Quando i ricordi
illuminano il futuro
Titolo Testo
“
A mio nonno, l’amico che ha sempre creduto in me, che fossi un piccolo calciatore, o un giovane imprenditore.
A colui che mi ha lasciato la più preziosa delle eredità, il suo nome stimato.
A mio padre che ha avuto il coraggio di sognare in grande, ha ricevuto una realtà sorprendente e ha trovato il modo per renderla migliore. Dedicandoci la vita.
E a tutti coloro che ci hanno accompagnato fin qui.
Saverio Tavarilli
”
Se oggi l’Acmei corre lo deve all’ “uomo col furgoncino”. Sembra di vederlo macinare
i suoi chilometri per raggiungere il Gargano, girare tra i paesi sperduti e poverissimi
del dopoguerra, tra le colline impervie dove la lentezza vinceva su tutto. Arrivavano
lente le innovazioni, come lenti erano i rifornimenti dei beni.
Paesi dimenticati dove una lampadina che si accendeva, una nuova presa per la
corrente o le batterie cariche, avevano il sapore di piccoli miracoli della tecnica che
si materializzavano al di là di ogni speranza. Li portava Saverio Tavarilli e per chi lo
incontra oggi e ascolta i suoi racconti, non è difficile immaginare che col suo furgoncino 1100 Fiat, lanciato per le strade solitarie di una certa Puglia, arrivava anche una
buona dose di allegria.
Saverio è così, mentre ricorda mette di buonumore. E se si prova a dirgli che è lui
il segreto della corsa dell’Acmei, figlia di quei chilometri, figlia di quegli sforzi, lui
risponde di no. Allora prende a parlare di suo figlio, di Domenico che ha saputo
andare oltre. Ha guardato più lontano di lui, ha osato anche contro il parere del
padre, le sue perplessità, e ha vinto. “Io ero intraprendente - dice Saverio – ma lui
mi ha superato”. E’ vero, verrebbe spontaneo rispondere, ma nonno Saverio aveva
gettato solide basi per una storia luminosa.
Primo maschio di dodici figli, Saverio Tavarilli è nato il 6 gennaio del 1927, terzogenito di un perito tecnico che aveva una piccola bottega dedita alla vendita di
materiale elettrico, nel cuore di Bari Vecchia.
Erano tempi durissimi. Saverio ricorda che già a 6 anni si dava da fare per guadagnare qualcosa e prima di andare a scuola distribuiva il latte al vicinato. A fine settimana arrivava qualche spicciolo e lui lo consegnava alla mamma. Ogni risparmio
serviva per comprare la farina, solo quella.
“Si mangiava pane. Pane e pomodoro”, ricorda Saverio col sorriso. “Ci voleva
un quintale di farina per fare 30 kg di pane e doveva bastare per tutti, per andare
avanti l’intera settimana”. Si moriva di fame e quella realtà si coglie in ogni sfumatura del suo racconto, la fame della guerra che accompagna l’adolescenza di
Saverio e diventa disperazione quando il padre fu mandato in Africa a combattere
e la famiglia stentava a sopravvivere. Saverio non si scoraggiò mai: fece il pescivendolo, il commesso in un negozio di forniture elettriche; quando arrivarono gli
americani li aiutò a riempire i magazzini di viveri facendo la spola tra il porto e la
Fiera del Levante e portando a casa qualcosa come ricompensa, cibo prezioso per
la sua famiglia.
Poi vestì la tuta d’operaio a Mola, collaborando alla costruzione di nuovi capannoni voluti dagli americani nel territorio che avevano liberato, fece persino il postino.
Nel mezzo di quegli anni intensi, anche il servizio militare nella Marina, a Taranto,
sulla corazzata Giulio Cesare, finita poi in mano ai Russi. Saverio ricorda quel periodo
del ’47 come uno dei più diffcili. Scappava dalla città Jonica quando poteva, con un
carico di cozze recuperate in maniera avventurosa per far felici le sue otto sorelle e i
tre fratelli e ricompariva tra mille peripezie a Bari.
Rammenta le punizioni terribili per le sue fughe, al ritorno, nelle celle dei prigionieri, quando il sole picchiava inesorabile sulle banchine del porto e lui si sentiva
morire. Insieme alle pene che gli costò il servizio militare non dimentica però che
c’era spazio anche per la sua vocazione: in divisa frequentava la Scuola per
Elettricisti, tre mesi di corso prima d’imbarcarsi sull’Andrea Doria e la sua mansione
era riparare caldaie.
Saverio snocciola i ricordi della sua vita ad uno ad uno, la vita di un ragazzo barese
che conosceva un unico verbo: lavorare. Tanto.
Quando Saverio aveva 16 anni, il titolare di una bottega avviata nel cuore della città,
in via Vittorio Veneto, attuale via Sparano, andò a trovare il padre del ragazzo e gli
disse: “Mincuccio, mi mandi Saverio per una settimana? Mi aiuterà a portare avanti il
negozio”. Quella settimana durò 18 anni. Anche quando le Poste tornarono a chiamarlo per promuoverlo portalettere, lui preferì restare nel magazzino di Tommaso Annoscia, era l’uomo di bottega e faceva di tutto, accompagnava persino i figli del titolare a
scuola, sempre disponibile a rendersi utile, ma intanto imparava a muoversi benissimo
tra i materiali di quella che era ormai la passione di famiglia: l’elettricità. Così quando
Annoscia aprì un deposito più grande in corso Cavour, Saverio Tavarilli ne divenne il
responsabile con dieci addetti alle sue dipendenze. Erano gli anni della ricostruzione,
del boom economico, delle mille commesse da un territorio che voleva reinventarsi
il futuro, attento alle innovazioni tecnologiche. L’elettricità era protagonista. Le case
erano un trionfo di nuovi elettrodomestici, le radioline portatili andavano a batterie,
quelle piccole, in campagna si vendevano quelle grandi che alimentavano le torce.
Le lampadine avevano mille forme, le luci diventavano non soltanto funzionali, ma
si sposavano col design, con l’architettura degli interni, con l’urbanistica. Le insegne
luminose cambiavano i volti delle piazze e delle strade. Era tutto un fermento e anche
la vita di Saverio cambiava in quegli anni. Una svolta privata non meno entusiasmante:
Saverio sposò Anna, finalmente, il suo amore di sempre.
L’aveva conosciuta che era una ragazzina di appena 11 anni, quando lui ne aveva
17. Erano ancora gli anni della guerra e lui abitava, all’epoca in via Piccinni, lei a due
passi, in via Abate Gimma.
Ma le vicende del conflitto costrinsero la famiglia di lei a riparare a Triggiano. Saverio, anche in quel frangente, non si scoraggiò. Dopo il lavoro, faticosissimo, inforcava la sua bici e la raggiungeva… chilometri e chilometri pedalando per dare
continuità a quel sentimento così acerbo, ma così intenso. Il 22 aprile del 1950,
nel pieno dell’Italia in trasformazione, Saverio sposò la sua Anna. “E’ ancora bellissima”, sospira dall’alto dei suoi 84 anni, guardando la foto di
sua moglie, di sei anni più giovane. In primavera hanno
festeggiato i 62 anni di vita insieme e nel dirlo gli occhi si
riempiono di tenerezza per quell’amore che ha accompagnato un’esistenza. Nei lontani anni ‘50 del secolo
scorso la ricchezza era ancora una speranza futura,
un entusiasmante sogno nascente. Per festeggiare il
matrimonio Saverio e Anna chiesero di utilizzare
la sala di un circolo per gli anziani. C’era l’amore
a trasfigurare ogni ambiente. E così anche per vivere la dimensione di una neonata
famiglia, si ritagliarono un piccolo spazio nella casa della famiglia di Saverio, in un
appartamento sovraffollato. Dieci mesi dopo nacque già Domenico, il primo figlio di
Saverio e Anna.
Due anni più tardi Domenico, che tutti in casa chiamavano Mimmo, ebbe una sorellina, Mattia. La giovane famiglia, non senza sacrifici e spirito di adattamento,
aveva finalmente conquistato una casa propria. Nel frattempo il lavoro dava le
sue soddisfazioni e da capo magazzino ed esperto nella contabilità del deposito a
lui affidato, Saverio osò un passo importante: mettersi in proprio, aprire una sua
attività commerciale. L’avventura incominciò con altri due soci e nacque la ditta
DAMATA, dalle iniziali dei cognomi D’Amore, Marino e Tavarilli, coloro che diedero vita insieme a una nuova realtà imprenditoriale. Era il 1963. Le soddisfazioni non tardarono ad arrivare, tanto che dopo tre anni due dei soci erano in grado
di liquidare il terzo, Marino, e di proseguire l’attività.
Ma torniamo al ’63, precisamente a un caldo mese di luglio. Fu quello il punto di
partenza, quando cioè realizzarono un obiettivo importante e aprirono i battenti
di un primo negozio in via Sagarriga Visconti numero 17.
Lo inaugurarono di venerdì 17 e, con l’orgoglio di chi ha sfatato ogni superstizione, oggi Saverio proclama soddisfatto: “Fu un negozio fortunatissimo”.
Bastò un breve periodo di lavoro intenso, infatti, a dare loro la possibilità
di ampliare i locali destinati alla vendita, aprendo una vetrina di fronte alla
prima sede.
Precisamente al numero 18 di via Sagarriga Visconti.
Oggi non c’è più traccia dell’attività di Saverio Tavarilli in quella strada di confine tra
il quartiere Murattiano e il Libertà di Bari, ma proprio lì, il sogno che fu energia pura
per la crescita di questa famiglia di imprenditori baresi, si fece realtà.
Mimmo aveva 16 anni quando decise di affiancare il padre in negozio, la stessa età
che il genitore aveva quando fu assunto come ragazzo di bottega nel negozio degli
Annoscia.
Era dunque quella l’età della svolta per i Tavarilli, delle decisioni importanti
per la vita. Mimmo aveva poca voglia di studiare e tanta di divertirsi, suonare con
gli amici la chitarra elettrica, viaggiare, ma soprattutto, come gli aveva insegnato
suo padre, aveva voglia di apprendere il mestiere di famiglia. Incominciò dalle
mansioni più semplici e il negozio divenne presto anche per lui una ragione di vita.
Saverio intanto macinava chilometri col suo mitico furgoncino di seconda mano, il
cambio marce sul manubrio, il vano carico di merce.
Fu lui il compagno di tanti viaggi, ma soprattutto il mezzo che dava concretezza
all’intuizione vincente di Saverio: non valeva la pena investire tutte le energie per
competere sul mercato barese, sarebbe stato accontentarsi di essere uno dei tanti.
Bisognava andare, spostarsi.
A Bari c’erano le ditte di fama già consolidata, c’erano gli Annoscia, da cui lui stesso
aveva tanto imparato, c’era Bernasconi, una ditta consolidata, Saverio pensò che
per crescere non occorresse misurarsi sul loro stesso terreno. La sua forza fu intuire che non avrebbe avuto rivali spingendosi nelle zone più faticose da raggiungere,
dando il gas al suo furgoncino per salire le strade del Gargano e della provincia di
Foggia.
Era quasi una festa quando arrivava con la sua merce. Immaginiamolo tra i suoi
clienti che lo attendevano con entusiasmo. Avevano imparato a conoscerlo, sapevano della sua puntualità e affidabilità e con loro, a lungo andare, nacque l’amicizia.
Facevano a gara per ospitare Saverio, gli offrivano pranzi e cene dove era diventato
ormai di casa.
L’uomo col furgoncino arrivava per stare tra loro due, tre giorni, lontano dalla sua
famiglia. I clienti capirono presto che per lui quel furgoncino era quasi una seconda
casa, a volte anche un riparo notturno tra i mille spostamenti. Allora non tardarono
a manifestare affetto e fiducia in quell’uomo arrivato da Bari portando merci e
sorriso, e si fecero in quattro per dargli ospitalità notturna in un clima di semplicità
e allegria.
Saverio era benvoluto dai clienti come dai fornitori. Questo, lo sanno i suoi eredi, era
il segreto del suo successo. I fornitori ad ogni partenza riempivano il furgone
di prodotti, a volte per stringere un accordo non occorrevano contratti e clausole, bastava una semplice stretta di mano perché sapevano che di Saverio ci si
poteva fidare e, comunque sarebbe andata, lui avrebbe onorato i suoi impegni. Poi,
era sotto gli occhi di tutti, nel vendere i prodotti quell’uomo era davvero imbattibile, dargli credito non era certo difficile. Dopo aver distribuito lampadine, batterie,
cavi, prese e stufe tra piazze e masserie sperdute, dai suoi viaggi Tavarilli tornava a
Bari con notevoli incassi, molte le banconote da 10 mila lire, quelle grandi come un
lenzuolo, arrotolate e nascoste un po’ ovunque nel furgoncino e tra gli indumenti
personali.
Le celava nelle scarpe, tra le calze, sotto la maglia, le sparpagliava nella speranza di renderle introvabili se gli fosse capitata qualche disavventura. Ma soprattutto Saverio tornava a Bari con nuovi ordinativi che avrebbero ben remunerato le
sue spedizioni successive. Sì, era proprio incominciato un circolo virtuoso che lo
avrebbe portato lontano. Davanti alla famiglia srotolava con soddisfazione quelle
rare banconote, non se ne vedevano spesso tra le mani e a mostrarle così Saverio
suscitava tanto stupore: quella cartamoneta formato maxi era il segno tangibile che
le cose funzionavano bene.
A portare Tavarilli lontano, oltre a una comprovata onestà negli affari che gli faceva
guadagnare fiducia, c’era un innegabile intuito. A dimostrarlo c’è un aneddoto che
restò impresso nella sua memoria tanto da raccontarlo alle generazioni successive
colorando il racconto con tutte le sfumature avventurose di chi ha corso anche dei
rischi nel suo mestiere. Un giorno tra le strade isolate che percorreva lungo la provincia di Foggia ne trovò una sbarrata dai sassi. Avrebbe dovuto fermare il suo furgoncino, o al limite rallentarne la corsa per capire cosa accadeva. Ma Saverio no, non
si fermò. Fu una questione di istanti, quelli necessari a prendere la giusta decisione
e a non trovarsi in trappola.
Intuì il pericolo: quei sassi volevano farlo fermare e fermarsi poteva significare esporsi a un agguato. Allora fece l’unica scelta che a lui sembrò una via d’uscita. Laddove
tutti gli altri avrebbero rallentato per capire, lui accelerò. Rischiò di vedere il suo
furgoncino danneggiarsi, ma decise la via più giusta. Passò con le ruote su una grossa pietra, il furgoncino arrancò, ma ce la fece. Saverio oltrepassò a colpi di acceleratore lo sbarramento. Dietro di lui gli risposero a colpi di fucile, ma ormai Saverio
era già lontano. Aveva indovinato in una manciata di istanti: quello era un agguato
organizzato, volevano rapinarlo e lui l’aveva scampata per un soffio. Era bastata una
frazione di secondo per rivelare un temperamento deciso e un infallibile intuito. Si
può capire perché questo racconto per il nipote che porta lo stesso nome di suo
nonno e che chissà quante volte da lui lo ha ascoltato, negli anni sia diventato
un passaggio irrinunciabile quando si parla di nonno Saverio e del suo carattere.
E’ un racconto rivelatore di quello che è stato Tavarilli, non solo il fondatore di una
azienda che oggi può vantare numeri sorprendenti realizzati in un breve volgere di
anni, ma soprattutto colui che ha saputo condurla attraverso vicissitudini varie, col
bello e il cattivo tempo, perché è fondamentale compiere le scelte giuste al momento
giusto.
Dopo 10 anni di vita della DAMATA, che nel frattempo aveva aperto le porte agli
eredi dei soci fondatori, cioè a Mimmo Tavarilli che cominciava a sostituire il padre
in qualche viaggio impegnativo e alle due figlie di D’Amore, i Tavarilli erano forti abbastanza per tentare un altro passo. Nel 1972 si divisero dal socio D’Amore.
Soprattutto tra le giovani leve che si ritagliavano un ruolo sempre più importante
nell’azienda, si era delineata una sostanziale diversità di vedute, prendere strade
diverse fu inevitabile.
Così nel ’73 i Tavarilli furono liberi di tuffarsi in un nuovo progetto e fondarono
l’ACMEI. L’idea vincente la ebbe il giovane Mimmo: “Papà non apriamo un negozio,
voglio realizzare un ingrosso”. L’ ACMEI nacque per il volere di quattro soci, ma toccò
ancora una volta a Saverio dare l’impronta giusta, definire gli obiettivi e persino il
nome.
Oggi confessa che non ci dormiva la notte per trovare una definizione che superasse
quella legata alle iniziali dei soci fondatori e rivelasse invece la mission della neonata
realtà.
Fu un’intuizione che negli anni si rivelò fortunata il nome ACMEI, ovvero Azienda
Commerciale Materiale Elettrico Ingrosso.
Cioè, semplicemente, quello che voleva essere l’Acmei nel panorama commerciale
barese. Saverio ne divenne amministratore unico e la prima sede, che occupava un’area
di 300 metri quadrati, prese forma in via Giovanni XXIII n. 199. Qui si divisero compiti
e mansioni. Mimmo prese definitivamente il posto del padre e curò tutto il mercato della provincia foggiana, col suo impegnativo Gargano, Gildo Pertoldi il sud della Puglia,
Giovanni Favia la provincia di Bari. A Saverio, di più lunga esperienza, restò la complessa
gestione della ditta nella sede di Bari, forte di essere ormai un punto di riferimento per
fornitori dal nome importante, del calibro di Osram, per esempio, o B-Ticino.
Lo fece per sei anni, quanti gliene consentirono forza e salute. Poi fu il medico a convincerlo a lasciare la società, per non peggiorare le condizioni di salute già compromesse.
E l’ACMEI proseguì il suo percorso sotto il segno della luce. La ditta fu trasferita una prima
volta al numero 203 della stessa via in cui aveva aperto i battenti e fu un passo importante, giacché quella fu la prima sede di proprietà dei Tavarilli. Acquistarono una struttura
di circa 1000 mq in una posizione ottimale. Saverio ricorda che bisognava bloccare il
traffico per dar modo ai furgoni dei fornitori di scaricare la merce e il via vai era tale che,
in certe sere, si accumulava sui marciapiedi ostacolando il passaggio dei pedoni, mentre
il carrello portacarichi faceva la spola affannosamente tra l’interno e l’esterno del locale
per trasferire i prodotti.
Il lavoro era continuo e anche entusiasmante. E qui ancora una volta sovviene un
episodio rimasto impresso nella memoria.
Mentre Saverio era intento a scaricare la merce da un furgone, aiutato dai suoi collaboratori, qualcuno adocchiò il suo portafogli che spuntava da una tasca posteriore
dei pantaloni. Fu un gesto fulmineo da parte di uno sconosciuto, glielo strappò e,
pur di appropriarsi del denaro, portò via, insieme, sia il portamonete che parte dei
pantaloni lacerati, lasciando Saverio sconvolto e semisvestito. L’intero staff aziendale corse in suo aiuto. Una ferita e un’umiliazione al tempo stesso, che aveva tutta
l’amarezza dell’aggressione subita durante il lavoro, in una città che gli stava dando
tanto, ma dove bisognava fare i conti anche con i non facili problemi legati alla sicurezza.
E anche questi, i problemi della sicurezza, ogni volta che si sono presentati nella lunga vita da imprenditori su territori non sempre facili, i Tavarilli hanno saputo gestirli
con serietà, senza mai soccombere, denunciando e cercando la tutela delle istituzioni, senza mai arretrare di fronte alle difficoltà.
Ma torniamo all’Acmei che riusciva a mantenersi sempre e comunque una fonte di
soddisfazioni.
Presto i soci restarono soltanto due, Favia aveva deciso di avviare un’attività in proprio. Nel 1980 c’erano Mimmo Tavarilli e Gildo Pertoldi, furono loro, tre anni dopo, a
traslocare ancora. Acquistarono un nuovo terreno su cui doveva realizzarsi un progetto ambizioso: una sede grande più del doppio della precedente, 2500 metri quadrati di superficie.
Così inaugurarono la sede nella traversa 10 di via Carducci n. 6, una tappa estremamente significativa nella loro storia. Oggi in quella stessa struttura ancora di proprietà
dei Tavarilli, un tempo sormontata dalla grande insegna dell’ Acmei, sorge una clinica.
Ma all’epoca fu un prodigioso esperimento che ebbe uno straordinario e veloce successo. Una ventina di collaboratori lavoravano con estrema dedizione e furono i cardini della crescita della promettente realtà imprenditoriale. Un magazzino snello
con una divisione di compiti che andava definendosi. C’era una squadra di promotori e agenti, messa su per rendere meno artigianale la rete vendita, ma alla fine si
rientrava in azienda e ci si dava da fare su tutti i fronti, a volte fino a mezzanotte.
Saverio senior, che ancora dava il suo contributo come coordinatore oggi descrive
così quella realtà: “Tutti facevano tutto.
Con un tale entusiasmo e spirito di sacrificio, che vorrei dire che dobbiamo a loro,
ai nostri collaboratori, protagonista delle nuove sfide che attendono la consolidata
azienda dei Tavarilli.”
Possiamo chiamarla così, ormai, perché dal 1987 in poi, dopo l’uscita dalla società
dell’ultimo dei soci, Domenico Tavarilli l’ha condotta da solo e da qualche anno lo
fa con l’aiuto dei suoi giovanissimi figli. Un passaggio delicatissimo quello che ha
vissuto Mimmo in quegli anni. Lui che si era da sempre occupato di distribuzione,
lasciando al socio tutto il settore che concerne i rapporti con le banche e i fornitori, si è trovato a testare personalmente la credibilità che aveva raggiunto l’Acmei
all’esterno e, compito più arduo, a farsi rinnovare la fiducia, nonostante si trovasse
a ricoprire un ruolo per lui inedito. Una sfida che Domenico ha saputo vincere.
Come ha potuto quel ragazzino amante della musica e del divertimento diventare
protagonista di questa crescita superando persino la visione già così all’avanguardia
di suo padre?
Il suo segreto Mimmo lo confidò al giornalista di una rivista di settore e questi riprese il concetto nel titolo dell’articolo comparso su WATTelettroforniture del giugno
2005. “Lavorare io? Macchè, per me è un divertimento”.
Ecco come Mimmo ha potuto dare il meglio di sé nell’opera iniziata da suo padre,
innamorandosene e vivendo con passione le nuove sfide di una crescente realtà
imprenditoriale.
Trovando allegria nel quotidiano e sperimentando le novità, al tempo stesso non
rinunciando mai alle sue passioni, un esempio? In sala di consiglio qualche anno
fa fece allestire una palestra. Lavoro e sport insieme perché le regole dello sport
valgono anche nel lavoro, quando si vince non è il singolo giocatore a portare a casa
il successo, ma la squadra. Un grande risultato l’Acmei lo conseguì nel 1991, quando
entrò a far parte del gruppo d’acquisto SO.GE.ME, attuale Elex Italia, il più importante consorzio nazionale. Mimmo non è stato lasciato da solo a gestire questi passaggi
significativi, ci sono state importanti figure di riferimento che hanno affiancato la
sua famiglia in questo percorso di crescita. I Tavarilli citano, per esempio, il commercialista Ciccio De Santis che ha dato un contributo essenziale alla trasformazione
dell’azienda, orientandola a darsi un profilo articolato ed efficiente, al passo con i
tempi e le regole della modernità. Riconducono a lui anche la scelta del marchio che
per anni ha identificato l’Acmei e il suo Universo Elettrico.
Ma torniamo alla prodigiosa realtà di via Carducci e ai 10 anni di quel lavoro intenso.
Ecco qualche cifra dei traguardi raggiunti, si passò in quell’arco di tempo da 20
dipendenti a 65 e da un fatturato che si aggirava intorno ai 22-23 miliardi di vecchie lire, nel 1987, ai 65 miliardi di lire una decina d’anni più tardi. Un bel salto di
qualità.
Un prodigio che oggi il giovane Saverio Tavarilli, infaticabile quanto suo nonno,
racconta così: “Sembrava inspiegabile per una struttura così piccola realizzare quel
volume d’affari. Soprattutto perché noi non producevamo, distribuivamo e commercializzavamo soltanto il materiale elettrico. Ma c’era un segreto che ci contraddistingueva. Capimmo prima degli altri la necessità di informatizzare il servizio.
Arrivare a valutane l’importanza già nell’87, significava essere diversi passi avanti
agli altri. Eravamo in grado di sapere in tempo reale cosa c’era in magazzino, cosa
si stava consegnando, cosa era in ordinazione. Insomma eravamo in grado di fornire al cliente un quadro esatto della situazione, prevedere i tempi di consegna,
rispettarli. Gestivamo la merce con un’attenzione speciale a soddisfare le richieste
del cliente, un servizio impeccabile che ci ha fatto guadagnare in affidabilità”.
Il giovane Saverio parla di un’epoca che per lui si identifica con l’infanzia. La sua
crescita è coincisa con la crescita esponenziale dell’azienda di famiglia.
Oggi ha infatti 34 anni ed è alla direzione generale di quel piccolo miracolo economico dove ha apportato una serie di cambiamenti che si possono definire epocali
per l’azienda.
Sua sorella Anna, due anni più grande, lo affianca come responsabile della Gestione Amministrativa, mentre la più giovane, Bianca, 24 anni, studentessa laureanda
presso la LUM, sta acquisendo dimestichezza con le aree aziendali Acquisti e
Marketing.
Saverio junior può ricordare la storia recente dell’Acmei ed è lui ora a ripercorrerne
le tappe da 15 anni a questa parte. La crescita del fatturato e quella dell’organico
imposero un nuovo trasferimento.
Si doveva cercare una giusta e spaziosa collocazione per un’impresa così promettente. L’esigenza si avvertì agli albori degli anni Novanta e diventò realtà tra il 1995
e il ’97.
L’attuale sede che si vede attraversando la Strada Statale 16 bis, alle porte di Bari, è
stata immaginata e realizzata secondo le più moderne necessità.
Anche oggi l’informatizzazione dell’azienda è in primo piano, a tal punto che Saverio Tavarilli che oggi la gestisce può dire con soddisfazione: “L’attenzione all’innovazione ci ha dato un importante risultato quest’anno. Recentemente abbiamo
ricevuto il Premio Innovazione ICT Puglia nell’ambito dello Smau Business 2011. Il
riconoscimento è arrivato nella categoria Architetture ICT, quella in cui concorrono
le imprese che operano nel Sud Italia e che più sono riuscite a investire in tecnologie dell’informazione e comunicazione, come supporto per la crescita del loro
business”.
Insieme ai successi conseguiti ci sono gli obiettivi per il futuro, ancora più ambiziosi:
esiste il progetto di creare un centro di distribuzione, una nuova sede logistica dove
si raccordino arrivi-spedizioni-rifornimenti per tutte le filiali. Ciò comporterebbe un
sistema di gestione del tutto innovativo.
Un ulteriore passo avanti per questa famiglia di imprenditori che ha trovato sempre
il coraggio di guardare al futuro.
Ma è nella visione globale dell’azienda che Saverio Tavarilli junior ha dato il maggior
contributo d’innovazione: “Credo che oggi più che mai - spiega Saverio - il passaggio
da una gestione familiare a una manageriale sia obbligato per la crescita delle piccole
e medie imprese”.
Saverio illustra quella che lui ha avvertito come una necessità primaria per lo sviluppo dell’ Acmei “la complessità dell’organizzazione, la necessità di una gestione più
attenta e il giusto equilibrio delle relazioni tra i vari reparti, hanno imposto una scelta
di tipo manageriale. In Italia, in particolar modo nel Centro-Sud, le piccole e medie
imprese hanno paura di affrontare il cambiamento e fanno fatica a superare la gestione padronale”.
Loro, i Tavarilli, ce l’hanno fatta in quello che è un passaggio niente affatto scontato,
anzi è uno degli ostacoli più impegnativi nel percorso di crescita delle aziende. Agli
imprenditori si richiede un cambiamento di mentalità e comportamento, i Tavarilli
hanno colto tra i primi la sfida della modernità.
Oggi nell’ACMEI, questo processo di maturazione è ormai realtà, condiviso da uno
staff di 350 collaboratori coinvolti a tutti i livelli. L’Acmei si avvale anche di esperti
che arrivano dall’esterno per dare il loro contributo professionale per una gestione
diventata ormai, come era negli intenti, manageriale. “Facciamo parte di ELEX, il
consorzio di livello nazionale per la distribuzione del materiale elettrico – sottolinea
Saverio, il figlio di Mimmo con orgoglio, davanti agli occhi soddisfatti di suo nonno
– mio padre ne è consigliere delegato”.
Per capire quanto siano cresciuti basta guardare le ramificazioni delle loro competenze. Hanno sviluppato notevolmente il settore del decorativo, prima del ’97 era per
l’ACMEI soltanto una nicchia dell’attività aziendale, ora all’esposizione di apparecchi
di illuminazione è dedicato uno spazio espositivo di grande rilievo.
Le loro commesse spaziano, infatti, dall’arredo urbano a quello residenziale, all’illuminazione pubblica.
E non è tutto. Nel corso del tempo hanno voluto intraprendere un percorso di specializzazione in molteplici settori: ICT, domotica, automazione, media tensione, clima,
energie rinnovabili.
L’Acmei si distingue perché riesce a fornire non soltanto prodotti, ma competenza e
consulenza, supporto al cliente e assistenza.
Se le più giovani generazioni possono segnare nuovi e ambiziosi traguardi lo devono a
quelle che le hanno precedute durante il percorso che le ha portate fin qui.
Lo devono ai sacrifici di Saverio, alle occasioni che ha saputo cogliere Mimmo.
Per questo val la pena di voltarsi indietro, per poter capire meglio il presente, fermandosi
a osservare….
Quella stella luminosa che Saverio Tavarilli senior aveva acceso nel panorama della Puglia
anni Sessanta, è diventata oggi, nel cielo delle imprese italiane, una galassia di promettenti
e vincenti energie.
Foggia (FG)
Modugno (BA)
Taranto (TA)
Triggiano (BA)
San Giovanni Teatino (CH)
Casarano (LE) Medel s.r.l.
Lamezia Terme (CZ)
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Maria Luisa Sgobba (giornalista News Mediaset)
Agenzia Raffaello D‘ Accolti
Grafisystem
a Saverio Tavarilli
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