Lezione 9
Outsourcing
Giuseppe Celi
IEG 2007
Introduzione
 La crescente integrazione dei mercati mondiali si è
accompagnata negli ultimi decenni alla disintegrazione dei
processi produttivi: alcune fasi della produzione manifatturiera e
alcuni servizi sono delocalizzati all’estero e sono combinati con
quelli realizzati internamente.
 Questo fenomeno è stato identificato in numerosi modi dagli
economisti: Krugman (1996) parla di “slicing the value chain”,
Leamer (1996) preferisce il termine “delocalization”, Deardorff
(2005) usa il termine “fragmentation”. E ancora numerose altre
definizioni sono state utilizzate in letteratura: “production
sharing”, “globalized production”, “offshoring”, “outsourcing”, etc.
Giuseppe Celi
IEG 2007
Introduzione
 Alcuni economisti distinguono le tipologie di delocalizzazione a
seconda della proprietà: si parla di “vertical FDI” o “intra-firm
trade” o, talvolta, di “offshoring” quando la proprietà è della
multinazionale che delocalizza; si parla di “international
outsourcing” o “arm’s length trade” quando la proprietà e
dell’impresa estera.
 Già a partire dalla metà degli anni ’60 erano stati istituiti
programmi di delocalizzazione produttiva dagli USA in Messico
(Maquilladora) sotto un regime tariffario favorevole. E già negli
anni ’70 le imprese tedesche effettuavano delocalizzazioni
produttive nell’ Asia orientale nel settore tessile.
 Tuttavia, è negli anni ’80 che il fenomeno diventa consistente
soprattutto per USA e Giappone.
Giuseppe Celi
IEG 2007
Giuseppe Celi
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Introduzione
Giuseppe Celi
IEG 2007
Introduzione
 Mentre negli anni ’80-’90 con il termine “outsourcing” si faceva
riferimento soprattutto alla delocalizzazione di fasi produttive
relative a beni fisici, negli anni recenti il termine si riferisce
soprattutto al commercio internazionale di servizi: per esempio,
call center delocalizzati a Bangalore per servire utenti di New
York, radiografie trasmesse digitalmente da Boston per essere
lette a Bombay, etc.
 Le nuove tecnologie informatiche e della comunicazione
permetto di rendere tradable servizi che non lo erano in
precedenza.
Giuseppe Celi
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Introduzione
 Nella presente lezione, dopo un chiarimento sulla definizione di
“outsourcing” secondo il WTO, passeremo a considerare alcuni
schemi analitici che descrivono i possibli effetti dell’outsourcing
sul reddito nazionale, sui salari e sulla distribuzione del reddito.
 Inizialmente analizzeremo modelli come quello di Bhagwati et
al. (2004) in cui l’outsourcing (inteso come “offshore trade in
arm’s length service”) può essere studiato come un semplice
fenomeno di commercio internazionale e, pertanto, illustrato
secondo gli schemi standard della teoria del commercio
internazionale.
 Successivamente passeremo a considerare lo schema analitico
di Baldwin che, basandosi su Blinder (2006) e Grossman,
Rossi-Hansberg (2006), parla di un nuovo paradigma
interpretativo associato all’outsourcing che va al di là degli
schemi standard della teoria del commercio internazionale
Giuseppe Celi
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Piano della lezione
 La definizione di outsourcing secondo il WTO
 Outsourcing e teoria standard del commercio
internazionale nello schema di Bhagwati et al. (2004)
 Outsourcing: un nuovo paradigma interpretativo?
L’analisi di Baldwin (2006)
Giuseppe Celi
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La definizione di outsourcing secondo
il WTO
 Il WTO distingue 4 modalità in cui i servizi possono essere
commerciati internazionalmente.
 Modalità 1. Il commercio in servizi consiste in uno scambio a
distanza in cui il fornitore e l’acquirente restano nelle proprie
sedi (arm’s length trade). Le ICT hanno contribuito molto a
questo tipo di scambio. Lo scambio può avvenire tra imprese
(call center, back office, programmazione di software,
contabilità, etc.) oppure tra fornitori individuali (architetti,
designer, consulenti, etc) e consumatori (o imprese)
 Modalità 2. Il commercio in servizi consiste in uno scambio in
cui l’acquirente raggiunge la sede del fornitore. Esempi: il
turismo, le cure mediche fornite a pazienti stranieri, l‘istruzione
fornita a studenti stranieri.
Giuseppe Celi
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La definizione di outsourcing secondo
il WTO
 Modalità 3. Il fornitore stabilisce una presenza commerciale nel paese
straniero sede dell’acquirente. Questa offerta di servizi implica un
elemento di IDE, sia pur in forma limitata. Esempi: banche e
assicurazioni.
 Modalità 4. Il commercio in servizi consiste in uno scambio in cui il
fornitore raggiunge la sede dell’acquirente. Esempi: costruzioni, attività
di consulenza, cure mediche portate nel paese straniero, istruzione
portata nel paese straniero. Questo tipo di scambio comporta
un’emigrazione temporanea.
 Paradossalmente, nelle trattative in sede GATT (WTO dopo) la
modalità 1 risultò essere la meno controversa al contrario della 3 e 4. I
paesi avanzati spingevano per favorire la presenza commerciale
all’estero (modalità 3), mentre si opponevano alla presenza straniera
attraverso la modalità 4. L’attitudine dei paesi meno avanzati era
Giuseppe Celi
opposta.
IEG 2007
La definizione di outsourcing secondo
il WTO
 Attualmente, la maggior parte degli economisti si riferisce alla
modalità 1 quando parla di “outsourcing”. Tuttavia, nel dibattito
pubblico (non solo accademico) sugli effetti dell’outsourcing su
salari e occupazione spesso si includono indiscriminatamente
nella modalità 1 le importazioni di componenti da parte delle
imprese manifatturiere o gli IDE. Ma questo è scorretto e crea
confusione nella comprensione del fenomeno.
 Nel modello di Bhagwati et al. che ci apprestiamo a considerare
l’outsourcing consiste strettamente nella modalità 1 secondo la
definizione WTO che abbiamo riportato.
Giuseppe Celi
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Il modello di Bhagwati, Panagariya e
Srinivasan (2004)
 Come si è detto, nel modello di BPS gli effetti dell’outsourcing
sono analizzati secondo l’approccio della teoria standard del
commercio internazionale. Secondo quest’ultima (per esempio il
modello HOS), l’analisi procede guardando agli effetti del
passaggio dall’autarchia al free trade in termini di:
1) incremento del reddito nazionale di ciascuna nazione;
2) cambiamento nella distribuzione del reddito (dato che
l’analisi è di lungo periodo e presuppone il pieno impiego,
l’aggiustamento dei prezzi dei fattori necessario a garantire
la piena occupazione ha effetti sulla distribuzione).
 Lo stesso approccio è seguito nel modello che segue.
Giuseppe Celi
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Il modello di Bhagwati, Panagariya e
Srinivasan (2004)
 Tre versioni del modello sono presentate.
Nella prima, si considera un unico bene e due fattori di produzione (K e
L). E’ chiaro che inizialmente, con un unico bene, non c’è scopo per il
commercio internazionale. Ma l’opportunità dell’outsourcing apre la
possibilità di commerciale i servizi del lavoro per la produzione del bene
finale. In questo caso, il modello conduce in modo non ambiguo ad un
incremento di welfare con i consueti effetti redistributivi tra i fattori.
Nella seconda, si considerano due beni e tre fattori (due specifici
rispettivamente alla produzione di ciascun bene, K e Lun, e il terzo usato
in entrambe le produzioni, Lsk ). Inizialmente, il modello prevede lo
scambio internazionale convenzionale di beni a prezzi mondiali fissi.
Successivamente, subentra l’outsourcing e anche in questo caso il
welfare aggregato aumenta ma con effetti redistributivi tra i fattori.
Giuseppe Celi
IEG 2007
Il modello di Bhagwati, Panagariya e
Srinivasan (2004)
 Nella terza versione del modello, si considerano tre beni e due fattori.
Inizialmente, due beni sono tradable e il terzo è non tradable.
Successivamente il bene non tradable diventa tradable on line ed è
importato ad un prezzo più basso. In questo caso, l’outsourcing conduce
ad un incremento di welfare per entrambi i fattori.
 Il messaggio generale del modello di BPS è che l’offshoring ha effetti
generalmente positivi per l’economia.
 La versione 1 del modello è riportata nel grafico che segue. La curva MPL
rappresenta la produttività marginale del lavoro (si assumono rendimenti
decrescenti). La dotazione di lavoro è L0 e W0 rappresenta il salario reale
iniziale. In questo caso, il monte salari è dato dall’area del rettangolo
0W0E0L0. Il rendimento del capitale è dato dall’area al di sotto della curva
MPL e al di sopra della linea W0E0
Giuseppe Celi
IEG 2007
Vantaggi dell’outsoucing nel modello a
un bene
Giuseppe Celi
IEG 2007
Vantaggi dell’outsoucing nel modello a
un bene (1)
 Supponiamo che un’innovazione tecnologica permetta all’economia di
acquistare elettronicamente all’estero i servizi del lavoro al salario W’.
L’economia continua ad impiegare la stessa dotazione di lavoro
domestico L0 ma ad un salario più basso, W’. Inoltre, l’economia
acquisterà lavoro estero nella misura di L0L’ pagando il rettangolo
L0L’E’R. Il lavoro domestico riceve in aggregato 0L0RW’ e il capitale
l’area al di sotto della curva MPL e al disopra della linea orizzontale W’E’.
 Pertanto, Il reddito complessivo del paese crescerà di un ammontare pari
all’area E0RE’: questo è l’incremento totale di welfare dovuto
all’outsourcing.
 Ovviamente vi saranno effetti redistributivi con i lavoratori penalizzati in
termini del rettangolo W0E0RW’, e i capitalisti avvantaggiati in termini
dell’area W0E0E’W’.
Giuseppe Celi
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Vantaggi dell’outsoucing in presenza
di commercio (2)
 Come si è detto in precedenza, il secondo modello è a fattori
specifici: il settore che produce il bene import-competing utilizza
lavoro unskilled come fattore specifico, mentre il settore
esportatore utilizza il capitale come fattore specifico. Il lavoro
skilled è il fattore comune utilizzato in entrambe le produzioni.
 Nella figura che segue, vediamo che in corrispondenza
dell’equilibrio iniziale di free trade (senza outsourcing) l’asse
0102 rappresenta la dotazione domestica di lavoro skilled. Le
curve VMPL1 e VMPL2 rappresentano il valore del prodotto
marginale del lavoro skilled nelle due produzioni. L’allocazione
di equilibrio del lavoro skilled si ha in corrispondenza di S0 dove
il salario è lo stesso nelle due produzioni ed è pari a R0. Il PIL è
misurato dalla somma delle aree al di sotto delle due curve
VMPL fino al punto S0.
Giuseppe Celi
IEG 2007
Vantaggi dell’outsoucing in presenza
di commercio (2)
Giuseppe Celi
IEG 2007
Vantaggi dell’outsoucing in presenza
di commercio (2)
 Supponiamo ora che un’innovazione tecnologica permetta di fare
outsourcing in termini di lavoro skilled. I servizi di quest’ultimo verranno
importati al salario R’. In corrispondenza di questo nuovo salario, vi
sarà un eccesso di domanda di lavoro skilled pari a GE’. Questa
domanda verrà soddisfatta con l’outsourcing che espande l’offerta di
lavoro skilled di 020’2 in modo che 020’2 = GE’. Nel nuovo equilibrio il
settore 1 impiegherà S0S’ di lavoro importato e il settore 2 la quantità
S’S’’.
 L’outsourcing genera un aumento del reddito nazionale. Quest’ultimo è
misurato in termini di area al di sotto delle curve VMPL. Confrontando
le aree prima e dopo l’outsourcing, è facile verificare che l’incremento di
reddito è dato dalla somma delle due aree E0FE’ (settore 1) e ABE’
(settore 2).
 Per quanto riguarda gli effetti redistributivi, sotto l’ipotesi di rendimenti
decrescenti, l’incremento nell’uso del lavoro skilled genererà un
incremento del salario degli unskilled e un aumento del rendimento del
capitale.
Giuseppe Celi
IEG 2007
Vantaggi dell’outsoucing in presenza
di commercio (2)
 L’outsourcing è dunque benefico in termini aggregati se si fa
l’ipotesi del paese piccolo. Se però si assume che il paese è
abbastanza grande da influenzare i prezzi internazionali, l’effetto
aggiuntivo sulle ragioni di scambio potrebbe contrastare o
esaltare l’incremento di welfare generato dall’outsourcing.
 Se per esempio l’outsourcing permette di aumentare l’offerta del
bene esportato al di sopra della domanda mondiale, si
determinerà un deterioramento delle ragioni di scambio che
eroderà i vantaggi dell’outsourcing. Se invece l’outsourcing
permette di espandere l’output del bene import-competing, si
ridurrà la domanda di importazioni determinando un
miglioramento delle ragioni di scambio che si andrà ad
aggiungere ai vantaggi dell’outsourcing
Giuseppe Celi
IEG 2007
Modello 3: entrambi i fattori guadagnano
dall’outsourcing
 La versione 3 del modello di BPS, come si è detto, è a tre beni e due
fattori: i beni 1 e 2 sono tradable, il bene 3 è un servizio non tradable. Il
paese è piccolo e produce entrambi i due beni tradable ai prezzi
internazionali. La concorrenza perfetta assicura che il costo unitario (che
è funzione dei prezzi dei due fattori) sia uguale al prezzo internazionale
per ciascuno dei due beni. Finchè i prezzi dei beni sono fissi
(esogenamente determinati), anche i prezzi dei fattori saranno fissi.
Questo implica che anche il costo unitario del bene 3 è ugualmente
fissato, implicando una curva di offerta orizzontale.
 Supponiamo che il bene 3 diventi tradable ed è acquistabile all’estero ad
un prezzo più basso di quello praticato all’interno. L’offerta domestica del
bene 3 scomparirà del tutto e i fattori produttivi saranno assorbiti nei
settori 1 e 2. Le remunerazioni dei fattori in termini dei prezzi dei beni 1 e
2 rimarranno immutate, ma aumenteranno in termini del bene 3, dato che
il prezzo di questo bene è diminuito. In questo modello, dunque, entrambi
i fattori traggono vantaggio dall’outsourcing.
Giuseppe Celi
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Outsourcing: un nuovo paradigma
interpretativo?
 Recentemente alcuni eminenti economisti dell’Università di
Princenton, (Grossman, Blinder) hanno fatto notare che la
globalizzazione è entrata in una fase nuova e del tutto
differente da quella precedente, tanto da richiedere “un nuovo
paradigma” per essere interpretata. I titoli degli articoli di questi
due autori sull’argomento sono emblematici: Grossman et al.
(2006) “The rise of Offshoring: it’s Not Wine for Cloth Anymore”,
Blinder (2006), “Offshoring: the Next Industrial Revolution?”
 Baldwin (2006), passando in rassegna i nuovi contributi che
cercano di offrire una nuova chiave interpretativa delle tendenze
recenti dei processi di internazionalizzazione, pone a confronto
vecchio e nuovo paradigma della globalizzazione contribuendo
a chiarirne le differenze.
Giuseppe Celi
IEG 2007
Outsourcing: un nuovo paradigma
interpretativo?
 Nella prima fase della globalizzazione (che include le due
ondate che conosciamo), la riduzione dei costi di trasporto ha
posto fine alla necessità di produrre i beni vicino ai luoghi di
consumo.
 Nella seconda fase, la rapida caduta dei costi di comunicazione
e di coordinamento ha permesso di porre fine alla necessità di
concentrare spazialmente tutte le fasi di produzione di un bene.
Più recentemente, la separazione spaziale ha riguardato i
servizi. Quindi non solo la frammentazione delle fabbriche ma
anche degli uffici.
 Mentre la teoria standard del commercio internazionale è il
vecchio paradigma che serve a spiegare la prima fase della
globalizzazione, un nuovo paradigma è necessario per
comprendere la seconda fase
Giuseppe Celi
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Outsourcing: un nuovo paradigma
interpretativo?
 Nel primo paradigma interpretativo, l’unità di analisi era il settore
e le imprese all’interno di esso. Il commercio internazionale
favoriva alcune imprese e danneggiava altre. Poiché la maggior
parte delle imprese appartenenti ad un settore erano
accomunate dalla stessa sorte, anche il tipo di lavoro utilizzato
più intensivamente nel settore seguiva la stessa sorte delle
imprese e del settore e quindi l’accorpamento di questo tipo di
lavoro (per esempio, skilled vs unskilled) in un unico aggregato
era utile dal punto di vista analitico per valutare gli effetti
redistributivi del commercio internazionale.
 Nella seconda fase della globalizzazione, la competizione non è
tanto tra imprese o settori ma è tra “task” (mansioni, compiti)
all’interno dell’impresa. Questa circostanza altera
sostanzialmente l’approccio analitico precedente
Giuseppe Celi
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T
Giuseppe Celi
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Giuseppe Celi
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Il vecchio paradigma
 Il vecchio paradigma si concentra, dunque, sui settori (non sui task) e
sul costo declinante dei beni commerciabili (non delle idee).
 Il grafico che segue mostra la logica del vecchio paradigma. L’asse
delle ordinate mostra i settori dell’UE ordinati secondo il vantaggio
comparato in ordine decrescente: i settori di vantaggio comparato
sono più a sinistra, quelli meno competitivi sono a destra. La curva A
mostra la produttività delle imprese UE. Il settore borderline is z’: in
questo settore, il differenziale di produttività dell’UE nei confronti del
Sud compensa esattamente il differenziale salariale (la curva A
incrocia la retta del differenziale salariale). Pertanto, i settori a sinistra
di z’ sono settori forti dell’UE (in termini di prezzo, qualità, etc.) perché
il differenziale di produttività più che compensa il differenziale
salariale; i settori a destra sono quelli più deboli per il motivo opposto.
Giuseppe Celi
IEG 2007
Giuseppe Celi
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Il vecchio paradigma
 Se consideriamo i costi di trasporto, il costo dei prodotti UE sui
mercati del Sud è maggiore; questa circostanza fa spostare a
sinistra la curva A (che diventa Aτ): adesso in corrispondenza di
z’ il Sud è più competitivo perché il differenziale di produttività
UE non riesce a compensare il differenziale salariale. Allora il
settore borderline con costi di trasporto per l’UE diventa zx. I
costo di trasporto hanno lo stesso effetto sulla competitivita del
Sud sui mercati UE: in questo caso, la A slitta verso destra e
diventa A/τ e il settore borderline con costi di trasporto per il Sud
diventa zm. E’ evidente che i settori compresi tra zx e zm non
saranno commerciati perché in questi settori l’UE sul suo
mercato interno è più competitiva del Sud ma è meno
competitiva sui mercati del Sud.
Giuseppe Celi
IEG 2007
Il vecchio paradigma
 Con la caduta dei costi di trasporto, il settore borderline dell’UE
slitta a destra e così aumenteranno le esportazioni nei settori da
zx a z’. Il settore borderline del Sud slitterà a sinistra e quindi le
produzioni UE in questi settori prima non tradable saranno
rimpiazzate dalle importazioni dal Sud (il Sud esporterà nei
settori da zm a z’).
 In conclusione, se la competizione internazionale avviene tra
settori e se i costi di trasporto subiscono un calo generalizzato
comune a tutti i settori, i settori vincenti saranno quelli che erano
comunque di vantaggio comparato fin dall’inizio e i lavoratori
vincenti saranno quelli che lavorano più intensivamente nei
settori vincenti. L’opposto accade per i settori declinanti e per i
lavoratori di questi settori . E’ la storia raccontata dalla teoria
standard del commercio internazionale (HOS).
Giuseppe Celi
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Il vecchio paradigma
 Le implicazioni di policy associate al vecchio paradigma nel caso
dell’UE sono chiare: se la liberalizzazione commerciale avvantaggia
i settori di vantaggio comparato (nel caso UE, quelli più skill
intensive) allora le misure di politica economica devono puntare ad
un upgrading nel livello di istruzione della forza lavoro (Società
dell’informazione).
 La tabella che segue mostra che ad ogni livello di skill, nel caso
della Germania Ovest, i task routinari seguono un trend
decrescente. I sostenitori del vecchio paradigma interpreterebbero
allora questa evidenza empirica come un inequivocabile upgrading
nel livello di skill della forza lavoro e come un suggerimento a
implementare politiche che accrescano il livello di skill della forza
lavoro in futuro. Quando dal vecchio paradigma si passa al nuovo
paradigma queste certezze in termini di policy sono meno chiare.
Giuseppe Celi
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Giuseppe Celi
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Vecchio e nuovo paradigma
Giuseppe Celi
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Il nuovo paradigma
 Il diagramma che segue è molto simile a quello precedente, solo
che adesso la competizione in Europa avviene tra task e non tra
settori. Sull’asse delle ascisse sono riportati i task ordinati in
ordine decrescente secondo il vantaggio comparato (i task più
competitivi sono a sinistra). E’ chiaro che il diagramma riporta
una situazione diversa da quella precedente in quanto l’elevata
specializzazione in un task non coincide con il vantaggio
comparato di un settore (in quanto lo stesso task può essere
impiegato in settori disparati).
 Rispetto al diagramma precedente, vi è un’altra differenza
sostanziale: gli avanzamenti nelle ICT riducono i costi di
trasferimento di alcuni task ma non di altri (la riduzione dei costi
non è generalizzata come nel caso precedente)
Giuseppe Celi
IEG 2007
Giuseppe Celi
IEG 2007
Il nuovo paradigma
 Nella figura, questa non generalizzazione del calo dei costi di
trasferimento dei task è rappresentata da una retta A che non
trasla in modo regolare: alcuni task (come il punto 1) iniziano ad
essere esportati mentre altri iniziano ad essere importati (punto
2). Alcuni task dell’UE hanno un grosso calo nei costi di
trasferimento ma non un forte incremento di produttività: il Sud,
nonostante il forte calo nei costi di trasferimento, mantiene un
vantaggio nel task 3 prima e dopo la riduzione dei costi. Nella
figura, il cambiamento nel costo di trasferimento dei task
sembra arbitrario e questo è intenzionale.
Giuseppe Celi
IEG 2007
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Lezione 9