983; CALAMITA & DEIANA, 1988; CALAMITA, 1990). Le
faglie riattivate avrebbero avuto il ruolo di rampe oblique o laterali (fig. 3-2; KOOPMAN, 1983;
CALAMITA, 1990).
La seconda interpretazione ritiene invece che nella successione meso-cenozoica le faglie
destre-oblique si siano sviluppate successivamente alla formazione delle pieghe e dei sovrascorrimenti (LAVECCHIA, 1985; BARCHI et al., 1988). Secondo questo modello durante il
Tortoniano-Messiniano la copertura ed il basamento sottostante alle Anidriti di Burano si sono
deformate secondo due stili differenti: nella
copertura si sono prima enucleate pieghe e poi
i sovrascorrimenti, nel basamento sono attive
faglie trascorrenti N10° destre e N105° sinistre (fig. 3-3). Durante il Pliocene inf. le
faglie del basamento si propagano nella copertura e determinano la locale riorientazione
delle strutture plicative. Durante il Pliocene
sup.-Pleistocene, in concomitanza della fase
transtensiva, si sviluppano faglie dirette con
direzione NW-SE mentre le faglie trascorrenti
N10° sono in parte riattivate con movimenti
sinistri.
Nel terzo modello, di CASTELLARIN et al.
(1978, 1982), la più importante di queste
faglie, la Linea Olevano-Antrodoco (AnzioAncona Auct.) ha avuto due differenti ruoli
cinematici (fig. 3-4): durante il TortonianoMessiniano essa è stata una faglia trascorrente
destra, con ruolo di trasferimento tra due settori, quello del bacino umbro e quello della
piattaforma carbonatica laziale-abruzzese, che
si deformavano secondo due differenti stili;
Fig. 3-2 - A) rampa frontale; B) rampa obliqua derivante
durante il Pliocene inf. ha agito come una
dalla riutilizzazione di una preesistente faglia mesozoica
faglia inversa con movimenti del tetto verso
(da KOOPMAN, 1983, fig. 18).
17
Est.
Il quarto modello, basato su dati paleomagnetici, considera le faglie con direzione SSWNNE come faglie trascorrenti che limitano dei blocchi ruotanti su assi subverticali (fig. 3-5): questa ipotesi è stata avanzata per lineamenti meridiani sviluppati nel margine orientale della piattaforma laziale-abruzzese (GHISETTI et al., 1991; MATTEI et al., 1991; MATTEI & MICCADEI,
1991; DELA PIERRE et al., 1992).
Fig. 3-3 - A) zone di taglio trascorrenti del basamento (linee spesse con tratteggio obliquo) secondo LAVECCHIA et
al., 1984, fig. 1.
18
Fig. 3-4 - ricostruzione geologica della zona a cavallo della attuale linea Olevano-Antrodoco secondo CASTELLA RIN et al., 1978, 1982 (fig. 12 in CASTELLARIN et al., 1978). I: situazione nel Mesozoico; II, III, IV: movimenti
trascorrenti destri lungo la paleo-linea Olevano-Antrodoco, dal Tortoniano al Messiniano; V: movimenti inversi verso
Est durante la parte terminale del Pliocene inf.; VI: situazione attuale.
Fig. 3-5 - modello a rota zione di blocchi su assi
subverticali, con faglie
trascorrenti al bordo
orientale (fig. 8 in DELA
PIERRE et al., 1992).
19
3.3 Le strutture deformative
Le strutture deformative osservate nei volumi rocciosi studiati sono classificabili come:
pieghe, superfici stilolitiche, giunti, vene e superfici di faglia. Mentre i giunti e le vene sono
sviluppate solo alla scala micro- e mesoscopica, con un limite lineare superiore attorno al metro,
le pieghe e le superfici di faglia sono sviluppate dalla scala micro- e mesoscopica a quella macroscopica (dal mm a decine di km). Questo richiede che nella descrizione delle pieghe e delle faglie
si utilizzino almeno due differenti scale di osservazione, quella mesoscopica (dal mm a varie
decine di m di sviluppo) a quella macroscopica (da centinaia a migliaia di m).
I differenti tipi di strutture hanno differenti significati deformativi e dinamici: p.e. le vene
si formano in risposta a pressioni orientate di trazione mentre le superfici stilolitiche derivano da
stress compressivi; le faglie e le pieghe possono formarsi sia in regimi distensivi sia compressivi
sia trascorrenti. Differenti sono pure i meccanismi deformativi che originano le differenti strutture: p.e. la fratturazione di tipo I (tensile mode, SCHOLZ, 1990) origina vene estensionali, la
fratturazione di tipo II e III (in-plane e antiplane shear, rispettivamente) origina faglie e vene di
taglio. Lo studio strutturale richiede quindi dapprima una differenziazione delle varie strutture a
seconda della loro natura e del loro possibile significato deformativo e dinamico ed infine una sintesi in cui le varie strutture vengono ricollegate in un unico quadro deformativo e/o dinamico, di
tipo progressivo oppure discontinuo, che renda conto delle relazioni spaziali e cronologiche che
esse presentano.
Dei differenti tipi di strutture osservate solo i giunti non sono stati considerati nello studio,
in quanto si è ritenuto che il loro contributo alla chiarificazione della storia evolutiva del settore
esaminato sia nettamente inferiore a quello che forniscono le altre strutture (vedi discussione in
RAMSAY & HUBER, 1987, pp. 664-665). Di seguito vengono descritte le strutture deformative
studiate, secondo il seguente ordine: pieghe, stiloliti, vene, faglie. A questo ultimo tipo viene data
particolare enfasi, per la ricchezza di informazioni di natura deformativa e dinamica che esse forniscono.
3.3.1 Le mesostrutture
Le pieghe
Le pieghe sviluppate nella successione sedimentaria possono essere divise in due tipi: a)
pieghe che derivano da una deformazione sinsedimentaria da slump, chiaramente riconoscibili
nella Scaglia Rossa e nella base della Scaglia Variegata, quindi di età Cretacico sup.-Eocene; b)
pieghe che derivano da un layer-parallel shortening successivo alla fase sedimentaria ed ascrivibile al raccorciamento mio-pliocenico. Questo ultimo tipo di pieghe, seppure interessante tutte le
formazioni, è particolarmente frequente nei Calcari Diasprini, nella Maiolica e nella Scaglia
Rossa.
Pieghe da slump
Le pieghe da slump sono chiaramente riconoscibili sul terreno quando si può osservare la
stratificazione sottostante e/o sovrastante indeformata. Nella zona rilevata le pieghe da slump sono
generalmente coricate, presentano fianchi quasi isoclinali e paralleli alla stratificazione indisturbata sottostante e/o sovrastante. Queste pieghe hanno profili C5 e B5 della classificazione di
HUDDLESTON (1973) e appartengono alle classi 2 e 3 di RAMSAY (1967).
Altra caratteristica distintiva osservata è che la zona di cerniera non è più deformata dei
fianchi. Un esempio interessante è illustrato in fig. 3-6. La struttura della roccia deriva da movimenti fluidali del sedimento inconsolidato, con porzioni maggiormente cementate, di natura calcarea, che hanno ruotato durante lo scivolamento, determinando sul loro retro la formazione di
20
Fig. 3-6 - piega coricata da slump con un nodulo (in alto) che ruotando ha determinato lo sviluppo di pieghe di tra scinamento congruenti con la piega ospite. Superficie ortogonale alla cerniera della piega, Scaglia Rossa in loc.
Meggiano, scala circa 1:1.
a
b
vene
S0
stiloliti e
picchi stilolitici
S0
S0
S0
piano assiale
piano assiale
S0
S0
S0
4
S0
8 cm
c
d
layer-normal
shortening
S0
S0
S1
layer-parallel
extension
S0
stilolite
vena
S0
Fig. 3-7 - esempio di piega da slump, presente in un livello di slumpings, sovrastato da strati indeformati. Le struttu re interne alla piega consistono in vene (a) e stiloliti con i relativi picchi (b), indicanti layer-parallel extension e
layer-normal shortening (c). Stiloliti e vene si sono formate sulle stesse superfici di laminazioni sedimentarie piegate
(d), cosicché una stilolite passa lateralmente ad una vena. Taglio ortogonale alla cerniera della piega, Scaglia Rossa,
zona di M. Prato.
21
micropieghe di trascinamento, con vergenza congruente a quella della piega ospite. Alla struttura
fluidale si sovraimpongono superfici stilolitiche pervasive e poco definite, oppure discrete e ben
sviluppate. Queste superfici stilolitiche sono parallele alla stratificazione indisturbata e quindi rappresentano il prodotto di un carico litostatico sinsedimentario-diagenetico, originariamente verticale, che determinava un layer-normal shortening. E’ da notare che, dato il parallelismo tra stratificazione e superficie assiale in una piega isoclinale coricata, le stiloliti da carico mimano un clivaggio da piano assiale.
La stratificazione ha funto da superficie di sviluppo delle stiloliti sinsedimentarie (WINTER & TAPPONNIER, 1991; TAVARNELLI, 1996) ma nel caso delle pieghe da slump, anche di
vene estensive: infatti passando dal fianco della piega alla cerniera varia l’orientazione della stratificazione e di conseguenza anche il suo ruolo meccanico durante la fase distensiva sinsedimentaria (fig. 3-7).
Pieghe tettoniche
Le mesopieghe di origine tettonica si differenziano da quelle sinsedimentarie in quanto
sono generalmente pervasive alla scala dell’affioramento e non confinate in livelli limitati da
superfici indisturbate (come le pieghe da slump), sono isopache (classe 1B di RAMSAY), hanno
in genere lunghezze d’onda ed ampiezze sull’ordine di alcuni metri. L’angolo fra i fianchi delle
pieghe varia tra 180° e 60°; le cerniere sono suborizzontali o poco inclinate, meno frequentemente
con media inclinazione; la superficie assiale è da subverticale a mediamente inclinata anche se
non mancano pieghe poco inclinate o coricate (fig. 3-8). Le forme osservate più frequentemente
sono pieghe con morfologia a chevron, a box oppure a kink, talora coesistenti lateralmente (fig. 3-
Inclinazione della superficie assiale
molto
inclinata
verticale
90
0
80
mediamente
inclinata
60
poco
inclinata
30
coricata
10
0
suborizzontale
10
poco
inclinata
30
mediamente
inclinata
60
Inclinazione
della
cerniera
N=59
molto
inclinata
80
subverticale
90
Fig. 3-8 - diagramma di orientazione dele mesopieghe relative alla zona esaminata (da FLEUTY, 1964).
22
9). Quando la litologia è uniforme e gli spessori degli strati sono costanti si osserva un piegamento cilindrico ed armonico della stratificazione (fig. 3-10).
Viceversa quando esistono disomogeneità litologiche in verticale e notevoli differenze negli spessori degli strati sono presenti disarmonie e notevoli variazioni nella giacitura delle superfici
assiali: queste disarmonie sono osservabili a scala di centinaia di m (fig. 3-11) e di decine di m
(fig. 3-12).
A seconda della loro posizione rispetto alla macropiega ospite, le mesopieghe possono
essere simmetriche (in cerniera) o asimmetriche (sui fianchi): la vergenza di queste ultime è generalmente congruente con la piega ospite (fig. 3-13), anche se si osservano talora casi di
mesopieghe incongrue.
Esistono evidenze di scorrimento flessurale per lo sviluppo delle pieghe, date da vene di
taglio cresciute sulle superfici di stratificazione, con fibre di calcite allungate perpendicolarmente
all’asse delle mesopieghe (fig. 3-14). Non si sono osservate evidenze di mesopieghe ripiegate, il
che sembra indicare che la storia deformativa delle strutture plicative di questa zona è stata relativamente semplice.
a
b
E
W
0.5
1.0 m
Fig. 3-10 - pieghe cilindriche ed armoniche, al tetto
della Scaglia bianca. L’altezza della scarpata è di circa
20-30 m, zona di Ponte.
Fig. 3-9 - fotografia (a) e interpretazione (b) di
un esempio di coesistenza laterale di differenti
tipi di pieghe: a destra pieghe antiformi a che vron ( classe E2 di HUDDLESTON, 1973) con
superficie assiale subverticale, a sinistra pieghe
antiformi a scatola (classe B1) con superfici
assiali poco continue e ramificantesi. Scaglia
Rossa, zona tra Ponte e Piedipaterno.
23
a
a
Fig. 3-12
NW
SE
SE
SCAGLIA ROSSA
livello guida
calcareo
Z ONA AD
INTENSA
DEFORMAZIONE
ZONA A
RIDOTTA
DEFORMAZIONE
SCAGLIA BIANCA
0
20 m
b
b
Fig. 3-11 - fotografia (a) ed interpretazione (b) di un esem pio di piegamento disarmonico tra tetto della Scaglia Bianca
(alla base, con livelli calcarei bianchi piegati a chevron) e la
base della Scaglia Rossa (marne calcaree rosate, con ben
evidente un livello guida calcareo). La disarmonia potrebbe
derivare dal maggiore grado di raccorciamento richiesto al
nucleo dell’anticlinale. Zona di Rocca Gelli.
Fig. 3-12 - fotografia (a) ed interpretazione (b) di un esem pio di marcata e brusca variazione di stile deformativo, tra sversalmente alle strutture: a sinistra è presente un intenso
piegamento disarmonico, con rottura degli strati, a destra le
pieghe sono quasi assenti. Particolare della fig. 11, Scaglia
Rossa, zona di Rocca Gelli.
Lineazioni L1
Superfici
stratificazione
Lineazioni
scorrimento
Fig. 3-13 - mesopieghe asimmetriche vergenti a Est (con gruentemente alla macroanticlinale ospite), in stratificazione
molto inclinata. Passaggio Scaglia Bianca-Scaglia Rossa,
zona di Ponte.
Fig. 3-14 - relazioni angolari di perpendicolarità tra linea zioni L1 (intersezione ta stratificazione e clivaggio di piano
assiale, triangoli vuoti) e lineazioni di scorrimento osservate
sulle superfici di stratificazione (cerchi pieni). Proiezione
equiareale, emisfero inferiore, Scaglia Rossa della zona dei
M.ti dell’Immagine.
Le superfici stilolitiche
Le superfici stilolitiche rappresentano il prodotto della pressure-solution, cioè della dissoluzione (in presenza di una fase fluida) di una o più fasi mineralogiche della roccia originaria
lungo superfici preferenziali: lungo queste si concentrano le fasi mineralogiche insolubili e/o se ne
formano nuove.
Nella zona studiata le stiloliti sono molto diffuse nelle litotipie calcaree e marnose della
Maiolica e della Scaglia, e sono state prodotte dalla dissoluzione della calcite con sviluppo di film
ricchi in minerali argillosi.
Le stiloliti hanno morfologia variabile in funzione della litologia della roccia: esse possono
essere anastomosate e lisce, soprattutto nelle litotipie marnoso-argillose (p.e. Scaglia Variegata) o
parallele e con contorno dentellato nelle litotipie calcaree (p.e. Maiolica).
Le stiloliti sono generalmente caratterizzate dalla presenza di films di materiale criptocristallino, quali minerali argillosi (fig. 3-15), ma talora anche da granuli di selce (fig. 3-16) e di
apatite.
I minerali argillosi presenti lungo le stiloliti hanno una composizione chimica costantemente caratterizzata dalla presenza, oltre a Si e Al, di Ca, Mg, K, Fe e piccole quantità di Ti (fig.
3-17). Esempi di analisi chimiche quantitative alla microsonda sono illustrate in fig. 3-18. La mineralogia sembra prossima a quella di intercrescite di illite-smectite.
Basandosi sulla posizione strutturale in cui le stiloliti si trovano e sulle relazioni angolari
che le stiloliti formano con la stratificazione (in litologie competenti, p.e. in calcari), si possono
distinguere almeno tre generazioni di foliazioni stilolitiche (fig. 3-19): a) la prima è ben evidente
in rocce poco deformate e presenta superfici parallele alla stratificazione (stiloliti sinsedimentarie); b) la seconda generazione forma un alto angolo con la stratificazione ed è generalmente subparallela alla superficie assiale delle mesopieghe (layer-parallel shortening); c) la terza generazione è ben sviluppata in zone di taglio ed è collegata all’attività delle faglie.
Le stiloliti sinsedimentarie esprimono il layer-normal shortening connesso al costipamento
dei sedimenti sotto un carico litostatico subverticale, sono associate a vene, e sono frequentemente
tagliate dalle stiloliti collegate alle pieghe.
La seconda generazione di stiloliti è connessa al layer-parallel shortening dovuto al raccorciamento orizzontale durante la fase mio-pliocenica, infatti esse troncano le stiloliti sinsedi-
Fig. 3-15 - minerali argillosi concentrati lungo una sti lolite, osservati al microscopio a scansione elettronica
(SEM). Scaglia Rossa della zona di taglio della faglia
di Cammoro, loc. 2.
25
Fig. 3-16 - concentrazione di granuli di selce (grigio
scuro) lungo una stilolite, osservata al SEM. Tettonite
calcarea della faglia di Grotti. Loc. Grotti.
mentarie e si sono formate durante un evento precedente al piegamento (TAVARNELLI, 1997).
Nelle zone di taglio delle faglie più importanti sono inoltre sviluppate pervasivamente stiloliti
associate a mesofaglie in strutture S-C: queste stiloliti sono conformate ad S in conseguenza dell’azione di uncinamento delle mesofaglie. Generalmente la densità di queste stiloliti aumenta
avvicinandosi al nucleo delle faglie (fig. 3-20). La spaziatura delle stiloliti collegate alle pieghe è
generalmente da decimetrica a centimetrica, mentre quella tipica delle zone di taglio può essere
millimetrica: questa differenza è presumibilmente dovuta alla maggior quantità di strain totale
espresso dalle zone di taglio rispetto alle pieghe.
Evidenze di terreno indicano che dopo la loro formazione le stiloliti sono state talora riutilizzate come superfici di faglia, con movimenti inversi o normali. Quando le superfici stilolitiche
immergono ad Est esse sono state riattivate come faglie inverse, sia a basso angolo di inclinazione
(fig. 3-21a) sia ad alto angolo (fig. 3-21b): esse hanno agito quindi come back-thrusts.
Quando le superfici stilolitiche immergono ad Ovest esse sono state attivate come faglie
normali, con crescita di vene di taglio nei gradini (fig. 3-22); questi movimenti normali sono congruenti con il flexural slip della stratificazione, che induce rotazioni a domino dei lithons limitati
dalle superfici stilolitiche (cf. CINQUEGRANA, 1987, citato in TAVARNELLI, 1996).
Le superfici stilolitiche possono anche presentarsi piegate, con superfici assiali subparallele alla stratificazione. Tale piegamento, che sembra essersi originato in conseguenza di raccorciamenti subverticali, potrebbe essere avvenuto durante la fase distensiva plio-pleistocenica.
Fig. 3-17 - esempio di spettro a dispersione di energia (EDAX) della frazione argillosa presente in una stilolite, in
roccia proveniente dalla zona di taglio della faglia di Cammoro, loc. 2.
26
E1em:
NaK
MgK
AlK
SIK
KK
CaK
TIK
MnK
FeK
O
Net
3.37
24.66
235.24
603.71
38.51
37.92
10.52
1.94
18.00
11:39:38
Wt% Chem
0.38
0.120
1.53
0.459
11.38
3.080
29.90
7.774
2.45
0.458
2.65
0.482
0.83
0.126
0.21
0.028
2.48
0.324
48.21
22.000
Error%
11.58
2.82
0.78
0.48
2.03
2.05
4.45
15.64
3.08
07-25-97
E1em:
NaK
MgK
AlK
SIK
KK
CaK
TIK
NnK
FeK
O
Net
2.02
26.20
210.76
463.34
49.52
28.68
27.10
1.68
30.61
11:49:29
Wt% Chem
0.26
0.087
1.88
0.584
11.82
3.308
26.51
7.127
3.47
0.670
2.21
0.417
2.36
0.372
0.20
0.027
4.68
0.633
46.61
22.000
Error%
18.78
2.84
0.86
0.57
1.85
2.53
2.59
18.77
2.37
E1em:
NaK
MgK
AlK
SiK
KK
CaK
TiK
MnK
FeK
O
Net
1.68
33.92
230.19
444.81
45.03
44.16
8.99
1.07
24.38
11:03:44
Wt% Chem
0.22
0.071
2.41
0.740
12.97
3.595
26.01
6.929
3.20
0.611
3.46
0.645
0.80
0.124
0.13
0.017
3.77
0.505
47.05
22.000
Error%
19.40
2.02
0.68
0.48
1.61
1.63
4.35
23.53
2.21
Elem:
NaK
MgK
AlK
SiK
KK
CaK
TiK
MnK
FeK
O
Net
3.12
31.07
222.31
649.55
42.14
34.89
6.82
1.88
24.98
11:33:36
Wt% Chem
0.34
0.108
1.86
0.559
10.39
2.819
30.46
7.940
2.57
0.481
2.33
0.426
0.51
0.079
0.19
0.026
3.29
0.431
48.07
22.000
Error%
15.17
2.89
0.94
0.54
2.27
2.54
7.16
19.21
2.98
KV
Tilt
TkOff
20.0
0.0
35.0
07-25-97
KV
Tilt
TkQff
20.0
0.0
35.0
07-25-97
KV
Tilt
TkOff
20.0
0.0
35.0
07-25-97
KV
Tilt
TkOff
20.0
0.0
35.0
Fig. 3-18 - esempi di analisi chimiche (con la microsonda) di minerali argillosi presenti in stiloliti. Campioni prove nienti dalla Scaglia Rossa, livelli calcarenitici deformati lungo la zona di taglio della faglia di Grotti, loc.
Montefiorello.
27
a
raccorciamento
verticale
S0
stiloliti
sinsedimentarie
S1
b
S1
Fig. 3-19 - suddivi sione delle stiloliti
in sinsedimentarie
(a), collegate alle
pieghe (b) e colle gate a zone di
taglio (c)
S1
raccorciamento
orizzontale
stiloliti collegate
al piegamento
S0
c
S1
taglio
semplice
stiloliti collegate
a zone di taglio
mesofaglie
a
b
Fig. 3-20 - esempio di aumento della densità delle stiloliti spostandosi verso il nucleo della faglia: a) stiloliti spazia te, in campione raccolto a 10 m dal contatto principale; b) stiloliti con maggiore densità, in campione raccolto a 4
m. Taglio orizzontali orientati (alto: nord, destra: est) di rocce deformate della Scaglia Rossa, faglia di Cammoro,
loc. 2
a
Equal Area
b
Equal Area
Fig. 3-21 - movimenti
inversi osservati su super fici stilolitiche collegate a
pieghe: a) con basso
angolo di inclinazione
(Scaglia Rossa, zona di
Piedipaterno); b) ad alto
angolo (Scaglia Rossa,
M.ti dell’Immagine)
28
a
b
scivolamento
flessurale
Equal Area
vene di taglio
sulle stiloliti
S0
S0
Fig. 3-22 - a) modello
di movimento a domino
dei blocchi limitati
dalla stratificazione e
da superfici di pressu re-solution, in conse guenza di scivolamenti
flessurali; b) stereonet
di una superficie di
pressure-solution riuti lizzata come faglia nor male (Scaglia Rossa,
zona di M.ti
dell’Immagine). Si noti
il movimento di dip-slip
normale
Le vene
Le rocce studiate presentano frequentemente vene di calcite, sia come vene di tipo estensivo sia come vene di taglio. Un esempio di vena è illustrato in fig. 3-23. In generale si osservano
vari set di vene, aventi differente orientazione spaziale ma uguale composizione mineralogica,
essendo costituite da calcite. Esistono comunque evidenze di una fratturazione precoce della roccia, sinsedimentaria, con un riempimento di argilliti fini nella porzione inferiore della frattura e
cristallizzazione di calcite nella porzione superiore. La precocità della struttura è testimoniata
anche dal fatto che le stiloliti tagliano la frattura, che è quindi più antica di queste. Vene sinsedimentarie, ortogonali alle stiloliti sinsedimentarie, sono diffuse nell’Appennino settentrionale e
sono state descritte per la prima volta da WINTER & TAPPONNIER (1991). La calcite che costituisce le vene è vicina in composizione a CaCO3 puro, con gli ioni bivalenti che sostituiscono il
Calcio presenti in limitate quantità: il Magnesio è tra 0 e 1.4 % (in peso), mentre il Ferro è tra 0 e
0.8 %. I cristalli spatici di grosse dimensioni delle vene presentano zonazioni concentriche di
crescita, ben visibili in catodoluminescenza, il che indica che durante la loro crescita erano presenti delle variazioni cicliche nella concentrazione di elementi minori quali Mn+2 e Fe+2 connesse
a salinità, temperatura, pH ed Eh dei fluidi acquosi da cui si sono originati i cristalli (MACHEL et
Fig. 3-23 - esempio di vena di
calcite (grigio chiaro) inserita
entro della selce (grigio
scuro): la vena presenta un
gradino
29
al., 1991).
I cristalli di calcite sono da equidimensionali a prismatici, soprattutto in vene di taglio. La
forma dei granuli è prevalentemente da euedrale a subeuedrale, ma non mancano granuli anedrali.
L’andamento interdigitato dei limiti granulari può essere conseguente a fenomeni di grain-bound ary migration. Gli aggregati sono da equigranulari a seriati. Grani contigui differiscono talora di
pochi gradi nelle rispettive posizioni di estinzione, il che suggerisce che essi rappresentino dei
subgrains formatisi tramite recovery di originari granuli deformati.
I cristalli delle vene si presentano frequentemente geminati polisinteticamente, con lamelle
aventi in generale spessori inferiori al micron, ad andamento lineare, con due-tre sets per cristallo:
essi rientrano nel tipo I della classificazione di BURKHARD (1993), che secondo l’A. si formano
a temperature non superiori a 200° C; sono rare le lamelle aventi spessori di alcuni micron (fino a
8 micron), rientranti nel tipo II, che indicano temperature deformative comprese tra 150° e 300°C.
Sono frequenti all’osservazione al SEM, anche cristalli di barite, isolati o in vene a contorno irregolare (fig. 3-24), aventi dimensioni di alcuni micron o decine di micron.
a
b
Fig. 3-24 - barite riempente cavità entro la calcite, osservata al microscopio a scansione elettronica. Campioni di
Scaglia Rossa della zona di taglio della faglia di Grotti, loc. Montefiorello (a) e loc. 6 (b)
30
Le mesofaglie
Le faglie hanno frequentemente una
geometria originaria non-planare, con tratti
aventi orientazione differente da quella della
superficie principale (fig. 3-25): sono presenti
superfici classificabili secondo SCHOLZ
(1990, pp.147-152)* come jogs (esempio in
fig. 3-26) o come steps (esempio in fig. 327). Mentre la presenza di steps non comporta alcun problema di compatibilità deformativa (strain compatibility di MARRETT &
ALLMENDINGER, 1990, p. 982) nel caso
dei jogs vengono indotti dei volume strains
che possono essere positivi o negativi a sec-
Fig. 3-25 - irregolarità lungo una superficie di faglia: jogs
e steps (da SCHOLZ, 1990, fig. 3.28)
a
2 cm
Fig. 26c
b
2 cm
c
Fig. 3-26 - a) tettonite della Scaglia Rossa tagliata
parallelamente alla direzione di trasporto tettonico
(tetto a destra); b) stessa roccia tagliata perpendico larmente alla direzione di trasporto tettonico (il tetto si
allontana dall’osservatore); c) schema dei rapporti
strutturali osservabili nel riquadro in fig. 26a: le meso faglie a traccia curvilinea derivano presumibilmente
dalla coalescenza di superfici differentemente orientate
(p.e. R sintetiche e P). Si noti il clivaggio stilolitico a
traccia lineare, che è tagliato sia up-section sia downsection dalle mesofaglie. Campione proveniente dalla
zona di taglio della faglia di Cammoro, loc. 1
1 cm
* Secondo SCHOLZ (1990, pp. 147-152) i jogs sono irregolarità della faglia aventi una intersezione con la superficie principale
ortogonale al vettore movimento, mentre gli steps hanno una linea di intersezione che è parallela al vettore movimento (fig. 2).
31
onda della orientazione del jog rispetto alla superficie principale (SCHOLZ, 1990, p. 148): in corrispondenza di un releasing bend si ha un aumento di volume che può essere accomodato p.e.
dallo sviluppo di vene di taglio (fig. 3-28) mentre in corrispondenza di restraining bends si possono formare duplexes (BOYER & ELLIOTT, 1982).
In altri casi le variazioni della orientazione delle faglie sembrano non originarie bensì
causate da piegamenti di superfici planari contemporaneamente o successivamente all’attività
della faglia: un possibile esempio è illustrato in fig. 3-29. Le mesofaglie, sottolineate da vene di
taglio con spessori plurimillimetrici, si diramano a ventaglio da una branch line, formando un
imbricate fan; all’esterno della branch line le faglie sono piegate in sinformi, con ampiezze che
diminuiscono passando dalla faglia inferiore a quella superiore. Queste relazioni strutturali sono
interpretabili, seguendo BOYER (1992), come evidenze di un piegamento della faglia contemporaneamente alla sua attività, con conseguente inattivazione della porzione frontale e formazione di
un nuovo splay che a sua volta segue la stessa evoluzione (fig. 3-29c).
Un esempio di relazioni mesostrutturali tra faglie che suggeriscono un synchronous thrust ing o in alternativa dei movimenti fuori sequenza, con piegamento delle superfici di faglia, è illustrata in fig. 3-30. Il volume mancante nel tetto della F1 rispetto al suo muro richiede una
asportazione di materiale da parte della F2 successivamente alla impostazione della F1; tuttavia il
piegamento antiforme della F2 è da ascrivere alla azione della F1: si deduce quindi un movimento
sincrono delle due faglie, oppure una riattivazione fuori sequenza della F1 (fig. 3-30c).
L’attività di mesofaglie può accompagnarsi, oltre al piegamento di superfici di faglia limitrofe, anche della stratificazione nella porzione sovrastante la tip-line della faglia (fig. 3-31).
Tali relazioni, osservate soprattutto nella Scaglia Rossa, indicano che alla mesoscala il pie-
W
Fig. 3-27 - esempio di step: il
contatto tettonico tra Maiolica e
Scaglia Rossa presenta una irre golarità (2) che interseca la
superficie principale (1) parallela mente alle lineazioni di movimento
(cerchi vuoti nello stereonet) pre senti nel muro della faglia. Faglia
di Cammoro, loc. M. Carpegna
(500 m a Nord della cima); proie zione equiareale, emisfero inferio re
E
(2)
Scaglia
Rossa
(1)
Maiolica
(2)
(1)
50 cm
N
E
Fig. 3-28 - vena di taglio for matasi in corrispondenza di un
releasing bend di una faglia
destra. Scaglia Rossa, muro
della faglia di Cammoro, loc.
M. Carpegna (500 m a Nord
della cima); taglio orizzontale
orientato
vena
di taglio
faglia
destra
55 mm
mm
releasing
bend
1
2 cm
cm
32
gamento ed il fagliamento sono due meccanismi che accomodano contemporaneamente il raccorciamento orizzontale, e che frequentemente le anticlinali sono strettamente associate a sottostanti
rampe di tetto e/o di letto. Modelli teorici che possono rendere conto di queste relazioni tra pieghe
e faglie sono il fault bend folding (RICH, 1934; SUPPE, 1983) ed il fault propagation folding; il
primo è stato invocato per l’Appennino umbro da KOOPMAN, 1983, mentre il secondo è stato
invocato da TAVARNELLI, 1997.
L’interazione tra piegamento e fagliamento può portare allo sviluppo di traiettorie downsection (fig. 3-32): la formazione di una coppia antiforme-sinforme è da precedente a contemporanea alla nucleazione di una faglia, che divide la coppia di pieghe ed assume nel muro della stessa una traiettoria down-section sensu lato; cosicché si viene a formare nel muro un elemento sot-
a
a
b S10°W
b a
N10°E
SCAGLIA
ROSSA
SW
NE
argilliti
SV3
spessore variabile
vena
di taglio
SV2
SV1
superfici
stilolitiche
marna
segmento di faglia
antiforme
5 cm
calcare
F1
F2
argilliti
5 cm
c
c b
SV1
t1
futura F 1
SV2
t2
t
marna
calcare
0
SV1
futura F 2
SV3
t
F1
1
SV2
t3
antiforme decapitata
F2
SV1
t
2
F2 piegata
Fig. 3-29 - foto (a) e ridisegno (b) di un particolare
della zona di taglio nel muro della faglia di Cammoro,
con un imbricate fan i cui individui sono piegati in sin formi. Vedi testo per discussione.
c) modello di sviluppo per synchronous thrusting delle
strutture osservate. Scaglia Rossa affiorante tra M.
Cammoro e M. Aglie
t
3
F1
Fig. 3-30 - foto (a), ridisegno (b) ed interpretazione (c)
di un esempio di faglie sincrone o alternativamente
fuori sequenza. Vedi testo per discussione. Scaglia
Variegata del footwall della faglia di Cammoro; taglio
stradale 1.5 km a Est di Campello sul Clitunno
33
toscorso a geometria lenticolare.
Sulle mesofaglie sono presenti lineazioni di movimento (slickenlines), corrispondenti sia a
fibre di calcite sviluppatesi in vene di taglio, frequentemente con gradini (steps), sia a strie meccaniche abrasive (tool marks). Da queste lineazioni, che si assume siano parallele alla direzione di
spostamento dei blocchi, è possibile ricostruire l’orientazione del moto relativo tra due blocchi,
mentre il verso di movimento può essere determinato dal senso di deflessione del clivaggio nelle
strutture S-C e dalla presenza di gradini nelle vene di taglio.
Fig. 3-31 - esempio di relazioni
tra mesofaglie inverse (foreth rust e backthrust) e pieghe della
stratificazione. Scaglia Rossa,
zona di M. Carpegna
50 cm
a
fig. 3-32 - foto (a) e ridisegno (b) di una faglia destraobliqua che porta delle tettoniti argillitiche rosse sopra
a tettoniti calcareo-selciose beige. La traiettoria downsection della faglia individua nel suo muro un corpo
lenticolare sottoscorso;
c) ricostruzione della storia deformativa del corpo roc cioso
c
antiforme
di tetto
b
sinforme
di muro
tettoniti
calcareo-selciose
tettoniti
argillitiche
traiettoria
down-section
34
traiettoria
down-section
di muro
Rocce di faglia
Le rocce di faglia osservate in corrispondenza delle faglie della zona esaminata si possono
classificare in due gruppi: tettoniti S-C (BERTHE’ et al., 1979) e rocce cataclastiche (SIBSON,
1977).
Le tettoniti S-C sono state rinvenute principalmente in corrispondenza delle faglie inversedestre, e sono sviluppate all’interno delle litologie calcareo-marnoso-argillose della Scaglia Rossa
e della Scaglia Variegata. Le rocce cataclastiche sono state osservate soprattutto lungo le faglie
normali, ma anche lungo le faglie inverse: esse sono presenti nelle litologie calcareo-selciose della
Maiolica e dei Calcari Diasprini. Una differenza osservata tra zone di taglio con tettoniti S-C e
zone di taglio cataclastiche riguarda la transizione tra zona deformata e zona indeformata: nelle
prime il limite tra le due zone è molto graduale, e si misura in metri o decine di m; nelle seconde
invece il limite è generalmente molto netto (fig. 3-33).
Le tettoniti S-C sono caratterizzate da un fabric pervasivo costituito da superfici di clivaggio, denominate superfici S, e da superfici di taglio, denominate superfici C (fig. 3-34). Nella
zona esaminata il clivaggio è rappresentato dalle superfici stilolitiche, che in corrispondenza delle
superfici C sono deflesse congruentemente al senso di movimento. Le superfici C, con spaziatura
generalmente centimetrica, hanno geometria da planare a curviplanare (vedi fig. 3-26). Esse di
norma sono sintetiche alle faglie principali ed i loro rapporti angolari con queste consentono di
interpretarle come superfici R, P ed Y; solo raramente sono antitetiche rispetto alle faglie principali con le quali formano angoli caratteristici delle superfici R’.
Le tettoniti S-C sono strutture molto importanti per il riconoscimento dell’attività delle
faglie: infatti la pervasività delle superfici C permette di raccogliere una notevole quantità di dati
sulle direzioni di movimento che sono state registrate nella zona di faglia, mentre le relazioni tra
le superfici C e le superfici S permettono di riconoscere il senso di spostamento sulle prime.
Le rocce di faglia cataclastiche non presentano foliazioni (SIBSON, 1977) e si formano
per flusso cataclastico al quale si aggiungono contributi di meccanismi deformativi intragranulari
e/o di pressure-solution (SCHMID & HANDY, 1991). Esse sono caratterizzate da una frat-
Fig. 3-33 - faglia normale nella Maiolica in cui si è sviluppata una spessa fascia cataclastica. Si noti il netto limite
tra fascia cataclastica e zona indeformata. Zona di Acera
35
Fig. 3-34 - zona di taglio con sviluppo di tettoniti S-C entro la Scaglia Variegata. Faglia di Cammoro, loc. 3 di fig.
3-37
turazione pervasiva (fig. 3-35) che evolvendo progressivamente produce il rotolamento degli elementi l’uno rispetto all’altro (flusso cataclastico). Esternamente alla fascia cataclastica si sviluppa
una intensa fratturazione con formazione di vene a 45° circa rispetto al bordo della zona di taglio,
disposte congruentemente al senso di movimento (fig. 3-36). I volumi rocciosi al contorno delle
fasce cataclastiche subiscono quindi un aumento di volume, connesso alla formazione di fratture
estensive.
La composizione tessiturale delle cataclasiti è costituita dai clasti e dalla matrice. I clasti
ereditano la litologia della roccia madre e sono costituiti o da sola micrite, o da sola selce, o da
entrambe, o raramente da calcite spatica (derivante presumibilmente da vene fratturate) o da
porzioni di cataclasite stessa.
Le cataclasiti possono essere distinte in differenti gradi di maturità, in base alle caratteristiche microstrutturali. Nelle cataclasiti poco evolute la matrice è scarsa, si incontrano clasti di
natura mista (micrite e selce) oltre a quelli di sola micrite o di sola selce. L’arrotondamento dei
clasti (stimato con la tabella di comparazione in fig. 2.6a) è generalmente di 0,2. Le dimensioni
dei clasti, indipendentemente dalla litologia costitutiva, si aggirano sul centimetro. Nelle cataclasiti evolute la matrice calcitica, con dimensioni dei granuli compresa tra 2 e 5 micron (talora sino
a 10-15 micron), è più abbondante di quanto non sia in quelle poco evolute; inoltre i clasti sono
sempre monolitologici: le differenti caratteristiche reologiche della micrite e della selce fanno sì
che durante l’evoluzione progressiva esse si separino completamente e vadano a costituire elementi indipendenti.
La presenza di clasti di calcite spatica e di cataclasite indica una storia ciclica di fratturazione e di cementazione delle zone di taglio esaminate.
Oltre ad essere differenziati litologicamente, i clasti presentano caratteristiche morfometriche differenti a seconda della loro composizione litologica: i clasti di micrite differiscono nettamente da quelli di selce per dimensioni ed arrotondamento, mentre hanno una sfericità comparabile. Si osserva infatti che i clasti di micrite hanno diametro da 0,5 mm a 2,0 mm ed arrotondamento di circa 0,3-0,5. I clasti di selce, che contengono vene di calcite intragranulari, con struttura
a tavoletta di cioccolato, hanno dimensioni attorno al centimetro ed hanno arrotondamento con
valore 0,1-0,2. I clasti di micrite sono quindi più piccoli (di un fattore 10) e più arrotondati di
quelli di selce. La sfericità, eguale per entrambi i tipi di clasti, è attorno a 0,80-0,85 (stimata con
36
la tabella di comparazione in fig. 2.6b). La differenza nelle dimensioni e nell’arrotondamento fra i
clasti di micrite e quelli di selce, osservata nelle cataclasiti evolute, è da ascrivere anch’essa alle
differenti caratteristiche reologiche delle due litologie: pur partendo da condizioni di dimensioni e
di arrotondamento analoghe nelle cataclasiti poco evolute, con il procedere della deformazione
progressiva la micrite, essendo meno resistente della selce all’usura per abrasione, si rompe e si
arrotonda più facilmente della selce.
Le rocce cataclastiche indicano zone di intensa deformazione, tuttavia, avendo un fabric
isotropo, non permettono facilmente di ricavare informazioni cinematiche sulla zona di faglia:
esse sono quindi di scarsa utilità per l’analisi strutturale.
Fig. 3-35 - clasto di selce
fratturato a tavoletta di
cioccolato, entro una proto cataclasite della maiolica. Si
noti il basso arrotondamento
degli elementi di selce. La
porzione nera della roccia è
costituita da micrite.
Ingrandimento 55x, nixols
paralleli. Faglia di Cerro (a
sud di Piano della Rota).
Slickenside
Fascia cataclastica
Superficie separazione
Roccia fratturata
2 cm
Fig. 3-36 - roccia di faglia, con sviluppo di una fascia cataclastica (porzione superiore) che fa bruscamente passag gio ad una zona fratturata con formazione di vene di calcite. Faglia trascorrente destra entro la Maiolica, taglio per pendicolare alla superficie di faglia e parallelo alle lineazioni di movimento . Zona di M. Galenne.
37
3.3.2 Le macrostrutture
Le macrostrutture hanno dimensioni variabili dal km alle decine di km; esse sono di due
tipi: strutture plicative e strutture di faglia. Le strutture plicative inducono una deformazione continua dei volumi rocciosi, mentre le macrofaglie corrispondono a discontinuità che consentono di
suddividere i volumi rocciosi in vari elementi tettonici. Di seguito verranno descritte le strutture
plicative che interessano i vari elementi tettonici e poi verranno prese in esame le faglie maggiori.
Gli elementi tettonici
Il settore esaminato della Valnerina è stato suddiviso in sei elementi tettonici, limitati dalle
principali faglie inverse e/o trascorrenti; da Nord verso Sud essi sono: l’elemento di M. Cammoro,
l’elemento di M. Galenne, l’elemento di Meggiano, l’elemento di M. Coscerno, l’elemento di M.
Fionchi e l’elemento di Spoleto (fig. 3-37).
Gli elementi tettonici in almeno due casi (elemento di M. Cammoro e elemento di M.
Coscerno) si radicano nella loro porzione settentrionale, per cui esse corrispondono a “scaglie di
copertura” (DECANDIA & GIANNINI, 1977), senza significative alloctonie.
I vari elementi sono costituiti dalla stessa successione marina di età meso-cenozoica,
N
Cammoro
1
M. Cammoro
2
M. Vergozze
Elemento di
M. Cammoro
Elemento di
M. Galenne
3
4
Meggiano
5
Elemento di
Meggiano
6
Vallo di Nera
Elemento di
Spoleto
Grotti
9
7
Elemento di
M. Fionchi
Elemento di
M. Coscerno
Scheggino
Schioppo
8
1
faglie
trascorrenti/
inverse
faglie
normali
2 km
38
faglie non
definite
fig. 3-37 - suddivisio ne in elementi tettonici
della zona esaminata
(i numeri dentro i
cerchi indicano le
località delle stazioni
strutturali).
appartenente al dominio sedimentario umbro e descritta nel paragrafo “successione stratigrafica”.
Di seguito vengono descritte le principali caratteristiche degli elementi tettonici.
Elemento di M. Cammoro
Questo elemento è delimitato a Ovest dalla faglia di M. Brunette (BARCHI et al., 1988) e
ad Est dalla faglia di Cammoro (figg. 3-38 e 3-39). La faglia di M. Brunette ha direzione SSWNNE ed alto angolo di inclinazione, testimoniato dalla linearità della sua traccia topografica. La
faglia di Cammoro ha traccia SSW-NNE nella sua porzione meridionale, mentre a Nord la traccia
ha direzione NNW-SSE. All’altezza di Cammoro il suo rigetto si annulla in corrispondenza della
tip-line della faglia.
L’elemento di Cammoro è costituito da una successione sedimentaria la cui base affiorante
è data dai Calcari Diasprini, a cui seguono la Maiolica, le Marne a Fucoidi, la Scaglia Bianca, la
Scaglia Rossa senza intercalazioni calcarenitiche, per terminare con la Scaglia Cinerea (fig. 3-38).
La sua struttura è data dall’anticlinale di M. Cammoro, e dalla sinclinale di M. Pradafitta
(fig. 3-39): entrambe le pieghe hanno il fianco orientale rovesciato.
Le pieghe dell’hangingwall e del footwall sono tagliate obliquamente dalla faglia di
Cammoro, secondo una traiettoria che localmente può essere down section, cioè taglia da formazioni più giovani (Scaglia Rossa) verso formazioni più antiche (Scaglia Bianca) (vedi fig. 3-38
nella zona ad Est di M. Cammoro). Questo indica che l’amplificazione delle pieghe ha preceduto
o è stata contemporanea allo sviluppo della faglia di Cammoro.
Elemento di M. Galenne
L’elemento di M. Galenne è delimitato a NW dalla faglia di Cammoro, a SE dalla faglia di
Grotti e a SW dalla faglia di Tassinare (fig. 3-37). La sua successione sedimentaria in affioramento parte dai Calcari Diasprini-Calcari a Posidonia (zona di M. Galenne e di M. Maggiore-M.
Grande), prosegue con la Maiolica, le Marne a Fucoidi, la successione della Scaglia con spessori
medi e con moderata presenza di intercalazioni calcarenitiche, e termina con la successione del
Bisciaro (figg. 3-40a e 3-38).
Nella sua porzione settentrionale la struttura è costituita dall’anticlinale di M. Siliolo e più
ad Est dalla sinclinale di S. Antonio. Queste pieghe sono rovesciate verso Est, con anticlinali più
sviluppate delle adiacenti sinclinali, con lunghezza d’onda di circa 2 km e ampiezza tra 250 e 500
m (anticlinale di M. Siliolo a livello della Scaglia Cinerea-Bisciaro, sez. a-a’ in fig. 3-38).
L’estensione longitudinale dell’anticlinale di M. Siliolo è uguale o superiore ad una decina di km.
Nella porzione meridionale di questo elemento è sviluppata la macroanticlinale di M.
Galenne (fig. 3-40b, sez. a-a’, e fig. 3-41). Essa è una box fold ad asse circa N-S e con una
lunghezza d’onda di 3-4 km, avente al nucleo i Calcari Diasprini e la Maiolica. Il fianco occidentale dell’anticlinale è molto inclinato, verticale o rovesciato; la porzione sommitale della box fold
immerge verso Nord ed ha una larghezza di 2 km; il lato orientale (forelimb) è rovesciato verso
Est e ad esso segue una stretta sinclinale, anch’essa rovesciata verso oriente. Entrambe le pieghe
sono tagliate obliquamente dalla faglia di Grotti.
Anche i piani assiali delle mesopieghe hanno direzione media N-S e sono da subverticali a
poco inclinati (fig. 3-42 e 3-43): i loro poli sono disposti lungo una ciclografica subverticale a
direzione W-E, il cui polo immerge verso Nord (fig. 3-43). Gli assi delle mesopieghe sono suborizzontali o poco inclinati (fig. 3-44a), con direzione media N-S, e presentano una dispersione
attorno ad un asse immergente verso Est (fig. 3-44b).
I piani di clivaggio stilolitico e le lineazioni di intersezione L1 tra clivaggio e stratificazione presentano la stessa orientazione delle strutture plicative, cioè una immersione verso Nord
(fig. 3-45) e quindi le due classi di strutture riflettono entrambe lo stesso fenomeno di raccorciamento orizzontale.
39
anticlinale di
M. Siliolo
a
a'
N
Bi
faglia di
M. Brunette
SR
23
33
FpM
Ma
Ma
44
a
b
90
50
SB
b'
Bi
FpM
SR
1500
FpM
1000
a'
18
SCV
anticlinale di
M. Siliolo
FpM
43
SR
Cammoro
1
2
40
48
Ma
Ma
500
24 M. Cammoro
Ma
m 0
SCV
SB
- 500
1000
2000
3000 m
c
30
44
b
anticlinale di
M. Siliolo
2
cd
c'
31
SCV
Ma
3
b'
L EGENDA
M. Vergozze
36
Ma
SR
SB
13
FpM
Miocene
inf.
68
Ma
Ma
25
SR
19
EoceneOligocene
cd
copertura
detritica
Bi
Bisciaro
SCV
SR
Scaglia Rossa
SB
Scaglia Bianca
Cretaceo inf.
MF
Marne a Fucoidi
Giurassico inf.Cretaceo inf.
Ma
Maiolica
FpM
F. pre-Maiolica
Cretaceo sup.Eocene
Ma
c
3
27
c'
faglia di
Cammoro
Scaglia Cinerea
e Variegata
Trias sup.
25
strati
(con inclinazione)
31
strati rovesciati
(con inclinazione)
(Anidriti di Burano)
a
a'
traccia sezione
geologica
faglia obliquadestra
1
faglia normale
2 km
faglia dedotta
Fig. 3-38 - mappa geologica dell’elemento di M. Cammoro e sezioni geologiche attraverso esso (i numeri entro i cerchi
indicano le località delle stazioni strutturali).
40
N
ANTICLINALE DI
M. SILIOLO
7
28
ANTICLINALE DI
M. CAMMORO
TIP
LINE
Cammoro
22
9
M. Cammoro
FAGLIA DI
M. BRUNETTE
37
9
SINCLINALE DI
S. ANTONIO
M. Vergozze
LEGENDA
traccia di
superficie assiale
anticlinalica
SINCLINALE DI
M. P RADAFITTA
13
traccia di
superficie assiale
sinclinalica
11
5
22
FAGLIA DI
CAMMORO
asse diagramma π
(con inclinazione)
faglia obliquadestra
3
faglia normale
1
2 km
faglia dedotta
Fig. 3-39 - schema strutturale dell’elemento di Cammoro e del suo muro.
41
Elemento di Meggiano
L’elemento di Meggiano è delimitato a NW dalla faglia di Grotti, mentre a Sud esso confina con l’elemento di M. Coscerno (fig. 3-37). Esso presenta in affioramento i termini dalla
Maiolica al Bisciaro (fig. 3-40a), con forti spessori della Scaglia Rossa e Variegata (di varie centinaia di m ognuna delle due) e presenza di frequenti livelli calcarenitici all’interno di queste due
formazioni. La sua struttura è data da una coppia anticlinale-sinclinale, avente direzione SSWNNE (fig. 3-41). Anche le superfici assiali delle mesopieghe e le superfici di clivaggio stilolitico
hanno direzioni da N-S a SSW-NNE, con alto angolo di inclinazione (fig. 3-46); le cerniere delle
mesopieghe e le lineazioni L1 sono suborizzontali o poco inclinate con immersione prevalentemente compresa tra NNW e NNE (fig. 3-47); i piani assiali e i piani di clivaggio presentano una
dispersione attorno ad assi subparalleli alle cerniere e alle lineazioni L1.
Elemento di M. Coscerno
L’elemento di M. Coscerno è limitato a NW dalla faglia di Grotti, a SW dalla faglia di
Schioppo, a Est dal thrust di M. Coscerno, mentre a Nord confina con l’elemento di Meggiano
(fig. 3-37). Nella porzione esaminata la sua successione affiorante parte dalla Maiolica, prosegue
con le Marne a Fucoidi, la Scaglia con forti spessori e frequenti intercalazioni calcarenitiche e termina con la Formazione del Bisciaro (fig. 3-40a).
La sua struttura è data da una macroanticlinale che a Nord ha direzione SSW-NNE mentre
a Sud passa bruscamente ad una direzione NNW-SSE (fig. 3-41), con vergenza occidentale (fig.
3-40b, sez. b-b’). Questa differenza nell’orientazione determina la presenza di due differenti
domini omogenei: l’immediato footwall della faglia di Grotti è caratterizzato da mesopieghe e clivaggi con direzione SSW-NNE (fig. 3-48) mentre l’hangingwall del thrust di M. Coscerno ha clivaggi e mesopieghe prevalentemente a direzione NW-SE (fig. 3-49). Questa rotazione delle
cerniere delle pieghe in corrispondenza delle faglie inverse-destre è una caratteristica comune a
molte delle strutture dell’Appennino centrale ed è stata interpretata in due differenti modi: una
scuola di pensiero (p.e. LAVECCHIA, 1985) ritiene che questa deflessione sia causata da una
rotazione passiva di pieghe già formate (a direzione originaria NW-SE) per trascinamento da parte
delle faglie destre; una seconda scuola di pensiero (p.e. CALAMITA, 1990) ritiene che le deflessioni degli assi delle pieghe sia originaria e rifletta la variazione della direzione delle rampe delle
faglie su cui le pieghe si sono originate, seguendo il modello del fault-bend folding .
Elemento di M. Fionchi
L’elemento di M. Fionchi affiora nella porzione sud-occidentale della zona esaminata ed è
limitato dal thrust di Spoleto a tetto, e a letto dalle faglie di Schioppo (a SE) e di Tassinare (a
NE).
La sua successione affiorante parte dalla Corniola, prosegue con il Rosso Ammonitico, i
Calcari a Posidonia ed i Calcari Diasprini; ad essi seguono le Marne a Fucoidi, la Scaglia con
moderata presenza di livelli calcarenitici, la Formazione del Bisciaro; in discordanza angolare sui
termini precedenti poggia la Formazione di Belvedere, con cui si chiude la successione (DECANDIA, 1982). Nella porzione esaminata affiora la parte di successione che va dalla Maiolica alla
Scaglia Rossa (vedi fig. 3-40a).
Le mesopieghe hanno piani assiali con direzione NW-SE nella parte settentrionale, passante gradualmente a N-S nella parte meridionale (fig. 3-42) e pertanto la dispersione dei piani assiali è tra
NW-SE e N-S (fig. 3-50a) e delle cerniere, suborizzontali, è tra N-S e WNW-ESE (fig. 3-50b).
42
N
80
M.
Maggiore
40
SBR
CDRA
cd
24
SBR
72
25
SBR
54
58
45
SBR
22
SCV
24
10
Bi
cd
59
a'
Bi
cd
Ma
30
cd
Ma
4
Ma
SBR
MF
cd
SBR
20
SBR
MF
Ma
Ma
cd
SCV
MF
59
Ma
33
b'
42
MF
Ma
27
58
SBR
28
cd
10
Bi
5
cd
22
SBR
MF
SCV
75
SCV
18
Bi
Ma
30
SBR
M.
Galenne
64
SBR
cd
SBR
M.
Galloro
62
cd
MF
cd
cd
cd
SBR
90
Bi
30
Ma
CDRA
45
MF
SBR
15
21
a
cd
SCV
Bi
CDRA
90
cd
6
45
SBR
Ma
cd
44
70
SBR
25
SBR
Bi
80
MF
cd
Ma
cd
MF
22
SCV
Grotti
Ma
53
Bi
SCV
SCV
Bi
LEGENDA
36Ma
40
15
MF
cd
Ma
Ma
b
55
cd
26
90
68
50 347
strati
(con inclinazione)
31
strati rovesciati
(con inclinazione)
traccia
sezione geologica
Detrito
Bi
Bisciaro
29
SCV
25
cd
SBR
cd
SCV
Scaglia Cinerea
e Variegata
SBR
Scaglia Rossa
e Bianca
MF
Marne a Fucoidi
Ma
Maiolica
Ma
MF
cd
31
a
20
Ma
45
50
55
faglia a separazione inversa
( freccia: immersione;
numero: inclinazione)
CDRA
Calcari Diasprini
e Rosso Ammonitico
faglia a separazione normale
( freccia: immersione;
numero: inclinazione)
faglia indeterminata
0
2 km
Fig. 3-40a - mappa geologica della zona della Valnerina tra Castel S. Felice e Ponte, e tracce di sezioni geologiche
(a-a’ e b-b’) (i numeri dentro i cerchi indicano le località delle stazioni strutturali).
43
km
faglia di
Grotti
faglia di
Tassinare
2
Sc
Sc
1
Ma
Bi
CD
CM
CDCo
Sc
CD
CM
CD
Co
CDCo
CD
Co
0
thrust del
Coscerno
Bi
Ma
Sc
Ma
CD
Co
CM
Co
Ma
CD
CM
-1
MF
CM
Co
CD
CDCo
Co
AB
CM
AB
-2
2
-3
4
CM
6
8
10
12 km
a-a'
N55°E
thrust
del Coscerno
km
2
1
faglia di
Tassinare
Bi
Sc
Sc
MF
0
MF
Ma
CM
Ma
1
Fig. 3-40b sezioni geologi che nella zona
della Valnerina,
lungo le tracce
in fig. 3-40a.
CDCo
CM
CM
2
AB
2
3
4
6
8
b-b'
10
12 km
N55°E
Bi
Bisciaro
Sc
Scaglia
MF
Ma
Marne a Fucoidi
CDCo
Maiolica
Calcari DiaspriniCorniola
CM
Calcare
Massiccio
AB
Anidriti
di Burano
Elemento di Spoleto
L’elemento di Spoleto poggia tettonicamente sopra all’elemento di M. Fionchi, e presenta
alla base il Calcare Massiccio, a cui segue la sovrastante successione, descritta in DECANDIA
(1982). Questo elemento non presenta, almeno nella sua porzione nord-orientale (vedi fig. 3-37)
particolari strutture tettoniche.
44
N
M.
Maggiore
a'
b'
M.
Galenne
M.
Galloro
B OX-F OLD DI
M. GALENNE
a
Grotti
b
L EGENDA
a
traccia
sezione geologica
traccia di
superficie assiale
anticlinale
0
2 km
traccia di
superficie assiale
sinclinale
Fig. 3-41 - mappa strutturale della zona della Valnerina, con le tracce delle superfici assiali delle principali macro pieghe. Per semplicità sono state omesse le faglie normali
45
N
M.
Maggiore
38
28
27
81
a'
14
89
27
8
65
12
87
56
43
87
37
85
20
56
66
12
2
38
34 7
17
17
13
30
13
85
77
60
0
1
0
55
20
20
30
75
23
b'
18
25
20
36
0
M.
Galenne
37
0
5 10
M.
Galloro
22 11
3
10
9
24
38
20
10
70
62
4
1
10
a
9
60
25
17
19
0
43
21
Grotti
8
55
17
5
83
26
20 1
38
45
16
2
4
11
8
0
20
18
71
68
10
62
30
12
5
15
1
1
33 16
9
b
5
27
79
76
5
LEGENDA
10
71
a
traccia
sezione geologica
piano assiale
di mesopiega
(con inclinazione)
asse di mesopiega
(con inclinazione)
0
2 km
Fig. 3-42 - mappa strutturale delle strutture plicative mesoscopiche (piani assiali e cerniere di pieghe) nella zona
della Valnerina
46
a
b
28 Data. Contoured at 1 2 3 4 5 6 7 8 times uniform
28 Data
13 Data
Fig. 3-43 - distribuzione delle superfici assia li di mesopieghe (poli dei piani) (cerchi pieni)
presenti nell’unità di M. Galenne. Essi si
distribuiscono lungo una ciclografica il cui
polo immerge verso Nord (quadrato).
Proiezione equiareale, emisfero inferiore.
Fig. 3-44 - a) assi di mesopieghe nell’unità di M. Galenne
(cerchi pieni); b) contour degli assi di mesopieghe e assi
determinati tramite la statistica di Bingham. Proiezioni equia reali, emisfero inferiore.
N
M.
Maggiore
71
27
37
15
20
5
a'
54
84
13
61
18
76
29
89
34
2
89
10
15
20
89
2
15
75
37
b'
23
20
20
81
10
8
10
89
47
M.
Galenne
7
M.
Galloro
1
5
2
10
76
27
a
15
80
10
5
52
30
15
18
25
5
20
12
15
75
21
40
65
10
15
1
60
30
10
Grotti
80
10
85
83
b
68
20
74
83
15
67
10
Fig. 3-45 - schema
strutturale della distri buzione delle superfici
di clivaggio stilolitico e
delle lineazioni di inter sezione L1 tra clivaggio
e stratificazione
LEGENDA
a
traccia
sezione geologica
80
piano di clivaggio
stilolitico
(con inclinazione)
10
lineazione di intersezione L1
tra clivaggio e stratificazione,
con vergenza (triangolo)
e inclinazione
47
0
2 km
a
b
Fig. 3-46 - proiezione dei poli
dei piani assiali (a) e del clivag gio stilolitico (b) dell’unità di
Meggiano. Proiezioni equiareali,
emisfero inferiore.
13 Data
18 Data
a
b
Fig. 3-47 - proiezione delle cer niere delle mesopieghe (a) e delle
lineazioni L1 (b) osservate nel l’unità di Meggiano. Proiezioni
equiareali, emisfero inferiore.
23 Data
16 Data
a
b
Fig. 3-48 - proiezione dei poli dei
piani assiali (cerchi pieni) e delle
superfici di clivaggio stilolitico
(cerchi vuoti) (a) e delle cerniere
delle mesopieghe (b), nella zona
nord-occidentale dell’unità di M.
Coscerno
28 Data
b
a
10 Data
Fig. 3-49 - proiezione delle cerniere delle
mesopieghe (cerchi pieni) e delle lineazioni
L1 (cerchi vuoti) nella zona sud-occidentale
13 Data
Fig. 3-50 - proiezione dei poli dei piani assiali (a) e delle
cerniere (b) delle mesopieghe, nell’unità di M. Fionchi.
dell’unità di M. Coscerno.
48
Le faglie
Le più importanti caratteristiche delle faglie sono: a) la topologia della superficie e la sua
orientazione spaziale; b) l’azione della faglia sui volumi rocciosi a tetto e a letto; c) la direzione
dei movimenti. La topologia e l’orientazione delle superfici può essere indagata tramite le tecniche di interpolazione (structure contour maps), le relazioni tra volumi rocciosi a tetto e a letto
tramite i “diagrammi di separazione stratigrafica” (stratigraphic separation diagrams); la
direzione dei movimenti relativi tra i due blocchi tramite l’analisi cinematica delle slickenlines
(lineazioni di movimento).
Carte delle curve di livello (structure contour maps)
Le carte delle curve di livello sono date da un insieme di linee, ognuna delle quali rappresenta una linea di uguale elevazione della superficie strutturale esaminata. Esse sono discusse in
dettaglio in vari testi (p.e. RAGAN, 1973, pp. 158-163; LISLE, 1988, pp. 12-23; BUTLER &
BELL, 1988, p. 29; BOULTER, 1989, pp. 12-14 e 37-40) ai quali si rimanda per maggiori informazioni. Le curve di livello evidenziano bene le irregolarità morfologiche delle superfici di faglia.
Diagrammi di separazione stratigrafica (stratigraphic separation diagrams)
I diagrammi di separazione stratigrafica sono stati utilizzati per la prima volta in
ELLIOTT & JOHNSON, 1980 (citati in TAVARNELLI, 1996, p. 86): essi permettono di definire i
rapporti fra la faglia e gli strati del letto e del muro.
Questi diagrammi consistono in grafici bidimensionali, in cui l’asse delle ascisse rappresenta la distanza orizzontale tra l’origine e il punto esaminato, mentre l’asse delle ordinate rappresenta la successione stratigrafica attraverso cui la faglia si sviluppa.
Ogni punto lungo la faglia viene rappresentato nel diagramma da due punti rappresentanti il cutoff di tetto e quello di letto: nel diagramma l’ascissa rappresenta la distanza dall’origine, e l’ordinata le formazioni tagliate nel tetto e nel letto della faglia. Considerando vari punti situati lungo la
traccia della faglia si individuano due linee, rappresentanti rispettivamente una “linea di tetto” e
una “linea di muro” (TAVARNELLI, 1996, pp. 86-88). Quando la “linea di tetto” è più alta stratigraficamente della “linea di muro” la faglia ha una separazione normale, viceversa la faglia ha
una separazione inversa (ELLIOTT & JOHNSON, 1980).
Analisi mesostrutturale delle zone di faglia
L’analisi mesostrutturale delle zone di faglia permette di riconoscere la direzione di movimento della faglia.
Le strutture che si formano in corrispondenza di zone di taglio sono state descritte p.e. in
RUTTER et al. (1986) mentre le strutture che permettono di ricostruire la direzione ed il senso di
spostamento di due blocchi sono state descritte p.e. in PETIT (1987) ed in MEANS (1987).
Sulla base delle caratteristiche delle principali faglie , si possono distinguere due gruppi di
faglie: le faglie inverse-destre, che hanno accomodato il raccorciamento durante la fase contrazionale supramiocenica-infrapliocenica, e le faglie normali, che hanno accomodato la distensione presente nella zona durante la successiva fase mesopliocenica-attuale.
Le faglie inverse-destre
Il periodo di attività delle faglie inverse-destre non è esattamente ricostruibile, a causa
della scarsità o mancanza di depositi sinorogeni nella zona esaminata. Per la zona di Spoleto sono
state proposte differenti età di attività tettonica da vari AA. DECANDIA & GIANNINI (1977a)
riconoscono due fasi tettoniche, la prima serravalliana o tortoniana e la seconda del Tortoniano o
del limite Pliocene inferiore-medio. DECANDIA (1982) ritiene che le faglie di Schioppo e di
49
Grotti siano della fine del Pliocene inferiore. DECANDIA & TAVARNELLI (1991) ritengono che
le pieghe abbiano iniziato a formarsi durante il Tortoniano, mentre i sovrascorrimenti e le faglie
trascorrenti si sarebbero formate presumibilmente nel Messiniano. CIPOLLARI & COSENTINO
(1997) ritengono che la fase tettonica responsabile della strutturazione della zona di Spoleto sia
del Serravalliano. Le faglie esaminate potrebbero quindi essere state attive durante il Miocene
medio-superiore.
Qui di seguito verranno analizzate le principali faglie, partendo da Nord e spostandosi a
Sud.
Faglia di Cammoro
La faglia di Cammoro si sviluppa da Cammoro, prosegue verso M. Cammoro e M.
Carpegna ed arriva alla zona tra Campello sul Clitunno e Poreta, a S della quale è nascosta dal
detrito quaternario: il suo sviluppo è di almeno 11-12 km.
Lungo la sua traccia la direzione
passa da N-S a SW-NE a SSW-NNE, con
l’immersione verso i quadranti occidentali
(fig. 3-51). Variazioni di orientazione della
faglia sono visibili anche alla mesoscala, con
N
1 1200
presenza di steps, in cui la superficie seconM. Brunette
daria interseca quella principale della faglia
M. Cammoro
parallelamente alla direzione delle lineazioni
di movimento del muro (fig. 3-52). Il diagramma di separazione stratigrafica mostra
900
che la linea di tetto è generalmente entro la
Scaglia Variegata o la Scaglia Rossa, mentre
la linea di letto è costantemente compresa
entro la Maiolica sino alla tip-line settentrionale (fig. 3-53).
Le mesostrutture della zona di taglio
2
associata a questa faglia sono state esaminate
in tre siti lungo la traccia della faglia. Le
mesofaglie hanno orientazione differente nei
M. Vergozze
1200
tre siti (fig. 3-54), congruenti, almeno per le
loc. 2 e 3 di fig. 3-37, con le variazioni nella
giacitura della faglia dedotta dallo structure
contour map: esse possono essere suboriz1000
zontali, con movimenti del tetto verso N (loc.
1), oppure possono immergere verso NW con
600
800
movimenti destri-normali verso NE (loc. 2);
M. Castellone
infine possono avere direzione N-S ed
immersione ad W, con movimenti del tetto
2 km
3
dispersi tra E e NNE (loc. 3). Le superfici di
pressure-solution collegate alla zona di taglio
hanno immersioni verso S (loc. 1) o verso W
(loc. 2 e 3) (fig. 3-55). Le vene estensive
sono da suborizzontali a poco inclinate, con
direzione WNW-ESE (loc. 2) (fig. 3-56).
Fig. 3-51 - structure contour map della faglia di Cammoro (i
numeri dentro i cerchi indicano le località delle stazioni
strutturali).
50
W
E
N
SUPERFICE
PRINCIPALE
027, 25
Scaglia
(2)
(1)
Rossa
Rossa
Maiolica
(2)
STEP
(1)
50 cm
SUPERFICE
P RINCIPALE
Fig. 3-52 - particolare del contatto principale tra Maiolica e Scaglia Rossa, lungo la faglia di Cammoro, loc. 2 di fig.
3-37
Bisciaro
linea di muro
Scaglia Cinerea
Scaglia Rossa
Marne a Fucoidi
Maiolica
linea di tetto
Calcari Diasprini
Rosso Ammonitico
Corniola
2.5 km
Fig. 3-53 - diagramma di separazione stratigrafica della faglia di Cammoro
Equal Area
1
2
Equal Area
Equal Area
3
Fig. 3-54 - superfici di faglie e relative lineazioni di movimento osservate nei tre siti strutturali (vedi fig. 3-37) della
faglia di Cammoro, Scaglia Rossa e Scaglia Variegata del muro.
51
1
2
13 Data
3
24 Data
13 Data
Fig. 3-55 - poli delle superfici di pressure-solution nei tre siti strutturali (vedi fig. 3-37), muro della faglia di
Cammoro.
Fig. 3-56 - poli
dele vene estensi ve, Scaglia Rossa
del muro della
faglia di
Cammoro, loc. 2
di fig. 3-37.
4
N
1100
6 Data
1000
Faglia di Grotti
La faglia di Grotti si sviluppa dalla
zona compresa tra Tassinare e Grotti, prosegue attraverso Grotti formando un lineamento morfologico ben visibile, avente una
direzione SW-NE sino alla latitudine di
Piedipaterno, mentre a N di questo cambia
bruscamente di direzione, assumendo una orientazione N-S o SSW-NNE che conserva
sino a M. Grande e M. Maggiore (fig. 3-57);
essa immerge verso i quadranti occidentali
con angoli medio-alti di inclinazione. Il suo
sviluppo è superiore a 12 km. Il diagramma
di separazione stratigrafica indica che si tratta
di una faglia inversa (fig. 3-58): è presente
una sola superficie principale di faglia nella
porzione meridionale a direzione WSW-ENE,
in cui i movimenti registrati hanno un carattere trascorrente con movimenti verso ENE
(fig. 3-59b), mentre la porzione settentrionale, nella cui zona di taglio sono registrati
movimenti inversi-destri diretti verso ENE
(fig. 3-59a), ha le caratteristiche di un
restraining bend con sviluppo di un horse. Il
clivaggio stilolitico ha direzione N-S, subverticale (loc. 5 di fig. 3-37) o variabile fra N-S
e SW-NE, mediamente inclinato (loc. 6 di
5
900
700
6
500
600
1 km
Fig. 3-57 - structure contour map della faglia di Grotti (i
numeri dentro i cerchi indicano le località delle stazioni
strutturali).
52
linea di muro 1
Bisciaro
Scaglia Cinerea
linea di muro 2
Scaglia Rossa
linea di tetto
Marne a Fucoidi
Maiolica
Calcari Diasprini
Rosso Ammonitico
Corniola
5 km
Fig. 3-58 - diagramma di separazione stratigrafica della faglia di Grotti
a
Equal Area
b
Equal Area
Fig. 3-59 - mesofaglie
osservate lungo la
faglia di Grotti, in loc.
5 (a) e 6 (b) di fig. 337. Proiezione equia reale, emisfero inferio re; le frecce indicano il
senso di movimento del
tetto delle faglie.
b
a
Fig. 3-60 - proiezioni
dei poli dei piani di
clivaggio stilolitico
osservati nelle zone di
taglio lungo la faglia
di Grotti, in loc. 5 (a)
e 6 (b) di fig. 3-37.
Proiezione equiareale,
emisfero inferiore.
46 Data
29 Data
Fig. 3-61 - proiezione dei poli delle
vene estensive osservate in loc. 5 di
fig. 3-37, zona di taglio della faglia di
Grotti. Proiezione equiareale, emisfero
inferiore.
9 Data
53
fig. 3-37) (fig. 3-60). Le vene estensive
immergono verso NE con medio angolo di
inclinazione (loc. 5) (fig. 3-61). Nell’estremità
settentrionale della faglia la presenza di un
fault-gouge con spessori di alcuni cm spiega
probabilmente il piccolo spessore della zona
di taglio a muro.
Faglia di Tassinare
La faglia di Tassinare si sviluppa da
Montecchio (a Sud), passa per Tassinare e
prosegue sino a Bazzano, a N del quale non
affiora a causa della copertura detritica quaternaria: la sua continuità longitudinale è di
almeno 9 km. L’analisi cartografica evidenzia
che questa faglia si collega in apparente continuità strutturale con la faglia di Schioppo: tale
continuità è evidenziata dalla separazione
stratigrafica costante al passaggio fra le due
faglie e dal graduale cambiamento nella
direzione della faglia di Tassinare, che va a
raccordarsi alla faglia di Schioppo. La struc ture contour map relativa a questa faglia evidenzia infatti come la sua direzione passa da
NNW-SSE a N-S sino a diventare SSW-NNE
nella sua estremità meridionale, dove si raccorda alla faglia di Schioppo (fig. 3-62). La
faglia mette a contatto terreni più antichi,
quali la Maiolica, sovrapposti a terreni più
giovani, quali la Scaglia Rossa, le Marne a
Fucoidi o il Bisciaro (fig. 3-63): questi ultimi
costituiscono scaglie tettoniche nel muro del
contatto principale. La faglia ha quindi una
separazione stratigrafica inversa.
Lungo la faglia di Tassinare le
mesostrutture delle zone di faglia sono state
esaminate in corrispondenza di un sito strutturale (loc. 7 di fig. 3-37), in cui la faglia è
costituita da una serie di scaglie tettoniche,
limitate da superfici tettoniche che immergono prevalentemente verso Ovest. Le
mesofaglie presentano slickenlines che indicano movimenti destri-inversi, con spostamento del tetto verso NE (fig. 3-64).
Relazioni di intersezione osservate tra differenti faglie (fig. 3-65) permettono di ricostruire
una sequenza deformativa locale: si è sviluppata dapprima una faglia inversa, a medio
angolo di inclinazione, che porta la Scaglia
Bianca sopra alla Scaglia Rossa, con sposta-
N
7
600
700
800
Montecchio
1 km
Fig. 3-62 - structure contour map della faglia di
Tassinare (il cerchio numerato rappresenta una delle
stazioni strutturali).
54
FAGLIA DI SCHIOPPO
S30°W
FAGLIA DI T ASSINARE
N30°E
S
N
Bisciaro
Scaglia Cinerea
Scaglia Rossa
Marne a Fucoidi
Maiolica
Calcari Diasprini
Rosso Ammonitico
Corniola
linea di tetto
linea di muro
5 km
da analisi carta geologica (Decandia, 1982)
questo studio
fig. 3-63 - diagramma di separazione stratigrafica delle faglie di Schioppo (a sinistra) e di Tassinare (a destra).
Equal Area
menti verso NNE; questo contatto è dislocato
da una seconda faglia inversa, a basso angolo,
con movimenti inversi diretti verso E; una
faglia subverticale ha dislocato infine le strutture precedenti, con cinematiche destreoblique e movimenti verso NE del blocco
occidentale. Le superfici stilolitiche hanno nel
sito esaminato una direzione media NNWSSE, su piani subverticali o molto inclinati
(fig. 3-66).
Fig. 3-64 - mesofaglie osservate nel sito
strutturale di Tassinare (loc. 7 di fig. 337).
E
W
Equal Area
F1
F3
F2
Down
Scaglia
Bianca
F2
F3
Up
Scaglia
Rossa
F2
F1
2m
F1
Fig. 3-65 - relazioni di terreno tra mesofaglie osservate nel sito strutturale di Tassinare, loc. 7 di fig. 3-37.
55
Fig. 3-66 - proiezione dei poli dei piani di
pressure-solution, loc. 7 di fig. 3-37, faglia
di Tassinare.
68 Data
Faglia di Schioppo
La faglia di Schioppo si sviluppa da C.le Occhiorenao, passa a SE di M. Fionchi, attraversa Schioppo con un ottimo e classico affioramento e arriva sino a Montecchio, dove sembra passare in continuità alla faglia di Tassinare: la sua continuità è di 9 km. La faglia mantiene una
direzione costantemente SSW-NNE, ad alto
angolo di inclinazione verso Ovest o subverticale (fig. 3-67). La sua separazione
stratigrafica aumenta gradualmente spostanbranch
Montecchio
dosi da C.le Occhiorenao, dove si trova prepoint
sumibilmente la tip-line della faglia, verso
900
Nord, sino ad arrivare al valore massimo
nella zona di Schioppo e di Montecchio
600
(fig. 3-63): la linea di tetto è sempre più
bassa stratigraficamente di quella di muro,
700
per cui la faglia ha separazione inversa.
500
Sono state esaminate le mesostrut600
8
ture della zona di taglio di questa faglia in
corrispondenza dell’affioramento di
600
Schioppo: in questo sito (loc. 8 di fig. 3-37)
è ben evidente un liscione di faglia avente a
400
tetto i Calcari a Posidonia e a letto delle tettoniti calcareo-silicee. Il liscione di faglia
700
presenta una superficie planare, a direzione
N023°E, con immersione verso occidente
900
M. Fionchi
ad alto angolo di inclinazione (quasi 75°),
con numerose lineazioni da abrasione meccanica (fig. 3-68): esso presenta evidenze di
deformazione multipla (multiple deforma tion di MARRETT & ALLMENDINGER,
1990), manifestata dalla presenza sulla stes1000
sa superficie di faglia di lineazioni di movimento in due set differenti: il più sviluppato
M. Solenne
numericamente ha un trend medio di 11°
1 km
con inclinazione di 40° mentre quello meno
sviluppato ha un trend di 220° con inclinazione sui 35° (fig. 3-68). Anche all’interno del set più sviluppato si osservano temFig. 3-67 - structure contour map della faglia di Schioppo
poranee variazioni nella direzione di movi(il cerchio numerato rappresenta una delle stazioni struttu rali).
56
Equal Area
mov. destrinormali
mov. normali
terminali
mov. destroinverso
32 Data
Fig. 3-68 - stereonet rappresentan te le giaciture dei liscioni di faglia
con le lineazioni di movimento
associate, osservate nel sito strut turale di Schioppo (loc. 8 di fig. 337)
Fig. 3-69 - stereonet delle mesofa glie con verso di movimento sicu ro, loc. 8, sito di Schioppo
mento. Il liscione è dislocato da numerose
faglie trasversali, cronologicamente tardive, che hanno le caratteristiche di faglie
normali.
La comparazione con le
mesofaglie per le quali è stato possibile
riconoscere il verso di movimento (fig. 369), osservate principalmente nel letto
della faglia, suggerisce che il set con trend
N10°E rappresenta movimenti destri-normali, mentre quello con trend N220°E
rappresenta dei movimenti destri-inversi.
Le mesostrutture della faglia di Schioppo
suggeriscono quindi che la faglia è stata
attiva durante eventi destri, sia transpressivi sia transtensivi. Per analogia con
quanto ricostruito nella contigua faglia di
Tassinare (precedentemente descritta), si
può ritenere che l’evento transpressivo sia
precedente a quello transtensivo.
Le superfici di pressure-solution
hanno poli immergenti verso NE (fig. 370).
Fig. 3-70 - proiezione dei poli di
piani di pressure-solution, loc. 8,
faglia di Schioppo
SPOLETO
600
800
1000
fig. 3-72
800
Faglia di Spoleto
La faglia di Spoleto è uno dei principali e più studiati sovrascorrimenti
dell’Appennino umbro (p.e. DECANDIA
& GIANNINI, 1977c; DECANDIA 1982;
BARCHI, 1991; BARCHI &
BROZZETTI, 1991; BARCHI et al. ,
1991; DECANDIA & TAVARNELLI,
1991b). Si tratta di un sovrascorrimento
che si sviluppa da M. Pirocchio a Pizzo
1 km
1000
1100
Fig. 3-71 - structure contour map della faglia di Spoleto. Sono
indicate la traccia della superficie antiforme della faglia di
Spoleto (linea spessa tratteggiata) e delle superfici assiali nel
muro della faglia (linee a medio spessore continue). Sono state
differenziate le scaglie tettoniche presenti nel letto della faglia
(in grigio scuro)
57
Corno, dove costituisce un klippe, a Patrico e Monteluco; essa arriva a Vallocchia, dove viene
troncata da una faglia normale. Il contatto è generalmente tra il Calcare Massiccio a tetto e la
Scaglia Rossa (o subordinatamente le Marne a Fucoidi o la Maiolica) nel muro (DECANDIA,
1982).
Per la caratterizzazione cartografica di questa faglia è stata utilizzata la carta geologica
allegata al lavoro di DECANDIA (1982). Da essa sono state ricavate le linee strutturali più
importanti, che sono la structure contour map del sovrascorrimento (fig. 3-71), le linee di cut-off
della stratificazione nel tetto e nel letto del sovrascorrimento (fig. 3-72) e le tracce delle superfici
plicative presenti nel letto del sovrascorrimento (fig. 3-71 e 3-72).
Particolarmente interessante è la carta delle curve di livello del sovrascorrimento (fig. 371): si evidenzia bene che la superficie di faglia non ha andamento planare ma bensì ha una morfologia ad antiforme con un fianco occidentale a direzione SSW-NNE ed un fianco orientale a
direzione WNW-ESE, con la traccia della superficie assiale che ha una direzione NNW-SSE.
Questa morfologia della superficie di faglia è già stata messa in evidenza in BARCHI et al.
(1991). Si nota inoltre che nell’elemento al muro vi sono delle pieghe, tagliate down-section dal
thrust (DECANDIA & TAVARNELLI, 1991), che hanno direzione NNW-SSE, parallele alla traccia dell’antiforme del thrust. Nella porzione NW della zona è possibile determinare le linee di
cut-off della stratificazione sia nel tetto sia nel letto (fig. 3-72): esse, a parte minori variazioni,
hanno una traccia media NNW-SSE.
Un modello possibile che permette di spiegare il parallelismo delle strutture nella zona di
Spoleto è il synchronous thrusting di più sovrascorrimenti: il più importante di questi, il sovrascorrimento di Spoleto, avrebbe tagliato settori che si stavano già deformando per pieghe e sovrascorrimenti ciechi, e sarebbe stato a sua volta ripiegato durante l’evoluzione progressiva dei
sovrascorrimenti più profondi (fig. 3-73).
Vari AA. invocano per il thrust di Spoleto una successiva riattivazione come faglia normale ( BARCHI & BROZZETTI, 1991; DECANDIA & TAVARNELLI, 1991b). In particolare
faglia di
Spoleto
N
livello di décollement
cut-off
lines tetto
cut-off
lines muro
traiettorie
down-section
faglia di
Spoleto
livello di décollement
anticlinale
muro
piegamento
del thrust
faglia di
Spoleto
1 km
livello di décollement
fig. 3-72 - particolare della porzione SW della zona
esaminata in fig. 3-71. Sono indicate la traccia delle
superfici assiali nel muro della faglia, e le linee di cutoff della stratificazione
Fig. 3-73 - modello proposto per l’evoluzione della
deformazione contrazionale nella zona di Spoleto
58
BARCHI & BROZZETTI (1991) sulla base di dati mesostrutturali, ricostruiscono una storia
deformativa che vede dapprima la messa in posto del thrust con movimenti verso N040-80°E, a
cui segue una fase trascorrente, con formazione di faglie destre sintetiche alla faglia della
Valnerina e sinistre antitetiche; si avrebbe poi l’inversione della faglia di Spoleto, come faglia normale a basso angolo con movimenti del tetto verso WSW; ed infine la fase normale terminale con
formazione di faglie normali ad alto angolo di inclinazione, che dislocano la faglia di Spoleto.
Un sito strutturale eseguito in questo studio sembra confermare una attività polifasica della
faglia di Spoleto. Le mesofaglie osservate in loc. 9 di fig. 3-37 (circa equivalente al sito n. 1 di
BARCHI & BROZZETTI, 1991) nella zona di taglio sviluppata nel muro del contatto, hanno
superfici non-planari, dati da tratti subverticali e tratti a basso angolo, che si raccordano in modo
graduale, su cui si sono presenti slickenlines immergenti verso NNW, che conferiscono ai tratti
subverticali la natura di faglie sinistre-oblique, ed ai tratti a basso angolo quella di faglie normali
(fig. 3-74). Le lineazioni di movimento sono parallele alla linea di intersezione delle faglie variamente disposte e le faglie hanno quindi la natura di steps. Questo implica che le faglie si siano
sviluppate riutilizzando superfici piegate e/o derivino dalla coalescenza di varie superfici
preesistenti, diversamente orientate; l’orientazione dei movimenti sarebbe fortemente influenzata
dalla disposizione preesistente delle superfici strutturali; poiché i movimenti sulle superfici sono
oblique a queste, piuttosto che ad un evento trascorrente, come sostenuto in BARCHI &
BROZZETTI (1991) si ritiene che le cinematiche appartengano ad una fase transtensiva, successiva a quella della sovrapposizione dell’elemento di Spoleto sopra all’elemento di M. Fionchi.
Equal Area
a
300-piani taglio-stereoplot
Vectors
40 —> 227
37 —> 097
28 —> 344
b
Values
0.748
0.218
0.034
7 Data
300-lineazioni mov-stereoplot
Vectors
28 —> 348
52 —> 121
24 —> 245
c
Values
0.882
0.090
0.027
8 Data
Fig. 3-74 - dati mesostrutturali raccolti nel sito 9 di fig. 3-37, nel muro del contatto della faglia di Spoleto. In (a)
sono indicate le faglie con le relative lineazioni di movimento; in (b) sono indicati i poli delle faglie con la relativa
statistica di bingham (quadrati vuoti); in (c) sono indicate le lineazioni di movimento con la statistica di Bingham
relativa (quadrati vuoti)
59
Le faglie normali
In un periodo compreso tra il Pliocene inferiore ed il Pleistocene inferiore (BONINI, 1997
e bibliografia all’interno) ha inizio una fase distensiva che determina fra l’altro, la formazione
della Valle Umbra. Riferibili a questa fase distensiva sono le faglie osservate nella zona esaminata.
Le principali faglie normali affiorano nella zona della Valnerina e sono, da Nord a Sud, la
faglia di Acera, la f. di M. Felcito, la f. di Fosso Contrafossi e la f. di Montegiano (fig. 3-75). La
loro continuità è di vari km; esse hanno direzione generalmente NW-SE ma anche N-S (porzione
meridionale della faglia di Fosso Contrafossi), ed immersione ad alto angolo verso SW (fig. 3-76).
Esse tagliano trasversalmente le faglie destre-inverse, ed in particolare la faglia di Grotti,
oppure si sviluppano al di sotto di zone di taglio inverse: p.e. la faglia di Montegiano si sviluppa
alla base della faglia di Tassinare. Queste faglie ribassano i compartimenti ad occidente rispetto a
quelli orientali: i movimenti sono normali, con talora una componente sinistra (faglia di Fosso
Contrafossi, fig. 3-77). Quando le faglie normali attraversano le successioni della Maiolica e dei
Calcari Diasprini si originano spessori plurimetrici di crush breccia e protocataclasiti (sensu SIBSON, 1977), in cui sono presenti porosità ed infiltrazioni di paleosuoli rossastri (faglia di Acera),
mentre quando attraversano la Scaglia si sviluppano strutture S-C.
M. Maggiore
72
54
58
faglia di
Acera
59
59
58
faglia di
M. Felcito
13 Data
Fig. 3-76 - proiezione dei liscioni di
faglia delle principali faglie normali
affioranti nella zona della Valnerina.
M. Galenne
Equal Area
faglia di
Fosso Contrafossi
70
Grotti
55
0
2 km
faglia di
Montegiano
fig. 3-75 - schema geologico con le principali faglie a separazione nor male, presenti nella zona della Valnerina
60
Fig. 3-77 - proiezione delle mesofaglie
osservate nella zona di taglio della
Faglia di Fosso Contrafossi, a Castel
S. Felice.
4. DISCUSSIONE DEI DATI
I dati presentati nel precedente paragrafo verranno ora discussi sotto vari aspetti, riguardo
alle somiglianze e alle differenze tra i vari siti e le varie faglie. Dapprima viene esaminato il tipo
di distribuzione spaziale dei dati mesostrutturali (fabric shape analysis) osservate nelle faglie,
successivamente viene discussa la loro orientazione spaziale media ed il significato di questa orientazione; vengono poi analizzate in modo quantitativo le relazioni tra orientazione spaziale delle
faglie, da una parte, e orientazione delle lineazioni di movimento e tipo dei movimenti, dall’altra;
infine si discutono il significato deformativo e cinematico delle faglie.
a
c
b
4.1 Analisi della distribuzione dei dati
mesostrutturali (fabric shape analysis)
L’analisi della distribuzione dei dati
mesostrutturali e della loro simmetria può
portare informazioni importanti sul grado di
simmetria intrinseco dei processi che hanno
generato le strutture esaminate (TWISS et al.,
1993). La simmetria di queste ultime è stata
analizzata in PATERSON & WEISS (1961,
citati in TURNER & WEISS, 1963) ed in
TURNER & WEISS (1963). Questi ultimi (op.
cit., p. 44) distinguono cinque classi di simmetria per le strutture, che sono: 1) il fabric sferico
2) il fabric assiale 3) il fabric ortorombico 4) il
fabric monoclino 5) il fabric triclino. Mentre
nel primo caso la simmetria è sferica, il che
origina una orientazione casuale degli elementi
del fabric, nel secondo esistono infiniti piani di
simmetria, tutti passanti per un singolo asse, più
un piano di simmetria normale all’asse. Nel
fabric ortorombico esistono tre piani di simmetria, mutuamente ortogonali (più tre digire normali ai piani); nel fabric monoclino esiste un
solo piano di simmetria (più una digira normale
al piano); infine nel fabric triclino non esiste
nessun elemento di simmetria. In fig. 4-1 e 4-2
sono esemplificati gli ultimi quattro tipi di fab ric.
La fabric shape è stata successivamente analizzata approfonditamente in WOODCOCK
(1977). La base teorica della sua analisi è la
trasformazione dei singoli dati in vettori unitari,
dei quali vengono calcolati i coseni direttori li,
mi, ni.
d
Fig. 4-1 - esempi di fabric assiale (a, b) e ortorombico
(c, d). Da fig. 3.13 di TURNER & WEISS, 1963.
a
b
c
d
Fig. 4-2 - esempi di fabric monoclino (a, b) e triclino
(c, d). Da fig. 3.14 di TURNER & WEISS, 1963.
61
Dagli N vettori unitari si calcola la seguente
matrice:
 ∑ l 2i
a = ∑ m i l i
 n l
∑ i i
∑l m ∑l n
∑m ∑m n
∑n m ∑ n
i
i
i
2
i
i
i
i
i
2
i


i


(1)
Di essa si possono calcolare gli autovalori, l1,
l2, l3, (tali che la loro somma valga M) che
vengono normalizzati dividendoli per M: S1=
l1 / M; S2= l2 / M; S3= l3 / M.
Distribuzioni di tipo cluster (axial di TURNER & WEISS, 1963) tendono ad avere:
S1 > S2 ≈ S3
mentre fasce distribuite su ciclografiche tendono ad avere:
S1 ≈ S2 > S3
(WATSON, 1966, citato in WOODCOCK,
1977).
Poiché la fabric shape è direttamente collegata agli autovalori, la prima può essere specificata utilizzando un diagramma bilogaritmico
Fig. 4-3 - diagramma bilogaritmico introdotto da
in cui l’asse delle ascisse vale:
WOODCOCK, 1977. Vedi il testo per maggiori spiega x = ln(S2 / S3)
zioni. Da fig. 1 in WOODCOCK, 1977.
mentre l’asse delle ordinate vale:
y = ln(S1 / S2)
(fig. 4-3). La tendenza rispettiva ad una distribuzione di tipo cluster piuttosto che di tipo girdles
(fascia su ciclografica) è espressa dal parametro:
K=
ln (S1 S 2 )
ln( S2 S3 )
(2)
mentre la tendenza al raggruppamento è espressa dal parametro:
(3)
C = ln( S S )
1
3
L’analisi della fabric shape tramite gli autovalori è perfettamente attendibile quando la dis-
Fig. 4-4 - relazioni tra
mode della distribuzione e
autovettori. I casi (a), (d) e
(e) hanno simmetria orto rombica, il caso (b) ha sim metria monoclina, il caso
(c) ha simmetria triclina.
Da fig. 4 in WOODCOCK,
1977.
62
1
13 Data. Contoured at 1 2 3 4 5 6 7 x uniform
2
24 Data. Contoured at 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 1 x uniform
5
46 Data. Contoured at 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 1 x uniform
3
13 Data. Contoured at 1 2 3 4 5 6 x uniform
6
29 Data. Contoured at 1 2 3 4 5 6 7 8 9 x uniform
7
68 Data. Contoured at 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 1 x uniform
8
Fig. 4-5a - contour dei poli delle superfici
di pressure-solution, nelle varie località
indicate dai numeri in fig. 3-37.
32 Data. Contoured at 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 x uniform
tribuzione è sferica, assiale o ortorombica (unimodale), mentre essa deve essere usata con prudenza quando è ortorombica polimodale oppure monoclina o triclina (fig. 4-4), in quanto gli autovettori per questi ultimi casi possono non coincidere con gli assi di simmetria del fabric (WOODCOCK, 1977, pp. 1233-1234).
Per quanto riguarda gli elementi esaminati, dall’analisi visiva del contour dei dati
mesostrutturali (fig. 4-5a, b, c: poli dei piani per le stiloliti ed i piani di faglia, assi per le lineazioni di movimento) si vede che le stiloliti presentano una simmetria assiale, talora tendente alla
monoclina, sempre unimodale. Invece i piani di faglia e le lineazioni di movimento hanno distribuzioni monocline, bimodali o polimodali. Nel caso dei campioni bimodali una delle due mode
è sempre molto più sviluppata dell’altra: questo è dovuta all’esistenza di due sets di piani di taglio
o di lineazioni di movimento, rispettivamente sintetici (più sviluppato) ed antitetici (meno sviluppato) alla faglia principale. Il primo set è presumibilmente costituito da piani di Riedel sintetici, P
e Y; il secondo set da piani di Riedel antitetici.
Come evidenziato da TWISS et al. (1993), la simmetria che ci si aspetterebbe per i dati di
faglia, nel caso in cui i tensori dello stress e dello strain fossero simmetrici (come generalmente
assunto), dovrebbe essere almeno ortorombica, se non intervengono altri fattori al contorno (p.e.
63
1
2
3
21 Data. Contoured at 1 2 3 … 11 times uniform 34 Data. Contoured at 1 2 3 4 5 6 7 times uniform
17 Data. Contoured at 1 2 3 4 5 6 7 8 9 times uniform
5
37 Data. Contoured at 1 2 3 … 12 times uniform
6
58 Data. Contoured at 1 2 3 … times uniform
7
63 Data. Contoured at 1 2 3 4 5 6 7 times uniform
8
Fig. 4-5b - contour e statistica di
Bingham dei poli delle superfici di
faglia, nelle varie località indicate dai
numeri in fig. 3-37.
66 Data. Contoured at 1 2 3 … times uniform
presenza di anisotropie meccaniche) con simmetria inferiore a quella ortorombica. Il fatto che la
simmetria effettivamente osservata per i dati di faglia sia monoclina richiede quindi una spiegazione che contempli: a) la presenza di altri fattori con simmetria inferiore a quella ortorombica;
o alternativamente, b) l’asimmetria dei tensori dello stress e dello strain. DE PAOR (1994) esamina le implicazioni dell’esistenza di strain e di stress asimmetrici e spiega la formazione di un
solo set di superfici di taglio (invece di due coniugati) come conseguente alla presenza di un
campo di stress asimmetrico (fig. 4-6). Esiste quindi la possibilità che i tensori che descrivono i
campi di stress e di strain responsabili delle strutture osservate siano asimmetrici, anche se non si
può escludere che sia invece importante il ruolo di anisotropie meccaniche preesistenti.
In generale i piani di simmetria monoclina per le faglie e per le relative lineazioni di movimento (corrispondenti alle ciclografiche delle fig. 4-5b e 4-5c) hanno direzioni variabili fra N-S e
W-E. Essi sono fra loro subparalleli: questo indica che le lineazioni di movimento tendono a disporsi su una ciclografica il cui polo è l’asse di colinearità dei piani di faglia: in altre parole, le
faglie sono coniugate. Lo scostamento più marcato da questa regola avviene per il sito 8, relativo
alla faglia di Schioppo (fig. 4-5b, c). Questo è dovuto alla presenza di due sets di lineazioni di
movimento sulle stesse faglie, riferibili presumibilmente ad eventi deformativi diversi.
64
1
2
3
20 Data. Contoured at 1 2 3 … 11 times uniform
27 Data. Contoured at 1 2 3 4 5 6 7 8 9 times uniform
12 Data. Contoured at 1 2 3 4 5 6 times uniform
5
6
7
25 Data. Contoured at 1 2 3 … 11 times uniform
42 Data. Contoured at 1 2 3 4 5 6 7 8 9 times uniform
48 Data. Contoured at 1 2 3 4 5 6 7 times uniform
8
Fig. 4-5c - contour e statistica di Bingham degli
assi delle lineazioni di movimento, nelle varie
località indicate dai numeri in fig. 3-37.
36 Data. Contoured at 1 2 3 4 5 6 7 8 9 times uniform
Dal contour dei dati si vede che gli autovettori non si discostano molto dagli assi di massima inerzia anche quando la simmetria è monoclina bi- o polimodale. Questo fatto rende possibile
utilizzare gli autovalori per caratterizzare la distribuzione dei dati. L’analisi tramite il diagramma
bilogaritmico introdotto da WOODCOCK (1977) (fig. 4-7) evidenzia che i piani stilolitici hanno
distribuzioni di tipo cluster tendenti al uniaxial cluster, mentre i piani di taglio hanno distribuzione per lo più al limite tra cluster e girdle; le lineazioni di movimento hanno caratteristiche
di distribuzione più disperse, con alcuni siti aventi distribuzioni di tipo cluster (loc. 1 e 6 di fig. 337) ed altre di tipo girdle (loc. 3, 7 e 8 di fig. 3-37). E’ possibile che la maggiore tendenza alla
distribuzione di tipo girdle sia conseguente ad una storia deformativa più complessa, con una
maggiore dispersione delle lineazioni di movimento.
65
Fig. 4-6 - a) cerchio di Mohr che rappresen ta un tensore dello stress simmetrico e svi luppo di due set coniugati di faglie; b) cer chio di Mohr per un tensore asimmetrico
dello stress e sviluppo di un solo set di
faglie. Da DE PAOR (1994), fig. 4.
ln(S 1/S2)
6
K=5
U
n
i
a
x
i
a
l
5
4
C
l
u
s
t
e 2
r
s 8
3
2
1
K=2
K=1
Girdles-
Transition
1
5
6
71
81
365 5
6
3
2
2
3
7
7
K = 0,5
Girdles
ln(S1/S3) = 6
5
8
Girdles
Uniaxial
0
1
K = 0,2
4
3
2
1
0
Clusters
Clusters
2
3
4
K=0
5
6
ln(S2/S3)
Fig. 4-7 - diagramma bilogaritmico di WOODCOCK (1977) per la distribuzione dei piani di clivaggio stilolitico
(quadrati), dei piani di faglia (cerchi) e delle lineazioni di movimento (triangoli) realtivi alle varie stazioni strutturali
(i numeri rappresentano le località). Per maggiori dettgli vedi il testo.
66
4.2 Relazioni tra orientazione delle faglie ed orientazione dei movimenti
In questo paragrafo verranno analizzate dettagliatamente le relazioni che intercorrono fra
orientazione delle mesostrutture e direzioni di movimento registrate su queste.
Come si può osservare in fig. 4-8a, la moda della direzione delle mesofaglie può essere
SSW-NNE (faglia di Grotti, loc. 5; faglia di Schioppo, loc. 8), NNW-SSE (faglia di Cammoro,
loc. 3; faglia di Tassinare, loc. 7) ma anche WSW-ENE (faglia di Cammoro, loc. 2; faglia di
Grotti, loc. 6). Quando le mesofaglie sono suborizzontali la direzione ovviamente è ampiamente
1
Values: 23 Interval:10° Radius:25%
2
Values: 34 Interval:10° Radius:25%
6
3
Values: 16 Interval:10° Radius:25%
7
5
Values: 37 Interval:10° Radius:25%
8
Fig. 4-8a - rose dia grams delle direzio ni delle faglie nei
siti strutturali, indi cati in fig. 3-37.
Values: 58 Interval:10° Radius:25%
Values: 63 Interval:10° Radius:25%
1
Values: 21 Interval:10° Radius:25%
2
Values: 28 Interval:10° Radius:25%
6
Values: 43 Interval:10° Radius:25%
Values: 67 Interval:10° Radius:25%
3
Values: 12 Interval:10° Radius:25%
7
67
Values: 27 Interval:10° Radius:25%
8
Values: 41 Interval:10° Radius:25%
Values: 4 8 I nterval :10 ° Rad ius:25%
5
Fig. 4-8b - rose dia grams delle linea zioni di movimento
nei diversi siti strut turali, indicati in fig.
3-37.
dispersa (faglia di Cammoro, loc. 1).
L’analisi delle mesofaglie osservate
nei siti strutturali conferma alla scala
mesostrutturale il risultato già emerso per la
scala macrostrutturale dall’esame delle struc ture contour maps: le faglie hanno in generale
una ampia variabilità di orientazione.
Le lineazioni di movimento osservate
nei vari siti presentano in generale una relativa costanza di trend (vedi fig. 4-8b), SW-NE
(faglia di Cammoro, loc. 2 e 3; faglia di
Grotti, loc. 5 e 6; faglia di Tassinare, loc. 7;
faglia di Schioppo, loc. 8, parte dei dati).
Questa direzione di trasporto tettonico si
inquadra bene nella vergenza appenninica
vettore
movimento
hangingwall
hangingwall
λ (+)
PIANO DI
FAGLIA
direzione orientata
(regola mano destra)
immersione
λ (angolo)
movimenti
0° - 90°
sinistro-inverso
90° - 180°
destro-inverso
180° - 270°
destro-normale
270° - 360°
sinistro-normale
rotazione
antioraria
positiva
footwall
0° ≤ λ ≤ 360°
Fig. 4-9 - illustrazione dei concetti di direzione orien tata secondo la regola della mano destra e di angolo
lambda.
f. inversa
f. sinistra
f. destra
f. normale
f. sinistra
360
1
f. inversa
f. sinistra
f. destra
f. normale
f. sinistra
360
315
2
315
f. inversa
270
f. inversa
270
225
225
f. destra
180
f. destra
180
135
135
f. normale
90
f. normale
90
45
45
f. sinistra
0
0
45
90
135
f. inversa
f. sinistra
180
225
f. destra
270
315
f. sinistra
0
360
0
f. normale
f. sinistra
360
5
45
90
135
f. inversa
f. sinistra
180
225
f. destra
270
315
360
f. normale
f. sinistra
360
315
315
f. inversa
270
f. inversa
270
225
225
f. destra
180
f. destra
180
135
135
f. normale
90
f. normale
90
45
45
f. sinistra
0
0
45
90
135
f. inversa
f. sinistra
180
225
f. destra
270
315
0
f. normale
f. sinistra
360
7
f. inversa
225
f. destra
180
135
f. normale
90
45
f. sinistra
0
0
45
90
135
180
225
270
315
45
90
135
180
225
270
315
360
Fig. 4-10 - grafici cartesiani che met tono in relazione la direzione orienta ta delle mesofaglie (in ascissa) con le
direzioni di movimento su queste
(senso di movimento del blocco a tetto
della faglia, in ordinata). I numeri in
alto a sinistra di ogni grafico indicano
il sito strutturale esaminato, illustrato
in fig. 3-37.
315
270
f. sinistra
0
360
360
68
6
degli spostamenti.
Le relazioni fra la variazione della direzione delle faglie e la variazione delle relative
direzioni di trasporto possono essere investigate tramite l’uso di grafici cartesiani che pongono in
relazione la direzione della faglia (orientata secondo la regola della mano destra: pollice parallelo
alla direzione orientata e indice parallelo all’immersione della faglia, fig. 4-9) con la direzione di
movimento del blocco a tetto della faglia. In questi grafici le faglie di vario tipo (inverse, normali,
destre, sinistre) sono tutte espresse da linee fra loro parallele (vedi fig. 4-10).
Le relazioni tra direzione orientata delle faglie e direzioni di movimento su queste, per i
siti con un sufficiente numero di dati, sono illustrate in fig. 4-10. Da esse si può vedere che l’influenza della direzione della faglia sulla direzione di movimento è scarsa o nulla. In generale i
movimenti delle faglie sintetiche sono diretti verso NE, indipendentemente dalla direzione della
faglia: si hanno così movimenti destri-normali (p.e. faglia di Cammoro, loc. 2) o destri-inversi
(p.e. faglia di Grotti, loc. 5 e faglia di Tassinare, loc. 7). Solo nel caso di mesofaglie sinistre è
osservabile una notevole dispersione nelle direzioni di movimento (p.e. faglia di Cammoro, loc. 2;
faglia di Tassinare, loc. 7).
Per studiare i rapporti tra orientazione delle faglie e tipo di movimento, è possibile utilizsinistra
360
1
sinistra
360
2
315
315
normale
270
normale
270
225
225
destra
180
destra
180
135
135
inversa
90
inversa
90
45
45
sinistra
0
0
45
90
135
180
225
270
315
sinistra
360
sinistra
0
0
360
5
45
90
135
180
225
270
315
360
sinistra
360
315
315
normale
270
normale
270
225
225
destra
180
destra
180
135
135
inversa
90
inversa
90
45
45
sinistra
0
0
45
90
135
180
225
270
315
sinistra
360
0
7
normale
225
destra
180
135
inversa
90
45
sinistra
0
0
45
90
135
180
225
270
315
45
90
135
180
225
270
315
Fig. 4-11 - grafici cartesiani che
mettono in relazione la direzio ne orientata delle mesofaglie (in
ascissa) con il relativo angolo
lambda (in ordinata). I numeri
in alto a sinistra di ogni grafico
indicano il sito strutturale esa minato, illustrato in fig. 3-37.
315
270
sinistra
0
360
360
69
360
6
zare grafici cartesiani in cui la direzione delle faglie (orientata secondo la regola della mano
destra) viene messa in relazione con l’angolo sotteso dalla direzione orientata e dalla lineazione di
movimento (angolo λ di AKI & RICHARDS, 1980) (vedi la fig. 4-9 per maggiori dettagli).
Diagrammi di questo tipo sono stati utilizzati in GHISETTI (1994) e in LITTLE (1996).
In questi grafici (fig. 4-11) si osserva che in tutti i siti i dati con movimenti sintetici presentano una relazione lineare fra le due variabili, con coefficiente angolare prossimo all’unità; i
dati relativi ai movimenti antitetici (piani di Riedel antitetici) sono meno frequenti e si plottano in
settori a parte. Solo nella faglia di Tassinare (loc. 7) sono presenti dei dati che non rispondono a
queste regole.
Osservando che le lineazioni di movimento sono distribuite in fasce approssimabili da
ciclografiche (vedi fig. 4-5c) è possibile per ogni sito riconoscere una ciclografica contenente le
lineazioni di movimento (che verrà d’ora in poi chiamata CLM). La lineazione di movimento per
ogni singola faglia è determinabile dall’intersezione tra il piano di faglia e la CLM. E’ possibile
calcolare la relazione teorica che lega il pitch della lineazione (e quindi anche l’angolo lambda)
alla direzione orientata della faglia (vedi appendice A). Il pitch vale:
 1

pitch = arccos
sin (p)sin (d) + cos(p )cos(d)(cos(s )sin (t ) − sin (s) cos( t ))]
[
sin (θ )

dove:
s, d: direzione orientata (regola mano destra) e inclinazione del piano di faglia
t, p: trend e plunge del polo della CLM
θ : angolo tra polo del piano di faglia e polo della CLM.
(1)
Questa relazione tra direzione orientata della faglia e angolo lambda non è di tipo lineare.
Nel paragrafo 4.1 (Analisi della distribuzione dei dati mesostrutturali - fabric shape analy sis) è stato osservato che i poli dei piani di faglia tendono a giacere su una singola ciclografica
(che verrà d’ora in poi denominata CPF). Introducendo questo come vincolo per l’orientazione
delle faglie si possono ricavare in modo quantitativo le relazioni tra direzione orientata ed angolo
lambda. Un programma in QUICKBASIC (vedi appendice B) in cui sono stati utilizzati come dati
di input le orientazioni delle ciclografiche in tab. 4-1, ha permesso di ottenere i risultati illustrati
in fig. 4-12.
I punti importanti che emergono sono i seguenti:
a) le relazioni teoriche sono espresse da due curve, uguali ma sfalsate in verticale di 180°: la
prima rappresenta le faglie sintetiche, la seconda le faglie antitetiche.
b) entrambe hanno un dominio della direzione orientata che va da (TR -180°) a TR , dove TR è
l’azimuth del polo della CPF.
A SSI A LLE
CICLOGRAFICHE
N
dati
piani
di faglia
loc. 1
13
11-272
05-275
loc. 2
23
41-278
52-283
loc. 5
19
03-009
19-337
loc. 6
5
22-346
10-349
16
31-330
32-340
lineazioni
di movimento
F. di Cammoro
F. di Grotti
F. di Tassinare
loc. 7
70
Tab. 4-1 - dati struttu rali dei siti analizzati,
illustrati in fig. 3-37.
c) queste curve teoriche nella loro parte centrale possono essere approssimate da linee, mentre alle
estremità hanno generalmente andamento curvilineo.
L’accordo tra curve teoriche e dati osservati è generalmente buono, soprattutto nel caso del
sito 1 della faglia di Cammoro. Nella faglia di Tassinare (loc. 7) oltre a dati che si plottano lungo
le curve teoriche, esistono dati che si plottano al di fuori di queste: questo potrebbe essere un
indizio di storia polifasica, che è ulteriormente confermata dall’osservazione di terreno di varie
faglie che si succedono nel tempo (vedi paragrafo “Faglia di Tassinare” in capitolo 3,
“Tettonica”).
In conclusione, la relazione osservata tra direzione orientata delle faglie e angolo lambda,
approssimabile come lineare, deriva dalla particolare distribuzione, in fasce subparallele, dei poli
delle faglie e delle lineazioni di movimento, dovuta alla loro natura di faglie coniugate.
sinistra
360
faglie antitetiche
1
sinistra
360
315
normale
270
normale
270
225
2
faglie antitetiche
315
225
faglie sintetiche
180
destra
135
destra
faglie sintetiche
180
135
inversa
90
faglie antitetiche
45
45
sinistra
0
0
45
90
135
180
225
inversa
90
270
315
faglie antitetiche
sinistra
0
0
360
sinistra
360
faglie antitetiche
5
45
normale
225
180
225
270
315
360
sinistra
faglie antitetiche
315
faglie sintetiche
135
360
315
270
90
normale
270
225
faglie sintetiche
destra
180
180
destra
faglie sintetiche
135
135
faglie antitetiche
90
inversa
inversa
90
45
45
faglie antitetiche
faglie antitetiche
sinistra
0
0
45
90
135
180
225
270
315
sinistra
360
faglie antitetiche
sinistra
0
0
360
45
90
135
180
225
270
315
360
7
315
normale
270
Fig. 4-12 - curve teoriche che
collegano la direzione orientata
con l’angolo lambda, relative ad
ogni sito strutturale. Vedi il
testo per maggiori spiegazioni.
225
faglie sintetiche
180
destra
135
inversa
90
45
faglie antitetiche
sinistra
0
0
45
90
135
180
225
270
315
360
71
6
4.3 Significato deformativo delle faglie
Le faglie sono strutture geologiche che accomodano una frazione significativa della deformazione totale di un volume roccioso. Esse hanno quindi anche un significato deformativo che
può essere analizzato da due differenti punti di vista: come strain finito e come strain incrementale. Per riconoscere il significato in termini di strain finito, seguendo i numerosi metodi proposti
(p.e. WOJTAL, 1986; CLADOUHOS & ALLMENDINGER, 1993; PEACOCK & SANDERSON,
1993) occorre conoscere anche l’entità del rigetto di ogni singola faglia, un dato che in questo studio non si è potuto raccogliere per mancanza di marker adeguati. Il significato in termini di strain
incrementale delle faglie viceversa può essere ricavato anche senza la conoscenza preliminare del
rigetto della faglia. Esso è stato analizzato approfonditamente in MARRETT & ALLMENDINGER, 1990.
Lo strain incrementale relativo ad ogni singola faglia è rappresentabile come un ellissoide la cui
orientazione spaziale presenta delle precise relazioni con la faglia (fig. 4-13): infatti due degli assi
principali dell’ellissoide, quello di massimo raccorciamento (noto come asse P dei sismologi) e
quello di massimo allungamento (asse T) giacciono nel piano definito dal polo del piano di faglia
e dalla lineazione di movimento (movement plane di ARTHAUD, 1969, il cui polo è l’asse B).
Inoltre questi due assi si trovano a 45° sia dal polo della faglia sia dalla lineazione. Una popolazione di faglie è quindi rappresentabile come un insieme di assi incrementali, che possono
essere analizzati statisticamente.
Il risultato di questa analisi per le stazioni strutturali relative alle faglie inverse-destre è
illustrato in fig. 4-14. Da essa si possono trarre varie osservazioni.
Gli assi di massimo raccorciamento incrementale (assi P) sono raggruppati in clusters che
immergono verso ENE, con inclinazione bassa o media. Solo lungo la faglia di Cammoro (loc. 1
di fig. 3-37) la direzione di massimo raccorciamento incrementale è verso NNE.
Gli assi di massimo allungamento incrementale (asse T) hanno orientazioni disperse nei
due quadranti meridionali, con inclinazioni da subverticali a suborizzontali.
Gli assi intermedi delle mesofaglie (assi B) immergono verso NNW o verso WNW e sono
quindi subparalleli alle locali cerniere delle pieghe della stratificazione. Questo subparallelismo
a
b
P
45°
45°
T
Equal Area
asse P
polo della
faglia
piano di
faglia
asse T
piano di
faglia
T
senso di
movimento
direzione di
movimento
P
Fig. 4-13 - a) illustrazione del concetto di asse di massimo raccorciamento e di massimo allungamento dell’ellisse
della deformazione incrementale (ridisegnato da fig. 25.5A di RAMSAY & HUBER, 1987). b) determinazione degli
assi P e T collegati ad una faglia (ridisegnato da MARRETT & ALLMENDINGER, 1990, fig. 1).
72
1
Equal Area
2
Equal Area
3
Equal Area
2
3
3
2
2
3
1
1
N = 13
1
N = 23
5
Equal Area
2
N=5
6
Equal Area
7
Equal Area
2
2
3
3
1
1
N = 19
3
N=5
1
N = 16
8
Equal Area
Fig. 4-14 - stereogrammi degli assi di massimo raccorciamento
incrementale (cerchi pieni) e di massimo allungamento (qua drati vuoti) relativi ai vari siti strutturali, illustrati in fig. 3-37.
I quadrati pieni numerati indicano gli autovettori deducibili
tramite la statistica di Bingham (1: asse T; 2: asse B; 3: asse
P).
3
2
1
N=5
non è casuale, quando si considera che sia gli assi B delle mesofaglie sia gli assi delle pieghe
riflettono la direzione dell’asse intermedio dell’ellissoide della deformazione, associato rispettivamente al fagliamento e al piegamento. Dal parallelismo osservato ne consegue quindi che fagliamento e piegamento sono stati presumibilmente entrambi espressione dello stesso campo deformativo collegato al raccorciamento.
Dal contour degli assi P (fig. 4-15a) e degli assi T (fig. 4-15b) cumulativi dei vari siti si osserva
a
Equal Area
N = 86
C.I. = 2.0%/1% area
b
Equal Area
N = 86
73
C.I. = 2.0%/1% area
Fig. 4-15 - a)
contour di
Kamb degli
assi P cumula tivi delle sta zioni esamina te. b) contour
di Kamb degli
assi T cumula tivi.
Equal Area
2
Fig. 4-16 - stereonet degli assi di massimo raccor ciamento (cerchi pieni) e di massimo allungamen to (cerchi vuoti) relativi alla faglia di Fosso
Contrafossi, a Castel S. Felice. I quadrati pieni
numerati indicano gli autovettori deducibili trami te la statistica di Bingham (1: asse T; 2: asse B; 3:
asse P).
1
3
che il campo deformativo ha caratteristiche intermedie fra quelle di un campo trascorrente e
quelle di un campo compressivo; la direzione di massimo raccorciamento rispecchia bene la
direzione di raccorciamento regionale, antiappenninica (WSW-ENE).
Nel caso delle faglie normali, che dislocano le faglie inverse-destre, invece la distribuzione
degli assi P e T è nettamente differente. In fig. 4-16 è illustrato il risultato di questo tipo di analisi
per la faglia normale di Fosso Contrafossi, a Castel S. Felice: si vede come la direzione di massima estensione è ora WSW-ENE, orizzontale, mentre la direzione di massima compressione
immerge ad alto angolo verso Sud. Durante la fase contrazionale appenninica la direzione WSWENE rappresenta la direzione di massimo raccorciamento, mentre nella successiva fase distensiva
essa rappresenta la direzione di massimo allungamento.
74
4.4 Significato dinamico delle faglie
I movimenti sulle faglie sono regolati dall’insieme delle forze che agiscono su queste
superfici. E’ quindi possibile dai movimenti che sono registrati sulle faglie dedurre informazioni
sul campo di stress che li hanno originati. Questo è fatto tramite la “analisi dinamica”, che è un
metodo di analisi delle popolazioni di faglie che mira a dedurre da queste ultime l’orientazione
del campo di stress che le ha originate. Essa è stata sviluppata per la prima volta da CAREY &
BRUNIER (1974) ed è stato utilizzato successivamente da vari AA. (p.e. ANGELIER, 1979,
1984; ETCHECOPAR et al., 1981; GHEPHART & FORSYTH, 1984; RECHES, 1987; CAREYGAILHARDIS & MERCIER, 1992).
Lo stress è descrivibile tramite un tensore a nove componenti, che supposto simmetrico, ha
solo sei componenti indipendenti (TWISS & MOORES, 1992, p. 146); la direzione del resolved
shear stress (direzione teorica di massimo stress di taglio) sulla faglia dipende da quattro componenti, da cui segue che solo queste quattro quantità possono essere dedotte dai dati osservabili
(GEPHART, 1990a). Le informazioni ottenibili sono le orientazioni dei tre assi principali di stress
ed una grandezza che può essere espressa come:
R =
σ2 − σ1
σ3 − σ1
dove σ 1, σ2, σ3 sono le grandezze degli stress principali.
Quest’ultima grandezza può variare tra 0 e 1: nel primo caso σ1 = σ 2 (axial extension), nel
secondo caso σ2 = σ3 (axial compression), mentre nei casi intermedi si ha stress triassiale (triaxi al stress, terminologia di TWISS & MOORES, 1992, p. 156).
I principali metodi utilizzati si basano su varie assunzioni (CAREY-GAILHARDIS &
MERCIER, 1992; NEMCOCK & LISLE, 1995):
1. il movimento registrato dalle lineazioni è parallelo alla direzione del resolved shear stress sulla
faglia.
2. il movimento su faglie differenti è mutuamente indipendente.
3. il campo di stress è omogeneo alla scala di osservazione.
4. le faglie non hanno esperimentato rotazioni derivanti da tilting variabile oppure da deformazione interna dei blocchi.
Come evidenziato in POLLARD et al. (1993) il campo di stress locale può differire da
quello regionale (cioè quello che si sviluppa a scala ben maggiore della scala della struttura esaminata) per cause quali eterogeneità vicino alla faglia oppure interazione meccanica fra può faglie,
anche se questa differenza generalmente si mantiene bassa rispetto all’incertezza insita nella
misura dei dati.
I risultati rappresentano quindi nel migliore caso una media temporale e spaziale del
campo di stress collegato allo strain incrementale (LITTLE, 1995) e devono essere comunque
essere trattati con precauzione, cercando sia la coerenza interna fra più risultati, sia soprattutto
quella esterna con i risultati forniti da altre strutture.
In questo studio si è utilizzato il programma illustrato in GEPHART (1990a, b), applicandolo solo per le popolazioni di faglie in cui non esistevano evidenze di più di una fase deformativa e in cui erano presenti almeno due set differentemente orientati di faglie, p.e. superfici di
Riedel sintetiche e Riedel antitetiche; si sono inoltre scartate le faglie che presentavano indizi di
piegamento e/o rotazione.
Le popolazioni di faglia esaminate provengono dall’immediato muro della faglia di
Cammoro (loc. 1, 2, 3 di fig. 3-37) e della faglia di Grotti (loc. 5 di fig. 3-37). I risultati dell’analisi sono illustrati in fig. 4-17.
In generale la distribuzione delle orientazioni del σ1 è compresa tra NNE (loc. 1) e ENE
(loc. 2, 3 e 5). Il dato di miglior qualità proviene dal muro della faglia di Grotti (loc. 5) ed indica
75
1
7.6°
0%
s1
11.1°
68%
s3
12.6°
95%
Pole Rot.
2
20.0°
0%
s1
28.0°
68%
s3
31.6°
95%
14.7°
0%
s1
26.8°
68%
s3
31.4°
95%
10.7°
0%
s1
15.8°
68%
s3
18.1°
95%
Pole Rot.
3
Pole Rot.
5
Pole Rot.
76
Fig. 4-17 - orientazioni dei campi di
stress compatibili con le popolazioni
di faglia osservate nei vari siti struttu rali, ottenute tramite il programma
per inversione dello stress FMSI, di
GEPHART (1990a, b). I risultati sono
stati derivati tramite una ricerca per
griglia estesa all’intero campo di pos sibili orientazioni degli assi principali.
Il disaccordo tra dato osservato e dato
predetto dal modello è quantificato
tramite l’angolo di rotazione attorno
al polo della faglia necessario per
portare a coincidere i due tipi di dati
(metodo “pole rotation”), sommato
per l’insieme dei dati. Le possibili
orientazioni che minimizzano la som matoria sono espresse tramite il con tour, con il miglior dato corrisondente
al contour dello 0% (colore nero).
Gli istogrammi (in basso a destra)
esprimono l’andamento del numero
delle soluzioni possibili, al variare di
valore di R (in ascissa), con la miglior
soluzione rappresentata in colore
nero.
un asse σ1 poco inclinato ed immergente verso N75°E.
Le orientazioni possibili per l’asse σ3 sono in generale molto più disperse (tranne che per
la loc. 5), essendo distribuite su ciclografiche a 90° dall’asse σ1. Questo potrebbe indicare che la
grandezza del σ3 è stata circa uguale a quella del σ2, cioè il campo di stress è di tipo axial com pression. Solo nel caso del muro della faglia di Grotti (loc. 5), tutto indica un asse σ3 molto inclinato, immergente verso SSW, associato ad un rapporto R di valore 0.2.
Gli assi σ1 hanno orientazione perfettamente congruente con quella del clivaggio stilolitico
osservato nei siti strutturali (fig. 4-5a); sono inoltre paralleli agli assi di massimo raccorciamento
incrementale dedotti dalle stesse popolazioni di faglie (fig. 4-14). Questa congruenza fra tutti i
vari tipi di dati indica che le direzioni di compressione e quelle di massimo raccorciamento sono
state coassiali durante la storia deformativa, e sono state dirette in media verso ENE, quindi perfettamente compatibili con quelle appenniniche. Viceversa non si osserva questa ottima corrispondenza fra assi σ3 (fra l’altro molto dispersi), assi di massimo allungamento incrementale e vene
estensive. Le componenti di estensione ed allungamento hanno avuto quindi ruoli meno definiti
durante la storia deformativa.
77
5. CONSIDERAZIONI SUL POSSIBILE RUOLO MECCANICO E
GEOLOGICO DEI LINEAMENTI OBLIQUI
5.1 Ruolo meccanico dei lineamenti obliqui
L’analisi delle mesofaglie osservate nei siti strutturali conferma alla scala mesostrutturale
il risultato già emerso per la scala macrostrutturale dall’esame delle structure contour maps: le
faglie hanno in generale una ampia variabilità di orientazione.
Questa variabilità può avere varie origini: a) coalescenza fra fratture preesistenti e fratture
neo-formate, aventi direzioni fra loro differenti; b) formazione di vari sets di faglie aventi differenti direzione e loro coalescenza durante l’evoluzione progressiva; c) piegamento di superfici di
faglia originariamente planari (cf. FREUND, 1974).
La storia geologica riportata per il settore umbro fa ritenere che, a parte locali casi di piegamento di faglie a superficie planare, le variazioni delle direzioni delle faglie derivi dalla coalescenza fra fratture preesistenti e fratture neo-formate. E’ quindi interessante investigare come
queste fratture abbiano giocato dal punto di vista meccanico durante la tettogenesi appenninica.
Le direzioni medie di movimento osservate nei lineamenti a direzione NNE, riassunte in
fig. 5.1, sono dirette in media verso NE, con una dispersione che arriva a quasi 90°. Le direzioni
medie di trasporto tettonico pubblicate per i maggiori sovrascorrimenti dell’Appennino umbro
(con direzione da N-S a NNW-SSE) sono mediamente verso ENE, con una dispersione di poco
superiore ai 45° (fig. 5.2).
Rispetto a questi ultimi, i lineamenti obliqui hanno movimenti deflessi in senso antiorario
(verso N) e maggiormente dispersi. Questa dispersione dei movimenti in funzione della direzione
della faglia è evidente anche nel grafico in fig. 5.3: esistono due gruppi di dati, faglie con movimenti inversi-destri, con caratteristiche intermedie fra quelle di rampa laterale e rampa frontale, e
faglie con movimenti di strike-slip destro, spesso con una debole componente normale. Il gruppo
di faglie con movimenti inversi-destri ha direzioni orientate comprese tra N175° e N200°, e
direzioni di movimento comprese fra N40° e N70°. Il gruppo con movimenti destri ha direzioni
disperse fra N160° e N265°, e direzioni disperse fra N e N85°. Le faglie destre quindi sono associate a più ampie variazioni di direzioni e di cinematiche che non le faglie destre-inverse.
Values: 8 Interval:45° Radius:15 uniform
Values: 10 Interval:36° Radius:15 uniform
Fig. 5-2 - rose diagram delle direzioni di movimento dei
sovrascorrimenti dell’Appennino umbro (fonti: KOOP MAN, 1983; LAVECCHIA, 1985; CALAMITA et al.,
1987; BARCHI & BROZZETTI, 1991; TAVARNELLI,
1996).
Fig. 5-1 - rose diagram delle direzioni di movimento
osservate nei siti strutturali esaminati.
78
Questa deflessione dei movimenti è presumibilmente dovuta al ruolo meccanico giocato
dai lineamenti esaminati, in conseguenza della loro orientazione obliqua rispetto alla direzione di
raccorciamento appenninica.
Per riconoscere se la deflessione e la dispersione dei movimenti sono giustificate da un
punto di vista meccanico sono stati applicati due modelli, uno cinematico e l’altra dinamico, per
prevedere teoricamente la risposta cinematica di fratture preesistenti, orientate casualmente rispetto alla direzione di raccorciamento o compressione regionale.
5.1.1 Modello cinematico
Per l’analisi cinematica della relazione tra orientazione della faglia e conseguenti movimenti su questa è stato utilizzato il modello teorico illustrato in APOTRIA et al. (1992). Esso considera la relazione cinematica esistente tra movimenti su flat regionali e tratti di rampa con caratteristiche comprese fra quelle di rampa frontale e di rampa laterale (fig. 5.4). La direzione di
trasporto su rampe viene messa in relazione con quella regionale su flat considerando due possibili casi limite: il caso del vertical shear e quello del layer parallel shear. Nel primo la deformazione del tetto della faglia al passaggio dal flat alla rampa obliqua viene accomodata da un
simple shear verticale (fig. 5.4A) mentre nel caso del layer-parallel shear la deformazione del
tetto è accomodata da un simple shear parallelo alle superfici di stratificazione (fig. 5.4B). Il
f. inversa
f. sinistra
f. destra
f. normale
f. sinistra
360
315
f. inversa
270
225
f. destra
180
135
90
T
45
C
G
S
0
45
90
135
C
S
C
0
f. normale
G
180
f. sinistra
225
270
315
360
Fig. 5-3 - grafico cartesiano che mette in relazione, in ascissa, la direzione orientata media delle faglie nei vari siti
strutturali e, in ordinata, la direzione di movimento medio del tetto delle faglie. Le faglie si riferiscono alle faglie (C:
faglia di Cammoro; G: f. di Grotti; S: f. di Schioppo; T: f. di Tassinare). Vedi il testo per ulteriori spiegazioni.
79
primo caso sembra quindi più attinente a casi in cui il materiale del tetto è incoerente, oppure è
isotropo oppure se presenta fratture verticali o se la deformazione avviene per meccanismi duttili;
il secondo caso sembra più probabile quando il tetto della faglia è stratificato (APOTRIA et
al.,1992, p. 144), che è appunto quello trattato.
Nel caso del vertical shear non esiste alcuna deflessione della direzione di trasporto tettonico, qualunque sia l’angolo α tra la direzione di trasporto tettonico regionale e la direzione
della faglia, mentre nel caso del layer parallel shear la relazione che lega l’angolo α all’angolo ρ
(angolo tra direzione della faglia e direzione di movimento sulla rampa, vedi fig. 5-5) è la
seguente:
sin ρ =
cosβsinα
2 1 2
(1− (sin αsin β ) )
(eq. 13 in APOTRIA et al. , 1992)
dove β = inclinazione della rampa obliqua
La differenza fra α e ρ indica il valore della deflessione angolare nella direzione di movimento.
a
Fig. 5-4 - modello teorico di APOTRIA et al., 1992: movi menti regionali su flat che arrivano ad interessare rampe
con varia orientazione rispetto alla direzione di trasporto
regionale. Da APOTRIA et al., 1992, fig. 1.
b
Fig. 5-4a - caso del vertical shear; 5-4b caso del layer-parallel shear; utilizzati nel
modello teorico di APOTRIA et al. (1992).
Fig. 3 in APOTRIA et al. (1992).
Fig. 5-5 - parametri utilizzati in APOTRIA et al. (1992) per
il calcolo della deflessione angolare tra direzione di movi mento regionale e direzione sulla rampa obliqua. Fig. 7 in
APOTRIA et al. (1992).
80
Tramite l’uso di EXCELL, è stato determinato per ogni sito strutturale qual’è la direzione
regionale teorica (nel caso del layer parallel shear) che si accorda meglio con le direzioni di
movimento effettivamente osservate (una descrizione più dettagliata del procedimento di determinazione è riportato in appendice C). Il risultato, espresso in forma grafica in fig. 5.6, è costituito
da un grafico avente in ascissa la direzione di movimento osservata sulla rampa, ed in ordinata la
corrispondente direzione teorica di movimento regionale. I quadrati rappresentano le direzioni
regionali di trasporto su flat congruenti con quelle locali osservate su rampa, mentre l’angolo tra
questi ed i punti giacenti sulla linea passante per l’origine e avente coefficiente angolare unitario,
rappresenta la deflessione angolare α - ρ. La maggior parte dei dati di movimento sulle rampe
sono compatibili con direzioni teoriche di movimento regionale comprese tra N50° e N80°, e per
lo più tra N60° e N70°. Essi si inquadrano bene con la direzione di trasporto appenninica, verso
NNE. I dati relativi alle faglie destre invece non si inquadrano con direzioni di trasporto regionale
verso N50°-80°, bensì richiederebbero direzioni di trasporto regionale N0°-30°.
Possibili spiegazioni di questa discrepanza sono:
a) il modello di APOTRIA et al., 1992 non è valido o applicabile per presenza di ulteriori variabili
non considerate nel modello (p.e. influenza della strain compatibility nel determinare le direzioni
di movimento)
b) il modello di APOTRIA et al., 1992 è valido e applicabile e il risultato indica la presenza di un
evento transtensivo, con direzioni di trasporto regionale verso NNE, forse successivo a quello
transpressivo.
direzioni
teoriche
movimenti
regionali
90
6
80
70
8
5
3
60
50
7
40
2
30
20
8
10
1
0
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
direzioni
movimenti
osservati
Fig. 5-6 - grafico cartesiano che mette in relazione, in ascissa la direzione osservata di movimento sulle rampe, ed in
ordinata la direzione teoriche di movimento regionale; i numeri nel grafico si riferiscono ai vari siti strutturali di fig.
3-37. Vedi il testo per ulteriori spiegazioni.
81
5.1.2 Modello dinamico
Per verificare se i movimenti sulle faglie della zona esaminata, che indicano un regime tettonico locale transpressivo, sono inseribili in un contesto regionale di tettonica compressiva, è
stato costruito un modello che considera l’azione di un campo regionale compressivo (assi σ1 e
σ2 orizzontali e asse σ3 verticale) su di un mezzo pre-fratturato (con orientazione casuale delle
fratture) in conseguenza di una fase tettonica pre-orogenetica (corrispondente alla fase sinsedimentaria mesozoico-paleogenica).
Questo modello è basato sull’analisi di JAEGER & COOK (1979, pp. 429-430). In essa si
assume un regime andersoniano, con gli assi cartesiani paralleli agli assi principali dell’ellissoide
dello stress, e si dimostra che la tangente del pitch dello shear stress risultante sul singolo piano
di faglia vale (fig. 5-7):
tan(ω ) =
dove:
ω
n, l, m

n  2
2 σ − σx
m − (1 − n ) z

lm 
σy − σx 
(eq. 13, p. 430 in JAEGER & COOK, 1979)
pitch dello shear stress risultante
coseni direttori della normale al piano di faglia, rispetto agli assi cartesiani.
Come già detto, è stato considerato un caso particolare delle possibili orientazioni dell’ellissoide dello stress: l’asse principale σ1 è orizzontale e parallelo all’asse x, l’asse σ2 è orizzontale
e parallelo all’asse y , mentre l’asse σ3 è verticale e parallelo all’asse z. Si ha σ 1 > σ2 > σ3, con
stress compressivi di segno positivo.
L’eq. (13) di JAEGER & COOK, 1979 può essere riscritta nel seguente modo:
tan(ω ) =
n  2 (1 − n 2 ) 
m −

lm 
R 
con:
R=
σ y − σ x σ 2 − σ1
=
σ z − σ x σ 3 − σ1
Fig. 5-7 - illustrazione delle relazioni
geometriche fra le variabili utilizzate
nell’analisi di JAEGER & COOK
(1979). Da JAGAER & COOK (1979),
fig. 17.2.3.
82
Dato che σ1 > σ 2 > σ3, R può variare tra 0 ed 1. Nel primo caso σ1 = σ 2, nel secondo caso
σ2 = σ 3.
Per comparare il risultato teorico con i dati effettivamente osservati, si deve assumere che i
movimenti sulle faglie sono paralleli allo shear stress risultante.
Il pitch dello shear stress risultante ha la seguente relazione angolare con l’angolo λ
(lambda) di AKI & RICHARDS (1980):
λ = 180° - ω
L’analisi è stata eseguita tramite un programma appositamente scritto (in linguaggio
BASIC, riportato in appendice D). Sono state considerate cinque possibili inclinazioni dei piani di
faglia, rispettivamente di 15°, 30°, 45°, 60° e 75°: ciò ha permesso di riconoscere qual’è l’influenza dell’inclinazione della faglia sulla orientazione dello shear stress risultante.
Nei grafici cartesiani di fig. 5.8 è illustrata la relazione tra l’orientazione della faglia
(angolo fra asse e immersione della faglia, positivo in senso antiorario), in ascissa, e l’angolo λ
del movimento previsto teoricamente, in ordinata.
Si osserva che i movimenti previsti teoricamente sulle faglie sono inversi con una componente di strike-slip destra se l’angolo tra asse σ1 e immersione della faglia è negativo, e sinistra se
tale angolo è positivo. I movimenti sono di dip-slip quando l’immersione della faglia è subparallela o subperpendicolare all’asse σ 1 e/o quando i valori di R sono bassi. I movimenti invece hanno
una componente di movimento di strike-slip predominante quando l’immersione della faglia è
obliqua rispetto all’asse e quando i valori di R sono elevati. Quanto più è inclinata la faglia tanto
più i movimenti tendono ad essere di strike-slip (cf. fig. 5.8 a, b, c con fig. 5.8 d, e). Questo è
congruente con l’osservazione che i movimenti trascorrenti sono testimoniati soprattutto sulle
faglie molto inclinate.
L’influenza dell’orientazione della faglia (angolo fra immersione della faglia e asse σ1,
positivo in senso antiorario), in ascissa, sull’entità della deflessione del vettore movimento teorico
dalla direzione dell’asse σ1, in ordinata, è illustrato in fig. 5.9. In essa si osserva che la direzione
di movimento è funzione non-lineare dell’orientazione della faglia rispetto al campo di stress e del
rapporto R caratteristico del campo di stress. In generale i movimenti sono subparalleli all’asse σ1
solo quando l’immersione della faglia è subparallela all’asse σ1 (0° sull’asse delle ascisse) e/o
l’inclinazione della faglia è bassa (fino a 30°) e il rapporto R è unitario. Quando non si verificano
queste condizione la deflessione dei movimenti diventa molto alta ed arriva a 90° sia in senso
orario sia in senso antiorario.
In particolare quando la faglia è molto inclinata si osservano forti deflessioni delle
direzioni di movimento anche per minime deviazioni angolari fra immersione della faglia ed asse
(vedi fig. 5.9 d, e). La deflessione in questi casi tende a diventare subito molto alta, fino a 60° per
R=1.0, e si riduce poi gradualmente, fino a cambiare di segno e a raggiungere 90° quando la deviazione tra immersione e asse σ1 vale 90°.
Questa analisi dimostra che un campo dello stress regionale compressivo, attivo su fratture
preesistenti differentemente orientate, è compatibile con l’osservazione di movimenti di tipo
obliquo-destro su faglie opportunamente orientate, e cioè formanti un angolo di alcune decine di
gradi con la direzione di compressione regionale ed aventi una inclinazione relativamente elevata
(superiore a 60°). Altro risultato interessante è che, qualunque sia l’inclinazione della faglia, quando R è minore di 1 (quindi σ2 > σ3), le faglie con immersione subperpendicolare all’asse σ1
dovrebbero avere teoricamente movimenti a 90° dalla direzione di compressione regionale.
Questo potrebbe rendere conto delle direzioni di trasporto tettonico verso Nord, fortemente
oblique rispetto alla direzione di compressione regionale, osservate nel Fronte del Gran Sasso, che
ha direzione W-E (GHISETTI & VEZZANI, 1991).
83
a
destro
b
destro
180
170
160
150
0.9
R = 1.0
inclinazione
15°
180
170
160
150
destro- 140
inverso 130
destro- 140
inverso 130
120
120
110
90
0.8
R = 0.0
90
R = 0.0
80
70
70
60
60
50
sinistroinverso
40
R=1.0
30
0.9
50
0.8
40
30
20
R=1.0
20
10
sinistro
0.9
100
inverso
R = 0.0
80
sinistroinverso
inclinazione
30°
110
R = 0.0
100
inverso
R = 1.0
0.9
10
sinistro
0
0
-90 -80 -70 -60 -50 -40 -30 -20 -10 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90
c
-90 -80 -70 -60 -50 -40 -30 -20 -10 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90
d
destro
destro
180
170
160
0.9
R = 1.0
inclinazione
45°
180
170
150
150
destro- 140
inverso 130
destro- 140
inverso 130
120
120
110
100
R = 0.0
90
inverso
R = 0.0
80
inclinazione
60°
R = 0.0
R = 0.0
70
60
60
50
sinistroinverso
40
30
R=1.0
20
50
40
30
0.9
20
10
sinistro
90
80
70
sinistroinverso
R = 1.0
110
100
inverso
0.9
160
10
sinistro
0
-90 -80 -70 -60 -50 -40 -30 -20 -10 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90
R = 1.0
0
-90 -80 -70 -60 -50 -40 -30 -20 -10 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90
e
destro 180
170
0.9
R = 1.0
160
inclinazione
75°
Fig. 5-8 - grafici cartesiani che mettono in
relazione l’orientazione della faglia (angolo
fra asse σ1 e immersione della faglia) in
ascissa, con l’angolo lambda in ordinata. I
vari casi da a) a b) si riferiscono a faglie
con inclinazione crescente.
150
destro- 140
inverso 130
120
110
100
inverso
90
80
R = 0.0
R = 0.0
70
60
sinistroinverso
50
40
30
20
10
sinistro
R = 1.0
0.9
0
-90 -80 -70 -60 -50 -40 -30 -20 -10 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90
84
0.9
a
b
90
80
70
90
inclinazione
15°
80
movimenti
inversi
60
50
70
movimenti
inversi
60
movimenti
destri
50
40
movimenti
destri
40
30
R = 0.0
30
R = 0.0
20
10
inclinazione
30°
20
10
R = 1.0
0
R = 1.0
0
-10
R = 1.0
-10
-20
-20
-30
-30
-40
-50
-40
movimenti
sinistri
R = 0.0
R = 1.0
R = 0.0
movimenti
sinistri
-50
-60
-60
-70
-70
-80
-80
-90
-90
-90 -80 -70 -60 -50 -40 -30 -20 -10 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90
-90 -80 -70 -60 -50 -40 -30 -20 -10 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90
c
d
90
80
70
90
inclinazione
45°
80
movimenti
inversi
60
50
movimenti
destri
R = 1.0
40
R = 0.0
30
R = 1.0
20
10
10
0
0
-10
-10
-20
-20
R = 1.0
-30
-30
-40
-60
movimenti
inversi
movimenti
destri
50
20
-50
inclinazione
60°
60
R = 0.0
40
30
70
R = 1.0
-40
-50
movimenti
sinistri
R = 0.0
-60
-70
-70
-80
-80
-90
R = 0.0
movimenti
sinistri
-90
-90 -80 -70 -60 -50 -40 -30 -20 -10 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90
-90 -80 -70 -60 -50 -40 -30 -20 -10 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90
e
90
80
70
inclinazione
75°
movimenti
destri
movimenti
inversi
R = 1.0
60
50
Fig. 5-9 - grafici cartesiani che mettono in
relazione l’orientazione della faglia (angolo
fra asse σ1 e immersione della faglia) in
ascissa, e la deflessione della direzione di
movimento rispetto all’asse x, in ordinata. I
vari casi da a) a b) si riferiscono a faglie
con inclinazione crescente.
R = 0.0
40
30
20
10
0
-10
-20
-30
-40
-50
-60
-70
-80
R = 0.0
R = 1.0
movimenti
sinistri
-90
-90 -80 -70 -60 -50 -40 -30 -20 -10 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90
85
5.2 Modello di evoluzione geologica del settore esaminato
L’insieme dei dati esaminati fa ritenere che le faglie della zona esaminata abbiano subito
una storia geologica mio-pliocenica e pleistocenica suddivisibile in più eventi deformativi:
• il primo, riferibile alla fase compressiva mio-pliocenica, è caratterizzato dalla riattivazione
delle faglie normali mesozoico-paleogeniche, o quanto meno da loro forte controllo strutturale
sulla individuazione di nuove faglie; queste faglie presentano movimenti diretti verso NE, di
tipo strike-slip destro-inverso (regime transpressivo); contemporaneamente si individuano
sovrascorrimenti a basso angolo con movimenti verso ENE; nel corso dell’evoluzione progressiva segmenti di faglie a differente orientazione tendono a congiungersi fra loro originando
faglie a orientazione variabile; inoltre le faglie subiscono localmente piegamenti; le direzioni di
trasporto tettonico sulle faglie sono controllate dalla loro orientazione rispetto al campo di stress
regionale e da fenomeni di strain compatibility.
• il secondo, riferibile all’inizio della fase distensiva plio-pleistocenica, è caratterizzato dalla
riutilizzazione delle stesse faglie con movimenti diretti verso NNE o NNW, di tipo destro-normale (regime transtensivo);
• il terzo, pleistocenico-attuale, è caratterizzato dallo sviluppo di nuove faglie normali a
direzione NW-SE o N-S che inattivano le faglie preesistenti (regime distensivo).
86
6. RIASSUNTO E CONCLUSIONI
Nell’Appennino settentrionale, ad ovest della linea Olevano-Antrodoco, sono diffusi lineamenti strutturali di età mio-pliocenica, a direzione SSW-NNE, che sono paralleli e in buona parte
coincidenti con linee di separazione tra zone a differenti litofacies altocretacico-paleogeniche.
Questo parallelismo ha suggerito a vari AA. che questi lineamenti siano stati attivi, come
faglie sinsedimentarie, anche nel Cretacico sup.-Paleogene (p.e. BALDANZA et al., 1982;
DECANDIA, 1982; LAVECCHIA, 1985; CALAMITA, 1990) e che siano state riprese, nel MioPliocene, come faglie a movimenti obliqui con ruolo di rampe oblique.
Questo lavoro si è concentrato sulla analisi strutturale di uno di questi lineamenti, e precisamente la “Linea della Valnerina”, nel tratto che va da Schioppo a M. Maggiore, allo scopo di
precisare ulteriormente i dettagli della sua storia evolutiva.
La zona esaminata è strutturata a pieghe e faglie. Le pieghe sono in generale vergenti
verso Est, con le anticlinali talora conformate a box-fold.
Le evidenze geologiche, sia alla mesoscala sia alla macroscala, suggeriscono che insiemi
di faglie si siano mossi contemporaneamente, inducendo il piegamento delle faglie strutturalmente
più alte e/o la formazione di locali traiettorie down-section delle faglie. Un esempio alla
macroscala di entrambe le evidenze è il thrust di Spoleto.
Le faglie esaminate hanno una immersione verso i quadranti occidentali, con direzione
media SSW-NNE, ma variabile nel dettaglio da N-S a NE-SW, e talora anche NNW-SSE, ed inclinazioni basse (poche decine di gradi) o alte (subverticali).
Le faglie macroscopiche presentano delle zone di intensa deformazione, con spessori da
metrici a decametrici, con sviluppo di strutture deformative differenti a seconda della litologia
interessata dalla deformazione: le rocce calcaree hanno reagito in modo fragile, con sviluppo di
brecce di faglia o cataclasiti, in conseguenza di flusso cataclastico; le rocce argilloso-marnose
hanno reagito in modo semiduttile, con sviluppo di strutture S-C, in conseguenza della associazione tra processi di pressure-solution e processi di scivolamento frizionale.
Nelle zone caratterizzate da strutture S-C sono pervasivamente sviluppate mesofaglie, con
i piani fra loro colineari: è generalmente presente un set numericamente più sviluppato, sintetico
alla superficie di faglia principale, ed un secondo set, meno sviluppato, che è costituito da faglie
ad alto angolo rispetto ai margini della zona di faglia e con movimenti antitetici.
Il tipo di movimento (destro, sinistro, inverso o normale) è dipendente dall’orientazione
della mesofaglia: è stata osservata una relazione lineare tra direzione della faglia ed angolo sotteso
dalla slickenline e dalla direzione della faglia (angolo λ di AKI & RICHARDS, 1980). Le
direzioni di trasporto tettonico osservate lungo le faglie esaminate puntano verso il quadrante
nord-orientale, con una loro dispersione di quasi 90° all’interno del quadrante, da tetto-verso-N a
tetto-verso-E. Esistono locamente evidenze di deformazione multipla per cui a movimenti inversidestri verso ENE-NE seguono movimenti destri-normali verso NNE. Rispetto ai movimenti osservati nella zona umbro-marchigiana si osserva una deflessione in senso antiorario delle cinematiche della zona esaminata.
Le mesofaglie delle zone di taglio esprimono assi di massimo raccorciamento incrementale
(assi P) per lo più a basso-medio angolo di inclinazione e immersione verso ENE, mentre gli assi
di massima estensione incrementale (assi T) sono da orizzontali a subverticali e relativamente disperse nelle direzioni. Gli assi B derivati dalle mesofaglie sono subparalleli agli assi delle strutture
plicative: avendo entrambi gli assi lo stesso significato di asse intermedio del tensore deformativo
si può ritenere che le faglie oblique-destre e le strutture plicative siano entrambe espressione degli
stessi eventi deformativi.
Il campo di stress locale associato alle faglie oblique-destre indica un asse σ 1 con
direzione NE-ENE, mentre la giacitura dell’asse σ3 è generalmente poco definita, fatto presumibilmente collegato ad una sostanziale similitudine nella grandezza del σ2 e del σ3 e/o a loro possi87
bili inversioni.
Sia l’analisi cinematica sia quella dinamica indicano un regime tettonico locale transpressivo.
Un modello basato sull’analisi di JAEGER & COOK (1979) dimostra come in un campo
regionale di stress compressivo, sono possibili movimenti con una forte componente di strike-slip
su faglie con direzione obliqua rispetto all’asse σ 1, tanto più quanto più la faglia è inclinata.
Questo induce una deflessione antioraria dei movimenti delle faglie inverse-destre, rispetto all’orientazione del σ1. Questo risultato teorico è in accordo con quanto osservato per le faglie studiate.
Le faglie a direzione SSW-NNE sono presumibilmente strutture antiche, mesozoico-paleogeniche, riattivatesi durante la fase compressiva mio-pliocenica contemporaneamente alla formazione delle strutture plicative e dei thrusts. In conseguenza della loro obliquità rispetto all’asse
di massima compressione regionale esse hanno determinato una locale riorientazione delle
direzioni di movimento verso NNE. Durante la parte iniziale della successiva fase distensiva
alcune di questi lineamenti hanno agito come faglie destre-normali, e sono poi state inattivate
dalla neoformazione di faglie normali.
88
Appendice A
Calcolo dell’angolo tra direzione orientata della faglia e lineazione di movimento.
E’ possibile ricavare il valore dell’angolo compreso tra la direzione orientata di una faglia
e la lineazione di movimento giacente sul piano di faglia, assumendo che le lineazioni di movimento giacciano su una ciclografica (CLM) di cui si conosce l’orientazione.
Dati:
piano di faglia
direzione orientata (regola della mano destra): s
inclinazione:
d
polo della CLM
trend:
plunge:
t
p
Convenzioni tipografiche:
l, l: vettore e magnitudine di vettore
l ∧ f: prodotto vettoriale di due vettori l, f
L x s: prodotto scalare di due vettori L, s
Queste due orientazioni posso essere considerate come due vettori unitari, versori, di cui si possono ricavare i coseni direttori seguendo le formule in ALLMENDINGER, (1997, non pubblicato), tab. 1, p. 16.
Essi sono:
coseni direttori del polo della faglia
f1 = sin(s)sin(d)
f2 = -cos(s)sin(d)
f3 = cos(d)
coseni direttori del polo della CLM
l1 = cos(t)cos(p)
l2 = sin(t)cos(p)
l3 = sin(p)
La lineazione di movimento è parallela al vettore che si ricava dal prodotto vettoriale dei
due versori anzidetti:
L= l∧f
L= L = l f sin(θ)
(θ : angolo tra i due versori l, f )
L1 = l2f3 -l3f2
L2 = l3f1 -l1f3
L3 = l1f2 -l2f1
Il pitch della lineazione è ricavabile tramite il prodotto scalare:
89
L × s = L s cos(pitch)
dove s è il versore orizzontale, parallelo alla direzione orientata, ed avente coseni direttori:
s1 = cos(s)
s2 = sin(s)
s3 = 0
Il pitch vale:
pitch = arccos((L x s)/Ls) = arccos((s1 L1 + s2 L2)/sin(θ))
Sostituendo i valori noti dei coseni direttori e raggruppando si ottiene:
pitch = arccos { [1/sin(θ)][sin(p)sin(d) + cos(p)cos(d)(cos(s)sin(t) - sin(s)cos(t))]}
90
Appendice B
Programma per la determinazione dell’angolo lambda
Questo programma è scritto in linguaggio QUICKBASIC e determina i due valori possibili
dell’angolo lambda a partire dai valori dei poli della CPF e della CLM (vedi paragrafo “Relazioni
tra orientazione delle faglie ed orientazione dei movimenti” e l’appendice A). I valori di output
vengono scritti in tre files Basic da cui possono essere copiati in un programma di analisi dati
(tipo Excell).
‘RELAZIONI STRIKE ORIENTATO-ANGOLO LAMBDA
‘
vers. 1.2, 16 maggio 1997, mod. 19 maggio 1997
‘
Mauro Alberti, Dip. Sc. Terra, Siena
‘modulo per determinare le relazioni angolari tra lo strike orientato
‘(secondo la regola della mano destra) di un piano di faglia, e la
‘lineazione di movimento giacente su questo piano, espresso dall’angolo
‘lambda (angolo tra direzione orientata della faglia e lineazione di
‘movimento, misurato in senso antiorario a partire dalla direzione,
‘con range tra 0° e 360°).
‘
‘
10 CLS
‘introduzione dei dati relativi agli assi B e R
‘asse R: polo della CPF
‘asse B: polo della CLM
‘
‘introduzione del trend e del plunge dell’asse B
20 PRINT “trend (0°-360°) e plunge (5°-85°) del polo della CLM”
30 INPUT “trend, plunge”; TB, PB
40 IF PB < 5 OR PB > 85 THEN 50 ELSE 70
50 PRINT “attenzione! l’asse non può essere suborizzontale o subverticale”
60 GOTO 30
‘
‘introduzione del trend e del plunge dell’asse R
70 PRINT “trend (0°-360°) e plunge (5°-85°) del polo della CPF”
80 INPUT “trend, plunge”; TR, PR
90 IF PR < 5 OR PR > 85 THEN 100 ELSE 120
100 PRINT “attenzione! l’asse non può essere suborizzontale o subverticale”
110 GOTO 80
‘apertura dei files di output e inizio scrittura dati
120 OPEN “OUTPUTA.BAS” FOR OUTPUT AS #1
130 OPEN “OUTPUTB.BAS” FOR OUTPUT AS #2
140 OPEN “OUTPUTC.BAS” FOR OUTPUT AS #3
160 WRITE #1, “polo CLM”, TB, PB, “polo CPF”, TR, PR
‘introduzione del valore π (PG)
‘ e del fattore di conversione da gradi a radianti (K)
200 LET PG = 3.1415926536#
91
210 LET K = PG / 180
‘calcolo dei coseni direttori degli assi B e R
220 LET B1 = COS(TB * K) * COS(PB * K)
230 LET B2 = SIN(TB * K) * COS(PB * K)
240 LET B3 = SIN(PB * K)
250 LET R1 = COS(TR * K) * COS(PR * K)
260 LET R2 = SIN(TR * K) * COS(PR * K)
270 LET R3 = SIN(PR * K)
‘ciclo automatico per S (direzione orientata) da TR-175° a TR-5°, step 5°
‘(il campo permesso va da TR-180° a TR)
310 FOR S = TR - 175 TO TR - 5 STEP 5
‘calcolo dei coseni direttori di S
340 LET S1 = COS(S * K)
350 LET S2 = SIN(S * K)
‘determinazione dei coseni direttori del piano di faglia P tramite il
‘prodotto vettoriale P=S*R ( P è diretto verso il basso, cioè P3>0)
370 LET P1 = S2 * R3
380 LET P2 = -S1 * R3
390 LET P3 = (S1 * R2) - (S2 * R1)
‘calcolo del modulo di P
400 LET P = SQR(P1 ^ 2 + P2 ^ 2 + P3 ^ 2)
‘calcolo dei coseni direttori di P
410 LET P1 = P1 / P
420 LET P2 = P2 / P
430 LET P3 = P3 / P
‘calcolo del vettore movimento tramite il prodotto vettoriale
‘ L=B*P; L=vettore movimento sul piano di faglia il cui polo è P
500 LET L1 = B2 * P3 - B3 * P2
510 LET L2 = B3 * P1 - B1 * P3
520 LET L3 = B1 * P2 - B2 * P1
‘calcolo del modulo di L
530 LET L = SQR(L1 ^ 2 + L2 ^ 2 + L3 ^ 2)
‘calcolo dei coseni direttori di L
540 LET L1 = L1 / L
550 LET L2 = L2 / L
560 LET L3 = L3 / L
‘riduzione della lineazione di movimento L verso il basso
600 IF L3 < 0 THEN LET L1 = -L1: L2 = -L2: L3 = -L3
‘calcolo di COS(PITCH)=CPT
610 CPT = S1 * L1 + S2 * L2
620 IF CPT = 0 THEN PT = PG / 2: GOTO 700
‘trasformazione di COS(PITCH) in TAN(PITCH)=TPT
630 TPT = SQR(1 - CPT ^ 2) / CPT
‘calcolo del pitch, mediante l’ATN e successiva correzione del risultato
‘in valori di pitch compresi tra 0 rad e π rad
640 PT = ATN(TPT)
650 IF PT < 0 THEN PT = PG + PT
‘determinazione dei due valori di lambda, LAMBDAUP e LAMBDADW
‘il primo è inferiore a π rad, il secondo è maggiore di π rad
700 LAMBDAUP = PG - PT
92
710 LAMBDADW = 2 * PG - PT
‘scrittura dei dati nei files di output
‘ se il valore di S è negativo, esso viene portato nel campo positivo
‘ NB S è in gradi
‘ (solo per la scrittura nell’output)
800 LET SO = S
810 IF SO < 0 THEN SO = SO + 360
‘conversione dei valori angolari da radianti a gradi
910 LET LAMBDAUP = INT(LAMBDAUP / K + .5)
920 LET LAMBDADW = INT(LAMBDADW / K + .5)
940 WRITE #1, SO
950 WRITE #2, LAMBDAUP
960 WRITE #3, LAMBDADW
1000 NEXT S
1010 CLOSE #1, #2, #3
1020 END
93
Appendice C
Per determinare quale direzione di trasporto regionale presenta il miglior accordo con le
direzioni di movimento effettivamente osservate sulle rampe, si è fatto uso del modello di APOTRIA et al. (1992) e specificatamente della equazione (13) relativa al caso del layer parallel
shear:
sin(ρ) = cos(β)sin(α)/[1-sin(α)sin(β))2]1/2
(C1)
dove:
ρ = angolo tra la direzione di movimento sulla rampa obliqua e la direzione della rampa obliqua
α = angolo tra la direzione di movimento regionale e la direzione della rampa obliqua
β = inclinazione della rampa obliqua
Sono note la direzione e l’inclinazione media delle faglie nei siti strutturali, che approssimano la
direzione e l’inclinazione della rampa obliqua.
Si sono quindi assunte direzioni di trasporto regionale variabili fra N0° e N90°, con un incremento di 5°.
Da questi dati si può ricavare α (vedi fig. C1):
α = Amr - Adf
dove:
Amr = azimuth dei movimenti regionali
Adf = azimuth della direzione della faglia
e dalla eq. (C1) si può ricavare ρ.
Detto:
Amro = azimuth dei movimenti sulla rampa obliqua
si ha (vedi fig. C1):
Amro = Amr - (α − ρ)
(C2)
E’ quindi possibile, conoscendo la direzione del trasporto regionale, la direzione e l’inclinazione
della rampa obliqua (assunta uguale al valore medio delle faglie nel sito esaminato), determinare
la direzione teorica di movimento sulla rampa obliqua. Poichè è nota la direzione effettiva di
movimento su quest’ultima, si può, con un passaggio inverso, riconoscere quale direzione di
trasporto regionale si accorda meglio col dato osservato.
Questo procedimento è stato eseguito tramite la creazione di più fogli di lavoro EXCELL.
N
N
rampa
obliqua
A df
A mr
flat
α −ρ
direzione di
movimento
regionale
flat
direzione di
movimento
regionale
α
direzione
faglia
94
Fig. C1
Appendice D
Determinazione delle relazioni tra orientazione di una faglia, sua inclinazione, e movimento
previsto teoricamente in un campo di stress andersoniano.
In JAEGER & COOK (1979, pp. 429-430) è analizzata teoricamente la relazione tra
campo di stress andersoniano e “oblique-slip faulting”.
Gli AA. derivano la seguente equazione per l’orientazione dello shear stress risultante su un piano
di faglia arbitrariamente disposto rispetto al campo di stress:
tan (ω) = (n / lm) {m2 - [1-n2][(σz - σx) / (σy - σx)]}
(eq. 13, p. 430 in JAEGER & COOK,
1979)
dove:
ω : pitch dello shear stress risultante
n, l, m : coseni direttori della normale al piano di faglia, rispetto agli assi cartesiani.
Questa formula può essere modificata nel seguente modo:
tan (ω) = (n / lm) {m2 - [(1-n2) / R]}
con:
R = (σz - σx) / (σy - σx) = (σ2 - σ1) / (σ3 - σ1)
Per determinare quantitativamente le relazioni tra orientazione della faglia rispetto al campo di
stress (espressa dall’angolo tra asse σ1 e immersione della faglia) e tipo di movimento (espresso
come angolo λ, sensu AKI & RICHARDS, 1980, e come deflessione angolare del vettore movimento rispetto all’asse σ1) è stato scritto il seguente programma BASIC:
‘
‘ PROGRAMMA PER IL CALCOLO DELL’ANGOLO LAMBDA SU FAGLIE A
‘ DIREZIONE VARIABILE, INSERITE IN UN CAMPO ANDERSONIANO
‘ COMPRESSIVO
‘
‘
Mauro Alberti, 14 ottobre 1997, Siena DST
‘
vers. 1h, mod. 21 ottobre 1997, Siena DST
‘
‘
‘ Questo programma calcola l’angolo lambda (sensu AKI & RICHARDS, 1980)
‘ (output LAMBDA del programma)
‘ del vettore movimento teorico su faglie con inclinazione costante e
‘ direzione variabile, inserite in un campo di stress andersoniano
‘ (sigma 1 orizzontale, parallelo all’asse x; sigma 2 orizzontale,
‘ parallelo all’asse y; sigma 3 verticale e parallelo all’asse z).
‘ Calcola inoltre la orientazione del vettore risultante di shear stress
‘ rispetto alla orientazione dell’asse sigma 1
‘
10 CLS
LET PG = 3.1415926536#
LET K = PG / 180
OPEN “OUTPUTA.BAS” FOR OUTPUT AS #1
95
OPEN “OUTPUTB.BAS” FOR OUTPUT AS #2
OPEN “OUTPUTC.BAS” FOR OUTPUT AS #3
‘ viene inserito il valore di inclinazione della faglia, COLAT
100 PRINT “valore inclinazione faglia, in gradi sessagesimali”
INPUT COLAT
IF COLAT < 0 OR COLAT > 90 THEN 100
‘ viene inserito il valore di R
200 PRINT “valore di R, da 0 a 1”
INPUT R
IF R < 0 OR R > 1 THEN 200
WRITE #1, COLAT, R, “angolo fra asse x e immersione faglia”
WRITE #2, COLAT, R, “angolo lambda”
WRITE #3, COLAT, R, “direzione di movimento rispetto all’asse x”
‘ ciclo per longitudine da -90° a 90°, con incremento di 3°
FOR LONGIT = -90 TO 90 STEP 3
LET L = SIN(COLAT * K) * COS(LONGIT * K)
LET M = SIN(COLAT * K) * SIN(LONGIT * K)
LET N = COS(COLAT * K)
IF R = 0 OR L = 0 OR M = 0 THEN OM = PG / 2: GOTO 500
IF R = 1 AND LONGIT = -90 THEN OM = 0: GOTO 500
IF R = 1 AND LONGIT = 90 THEN OM = PG: GOTO 500
LET TANOM = (N / (L * M)) * (M ^ 2 - ((1 - N ^ 2) / R))
LET OM = ATN(TANOM)
IF OM < 0 THEN OM = PG + OM
500 LET LAMBDA = INT(180.5 - (OM / K))
‘ viene calcolata la rotazione necessaria per determinare
‘ la direzione del movimento, basandosi su COX & HART, 1990, 226-228
LET EX = -SIN(LONGIT * K)
LET EY = COS(LONGIT * K)
LET AX = -SIN(LONGIT * K + LAMBDA * K)
LET AY = COS(LONGIT * K + LAMBDA * K)
LET R11 = (EX ^ 2) * (1 - COS(COLAT * K)) + COS(COLAT * K)
LET R12 = EX * EY * (1 - COS(COLAT * K))
LET R21 = R12
LET R22 = (EY ^ 2) * (1 - COS(COLAT * K)) + COS(COLAT * K)
LET AXP = R11 * AX + R12 * AY
LET AYP = R21 * AX + R22 * AY
LET D = ATN(AYP / AXP)
IF D > 0 AND AXP > 0 THEN DP = D
IF D > 0 AND AXP < 0 THEN DP = D + PG
IF D < 0 AND AXP > 0 THEN DP = D + 2 * PG
IF D < 0 AND AXP < 0 THEN DP = D + PG
LET DP = INT(.5 + (DP / K)) - 180
WRITE #1, LONGIT
WRITE #2, LAMBDA
WRITE #3, DP
NEXT LONGIT
CLOSE #1, #2, #3
END
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