UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI SIENA DIPARTIMENTO DI SCENZE DELLA TERRA DOTTORATO DI RICERCA - IX CICLO TESI DI DOTTORATO DI MAURO ALBERTI RUOLO CINEMATICO E DINAMICO DI LINEAMENTI SINSEDIMENTARI MESOZOICI DURANTE LA TETTOGENESI APPENNINICA - LINEA DELLA VALNERINA, UMBRIA Siena, 1998 Versione PDF, con minori correzioni testo e figure: Giugno 2004 Ringraziamenti Desidero ringraziare tutti coloro che hanno reso possibile che questa tesi venisse portata a ter mine. Innanzitutto desidero ringraziare il mio tutore, prof. Francesco Antonio Decandia, che ha propos to il soggetto della tesi ed ha seguito gli sviluppi sino alla conclusione, anche non condividendo alcune idee che vi sono esposte. Sono profondamente riconoscente al collega ed amico Enrico Tavarnelli, per avermi introdotto all’analisi mesostrutturale sul terreno, per le idee fornitemi e per le utili discussioni avute durante il periodo di dottorato. Proficui sono stati un periodo quadrimestrale all’Istituto di Geologia di Basilea, diretto da Stefan Schmid, e l’attenzione concessami da Niko Froitzeim e Claudio Rosenberg: a tutti loro un caldo ringraziamento. Varie persone del Dipartimento di Scienze della Terra di Siena hanno contribuito a migliorare la tesi: Nadia Rastelli, Marcello Viti, Giovanna Giorgetti, Cecilia Viti, Claudia Magrini, Alessandro Berto, Nicola Corti, la prof. Anna Gandin, Marco Elter, Leonardo Disperati, Piero Fantozzi, Antonella Mancini. L’uso dei programmi STEREOPLOT di Neil Mancktelow, FAULTKIN di Rick Allmendinger, FMSI di John Gephart e di un programma in FORTRAN per la determinazione degli assi P-T, di Marcello Viti, è stato essenziale per l’analisi dei dati: agli autori dei programmi vanno i miei sin ceri ringraziamenti. Ed infine, va ai miei genitori e a mia moglie un grazie per il sostegno morale e materiale che mi hanno dati in questi anni, indispensabile per portare a termine questo lavoro. INDICE 1. INTRODUZIONE 1.1 Scopo del lavoro............................................................................ 1.2 Discussione dei lavori precedenti.................................................. 1 1 2. EVOLUZIONE GEOLOGICO-STRATIGRAFICA MESO-CENOZOICA 2.1 Successione triassica..................................................................... 4 2.2 Successione giurassica.................................................................. 4 2.3 Successione cretacica.................................................................... 10 2.4 Successione cenozoica.................................................................. 13 3. TETTONICA 3.1 Introduzione.................................................................................. 16 3.2 Principali ipotesi sul significato e sul ruolo dei lineamenti obliqui.......................................................................... 17 3.3 Le strutture deformative................................................................ 20 3.3.1 Le mesostrutture................................................................ 20 Le pieghe............................................................... 20 Le superfici stilolitiche.......................................... 25 Le vene.................................................................. 29 Le mesofaglie........................................................ 31 Rocce di faglia...................................................... 35 3.3.2 Le macrostrutture............................................................. 38 Gli elementi tettonici............................................ 38 Le faglie............................................................... 49 Le faglie inverse-destre............................ 49 Le faglie normali...................................... 60 4. DISCUSSIONE DEI DATI 4.1 Analisi della distribuzione dei dati mesostrutturali (fabric shape analysis)................................................................. 61 4.2 Relazioni tra orientazione delle faglie ed orientazione dei movimenti.................................................................................... 67 4.3 Significato deformativo delle faglie............................................ 72 4.4 Significato dinamico delle faglie................................................ 75 5. CONSIDERAZIONI SUL POSSIBILE RUOLO MECCANICO E GEOLOGICO DEI LINEAMENTI OBLIQUI 5.1 Ruolo meccanico dei lineamenti obliqui..................................... 78 5.1.1 Modello cinematico......................................................... 79 5.1.2 Modello dinamico............................................................ 82 5.2 Modello di evoluzione geologica del settore esaminato............. 86 6. RIASSUNTO E CONCLUSIONI.................................................................... 87 APPENDICI Appendice A............................................................................................ 89 I Appendice B............................................................................................. 91 Appendice C............................................................................................. 94 Appendice D............................................................................................. 95 OPERE CITATE............................................................................................................. 97 II Convenzioni adottate Proiezioni stereografiche: equiareali, emisfero inferiore. I versi delle faglie indicano i movimenti del tetto delle faglie. III 1. INTRODUZIONE 1.1 Scopo del lavoro Lo studio classico delle fold-and-thrust belts, basato sull’analisi macrostrutturale e sismica, è fondamentale per una interpretazione della struttura regionale (p.e. BALLY et al., 1966; BALLY et al., 1986) ma soffre di notevoli limitazioni nella definizione di importanti caratteristiche della storia deformativa, quali la possibile presenza di componenti di movimento di strikeslip associate alla convergenza, ed il variare dei campi deformativi e dello stress associati alle faglie. L’analisi cinematica, basata sulla interpretazione dei dati delle mesofaglie e sulle relazioni di intersezione fra queste, fornisce importanti informazioni sulla storia deformativa (p.e. MARRETT & ALLMENDINGER, 1990). L’analisi dinamica (ANGELIER, 1984; GEPHART, 1990a, b) permette di ipotizzare il possibile campo di stress collegato all’attività delle faglie. Queste tecniche di analisi sono state applicate sia in settori convergenti sia in settori divergenti ed hanno evidenziato il carattere transpressivo o transtensivo della deformazione di volumi crostali (p.e. BRAATHEN & BERGH, 1995; FODOR, 1995; TEYSSIER et al., 1995). Tali tecniche sono state applicate anche in questo studio, in un settore dell’Appennino umbro, nella zona della Valnerina, caratterizzata da faglie ad andamento obliquo rispetto al trend generale dell’Appennino settentrionale. Lo scopo di questo studio è di caratterizzare la cinematica e la dinamica di queste faglie, ricostruendo le orientazioni e le possibili variazioni del campo deformativo e del campo di stress ad esse collegate, per riconoscere il ruolo di lineamenti obliqui all’interno di una zona convergente. 1.2 Discussione dei lavori precedenti L’Appennino umbro-marchigiano è stato oggetto di importanti studi geologici a partire dalla fine dell’Ottocento e inizio del Novecento, sia con VERRI (1885, 1903) sia con LOTTI (1905, 1906, 1907, 1926). LOTTI (1926) distinse la “facies umbro-marchigiana”, bacinale, dalla “facies abruzzese”, carbonatica. BEHRMANN (1936) suggerì la presenza di alloctonie nell’Appennino centrale. La natura tettonica del limite tra “facies umbro-marchigiana” e “facies abruzzese” venne riconosciuta da SEGRE (1948), SCARSELLA (1951, 1953) e da BEHRMANN (1958). Tale linea venne denominata “Linea Ancona-Anzio” da MIGLIORINI (1950). MARTINIS & PIERI (1964) sulla base di dati di sondaggio dell’AGIP Mineraria, istituirono la Formazione delle Anidriti di Burano, che venne considerata come livello di scollamento tra basamento poco deformato e copertura, traslata verso Est, da BALDACCI et al. (1967). DALLAN NARDI et al. (1971) interpretarono la Linea Ancona-Anzio come una “superficie di accavallamento dell’arco dell’Appennino settentrionale su quello centro-meridionale”. DECANDIA & GIANNINI (1977b) sulla base dei rapporti tra pieghe, sovrascorrimenti e faglie trascorrenti ritennero che tutte queste strutture appartengano ad una singola fase tettonica. CASTELLARIN et al. (1978, 1982) analizzano dal punto di vista sedimentologico i sedimenti di età compresa fra il Lias ed il Miocene affioranti a Ovest della linea Ancona-Anzio Auct. e ricostruiscono la seguente storia per la faglia: dal Lias medio al Miocene tale linea corrispondeva ad una faglia normale che separava il bacino umbro-sabino dalla piattaforma carbonatica lazialeabruzzese; dal Tortoniano al Messiniano essa avrebbe agito come una faglia di trasferimento destra tra due blocchi differentemente raccorciati, rispettivamente il bacino umbro e la piattaforma 1 carbonatica laziale-abruzzese, con direzione di raccorciamento SW-NE; nel Pliocene inf. le direzioni dei movimenti sarebbero state da Ovest verso Est e la linea Ancona-Anzio avrebbe consentito l’accavallamento delle unità umbro-sabine su quelle carbonatiche laziali-abruzzesi. All’inizio degli anni 80 viene studiata la porzione esterna abruzzese-marchigiana e molisana, di età plio-pleistocenica, con il riconoscimento della migrazione verso Est dei bacini di sedimentazione (CRESCENTI et al., 1980; CASNEDI et al., 1981). LAVECCHIA & PIALLI (1980) ritengono che la copertura, seppure parzialmente scollata dal substrato pre-triassico sup., si sia deformata congruentemente ad un campo deformativo profondo, caratterizzato da master faults trascorrenti, destre su direzione N10°E e sinistre a direzione N100°E. COLI (1981) considera la “Linea Ancona-Anzio” una faglia “trascorrente-sovrascorrente destra della copertura”. SALVINI & VITTORI (1982) e SALVINI & TOZZI (1986) ipotizzano per l’Appennino centrale una storia deformativa mio-pliocenica polifasica, con variazioni nelle direzioni di movimento da SW-NE a W-E ed alternanze di eventi compressivi e distensivi. Viene riconosciuta l’importanza del controllo tettonico sulla sedimentazione cretacicopaleocenica del bacino umbro da BALDANZA et al. (1982) e DECANDIA (1982). Quest’ultimo descrive per la zona di Spoleto una tettonica sinsedimentaria attiva sia durante il Giurassico sia durante il Cretaceo sup.-Paleogene; tale tettonica sarebbe l’espressione superficiale di una linea tettonica profonda, del basamento, che avrebbe rigiocato durante la fase tettonica pliocenica inf. a costituire la “Linea della Valnerina”. Il Fronte dei Sibillini costituisce l’argomento del lavoro di KOOPMAN (1983), per il quale viene riconosciuta una direzione di movimento del tetto verso NE; l’A. applica il modello del fault-bend-folding alla genesi delle macroanticlinali. LAVECCHIA et al. (1984) spiegano la distensione plio-pleistocenica con faglie dirette a geometria di tipo ramp e flat, immergenti verso Ovest ed associate all’apertura per rifting del Tirreno. In uno studio fondamentale per la zona in esame, LAVECCHIA (1985) propone un modello di storia deformativa per l’area umbro-marchigiana caratterizzata da una fase transtensiva giurassica collegata al rifting e al drifting nel margine continentale dell’Oceano Ligure, seguita da un periodo di stasi interrotto al Maastrichtiano dalla ripresa di movimenti tettonici legati ad una fase transpressiva collegata alle deformazioni alpine. Le successive deformazioni mio-plioceniche, a carattere transpressivo e quelle plioceniche sup.-pleistoceniche, transtensive, sarebbero state collegate all’apertura, a partire dal Serravalliano-Tortoniano, del Tirreno e alla associata rotazione antioraria della penisola italiana, con compressione al fronte e distensione all’interno. La successione della deformazione nella copertura meso-cenozoica sarebbe stata condizionata da “master faults trascorrenti profonde” a direzione circa N-S e W-E, e sarebbe consistita in un iniziale buck le folding, seguito dalla enucleazione di faglie inverse cieche ad alto angolo nel Calcare Massiccio, ed infine dalla propagazione in copertura di faglie inverse-oblique, che avrebbero ruotato le pieghe precedentemente formate. Con l’inizio nella zona umbro-marchigiana della fase distensiva, le master faults profonde potrebbero essere state riutilizzate con sensi di movimento invertiti. BALLY et al. (1986) applicano la metodologia delle sezioni sismiche all’Appennino centro-settentrionale. I loro assunti di partenza sono: a) la presenza di una monoclinale regionale del tetto del basamento, identificato con il tetto del “basamento magnetico” di ARISI ROTA & FICHERA (1985), immergente debolmente verso l’hinterland e a profondità di 15 km nell’area di Perugia; b) il non coinvolgimento del basamento pre-triassico sup. nella struttura a falde ad Est di Perugia, assunto basato su dati aeromagnetici (Carta Magnetica d’Italia, AGIP, 1981). Gli AA. concludono che la copertura meso-cenozoica ha subito forti raccorciamenti, che aumentano in valore spostandosi da Nord verso Sud: p.e. i rigetti della Linea Olevano-Antrodoco (Ancona-Anzio Auct.) e del Fronte dei Sibillini andrebbero da 35-50 km a Nord della latitudine di Ancona, sino a 170 km alla latitudine di L’Aquila. COOPER & BURBI (1986) ritengono che la linea “OlevanoAntrodoco-Posta-M.te Vettore” non abbia esperimentato alcun movimento di strike-slip e consid2 erano tale linea come una rampa laterale che avrebbe portato l’unità “Umbria-Marche-Sabina” sull’unità “Lazio-Abruzzi”. BARCHI et al. (1988) dopo avere analizzato in dettaglio una traversa dell’Appennino centrale, riconfermano il modello di LAVECCHIA (1985) per quanto riguarda i rapporti tra pieghe e sovrascorrimenti; inoltre ipotizzano che il basamento cristallino sia effettivamente coinvolto nella struttura a falde. CALAMITA (1990) analizza alcuni esempi di relazioni strutturali tra il Calcare Massiccio e le sovrastanti formazioni pelagiche ed interpreta tali rapporti come legati a blindthrust del Massiccio, seguito da un secondo evento di thrusting che interessa l’intera sequenza. LAVECCHIA et al. (1994) analizzano da più punti di vista le strutture regionali dell’Italia centro-orientale. Gli AA. sottolineano i seguenti punti: a) l’asse σ1 del tensore dello stress derivato dalle faglie contrazionali mio-plioceniche è parallelo all’asse σ3 derivato dalle faglie estensionali plio-pleistoceniche; b) esiste un parallelismo tra orientazione delle strutture profonde (isobate della superficie della Moho, da NICOLICH, 1987, con profondità variabili tra 20 e 35-45 km) ed orientazione delle strutture tettoniche superficiali. Questo parallelismo implicherebbe che queste ultime sono state influenzate dalle prime, e che quindi “basamento” e “copertura” non sono completamente scollati. Sulla base della distribuzione dei terremoti recenti e della distribuzione delle strutture geologiche profonde, gli AA. propongono una suddivisione dell’Appennino centro-orientale in tre zone sismotettoniche: la più occidentale è caratterizzata dalla natura distensiva della deformazione attuale, che si realizzerebbe nell’hangingwall di una superficie di sovrascorrimento di importanza regionale, riattivata con movimenti normali; una zona intermedia, caratterizzata da attività sismica sia compressiva sia distensiva; una zona orientale, caratterizzata da attività sismica compressiva attuale. TAVARNELLI (1997) evidenzia la congruenza delle orientazioni spaziali delle strutture dalla scala mesoscopica a quella cartografica, e ritiene che la formazione dell’Appennino umbromarchigiano derivi da una deformazione continua e progressiva che, da un iniziale layer parallel shortening, passa al piegamento e quindi al thrusting: in particolare il piegamento sarebbe collegato a processi di tip-line folding e quindi esisterebbe uno stretto legame cinematico fra le due strutture. 3 2. EVOLUZIONE GEOLOGICO-STRATIGRAFICA MESOCENOZOICA In questo capitolo si vuole delineare l’evoluzione stratigrafica dal Trias al Miocene inf. del settore esaminato e descriverne in dettaglio la successione stratigrafica, dal Calcare Massiccio (Lias inf.) sino alla Formazione del Bisciaro (Miocene inf.), nonché i sovrastanti depositi continentali quaternari. 2.1 Successione triassica La successione triassica affiora in modo molto frammentario e limitato nella zona umbra. Essa invece è ben conosciuta sia nelle Alpi meridionali, dove presenta indizi di tettonica sinsedimentaria, sia nella zona toscana. Nelle Alpi meridionali orientali, ad Est della Linea delle Giudicarie, la successione stratigrafica triassica consiste di rocce da carbonatiche a terrigene a vulcanoclastiche, deposte in ambienti da continentali a marini, sia di piattaforma carbonatica sia bacinale (DE ZANCHE, 1990). Il controllo tettonico sulla sedimentazione era forte ed associato, dall’Anisico al Carnico inf., ad effusioni di vulcaniti da riolitiche a basaltiche, con affinità calcalcalina (DE ZANCHE, 1990). L’interpretazione geodinamica varia da processi di rifting attivi nel Trias medio e cessati nel Trias sup. (BOSELLINI, 1973) a processi di subduzione ensialica (CASTELLARIN et al., 1980, 1988; BOSELLINI et al., 1982) sino a fasi tettoniche trascorrenti (DOGLIONI, 1984; BLENDINGER, 1985). In particolare DOGLIONI (1984) ipotizza movimenti durante il Trias medio transpressivi sinistri su un allineamento N070°-090°E, mentre BLENDINGER (1985) inferisce delle faglie trascorrenti sinistre, right stepped, a direzione attuale SSW-NNE, attive nel tardo Ladinico. Questa ipotesi, se confermata, è particolarmente interessante per l’analogia di orientazione con le linee trascorrenti mioceniche del settore umbro, e aprirebbe la porta a speculazioni su una loro eventuale attività triassica. In Toscana la base del Trias è rappresentato dal Gruppo del Verrucano, costituito da metasedimenti di età ?Permiano-Scitico-Ladinico (COSTANTINI et al., 1988) che nei Monti Pisani sono riferiti a depositi di ambienti fluviali, evolventi in ambienti di piana tidale ed infine deltaici (CASSINIS et al., 1980 e bibliografia all’interno). Il Gruppo del Verrucano è noto in Umbria solo nella sua parte sommitale raggiunta in sondaggio (pozzo Perugia 2) e descritta come filladi e scisti quarzoso-micacei da GHELARDONI, 1962. Anche la sovrastante formazione delle Anidriti di Burano, del Trias sup., è nota più in sondaggio (vedi MARTINIS & PIERI, 1964) che non in affioramento, almeno per la zona umbra. Essa affiora invece estesamente nella più interna zona Toscana (PASSERI, 1975) (fig. 2.1). Litologicamente è costituita da alternanze, in proporzioni variabili a seconda delle zone, di calcari, dolomie ed anidriti e gessi, con uno spessore superiore a 1000 m (MARTINIS & PIERI, 1964). Tale successione è stata interpretata da PASSERI (1975) come il prodotto della sedimentazione con clima caldo-arido, in ambienti lagunari e di sabkhas. La successiva sedimentazione, prevalentemente carbonatica (Calcari a Rhaetavicula contorta e Grezzoni, questi ultimi parzialmente eteropici con le Anidriti di Burano), sarebbe stata condizionata principalmente dall’umidificazione del clima (PASSERI, 1976). 2.2 Successione giurassica La storia giurassica della zona mediterranea è caratterizzata da un ciclo di rifting che inizia nel Lias. Tale evoluzione è stata ricostruita in vari studi, principalmente negli anni ‘70, sulla base 4 Fig. 2.1 - schema paleogeografico dell’Italia al Trias sup. (da ZAPPATERRA, 1990, fig. 4) 5 della teoria della “tettonica a placche” e del riconoscimento della distribuzione delle anomalie magnetiche nell’Atlantico. La maggior parte dei modelli (p.e. SMITH, 1971; DEWEY et al., 1973; BIJU-DUVAL et al., 1976) considerano le placche rigide ed indeformabili e, per spiegare la complessa struttura della zona mediterranea, introducono varie microplacche (p.e. quella Apula) interposte fra le due placche principali, l’Eurasiatica e la placca Africana. Un modello alternativo è quello di TAPPONNIER (1977), per il quale i limiti delle placche durante la convergenza si deformano in maniera fragile-plastica, il che permette una spiegazione molto elegante della formazione delle “virgazioni” delle catene alpine. Come puntualizzato da TAPPONNIER (1977, p. 440), poiché l’Atlantico ha una orientazione grosso modo N-S e la zona alpino-mediterranea W-E, l’apertura dell’Atlantico centrale comporta principalmente una componente di movimento sinistra dell’Africa rispetto all’Europa. I modelli considerano l’apertura al Lias (circa 180 M.a., secondo DEWEY et al., 1973) dell’oceano Atlantico centrale, fra l’Africa ed il Nord-America come agente principale dell’evoluzione geologica giurassica. Il nuovo limite divergente si sarebbe incuneato nel settore mediterraneo separando l’Apulia dal blocco Eurasiatico (ancora solidale con il Nord-America), ed originando così l’oceano Ligure-Piemontese (fig. 2.2). L’apertura di questo oceano si sarebbe accompagnata, sul nuovo margine passivo individuatosi al bordo occidentale dell’Apulia, ad un processo di rifting che portò ad un importante cambiamento paleogeografico. Mentre nel Lias inf. l’area appenninica era caratterizzata da un ambiente uniforme di acqua bassa con sedimentazione carbonatica, che produsse il Calcare Massiccio, alla fine del Lias inf. nell’intera area si individuarono differenti paleoambienti sedimentari (fig. 2.3) (CASTELLARIN et al., 1978, 1982; WINTERER & BOSELLINI, 1981), alcuni dei quali mantennero le caratteristiche di aree ad acqua bassa con sedimentazione carbonatica (p.e. la Piattaforma Friulana nel Sudalpino e le Piattaforme Panormide e Apula nell’Appennino centromeridionale), mentre altre subirono una rapida subsidenza, la quale portò all’instaurarsi di un ambiente bacinale (p.e. Bacini Lombardo e Bellunese nel Sudalpino, WINTERER & BOSELLINI, 1981; Bacino Umbro-Sabino-Marchigiano nell’Appennino centrale, CASTELLARIN et al., 1978, 1982; Bacini Molisano, Lagonegrese e Apulo interno nell’Appennino meridionale, OGNIBEN, 1969; SCANDONE, 1972; MOSTARDINI & MERLINI, 1986). I limiti principali fra i differenti settori paleogeografici sono stati interpretati come contatti tettonici normali, con direzione media N-S (fig. 2.4) (p.e. margine tra Piattaforma Laziale-Abruzzese e Bacino Umbro, CASTELLARIN et al., 1978; margini tra Piattaforma Friulana, Solco di Belluno, Piattaforma di Trento e Bacino Lombardo, WINTERER & BOSELLINI, 1981) e subordinatamente circa W-E, forse corrispondenti a transfer faults (bordo settentrionale della Piattaforma Laziale-Abruzzese, al limite col bacino Marchigiano, CASTELLARIN et al., 1978; bordo settentrionale della Piattaforma Friulana nel Pliensbachiano, fig. 7 di WINTERER & BOSELLINI, 1981). Nel bacino Umbro-Sabino-Marchigiano è ben visibile una differenza tra “successioni a serie completa”, in cui l’annegamento della piattaforma avvenne nel Lotharingiano, con spessori della serie pelagica notevoli e senza grosse lacune stratigrafiche, e “successioni a serie condensata”, in cui ancora nel Pliensbachiano perdurava la sedimentazione del Calcare Massiccio ed in cui la sovrastante serie ha spessori ridotti e con frequenti lacune stratigrafiche (CENTAMORE et al., 1971). Nelle successioni complete la sedimentazione è prevalentemente carbonatico-clastica, con membri di composizione silicea ed altri marnosa (queste ultime mancanti nelle successioni condensate); solo con la sedimentazione della Maiolica, nel Titonico sup., si può ipotizzare un ambiente con caratteristiche più uniformi (CENTAMORE et al., 1971). Nella zona rilevata le formazioni giurassiche affioranti sono le seguenti (figg. 2.5, 3.38 e 3.40a): 6 Fig. 2.2 - ricostruzione geodinamica dei domini europeo, nord-americano ed africano nel Giurassico inf. (a) e sup. (b). Da TAPPONNIER, 1977, fig. 5a, b. Rosso Ammonitico (Toarciano) Il Rosso Ammonitico è costituito da argilliti rosse o verdi, con intercalati mudstone/wacke stone grigie (in superficie fresca) con struttura nodulare data da stiloliti ondulate di colore rosso mattone. La base della Formazione non è affiorante mentre il tetto è dato dalla Formazione dei Calcari Diasprini. Lo spessore affiorante, a Sud di Monte Galenne, è di poche decine di metri. Calcari Diasprini e Calcari a Posidonia (Aaleniano-Malm) Queste due formazioni, cartografate assieme, sono costituite da alternanze di calcareniti fini (con microfacies di wackestones / packstones), talora con laminazione pian-parallela a lamine di 1-3 mm, di colore nocciola, con abbondanti liste e noduli di selce (anche con rapporto 1:1 tra calcare e selce), di colore bianco-nocciola o marrone. Sono presenti anche calcilutiti (con microfacies di mudstones) bianche e calcisiltiti verdi. A Monte Galenne affiorano calciruditi con noduli 7 irregolari di selce bianca. Le loro caratteristiche morfometriche, stimate con le tabelle di comparazione in fig. 2.6, sono le seguenti: la calcirudite è poco selezionata, con un arrotondamento dei clasti di 0.3-0.4 ed una sfericità di 0.7-0.8; il diametro apparente del granulo massimo è di 2-3 cm. La base è data dalla Formazione del Rosso Ammonitico, il tetto dalla Formazione della Maiolica. Lo spessore è di circa 200 m. Queste formazioni affiorano estesamente a Sud di Monte Galenne, nella zona di Campello sul Clitunno ed infine nella zona di Terne (settore di M. Cammoro). Formazione della Maiolica (Titonico-Cretaceo inf.) E’ costituita da calcilutiti (mudstones) bianco-beige in strati pian-paralleli con spessori in genere tra 20 e 50 cm, talora superiori (anche attorno al m) e talora inferiori (anche di soli 1020 cm). Sono presenti anche intercalazioni di argilliti di colore grigio, con spessore di 10-20 Fig. 2.3 - ricostruzioni paleogeografiche all’Hettangiano (Lias inf.) ( in basso) e al Pliensbachiano (Lias medio). Da BICE & STEWART (1990), fig. 1. Fig. 2.4 - ricostruzione delle relazioni tra bacino umbro-sabino e piattaforma carbonatica appenninica, durante il Mesozoico. Da CASTELLARIN et al. (1978), fig. 4. 8 Miocene inf. B ISCIARO SCAGLIA CINEREA Oligoc. SCAGLIA VARIEGATA Eocene S CAGLIA R OSSA Paleoc. Cretacico SCAGLIA BIANCA sup. M ARNE A FUCOIDI Cretacico inf. MAIOLICA Malm Dogger CALCARI DIASPRINI C ALCARI A P OSIDONIA Lias sup. R OSSO A MMONITICO CORNIOLA Lias medio 500 m CALCARE M ASSICCIO Lias inf. Trias ANIDRITI DI BURANO sup. Fig. 2.5 - successione stratigrafica nella zona esaminata (Valnerina e zone limitofe) 9 cm, oltre ad esili liste di selce color nocciola chiaro. I livelli calcilutitici presentano talora mal distinte laminazioni curve incrociate, a piccola scala (spessore del set inferiore a 5 cm). A Mucciafora, nei pressi del Monte delle Cerrete la direzione della paleo-corrente è circa verso NE. Sono osservabili anche delle laminazioni parallele. La base della Formazione è data dai Calcari Diasprini, il tetto dalle Marne a Fucoidi, con un passaggio relativamente rapido. Lo spessore è di circa 500 m. Questa formazione affiora estesamente nella fascia da Tassinare a Piano della Rota, da Monte Galenne a Monte Grande - Monte Maggiore, nella zona di Vallo di Nera, nella fascia da Colle del Prete a Monte Cammoro. 2.3 Successione cretacica Nel Cretaceo inf. i movimenti relativi tra Apulia-Africa ed Europa passano da laterali sinistri a movimenti di convergenza (fig. 2.7) (DEWEY et al., 1973; TAPPONNIER, 1977). Nel Giurassico sup. il promontorio italiano era già entrato in collisione con il blocco iugoslavo, e nel Cretaceo inf. il primo trascina quest’ultimo verso Nord, causando l’inizio della consunzione dell’oceano Piemontese-Carpatico (porzione settentrionale di quello Ligure-Piemontese), sino ad arrivare nel Cretaceo sup. alla collisione col margine Europeo ed allo stabilirsi di fenomeni di espulsione laterale verso Ovest (écrasement) della parte NW del promontorio italiano, sovrascorrente sul margine Europeo (TAPPONNIER, 1977). La porzione centrale del promontorio italiano invece avrebbe esperimentato, a partire dal Cretacico inf. e sino almeno all’Eocene, una distensione in direzione (cretacica) N-S (ed attualmente NW-SE per la rotazione antioraria subita dall’Italia) (WINTER & TAPPONNIER, 1991). Nell’area Umbro-Marchigiana questa distensione è presumibilmente testimoniata da movimenti tettonici sinsedimentari durante il Cretaceo sup. (e proseguenti nel Paleocene), collegati alla rimobilizzazione dei lineamenti tettonici giurassici e a b Fig. 2.6 - a) tabella di compara zione per l’arrotondamento di clasti (da BOSELLINI et al., 1989, fig. 2.12); b) tabella di comparazione per la sfericità di granuli ( da RICCI-LUCCHI, 1980, vol. 1, fig. 2.39) 10 ritenuti distensivi (DECANDIA, 1982; BALDANZA et al., 1982) o transpressivi (LAVECCHIA, 1985). La composizione dei sedimenti della successione cretacica nel bacino Umbro-Marchigiano, dopo l’episodio delle Marne a Fucoidi, è calcareo-argillosa (Formazioni della Scaglia Bianca e della Scaglia Rossa), con una alimentazione detritica proveniente dalla piattaforma carbonatica (fig. 2.8), innescata dai fenomeni tettonici sinsedimentari (COLACICCHI et al., 1985). Secondo DECANDIA (1982) nella zona di Spoleto il percorso verso Ovest seguito dai canali di alimentazione detritica era bloccato da un alto strutturale creato da una faglia norFig. 2.7 - ricostruzione geodinamica al Cretacico. Da male rialzante ad occidente, attiva nella zona WINTER & TAPPONNIER, 1991. della attuale Linea della Valnerina: essa avrebbe determinato la differenziazione della successione della Scaglia cretacico-paleogenica in due facies, riconosciute da RENZ (1951), rispettivamente con intercalazioni calcarenitiche (ad oriente) e senza queste ultime (ad occidente). Nella zona rilevata le formazioni cretaciche affioranti sono le seguenti (figg. 2.5, 3.38 e 3.40a): Marne a Fucoidi (Albiano sup.-Cenomaniano inf.) Le Marne a Fucoidi sono costituite da argilliti marnose alternate a marne calcaree e ad argilliti nere fissili. Le prime hanno colori dal rosso al verde al grigio, presentano fissilità con spessore inferiore a 3 mm e sono frequentemente bioturbate, con Fucoides. Le seconde hanno colore grigio-verdino e talora presentano liste di selce beige; contengono Planomalina cf. buxtorphi. La stratificazione è sottile, talora con spessore medio nei livelli calcarei. La base della Formazione è data dalla Maiolica, il tetto dalla Scaglia Bianca, con un passaggio molto graduale che avviene tramite l’aumento di spessore dei livelli calcareo-marnosi e la netta diminuzione di quelli argillitico-marnosi. Lo spessore affiorante va da 15 m sino a 75 m. Essa affiora in fasce strette ed allungate, in tutta la zona rilevata. Scaglia Bianca (Cenomaniano-Turoniano inf.) E’ costituita da calcari marnosi bianchi (con microfacies di mudstones) a Globotruncane, con strati spessi sui 5-15 cm, con livelli di selce. Gli strati calcarei sono separati da sottili partimenti argillosi. In sezione sottile si osservano Planomalina cf. buxtorphi e Rotalipora cf. cush mani. La base è data dalle Marne a Fucoidi, il tetto dalla Scaglia Bianca; lo spessore varia da 20 m (zona a successione ridotta ad Ovest della faglia di Grotti) sino a 200 m (zona a successione spessa ad Est della faglia di Grotti). Gli affioramenti di questa formazione sono distribuiti lungo fasce allungate. 11 Scaglia Rossa (Turoniano-Eocene med.) E’ costituita da micriti marnose (con microfacies di mudstones e wackestones) rosa o rosse. Nei calcari marnosi si osservano spesso noduli e liste di selce, di colore vario, talora zonate concentricamente (rosso internamente, bianco esternamente). A queste, nella zona ad Est della faglia di Grotti, si intercalano livelli di calcari bianchi (packstones-wackestones), talora dolomitici (p.e. lungo la s.s. tra Montefiorello e Meggiano, a Geppa e a M.te Galloro), con spessori di 5070 cm ma sino a 2 m. I livelli calcarei bianchi presentano laminazione pian-parallela oltre a Fig. 2.8 - distribuzione dei risedimenti calcarenitici nel bacino umbro-marchigiano-sabino durante il Cretaceo sup.Paleocene. Da CAPUANO et al., 1988, fig. 1. 12 gradazione normale. La base di questi livelli è data spesso da packstones di spessore medio, talora da brecciole calcaree (a Montefiorello), in alcuni casi è presente laminazione incrociata a piccola scala, a cui fa seguito dalla metà sino al tetto del livello una laminazione pian-parallela. A Meggiano, lungo la strada che porta a Monte di Meggiano, si osserva, in prossimità del limite con la sovrastante Scaglia Variegata, una notevole frequenza di livelli calcarei bianchi, talora con base concava (verso l’alto), di natura erosiva, e con un tetto piano. Essa rappresenta verosimilmente il riempimento di un paleocanale. Sono presenti, tra Monte di Meggiano e Monte Grande, dei calcari rosati microconglomeratici, matrix-supported, con i seguenti caratteri morfometrici (vedi fig. 2.6): la roccia è poco selezionata, l’arrotondamento dei clasti è circa 0.4-0.5, la sfericità è circa 0.7-0.8, il diametro del clasto massimo è sui 1-3 mm, senza nessuna orientazione preferenziale dei clasti. Entro la Scaglia Rossa si osservano anche degli slumpings costituiti da pieghe isoclinali. La base della Scaglia Rossa è data dalla Scaglia Bianca, il tetto dalla Scaglia Variegata. Lo spessore è variabile a seconda delle zone: esso è di circa 120-150 m nella zona ad Ovest della faglia di Grotti, e di quasi 400 m ad Est della stessa. Questa formazione affiora estesamente e con affioramenti spettacolari lungo la Valnerina, tra Geppa e M. di Meggiano e nella zona di M. Galloro-M. Metano. 2.4 Successione cenozoica A partire dalla fine del Cretaceo e durante il Neogene il fenomeno principale è la convergenza tra promontorio Apulo ed il margine Europeo, che determina dapprima il restringimento e la chiusura dell’oceano Ligure-Piemontese e successivamente la collisione tra i due blocchi di crosta continentale Apula ed Europea (BOCCALETTI et al., 1971). Il fronte esterno, orientale del settore in raccorciamento è migrato da Ovest verso Est, raggiungendo la zona Umbra nel Miocene medio. I sedimenti di età paleocenica-miocenica inf. della zona umbra si sono sedimentati in un bacino di avampaese rispetto al settore interno, occidentale; essi presentano solo indizi di sedimentazione detritica, alimentata dalla piattaforma laziale-abruzzese, conseguente ad una tettonica sinsedimentaria che rimobilizzava le faglie normali mesozoiche (BALDANZA et al., 1982; DECANDIA, 1982; COLACICCHI et al., 1985). Le formazioni appartenenti a questo intervallo affioranti nella zona studiata sono (figg. 2.5, 3.38 e 3.40a): Scaglia Variegata (Eocene med.-sup.) Si tratta di una successione di strati gradati calcareo-argillosi, la cui base è costituita da calcari marnosi a grana fine-finissima (1/4-1/16 di mm) ma talora anche grossolana o molto grossolana (1/2 - 2 mm) ed il tetto da argilliti. Il colore delle litotipie varia dal grigio-beige al rosso mattone. Sono presenti anche liste di selce rossa. Alla base delle solette calcarenitiche fini non si sono osservate lineazioni di corrente mentre nei livelli intermedi degli strati è presente una laminazione pian-parallela. Nei livelli calcarenitici fini-finissimi è talora visibile una laminazione pian-parallela (< 1 cm) sottolineata da film di colore nero, probabilmente costituite da argilliti. Nelle wackestones sono presenti rarissimi granuli di quarzo, con diametro sui 100 micron. Il contenuto microfaunistico di questa Formazione è molto abbondante ed è costituito principalmente da Foraminiferi. Nelle calcareniti molto grossolane si osservano ricche faune ad Orbitoidacea e Nummulitidi (fra cui Nummulites sp.) mentre nei livelli calcarenitici fini (pack stones) sono abbondantissimi i Foraminiferi plantonici. La base della Formazione è data dalla Scaglia Rossa, il tetto dalla Scaglia Cinerea. Il suo spessore nella zona ad Est della faglia di Grotti è compreso tra 100 e 250 m. Essa affiora estesamente nella zona di M. Motillo e lungo la fascia che da Castel S. Felice va a Paterno e a 13 Meggiano. Scaglia Cinerea (Eocene sup.-Oligocene) E’ costituita da argilliti marnose con marne intercalate. A Meggiano, da Case Piedi la Costa verso Monte di Meggiano questa formazione è data da calcareniti siltose gradate ad argilliti/siltiti, con queste ultime prevalenti. A Cerreto di Spoleto essa è costituita da una alternanza di livelli calcarei di 5-30 cm, con talora laminazione incrociata alla base, che gradano a livelli argillitici marnosi aventi spessore di 5-10 cm. Questa Formazione affiora lungo la fascia da S. Anatolia di Narco a Geppa a Meggiano; il suo spessore è sui 150-200 m. La base è data dalla Formazione della Scaglia Variegata mentre il tetto è dato dalla Formazione del Bisciaro. Formazione del Bisciaro (Aquitaniano-Burdigaliano) E’ costituita da una alternanza di prevalenti argilliti marnose fissili e di marne calcaree. Le seconde (wackestone) sono bianco-grigie in superficie fresca, con patine di alterazione rosso-nere in fratture; si presentano in livelli medi o spessi-molto spessi talora con caratteristiche liste di selce di colore grigio-nera o grigio-azzurrina. A Forca di Bazzano questa formazione è costituita da marne argillose fissili che passano verso l’alto ad una successione di packstones, contenenti Foraminiferi plantonici; queste calcareniti presentano una stratificazione netta, regolare e di spessore medio (10-20 cm) con subordinati interstrati sottili arenaceo-siltosi. Sono presenti talora anche Orbitoidacea entro le calcareniti. La base è data dalla Scaglia Cinerea mentre il tetto è eroso, con l’appoggio in discordanza di sedimenti continentali quaternari. Essa affiora lungo una fascia che va da S. Martino a Geppa a Macchia, con spessori non inferiori a 200 m. Depositi continentali quaternari Nella zona rilevata sono presenti tre principali accumuli di sedimenti continentali quaternari. Essi affiorano a Favetti, a Nord di Forca di Cerro, con una alternanza di paleosuoli e di breccie calcaree; a Geppa, con brecce calcaree; nel Fosso del Traio, a Nord di Mucciafora, con brecce calcaree porose. Detrito di Favetti Esso è costituito da una alternanza di paleosuoli colluviati e di breccie calcaree, con una potenza complessiva di circa 20-30 m. I paleosuoli colluviati sono costituiti da una matrice di argilla e humus, con tracce di carbonati, in cui sono presenti ciottoletti e ciottoli di Maiolica. Il paleosuolo più antico, di cui non si osserva la base, ha un colore marrone chiaro, quello intermedio è rosso con uno spessore di circa 3 m e quello superiore è rosso scuro, ha uno spessore di circa 1.5 m ed è interpretabile come una terra rossa generatasi in ambiente tropicale. Questi tre livelli di paleosuoli sono separati da banchi di brecciole calcaree, ad elementi di Maiolica, da clast- a matrix-supported, eterometriche, con l’asse maggiore subparallelo alla stratificazione. Il diametro apparente dei clasti maggiori è sui 10-15 cm, mentre la moda è sui 1-2 cm. La roccia è tendenzialmente ben selezionata, con un arrotondamento di 0.3 ed una sfericità di 0.80 (vedi fig. 2.6). Non si osserva gradazione degli strati; il loro spessore è sui 2 m verso la base mentre al tetto 14 della successione aumenta a 4 m. Esse potrebbero corrispondere al risultato della criofratturazione in ambiente periglaciale su un originario versante. Al tetto della successione si rinvengono litotipi di suolo beige cementato tipico di ambiente arido con risalita capillare (COLTORTI, com. pers.). L’età di questo corpo detritico è presumibilmente compresa tra 200.000 e 130.000 anni, per analogia con corpi analoghi datati (COLTORTI , com. pers.). Detrito di Geppa Nei pressi di Geppa affiora estesamente un corpo detritico continentale. Esso è costituito da brecce calcaree cementate, a matrice rossastra, con elementi centimetrici localmente matrixsupported (elementi brecciosi piccoli , 1-2 cm). La roccia è poco selezionata, con elementi ad arrotondamento 0.3 e sfericità 0.7 (vedi fig. 2.6), e localmente il rapporto brecce/matrice è sul 5-10 %. Si osservano anche brecce ben selezionate, clast-supported. La genesi di questo corpo detritico è probabilmente dovuta ad un accumulo come detrito di falda, con temporanei episodi di sedimentazione ad opera di torrenti. Detrito di Fosso del Traio Nella zona di Mucciafora, nel Fosso del Traio affiora del detrito cementato di clasti di Scaglia Rossa in cui sono intercalati dei sottili livelli di paleosuoli di colore marrone sporco. Questo detrito giace sui calcari Diasprini. Sempre nella zona di Mucciafora è affiorante del detrito non cementato, clast-supported, con elementi di dimensioni centimetriche, molto ben selezionati, con arrotondamento di 0.2, sfericità di 0.6-0.7 (vedi fig. 2.6), a luoghi senza matrice, altrimenti con una matrice argillosa (?paleosuolo) rosso-marrone. I clasti sono interamente calcarei. Lo spessore minimo del detrito è di 5-6 m. Questo accumulo è forse da mettere in relazione a scarpate di faglia su cui è attivo ed intenso l’accumulo di detrito. 15 3. TETTONICA 3.1 Introduzione Il settore esaminato costituisce una porzione di una zona caratterizzata da faglie transpressive destre, quindi con caratteristiche intermedie tra quelle di sovrascorrimenti e quelle di faglie trascorrenti (fig. 3-1). Dalla storia geologica pre-miocenica del settore umbro si può ragionevolmente ritenere che queste faglie sono state influenzate e/o ereditano preesistenti lineamenti tettonici mesozoico-paleogenici. Lo studio cinematico e dinamico di questi lineamenti permette quindi di ricostruire la strutturazione della catena appenninica da una prospettiva inusuale: i risultati sono complementari a quelli derivanti dallo studio delle rampe frontali e indicano come lineamenti obliqui preesistenti controllano la strutturazione di una zona di sutura. Verranno nel proseguio del capitolo descritte le principali ipotesi avanzate in letteratura sul ruolo di questi lineamenti durante la fase contrazionale appenninica, di età mio-pliocenica, quindi Foligno Visso M. Vettore Linea della Valnerina zona studiata Linea OlevanoAntrodoco M. Boragine Terni ANCONA zone interne zone esterne PERUGIA faglia Sabina Rieti Mar Tirreno dominio vulcanico ROMA 10 direzioni di 20 km movimento faglie inverse e trascorrenti Mar Adriatico dominio LazialeAbruzzese 100 100 km km faglie normali Fig. 3-1 - mappa strutturale e cinematica dell’Appennino settentrionale (modificata da LAVECCHIA, 1985, con dati cinematici da KOOPMAN, 1983, LAVECCHIA, 1985, CALAMITA et al., 1987, BARCHI et al., 1988, ALFONSI et al., 1991, BARCHI & BROZZETTI, 1991, TAVARNELLI, 1996). 16 verranno esaminate le differenti strutture deformative che caratterizzano i volumi rocciosi esaminati, partendo dalle pieghe, passando al clivaggio per concludere con le faglie. Le caratteristiche mesostrutturali delle zone di taglio collegate alle principali faglie osservate saranno discusse ampiamente, mediante una analisi geometrica, cinematica e dinamica, per vedere quali ipotesi fra quelle avanzate si accordano meglio coi dati osservati e quale evoluzione della storia deformativa si può prospettare per il settore studiato. 3.2 Principali ipotesi sul significato e sul ruolo dei lineamenti obliqui In letteratura esiste un generale accordo sul fatto che le faglie destre-inverse derivano dalla riattivazione, durante la fase tettogenetica mio-pliocenica, di faglie mesozoiche con movimenti (obliqui)normali (p.e. DECANDIA, 1982; KOOPMAN, 1983; LAVECCHIA, 1985; CALAMITA, 1990). Esistono almeno quattro differenti interpretazioni sul ruolo cinematico e deformativo di queste faglie durante la tettogenesi. La prima interpretazione ritiene che la successione meso-cenozoica si sia deformata tramite lo sviluppo di pieghe, sovrascorrimenti e la contemporanea riattivazione delle faglie mesozoiche con direzione SSW-NNE come faglie destre-inverse (DECANDIA & GIANNINI, 1977; DECANDIA, 1982; KOOPMAN, 1983; CALAMITA & DEIANA, 1988; CALAMITA, 1990). Le faglie riattivate avrebbero avuto il ruolo di rampe oblique o laterali (fig. 3-2; KOOPMAN, 1983; CALAMITA, 1990). La seconda interpretazione ritiene invece che nella successione meso-cenozoica le faglie destre-oblique si siano sviluppate successivamente alla formazione delle pieghe e dei sovrascorrimenti (LAVECCHIA, 1985; BARCHI et al., 1988). Secondo questo modello durante il Tortoniano-Messiniano la copertura ed il basamento sottostante alle Anidriti di Burano si sono deformate secondo due stili differenti: nella copertura si sono prima enucleate pieghe e poi i sovrascorrimenti, nel basamento sono attive faglie trascorrenti N10° destre e N105° sinistre (fig. 3-3). Durante il Pliocene inf. le faglie del basamento si propagano nella copertura e determinano la locale riorientazione delle strutture plicative. Durante il Pliocene sup.-Pleistocene, in concomitanza della fase transtensiva, si sviluppano faglie dirette con direzione NW-SE mentre le faglie trascorrenti N10° sono in parte riattivate con movimenti sinistri. Nel terzo modello, di CASTELLARIN et al. (1978, 1982), la più importante di queste faglie, la Linea Olevano-Antrodoco (AnzioAncona Auct.) ha avuto due differenti ruoli cinematici (fig. 3-4): durante il TortonianoMessiniano essa è stata una faglia trascorrente destra, con ruolo di trasferimento tra due settori, quello del bacino umbro e quello della piattaforma carbonatica laziale-abruzzese, che si deformavano secondo due differenti stili; Fig. 3-2 - A) rampa frontale; B) rampa obliqua derivante durante il Pliocene inf. ha agito come una dalla riutilizzazione di una preesistente faglia mesozoica faglia inversa con movimenti del tetto verso (da KOOPMAN, 1983, fig. 18). 17 Est. Il quarto modello, basato su dati paleomagnetici, considera le faglie con direzione SSWNNE come faglie trascorrenti che limitano dei blocchi ruotanti su assi subverticali (fig. 3-5): questa ipotesi è stata avanzata per lineamenti meridiani sviluppati nel margine orientale della piattaforma laziale-abruzzese (GHISETTI et al., 1991; MATTEI et al., 1991; MATTEI & MICCADEI, 1991; DELA PIERRE et al., 1992). Fig. 3-3 - A) zone di taglio trascorrenti del basamento (linee spesse con tratteggio obliquo) secondo LAVECCHIA et al., 1984, fig. 1. 18 Fig. 3-4 - ricostruzione geologica della zona a cavallo della attuale linea Olevano-Antrodoco secondo CASTELLA RIN et al., 1978, 1982 (fig. 12 in CASTELLARIN et al., 1978). I: situazione nel Mesozoico; II, III, IV: movimenti trascorrenti destri lungo la paleo-linea Olevano-Antrodoco, dal Tortoniano al Messiniano; V: movimenti inversi verso Est durante la parte terminale del Pliocene inf.; VI: situazione attuale. Fig. 3-5 - modello a rota zione di blocchi su assi subverticali, con faglie trascorrenti al bordo orientale (fig. 8 in DELA PIERRE et al., 1992). 19 3.3 Le strutture deformative Le strutture deformative osservate nei volumi rocciosi studiati sono classificabili come: pieghe, superfici stilolitiche, giunti, vene e superfici di faglia. Mentre i giunti e le vene sono sviluppate solo alla scala micro- e mesoscopica, con un limite lineare superiore attorno al metro, le pieghe e le superfici di faglia sono sviluppate dalla scala micro- e mesoscopica a quella macroscopica (dal mm a decine di km). Questo richiede che nella descrizione delle pieghe e delle faglie si utilizzino almeno due differenti scale di osservazione, quella mesoscopica (dal mm a varie decine di m di sviluppo) a quella macroscopica (da centinaia a migliaia di m). I differenti tipi di strutture hanno differenti significati deformativi e dinamici: p.e. le vene si formano in risposta a pressioni orientate di trazione mentre le superfici stilolitiche derivano da stress compressivi; le faglie e le pieghe possono formarsi sia in regimi distensivi sia compressivi sia trascorrenti. Differenti sono pure i meccanismi deformativi che originano le differenti strutture: p.e. la fratturazione di tipo I (tensile mode, SCHOLZ, 1990) origina vene estensionali, la fratturazione di tipo II e III (in-plane e antiplane shear, rispettivamente) origina faglie e vene di taglio. Lo studio strutturale richiede quindi dapprima una differenziazione delle varie strutture a seconda della loro natura e del loro possibile significato deformativo e dinamico ed infine una sintesi in cui le varie strutture vengono ricollegate in un unico quadro deformativo e/o dinamico, di tipo progressivo oppure discontinuo, che renda conto delle relazioni spaziali e cronologiche che esse presentano. Dei differenti tipi di strutture osservate solo i giunti non sono stati considerati nello studio, in quanto si è ritenuto che il loro contributo alla chiarificazione della storia evolutiva del settore esaminato sia nettamente inferiore a quello che forniscono le altre strutture (vedi discussione in RAMSAY & HUBER, 1987, pp. 664-665). Di seguito vengono descritte le strutture deformative studiate, secondo il seguente ordine: pieghe, stiloliti, vene, faglie. A questo ultimo tipo viene data particolare enfasi, per la ricchezza di informazioni di natura deformativa e dinamica che esse forniscono. 3.3.1 Le mesostrutture Le pieghe Le pieghe sviluppate nella successione sedimentaria possono essere divise in due tipi: a) pieghe che derivano da una deformazione sinsedimentaria da slump, chiaramente riconoscibili nella Scaglia Rossa e nella base della Scaglia Variegata, quindi di età Cretacico sup.-Eocene; b) pieghe che derivano da un layer-parallel shortening successivo alla fase sedimentaria ed ascrivibile al raccorciamento mio-pliocenico. Questo ultimo tipo di pieghe, seppure interessante tutte le formazioni, è particolarmente frequente nei Calcari Diasprini, nella Maiolica e nella Scaglia Rossa. Pieghe da slump Le pieghe da slump sono chiaramente riconoscibili sul terreno quando si può osservare la stratificazione sottostante e/o sovrastante indeformata. Nella zona rilevata le pieghe da slump sono generalmente coricate, presentano fianchi quasi isoclinali e paralleli alla stratificazione indisturbata sottostante e/o sovrastante. Queste pieghe hanno profili C5 e B5 della classificazione di HUDDLESTON (1973) e appartengono alle classi 2 e 3 di RAMSAY (1967). Altra caratteristica distintiva osservata è che la zona di cerniera non è più deformata dei fianchi. Un esempio interessante è illustrato in fig. 3-6. La struttura della roccia deriva da movimenti fluidali del sedimento inconsolidato, con porzioni maggiormente cementate, di natura calcarea, che hanno ruotato durante lo scivolamento, determinando sul loro retro la formazione di 20 Fig. 3-6 - piega coricata da slump con un nodulo (in alto) che ruotando ha determinato lo sviluppo di pieghe di tra scinamento congruenti con la piega ospite. Superficie ortogonale alla cerniera della piega, Scaglia Rossa in loc. Meggiano, scala circa 1:1. a b vene S0 stiloliti e picchi stilolitici S0 S0 S0 piano assiale piano assiale S0 S0 S0 4 S0 8 cm c d layer-normal shortening S0 S0 S1 layer-parallel extension S0 stilolite vena S0 Fig. 3-7 - esempio di piega da slump, presente in un livello di slumpings, sovrastato da strati indeformati. Le struttu re interne alla piega consistono in vene (a) e stiloliti con i relativi picchi (b), indicanti layer-parallel extension e layer-normal shortening (c). Stiloliti e vene si sono formate sulle stesse superfici di laminazioni sedimentarie piegate (d), cosicché una stilolite passa lateralmente ad una vena. Taglio ortogonale alla cerniera della piega, Scaglia Rossa, zona di M. Prato. 21 micropieghe di trascinamento, con vergenza congruente a quella della piega ospite. Alla struttura fluidale si sovraimpongono superfici stilolitiche pervasive e poco definite, oppure discrete e ben sviluppate. Queste superfici stilolitiche sono parallele alla stratificazione indisturbata e quindi rappresentano il prodotto di un carico litostatico sinsedimentario-diagenetico, originariamente verticale, che determinava un layer-normal shortening. E’ da notare che, dato il parallelismo tra stratificazione e superficie assiale in una piega isoclinale coricata, le stiloliti da carico mimano un clivaggio da piano assiale. La stratificazione ha funto da superficie di sviluppo delle stiloliti sinsedimentarie (WINTER & TAPPONNIER, 1991; TAVARNELLI, 1996) ma nel caso delle pieghe da slump, anche di vene estensive: infatti passando dal fianco della piega alla cerniera varia l’orientazione della stratificazione e di conseguenza anche il suo ruolo meccanico durante la fase distensiva sinsedimentaria (fig. 3-7). Pieghe tettoniche Le mesopieghe di origine tettonica si differenziano da quelle sinsedimentarie in quanto sono generalmente pervasive alla scala dell’affioramento e non confinate in livelli limitati da superfici indisturbate (come le pieghe da slump), sono isopache (classe 1B di RAMSAY), hanno in genere lunghezze d’onda ed ampiezze sull’ordine di alcuni metri. L’angolo fra i fianchi delle pieghe varia tra 180° e 60°; le cerniere sono suborizzontali o poco inclinate, meno frequentemente con media inclinazione; la superficie assiale è da subverticale a mediamente inclinata anche se non mancano pieghe poco inclinate o coricate (fig. 3-8). Le forme osservate più frequentemente sono pieghe con morfologia a chevron, a box oppure a kink, talora coesistenti lateralmente (fig. 3- Inclinazione della superficie assiale molto inclinata verticale 90 0 80 mediamente inclinata 60 poco inclinata 30 coricata 10 0 suborizzontale 10 poco inclinata 30 mediamente inclinata 60 Inclinazione della cerniera N=59 molto inclinata 80 subverticale 90 Fig. 3-8 - diagramma di orientazione dele mesopieghe relative alla zona esaminata (da FLEUTY, 1964). 22 9). Quando la litologia è uniforme e gli spessori degli strati sono costanti si osserva un piegamento cilindrico ed armonico della stratificazione (fig. 3-10). Viceversa quando esistono disomogeneità litologiche in verticale e notevoli differenze negli spessori degli strati sono presenti disarmonie e notevoli variazioni nella giacitura delle superfici assiali: queste disarmonie sono osservabili a scala di centinaia di m (fig. 3-11) e di decine di m (fig. 3-12). A seconda della loro posizione rispetto alla macropiega ospite, le mesopieghe possono essere simmetriche (in cerniera) o asimmetriche (sui fianchi): la vergenza di queste ultime è generalmente congruente con la piega ospite (fig. 3-13), anche se si osservano talora casi di mesopieghe incongrue. Esistono evidenze di scorrimento flessurale per lo sviluppo delle pieghe, date da vene di taglio cresciute sulle superfici di stratificazione, con fibre di calcite allungate perpendicolarmente all’asse delle mesopieghe (fig. 3-14). Non si sono osservate evidenze di mesopieghe ripiegate, il che sembra indicare che la storia deformativa delle strutture plicative di questa zona è stata relativamente semplice. a b E W 0.5 1.0 m Fig. 3-10 - pieghe cilindriche ed armoniche, al tetto della Scaglia bianca. L’altezza della scarpata è di circa 20-30 m, zona di Ponte. Fig. 3-9 - fotografia (a) e interpretazione (b) di un esempio di coesistenza laterale di differenti tipi di pieghe: a destra pieghe antiformi a che vron ( classe E2 di HUDDLESTON, 1973) con superficie assiale subverticale, a sinistra pieghe antiformi a scatola (classe B1) con superfici assiali poco continue e ramificantesi. Scaglia Rossa, zona tra Ponte e Piedipaterno. 23 a a Fig. 3-12 NW SE SE SCAGLIA ROSSA livello guida calcareo Z ONA AD INTENSA DEFORMAZIONE ZONA A RIDOTTA DEFORMAZIONE SCAGLIA BIANCA 0 20 m b b Fig. 3-11 - fotografia (a) ed interpretazione (b) di un esem pio di piegamento disarmonico tra tetto della Scaglia Bianca (alla base, con livelli calcarei bianchi piegati a chevron) e la base della Scaglia Rossa (marne calcaree rosate, con ben evidente un livello guida calcareo). La disarmonia potrebbe derivare dal maggiore grado di raccorciamento richiesto al nucleo dell’anticlinale. Zona di Rocca Gelli. Fig. 3-12 - fotografia (a) ed interpretazione (b) di un esem pio di marcata e brusca variazione di stile deformativo, tra sversalmente alle strutture: a sinistra è presente un intenso piegamento disarmonico, con rottura degli strati, a destra le pieghe sono quasi assenti. Particolare della fig. 11, Scaglia Rossa, zona di Rocca Gelli. Lineazioni L1 Superfici stratificazione Lineazioni scorrimento Fig. 3-13 - mesopieghe asimmetriche vergenti a Est (con gruentemente alla macroanticlinale ospite), in stratificazione molto inclinata. Passaggio Scaglia Bianca-Scaglia Rossa, zona di Ponte. Fig. 3-14 - relazioni angolari di perpendicolarità tra linea zioni L1 (intersezione ta stratificazione e clivaggio di piano assiale, triangoli vuoti) e lineazioni di scorrimento osservate sulle superfici di stratificazione (cerchi pieni). Proiezione equiareale, emisfero inferiore, Scaglia Rossa della zona dei M.ti dell’Immagine. Le superfici stilolitiche Le superfici stilolitiche rappresentano il prodotto della pressure-solution, cioè della dissoluzione (in presenza di una fase fluida) di una o più fasi mineralogiche della roccia originaria lungo superfici preferenziali: lungo queste si concentrano le fasi mineralogiche insolubili e/o se ne formano nuove. Nella zona studiata le stiloliti sono molto diffuse nelle litotipie calcaree e marnose della Maiolica e della Scaglia, e sono state prodotte dalla dissoluzione della calcite con sviluppo di film ricchi in minerali argillosi. Le stiloliti hanno morfologia variabile in funzione della litologia della roccia: esse possono essere anastomosate e lisce, soprattutto nelle litotipie marnoso-argillose (p.e. Scaglia Variegata) o parallele e con contorno dentellato nelle litotipie calcaree (p.e. Maiolica). Le stiloliti sono generalmente caratterizzate dalla presenza di films di materiale criptocristallino, quali minerali argillosi (fig. 3-15), ma talora anche da granuli di selce (fig. 3-16) e di apatite. I minerali argillosi presenti lungo le stiloliti hanno una composizione chimica costantemente caratterizzata dalla presenza, oltre a Si e Al, di Ca, Mg, K, Fe e piccole quantità di Ti (fig. 3-17). Esempi di analisi chimiche quantitative alla microsonda sono illustrate in fig. 3-18. La mineralogia sembra prossima a quella di intercrescite di illite-smectite. Basandosi sulla posizione strutturale in cui le stiloliti si trovano e sulle relazioni angolari che le stiloliti formano con la stratificazione (in litologie competenti, p.e. in calcari), si possono distinguere almeno tre generazioni di foliazioni stilolitiche (fig. 3-19): a) la prima è ben evidente in rocce poco deformate e presenta superfici parallele alla stratificazione (stiloliti sinsedimentarie); b) la seconda generazione forma un alto angolo con la stratificazione ed è generalmente subparallela alla superficie assiale delle mesopieghe (layer-parallel shortening); c) la terza generazione è ben sviluppata in zone di taglio ed è collegata all’attività delle faglie. Le stiloliti sinsedimentarie esprimono il layer-normal shortening connesso al costipamento dei sedimenti sotto un carico litostatico subverticale, sono associate a vene, e sono frequentemente tagliate dalle stiloliti collegate alle pieghe. La seconda generazione di stiloliti è connessa al layer-parallel shortening dovuto al raccorciamento orizzontale durante la fase mio-pliocenica, infatti esse troncano le stiloliti sinsedi- Fig. 3-15 - minerali argillosi concentrati lungo una sti lolite, osservati al microscopio a scansione elettronica (SEM). Scaglia Rossa della zona di taglio della faglia di Cammoro, loc. 2. 25 Fig. 3-16 - concentrazione di granuli di selce (grigio scuro) lungo una stilolite, osservata al SEM. Tettonite calcarea della faglia di Grotti. Loc. Grotti. mentarie e si sono formate durante un evento precedente al piegamento (TAVARNELLI, 1997). Nelle zone di taglio delle faglie più importanti sono inoltre sviluppate pervasivamente stiloliti associate a mesofaglie in strutture S-C: queste stiloliti sono conformate ad S in conseguenza dell’azione di uncinamento delle mesofaglie. Generalmente la densità di queste stiloliti aumenta avvicinandosi al nucleo delle faglie (fig. 3-20). La spaziatura delle stiloliti collegate alle pieghe è generalmente da decimetrica a centimetrica, mentre quella tipica delle zone di taglio può essere millimetrica: questa differenza è presumibilmente dovuta alla maggior quantità di strain totale espresso dalle zone di taglio rispetto alle pieghe. Evidenze di terreno indicano che dopo la loro formazione le stiloliti sono state talora riutilizzate come superfici di faglia, con movimenti inversi o normali. Quando le superfici stilolitiche immergono ad Est esse sono state riattivate come faglie inverse, sia a basso angolo di inclinazione (fig. 3-21a) sia ad alto angolo (fig. 3-21b): esse hanno agito quindi come back-thrusts. Quando le superfici stilolitiche immergono ad Ovest esse sono state attivate come faglie normali, con crescita di vene di taglio nei gradini (fig. 3-22); questi movimenti normali sono congruenti con il flexural slip della stratificazione, che induce rotazioni a domino dei lithons limitati dalle superfici stilolitiche (cf. CINQUEGRANA, 1987, citato in TAVARNELLI, 1996). Le superfici stilolitiche possono anche presentarsi piegate, con superfici assiali subparallele alla stratificazione. Tale piegamento, che sembra essersi originato in conseguenza di raccorciamenti subverticali, potrebbe essere avvenuto durante la fase distensiva plio-pleistocenica. Fig. 3-17 - esempio di spettro a dispersione di energia (EDAX) della frazione argillosa presente in una stilolite, in roccia proveniente dalla zona di taglio della faglia di Cammoro, loc. 2. 26 E1em: NaK MgK AlK SIK KK CaK TIK MnK FeK O Net 3.37 24.66 235.24 603.71 38.51 37.92 10.52 1.94 18.00 11:39:38 Wt% Chem 0.38 0.120 1.53 0.459 11.38 3.080 29.90 7.774 2.45 0.458 2.65 0.482 0.83 0.126 0.21 0.028 2.48 0.324 48.21 22.000 Error% 11.58 2.82 0.78 0.48 2.03 2.05 4.45 15.64 3.08 07-25-97 E1em: NaK MgK AlK SIK KK CaK TIK NnK FeK O Net 2.02 26.20 210.76 463.34 49.52 28.68 27.10 1.68 30.61 11:49:29 Wt% Chem 0.26 0.087 1.88 0.584 11.82 3.308 26.51 7.127 3.47 0.670 2.21 0.417 2.36 0.372 0.20 0.027 4.68 0.633 46.61 22.000 Error% 18.78 2.84 0.86 0.57 1.85 2.53 2.59 18.77 2.37 E1em: NaK MgK AlK SiK KK CaK TiK MnK FeK O Net 1.68 33.92 230.19 444.81 45.03 44.16 8.99 1.07 24.38 11:03:44 Wt% Chem 0.22 0.071 2.41 0.740 12.97 3.595 26.01 6.929 3.20 0.611 3.46 0.645 0.80 0.124 0.13 0.017 3.77 0.505 47.05 22.000 Error% 19.40 2.02 0.68 0.48 1.61 1.63 4.35 23.53 2.21 Elem: NaK MgK AlK SiK KK CaK TiK MnK FeK O Net 3.12 31.07 222.31 649.55 42.14 34.89 6.82 1.88 24.98 11:33:36 Wt% Chem 0.34 0.108 1.86 0.559 10.39 2.819 30.46 7.940 2.57 0.481 2.33 0.426 0.51 0.079 0.19 0.026 3.29 0.431 48.07 22.000 Error% 15.17 2.89 0.94 0.54 2.27 2.54 7.16 19.21 2.98 KV Tilt TkOff 20.0 0.0 35.0 07-25-97 KV Tilt TkQff 20.0 0.0 35.0 07-25-97 KV Tilt TkOff 20.0 0.0 35.0 07-25-97 KV Tilt TkOff 20.0 0.0 35.0 Fig. 3-18 - esempi di analisi chimiche (con la microsonda) di minerali argillosi presenti in stiloliti. Campioni prove nienti dalla Scaglia Rossa, livelli calcarenitici deformati lungo la zona di taglio della faglia di Grotti, loc. Montefiorello. 27 a raccorciamento verticale S0 stiloliti sinsedimentarie S1 b S1 Fig. 3-19 - suddivi sione delle stiloliti in sinsedimentarie (a), collegate alle pieghe (b) e colle gate a zone di taglio (c) S1 raccorciamento orizzontale stiloliti collegate al piegamento S0 c S1 taglio semplice stiloliti collegate a zone di taglio mesofaglie a b Fig. 3-20 - esempio di aumento della densità delle stiloliti spostandosi verso il nucleo della faglia: a) stiloliti spazia te, in campione raccolto a 10 m dal contatto principale; b) stiloliti con maggiore densità, in campione raccolto a 4 m. Taglio orizzontali orientati (alto: nord, destra: est) di rocce deformate della Scaglia Rossa, faglia di Cammoro, loc. 2 a Equal Area b Equal Area Fig. 3-21 - movimenti inversi osservati su super fici stilolitiche collegate a pieghe: a) con basso angolo di inclinazione (Scaglia Rossa, zona di Piedipaterno); b) ad alto angolo (Scaglia Rossa, M.ti dell’Immagine) 28 a b scivolamento flessurale Equal Area vene di taglio sulle stiloliti S0 S0 Fig. 3-22 - a) modello di movimento a domino dei blocchi limitati dalla stratificazione e da superfici di pressu re-solution, in conse guenza di scivolamenti flessurali; b) stereonet di una superficie di pressure-solution riuti lizzata come faglia nor male (Scaglia Rossa, zona di M.ti dell’Immagine). Si noti il movimento di dip-slip normale Le vene Le rocce studiate presentano frequentemente vene di calcite, sia come vene di tipo estensivo sia come vene di taglio. Un esempio di vena è illustrato in fig. 3-23. In generale si osservano vari set di vene, aventi differente orientazione spaziale ma uguale composizione mineralogica, essendo costituite da calcite. Esistono comunque evidenze di una fratturazione precoce della roccia, sinsedimentaria, con un riempimento di argilliti fini nella porzione inferiore della frattura e cristallizzazione di calcite nella porzione superiore. La precocità della struttura è testimoniata anche dal fatto che le stiloliti tagliano la frattura, che è quindi più antica di queste. Vene sinsedimentarie, ortogonali alle stiloliti sinsedimentarie, sono diffuse nell’Appennino settentrionale e sono state descritte per la prima volta da WINTER & TAPPONNIER (1991). La calcite che costituisce le vene è vicina in composizione a CaCO3 puro, con gli ioni bivalenti che sostituiscono il Calcio presenti in limitate quantità: il Magnesio è tra 0 e 1.4 % (in peso), mentre il Ferro è tra 0 e 0.8 %. I cristalli spatici di grosse dimensioni delle vene presentano zonazioni concentriche di crescita, ben visibili in catodoluminescenza, il che indica che durante la loro crescita erano presenti delle variazioni cicliche nella concentrazione di elementi minori quali Mn+2 e Fe+2 connesse a salinità, temperatura, pH ed Eh dei fluidi acquosi da cui si sono originati i cristalli (MACHEL et Fig. 3-23 - esempio di vena di calcite (grigio chiaro) inserita entro della selce (grigio scuro): la vena presenta un gradino 29 al., 1991). I cristalli di calcite sono da equidimensionali a prismatici, soprattutto in vene di taglio. La forma dei granuli è prevalentemente da euedrale a subeuedrale, ma non mancano granuli anedrali. L’andamento interdigitato dei limiti granulari può essere conseguente a fenomeni di grain-bound ary migration. Gli aggregati sono da equigranulari a seriati. Grani contigui differiscono talora di pochi gradi nelle rispettive posizioni di estinzione, il che suggerisce che essi rappresentino dei subgrains formatisi tramite recovery di originari granuli deformati. I cristalli delle vene si presentano frequentemente geminati polisinteticamente, con lamelle aventi in generale spessori inferiori al micron, ad andamento lineare, con due-tre sets per cristallo: essi rientrano nel tipo I della classificazione di BURKHARD (1993), che secondo l’A. si formano a temperature non superiori a 200° C; sono rare le lamelle aventi spessori di alcuni micron (fino a 8 micron), rientranti nel tipo II, che indicano temperature deformative comprese tra 150° e 300°C. Sono frequenti all’osservazione al SEM, anche cristalli di barite, isolati o in vene a contorno irregolare (fig. 3-24), aventi dimensioni di alcuni micron o decine di micron. a b Fig. 3-24 - barite riempente cavità entro la calcite, osservata al microscopio a scansione elettronica. Campioni di Scaglia Rossa della zona di taglio della faglia di Grotti, loc. Montefiorello (a) e loc. 6 (b) 30 Le mesofaglie Le faglie hanno frequentemente una geometria originaria non-planare, con tratti aventi orientazione differente da quella della superficie principale (fig. 3-25): sono presenti superfici classificabili secondo SCHOLZ (1990, pp.147-152)* come jogs (esempio in fig. 3-26) o come steps (esempio in fig. 327). Mentre la presenza di steps non comporta alcun problema di compatibilità deformativa (strain compatibility di MARRETT & ALLMENDINGER, 1990, p. 982) nel caso dei jogs vengono indotti dei volume strains che possono essere positivi o negativi a sec- Fig. 3-25 - irregolarità lungo una superficie di faglia: jogs e steps (da SCHOLZ, 1990, fig. 3.28) a 2 cm Fig. 26c b 2 cm c Fig. 3-26 - a) tettonite della Scaglia Rossa tagliata parallelamente alla direzione di trasporto tettonico (tetto a destra); b) stessa roccia tagliata perpendico larmente alla direzione di trasporto tettonico (il tetto si allontana dall’osservatore); c) schema dei rapporti strutturali osservabili nel riquadro in fig. 26a: le meso faglie a traccia curvilinea derivano presumibilmente dalla coalescenza di superfici differentemente orientate (p.e. R sintetiche e P). Si noti il clivaggio stilolitico a traccia lineare, che è tagliato sia up-section sia downsection dalle mesofaglie. Campione proveniente dalla zona di taglio della faglia di Cammoro, loc. 1 1 cm * Secondo SCHOLZ (1990, pp. 147-152) i jogs sono irregolarità della faglia aventi una intersezione con la superficie principale ortogonale al vettore movimento, mentre gli steps hanno una linea di intersezione che è parallela al vettore movimento (fig. 2). 31 onda della orientazione del jog rispetto alla superficie principale (SCHOLZ, 1990, p. 148): in corrispondenza di un releasing bend si ha un aumento di volume che può essere accomodato p.e. dallo sviluppo di vene di taglio (fig. 3-28) mentre in corrispondenza di restraining bends si possono formare duplexes (BOYER & ELLIOTT, 1982). In altri casi le variazioni della orientazione delle faglie sembrano non originarie bensì causate da piegamenti di superfici planari contemporaneamente o successivamente all’attività della faglia: un possibile esempio è illustrato in fig. 3-29. Le mesofaglie, sottolineate da vene di taglio con spessori plurimillimetrici, si diramano a ventaglio da una branch line, formando un imbricate fan; all’esterno della branch line le faglie sono piegate in sinformi, con ampiezze che diminuiscono passando dalla faglia inferiore a quella superiore. Queste relazioni strutturali sono interpretabili, seguendo BOYER (1992), come evidenze di un piegamento della faglia contemporaneamente alla sua attività, con conseguente inattivazione della porzione frontale e formazione di un nuovo splay che a sua volta segue la stessa evoluzione (fig. 3-29c). Un esempio di relazioni mesostrutturali tra faglie che suggeriscono un synchronous thrust ing o in alternativa dei movimenti fuori sequenza, con piegamento delle superfici di faglia, è illustrata in fig. 3-30. Il volume mancante nel tetto della F1 rispetto al suo muro richiede una asportazione di materiale da parte della F2 successivamente alla impostazione della F1; tuttavia il piegamento antiforme della F2 è da ascrivere alla azione della F1: si deduce quindi un movimento sincrono delle due faglie, oppure una riattivazione fuori sequenza della F1 (fig. 3-30c). L’attività di mesofaglie può accompagnarsi, oltre al piegamento di superfici di faglia limitrofe, anche della stratificazione nella porzione sovrastante la tip-line della faglia (fig. 3-31). Tali relazioni, osservate soprattutto nella Scaglia Rossa, indicano che alla mesoscala il pie- W Fig. 3-27 - esempio di step: il contatto tettonico tra Maiolica e Scaglia Rossa presenta una irre golarità (2) che interseca la superficie principale (1) parallela mente alle lineazioni di movimento (cerchi vuoti nello stereonet) pre senti nel muro della faglia. Faglia di Cammoro, loc. M. Carpegna (500 m a Nord della cima); proie zione equiareale, emisfero inferio re E (2) Scaglia Rossa (1) Maiolica (2) (1) 50 cm N E Fig. 3-28 - vena di taglio for matasi in corrispondenza di un releasing bend di una faglia destra. Scaglia Rossa, muro della faglia di Cammoro, loc. M. Carpegna (500 m a Nord della cima); taglio orizzontale orientato vena di taglio faglia destra 55 mm mm releasing bend 1 2 cm cm 32 gamento ed il fagliamento sono due meccanismi che accomodano contemporaneamente il raccorciamento orizzontale, e che frequentemente le anticlinali sono strettamente associate a sottostanti rampe di tetto e/o di letto. Modelli teorici che possono rendere conto di queste relazioni tra pieghe e faglie sono il fault bend folding (RICH, 1934; SUPPE, 1983) ed il fault propagation folding; il primo è stato invocato per l’Appennino umbro da KOOPMAN, 1983, mentre il secondo è stato invocato da TAVARNELLI, 1997. L’interazione tra piegamento e fagliamento può portare allo sviluppo di traiettorie downsection (fig. 3-32): la formazione di una coppia antiforme-sinforme è da precedente a contemporanea alla nucleazione di una faglia, che divide la coppia di pieghe ed assume nel muro della stessa una traiettoria down-section sensu lato; cosicché si viene a formare nel muro un elemento sot- a a b S10°W b a N10°E SCAGLIA ROSSA SW NE argilliti SV3 spessore variabile vena di taglio SV2 SV1 superfici stilolitiche marna segmento di faglia antiforme 5 cm calcare F1 F2 argilliti 5 cm c c b SV1 t1 futura F 1 SV2 t2 t marna calcare 0 SV1 futura F 2 SV3 t F1 1 SV2 t3 antiforme decapitata F2 SV1 t 2 F2 piegata Fig. 3-29 - foto (a) e ridisegno (b) di un particolare della zona di taglio nel muro della faglia di Cammoro, con un imbricate fan i cui individui sono piegati in sin formi. Vedi testo per discussione. c) modello di sviluppo per synchronous thrusting delle strutture osservate. Scaglia Rossa affiorante tra M. Cammoro e M. Aglie t 3 F1 Fig. 3-30 - foto (a), ridisegno (b) ed interpretazione (c) di un esempio di faglie sincrone o alternativamente fuori sequenza. Vedi testo per discussione. Scaglia Variegata del footwall della faglia di Cammoro; taglio stradale 1.5 km a Est di Campello sul Clitunno 33 toscorso a geometria lenticolare. Sulle mesofaglie sono presenti lineazioni di movimento (slickenlines), corrispondenti sia a fibre di calcite sviluppatesi in vene di taglio, frequentemente con gradini (steps), sia a strie meccaniche abrasive (tool marks). Da queste lineazioni, che si assume siano parallele alla direzione di spostamento dei blocchi, è possibile ricostruire l’orientazione del moto relativo tra due blocchi, mentre il verso di movimento può essere determinato dal senso di deflessione del clivaggio nelle strutture S-C e dalla presenza di gradini nelle vene di taglio. Fig. 3-31 - esempio di relazioni tra mesofaglie inverse (foreth rust e backthrust) e pieghe della stratificazione. Scaglia Rossa, zona di M. Carpegna 50 cm a fig. 3-32 - foto (a) e ridisegno (b) di una faglia destraobliqua che porta delle tettoniti argillitiche rosse sopra a tettoniti calcareo-selciose beige. La traiettoria downsection della faglia individua nel suo muro un corpo lenticolare sottoscorso; c) ricostruzione della storia deformativa del corpo roc cioso c antiforme di tetto b sinforme di muro tettoniti calcareo-selciose tettoniti argillitiche traiettoria down-section 34 traiettoria down-section di muro Rocce di faglia Le rocce di faglia osservate in corrispondenza delle faglie della zona esaminata si possono classificare in due gruppi: tettoniti S-C (BERTHE’ et al., 1979) e rocce cataclastiche (SIBSON, 1977). Le tettoniti S-C sono state rinvenute principalmente in corrispondenza delle faglie inversedestre, e sono sviluppate all’interno delle litologie calcareo-marnoso-argillose della Scaglia Rossa e della Scaglia Variegata. Le rocce cataclastiche sono state osservate soprattutto lungo le faglie normali, ma anche lungo le faglie inverse: esse sono presenti nelle litologie calcareo-selciose della Maiolica e dei Calcari Diasprini. Una differenza osservata tra zone di taglio con tettoniti S-C e zone di taglio cataclastiche riguarda la transizione tra zona deformata e zona indeformata: nelle prime il limite tra le due zone è molto graduale, e si misura in metri o decine di m; nelle seconde invece il limite è generalmente molto netto (fig. 3-33). Le tettoniti S-C sono caratterizzate da un fabric pervasivo costituito da superfici di clivaggio, denominate superfici S, e da superfici di taglio, denominate superfici C (fig. 3-34). Nella zona esaminata il clivaggio è rappresentato dalle superfici stilolitiche, che in corrispondenza delle superfici C sono deflesse congruentemente al senso di movimento. Le superfici C, con spaziatura generalmente centimetrica, hanno geometria da planare a curviplanare (vedi fig. 3-26). Esse di norma sono sintetiche alle faglie principali ed i loro rapporti angolari con queste consentono di interpretarle come superfici R, P ed Y; solo raramente sono antitetiche rispetto alle faglie principali con le quali formano angoli caratteristici delle superfici R’. Le tettoniti S-C sono strutture molto importanti per il riconoscimento dell’attività delle faglie: infatti la pervasività delle superfici C permette di raccogliere una notevole quantità di dati sulle direzioni di movimento che sono state registrate nella zona di faglia, mentre le relazioni tra le superfici C e le superfici S permettono di riconoscere il senso di spostamento sulle prime. Le rocce di faglia cataclastiche non presentano foliazioni (SIBSON, 1977) e si formano per flusso cataclastico al quale si aggiungono contributi di meccanismi deformativi intragranulari e/o di pressure-solution (SCHMID & HANDY, 1991). Esse sono caratterizzate da una frat- Fig. 3-33 - faglia normale nella Maiolica in cui si è sviluppata una spessa fascia cataclastica. Si noti il netto limite tra fascia cataclastica e zona indeformata. Zona di Acera 35 Fig. 3-34 - zona di taglio con sviluppo di tettoniti S-C entro la Scaglia Variegata. Faglia di Cammoro, loc. 3 di fig. 3-37 turazione pervasiva (fig. 3-35) che evolvendo progressivamente produce il rotolamento degli elementi l’uno rispetto all’altro (flusso cataclastico). Esternamente alla fascia cataclastica si sviluppa una intensa fratturazione con formazione di vene a 45° circa rispetto al bordo della zona di taglio, disposte congruentemente al senso di movimento (fig. 3-36). I volumi rocciosi al contorno delle fasce cataclastiche subiscono quindi un aumento di volume, connesso alla formazione di fratture estensive. La composizione tessiturale delle cataclasiti è costituita dai clasti e dalla matrice. I clasti ereditano la litologia della roccia madre e sono costituiti o da sola micrite, o da sola selce, o da entrambe, o raramente da calcite spatica (derivante presumibilmente da vene fratturate) o da porzioni di cataclasite stessa. Le cataclasiti possono essere distinte in differenti gradi di maturità, in base alle caratteristiche microstrutturali. Nelle cataclasiti poco evolute la matrice è scarsa, si incontrano clasti di natura mista (micrite e selce) oltre a quelli di sola micrite o di sola selce. L’arrotondamento dei clasti (stimato con la tabella di comparazione in fig. 2.6a) è generalmente di 0,2. Le dimensioni dei clasti, indipendentemente dalla litologia costitutiva, si aggirano sul centimetro. Nelle cataclasiti evolute la matrice calcitica, con dimensioni dei granuli compresa tra 2 e 5 micron (talora sino a 10-15 micron), è più abbondante di quanto non sia in quelle poco evolute; inoltre i clasti sono sempre monolitologici: le differenti caratteristiche reologiche della micrite e della selce fanno sì che durante l’evoluzione progressiva esse si separino completamente e vadano a costituire elementi indipendenti. La presenza di clasti di calcite spatica e di cataclasite indica una storia ciclica di fratturazione e di cementazione delle zone di taglio esaminate. Oltre ad essere differenziati litologicamente, i clasti presentano caratteristiche morfometriche differenti a seconda della loro composizione litologica: i clasti di micrite differiscono nettamente da quelli di selce per dimensioni ed arrotondamento, mentre hanno una sfericità comparabile. Si osserva infatti che i clasti di micrite hanno diametro da 0,5 mm a 2,0 mm ed arrotondamento di circa 0,3-0,5. I clasti di selce, che contengono vene di calcite intragranulari, con struttura a tavoletta di cioccolato, hanno dimensioni attorno al centimetro ed hanno arrotondamento con valore 0,1-0,2. I clasti di micrite sono quindi più piccoli (di un fattore 10) e più arrotondati di quelli di selce. La sfericità, eguale per entrambi i tipi di clasti, è attorno a 0,80-0,85 (stimata con 36 la tabella di comparazione in fig. 2.6b). La differenza nelle dimensioni e nell’arrotondamento fra i clasti di micrite e quelli di selce, osservata nelle cataclasiti evolute, è da ascrivere anch’essa alle differenti caratteristiche reologiche delle due litologie: pur partendo da condizioni di dimensioni e di arrotondamento analoghe nelle cataclasiti poco evolute, con il procedere della deformazione progressiva la micrite, essendo meno resistente della selce all’usura per abrasione, si rompe e si arrotonda più facilmente della selce. Le rocce cataclastiche indicano zone di intensa deformazione, tuttavia, avendo un fabric isotropo, non permettono facilmente di ricavare informazioni cinematiche sulla zona di faglia: esse sono quindi di scarsa utilità per l’analisi strutturale. Fig. 3-35 - clasto di selce fratturato a tavoletta di cioccolato, entro una proto cataclasite della maiolica. Si noti il basso arrotondamento degli elementi di selce. La porzione nera della roccia è costituita da micrite. Ingrandimento 55x, nixols paralleli. Faglia di Cerro (a sud di Piano della Rota). Slickenside Fascia cataclastica Superficie separazione Roccia fratturata 2 cm Fig. 3-36 - roccia di faglia, con sviluppo di una fascia cataclastica (porzione superiore) che fa bruscamente passag gio ad una zona fratturata con formazione di vene di calcite. Faglia trascorrente destra entro la Maiolica, taglio per pendicolare alla superficie di faglia e parallelo alle lineazioni di movimento . Zona di M. Galenne. 37 3.3.2 Le macrostrutture Le macrostrutture hanno dimensioni variabili dal km alle decine di km; esse sono di due tipi: strutture plicative e strutture di faglia. Le strutture plicative inducono una deformazione continua dei volumi rocciosi, mentre le macrofaglie corrispondono a discontinuità che consentono di suddividere i volumi rocciosi in vari elementi tettonici. Di seguito verranno descritte le strutture plicative che interessano i vari elementi tettonici e poi verranno prese in esame le faglie maggiori. Gli elementi tettonici Il settore esaminato della Valnerina è stato suddiviso in sei elementi tettonici, limitati dalle principali faglie inverse e/o trascorrenti; da Nord verso Sud essi sono: l’elemento di M. Cammoro, l’elemento di M. Galenne, l’elemento di Meggiano, l’elemento di M. Coscerno, l’elemento di M. Fionchi e l’elemento di Spoleto (fig. 3-37). Gli elementi tettonici in almeno due casi (elemento di M. Cammoro e elemento di M. Coscerno) si radicano nella loro porzione settentrionale, per cui esse corrispondono a “scaglie di copertura” (DECANDIA & GIANNINI, 1977), senza significative alloctonie. I vari elementi sono costituiti dalla stessa successione marina di età meso-cenozoica, N Cammoro 1 M. Cammoro 2 M. Vergozze Elemento di M. Cammoro Elemento di M. Galenne 3 4 Meggiano 5 Elemento di Meggiano 6 Vallo di Nera Elemento di Spoleto Grotti 9 7 Elemento di M. Fionchi Elemento di M. Coscerno Scheggino Schioppo 8 1 faglie trascorrenti/ inverse faglie normali 2 km 38 faglie non definite fig. 3-37 - suddivisio ne in elementi tettonici della zona esaminata (i numeri dentro i cerchi indicano le località delle stazioni strutturali). appartenente al dominio sedimentario umbro e descritta nel paragrafo “successione stratigrafica”. Di seguito vengono descritte le principali caratteristiche degli elementi tettonici. Elemento di M. Cammoro Questo elemento è delimitato a Ovest dalla faglia di M. Brunette (BARCHI et al., 1988) e ad Est dalla faglia di Cammoro (figg. 3-38 e 3-39). La faglia di M. Brunette ha direzione SSWNNE ed alto angolo di inclinazione, testimoniato dalla linearità della sua traccia topografica. La faglia di Cammoro ha traccia SSW-NNE nella sua porzione meridionale, mentre a Nord la traccia ha direzione NNW-SSE. All’altezza di Cammoro il suo rigetto si annulla in corrispondenza della tip-line della faglia. L’elemento di Cammoro è costituito da una successione sedimentaria la cui base affiorante è data dai Calcari Diasprini, a cui seguono la Maiolica, le Marne a Fucoidi, la Scaglia Bianca, la Scaglia Rossa senza intercalazioni calcarenitiche, per terminare con la Scaglia Cinerea (fig. 3-38). La sua struttura è data dall’anticlinale di M. Cammoro, e dalla sinclinale di M. Pradafitta (fig. 3-39): entrambe le pieghe hanno il fianco orientale rovesciato. Le pieghe dell’hangingwall e del footwall sono tagliate obliquamente dalla faglia di Cammoro, secondo una traiettoria che localmente può essere down section, cioè taglia da formazioni più giovani (Scaglia Rossa) verso formazioni più antiche (Scaglia Bianca) (vedi fig. 3-38 nella zona ad Est di M. Cammoro). Questo indica che l’amplificazione delle pieghe ha preceduto o è stata contemporanea allo sviluppo della faglia di Cammoro. Elemento di M. Galenne L’elemento di M. Galenne è delimitato a NW dalla faglia di Cammoro, a SE dalla faglia di Grotti e a SW dalla faglia di Tassinare (fig. 3-37). La sua successione sedimentaria in affioramento parte dai Calcari Diasprini-Calcari a Posidonia (zona di M. Galenne e di M. Maggiore-M. Grande), prosegue con la Maiolica, le Marne a Fucoidi, la successione della Scaglia con spessori medi e con moderata presenza di intercalazioni calcarenitiche, e termina con la successione del Bisciaro (figg. 3-40a e 3-38). Nella sua porzione settentrionale la struttura è costituita dall’anticlinale di M. Siliolo e più ad Est dalla sinclinale di S. Antonio. Queste pieghe sono rovesciate verso Est, con anticlinali più sviluppate delle adiacenti sinclinali, con lunghezza d’onda di circa 2 km e ampiezza tra 250 e 500 m (anticlinale di M. Siliolo a livello della Scaglia Cinerea-Bisciaro, sez. a-a’ in fig. 3-38). L’estensione longitudinale dell’anticlinale di M. Siliolo è uguale o superiore ad una decina di km. Nella porzione meridionale di questo elemento è sviluppata la macroanticlinale di M. Galenne (fig. 3-40b, sez. a-a’, e fig. 3-41). Essa è una box fold ad asse circa N-S e con una lunghezza d’onda di 3-4 km, avente al nucleo i Calcari Diasprini e la Maiolica. Il fianco occidentale dell’anticlinale è molto inclinato, verticale o rovesciato; la porzione sommitale della box fold immerge verso Nord ed ha una larghezza di 2 km; il lato orientale (forelimb) è rovesciato verso Est e ad esso segue una stretta sinclinale, anch’essa rovesciata verso oriente. Entrambe le pieghe sono tagliate obliquamente dalla faglia di Grotti. Anche i piani assiali delle mesopieghe hanno direzione media N-S e sono da subverticali a poco inclinati (fig. 3-42 e 3-43): i loro poli sono disposti lungo una ciclografica subverticale a direzione W-E, il cui polo immerge verso Nord (fig. 3-43). Gli assi delle mesopieghe sono suborizzontali o poco inclinati (fig. 3-44a), con direzione media N-S, e presentano una dispersione attorno ad un asse immergente verso Est (fig. 3-44b). I piani di clivaggio stilolitico e le lineazioni di intersezione L1 tra clivaggio e stratificazione presentano la stessa orientazione delle strutture plicative, cioè una immersione verso Nord (fig. 3-45) e quindi le due classi di strutture riflettono entrambe lo stesso fenomeno di raccorciamento orizzontale. 39 anticlinale di M. Siliolo a a' N Bi faglia di M. Brunette SR 23 33 FpM Ma Ma 44 a b 90 50 SB b' Bi FpM SR 1500 FpM 1000 a' 18 SCV anticlinale di M. Siliolo FpM 43 SR Cammoro 1 2 40 48 Ma Ma 500 24 M. Cammoro Ma m 0 SCV SB - 500 1000 2000 3000 m c 30 44 b anticlinale di M. Siliolo 2 cd c' 31 SCV Ma 3 b' L EGENDA M. Vergozze 36 Ma SR SB 13 FpM Miocene inf. 68 Ma Ma 25 SR 19 EoceneOligocene cd copertura detritica Bi Bisciaro SCV SR Scaglia Rossa SB Scaglia Bianca Cretaceo inf. MF Marne a Fucoidi Giurassico inf.Cretaceo inf. Ma Maiolica FpM F. pre-Maiolica Cretaceo sup.Eocene Ma c 3 27 c' faglia di Cammoro Scaglia Cinerea e Variegata Trias sup. 25 strati (con inclinazione) 31 strati rovesciati (con inclinazione) (Anidriti di Burano) a a' traccia sezione geologica faglia obliquadestra 1 faglia normale 2 km faglia dedotta Fig. 3-38 - mappa geologica dell’elemento di M. Cammoro e sezioni geologiche attraverso esso (i numeri entro i cerchi indicano le località delle stazioni strutturali). 40 N ANTICLINALE DI M. SILIOLO 7 28 ANTICLINALE DI M. CAMMORO TIP LINE Cammoro 22 9 M. Cammoro FAGLIA DI M. BRUNETTE 37 9 SINCLINALE DI S. ANTONIO M. Vergozze LEGENDA traccia di superficie assiale anticlinalica SINCLINALE DI M. P RADAFITTA 13 traccia di superficie assiale sinclinalica 11 5 22 FAGLIA DI CAMMORO asse diagramma π (con inclinazione) faglia obliquadestra 3 faglia normale 1 2 km faglia dedotta Fig. 3-39 - schema strutturale dell’elemento di Cammoro e del suo muro. 41 Elemento di Meggiano L’elemento di Meggiano è delimitato a NW dalla faglia di Grotti, mentre a Sud esso confina con l’elemento di M. Coscerno (fig. 3-37). Esso presenta in affioramento i termini dalla Maiolica al Bisciaro (fig. 3-40a), con forti spessori della Scaglia Rossa e Variegata (di varie centinaia di m ognuna delle due) e presenza di frequenti livelli calcarenitici all’interno di queste due formazioni. La sua struttura è data da una coppia anticlinale-sinclinale, avente direzione SSWNNE (fig. 3-41). Anche le superfici assiali delle mesopieghe e le superfici di clivaggio stilolitico hanno direzioni da N-S a SSW-NNE, con alto angolo di inclinazione (fig. 3-46); le cerniere delle mesopieghe e le lineazioni L1 sono suborizzontali o poco inclinate con immersione prevalentemente compresa tra NNW e NNE (fig. 3-47); i piani assiali e i piani di clivaggio presentano una dispersione attorno ad assi subparalleli alle cerniere e alle lineazioni L1. Elemento di M. Coscerno L’elemento di M. Coscerno è limitato a NW dalla faglia di Grotti, a SW dalla faglia di Schioppo, a Est dal thrust di M. Coscerno, mentre a Nord confina con l’elemento di Meggiano (fig. 3-37). Nella porzione esaminata la sua successione affiorante parte dalla Maiolica, prosegue con le Marne a Fucoidi, la Scaglia con forti spessori e frequenti intercalazioni calcarenitiche e termina con la Formazione del Bisciaro (fig. 3-40a). La sua struttura è data da una macroanticlinale che a Nord ha direzione SSW-NNE mentre a Sud passa bruscamente ad una direzione NNW-SSE (fig. 3-41), con vergenza occidentale (fig. 3-40b, sez. b-b’). Questa differenza nell’orientazione determina la presenza di due differenti domini omogenei: l’immediato footwall della faglia di Grotti è caratterizzato da mesopieghe e clivaggi con direzione SSW-NNE (fig. 3-48) mentre l’hangingwall del thrust di M. Coscerno ha clivaggi e mesopieghe prevalentemente a direzione NW-SE (fig. 3-49). Questa rotazione delle cerniere delle pieghe in corrispondenza delle faglie inverse-destre è una caratteristica comune a molte delle strutture dell’Appennino centrale ed è stata interpretata in due differenti modi: una scuola di pensiero (p.e. LAVECCHIA, 1985) ritiene che questa deflessione sia causata da una rotazione passiva di pieghe già formate (a direzione originaria NW-SE) per trascinamento da parte delle faglie destre; una seconda scuola di pensiero (p.e. CALAMITA, 1990) ritiene che le deflessioni degli assi delle pieghe sia originaria e rifletta la variazione della direzione delle rampe delle faglie su cui le pieghe si sono originate, seguendo il modello del fault-bend folding . Elemento di M. Fionchi L’elemento di M. Fionchi affiora nella porzione sud-occidentale della zona esaminata ed è limitato dal thrust di Spoleto a tetto, e a letto dalle faglie di Schioppo (a SE) e di Tassinare (a NE). La sua successione affiorante parte dalla Corniola, prosegue con il Rosso Ammonitico, i Calcari a Posidonia ed i Calcari Diasprini; ad essi seguono le Marne a Fucoidi, la Scaglia con moderata presenza di livelli calcarenitici, la Formazione del Bisciaro; in discordanza angolare sui termini precedenti poggia la Formazione di Belvedere, con cui si chiude la successione (DECANDIA, 1982). Nella porzione esaminata affiora la parte di successione che va dalla Maiolica alla Scaglia Rossa (vedi fig. 3-40a). Le mesopieghe hanno piani assiali con direzione NW-SE nella parte settentrionale, passante gradualmente a N-S nella parte meridionale (fig. 3-42) e pertanto la dispersione dei piani assiali è tra NW-SE e N-S (fig. 3-50a) e delle cerniere, suborizzontali, è tra N-S e WNW-ESE (fig. 3-50b). 42 N 80 M. Maggiore 40 SBR CDRA cd 24 SBR 72 25 SBR 54 58 45 SBR 22 SCV 24 10 Bi cd 59 a' Bi cd Ma 30 cd Ma 4 Ma SBR MF cd SBR 20 SBR MF Ma Ma cd SCV MF 59 Ma 33 b' 42 MF Ma 27 58 SBR 28 cd 10 Bi 5 cd 22 SBR MF SCV 75 SCV 18 Bi Ma 30 SBR M. Galenne 64 SBR cd SBR M. Galloro 62 cd MF cd cd cd SBR 90 Bi 30 Ma CDRA 45 MF SBR 15 21 a cd SCV Bi CDRA 90 cd 6 45 SBR Ma cd 44 70 SBR 25 SBR Bi 80 MF cd Ma cd MF 22 SCV Grotti Ma 53 Bi SCV SCV Bi LEGENDA 36Ma 40 15 MF cd Ma Ma b 55 cd 26 90 68 50 347 strati (con inclinazione) 31 strati rovesciati (con inclinazione) traccia sezione geologica Detrito Bi Bisciaro 29 SCV 25 cd SBR cd SCV Scaglia Cinerea e Variegata SBR Scaglia Rossa e Bianca MF Marne a Fucoidi Ma Maiolica Ma MF cd 31 a 20 Ma 45 50 55 faglia a separazione inversa ( freccia: immersione; numero: inclinazione) CDRA Calcari Diasprini e Rosso Ammonitico faglia a separazione normale ( freccia: immersione; numero: inclinazione) faglia indeterminata 0 2 km Fig. 3-40a - mappa geologica della zona della Valnerina tra Castel S. Felice e Ponte, e tracce di sezioni geologiche (a-a’ e b-b’) (i numeri dentro i cerchi indicano le località delle stazioni strutturali). 43 km faglia di Grotti faglia di Tassinare 2 Sc Sc 1 Ma Bi CD CM CDCo Sc CD CM CD Co CDCo CD Co 0 thrust del Coscerno Bi Ma Sc Ma CD Co CM Co Ma CD CM -1 MF CM Co CD CDCo Co AB CM AB -2 2 -3 4 CM 6 8 10 12 km a-a' N55°E thrust del Coscerno km 2 1 faglia di Tassinare Bi Sc Sc MF 0 MF Ma CM Ma 1 Fig. 3-40b sezioni geologi che nella zona della Valnerina, lungo le tracce in fig. 3-40a. CDCo CM CM 2 AB 2 3 4 6 8 b-b' 10 12 km N55°E Bi Bisciaro Sc Scaglia MF Ma Marne a Fucoidi CDCo Maiolica Calcari DiaspriniCorniola CM Calcare Massiccio AB Anidriti di Burano Elemento di Spoleto L’elemento di Spoleto poggia tettonicamente sopra all’elemento di M. Fionchi, e presenta alla base il Calcare Massiccio, a cui segue la sovrastante successione, descritta in DECANDIA (1982). Questo elemento non presenta, almeno nella sua porzione nord-orientale (vedi fig. 3-37) particolari strutture tettoniche. 44 N M. Maggiore a' b' M. Galenne M. Galloro B OX-F OLD DI M. GALENNE a Grotti b L EGENDA a traccia sezione geologica traccia di superficie assiale anticlinale 0 2 km traccia di superficie assiale sinclinale Fig. 3-41 - mappa strutturale della zona della Valnerina, con le tracce delle superfici assiali delle principali macro pieghe. Per semplicità sono state omesse le faglie normali 45 N M. Maggiore 38 28 27 81 a' 14 89 27 8 65 12 87 56 43 87 37 85 20 56 66 12 2 38 34 7 17 17 13 30 13 85 77 60 0 1 0 55 20 20 30 75 23 b' 18 25 20 36 0 M. Galenne 37 0 5 10 M. Galloro 22 11 3 10 9 24 38 20 10 70 62 4 1 10 a 9 60 25 17 19 0 43 21 Grotti 8 55 17 5 83 26 20 1 38 45 16 2 4 11 8 0 20 18 71 68 10 62 30 12 5 15 1 1 33 16 9 b 5 27 79 76 5 LEGENDA 10 71 a traccia sezione geologica piano assiale di mesopiega (con inclinazione) asse di mesopiega (con inclinazione) 0 2 km Fig. 3-42 - mappa strutturale delle strutture plicative mesoscopiche (piani assiali e cerniere di pieghe) nella zona della Valnerina 46 a b 28 Data. Contoured at 1 2 3 4 5 6 7 8 times uniform 28 Data 13 Data Fig. 3-43 - distribuzione delle superfici assia li di mesopieghe (poli dei piani) (cerchi pieni) presenti nell’unità di M. Galenne. Essi si distribuiscono lungo una ciclografica il cui polo immerge verso Nord (quadrato). Proiezione equiareale, emisfero inferiore. Fig. 3-44 - a) assi di mesopieghe nell’unità di M. Galenne (cerchi pieni); b) contour degli assi di mesopieghe e assi determinati tramite la statistica di Bingham. Proiezioni equia reali, emisfero inferiore. N M. Maggiore 71 27 37 15 20 5 a' 54 84 13 61 18 76 29 89 34 2 89 10 15 20 89 2 15 75 37 b' 23 20 20 81 10 8 10 89 47 M. Galenne 7 M. Galloro 1 5 2 10 76 27 a 15 80 10 5 52 30 15 18 25 5 20 12 15 75 21 40 65 10 15 1 60 30 10 Grotti 80 10 85 83 b 68 20 74 83 15 67 10 Fig. 3-45 - schema strutturale della distri buzione delle superfici di clivaggio stilolitico e delle lineazioni di inter sezione L1 tra clivaggio e stratificazione LEGENDA a traccia sezione geologica 80 piano di clivaggio stilolitico (con inclinazione) 10 lineazione di intersezione L1 tra clivaggio e stratificazione, con vergenza (triangolo) e inclinazione 47 0 2 km a b Fig. 3-46 - proiezione dei poli dei piani assiali (a) e del clivag gio stilolitico (b) dell’unità di Meggiano. Proiezioni equiareali, emisfero inferiore. 13 Data 18 Data a b Fig. 3-47 - proiezione delle cer niere delle mesopieghe (a) e delle lineazioni L1 (b) osservate nel l’unità di Meggiano. Proiezioni equiareali, emisfero inferiore. 23 Data 16 Data a b Fig. 3-48 - proiezione dei poli dei piani assiali (cerchi pieni) e delle superfici di clivaggio stilolitico (cerchi vuoti) (a) e delle cerniere delle mesopieghe (b), nella zona nord-occidentale dell’unità di M. Coscerno 28 Data b a 10 Data Fig. 3-49 - proiezione delle cerniere delle mesopieghe (cerchi pieni) e delle lineazioni L1 (cerchi vuoti) nella zona sud-occidentale 13 Data Fig. 3-50 - proiezione dei poli dei piani assiali (a) e delle cerniere (b) delle mesopieghe, nell’unità di M. Fionchi. dell’unità di M. Coscerno. 48 Le faglie Le più importanti caratteristiche delle faglie sono: a) la topologia della superficie e la sua orientazione spaziale; b) l’azione della faglia sui volumi rocciosi a tetto e a letto; c) la direzione dei movimenti. La topologia e l’orientazione delle superfici può essere indagata tramite le tecniche di interpolazione (structure contour maps), le relazioni tra volumi rocciosi a tetto e a letto tramite i “diagrammi di separazione stratigrafica” (stratigraphic separation diagrams); la direzione dei movimenti relativi tra i due blocchi tramite l’analisi cinematica delle slickenlines (lineazioni di movimento). Carte delle curve di livello (structure contour maps) Le carte delle curve di livello sono date da un insieme di linee, ognuna delle quali rappresenta una linea di uguale elevazione della superficie strutturale esaminata. Esse sono discusse in dettaglio in vari testi (p.e. RAGAN, 1973, pp. 158-163; LISLE, 1988, pp. 12-23; BUTLER & BELL, 1988, p. 29; BOULTER, 1989, pp. 12-14 e 37-40) ai quali si rimanda per maggiori informazioni. Le curve di livello evidenziano bene le irregolarità morfologiche delle superfici di faglia. Diagrammi di separazione stratigrafica (stratigraphic separation diagrams) I diagrammi di separazione stratigrafica sono stati utilizzati per la prima volta in ELLIOTT & JOHNSON, 1980 (citati in TAVARNELLI, 1996, p. 86): essi permettono di definire i rapporti fra la faglia e gli strati del letto e del muro. Questi diagrammi consistono in grafici bidimensionali, in cui l’asse delle ascisse rappresenta la distanza orizzontale tra l’origine e il punto esaminato, mentre l’asse delle ordinate rappresenta la successione stratigrafica attraverso cui la faglia si sviluppa. Ogni punto lungo la faglia viene rappresentato nel diagramma da due punti rappresentanti il cutoff di tetto e quello di letto: nel diagramma l’ascissa rappresenta la distanza dall’origine, e l’ordinata le formazioni tagliate nel tetto e nel letto della faglia. Considerando vari punti situati lungo la traccia della faglia si individuano due linee, rappresentanti rispettivamente una “linea di tetto” e una “linea di muro” (TAVARNELLI, 1996, pp. 86-88). Quando la “linea di tetto” è più alta stratigraficamente della “linea di muro” la faglia ha una separazione normale, viceversa la faglia ha una separazione inversa (ELLIOTT & JOHNSON, 1980). Analisi mesostrutturale delle zone di faglia L’analisi mesostrutturale delle zone di faglia permette di riconoscere la direzione di movimento della faglia. Le strutture che si formano in corrispondenza di zone di taglio sono state descritte p.e. in RUTTER et al. (1986) mentre le strutture che permettono di ricostruire la direzione ed il senso di spostamento di due blocchi sono state descritte p.e. in PETIT (1987) ed in MEANS (1987). Sulla base delle caratteristiche delle principali faglie , si possono distinguere due gruppi di faglie: le faglie inverse-destre, che hanno accomodato il raccorciamento durante la fase contrazionale supramiocenica-infrapliocenica, e le faglie normali, che hanno accomodato la distensione presente nella zona durante la successiva fase mesopliocenica-attuale. Le faglie inverse-destre Il periodo di attività delle faglie inverse-destre non è esattamente ricostruibile, a causa della scarsità o mancanza di depositi sinorogeni nella zona esaminata. Per la zona di Spoleto sono state proposte differenti età di attività tettonica da vari AA. DECANDIA & GIANNINI (1977a) riconoscono due fasi tettoniche, la prima serravalliana o tortoniana e la seconda del Tortoniano o del limite Pliocene inferiore-medio. DECANDIA (1982) ritiene che le faglie di Schioppo e di 49 Grotti siano della fine del Pliocene inferiore. DECANDIA & TAVARNELLI (1991) ritengono che le pieghe abbiano iniziato a formarsi durante il Tortoniano, mentre i sovrascorrimenti e le faglie trascorrenti si sarebbero formate presumibilmente nel Messiniano. CIPOLLARI & COSENTINO (1997) ritengono che la fase tettonica responsabile della strutturazione della zona di Spoleto sia del Serravalliano. Le faglie esaminate potrebbero quindi essere state attive durante il Miocene medio-superiore. Qui di seguito verranno analizzate le principali faglie, partendo da Nord e spostandosi a Sud. Faglia di Cammoro La faglia di Cammoro si sviluppa da Cammoro, prosegue verso M. Cammoro e M. Carpegna ed arriva alla zona tra Campello sul Clitunno e Poreta, a S della quale è nascosta dal detrito quaternario: il suo sviluppo è di almeno 11-12 km. Lungo la sua traccia la direzione passa da N-S a SW-NE a SSW-NNE, con l’immersione verso i quadranti occidentali (fig. 3-51). Variazioni di orientazione della faglia sono visibili anche alla mesoscala, con N 1 1200 presenza di steps, in cui la superficie seconM. Brunette daria interseca quella principale della faglia M. Cammoro parallelamente alla direzione delle lineazioni di movimento del muro (fig. 3-52). Il diagramma di separazione stratigrafica mostra 900 che la linea di tetto è generalmente entro la Scaglia Variegata o la Scaglia Rossa, mentre la linea di letto è costantemente compresa entro la Maiolica sino alla tip-line settentrionale (fig. 3-53). Le mesostrutture della zona di taglio 2 associata a questa faglia sono state esaminate in tre siti lungo la traccia della faglia. Le mesofaglie hanno orientazione differente nei M. Vergozze 1200 tre siti (fig. 3-54), congruenti, almeno per le loc. 2 e 3 di fig. 3-37, con le variazioni nella giacitura della faglia dedotta dallo structure contour map: esse possono essere suboriz1000 zontali, con movimenti del tetto verso N (loc. 1), oppure possono immergere verso NW con 600 800 movimenti destri-normali verso NE (loc. 2); M. Castellone infine possono avere direzione N-S ed immersione ad W, con movimenti del tetto 2 km 3 dispersi tra E e NNE (loc. 3). Le superfici di pressure-solution collegate alla zona di taglio hanno immersioni verso S (loc. 1) o verso W (loc. 2 e 3) (fig. 3-55). Le vene estensive sono da suborizzontali a poco inclinate, con direzione WNW-ESE (loc. 2) (fig. 3-56). Fig. 3-51 - structure contour map della faglia di Cammoro (i numeri dentro i cerchi indicano le località delle stazioni strutturali). 50 W E N SUPERFICE PRINCIPALE 027, 25 Scaglia (2) (1) Rossa Rossa Maiolica (2) STEP (1) 50 cm SUPERFICE P RINCIPALE Fig. 3-52 - particolare del contatto principale tra Maiolica e Scaglia Rossa, lungo la faglia di Cammoro, loc. 2 di fig. 3-37 Bisciaro linea di muro Scaglia Cinerea Scaglia Rossa Marne a Fucoidi Maiolica linea di tetto Calcari Diasprini Rosso Ammonitico Corniola 2.5 km Fig. 3-53 - diagramma di separazione stratigrafica della faglia di Cammoro Equal Area 1 2 Equal Area Equal Area 3 Fig. 3-54 - superfici di faglie e relative lineazioni di movimento osservate nei tre siti strutturali (vedi fig. 3-37) della faglia di Cammoro, Scaglia Rossa e Scaglia Variegata del muro. 51 1 2 13 Data 3 24 Data 13 Data Fig. 3-55 - poli delle superfici di pressure-solution nei tre siti strutturali (vedi fig. 3-37), muro della faglia di Cammoro. Fig. 3-56 - poli dele vene estensi ve, Scaglia Rossa del muro della faglia di Cammoro, loc. 2 di fig. 3-37. 4 N 1100 6 Data 1000 Faglia di Grotti La faglia di Grotti si sviluppa dalla zona compresa tra Tassinare e Grotti, prosegue attraverso Grotti formando un lineamento morfologico ben visibile, avente una direzione SW-NE sino alla latitudine di Piedipaterno, mentre a N di questo cambia bruscamente di direzione, assumendo una orientazione N-S o SSW-NNE che conserva sino a M. Grande e M. Maggiore (fig. 3-57); essa immerge verso i quadranti occidentali con angoli medio-alti di inclinazione. Il suo sviluppo è superiore a 12 km. Il diagramma di separazione stratigrafica indica che si tratta di una faglia inversa (fig. 3-58): è presente una sola superficie principale di faglia nella porzione meridionale a direzione WSW-ENE, in cui i movimenti registrati hanno un carattere trascorrente con movimenti verso ENE (fig. 3-59b), mentre la porzione settentrionale, nella cui zona di taglio sono registrati movimenti inversi-destri diretti verso ENE (fig. 3-59a), ha le caratteristiche di un restraining bend con sviluppo di un horse. Il clivaggio stilolitico ha direzione N-S, subverticale (loc. 5 di fig. 3-37) o variabile fra N-S e SW-NE, mediamente inclinato (loc. 6 di 5 900 700 6 500 600 1 km Fig. 3-57 - structure contour map della faglia di Grotti (i numeri dentro i cerchi indicano le località delle stazioni strutturali). 52 linea di muro 1 Bisciaro Scaglia Cinerea linea di muro 2 Scaglia Rossa linea di tetto Marne a Fucoidi Maiolica Calcari Diasprini Rosso Ammonitico Corniola 5 km Fig. 3-58 - diagramma di separazione stratigrafica della faglia di Grotti a Equal Area b Equal Area Fig. 3-59 - mesofaglie osservate lungo la faglia di Grotti, in loc. 5 (a) e 6 (b) di fig. 337. Proiezione equia reale, emisfero inferio re; le frecce indicano il senso di movimento del tetto delle faglie. b a Fig. 3-60 - proiezioni dei poli dei piani di clivaggio stilolitico osservati nelle zone di taglio lungo la faglia di Grotti, in loc. 5 (a) e 6 (b) di fig. 3-37. Proiezione equiareale, emisfero inferiore. 46 Data 29 Data Fig. 3-61 - proiezione dei poli delle vene estensive osservate in loc. 5 di fig. 3-37, zona di taglio della faglia di Grotti. Proiezione equiareale, emisfero inferiore. 9 Data 53 fig. 3-37) (fig. 3-60). Le vene estensive immergono verso NE con medio angolo di inclinazione (loc. 5) (fig. 3-61). Nell’estremità settentrionale della faglia la presenza di un fault-gouge con spessori di alcuni cm spiega probabilmente il piccolo spessore della zona di taglio a muro. Faglia di Tassinare La faglia di Tassinare si sviluppa da Montecchio (a Sud), passa per Tassinare e prosegue sino a Bazzano, a N del quale non affiora a causa della copertura detritica quaternaria: la sua continuità longitudinale è di almeno 9 km. L’analisi cartografica evidenzia che questa faglia si collega in apparente continuità strutturale con la faglia di Schioppo: tale continuità è evidenziata dalla separazione stratigrafica costante al passaggio fra le due faglie e dal graduale cambiamento nella direzione della faglia di Tassinare, che va a raccordarsi alla faglia di Schioppo. La struc ture contour map relativa a questa faglia evidenzia infatti come la sua direzione passa da NNW-SSE a N-S sino a diventare SSW-NNE nella sua estremità meridionale, dove si raccorda alla faglia di Schioppo (fig. 3-62). La faglia mette a contatto terreni più antichi, quali la Maiolica, sovrapposti a terreni più giovani, quali la Scaglia Rossa, le Marne a Fucoidi o il Bisciaro (fig. 3-63): questi ultimi costituiscono scaglie tettoniche nel muro del contatto principale. La faglia ha quindi una separazione stratigrafica inversa. Lungo la faglia di Tassinare le mesostrutture delle zone di faglia sono state esaminate in corrispondenza di un sito strutturale (loc. 7 di fig. 3-37), in cui la faglia è costituita da una serie di scaglie tettoniche, limitate da superfici tettoniche che immergono prevalentemente verso Ovest. Le mesofaglie presentano slickenlines che indicano movimenti destri-inversi, con spostamento del tetto verso NE (fig. 3-64). Relazioni di intersezione osservate tra differenti faglie (fig. 3-65) permettono di ricostruire una sequenza deformativa locale: si è sviluppata dapprima una faglia inversa, a medio angolo di inclinazione, che porta la Scaglia Bianca sopra alla Scaglia Rossa, con sposta- N 7 600 700 800 Montecchio 1 km Fig. 3-62 - structure contour map della faglia di Tassinare (il cerchio numerato rappresenta una delle stazioni strutturali). 54 FAGLIA DI SCHIOPPO S30°W FAGLIA DI T ASSINARE N30°E S N Bisciaro Scaglia Cinerea Scaglia Rossa Marne a Fucoidi Maiolica Calcari Diasprini Rosso Ammonitico Corniola linea di tetto linea di muro 5 km da analisi carta geologica (Decandia, 1982) questo studio fig. 3-63 - diagramma di separazione stratigrafica delle faglie di Schioppo (a sinistra) e di Tassinare (a destra). Equal Area menti verso NNE; questo contatto è dislocato da una seconda faglia inversa, a basso angolo, con movimenti inversi diretti verso E; una faglia subverticale ha dislocato infine le strutture precedenti, con cinematiche destreoblique e movimenti verso NE del blocco occidentale. Le superfici stilolitiche hanno nel sito esaminato una direzione media NNWSSE, su piani subverticali o molto inclinati (fig. 3-66). Fig. 3-64 - mesofaglie osservate nel sito strutturale di Tassinare (loc. 7 di fig. 337). E W Equal Area F1 F3 F2 Down Scaglia Bianca F2 F3 Up Scaglia Rossa F2 F1 2m F1 Fig. 3-65 - relazioni di terreno tra mesofaglie osservate nel sito strutturale di Tassinare, loc. 7 di fig. 3-37. 55 Fig. 3-66 - proiezione dei poli dei piani di pressure-solution, loc. 7 di fig. 3-37, faglia di Tassinare. 68 Data Faglia di Schioppo La faglia di Schioppo si sviluppa da C.le Occhiorenao, passa a SE di M. Fionchi, attraversa Schioppo con un ottimo e classico affioramento e arriva sino a Montecchio, dove sembra passare in continuità alla faglia di Tassinare: la sua continuità è di 9 km. La faglia mantiene una direzione costantemente SSW-NNE, ad alto angolo di inclinazione verso Ovest o subverticale (fig. 3-67). La sua separazione stratigrafica aumenta gradualmente spostanbranch Montecchio dosi da C.le Occhiorenao, dove si trova prepoint sumibilmente la tip-line della faglia, verso 900 Nord, sino ad arrivare al valore massimo nella zona di Schioppo e di Montecchio 600 (fig. 3-63): la linea di tetto è sempre più bassa stratigraficamente di quella di muro, 700 per cui la faglia ha separazione inversa. 500 Sono state esaminate le mesostrut600 8 ture della zona di taglio di questa faglia in corrispondenza dell’affioramento di 600 Schioppo: in questo sito (loc. 8 di fig. 3-37) è ben evidente un liscione di faglia avente a 400 tetto i Calcari a Posidonia e a letto delle tettoniti calcareo-silicee. Il liscione di faglia 700 presenta una superficie planare, a direzione N023°E, con immersione verso occidente 900 M. Fionchi ad alto angolo di inclinazione (quasi 75°), con numerose lineazioni da abrasione meccanica (fig. 3-68): esso presenta evidenze di deformazione multipla (multiple deforma tion di MARRETT & ALLMENDINGER, 1990), manifestata dalla presenza sulla stes1000 sa superficie di faglia di lineazioni di movimento in due set differenti: il più sviluppato M. Solenne numericamente ha un trend medio di 11° 1 km con inclinazione di 40° mentre quello meno sviluppato ha un trend di 220° con inclinazione sui 35° (fig. 3-68). Anche all’interno del set più sviluppato si osservano temFig. 3-67 - structure contour map della faglia di Schioppo poranee variazioni nella direzione di movi(il cerchio numerato rappresenta una delle stazioni struttu rali). 56 Equal Area mov. destrinormali mov. normali terminali mov. destroinverso 32 Data Fig. 3-68 - stereonet rappresentan te le giaciture dei liscioni di faglia con le lineazioni di movimento associate, osservate nel sito strut turale di Schioppo (loc. 8 di fig. 337) Fig. 3-69 - stereonet delle mesofa glie con verso di movimento sicu ro, loc. 8, sito di Schioppo mento. Il liscione è dislocato da numerose faglie trasversali, cronologicamente tardive, che hanno le caratteristiche di faglie normali. La comparazione con le mesofaglie per le quali è stato possibile riconoscere il verso di movimento (fig. 369), osservate principalmente nel letto della faglia, suggerisce che il set con trend N10°E rappresenta movimenti destri-normali, mentre quello con trend N220°E rappresenta dei movimenti destri-inversi. Le mesostrutture della faglia di Schioppo suggeriscono quindi che la faglia è stata attiva durante eventi destri, sia transpressivi sia transtensivi. Per analogia con quanto ricostruito nella contigua faglia di Tassinare (precedentemente descritta), si può ritenere che l’evento transpressivo sia precedente a quello transtensivo. Le superfici di pressure-solution hanno poli immergenti verso NE (fig. 370). Fig. 3-70 - proiezione dei poli di piani di pressure-solution, loc. 8, faglia di Schioppo SPOLETO 600 800 1000 fig. 3-72 800 Faglia di Spoleto La faglia di Spoleto è uno dei principali e più studiati sovrascorrimenti dell’Appennino umbro (p.e. DECANDIA & GIANNINI, 1977c; DECANDIA 1982; BARCHI, 1991; BARCHI & BROZZETTI, 1991; BARCHI et al. , 1991; DECANDIA & TAVARNELLI, 1991b). Si tratta di un sovrascorrimento che si sviluppa da M. Pirocchio a Pizzo 1 km 1000 1100 Fig. 3-71 - structure contour map della faglia di Spoleto. Sono indicate la traccia della superficie antiforme della faglia di Spoleto (linea spessa tratteggiata) e delle superfici assiali nel muro della faglia (linee a medio spessore continue). Sono state differenziate le scaglie tettoniche presenti nel letto della faglia (in grigio scuro) 57 Corno, dove costituisce un klippe, a Patrico e Monteluco; essa arriva a Vallocchia, dove viene troncata da una faglia normale. Il contatto è generalmente tra il Calcare Massiccio a tetto e la Scaglia Rossa (o subordinatamente le Marne a Fucoidi o la Maiolica) nel muro (DECANDIA, 1982). Per la caratterizzazione cartografica di questa faglia è stata utilizzata la carta geologica allegata al lavoro di DECANDIA (1982). Da essa sono state ricavate le linee strutturali più importanti, che sono la structure contour map del sovrascorrimento (fig. 3-71), le linee di cut-off della stratificazione nel tetto e nel letto del sovrascorrimento (fig. 3-72) e le tracce delle superfici plicative presenti nel letto del sovrascorrimento (fig. 3-71 e 3-72). Particolarmente interessante è la carta delle curve di livello del sovrascorrimento (fig. 371): si evidenzia bene che la superficie di faglia non ha andamento planare ma bensì ha una morfologia ad antiforme con un fianco occidentale a direzione SSW-NNE ed un fianco orientale a direzione WNW-ESE, con la traccia della superficie assiale che ha una direzione NNW-SSE. Questa morfologia della superficie di faglia è già stata messa in evidenza in BARCHI et al. (1991). Si nota inoltre che nell’elemento al muro vi sono delle pieghe, tagliate down-section dal thrust (DECANDIA & TAVARNELLI, 1991), che hanno direzione NNW-SSE, parallele alla traccia dell’antiforme del thrust. Nella porzione NW della zona è possibile determinare le linee di cut-off della stratificazione sia nel tetto sia nel letto (fig. 3-72): esse, a parte minori variazioni, hanno una traccia media NNW-SSE. Un modello possibile che permette di spiegare il parallelismo delle strutture nella zona di Spoleto è il synchronous thrusting di più sovrascorrimenti: il più importante di questi, il sovrascorrimento di Spoleto, avrebbe tagliato settori che si stavano già deformando per pieghe e sovrascorrimenti ciechi, e sarebbe stato a sua volta ripiegato durante l’evoluzione progressiva dei sovrascorrimenti più profondi (fig. 3-73). Vari AA. invocano per il thrust di Spoleto una successiva riattivazione come faglia normale ( BARCHI & BROZZETTI, 1991; DECANDIA & TAVARNELLI, 1991b). In particolare faglia di Spoleto N livello di décollement cut-off lines tetto cut-off lines muro traiettorie down-section faglia di Spoleto livello di décollement anticlinale muro piegamento del thrust faglia di Spoleto 1 km livello di décollement fig. 3-72 - particolare della porzione SW della zona esaminata in fig. 3-71. Sono indicate la traccia delle superfici assiali nel muro della faglia, e le linee di cutoff della stratificazione Fig. 3-73 - modello proposto per l’evoluzione della deformazione contrazionale nella zona di Spoleto 58 BARCHI & BROZZETTI (1991) sulla base di dati mesostrutturali, ricostruiscono una storia deformativa che vede dapprima la messa in posto del thrust con movimenti verso N040-80°E, a cui segue una fase trascorrente, con formazione di faglie destre sintetiche alla faglia della Valnerina e sinistre antitetiche; si avrebbe poi l’inversione della faglia di Spoleto, come faglia normale a basso angolo con movimenti del tetto verso WSW; ed infine la fase normale terminale con formazione di faglie normali ad alto angolo di inclinazione, che dislocano la faglia di Spoleto. Un sito strutturale eseguito in questo studio sembra confermare una attività polifasica della faglia di Spoleto. Le mesofaglie osservate in loc. 9 di fig. 3-37 (circa equivalente al sito n. 1 di BARCHI & BROZZETTI, 1991) nella zona di taglio sviluppata nel muro del contatto, hanno superfici non-planari, dati da tratti subverticali e tratti a basso angolo, che si raccordano in modo graduale, su cui si sono presenti slickenlines immergenti verso NNW, che conferiscono ai tratti subverticali la natura di faglie sinistre-oblique, ed ai tratti a basso angolo quella di faglie normali (fig. 3-74). Le lineazioni di movimento sono parallele alla linea di intersezione delle faglie variamente disposte e le faglie hanno quindi la natura di steps. Questo implica che le faglie si siano sviluppate riutilizzando superfici piegate e/o derivino dalla coalescenza di varie superfici preesistenti, diversamente orientate; l’orientazione dei movimenti sarebbe fortemente influenzata dalla disposizione preesistente delle superfici strutturali; poiché i movimenti sulle superfici sono oblique a queste, piuttosto che ad un evento trascorrente, come sostenuto in BARCHI & BROZZETTI (1991) si ritiene che le cinematiche appartengano ad una fase transtensiva, successiva a quella della sovrapposizione dell’elemento di Spoleto sopra all’elemento di M. Fionchi. Equal Area a 300-piani taglio-stereoplot Vectors 40 —> 227 37 —> 097 28 —> 344 b Values 0.748 0.218 0.034 7 Data 300-lineazioni mov-stereoplot Vectors 28 —> 348 52 —> 121 24 —> 245 c Values 0.882 0.090 0.027 8 Data Fig. 3-74 - dati mesostrutturali raccolti nel sito 9 di fig. 3-37, nel muro del contatto della faglia di Spoleto. In (a) sono indicate le faglie con le relative lineazioni di movimento; in (b) sono indicati i poli delle faglie con la relativa statistica di bingham (quadrati vuoti); in (c) sono indicate le lineazioni di movimento con la statistica di Bingham relativa (quadrati vuoti) 59 Le faglie normali In un periodo compreso tra il Pliocene inferiore ed il Pleistocene inferiore (BONINI, 1997 e bibliografia all’interno) ha inizio una fase distensiva che determina fra l’altro, la formazione della Valle Umbra. Riferibili a questa fase distensiva sono le faglie osservate nella zona esaminata. Le principali faglie normali affiorano nella zona della Valnerina e sono, da Nord a Sud, la faglia di Acera, la f. di M. Felcito, la f. di Fosso Contrafossi e la f. di Montegiano (fig. 3-75). La loro continuità è di vari km; esse hanno direzione generalmente NW-SE ma anche N-S (porzione meridionale della faglia di Fosso Contrafossi), ed immersione ad alto angolo verso SW (fig. 3-76). Esse tagliano trasversalmente le faglie destre-inverse, ed in particolare la faglia di Grotti, oppure si sviluppano al di sotto di zone di taglio inverse: p.e. la faglia di Montegiano si sviluppa alla base della faglia di Tassinare. Queste faglie ribassano i compartimenti ad occidente rispetto a quelli orientali: i movimenti sono normali, con talora una componente sinistra (faglia di Fosso Contrafossi, fig. 3-77). Quando le faglie normali attraversano le successioni della Maiolica e dei Calcari Diasprini si originano spessori plurimetrici di crush breccia e protocataclasiti (sensu SIBSON, 1977), in cui sono presenti porosità ed infiltrazioni di paleosuoli rossastri (faglia di Acera), mentre quando attraversano la Scaglia si sviluppano strutture S-C. M. Maggiore 72 54 58 faglia di Acera 59 59 58 faglia di M. Felcito 13 Data Fig. 3-76 - proiezione dei liscioni di faglia delle principali faglie normali affioranti nella zona della Valnerina. M. Galenne Equal Area faglia di Fosso Contrafossi 70 Grotti 55 0 2 km faglia di Montegiano fig. 3-75 - schema geologico con le principali faglie a separazione nor male, presenti nella zona della Valnerina 60 Fig. 3-77 - proiezione delle mesofaglie osservate nella zona di taglio della Faglia di Fosso Contrafossi, a Castel S. Felice. 4. DISCUSSIONE DEI DATI I dati presentati nel precedente paragrafo verranno ora discussi sotto vari aspetti, riguardo alle somiglianze e alle differenze tra i vari siti e le varie faglie. Dapprima viene esaminato il tipo di distribuzione spaziale dei dati mesostrutturali (fabric shape analysis) osservate nelle faglie, successivamente viene discussa la loro orientazione spaziale media ed il significato di questa orientazione; vengono poi analizzate in modo quantitativo le relazioni tra orientazione spaziale delle faglie, da una parte, e orientazione delle lineazioni di movimento e tipo dei movimenti, dall’altra; infine si discutono il significato deformativo e cinematico delle faglie. a c b 4.1 Analisi della distribuzione dei dati mesostrutturali (fabric shape analysis) L’analisi della distribuzione dei dati mesostrutturali e della loro simmetria può portare informazioni importanti sul grado di simmetria intrinseco dei processi che hanno generato le strutture esaminate (TWISS et al., 1993). La simmetria di queste ultime è stata analizzata in PATERSON & WEISS (1961, citati in TURNER & WEISS, 1963) ed in TURNER & WEISS (1963). Questi ultimi (op. cit., p. 44) distinguono cinque classi di simmetria per le strutture, che sono: 1) il fabric sferico 2) il fabric assiale 3) il fabric ortorombico 4) il fabric monoclino 5) il fabric triclino. Mentre nel primo caso la simmetria è sferica, il che origina una orientazione casuale degli elementi del fabric, nel secondo esistono infiniti piani di simmetria, tutti passanti per un singolo asse, più un piano di simmetria normale all’asse. Nel fabric ortorombico esistono tre piani di simmetria, mutuamente ortogonali (più tre digire normali ai piani); nel fabric monoclino esiste un solo piano di simmetria (più una digira normale al piano); infine nel fabric triclino non esiste nessun elemento di simmetria. In fig. 4-1 e 4-2 sono esemplificati gli ultimi quattro tipi di fab ric. La fabric shape è stata successivamente analizzata approfonditamente in WOODCOCK (1977). La base teorica della sua analisi è la trasformazione dei singoli dati in vettori unitari, dei quali vengono calcolati i coseni direttori li, mi, ni. d Fig. 4-1 - esempi di fabric assiale (a, b) e ortorombico (c, d). Da fig. 3.13 di TURNER & WEISS, 1963. a b c d Fig. 4-2 - esempi di fabric monoclino (a, b) e triclino (c, d). Da fig. 3.14 di TURNER & WEISS, 1963. 61 Dagli N vettori unitari si calcola la seguente matrice: ∑ l 2i a = ∑ m i l i n l ∑ i i ∑l m ∑l n ∑m ∑m n ∑n m ∑ n i i i 2 i i i i i 2 i i (1) Di essa si possono calcolare gli autovalori, l1, l2, l3, (tali che la loro somma valga M) che vengono normalizzati dividendoli per M: S1= l1 / M; S2= l2 / M; S3= l3 / M. Distribuzioni di tipo cluster (axial di TURNER & WEISS, 1963) tendono ad avere: S1 > S2 ≈ S3 mentre fasce distribuite su ciclografiche tendono ad avere: S1 ≈ S2 > S3 (WATSON, 1966, citato in WOODCOCK, 1977). Poiché la fabric shape è direttamente collegata agli autovalori, la prima può essere specificata utilizzando un diagramma bilogaritmico Fig. 4-3 - diagramma bilogaritmico introdotto da in cui l’asse delle ascisse vale: WOODCOCK, 1977. Vedi il testo per maggiori spiega x = ln(S2 / S3) zioni. Da fig. 1 in WOODCOCK, 1977. mentre l’asse delle ordinate vale: y = ln(S1 / S2) (fig. 4-3). La tendenza rispettiva ad una distribuzione di tipo cluster piuttosto che di tipo girdles (fascia su ciclografica) è espressa dal parametro: K= ln (S1 S 2 ) ln( S2 S3 ) (2) mentre la tendenza al raggruppamento è espressa dal parametro: (3) C = ln( S S ) 1 3 L’analisi della fabric shape tramite gli autovalori è perfettamente attendibile quando la dis- Fig. 4-4 - relazioni tra mode della distribuzione e autovettori. I casi (a), (d) e (e) hanno simmetria orto rombica, il caso (b) ha sim metria monoclina, il caso (c) ha simmetria triclina. Da fig. 4 in WOODCOCK, 1977. 62 1 13 Data. Contoured at 1 2 3 4 5 6 7 x uniform 2 24 Data. Contoured at 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 1 x uniform 5 46 Data. Contoured at 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 1 x uniform 3 13 Data. Contoured at 1 2 3 4 5 6 x uniform 6 29 Data. Contoured at 1 2 3 4 5 6 7 8 9 x uniform 7 68 Data. Contoured at 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 1 x uniform 8 Fig. 4-5a - contour dei poli delle superfici di pressure-solution, nelle varie località indicate dai numeri in fig. 3-37. 32 Data. Contoured at 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 x uniform tribuzione è sferica, assiale o ortorombica (unimodale), mentre essa deve essere usata con prudenza quando è ortorombica polimodale oppure monoclina o triclina (fig. 4-4), in quanto gli autovettori per questi ultimi casi possono non coincidere con gli assi di simmetria del fabric (WOODCOCK, 1977, pp. 1233-1234). Per quanto riguarda gli elementi esaminati, dall’analisi visiva del contour dei dati mesostrutturali (fig. 4-5a, b, c: poli dei piani per le stiloliti ed i piani di faglia, assi per le lineazioni di movimento) si vede che le stiloliti presentano una simmetria assiale, talora tendente alla monoclina, sempre unimodale. Invece i piani di faglia e le lineazioni di movimento hanno distribuzioni monocline, bimodali o polimodali. Nel caso dei campioni bimodali una delle due mode è sempre molto più sviluppata dell’altra: questo è dovuta all’esistenza di due sets di piani di taglio o di lineazioni di movimento, rispettivamente sintetici (più sviluppato) ed antitetici (meno sviluppato) alla faglia principale. Il primo set è presumibilmente costituito da piani di Riedel sintetici, P e Y; il secondo set da piani di Riedel antitetici. Come evidenziato da TWISS et al. (1993), la simmetria che ci si aspetterebbe per i dati di faglia, nel caso in cui i tensori dello stress e dello strain fossero simmetrici (come generalmente assunto), dovrebbe essere almeno ortorombica, se non intervengono altri fattori al contorno (p.e. 63 1 2 3 21 Data. Contoured at 1 2 3 … 11 times uniform 34 Data. Contoured at 1 2 3 4 5 6 7 times uniform 17 Data. Contoured at 1 2 3 4 5 6 7 8 9 times uniform 5 37 Data. Contoured at 1 2 3 … 12 times uniform 6 58 Data. Contoured at 1 2 3 … times uniform 7 63 Data. Contoured at 1 2 3 4 5 6 7 times uniform 8 Fig. 4-5b - contour e statistica di Bingham dei poli delle superfici di faglia, nelle varie località indicate dai numeri in fig. 3-37. 66 Data. Contoured at 1 2 3 … times uniform presenza di anisotropie meccaniche) con simmetria inferiore a quella ortorombica. Il fatto che la simmetria effettivamente osservata per i dati di faglia sia monoclina richiede quindi una spiegazione che contempli: a) la presenza di altri fattori con simmetria inferiore a quella ortorombica; o alternativamente, b) l’asimmetria dei tensori dello stress e dello strain. DE PAOR (1994) esamina le implicazioni dell’esistenza di strain e di stress asimmetrici e spiega la formazione di un solo set di superfici di taglio (invece di due coniugati) come conseguente alla presenza di un campo di stress asimmetrico (fig. 4-6). Esiste quindi la possibilità che i tensori che descrivono i campi di stress e di strain responsabili delle strutture osservate siano asimmetrici, anche se non si può escludere che sia invece importante il ruolo di anisotropie meccaniche preesistenti. In generale i piani di simmetria monoclina per le faglie e per le relative lineazioni di movimento (corrispondenti alle ciclografiche delle fig. 4-5b e 4-5c) hanno direzioni variabili fra N-S e W-E. Essi sono fra loro subparalleli: questo indica che le lineazioni di movimento tendono a disporsi su una ciclografica il cui polo è l’asse di colinearità dei piani di faglia: in altre parole, le faglie sono coniugate. Lo scostamento più marcato da questa regola avviene per il sito 8, relativo alla faglia di Schioppo (fig. 4-5b, c). Questo è dovuto alla presenza di due sets di lineazioni di movimento sulle stesse faglie, riferibili presumibilmente ad eventi deformativi diversi. 64 1 2 3 20 Data. Contoured at 1 2 3 … 11 times uniform 27 Data. Contoured at 1 2 3 4 5 6 7 8 9 times uniform 12 Data. Contoured at 1 2 3 4 5 6 times uniform 5 6 7 25 Data. Contoured at 1 2 3 … 11 times uniform 42 Data. Contoured at 1 2 3 4 5 6 7 8 9 times uniform 48 Data. Contoured at 1 2 3 4 5 6 7 times uniform 8 Fig. 4-5c - contour e statistica di Bingham degli assi delle lineazioni di movimento, nelle varie località indicate dai numeri in fig. 3-37. 36 Data. Contoured at 1 2 3 4 5 6 7 8 9 times uniform Dal contour dei dati si vede che gli autovettori non si discostano molto dagli assi di massima inerzia anche quando la simmetria è monoclina bi- o polimodale. Questo fatto rende possibile utilizzare gli autovalori per caratterizzare la distribuzione dei dati. L’analisi tramite il diagramma bilogaritmico introdotto da WOODCOCK (1977) (fig. 4-7) evidenzia che i piani stilolitici hanno distribuzioni di tipo cluster tendenti al uniaxial cluster, mentre i piani di taglio hanno distribuzione per lo più al limite tra cluster e girdle; le lineazioni di movimento hanno caratteristiche di distribuzione più disperse, con alcuni siti aventi distribuzioni di tipo cluster (loc. 1 e 6 di fig. 337) ed altre di tipo girdle (loc. 3, 7 e 8 di fig. 3-37). E’ possibile che la maggiore tendenza alla distribuzione di tipo girdle sia conseguente ad una storia deformativa più complessa, con una maggiore dispersione delle lineazioni di movimento. 65 Fig. 4-6 - a) cerchio di Mohr che rappresen ta un tensore dello stress simmetrico e svi luppo di due set coniugati di faglie; b) cer chio di Mohr per un tensore asimmetrico dello stress e sviluppo di un solo set di faglie. Da DE PAOR (1994), fig. 4. ln(S 1/S2) 6 K=5 U n i a x i a l 5 4 C l u s t e 2 r s 8 3 2 1 K=2 K=1 Girdles- Transition 1 5 6 71 81 365 5 6 3 2 2 3 7 7 K = 0,5 Girdles ln(S1/S3) = 6 5 8 Girdles Uniaxial 0 1 K = 0,2 4 3 2 1 0 Clusters Clusters 2 3 4 K=0 5 6 ln(S2/S3) Fig. 4-7 - diagramma bilogaritmico di WOODCOCK (1977) per la distribuzione dei piani di clivaggio stilolitico (quadrati), dei piani di faglia (cerchi) e delle lineazioni di movimento (triangoli) realtivi alle varie stazioni strutturali (i numeri rappresentano le località). Per maggiori dettgli vedi il testo. 66 4.2 Relazioni tra orientazione delle faglie ed orientazione dei movimenti In questo paragrafo verranno analizzate dettagliatamente le relazioni che intercorrono fra orientazione delle mesostrutture e direzioni di movimento registrate su queste. Come si può osservare in fig. 4-8a, la moda della direzione delle mesofaglie può essere SSW-NNE (faglia di Grotti, loc. 5; faglia di Schioppo, loc. 8), NNW-SSE (faglia di Cammoro, loc. 3; faglia di Tassinare, loc. 7) ma anche WSW-ENE (faglia di Cammoro, loc. 2; faglia di Grotti, loc. 6). Quando le mesofaglie sono suborizzontali la direzione ovviamente è ampiamente 1 Values: 23 Interval:10° Radius:25% 2 Values: 34 Interval:10° Radius:25% 6 3 Values: 16 Interval:10° Radius:25% 7 5 Values: 37 Interval:10° Radius:25% 8 Fig. 4-8a - rose dia grams delle direzio ni delle faglie nei siti strutturali, indi cati in fig. 3-37. Values: 58 Interval:10° Radius:25% Values: 63 Interval:10° Radius:25% 1 Values: 21 Interval:10° Radius:25% 2 Values: 28 Interval:10° Radius:25% 6 Values: 43 Interval:10° Radius:25% Values: 67 Interval:10° Radius:25% 3 Values: 12 Interval:10° Radius:25% 7 67 Values: 27 Interval:10° Radius:25% 8 Values: 41 Interval:10° Radius:25% Values: 4 8 I nterval :10 ° Rad ius:25% 5 Fig. 4-8b - rose dia grams delle linea zioni di movimento nei diversi siti strut turali, indicati in fig. 3-37. dispersa (faglia di Cammoro, loc. 1). L’analisi delle mesofaglie osservate nei siti strutturali conferma alla scala mesostrutturale il risultato già emerso per la scala macrostrutturale dall’esame delle struc ture contour maps: le faglie hanno in generale una ampia variabilità di orientazione. Le lineazioni di movimento osservate nei vari siti presentano in generale una relativa costanza di trend (vedi fig. 4-8b), SW-NE (faglia di Cammoro, loc. 2 e 3; faglia di Grotti, loc. 5 e 6; faglia di Tassinare, loc. 7; faglia di Schioppo, loc. 8, parte dei dati). Questa direzione di trasporto tettonico si inquadra bene nella vergenza appenninica vettore movimento hangingwall hangingwall λ (+) PIANO DI FAGLIA direzione orientata (regola mano destra) immersione λ (angolo) movimenti 0° - 90° sinistro-inverso 90° - 180° destro-inverso 180° - 270° destro-normale 270° - 360° sinistro-normale rotazione antioraria positiva footwall 0° ≤ λ ≤ 360° Fig. 4-9 - illustrazione dei concetti di direzione orien tata secondo la regola della mano destra e di angolo lambda. f. inversa f. sinistra f. destra f. normale f. sinistra 360 1 f. inversa f. sinistra f. destra f. normale f. sinistra 360 315 2 315 f. inversa 270 f. inversa 270 225 225 f. destra 180 f. destra 180 135 135 f. normale 90 f. normale 90 45 45 f. sinistra 0 0 45 90 135 f. inversa f. sinistra 180 225 f. destra 270 315 f. sinistra 0 360 0 f. normale f. sinistra 360 5 45 90 135 f. inversa f. sinistra 180 225 f. destra 270 315 360 f. normale f. sinistra 360 315 315 f. inversa 270 f. inversa 270 225 225 f. destra 180 f. destra 180 135 135 f. normale 90 f. normale 90 45 45 f. sinistra 0 0 45 90 135 f. inversa f. sinistra 180 225 f. destra 270 315 0 f. normale f. sinistra 360 7 f. inversa 225 f. destra 180 135 f. normale 90 45 f. sinistra 0 0 45 90 135 180 225 270 315 45 90 135 180 225 270 315 360 Fig. 4-10 - grafici cartesiani che met tono in relazione la direzione orienta ta delle mesofaglie (in ascissa) con le direzioni di movimento su queste (senso di movimento del blocco a tetto della faglia, in ordinata). I numeri in alto a sinistra di ogni grafico indicano il sito strutturale esaminato, illustrato in fig. 3-37. 315 270 f. sinistra 0 360 360 68 6 degli spostamenti. Le relazioni fra la variazione della direzione delle faglie e la variazione delle relative direzioni di trasporto possono essere investigate tramite l’uso di grafici cartesiani che pongono in relazione la direzione della faglia (orientata secondo la regola della mano destra: pollice parallelo alla direzione orientata e indice parallelo all’immersione della faglia, fig. 4-9) con la direzione di movimento del blocco a tetto della faglia. In questi grafici le faglie di vario tipo (inverse, normali, destre, sinistre) sono tutte espresse da linee fra loro parallele (vedi fig. 4-10). Le relazioni tra direzione orientata delle faglie e direzioni di movimento su queste, per i siti con un sufficiente numero di dati, sono illustrate in fig. 4-10. Da esse si può vedere che l’influenza della direzione della faglia sulla direzione di movimento è scarsa o nulla. In generale i movimenti delle faglie sintetiche sono diretti verso NE, indipendentemente dalla direzione della faglia: si hanno così movimenti destri-normali (p.e. faglia di Cammoro, loc. 2) o destri-inversi (p.e. faglia di Grotti, loc. 5 e faglia di Tassinare, loc. 7). Solo nel caso di mesofaglie sinistre è osservabile una notevole dispersione nelle direzioni di movimento (p.e. faglia di Cammoro, loc. 2; faglia di Tassinare, loc. 7). Per studiare i rapporti tra orientazione delle faglie e tipo di movimento, è possibile utilizsinistra 360 1 sinistra 360 2 315 315 normale 270 normale 270 225 225 destra 180 destra 180 135 135 inversa 90 inversa 90 45 45 sinistra 0 0 45 90 135 180 225 270 315 sinistra 360 sinistra 0 0 360 5 45 90 135 180 225 270 315 360 sinistra 360 315 315 normale 270 normale 270 225 225 destra 180 destra 180 135 135 inversa 90 inversa 90 45 45 sinistra 0 0 45 90 135 180 225 270 315 sinistra 360 0 7 normale 225 destra 180 135 inversa 90 45 sinistra 0 0 45 90 135 180 225 270 315 45 90 135 180 225 270 315 Fig. 4-11 - grafici cartesiani che mettono in relazione la direzio ne orientata delle mesofaglie (in ascissa) con il relativo angolo lambda (in ordinata). I numeri in alto a sinistra di ogni grafico indicano il sito strutturale esa minato, illustrato in fig. 3-37. 315 270 sinistra 0 360 360 69 360 6 zare grafici cartesiani in cui la direzione delle faglie (orientata secondo la regola della mano destra) viene messa in relazione con l’angolo sotteso dalla direzione orientata e dalla lineazione di movimento (angolo λ di AKI & RICHARDS, 1980) (vedi la fig. 4-9 per maggiori dettagli). Diagrammi di questo tipo sono stati utilizzati in GHISETTI (1994) e in LITTLE (1996). In questi grafici (fig. 4-11) si osserva che in tutti i siti i dati con movimenti sintetici presentano una relazione lineare fra le due variabili, con coefficiente angolare prossimo all’unità; i dati relativi ai movimenti antitetici (piani di Riedel antitetici) sono meno frequenti e si plottano in settori a parte. Solo nella faglia di Tassinare (loc. 7) sono presenti dei dati che non rispondono a queste regole. Osservando che le lineazioni di movimento sono distribuite in fasce approssimabili da ciclografiche (vedi fig. 4-5c) è possibile per ogni sito riconoscere una ciclografica contenente le lineazioni di movimento (che verrà d’ora in poi chiamata CLM). La lineazione di movimento per ogni singola faglia è determinabile dall’intersezione tra il piano di faglia e la CLM. E’ possibile calcolare la relazione teorica che lega il pitch della lineazione (e quindi anche l’angolo lambda) alla direzione orientata della faglia (vedi appendice A). Il pitch vale: 1 pitch = arccos sin (p)sin (d) + cos(p )cos(d)(cos(s )sin (t ) − sin (s) cos( t ))] [ sin (θ ) dove: s, d: direzione orientata (regola mano destra) e inclinazione del piano di faglia t, p: trend e plunge del polo della CLM θ : angolo tra polo del piano di faglia e polo della CLM. (1) Questa relazione tra direzione orientata della faglia e angolo lambda non è di tipo lineare. Nel paragrafo 4.1 (Analisi della distribuzione dei dati mesostrutturali - fabric shape analy sis) è stato osservato che i poli dei piani di faglia tendono a giacere su una singola ciclografica (che verrà d’ora in poi denominata CPF). Introducendo questo come vincolo per l’orientazione delle faglie si possono ricavare in modo quantitativo le relazioni tra direzione orientata ed angolo lambda. Un programma in QUICKBASIC (vedi appendice B) in cui sono stati utilizzati come dati di input le orientazioni delle ciclografiche in tab. 4-1, ha permesso di ottenere i risultati illustrati in fig. 4-12. I punti importanti che emergono sono i seguenti: a) le relazioni teoriche sono espresse da due curve, uguali ma sfalsate in verticale di 180°: la prima rappresenta le faglie sintetiche, la seconda le faglie antitetiche. b) entrambe hanno un dominio della direzione orientata che va da (TR -180°) a TR , dove TR è l’azimuth del polo della CPF. A SSI A LLE CICLOGRAFICHE N dati piani di faglia loc. 1 13 11-272 05-275 loc. 2 23 41-278 52-283 loc. 5 19 03-009 19-337 loc. 6 5 22-346 10-349 16 31-330 32-340 lineazioni di movimento F. di Cammoro F. di Grotti F. di Tassinare loc. 7 70 Tab. 4-1 - dati struttu rali dei siti analizzati, illustrati in fig. 3-37. c) queste curve teoriche nella loro parte centrale possono essere approssimate da linee, mentre alle estremità hanno generalmente andamento curvilineo. L’accordo tra curve teoriche e dati osservati è generalmente buono, soprattutto nel caso del sito 1 della faglia di Cammoro. Nella faglia di Tassinare (loc. 7) oltre a dati che si plottano lungo le curve teoriche, esistono dati che si plottano al di fuori di queste: questo potrebbe essere un indizio di storia polifasica, che è ulteriormente confermata dall’osservazione di terreno di varie faglie che si succedono nel tempo (vedi paragrafo “Faglia di Tassinare” in capitolo 3, “Tettonica”). In conclusione, la relazione osservata tra direzione orientata delle faglie e angolo lambda, approssimabile come lineare, deriva dalla particolare distribuzione, in fasce subparallele, dei poli delle faglie e delle lineazioni di movimento, dovuta alla loro natura di faglie coniugate. sinistra 360 faglie antitetiche 1 sinistra 360 315 normale 270 normale 270 225 2 faglie antitetiche 315 225 faglie sintetiche 180 destra 135 destra faglie sintetiche 180 135 inversa 90 faglie antitetiche 45 45 sinistra 0 0 45 90 135 180 225 inversa 90 270 315 faglie antitetiche sinistra 0 0 360 sinistra 360 faglie antitetiche 5 45 normale 225 180 225 270 315 360 sinistra faglie antitetiche 315 faglie sintetiche 135 360 315 270 90 normale 270 225 faglie sintetiche destra 180 180 destra faglie sintetiche 135 135 faglie antitetiche 90 inversa inversa 90 45 45 faglie antitetiche faglie antitetiche sinistra 0 0 45 90 135 180 225 270 315 sinistra 360 faglie antitetiche sinistra 0 0 360 45 90 135 180 225 270 315 360 7 315 normale 270 Fig. 4-12 - curve teoriche che collegano la direzione orientata con l’angolo lambda, relative ad ogni sito strutturale. Vedi il testo per maggiori spiegazioni. 225 faglie sintetiche 180 destra 135 inversa 90 45 faglie antitetiche sinistra 0 0 45 90 135 180 225 270 315 360 71 6 4.3 Significato deformativo delle faglie Le faglie sono strutture geologiche che accomodano una frazione significativa della deformazione totale di un volume roccioso. Esse hanno quindi anche un significato deformativo che può essere analizzato da due differenti punti di vista: come strain finito e come strain incrementale. Per riconoscere il significato in termini di strain finito, seguendo i numerosi metodi proposti (p.e. WOJTAL, 1986; CLADOUHOS & ALLMENDINGER, 1993; PEACOCK & SANDERSON, 1993) occorre conoscere anche l’entità del rigetto di ogni singola faglia, un dato che in questo studio non si è potuto raccogliere per mancanza di marker adeguati. Il significato in termini di strain incrementale delle faglie viceversa può essere ricavato anche senza la conoscenza preliminare del rigetto della faglia. Esso è stato analizzato approfonditamente in MARRETT & ALLMENDINGER, 1990. Lo strain incrementale relativo ad ogni singola faglia è rappresentabile come un ellissoide la cui orientazione spaziale presenta delle precise relazioni con la faglia (fig. 4-13): infatti due degli assi principali dell’ellissoide, quello di massimo raccorciamento (noto come asse P dei sismologi) e quello di massimo allungamento (asse T) giacciono nel piano definito dal polo del piano di faglia e dalla lineazione di movimento (movement plane di ARTHAUD, 1969, il cui polo è l’asse B). Inoltre questi due assi si trovano a 45° sia dal polo della faglia sia dalla lineazione. Una popolazione di faglie è quindi rappresentabile come un insieme di assi incrementali, che possono essere analizzati statisticamente. Il risultato di questa analisi per le stazioni strutturali relative alle faglie inverse-destre è illustrato in fig. 4-14. Da essa si possono trarre varie osservazioni. Gli assi di massimo raccorciamento incrementale (assi P) sono raggruppati in clusters che immergono verso ENE, con inclinazione bassa o media. Solo lungo la faglia di Cammoro (loc. 1 di fig. 3-37) la direzione di massimo raccorciamento incrementale è verso NNE. Gli assi di massimo allungamento incrementale (asse T) hanno orientazioni disperse nei due quadranti meridionali, con inclinazioni da subverticali a suborizzontali. Gli assi intermedi delle mesofaglie (assi B) immergono verso NNW o verso WNW e sono quindi subparalleli alle locali cerniere delle pieghe della stratificazione. Questo subparallelismo a b P 45° 45° T Equal Area asse P polo della faglia piano di faglia asse T piano di faglia T senso di movimento direzione di movimento P Fig. 4-13 - a) illustrazione del concetto di asse di massimo raccorciamento e di massimo allungamento dell’ellisse della deformazione incrementale (ridisegnato da fig. 25.5A di RAMSAY & HUBER, 1987). b) determinazione degli assi P e T collegati ad una faglia (ridisegnato da MARRETT & ALLMENDINGER, 1990, fig. 1). 72 1 Equal Area 2 Equal Area 3 Equal Area 2 3 3 2 2 3 1 1 N = 13 1 N = 23 5 Equal Area 2 N=5 6 Equal Area 7 Equal Area 2 2 3 3 1 1 N = 19 3 N=5 1 N = 16 8 Equal Area Fig. 4-14 - stereogrammi degli assi di massimo raccorciamento incrementale (cerchi pieni) e di massimo allungamento (qua drati vuoti) relativi ai vari siti strutturali, illustrati in fig. 3-37. I quadrati pieni numerati indicano gli autovettori deducibili tramite la statistica di Bingham (1: asse T; 2: asse B; 3: asse P). 3 2 1 N=5 non è casuale, quando si considera che sia gli assi B delle mesofaglie sia gli assi delle pieghe riflettono la direzione dell’asse intermedio dell’ellissoide della deformazione, associato rispettivamente al fagliamento e al piegamento. Dal parallelismo osservato ne consegue quindi che fagliamento e piegamento sono stati presumibilmente entrambi espressione dello stesso campo deformativo collegato al raccorciamento. Dal contour degli assi P (fig. 4-15a) e degli assi T (fig. 4-15b) cumulativi dei vari siti si osserva a Equal Area N = 86 C.I. = 2.0%/1% area b Equal Area N = 86 73 C.I. = 2.0%/1% area Fig. 4-15 - a) contour di Kamb degli assi P cumula tivi delle sta zioni esamina te. b) contour di Kamb degli assi T cumula tivi. Equal Area 2 Fig. 4-16 - stereonet degli assi di massimo raccor ciamento (cerchi pieni) e di massimo allungamen to (cerchi vuoti) relativi alla faglia di Fosso Contrafossi, a Castel S. Felice. I quadrati pieni numerati indicano gli autovettori deducibili trami te la statistica di Bingham (1: asse T; 2: asse B; 3: asse P). 1 3 che il campo deformativo ha caratteristiche intermedie fra quelle di un campo trascorrente e quelle di un campo compressivo; la direzione di massimo raccorciamento rispecchia bene la direzione di raccorciamento regionale, antiappenninica (WSW-ENE). Nel caso delle faglie normali, che dislocano le faglie inverse-destre, invece la distribuzione degli assi P e T è nettamente differente. In fig. 4-16 è illustrato il risultato di questo tipo di analisi per la faglia normale di Fosso Contrafossi, a Castel S. Felice: si vede come la direzione di massima estensione è ora WSW-ENE, orizzontale, mentre la direzione di massima compressione immerge ad alto angolo verso Sud. Durante la fase contrazionale appenninica la direzione WSWENE rappresenta la direzione di massimo raccorciamento, mentre nella successiva fase distensiva essa rappresenta la direzione di massimo allungamento. 74 4.4 Significato dinamico delle faglie I movimenti sulle faglie sono regolati dall’insieme delle forze che agiscono su queste superfici. E’ quindi possibile dai movimenti che sono registrati sulle faglie dedurre informazioni sul campo di stress che li hanno originati. Questo è fatto tramite la “analisi dinamica”, che è un metodo di analisi delle popolazioni di faglie che mira a dedurre da queste ultime l’orientazione del campo di stress che le ha originate. Essa è stata sviluppata per la prima volta da CAREY & BRUNIER (1974) ed è stato utilizzato successivamente da vari AA. (p.e. ANGELIER, 1979, 1984; ETCHECOPAR et al., 1981; GHEPHART & FORSYTH, 1984; RECHES, 1987; CAREYGAILHARDIS & MERCIER, 1992). Lo stress è descrivibile tramite un tensore a nove componenti, che supposto simmetrico, ha solo sei componenti indipendenti (TWISS & MOORES, 1992, p. 146); la direzione del resolved shear stress (direzione teorica di massimo stress di taglio) sulla faglia dipende da quattro componenti, da cui segue che solo queste quattro quantità possono essere dedotte dai dati osservabili (GEPHART, 1990a). Le informazioni ottenibili sono le orientazioni dei tre assi principali di stress ed una grandezza che può essere espressa come: R = σ2 − σ1 σ3 − σ1 dove σ 1, σ2, σ3 sono le grandezze degli stress principali. Quest’ultima grandezza può variare tra 0 e 1: nel primo caso σ1 = σ 2 (axial extension), nel secondo caso σ2 = σ3 (axial compression), mentre nei casi intermedi si ha stress triassiale (triaxi al stress, terminologia di TWISS & MOORES, 1992, p. 156). I principali metodi utilizzati si basano su varie assunzioni (CAREY-GAILHARDIS & MERCIER, 1992; NEMCOCK & LISLE, 1995): 1. il movimento registrato dalle lineazioni è parallelo alla direzione del resolved shear stress sulla faglia. 2. il movimento su faglie differenti è mutuamente indipendente. 3. il campo di stress è omogeneo alla scala di osservazione. 4. le faglie non hanno esperimentato rotazioni derivanti da tilting variabile oppure da deformazione interna dei blocchi. Come evidenziato in POLLARD et al. (1993) il campo di stress locale può differire da quello regionale (cioè quello che si sviluppa a scala ben maggiore della scala della struttura esaminata) per cause quali eterogeneità vicino alla faglia oppure interazione meccanica fra può faglie, anche se questa differenza generalmente si mantiene bassa rispetto all’incertezza insita nella misura dei dati. I risultati rappresentano quindi nel migliore caso una media temporale e spaziale del campo di stress collegato allo strain incrementale (LITTLE, 1995) e devono essere comunque essere trattati con precauzione, cercando sia la coerenza interna fra più risultati, sia soprattutto quella esterna con i risultati forniti da altre strutture. In questo studio si è utilizzato il programma illustrato in GEPHART (1990a, b), applicandolo solo per le popolazioni di faglie in cui non esistevano evidenze di più di una fase deformativa e in cui erano presenti almeno due set differentemente orientati di faglie, p.e. superfici di Riedel sintetiche e Riedel antitetiche; si sono inoltre scartate le faglie che presentavano indizi di piegamento e/o rotazione. Le popolazioni di faglia esaminate provengono dall’immediato muro della faglia di Cammoro (loc. 1, 2, 3 di fig. 3-37) e della faglia di Grotti (loc. 5 di fig. 3-37). I risultati dell’analisi sono illustrati in fig. 4-17. In generale la distribuzione delle orientazioni del σ1 è compresa tra NNE (loc. 1) e ENE (loc. 2, 3 e 5). Il dato di miglior qualità proviene dal muro della faglia di Grotti (loc. 5) ed indica 75 1 7.6° 0% s1 11.1° 68% s3 12.6° 95% Pole Rot. 2 20.0° 0% s1 28.0° 68% s3 31.6° 95% 14.7° 0% s1 26.8° 68% s3 31.4° 95% 10.7° 0% s1 15.8° 68% s3 18.1° 95% Pole Rot. 3 Pole Rot. 5 Pole Rot. 76 Fig. 4-17 - orientazioni dei campi di stress compatibili con le popolazioni di faglia osservate nei vari siti struttu rali, ottenute tramite il programma per inversione dello stress FMSI, di GEPHART (1990a, b). I risultati sono stati derivati tramite una ricerca per griglia estesa all’intero campo di pos sibili orientazioni degli assi principali. Il disaccordo tra dato osservato e dato predetto dal modello è quantificato tramite l’angolo di rotazione attorno al polo della faglia necessario per portare a coincidere i due tipi di dati (metodo “pole rotation”), sommato per l’insieme dei dati. Le possibili orientazioni che minimizzano la som matoria sono espresse tramite il con tour, con il miglior dato corrisondente al contour dello 0% (colore nero). Gli istogrammi (in basso a destra) esprimono l’andamento del numero delle soluzioni possibili, al variare di valore di R (in ascissa), con la miglior soluzione rappresentata in colore nero. un asse σ1 poco inclinato ed immergente verso N75°E. Le orientazioni possibili per l’asse σ3 sono in generale molto più disperse (tranne che per la loc. 5), essendo distribuite su ciclografiche a 90° dall’asse σ1. Questo potrebbe indicare che la grandezza del σ3 è stata circa uguale a quella del σ2, cioè il campo di stress è di tipo axial com pression. Solo nel caso del muro della faglia di Grotti (loc. 5), tutto indica un asse σ3 molto inclinato, immergente verso SSW, associato ad un rapporto R di valore 0.2. Gli assi σ1 hanno orientazione perfettamente congruente con quella del clivaggio stilolitico osservato nei siti strutturali (fig. 4-5a); sono inoltre paralleli agli assi di massimo raccorciamento incrementale dedotti dalle stesse popolazioni di faglie (fig. 4-14). Questa congruenza fra tutti i vari tipi di dati indica che le direzioni di compressione e quelle di massimo raccorciamento sono state coassiali durante la storia deformativa, e sono state dirette in media verso ENE, quindi perfettamente compatibili con quelle appenniniche. Viceversa non si osserva questa ottima corrispondenza fra assi σ3 (fra l’altro molto dispersi), assi di massimo allungamento incrementale e vene estensive. Le componenti di estensione ed allungamento hanno avuto quindi ruoli meno definiti durante la storia deformativa. 77 5. CONSIDERAZIONI SUL POSSIBILE RUOLO MECCANICO E GEOLOGICO DEI LINEAMENTI OBLIQUI 5.1 Ruolo meccanico dei lineamenti obliqui L’analisi delle mesofaglie osservate nei siti strutturali conferma alla scala mesostrutturale il risultato già emerso per la scala macrostrutturale dall’esame delle structure contour maps: le faglie hanno in generale una ampia variabilità di orientazione. Questa variabilità può avere varie origini: a) coalescenza fra fratture preesistenti e fratture neo-formate, aventi direzioni fra loro differenti; b) formazione di vari sets di faglie aventi differenti direzione e loro coalescenza durante l’evoluzione progressiva; c) piegamento di superfici di faglia originariamente planari (cf. FREUND, 1974). La storia geologica riportata per il settore umbro fa ritenere che, a parte locali casi di piegamento di faglie a superficie planare, le variazioni delle direzioni delle faglie derivi dalla coalescenza fra fratture preesistenti e fratture neo-formate. E’ quindi interessante investigare come queste fratture abbiano giocato dal punto di vista meccanico durante la tettogenesi appenninica. Le direzioni medie di movimento osservate nei lineamenti a direzione NNE, riassunte in fig. 5.1, sono dirette in media verso NE, con una dispersione che arriva a quasi 90°. Le direzioni medie di trasporto tettonico pubblicate per i maggiori sovrascorrimenti dell’Appennino umbro (con direzione da N-S a NNW-SSE) sono mediamente verso ENE, con una dispersione di poco superiore ai 45° (fig. 5.2). Rispetto a questi ultimi, i lineamenti obliqui hanno movimenti deflessi in senso antiorario (verso N) e maggiormente dispersi. Questa dispersione dei movimenti in funzione della direzione della faglia è evidente anche nel grafico in fig. 5.3: esistono due gruppi di dati, faglie con movimenti inversi-destri, con caratteristiche intermedie fra quelle di rampa laterale e rampa frontale, e faglie con movimenti di strike-slip destro, spesso con una debole componente normale. Il gruppo di faglie con movimenti inversi-destri ha direzioni orientate comprese tra N175° e N200°, e direzioni di movimento comprese fra N40° e N70°. Il gruppo con movimenti destri ha direzioni disperse fra N160° e N265°, e direzioni disperse fra N e N85°. Le faglie destre quindi sono associate a più ampie variazioni di direzioni e di cinematiche che non le faglie destre-inverse. Values: 8 Interval:45° Radius:15 uniform Values: 10 Interval:36° Radius:15 uniform Fig. 5-2 - rose diagram delle direzioni di movimento dei sovrascorrimenti dell’Appennino umbro (fonti: KOOP MAN, 1983; LAVECCHIA, 1985; CALAMITA et al., 1987; BARCHI & BROZZETTI, 1991; TAVARNELLI, 1996). Fig. 5-1 - rose diagram delle direzioni di movimento osservate nei siti strutturali esaminati. 78 Questa deflessione dei movimenti è presumibilmente dovuta al ruolo meccanico giocato dai lineamenti esaminati, in conseguenza della loro orientazione obliqua rispetto alla direzione di raccorciamento appenninica. Per riconoscere se la deflessione e la dispersione dei movimenti sono giustificate da un punto di vista meccanico sono stati applicati due modelli, uno cinematico e l’altra dinamico, per prevedere teoricamente la risposta cinematica di fratture preesistenti, orientate casualmente rispetto alla direzione di raccorciamento o compressione regionale. 5.1.1 Modello cinematico Per l’analisi cinematica della relazione tra orientazione della faglia e conseguenti movimenti su questa è stato utilizzato il modello teorico illustrato in APOTRIA et al. (1992). Esso considera la relazione cinematica esistente tra movimenti su flat regionali e tratti di rampa con caratteristiche comprese fra quelle di rampa frontale e di rampa laterale (fig. 5.4). La direzione di trasporto su rampe viene messa in relazione con quella regionale su flat considerando due possibili casi limite: il caso del vertical shear e quello del layer parallel shear. Nel primo la deformazione del tetto della faglia al passaggio dal flat alla rampa obliqua viene accomodata da un simple shear verticale (fig. 5.4A) mentre nel caso del layer-parallel shear la deformazione del tetto è accomodata da un simple shear parallelo alle superfici di stratificazione (fig. 5.4B). Il f. inversa f. sinistra f. destra f. normale f. sinistra 360 315 f. inversa 270 225 f. destra 180 135 90 T 45 C G S 0 45 90 135 C S C 0 f. normale G 180 f. sinistra 225 270 315 360 Fig. 5-3 - grafico cartesiano che mette in relazione, in ascissa, la direzione orientata media delle faglie nei vari siti strutturali e, in ordinata, la direzione di movimento medio del tetto delle faglie. Le faglie si riferiscono alle faglie (C: faglia di Cammoro; G: f. di Grotti; S: f. di Schioppo; T: f. di Tassinare). Vedi il testo per ulteriori spiegazioni. 79 primo caso sembra quindi più attinente a casi in cui il materiale del tetto è incoerente, oppure è isotropo oppure se presenta fratture verticali o se la deformazione avviene per meccanismi duttili; il secondo caso sembra più probabile quando il tetto della faglia è stratificato (APOTRIA et al.,1992, p. 144), che è appunto quello trattato. Nel caso del vertical shear non esiste alcuna deflessione della direzione di trasporto tettonico, qualunque sia l’angolo α tra la direzione di trasporto tettonico regionale e la direzione della faglia, mentre nel caso del layer parallel shear la relazione che lega l’angolo α all’angolo ρ (angolo tra direzione della faglia e direzione di movimento sulla rampa, vedi fig. 5-5) è la seguente: sin ρ = cosβsinα 2 1 2 (1− (sin αsin β ) ) (eq. 13 in APOTRIA et al. , 1992) dove β = inclinazione della rampa obliqua La differenza fra α e ρ indica il valore della deflessione angolare nella direzione di movimento. a Fig. 5-4 - modello teorico di APOTRIA et al., 1992: movi menti regionali su flat che arrivano ad interessare rampe con varia orientazione rispetto alla direzione di trasporto regionale. Da APOTRIA et al., 1992, fig. 1. b Fig. 5-4a - caso del vertical shear; 5-4b caso del layer-parallel shear; utilizzati nel modello teorico di APOTRIA et al. (1992). Fig. 3 in APOTRIA et al. (1992). Fig. 5-5 - parametri utilizzati in APOTRIA et al. (1992) per il calcolo della deflessione angolare tra direzione di movi mento regionale e direzione sulla rampa obliqua. Fig. 7 in APOTRIA et al. (1992). 80 Tramite l’uso di EXCELL, è stato determinato per ogni sito strutturale qual’è la direzione regionale teorica (nel caso del layer parallel shear) che si accorda meglio con le direzioni di movimento effettivamente osservate (una descrizione più dettagliata del procedimento di determinazione è riportato in appendice C). Il risultato, espresso in forma grafica in fig. 5.6, è costituito da un grafico avente in ascissa la direzione di movimento osservata sulla rampa, ed in ordinata la corrispondente direzione teorica di movimento regionale. I quadrati rappresentano le direzioni regionali di trasporto su flat congruenti con quelle locali osservate su rampa, mentre l’angolo tra questi ed i punti giacenti sulla linea passante per l’origine e avente coefficiente angolare unitario, rappresenta la deflessione angolare α - ρ. La maggior parte dei dati di movimento sulle rampe sono compatibili con direzioni teoriche di movimento regionale comprese tra N50° e N80°, e per lo più tra N60° e N70°. Essi si inquadrano bene con la direzione di trasporto appenninica, verso NNE. I dati relativi alle faglie destre invece non si inquadrano con direzioni di trasporto regionale verso N50°-80°, bensì richiederebbero direzioni di trasporto regionale N0°-30°. Possibili spiegazioni di questa discrepanza sono: a) il modello di APOTRIA et al., 1992 non è valido o applicabile per presenza di ulteriori variabili non considerate nel modello (p.e. influenza della strain compatibility nel determinare le direzioni di movimento) b) il modello di APOTRIA et al., 1992 è valido e applicabile e il risultato indica la presenza di un evento transtensivo, con direzioni di trasporto regionale verso NNE, forse successivo a quello transpressivo. direzioni teoriche movimenti regionali 90 6 80 70 8 5 3 60 50 7 40 2 30 20 8 10 1 0 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 direzioni movimenti osservati Fig. 5-6 - grafico cartesiano che mette in relazione, in ascissa la direzione osservata di movimento sulle rampe, ed in ordinata la direzione teoriche di movimento regionale; i numeri nel grafico si riferiscono ai vari siti strutturali di fig. 3-37. Vedi il testo per ulteriori spiegazioni. 81 5.1.2 Modello dinamico Per verificare se i movimenti sulle faglie della zona esaminata, che indicano un regime tettonico locale transpressivo, sono inseribili in un contesto regionale di tettonica compressiva, è stato costruito un modello che considera l’azione di un campo regionale compressivo (assi σ1 e σ2 orizzontali e asse σ3 verticale) su di un mezzo pre-fratturato (con orientazione casuale delle fratture) in conseguenza di una fase tettonica pre-orogenetica (corrispondente alla fase sinsedimentaria mesozoico-paleogenica). Questo modello è basato sull’analisi di JAEGER & COOK (1979, pp. 429-430). In essa si assume un regime andersoniano, con gli assi cartesiani paralleli agli assi principali dell’ellissoide dello stress, e si dimostra che la tangente del pitch dello shear stress risultante sul singolo piano di faglia vale (fig. 5-7): tan(ω ) = dove: ω n, l, m n 2 2 σ − σx m − (1 − n ) z lm σy − σx (eq. 13, p. 430 in JAEGER & COOK, 1979) pitch dello shear stress risultante coseni direttori della normale al piano di faglia, rispetto agli assi cartesiani. Come già detto, è stato considerato un caso particolare delle possibili orientazioni dell’ellissoide dello stress: l’asse principale σ1 è orizzontale e parallelo all’asse x, l’asse σ2 è orizzontale e parallelo all’asse y , mentre l’asse σ3 è verticale e parallelo all’asse z. Si ha σ 1 > σ2 > σ3, con stress compressivi di segno positivo. L’eq. (13) di JAEGER & COOK, 1979 può essere riscritta nel seguente modo: tan(ω ) = n 2 (1 − n 2 ) m − lm R con: R= σ y − σ x σ 2 − σ1 = σ z − σ x σ 3 − σ1 Fig. 5-7 - illustrazione delle relazioni geometriche fra le variabili utilizzate nell’analisi di JAEGER & COOK (1979). Da JAGAER & COOK (1979), fig. 17.2.3. 82 Dato che σ1 > σ 2 > σ3, R può variare tra 0 ed 1. Nel primo caso σ1 = σ 2, nel secondo caso σ2 = σ 3. Per comparare il risultato teorico con i dati effettivamente osservati, si deve assumere che i movimenti sulle faglie sono paralleli allo shear stress risultante. Il pitch dello shear stress risultante ha la seguente relazione angolare con l’angolo λ (lambda) di AKI & RICHARDS (1980): λ = 180° - ω L’analisi è stata eseguita tramite un programma appositamente scritto (in linguaggio BASIC, riportato in appendice D). Sono state considerate cinque possibili inclinazioni dei piani di faglia, rispettivamente di 15°, 30°, 45°, 60° e 75°: ciò ha permesso di riconoscere qual’è l’influenza dell’inclinazione della faglia sulla orientazione dello shear stress risultante. Nei grafici cartesiani di fig. 5.8 è illustrata la relazione tra l’orientazione della faglia (angolo fra asse e immersione della faglia, positivo in senso antiorario), in ascissa, e l’angolo λ del movimento previsto teoricamente, in ordinata. Si osserva che i movimenti previsti teoricamente sulle faglie sono inversi con una componente di strike-slip destra se l’angolo tra asse σ1 e immersione della faglia è negativo, e sinistra se tale angolo è positivo. I movimenti sono di dip-slip quando l’immersione della faglia è subparallela o subperpendicolare all’asse σ 1 e/o quando i valori di R sono bassi. I movimenti invece hanno una componente di movimento di strike-slip predominante quando l’immersione della faglia è obliqua rispetto all’asse e quando i valori di R sono elevati. Quanto più è inclinata la faglia tanto più i movimenti tendono ad essere di strike-slip (cf. fig. 5.8 a, b, c con fig. 5.8 d, e). Questo è congruente con l’osservazione che i movimenti trascorrenti sono testimoniati soprattutto sulle faglie molto inclinate. L’influenza dell’orientazione della faglia (angolo fra immersione della faglia e asse σ1, positivo in senso antiorario), in ascissa, sull’entità della deflessione del vettore movimento teorico dalla direzione dell’asse σ1, in ordinata, è illustrato in fig. 5.9. In essa si osserva che la direzione di movimento è funzione non-lineare dell’orientazione della faglia rispetto al campo di stress e del rapporto R caratteristico del campo di stress. In generale i movimenti sono subparalleli all’asse σ1 solo quando l’immersione della faglia è subparallela all’asse σ1 (0° sull’asse delle ascisse) e/o l’inclinazione della faglia è bassa (fino a 30°) e il rapporto R è unitario. Quando non si verificano queste condizione la deflessione dei movimenti diventa molto alta ed arriva a 90° sia in senso orario sia in senso antiorario. In particolare quando la faglia è molto inclinata si osservano forti deflessioni delle direzioni di movimento anche per minime deviazioni angolari fra immersione della faglia ed asse (vedi fig. 5.9 d, e). La deflessione in questi casi tende a diventare subito molto alta, fino a 60° per R=1.0, e si riduce poi gradualmente, fino a cambiare di segno e a raggiungere 90° quando la deviazione tra immersione e asse σ1 vale 90°. Questa analisi dimostra che un campo dello stress regionale compressivo, attivo su fratture preesistenti differentemente orientate, è compatibile con l’osservazione di movimenti di tipo obliquo-destro su faglie opportunamente orientate, e cioè formanti un angolo di alcune decine di gradi con la direzione di compressione regionale ed aventi una inclinazione relativamente elevata (superiore a 60°). Altro risultato interessante è che, qualunque sia l’inclinazione della faglia, quando R è minore di 1 (quindi σ2 > σ3), le faglie con immersione subperpendicolare all’asse σ1 dovrebbero avere teoricamente movimenti a 90° dalla direzione di compressione regionale. Questo potrebbe rendere conto delle direzioni di trasporto tettonico verso Nord, fortemente oblique rispetto alla direzione di compressione regionale, osservate nel Fronte del Gran Sasso, che ha direzione W-E (GHISETTI & VEZZANI, 1991). 83 a destro b destro 180 170 160 150 0.9 R = 1.0 inclinazione 15° 180 170 160 150 destro- 140 inverso 130 destro- 140 inverso 130 120 120 110 90 0.8 R = 0.0 90 R = 0.0 80 70 70 60 60 50 sinistroinverso 40 R=1.0 30 0.9 50 0.8 40 30 20 R=1.0 20 10 sinistro 0.9 100 inverso R = 0.0 80 sinistroinverso inclinazione 30° 110 R = 0.0 100 inverso R = 1.0 0.9 10 sinistro 0 0 -90 -80 -70 -60 -50 -40 -30 -20 -10 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 c -90 -80 -70 -60 -50 -40 -30 -20 -10 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 d destro destro 180 170 160 0.9 R = 1.0 inclinazione 45° 180 170 150 150 destro- 140 inverso 130 destro- 140 inverso 130 120 120 110 100 R = 0.0 90 inverso R = 0.0 80 inclinazione 60° R = 0.0 R = 0.0 70 60 60 50 sinistroinverso 40 30 R=1.0 20 50 40 30 0.9 20 10 sinistro 90 80 70 sinistroinverso R = 1.0 110 100 inverso 0.9 160 10 sinistro 0 -90 -80 -70 -60 -50 -40 -30 -20 -10 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 R = 1.0 0 -90 -80 -70 -60 -50 -40 -30 -20 -10 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 e destro 180 170 0.9 R = 1.0 160 inclinazione 75° Fig. 5-8 - grafici cartesiani che mettono in relazione l’orientazione della faglia (angolo fra asse σ1 e immersione della faglia) in ascissa, con l’angolo lambda in ordinata. I vari casi da a) a b) si riferiscono a faglie con inclinazione crescente. 150 destro- 140 inverso 130 120 110 100 inverso 90 80 R = 0.0 R = 0.0 70 60 sinistroinverso 50 40 30 20 10 sinistro R = 1.0 0.9 0 -90 -80 -70 -60 -50 -40 -30 -20 -10 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 84 0.9 a b 90 80 70 90 inclinazione 15° 80 movimenti inversi 60 50 70 movimenti inversi 60 movimenti destri 50 40 movimenti destri 40 30 R = 0.0 30 R = 0.0 20 10 inclinazione 30° 20 10 R = 1.0 0 R = 1.0 0 -10 R = 1.0 -10 -20 -20 -30 -30 -40 -50 -40 movimenti sinistri R = 0.0 R = 1.0 R = 0.0 movimenti sinistri -50 -60 -60 -70 -70 -80 -80 -90 -90 -90 -80 -70 -60 -50 -40 -30 -20 -10 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 -90 -80 -70 -60 -50 -40 -30 -20 -10 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 c d 90 80 70 90 inclinazione 45° 80 movimenti inversi 60 50 movimenti destri R = 1.0 40 R = 0.0 30 R = 1.0 20 10 10 0 0 -10 -10 -20 -20 R = 1.0 -30 -30 -40 -60 movimenti inversi movimenti destri 50 20 -50 inclinazione 60° 60 R = 0.0 40 30 70 R = 1.0 -40 -50 movimenti sinistri R = 0.0 -60 -70 -70 -80 -80 -90 R = 0.0 movimenti sinistri -90 -90 -80 -70 -60 -50 -40 -30 -20 -10 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 -90 -80 -70 -60 -50 -40 -30 -20 -10 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 e 90 80 70 inclinazione 75° movimenti destri movimenti inversi R = 1.0 60 50 Fig. 5-9 - grafici cartesiani che mettono in relazione l’orientazione della faglia (angolo fra asse σ1 e immersione della faglia) in ascissa, e la deflessione della direzione di movimento rispetto all’asse x, in ordinata. I vari casi da a) a b) si riferiscono a faglie con inclinazione crescente. R = 0.0 40 30 20 10 0 -10 -20 -30 -40 -50 -60 -70 -80 R = 0.0 R = 1.0 movimenti sinistri -90 -90 -80 -70 -60 -50 -40 -30 -20 -10 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 85 5.2 Modello di evoluzione geologica del settore esaminato L’insieme dei dati esaminati fa ritenere che le faglie della zona esaminata abbiano subito una storia geologica mio-pliocenica e pleistocenica suddivisibile in più eventi deformativi: • il primo, riferibile alla fase compressiva mio-pliocenica, è caratterizzato dalla riattivazione delle faglie normali mesozoico-paleogeniche, o quanto meno da loro forte controllo strutturale sulla individuazione di nuove faglie; queste faglie presentano movimenti diretti verso NE, di tipo strike-slip destro-inverso (regime transpressivo); contemporaneamente si individuano sovrascorrimenti a basso angolo con movimenti verso ENE; nel corso dell’evoluzione progressiva segmenti di faglie a differente orientazione tendono a congiungersi fra loro originando faglie a orientazione variabile; inoltre le faglie subiscono localmente piegamenti; le direzioni di trasporto tettonico sulle faglie sono controllate dalla loro orientazione rispetto al campo di stress regionale e da fenomeni di strain compatibility. • il secondo, riferibile all’inizio della fase distensiva plio-pleistocenica, è caratterizzato dalla riutilizzazione delle stesse faglie con movimenti diretti verso NNE o NNW, di tipo destro-normale (regime transtensivo); • il terzo, pleistocenico-attuale, è caratterizzato dallo sviluppo di nuove faglie normali a direzione NW-SE o N-S che inattivano le faglie preesistenti (regime distensivo). 86 6. RIASSUNTO E CONCLUSIONI Nell’Appennino settentrionale, ad ovest della linea Olevano-Antrodoco, sono diffusi lineamenti strutturali di età mio-pliocenica, a direzione SSW-NNE, che sono paralleli e in buona parte coincidenti con linee di separazione tra zone a differenti litofacies altocretacico-paleogeniche. Questo parallelismo ha suggerito a vari AA. che questi lineamenti siano stati attivi, come faglie sinsedimentarie, anche nel Cretacico sup.-Paleogene (p.e. BALDANZA et al., 1982; DECANDIA, 1982; LAVECCHIA, 1985; CALAMITA, 1990) e che siano state riprese, nel MioPliocene, come faglie a movimenti obliqui con ruolo di rampe oblique. Questo lavoro si è concentrato sulla analisi strutturale di uno di questi lineamenti, e precisamente la “Linea della Valnerina”, nel tratto che va da Schioppo a M. Maggiore, allo scopo di precisare ulteriormente i dettagli della sua storia evolutiva. La zona esaminata è strutturata a pieghe e faglie. Le pieghe sono in generale vergenti verso Est, con le anticlinali talora conformate a box-fold. Le evidenze geologiche, sia alla mesoscala sia alla macroscala, suggeriscono che insiemi di faglie si siano mossi contemporaneamente, inducendo il piegamento delle faglie strutturalmente più alte e/o la formazione di locali traiettorie down-section delle faglie. Un esempio alla macroscala di entrambe le evidenze è il thrust di Spoleto. Le faglie esaminate hanno una immersione verso i quadranti occidentali, con direzione media SSW-NNE, ma variabile nel dettaglio da N-S a NE-SW, e talora anche NNW-SSE, ed inclinazioni basse (poche decine di gradi) o alte (subverticali). Le faglie macroscopiche presentano delle zone di intensa deformazione, con spessori da metrici a decametrici, con sviluppo di strutture deformative differenti a seconda della litologia interessata dalla deformazione: le rocce calcaree hanno reagito in modo fragile, con sviluppo di brecce di faglia o cataclasiti, in conseguenza di flusso cataclastico; le rocce argilloso-marnose hanno reagito in modo semiduttile, con sviluppo di strutture S-C, in conseguenza della associazione tra processi di pressure-solution e processi di scivolamento frizionale. Nelle zone caratterizzate da strutture S-C sono pervasivamente sviluppate mesofaglie, con i piani fra loro colineari: è generalmente presente un set numericamente più sviluppato, sintetico alla superficie di faglia principale, ed un secondo set, meno sviluppato, che è costituito da faglie ad alto angolo rispetto ai margini della zona di faglia e con movimenti antitetici. Il tipo di movimento (destro, sinistro, inverso o normale) è dipendente dall’orientazione della mesofaglia: è stata osservata una relazione lineare tra direzione della faglia ed angolo sotteso dalla slickenline e dalla direzione della faglia (angolo λ di AKI & RICHARDS, 1980). Le direzioni di trasporto tettonico osservate lungo le faglie esaminate puntano verso il quadrante nord-orientale, con una loro dispersione di quasi 90° all’interno del quadrante, da tetto-verso-N a tetto-verso-E. Esistono locamente evidenze di deformazione multipla per cui a movimenti inversidestri verso ENE-NE seguono movimenti destri-normali verso NNE. Rispetto ai movimenti osservati nella zona umbro-marchigiana si osserva una deflessione in senso antiorario delle cinematiche della zona esaminata. Le mesofaglie delle zone di taglio esprimono assi di massimo raccorciamento incrementale (assi P) per lo più a basso-medio angolo di inclinazione e immersione verso ENE, mentre gli assi di massima estensione incrementale (assi T) sono da orizzontali a subverticali e relativamente disperse nelle direzioni. Gli assi B derivati dalle mesofaglie sono subparalleli agli assi delle strutture plicative: avendo entrambi gli assi lo stesso significato di asse intermedio del tensore deformativo si può ritenere che le faglie oblique-destre e le strutture plicative siano entrambe espressione degli stessi eventi deformativi. Il campo di stress locale associato alle faglie oblique-destre indica un asse σ 1 con direzione NE-ENE, mentre la giacitura dell’asse σ3 è generalmente poco definita, fatto presumibilmente collegato ad una sostanziale similitudine nella grandezza del σ2 e del σ3 e/o a loro possi87 bili inversioni. Sia l’analisi cinematica sia quella dinamica indicano un regime tettonico locale transpressivo. Un modello basato sull’analisi di JAEGER & COOK (1979) dimostra come in un campo regionale di stress compressivo, sono possibili movimenti con una forte componente di strike-slip su faglie con direzione obliqua rispetto all’asse σ 1, tanto più quanto più la faglia è inclinata. Questo induce una deflessione antioraria dei movimenti delle faglie inverse-destre, rispetto all’orientazione del σ1. Questo risultato teorico è in accordo con quanto osservato per le faglie studiate. Le faglie a direzione SSW-NNE sono presumibilmente strutture antiche, mesozoico-paleogeniche, riattivatesi durante la fase compressiva mio-pliocenica contemporaneamente alla formazione delle strutture plicative e dei thrusts. In conseguenza della loro obliquità rispetto all’asse di massima compressione regionale esse hanno determinato una locale riorientazione delle direzioni di movimento verso NNE. Durante la parte iniziale della successiva fase distensiva alcune di questi lineamenti hanno agito come faglie destre-normali, e sono poi state inattivate dalla neoformazione di faglie normali. 88 Appendice A Calcolo dell’angolo tra direzione orientata della faglia e lineazione di movimento. E’ possibile ricavare il valore dell’angolo compreso tra la direzione orientata di una faglia e la lineazione di movimento giacente sul piano di faglia, assumendo che le lineazioni di movimento giacciano su una ciclografica (CLM) di cui si conosce l’orientazione. Dati: piano di faglia direzione orientata (regola della mano destra): s inclinazione: d polo della CLM trend: plunge: t p Convenzioni tipografiche: l, l: vettore e magnitudine di vettore l ∧ f: prodotto vettoriale di due vettori l, f L x s: prodotto scalare di due vettori L, s Queste due orientazioni posso essere considerate come due vettori unitari, versori, di cui si possono ricavare i coseni direttori seguendo le formule in ALLMENDINGER, (1997, non pubblicato), tab. 1, p. 16. Essi sono: coseni direttori del polo della faglia f1 = sin(s)sin(d) f2 = -cos(s)sin(d) f3 = cos(d) coseni direttori del polo della CLM l1 = cos(t)cos(p) l2 = sin(t)cos(p) l3 = sin(p) La lineazione di movimento è parallela al vettore che si ricava dal prodotto vettoriale dei due versori anzidetti: L= l∧f L= L = l f sin(θ) (θ : angolo tra i due versori l, f ) L1 = l2f3 -l3f2 L2 = l3f1 -l1f3 L3 = l1f2 -l2f1 Il pitch della lineazione è ricavabile tramite il prodotto scalare: 89 L × s = L s cos(pitch) dove s è il versore orizzontale, parallelo alla direzione orientata, ed avente coseni direttori: s1 = cos(s) s2 = sin(s) s3 = 0 Il pitch vale: pitch = arccos((L x s)/Ls) = arccos((s1 L1 + s2 L2)/sin(θ)) Sostituendo i valori noti dei coseni direttori e raggruppando si ottiene: pitch = arccos { [1/sin(θ)][sin(p)sin(d) + cos(p)cos(d)(cos(s)sin(t) - sin(s)cos(t))]} 90 Appendice B Programma per la determinazione dell’angolo lambda Questo programma è scritto in linguaggio QUICKBASIC e determina i due valori possibili dell’angolo lambda a partire dai valori dei poli della CPF e della CLM (vedi paragrafo “Relazioni tra orientazione delle faglie ed orientazione dei movimenti” e l’appendice A). I valori di output vengono scritti in tre files Basic da cui possono essere copiati in un programma di analisi dati (tipo Excell). ‘RELAZIONI STRIKE ORIENTATO-ANGOLO LAMBDA ‘ vers. 1.2, 16 maggio 1997, mod. 19 maggio 1997 ‘ Mauro Alberti, Dip. Sc. Terra, Siena ‘modulo per determinare le relazioni angolari tra lo strike orientato ‘(secondo la regola della mano destra) di un piano di faglia, e la ‘lineazione di movimento giacente su questo piano, espresso dall’angolo ‘lambda (angolo tra direzione orientata della faglia e lineazione di ‘movimento, misurato in senso antiorario a partire dalla direzione, ‘con range tra 0° e 360°). ‘ ‘ 10 CLS ‘introduzione dei dati relativi agli assi B e R ‘asse R: polo della CPF ‘asse B: polo della CLM ‘ ‘introduzione del trend e del plunge dell’asse B 20 PRINT “trend (0°-360°) e plunge (5°-85°) del polo della CLM” 30 INPUT “trend, plunge”; TB, PB 40 IF PB < 5 OR PB > 85 THEN 50 ELSE 70 50 PRINT “attenzione! l’asse non può essere suborizzontale o subverticale” 60 GOTO 30 ‘ ‘introduzione del trend e del plunge dell’asse R 70 PRINT “trend (0°-360°) e plunge (5°-85°) del polo della CPF” 80 INPUT “trend, plunge”; TR, PR 90 IF PR < 5 OR PR > 85 THEN 100 ELSE 120 100 PRINT “attenzione! l’asse non può essere suborizzontale o subverticale” 110 GOTO 80 ‘apertura dei files di output e inizio scrittura dati 120 OPEN “OUTPUTA.BAS” FOR OUTPUT AS #1 130 OPEN “OUTPUTB.BAS” FOR OUTPUT AS #2 140 OPEN “OUTPUTC.BAS” FOR OUTPUT AS #3 160 WRITE #1, “polo CLM”, TB, PB, “polo CPF”, TR, PR ‘introduzione del valore π (PG) ‘ e del fattore di conversione da gradi a radianti (K) 200 LET PG = 3.1415926536# 91 210 LET K = PG / 180 ‘calcolo dei coseni direttori degli assi B e R 220 LET B1 = COS(TB * K) * COS(PB * K) 230 LET B2 = SIN(TB * K) * COS(PB * K) 240 LET B3 = SIN(PB * K) 250 LET R1 = COS(TR * K) * COS(PR * K) 260 LET R2 = SIN(TR * K) * COS(PR * K) 270 LET R3 = SIN(PR * K) ‘ciclo automatico per S (direzione orientata) da TR-175° a TR-5°, step 5° ‘(il campo permesso va da TR-180° a TR) 310 FOR S = TR - 175 TO TR - 5 STEP 5 ‘calcolo dei coseni direttori di S 340 LET S1 = COS(S * K) 350 LET S2 = SIN(S * K) ‘determinazione dei coseni direttori del piano di faglia P tramite il ‘prodotto vettoriale P=S*R ( P è diretto verso il basso, cioè P3>0) 370 LET P1 = S2 * R3 380 LET P2 = -S1 * R3 390 LET P3 = (S1 * R2) - (S2 * R1) ‘calcolo del modulo di P 400 LET P = SQR(P1 ^ 2 + P2 ^ 2 + P3 ^ 2) ‘calcolo dei coseni direttori di P 410 LET P1 = P1 / P 420 LET P2 = P2 / P 430 LET P3 = P3 / P ‘calcolo del vettore movimento tramite il prodotto vettoriale ‘ L=B*P; L=vettore movimento sul piano di faglia il cui polo è P 500 LET L1 = B2 * P3 - B3 * P2 510 LET L2 = B3 * P1 - B1 * P3 520 LET L3 = B1 * P2 - B2 * P1 ‘calcolo del modulo di L 530 LET L = SQR(L1 ^ 2 + L2 ^ 2 + L3 ^ 2) ‘calcolo dei coseni direttori di L 540 LET L1 = L1 / L 550 LET L2 = L2 / L 560 LET L3 = L3 / L ‘riduzione della lineazione di movimento L verso il basso 600 IF L3 < 0 THEN LET L1 = -L1: L2 = -L2: L3 = -L3 ‘calcolo di COS(PITCH)=CPT 610 CPT = S1 * L1 + S2 * L2 620 IF CPT = 0 THEN PT = PG / 2: GOTO 700 ‘trasformazione di COS(PITCH) in TAN(PITCH)=TPT 630 TPT = SQR(1 - CPT ^ 2) / CPT ‘calcolo del pitch, mediante l’ATN e successiva correzione del risultato ‘in valori di pitch compresi tra 0 rad e π rad 640 PT = ATN(TPT) 650 IF PT < 0 THEN PT = PG + PT ‘determinazione dei due valori di lambda, LAMBDAUP e LAMBDADW ‘il primo è inferiore a π rad, il secondo è maggiore di π rad 700 LAMBDAUP = PG - PT 92 710 LAMBDADW = 2 * PG - PT ‘scrittura dei dati nei files di output ‘ se il valore di S è negativo, esso viene portato nel campo positivo ‘ NB S è in gradi ‘ (solo per la scrittura nell’output) 800 LET SO = S 810 IF SO < 0 THEN SO = SO + 360 ‘conversione dei valori angolari da radianti a gradi 910 LET LAMBDAUP = INT(LAMBDAUP / K + .5) 920 LET LAMBDADW = INT(LAMBDADW / K + .5) 940 WRITE #1, SO 950 WRITE #2, LAMBDAUP 960 WRITE #3, LAMBDADW 1000 NEXT S 1010 CLOSE #1, #2, #3 1020 END 93 Appendice C Per determinare quale direzione di trasporto regionale presenta il miglior accordo con le direzioni di movimento effettivamente osservate sulle rampe, si è fatto uso del modello di APOTRIA et al. (1992) e specificatamente della equazione (13) relativa al caso del layer parallel shear: sin(ρ) = cos(β)sin(α)/[1-sin(α)sin(β))2]1/2 (C1) dove: ρ = angolo tra la direzione di movimento sulla rampa obliqua e la direzione della rampa obliqua α = angolo tra la direzione di movimento regionale e la direzione della rampa obliqua β = inclinazione della rampa obliqua Sono note la direzione e l’inclinazione media delle faglie nei siti strutturali, che approssimano la direzione e l’inclinazione della rampa obliqua. Si sono quindi assunte direzioni di trasporto regionale variabili fra N0° e N90°, con un incremento di 5°. Da questi dati si può ricavare α (vedi fig. C1): α = Amr - Adf dove: Amr = azimuth dei movimenti regionali Adf = azimuth della direzione della faglia e dalla eq. (C1) si può ricavare ρ. Detto: Amro = azimuth dei movimenti sulla rampa obliqua si ha (vedi fig. C1): Amro = Amr - (α − ρ) (C2) E’ quindi possibile, conoscendo la direzione del trasporto regionale, la direzione e l’inclinazione della rampa obliqua (assunta uguale al valore medio delle faglie nel sito esaminato), determinare la direzione teorica di movimento sulla rampa obliqua. Poichè è nota la direzione effettiva di movimento su quest’ultima, si può, con un passaggio inverso, riconoscere quale direzione di trasporto regionale si accorda meglio col dato osservato. Questo procedimento è stato eseguito tramite la creazione di più fogli di lavoro EXCELL. N N rampa obliqua A df A mr flat α −ρ direzione di movimento regionale flat direzione di movimento regionale α direzione faglia 94 Fig. C1 Appendice D Determinazione delle relazioni tra orientazione di una faglia, sua inclinazione, e movimento previsto teoricamente in un campo di stress andersoniano. In JAEGER & COOK (1979, pp. 429-430) è analizzata teoricamente la relazione tra campo di stress andersoniano e “oblique-slip faulting”. Gli AA. derivano la seguente equazione per l’orientazione dello shear stress risultante su un piano di faglia arbitrariamente disposto rispetto al campo di stress: tan (ω) = (n / lm) {m2 - [1-n2][(σz - σx) / (σy - σx)]} (eq. 13, p. 430 in JAEGER & COOK, 1979) dove: ω : pitch dello shear stress risultante n, l, m : coseni direttori della normale al piano di faglia, rispetto agli assi cartesiani. Questa formula può essere modificata nel seguente modo: tan (ω) = (n / lm) {m2 - [(1-n2) / R]} con: R = (σz - σx) / (σy - σx) = (σ2 - σ1) / (σ3 - σ1) Per determinare quantitativamente le relazioni tra orientazione della faglia rispetto al campo di stress (espressa dall’angolo tra asse σ1 e immersione della faglia) e tipo di movimento (espresso come angolo λ, sensu AKI & RICHARDS, 1980, e come deflessione angolare del vettore movimento rispetto all’asse σ1) è stato scritto il seguente programma BASIC: ‘ ‘ PROGRAMMA PER IL CALCOLO DELL’ANGOLO LAMBDA SU FAGLIE A ‘ DIREZIONE VARIABILE, INSERITE IN UN CAMPO ANDERSONIANO ‘ COMPRESSIVO ‘ ‘ Mauro Alberti, 14 ottobre 1997, Siena DST ‘ vers. 1h, mod. 21 ottobre 1997, Siena DST ‘ ‘ ‘ Questo programma calcola l’angolo lambda (sensu AKI & RICHARDS, 1980) ‘ (output LAMBDA del programma) ‘ del vettore movimento teorico su faglie con inclinazione costante e ‘ direzione variabile, inserite in un campo di stress andersoniano ‘ (sigma 1 orizzontale, parallelo all’asse x; sigma 2 orizzontale, ‘ parallelo all’asse y; sigma 3 verticale e parallelo all’asse z). ‘ Calcola inoltre la orientazione del vettore risultante di shear stress ‘ rispetto alla orientazione dell’asse sigma 1 ‘ 10 CLS LET PG = 3.1415926536# LET K = PG / 180 OPEN “OUTPUTA.BAS” FOR OUTPUT AS #1 95 OPEN “OUTPUTB.BAS” FOR OUTPUT AS #2 OPEN “OUTPUTC.BAS” FOR OUTPUT AS #3 ‘ viene inserito il valore di inclinazione della faglia, COLAT 100 PRINT “valore inclinazione faglia, in gradi sessagesimali” INPUT COLAT IF COLAT < 0 OR COLAT > 90 THEN 100 ‘ viene inserito il valore di R 200 PRINT “valore di R, da 0 a 1” INPUT R IF R < 0 OR R > 1 THEN 200 WRITE #1, COLAT, R, “angolo fra asse x e immersione faglia” WRITE #2, COLAT, R, “angolo lambda” WRITE #3, COLAT, R, “direzione di movimento rispetto all’asse x” ‘ ciclo per longitudine da -90° a 90°, con incremento di 3° FOR LONGIT = -90 TO 90 STEP 3 LET L = SIN(COLAT * K) * COS(LONGIT * K) LET M = SIN(COLAT * K) * SIN(LONGIT * K) LET N = COS(COLAT * K) IF R = 0 OR L = 0 OR M = 0 THEN OM = PG / 2: GOTO 500 IF R = 1 AND LONGIT = -90 THEN OM = 0: GOTO 500 IF R = 1 AND LONGIT = 90 THEN OM = PG: GOTO 500 LET TANOM = (N / (L * M)) * (M ^ 2 - ((1 - N ^ 2) / R)) LET OM = ATN(TANOM) IF OM < 0 THEN OM = PG + OM 500 LET LAMBDA = INT(180.5 - (OM / K)) ‘ viene calcolata la rotazione necessaria per determinare ‘ la direzione del movimento, basandosi su COX & HART, 1990, 226-228 LET EX = -SIN(LONGIT * K) LET EY = COS(LONGIT * K) LET AX = -SIN(LONGIT * K + LAMBDA * K) LET AY = COS(LONGIT * K + LAMBDA * K) LET R11 = (EX ^ 2) * (1 - COS(COLAT * K)) + COS(COLAT * K) LET R12 = EX * EY * (1 - COS(COLAT * K)) LET R21 = R12 LET R22 = (EY ^ 2) * (1 - COS(COLAT * K)) + COS(COLAT * K) LET AXP = R11 * AX + R12 * AY LET AYP = R21 * AX + R22 * AY LET D = ATN(AYP / AXP) IF D > 0 AND AXP > 0 THEN DP = D IF D > 0 AND AXP < 0 THEN DP = D + PG IF D < 0 AND AXP > 0 THEN DP = D + 2 * PG IF D < 0 AND AXP < 0 THEN DP = D + PG LET DP = INT(.5 + (DP / K)) - 180 WRITE #1, LONGIT WRITE #2, LAMBDA WRITE #3, DP NEXT LONGIT CLOSE #1, #2, #3 END 96 OPERE CITATE AKI K. & RICHARDS P.G. 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